La truffa del falso incidente

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La truffa del falso incidente
domenica 24 febbraio 2013
Edizione di domenica 24 febbraio 2013 - Provincia di Cagliari (Pagina 35)
CAPOTERRA. L'ipotesi: tutto organizzato per intascare duemila euro di danni
La truffa del falso incidente
Raggiro all'assicurazione, accuse a un avvocato
Nel processo, una condanna e un'assoluzione. Poi il rinvio degli atti in Procura e
l'accusa al legale di calunnia nei confronti di una collega e di un imputato.
Quasi otto anni dopo la compilazione del Cid si scopre la verità: il tamponamento tra
lo scooterone e l'auto non era mai avvenuto. Era stato un tentativo di truffa alla
società assicuratrice, che avrebbe dovuto pagare circa 2 mila euro di danni: un
imbroglio che ha messo nei guai i due conducenti, la proprietaria di uno dei veicoli,
un carrozziere e anche un avvocato. La prima parte di questa storia si è conclusa nei
giorni scorsi in Tribunale con la condanna a 4 mesi di reclusione per Roberto Massa
(41 anni, di Quartu: era sullo scooterone), l'assoluzione di Giuseppe Calandretti (38,
di Capoterra: guidava l'auto) e il rinvio degli atti in Procura per approfondire il ruolo
di Ignazia Micalizzi (proprietaria del motociclo), Cristian Ronzi (il carrozziere che
aveva valutato i danni) e il legale cagliaritano Antonio Castello: secondo il giudice
Giovanna Deriu sarebbero tutti coinvolti nel raggiro. L'inchiesta nei loro confronti è
nelle mani del pm Giangiacomo Pilia.
IL PROCESSO Per capire cosa sia accaduto si deve tornare al 27 maggio 2005,
giorno in cui in via Dante a Cagliari la Honda della Micalizzi (guidata da Massa)
tampona la Punto di Calandretti. L'8 luglio la “Cattolica” assicurazioni riceve una
lettera firmata da un'avvocatessa dello studio Castello con la quale Calandretti
chiede il risarcimento quale proprietario e conducente della Fiat (spiega di essere
stato “toccato” mentre era fermo al semaforo). Nel Cid firmato da lui e Massa si
parla di 2.082 euro, ma i controlli del perito fanno emergere l'incompatibilità dei
danni tra i veicoli col tipo di incidente di cui si discute: l'auto è sfondato, la moto no.
Parte una denuncia che sfocia in un processo per tentata truffa: i due, è l'ipotesi del
pm, si sono messi d'accordo per raggirare la società (parte civile col legale Rodolfo
Meloni) e intascare i soldi. Ma durante la causa Calandretti si presenta in Tribunale e
giura di non sapere nulla e che la firma nel Cid non è sua. Il suo avvocato chiede che
un perito controlli il tipo di scrittura e anche Massa mette in discussione la sua sigla.
Il processo va avanti, poi la sorpresa: il 2 dicembre 2011 arriva una lettera in cui il
carrozziere Cristian Ronzi dice di aver fatto da solo. Non c'era stato alcun incidente, il
Cid l'aveva compilato lui: conosceva Massa e Calandretti per aver riparato altre volte
le loro auto e aveva i loro dati.
L'AVVOCATO Il giudice, letta la missiva, convoca il carrozziere e l'avvocatessa che
aveva firmato la richiesta di risarcimento per conto di Massa. La donna spiega che
Castello le aveva chiesto di sostituirlo per un'incompatibilità non meglio precisata:
l'aveva fatto e poi si era disinteressata della vicenda (ma Castello in udienza ha
negato e scaricato tutto sulla collega). Il carrozziere invece, interrogato dal pm
Enrico Puddu, non sa spiegare come abbia potuto compilare una confessione condita
da termini tanto tecnici e riferimenti al numero di procedimento penale e articoli del
codice. Il Tribunale arriva a una conclusione: non l'ha preparata lui ma qualcuno più
esperto. Magari un avvocato. Intanto la perizia disposta tempo prima accerta che il
Cid era stato firmato proprio da Ronzi. Ma quest'ultimo come aveva ottenuto i dati di
Massa, che nell'incidente guidava la moto della Micalizzi? Questo il motivo, secondo
le accuse: l'uomo collaborava con la società della donna e usava quel mezzo, e Ronzi
l'aveva potuto sapere solo da Massa.
IN PROCURA Da qui la sentenza: Massa ha partecipato all'imbroglio (condannato)
e Calandretti no (assolto), ma nel raggiro secondo il giudice erano coinvolti anche
Castello (accusato di calunnia nei confronti della collega e di Calandretti), la Micalizzi
e Ronzi (truffa). Di loro tre adesso si occupa la Procura.
An. M.