Untitled - Beppe Enrici
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Hospitalarte, ferite di luce Evento a cura di RELAZIONARTI Con il sostegno di Umanità Nuova Giovani per un mondo unito Organizzazione Tiziana Borra Daniele Fraccaro Francesca Gherlone Stampa e diffusione Laura Gherlone Franco e Daniela Tubiana Allestimento mostra Claire Morard Roberto Roccia Si ringraziano per la preziosa collaborazione Ospedale S. Giovanni - Antica sede Dott.ssa Rossana Beccarelli “Scuola di Arte e di Pensiero” del Primo Liceo Artistico di Torino Angelo e Silvia Borla Progetto grafico Beppe Enrici www.beppeenrici.it Il catalogo è stato realizzato grazie alla collaborazione di: COMITATO RELAZIONARTI: Gabriella Antonielli, Silvia Borla, Tiziana Borra, Michelangelo Bortolin, Paolo Brunello, Elisabetta Caraccioli, Emanuel Cena, Elisa Corrado, Cristina Cortissone, Manuela Cosio, Antonietta Cotugno, Maria Paola e Beppe Enrici, Marilena Favero, Alessandro Ferrari, Bruna Formiconi, Chiara Galletto, Tiziana Giacobbe, Maria, Vittoria e Valentina Giarlotto, Daniele Fraccaro, Francesco, Laura e Francesca Gherlone, Vito Liuzzi, Rosa Molinatto, Claire Morard, Maria Chiara Todesco, Linda Zambon. Hospitalarte, ferite di luce L’ambiente ospedaliero ospita l’ambiente espositivo. Se è vero che l’ospedale può contenere l’arte è vero che l’arte può accogliere il dolore che vi abita. Grazie alla collaborazione con L’Ospedale S. Giovanni -Antica sede-, le opere d’arte sono state realizzate a partire dal materiale ospedaliero; defibrillatori, flebo, lastre radiografiche, medici in persona….tutto diventa materia prima per reinterpretare le forme del dolore. Nella consapevolezza di affrontare un tema impegnativo in un contesto delicato l’idea del progetto si è sviluppata su un fitto confronto fra i partecipanti. Gli stessi artisti hanno messo in gioco il proprio sentire riguardo il dolore e l’ambiente ospedaliero, in primo luogo con uno scambio di idee, pensieri ed esperienze. La pluralità delle voci ha portato a soluzioni personali: arte terapeutica, lenitiva, traumatica, curativa, ricreativa… Ma nella varietà delle proposte è emersa un’unità di intenti: ricostruire, proprio attraverso la diversità degli sguardi, quell’unità che è tipica di ogni esperienza umana, anche di quella traumatica, ma che sembra spezzarsi ad ogni incontro con il dolore. RelazionArti Il trauma dell’arte di Daniele Fraccaro ARTE E DOLORE Il dolore intesse con l’arte un legame strettissimo, tanto da sembrare qualcosa di connaturato ad ogni ispirazione e ogni esperienza estetica, e il motivo è presto detto: All’origine di ogni esperienza estetica è sempre presente un evento che scuote al punto di scostare dal comune corso della vita, di muovere fuori dai binari dell’abitudine; la scintilla primaria è sempre l’e-mozione. A questo tipo di evento è predisposto ogni artista, per la spiccata vita emotiva che gli è propria. Infatti gli artisti sono portati ad emozionarsi di più, le loro energie affettive sono sempre più intense rispetto al comune e di fronte a cose che agli occhi dei più risultano banali o senza valore, essi provano quella “scossa emotiva” che porta al “risveglio sensoriale” dell’esperienza estetica. Il dolore per propria natura scuote i sensi di tutti gli uomini e a volte può arrivare a toccarne le coscienze. Per l’artista, il dolore, piccolo o grande, sarà sempre un qualcosa che scuote in misura maggiore. Ogni turbamento risulta per lui amplificato. Si comprende così il dramma esistenziale che trapela dalle opere di Michelangelo, Caravaggio, Goya, Van Gogh, Warhol, Beuys, … Come sotto l’effetto di un “amplificatore sensoriale congenito” gli artisti sono sottoposti a scosse emotive che stravolgono i sensi, la mente e l’anima, toccando vertici strazianti impensabili nella routine di chi non ha una particolare predisposizione emotiva ed estetica. Questo prezzo però può sembrare troppo alto anche in vista di una produzione artistica. 2 IL TRAUMA ESTETICO In realtà ciò che potrebbe apparire come un “finale tragico” riflette solo una visione parziale. Considerando questa esperienza nella sua interezza, il profondo dolore dell’artista non è che l’inizio di un evento eccezionale. Se è vero che il trauma originario di ogni esperienza estetica porta sempre ad una “piccola morte”, è vero innanzitutto che questa è in funzione di un qualcosa di nuovo. Il dolore, tutt’altro che innocuo sulla pelle dell’artista, ferisce in profondità, ma, sulla breccia di tale ferita, l’anima gli si dischiude e una nuova dimensione percettiva lo porta a leggere la filigrana nascosta nei segni dell’esperienza traumatica. Con questa preziosa chiave di lettura, i fili dell’esperienza comune, spezzati da quel piccolo o grande dolore, vengono riannodati per assumere una nuova trama; il “non senso” e l’assurdo acquistano significato e ciò che agli occhi dei più è percepito unicamente come dolore, appare all’artista come trasfigurato. Non per questo si deve pensare che l’approdo dell’artista sia sempre un rassicurante “lieto fine”. “L’esperienza estetica cerca il coinvolgimento dei diversi, l’attrito, la stridenza tra generi non unificati, e che anzi devono entrare in un connubio mantenendo, rafforzando i rispettivi tratti peculiari”. (Renato Barilli)1. Il dolore resta tale ma la privazione di senso derivante dal trauma viene ad assumere un’insolita prospettiva. La ferita non si nasconde ma si mostra all’artista in tutta la sua profondità. Il “vuoto” del trauma brilla rivelando una pienezza di significato che colma ogni mancanza, un po’ come le stigmate: non brutture ma reali ferite che risplendono e si mostrano come la nota più caratterizzante del corpo glorioso. DOLORE DA CERCARE, ASCOLTARE, COLTIVARE Eppure, nonostante una naturale predisposizione, tale esperienza non è automatica nemmeno per gli artisti. La sensibilità estetica si affina con le continue scosse che la vita propone e con le continue sintesi che l’artista offre in risposta. Proprio il coltivare questa sensibilità può portare ad un frutto impensato: colui che spinge alla maturazione la propria sensibilità estetica non fugge il dolore perché sa che ogni ispirazione, ogni illuminazione artistica scaturisce da quel piccolo – grande trauma. Come ad un appuntamento cui non vuole mancare, l’artista accoglie il dolore perché sa che nasconde qualcosa di prezioso; lo ascolta perché sa che ha sempre cose nuove da dirgli; lo cerca nelle circostanze della vita con uno sguardo che supera la soglia dell’apparenza per guardare veramente dentro i fatti e le cose. Con questo sguardo brucia il negativo dell’esperienza traumatica con un fuoco che lascia in piedi solo il nocciolo irriducibile, l’anima di quell’esperienza. In questi momenti eccezionali l’artista abbandona le stanze rassicuranti dell’abitudine, esce dal flusso indistinto delle azione e delle cose per trovarsi in certo modo “fuori di sé”. “Perde” i propri occhi per adottare uno sguardo penetrante e sintetico, capace di armonizzare e ricondurre ad unità cose altrimenti percepite in modo assurdo e inconciliabile. L’OPERA D’ARTE, UN PARTO DOLOROSO L’esperienza dell’artista non si limita però a questo. Tutte le opere d’arte nascono infatti da questa visione estetica e ne sono in qualche modo l’incarnazione. Ma nel momento in cui tale visione diventa forma, colore, musica, l’artista deve separarsi dal proprio sguardo per portarlo “fuori da sé”, per ri-crearlo come “opera d’arte”. Ecco che deve affrontare un nuovo trauma “perdendo” in certo modo quella visione illuminata e sintetica, distinguendola da sé. Naturalmente non tutte le esperienze degli artisti diventano esperienze estetiche, e non tutte le esperienze estetiche diventano opera d’arte, ma quando ciò accade l’artista avverte che quel prezioso sguardo di luce, che pure gli è costato, non può essere trattenuto ma deve essere dato all’esterno, fuori di sé; quello sguardo è nato per diventare “opera”. In questi casi tenere per sé quella particolare visione corrisponderebbe a perderla davvero e in modo irrimediabile. Sarebbe un “non senso”, come il volersi appropriare di una ricchezza che ormai appartiene a tutti. In tal senso, nella creazione di un’opera d’arte, il dolore si presenta ad ogni fase, e il trauma si sdoppia: dall’istante originario dell’esperienza estetica, al momento in cui l’artista deve separarla, meglio, distinguerla da sè, per darle forma e corpo nell’opera d’arte. IL TRAUMA DELL’OSSERVATORE Come fruitori, di fronte all’opera, ci è dato di godere e apprezzare la visione estetica dell’artista mentre resta nascosto il dolore e il “doppio trauma” che l’artista ha dovuto affrontare. In certo modo l’opera si comporta come le due diverse facce di una stessa medaglia: a tutti i fruitori è concesso di vedere quella più luminosa e brillante, di godere, condividere e partecipare alla visione sintetica e illuminata dell’artista. Una faccia resta invece nascosta: quella che racchiude il diario intimo di tale visione, l’altalena traumatica sottesa ad ogni esperienza estetica. Eppure il fruitore è in qualche modo partecipe anche di questa dinamica, anche di questa faccia nascosta. …“Per percepire uno spettatore deve creare la propria esperienza. La sua creazione deve includere relazioni paragonabili a quelle a cui il produttore originale si è assoggettato […]. Senza un atto di ricreazione l’oggetto non è percepito come opera d’arte”2 . (John Dewey) Il fatto è che le due facce, pur diverse, sono strettamente legate fra loro, e nella percezione di quella visibile è presente in certo modo anche la sua contropartita. Infatti il lato nascosto imprime i propri solchi più profondi sulla moneta in modo così forte da renderli visibili anche sulla faccia opposta, non più in cavo, bensì in rilievo, rovesciando così il vuoto in pienezza. Proprio qui prende vita l’esperienza estetica del fruitore che per l’appunto ripercorre in filigrana l’esperienza estetica dell’artista, ma senza conoscerne il trauma. Il solco non è più un baratro ma motivo per l’articolarsi del percorso tutt’altro che rettilineo tipico di ogni esperienza estetica. La ferita è già diventata una stigmate. Anche il fruitore partecipa quindi all’esperienza dell’artista ma il trauma è già risolto, lo strappo ricucito. La visione larga e sintetica dell’artista rivive in quella del fruitore. Tutto ciò che succede attorno, dolore incluso, e forse dolore innanzitutto, succede per un motivo ed ogni cosa acquista significato. L’INFERNO E IL PARADISO DELL’ARTE “Ci troviamo immersi in un’indagine che ci porta a vedere con “altri occhi”. […] Il suo scopo [dell’esperienza estetica] sarebbe di introdurre in terra uno stato paradisiaco ove si possano vivere i vari aspetti del mondo, appunto, con la massima intensità, senza la preoccupazione di economizzare energie. Potrebbe anche essere il ritrovamento del paradiso terrestre” 3 (Renato Barilli). Effettivamente la visione estetica si avvicina molto a quella del paradiso terrestre, o meglio, alla visione che si potrebbe avere del mondo, guardandolo però dal paradiso, con “altri occhi”. Uno sguardo già illuminato che nel momento in cui si posa sulle cose, le trasfigura. Ciò che visto dal basso può risultare un insieme di nodi maldestri, dall’alto si rivela il ricamo di un disegno meraviglioso. Così ogni bruttura tende al bello, ogni vuoto al pieno; la cacofonia si gira in armonia ed ogni rottura si ricompo ne in unità. Forse questo quadro si godrà pienamente solo in un’altra vita, ma già qui ed ora gli artisti ce ne offrono un anticipo e ci danno di partecipare alla loro “piccola morte”. Con loro affondiamo le radici in profondità, dove non esiste che buio; con loro le ritroviamo in alto, piantate in un sole che le nutre di luce. Renato Barilli, Corso di estetica, Il Mulino, Bologna, 1989, p . 39 John Dewey, Art as Experience, Minton, Balch & Co., New York, 1934, tr. It. Corrado Maltese, L’Arte come esperienza, La Nuova Italia, Firenze, 1967, p. 67 3 Renato Barilli, Id., pp. 32-33 1 2 3 soffrire d’arte di Tiziana Borra e Daniele Fraccaro Tanti grandi artisti hanno dato vita alle loro opere sotto l’influsso di profonde tensioni interiori. Poeti come Leopardi, Dante, Montale, pittori come Michelangelo, Caravaggio, Van Gogh, musicisti come Mozart e Beethoven, hanno partorito i loro capolavori trovando nel tormento la leva d’ispirazione e nella sofferenza una fonte di luce creativa. 4 CARAVAGGIO è il pittore dei poveri, delle gente semplice, degli emarginati, ma è anche il primo “pittore Maledetto”, per la sensibilità e il temperamento fuori dal comune. Nel 1606 uccide un amico. Da questo momento fino alla morte, in fuga di città in città, matura una profonda presa di coscienza sulla tragica condizione di miseria dell’uomo. Le sue ultime opere, come specchi fedeli, si scuriscono fortemente, mentre la desolazione della composizione restituisce un doloroso diario interiore. Nella “Decollazione del Battista” l’illuminazione radente stacca dello sfondo i personaggi isolandoli e negando loro ogni comunicazione proprio nel momento della tragedia. La tavolozza si riduce ai bruni, ai bianchi e al rosso del sangue. È l’unica tela autografa. La firma prende forma a terra, rossa e vivida fra i rivoli di sangue, quasi ad attestare la partecipazione a quella tragedia che si attualizza nei suoi ultimi, cupi anni di vita. “Il sonno della ragione genera mostri”. L’arte di FRANCISCO GOYA mette in scena le allucinanti visioni di un’umanità sempre in bilico tra la ragione e la follia, eros e thanatos. L’uomo presentato nel suo aspetto più bestiale e corrotto, attesta l’insofferenza verso le follie della guerra e della società. La sordità progressiva spinge Goya ad isolarsi e a fuggire da quella realtà che pare impazzita. Chiuso nella propria casa, lontano dalla città di Madrid, tiene gli occhi fissi sul proprio mondo interiore ma vi riscopre gli stessi mostri che abitano l’esterno; la ragione è ormai sopita e la sua fantasia sofferente riversa sulle pareti della “Quinta del sordo” oscure presenze, creature che personificano il male. Il “nero” di quelle pittura diventa il lucido riflesso di una lancinante realtà. “Sono campi estesi di grano sotto cieli agitati, e non avevo bisogno di uscire dalla mia condizione per esprimere tristezza e solitudine estrema”. Il “Campo di grano con volo di corvi” pare il testamento spirituale di VAN GOGH. Il ritmo vorticoso e le pennellate strappate esprimono una situazione emotiva ai limiti del collasso. Il cielo si fa scuro. Un sentiero cerca di farsi largo nel grano ma si perde inesorabilmente in quel campo che sembra una foresta in fiamme. Su quella strada battuta non si sa dove andare, né cosa cercare. La pittura è ormai la risposta che il pittore restituisce ad una realtà che si carica sempre più di tensioni laceranti e, nell’affrontarla, tale tensione prende corpo in lui: “Il pennello quasi mi casca di mano”. Dipinge per sopravvivere conoscendo l’esito della lotta. A pochi giorni dall’esecuzione del dipinto Van Gogh si spara; addosso gli viene trovata l’ultima lettera al fratello: “Per il mio lavoro io rischio la vita e la ragione vi è quasi naufragata dentro”. I gravi lutti d’infanzia e le visite ai malati per accompagnare il padre medico, portano EDVAR MUNCH ad un precoce contatto con il dolore. La perdita, l’assenza e lo smarrimento segnano la sua mente tanto profondamente da caratterizzare tutta la sua produzione artistica. Nel 1893 nasce “Il grido”, espressione diretta dell’angoscia di vivere. “Fermandomi mi appoggiai alla balaustra, quasi morto di fatica. Sopra il fiordo nerazzurro pendevano nubi, rosse come sangue e come lingue di fuoco. I miei amici si allontanavano e, solo, tremando d’angoscia, presi coscienza del grande urlo infinito della natura. (…) Dipinsi questo quadro, dipinsi le nuvole come sangue vero. I colori stavano urlando”. La strana figura personifica l’angoscia; tutta la natura attorno sembra riecheggiare il suo grido riprendendone la forma; le linee curve sembrano suggerire il tortuoso percorso delle emozioni e della mente dell’uomo; la vertiginosa prospettiva del ponte arresta con violenza il magma di forme, colori ed emozioni. Allo spettatore è comunicata senza mediazione questa agghiacciante icona della disperazione. 5 Nel 1937 la città basca di Guernica viene bombardata dagli aerei tedeschi in appoggio all’armata franchista. Il mondo civile è sgomentato dalla crudeltà di quella strage. La celebre opera di PABLO PICASSO ne diventa il più straziante atto d’accusa. “La mia produzione non è simbolica, solo Guernica lo è”. Il toro immobile è l’immagine della brutalità; il cavallo sventrato e urlante nella mitologia spagnola raffigura il popolo; le figure sono fatte a pezzi e si muovono su un unico piano come schegge impazzite; i personaggi si affollano, si scontrano con gli animali; i corpi si dislocano in frammenti anatomici. Le grida di quelle bocche spalancate sembrano raggiungere un’altezza assordante. I colori si spengono per lasciare la scena alle sole ombre e alla luce di un lampo intermittente. Piegando la passata frammentazione cubista ai corpi spezzati di Guernica, Picasso denuncia il regime repressivo di Franco ma realizza innanzitutto un emblema, un grido contro l’assurdità e gli orrori della guerra. 6 RENÈ MAGRITTE ha 14 anni quando la madre decide di togliersi la vita in circostanze misteriose. Le impronte conducono al fiume Sambre dove il corpo annegato viene ritrovato con la testa stranamente avviluppata nella camicia da notte. Il mistero e l’assurdo saranno le note più tipiche dell’arte di Magritte. I soggetti de “Gli amanti” e “La storia centrale” hanno la testa avviluppata in una stoffa bianca. Il trauma infantile pare sublimarsi per volare sulle ali del sogno: il sogno misterioso di un viaggio simbolico e quello di un bacio sconosciuto al mondo. 1925 - L’autobus su cui viaggia FRIDA KAHLO si scontra con un tram. La colonna vertebrale le si spezza in tre punti; rotti l’osso del collo e le costole; 11 fratture alla gamba, il piede destro dislocato e schiacciato, la spalla esce di sede e una ringhiera di metallo le trapassa l’addome da parte a parte. Frida non muore e durante la convalescenza inizia a dipingere. I suoi quadri sembrano scandire e documentare un unico tormento prolungato nel tempo fatto di operazioni, tradimenti amorosi e busti ortopedici di gesso, di cuoio e di ferro. I dolori del corpo e dell’anima si dislocano in una narrazione surreale dove la sofferenza e l’intensità della vita acquistano una forza lacerante. All’inaugurazione della sua prima mostra personale Frida partecipa sdraiata sul suo grande letto a baldacchino. La sua presenza attesta l’insopprimibile forza esistenziale sviluppata nonostante il dolore, e forse proprio attraverso il dolore. Dopo gli studi di medicina, ALBERTO BURRI si arruola come ufficiale medico durante il secondo conflitto mondiale. Fatto prigioniero nel 1943, viene trasferito in un campo di concentramento in Texas. Comincia a dipingere proprio sui materiali offerti dal carcere e, una volta tornato in Italia, decide di dedicarsi completamente all’arte. Nei suoi “Sacchi” sovrapposizioni di più strati di juta, lacerazioni e strappi evidenti suggeriscono gli incidenti di una storia vissuta. Sono il residuo materiale di azioni umane ora spente, di sforzi, lavori umili, miserie e dolori. Burri conosce da vicino i segni che il secondo conflitto mondiale infligge ai corpi e alle coscienze. I suoi strappi rievocano ferite profondissime mentre le cuciture, nell’unire i lembi separati, mostrano l’incancellabile lacerazione della storia. 7 “Quando ebbi il mio primo televisore smisi di farmi un problema dell’avere o meno relazioni profonde con gli altri. Ne ero stato ferito tanto profondamente quanto lo si può essere solo allorché una cosa sta tanto a cuore. (…) Iniziai una relazione intima con la mia televisione, relazione che continuo tutt’oggi, tant’è vero che vado a letto addirittura con quattro TV alla volta. Ma non presi moglie che nel 1964, quando ebbi il mio primo registratore. È lui mia moglie. Io e il mio registratore siamo sposati da dieci anni ormai. (…) Il possesso del registratore pose veramente fine a qualsiasi forma di vita emotiva ch’io possa aver avuto.” (Andy Warhol) Nelle opere di ANDY WARHOL le immagini vengono moltiplicate, proprio com’è tipico della stampa sui rotocalchi, delle pubblicità in TV o delle notizie alla radio. La riproduzione in serie banalizza ogni aspetto della vita. Proprio perché troppo insistiti, anche gli schianti automobilistici, i suicidi o la sedia elettrica vengono privati del loro effetto scioccante e traumatico. Svuotati di ogni emotività anche i soggetti più drammatici diventano innocue e frettolose immagini che come fotogrammi scivolano nell’indifferenza per cedere subito il posto ad altre immagini. È questo il filtro anestetico che Warhol riserva a cose, persone ed eventi, per spogliarli di ogni effetto emotivo e allontanare così ogni possibilità di ulteriore dolore. Tra il ‘63 e il ‘65 EMILIO VEDOVA risiede a Berlino dove viene a contatto con la profonda spaccatura della Germania, consolidata nel ‘61 con la costruzione del muro che separa fra est e ovest tutta la città e tutto lo stato. L’artista vede il confine trasformarsi in una trappola mortale. I soldati sparano su tutti quelli che cercano di attraversare la zona che, con gli anni, viene attrezzata con terrificanti macchinari assassini. Su questo scenario Vedova realizza il ciclo “Assurdo Diario di Berlino”. Pannelli in legno di forma irregolare dipinti su entrambe le facce vengono incernierati insieme. Lo spazio e lo spettatore sono aggrediti dall’incrocio dei piani scheggiati. Il gesto aspro della pennellata e il forte accostamento cromatico danno voce alla protesta politica di Vedova ed al suo rifiuto di fronte al muro di Berlino. Il ciclo diviene una delle massime espressioni dell’informale italiano. 8 Caravaggio “Decollazione del Battista” olio su tela 1608 Precipitato col suo aereo in Crimea, JOSEPH BEUYS viene trovato da un gruppo nomade di tartari che lo strappa alla morte per assideramento cospargendo il suo corpo di grasso e ricoprendolo di feltro. L’esperienza traumatica segna in modo definitivo la vita di Beuys che abbandona il suo posto di bombardiere di picchiata in favore dell’arte. Nei suoi lavori ritroviamo il feltro, il grasso e il simbolo della croce rossa, quasi a voler salvare e riportare alla vita tutte le cose e gli esseri viventi che gli stanno attorno, ripercorrendo le azioni rituali e i materiali taumaturgici che l’hanno strappato alla morte. Come uno sciamano della libertà, Beuys propone performance dalla forte valenza simbolica che coinvolgono tutto e tutti. Sostiene ed insegna che ogni uomo può essere un artista ed ogni atto quotidiano, se svolto con la forza della creatività, può diventare un atto artistico. L’arte e la vita sono in lui un’unica realtà. Francisco Goya “Saturno divora uno dei figli” 1821-1823 dipinto su muro trasportato su tela Vincent Van Gogh “Campo di grano con volo di corvi” olio su tela 1890 Edvar Munch “Il grido” olio su tela 1893 Pablo Picasso “Guernica” tempera su tela 1937 Renè Magritte “Gli amanti” olio su tela 1928 Frida Kahlo “Le due Frida” olio su tela 1939 Alberto Burri “Sacco IV” tela di sacco dipinta e rattoppata su telaio 1954 Emilio Vedova “Assurdo Diario di Berlino” tecnica mista 1964 Andy Warhol “Ambulance Disaster” serigrafia e acrilico su tela 1963 Joseph Beuys, “Infiltrazione omogenea per pianoforte a coda” tecnica mista 1966 9 Hospitalarte, ferite di luce le opere 18-25 febbraio 2006 Artemisia (Chiara Galletto) “Dall’altra parte” installazione 2006 11 Giuliana La Riccia “+ –” scultura 2006 12 Antilia Spagnuolo “non sono malata, oggi non ho bisogno di cure” video 2006 13 Daniele Fraccaro “Sangue blu” installazione con foto e flebo con liquido azzurro 2006 Si ringraziano per la collaborazione: Alberto Boffa, Davide Danzano, Beppe Enrici 14 Andrea Dotta “sincretismi” acrilico su tela 2006 15 16 Claire Morard “UNA PAGINA…” installazione 2006 El-Co “BUIO…LUCE” tecnica mista 2006 17 Elena De Filippis “il grande malato” installazione 2006 18 Francesco Gherlone “un dolore compatibile” tecnica mista 2005 19 Andrea Kraus “Errore di un emocromo” tecnica mista 2005 20 Francesco Puzzonia “Secondamano” stampa 2006 21 Gonzalo Ordonez “El tiempo, remedio infalible” stampa da digitale 35 mm 2005 22 Kevin Turco “Limite dopo” installazione 2006 23 Jair Martinez “il mio cuore è aperto” pittura a olio 2006 24 Liviana Peretto studio per “L’abbraccio” scultura vegetale 2006 25 Manuela Cosio “Attimi IN Scrigno d’oro” (particolare) scrigno, graniglia, ampolla 2006 26 Marcello Domiziano Caro “La fabbrica della guarigione” stampa a colori su plotter 2005 27 Martina Negro “attendere prego... accettazione” video 2006 28 Simone Cirillo “In caso di sovradosaggio acuto provvedere allo svuotamento” fotografia 2006 29 Antonio Vurchio “A qualcuno piace caldo” installazione 2006 30 Valentina Giarlotto “5 stelle” tecnica mista 2006 31 Lisandra Maurino “acque, dolci acque” installazione 2006 Elisa Barrera “12.30-14.00/19.00-20.30” video 2006 32 Vittorio Vicari “dolce intervento” installazione 2006 Scuola elementare “Guglielmo Marconi” di Cafasse – classi 3A/3B “Radio…grafando” lastre, pennarelli indelebili a.s. 2005/2006 33 RelAzionArti. L’arte contemporanea come esperienza di relazione e di dialogo. Il progetto è animato da artisti di diversi ambiti accomunati dall’idea che l’opera d’arte, proprio perché ricrea ciò che di più profondo c’è nell’uomo, sia un potente mezzo di comunicazione e di dialogo. Le mostre e i laboratori promossi da RelAzionArti mirano a fare dell’arte contemporanea non più un qualcosa da contemplare o da guardare a distanza, magari con un po’ di diffidenza, ma un’esperienza estetica e di vita aperta a tutti. Gli eventi vogliono così realizzare quel luogo dove poter cercare e trovare nuovi codici di lettura dell’opera e quindi del mondo. L’arte diventa esperienza di relazione attiva; di qui il nome: RelAzionArti.