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FABRIZIO NATALINI
ENNIO FLAIANO, IL VIAGGIATORE SCONTENTO
Nell’ultima edizione del Festival della Letteratura di Viaggio (Roma
25-28 settembre 2014), organizzato dalla Società Geografica Italiana nel
Palazzetto Mattei e nei giardini di Villa Celimontana, mi sono trovato,
con molti altri, ad assistere a Moraviana, un interessante dibattito su Alberto Moravia scrittore, viaggiatore, reporter. Hanno portato le loro testimonianze Paolo Di Paolo, Lorenzo Pavolini e Nour Melehi, del Fondo Alberto Moravia. Durante l’incontro sono stati proiettati alcuni brani
di una preziosa intervista a Dacia Maraini, a lungo compagna del percorso esistenziale dello scrittore. Ascoltando le parole dei diversi ospiti, e
specialmente riflettendo su quanto raccontava la Maraini sul profondo
valore del rapporto di suo marito col viaggiare, l’esplorazione e la scoperta intesi quali esperienze di vita, mi sono venuti alla mente altri grandi
letterati della metà del nostro Novecento, in ispecie fra quelli più attratti
dalle Arti della visione, che, analogamente, hanno fatto di questo esercizio uno strumento di apprendimento e di didattica di vita: Mario Soldati,
Pier Paolo Pasolini, Ercole Patti, uomini di cultura di cui tutti oggi ricordano i Grand Tour del globo terracqueo, ampiamente riportati nei loro
opere, articoli, libri, trasmissioni televisive, film.1
Fra questi nomi di “Uomini illustri”, conosciuti e studiati con grande
ardore, manca, come sovente capita, quello di Ennio Flaiano, di cui ben
pochi, oggi, ricordano eventuali viaggi, sia perché è lui per primo a essere
stato dimenticato, a oltre quarant’anni dalla sua scomparsa, sia perché di
questo suo aspetto ci si è in realtà occupati ben poco. Eppure…
Eppure Flaiano adorava viaggiare. Lo ha fatto e molto, sia per curiosità, sia per fuggire dal peso della sua vita.
È vero, Pasolini è stato in Africa e in India, da Le mura di Sana’a a Le
mille e una notte; come è a tutti noto che Soldati ha intrattenuto, e a un
tempo acculturato, l’Italia televisiva tutta prima col suo Viaggio lungo la
1 Per tacere di Corrado Alvaro, Vincenzo Cardarelli, Curzio Malaparte e i tanti altri
grandi viaggiatori della nostra cultura, a tutti noti.
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valle del Po alla ricerca dei cibi genuini e quindi ha percorso a ritroso il tragitto
compiuto da Garibaldi e i Mille: da Marsala a Quarto, per raccontare,
sempre dal piccolo schermo, Chi legge? Viaggio lungo le rive del Tirreno. In
precedenza, inoltre, aveva vissuto in America, primo amore e in seguito visitato la Russia, come ha ricordato nel suo Viaggio breve nel paese del tempo
lungo (Soldati, 1968, pp. 183-312). Di Patti si sa che era stato inviato speciale per diverse testate2 e che, dai dieci anni di vagabondaggio in cui
aveva visitato «la Russia, la Turchia, la Polonia, la Cina, l’Egitto e tutti i
paesi europei» (Patti, 1972, p. 57), avrebbe poi tratto, Le ragazze di Tokio (Viaggio da Tokio a Bombay), pubblicato da Ceschina nel 1934 e
poi riedito col titolo Un lungo viaggio lontano (Milano, Bompiani,
1975).
Individui curiosi, affamati di novità, di notizie, di culture, di saperi.
Ma quanto ha viaggiato il fuggiasco Flaiano? Cosa ha visto Flaiano,
ingordo delle vite altrui?
È noto che l’abruzzese ha raccontato la “sua Africa”,3 l’epoca delle
inutili conquiste del «posto al sole» mussoliniano, in Aethiopia. Appunti per
una canzonetta 1935-1936, e in Tempo di uccidere, il suo unico romanzo con
cui ha vinto il primo Premio Strega. Inoltre, fino agli anni Sessanta, nelle
dense pagine dei suoi molti taccuini, ha annotato le esperienze e gli incontri fatti a Parigi, Amsterdam, Zurigo, Madrid. La scusa, il motivo che
adduceva per allontanarsi dal peso dell’amata e faticosa famiglia,4 era
2 La sua attività giornalistica, iniziata giovanissimo su varie testate, registra una svolta decisiva quando viene inviato da «Il Tevere» in India. «I resoconti del mio servizio
vennero presi anche dal Resto del Carlino di Missiroli e dalla Gazzetta del Popolo di Amicucci; gli articoli uscivano nello stesso giorno sui tre giornali. Ultimato il servizio passai
alla Gazzetta del Popolo che mi inviò in Giappone» (Patti, 1972, p. 56).
3 «Nell’inverno del ‘46, trovandomi solo a Milano, ho scritto il mio primo e unico
romanzo. Era la “mia Africa” adattata ai miei panni, un apologo: Tempo di uccidere. Il libro vinse un Premio, la critica lo accolse bene, male, tiepidamente. Un critico scrisse
che mi aspettava alla seconda prova. Sta ancora aspettando. Un altro che ero troppo
“leggibile”. La vecchia Italia dei capitoletti e della “pagina” mi respingeva» (Antologia del
Campiello 1970, 1970, p. 18).
4 Flaiano nel 1940 sposò Rosetta Rota, che si era laureata nel 1933, in matematica
pura, e, l’anno seguente, in fisica, con una tesi sulle applicazioni del calcolo delle probabilità. Due lauree molto brillanti, che l’avevano fatta accogliere con entusiasmo fra i “fisici di via Panisperna”: Enrico Fermi, Bruno Pontecorvo, Franco Rasetti, Emilio Segré.
Dal matrimonio nacque la piccola Luisa detta Lelé, una bimba con un destino infelice
(era cerebrolesa) e a lei Rosetta si dedicò completamente, trascurando tutto il resto, e
dunque anche il marito. Flaiano, attaccatissimo alla figlia, forse avrebbe voluto più at-
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sempre il lavoro, i film che doveva scrivere, gli articoli. E così facendo
conosceva Paulhan, Queneau, Cocteau, Erika Mann. Si sa che è stato un
viaggiatore contradditorio, che, trentenne, di passaggio per la natia
Pescara per vedere il detestato5 padre, ormai vedovo e prossimo a
morire, scriveva «a una certa età è difficile tornare […] nel paese natale»
(Flaiano, 1988, p. 441). Viceversa, nella maturità, tornava spesso col ricordo al suo Abruzzo, di cui scriveva con malinconia e affetto,6 ai suoi
vent’anni, che definiva «una giovinezza mortificata» (ora in Bertelli e De
Santi a cura, 1986, p. 34) e alla sua infanzia, che così ricordava, parlando
della famiglia:
A cinque anni mi hanno mandato a studiare a Roma; non è che
mancassero le scuole, ma la verità è che mio padre voleva togliersi
dai piedi suo figlio… No, non perché fossi turbolento, ma il fatto
è che in casa c’era una situazione critica, si era separato dalla moglie, lasciamo stare. Ho vissuto una infanzia piena di esilii: mi
mandarono a studiare nelle Marche, a Camerino, a Fermo, a Senigallia, poi a Chieti, a Brescia, a Roma, nel collegio nazionale. Io ho
fatto una esperienza durissima, come collegiale, una esperienza dichensiana, alla David Copperfield, che ha lasciato tracce molto
profonde nella mia psicologia (Ricciuti, 1972).
La psicologia di un uomo che, bambino, sapeva fare un telegramma,7
visti i diversi luoghi in cui venne “sbattuto” - come un pacco - dalla sua
infelice famiglia, ramingo di casa in casa, di balia in balia.
tenzione dalla moglie, ma non l’ebbe, e dunque divenne un po’ assente, cercando altre
distrazioni, sia pure passeggere. La coppia rimase però unita, e non soltanto in superficie. Rosetta insegnava, lui inseguiva il suo destino in giro per il mondo.
5 Le contraddizioni del carattere di Flaiano sono ribadite dal suo essere stato, fra i
nove figli, l’unico presente al funerale del padre, pur criticandolo aspramente, poiché gli
imputava le sue sofferenze e quelle della madre, più volte tradita e abbandonata dal marito.
6 Cfr. la lettera inviata nel dicembre del 1971 a Pasquale Scarpitti, che gli aveva proposto di partecipare a un volume di testimonianze sull’Abruzzo (ora in Rüesch e Longoni, a cura, 1995, pp. 406-408).
7 Nei suoi ricordi Flaiano fa un po’ di confusione di date. A Roma fu mandato a
dodici anni, facendo il viaggio su un treno stracarico di Camice nere - era la notte fra il
26 e il 27 ottobre del 1922, stava iniziando la Marcia su Roma - come ricorda nel suo
ultimo articolo, La mia marcia, pubblicato sul «Corriere della Sera», il 5 novembre 1972.
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Nei fatti, Flaiano adulto si mostra un viaggiatore polemico e curioso,
ironico e sarcastico, che nelle sue pagine scrive aforismi come «ci sono
molti modi di arrivare, il migliore è di non partire» (Flaiano, 2002, p. 139)
e «per la verità, non amo molto viaggiare. Tutti i miei viaggi li ho affrontati malvolentieri, la realtà dei nuovi paesi equivale a quella dei vecchi. Le
città mai viste, arrivandoci, mi preoccupano anzi come vere e proprie
persone che bisogna prima conoscere attentamente se non si vuol correre il rischio di legarsi con un’amicizia inutile e pericolosa» (Flaiano, 1956,
p. 9).
Ma oltre a queste boutade, su «Il Corriere della Sera» del 23 ottobre
1960 troviamo Il viaggiatore scontento. Di cosa è scontento, il viaggiatore
Flaiano? Di
un brutto campanile, senza fede, che non riesce a nascondere il
suo traliccio da trampolino. È il campanile moderno; così lo immaginano gli ingegneri e, una volta messo su, resta freddo come
nel progetto, estraneo all’ambiente, con l’aria proterva delle cose
stupide. […] appartiene a un’altra chiesa, che stanno costruendo a
ridosso della prima. È una chiesa enorme, neomoderna, ispirata...
a che cosa? Al supermercato, al cinematografo, al serbatoio idrico?
Un pó a tutto questo: e con in più il ricordo di una torta nuziale.
Ahimè, nelle cattedrali gotiche l’uomo esprimeva un tentativo
d’elevazione, nelle chiese d’oggi si sente che i suoi pensieri sono
rivolti altrove, alle fabbriche del nostro tempo - del resto, eccellenti - alle raffinerie, alle pompe della benzina, ai mobili svedesi e alle
applicazioni delle materie plastiche. La pietra è un alibi, un pietoso
rivestimento che non fa pensare agli etruschi, o ai maestri comacini, o ai gloriosi tagliatori del barocco, ma solo alla carta da parati.
Si riveste tutto di pietra perché si capisca che l’edificio vuol essere
un monumento, affinché la pietra ispiri pensieri solenni, o comunque un’idea del costo. Ma dietro c’è il vuoto, l’orrido vuoto
degli hangars.
La ricostruzione reale dei tempi, il brano in cui parla di fare un telegramma, è sempre
del 1970, ma la sostanza, fatta di transiti e solitudine, non cambia: «A cinque anni fui
mandato nelle Marche, a Camerino, presso una famiglia amica, che si sarebbe presa cura
di me. Vi restai due anni. A sette anni sapevo fare un telegramma. Ho fatto poi anni di
pensionato e di collegio in altre città, a Fermo, Chieti, Sinigallia, persino Brescia, nel
1922» (Antologia del Campiello 1970, 1970, p. 18).
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Alla domanda «Lei viaggia per studio? No? Diciamo allora, per diporto?», chiarisce ulteriormente il suo pensiero:
«Nemmeno. Sono soltanto un pessimo viaggiatore» rispondo.
«Questo campanile basterà a guastarmi la giornata e, domani, che
cosa mi aspetta altrove? Mi addolorano i danni che vedo compiere
nei paesi dove passo. E dappertutto stanno facendo danni. Dovrei
imparare la lezione di certi scrittori entusiasti che trovano tutto
bello e giustificano col proseguire della vita gli orrori che si commettono in ogni città, ma non ci riesco. Sono un viaggiatore scontento».
E pensare che questi erano anni felici, o non molto infelici, per lo
scrittore.
Superato il 1960, la figlia ha una grave crisi epilettica, mentre si matura
il divorzio con Fellini, un vero strappo doloroso: i suoi viaggi, le sue fughe, divengono più avventurosi. Visita Beirut, Bombay, Bangkok e Hong
Kong. La scusa è sempre il lavoro.
In seguito, viene il famoso volo interrotto, per ritirare l’Oscar di 8 ½.
Flaiano non arriva a Hollywood, scende dall’aereo nello scalo di New
York. Durante l’imprevista visita alla metropoli, una «suite di variazioni
su un tema di Pitagora», un luogo dove, a un uomo «è possibile condurre
il genere di vita che si vuole, e nessuno glielo vieta e nessuno glielo rimprovera» (Flaiano, 1990, p. 662), conosce, «nella redazione di «Vogue»,
una donna italiana con la quale inizia un’intensa relazione» (Flaiano,
1998, p. LIX), il cui fallimento racconta poi nel Melampo.
Vita e scrittura, scrittura e vita.
E continue scuse da accampare, quasi a volersi giustificare di tutto,
con tutti. L’abruzzese scrive, per «America Vogue», un articolo che viene
pubblicato il primo novembre 1964: In New York – «a man must behave like
the bull in the arena…» (ora in Flaiano, 1998, pp. 662-665). Il testo di
Flaiano è preceduto da una nota di Despina Messinesi, la traduttrice:
«Ennio Flaiano, Italian author of the brilliant films La Dolce Vita and 8
½, wrote, especially for “Vogue”, his impression of New York on his recent first trip there to work on a new film, The Passionate Tourist, largely
about New York».
Flaiano, a New York “suo malgrado”, inventa, per i redattori di «America Vogue», un film che non esiste, racconta una futile bugia per giu129
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stificare la sua presenza in città, creando un titolo, in un americano approssimativo, che riporta al turismo e alle passioni e quindi al viaggio.
In America, alla ricerca di una nuova opportunità, torna più volte e
successivamente si reca in Israele, raccontando il suo soggiorno sulle pagine de «L’Europeo».
Ma, tornando al dibattito tenuto nella Società Geografica, mi preme di
scrivere del suo ultimo, dimenticato viaggio.
Nel 1971, dopo un infarto, l’abbandono del mondo del cinema, quasi
un’abiura, la definitiva uscita dalla casa familiare e l’enorme delusione de
La cagna – un soggetto autobiografico, in cui traspone la storia d’amore
americana, l’ultima chance, che s’intestardisce a voler dirigere, fallendo nel
suo sogno – Flaiano è un malinconico sessantenne che vive in un residence
un pò triste, ricco solo della sua solitudine, gravido di delusioni e di ispirazioni sbagliate.8 Ma è il suo carattere la sua ricchezza, mentre la sua capacità di ricominciare da capo, di reinventarsi, è la sua più grande dote. E
allora Flaiano si getta nell’avventura di Oceano Canada. Di cosa si tratta?
Di un interessante e singolare documentario televisivo Rai. Da uomo
timido e riservato, lontano dalle luci della ribalta, nonostante la notorietà
nel mondo culturale le sue apparizioni sul piccolo schermo sono decisamente scarse: poche, episodiche interviste, spesso del vecchio amico Carlo Mazzarella,9 mentre si ricordano solo tre sue collaborazioni televisive
come autore. Nei primi mesi del 1966 Flaiano partecipa alla scrittura dello spettacolo televisivo Carta bianca10 con Anna Proclemer per la regia di
Romolo Siena, su testi di Enrico Vaime, e nell’ottobre del 1971 cura, assieme a Corrado Angelucci, le prime quattro puntate della trasmissione
televisiva Come ridevano gli italiani, per la regia dello stesso Angelucci, dedicate ad alcuni grandi comici del cinema muto: Polidor, Cretinetti, Tontolini, Cocciutelli, Robinet.11 La terza collaborazione di Flaiano è appunIl titolo profetico della sua prima recensione è Le ispirazioni sbagliate. Pubblicata nel
gennaio del 1939 su «Cinema». Cfr. Sergiacomo, 1996, p. 14.
9 Mazzarella fu compagno di avventura dello scrittore già nell’immediato dopoguerra, fin dai tempi della messa in scena, nel Teatro Arlecchino, della prima commedia di
Flaiano, La guerra spiegata ai poveri. In La Roma di Carlo Mazzarella, una trasmissione Rai
del 1980 di Natalia De Stefano, il giornalista, ricordando Flaiano, lo definisce «un fratello maggiore».
10 Carta bianca era stato già il nome di una rubrica che Flaiano aveva tenuto sul
giornale «Risorgimento liberale», nella metà degli anni Quaranta.
11 Di queste trasmissioni non vi è più traccia negli archivi Rai. La leggenda af8
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to Oceano Canada, un documentario realizzato dal regista Andrea Andermann nel 1971 e trasmesso per la prima volta nel gennaio del 1973, a due
mesi dalla morte di Flaiano, avvenuta il 20 novembre 1972.
I titoli di testa, che scorrono sotto la voce malinconica, arrochita e
metallica, del canadese Leonard Cohen, recitano: «Oceano Canada //
taccuino di viaggio di Ennio Flaiano Andrea Andermann // regia di Andrea Andermann». Questo lungo reportage trasmesso in cinque puntate sul
canale Nazionale, il martedì in seconda serata, è stato l’esordio registico
di Andermann, che, in seguito, molto e bene ha operato sulla nostra scena culturale, da La Notte della Musica nel solstizio d’estate, in mondovisione
da trentatré paesi nei cinque continenti, alla Tosca nei luoghi e nelle ore di Tosca, ripreso nei tempi e nei reali siti dell’opera di Puccini, solo per citare
due titoli della sua vasta produzione.
Oceano Canada rimane nella memoria per lo sguardo antropologico e
documentarista dei suoi autori – Flaiano e Andermann – nonché per la
vivace curiosità del maturo Flaiano, che, fra tradizioni e centri tecnologici, fra eschimesi e immigrati italiani, si perde in quest’affascinante e sterminato territorio. Il viaggio attraverso il Canada diviene, anche e soprattutto, un viaggio attraverso la diversità, alla scoperta di una nazione. Le
intenzioni degli autori le chiarisce, già nelle prime sequenze, la voce narrante di Flaiano:
Ci siamo proposti di percorrere il Canada, senza sperare di conoscerlo tutto. L’immensità di questa terra dà le vertigini. Appunto
perciò abbiamo chiamato il nostro viaggio “Oceano Canada”; il
Canada ci è subito apparso un grande oceano dove approderemo
a qualche isola, alla ricerca di vecchi amici e di nuove persone, di
grandi città e di terre sperdute. Il nostro sarà dunque un taccuino
di viaggio, casuale e nemmeno ordinato. Tutto sarà alla giornata.
Quello che ci interessa maggiormente è il rapporto uomo-natura,
in un paese grande trentaquattro volte l’Italia e con poco più di un
terzo dei suoi abitanti, ventuno milioni. Un paese dove, fuori delle
grandi città, la solitudine può essere la condizione normale, la
chiave dell’esistenza» (Flaiano, 1998, p. 1164).
ferma che i nastri dove erano state registrate siano stati riutilizzati nel momento in cui
l’azienda modificò i sistemi di catalogazione delle riprese televisive.
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Ma oltre alla curiosità c’è l’ironia dell’abruzzese, quella che lo conduce
nelle Università e nelle biblioteche canadesi, nelle città fantasma e nei
cimiteri fino a concludere il suo viaggio alle Cascate del Niagara, reduce
della delusione di una mancata intervista al “guru” per antonomasia della
comunicazione di quegli anni, il filosofo canadese Marshall McLuhan.
Fig. 1 – I titoli di testa del film
Fonte: Oceano Canada
Di Oceano Canada si conservano varie stesure cartacee, la più completa
delle quali è stata pubblicata nel 1980 in Un giorno a Bombay e ripresa, cassando le revisioni del regista Andermann, nelle Opere. Scritti postumi
(Flaiano, 1998, pp. 1161-1189).
Nel testo ritroviamo, redatte in inglese dallo stesso Flaiano, le domande che avrebbero voluto porre a McLuhan:
Professor McLuhan, rightly or wrongly you are the most quoted
philosopher of our time. Everybody knows of your axiom: the
medium is the message – on which you based your theories on
communication. 1°) May I ask you if, in a confused world like
ours, your axiom may be explained by saying that we must read,
not the letter but the mailman? In other words, the only medium
that contains its own message are the Niagara Falls? 2°) Now,
speaking seriously, have you any suggestions on how nations can
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be taught to communicate with each other more effectively and to
understand each other better? (Flaiano, 1998, p. 1347).
Il “gioco” ambiguo fra lettera e postino era già in Analogica un articolo
del Taccuino notturno di Flaiano, pubblicato sul «Corriere della Sera» del
primo marzo 1969: «Il medium è il messaggio. Se abbiamo ben capito.
Professore, è inutile aprire le lettere, è il postino che dobbiamo leggere»
(Flaiano, 1998, p. 677). Ma Flaiano e il suo coautore continuano a “giocare” e infatti nella pagina seguente degli stessi appunti, si legge:
II Professor McLuhan si dice disposto a rispondere alle due domande. Non può concedere però che cinque minuti lordi di tempo, cioè nemmeno il tempo che occorre ai tecnici della troupe di
piazzare le macchine, regolare le luci e il suono: cinque minuti della sua presenza. A parte che chiede una somma che ci è parsa eccessiva. È evidente che non ci sarà possibilità di comunicare con
lui. E allora, con questa sconfitta, eccoci alla fine del nostro viaggio. Gli appunti su McLuhan non servono più, tanto vale farne
una barchetta. Che almeno questo messaggio raggiunga il suo
mezzo (Flaiano, 1998, p. 1347).
Fig. 2 – Flaiano fa una barchetta con il foglio delle domande per McLuhan
Fonte: Oceano Canada
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Il testo di Oceano Canada finisce così:
Ed eccoci alla fine del nostro viaggio. È la sera del 26 settembre,
sulla terrazza dello Château Frontenac, proprio da dove abbiamo
cominciato, a Quebec. Una volta il poeta Ungaretti, dopo una gita
in campagna, disse: “Che abbiamo visto? Un cavallo, una formica,
una nuvola...”. Che cosa possiamo aggiungere noi? Che abbiamo
visto? Qualche vecchio amico, Wallace, Johnny, i Gourd, Gaston
Miron, qualche nuovo amico, un indiano alla ricerca della sua patria, degli italiani che hanno trovato qui una nuova patria, abbiamo
visto molte nuvole, un paesaggio inestinguibile, delle città, una
piccola esquimese...
Ah, dimenticavo... ieri... Quanto tempo ci vuole per fare una barchetta con gli appunti che restano e che ormai sono inutilizzabili.
Appunti su persone, su cose viste appena di sfuggita, e che meritavano di essere riprese, forse.
Non ci resta che affidare questo messaggio incompleto al più
grande medium del Canada, anzi al solo medium del Canada che
contiene il suo proprio messaggio, le cascate del Niagara.
Niagara. Gli irochesi lo chiamavano Niio-Akare, che vuol dire
Tuono Divino. Ogni secondo rovescia sei milioni e centottantamila litri d’acqua. Lo si può guardare per ore, affascinati, leggermente
increduli, e come succede a molti, tentati di buttarcisi dentro... Qui
comincia e finisce l’Oceano Canada, in questo spettacolo interminabile, e qui si perdono i nostri appunti, nel tentativo di capire un
paese altrettanto interminabile e affascinante (Flaiano, 1998, p.
1189).
Il documentario si conclude con una lunga sequenza in cui si vede
Flaiano trasformare minuziosamente il foglio con le domande a lungo
pensate per l’intervista al noto studioso – che non era stata realizzata per
motivi economici – in una ingenua barchetta di carta e porla in un rigagnolo d’acqua. Mentre si sentono queste parole, la macchina da presa
indietreggiando segue la smilza barchetta, che balla sull’acqua. Nel suo
percorso il fiumiciattolo si gonfia e si trasforma, improvvisamente e in
modo stupefacente, nella magnificenza dei gorghi e dei fiotti delle imponenti cascate del Niagara, il solo medium del Canada secondo Ennio
Flaiano.
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A quel che mi consta, l’ultima occasione in cui ci si è ricordati di Oceano Canada è stata nel 2007 a Milano, durante la Rassegna Documentare la
città, in una giornata di studi su Montreal, introdotta da Luigi Bruti Liberati e Simona Bertacco. La Rai lo ha rimesso il onda nel 2010 – su RaiRewind e successivamente su RaiStoria, due reti di nicchia, con limitate platee – e nel novembre del 2013, in una serata dedicata a Flaiano di Fuori
Orario (cose mai viste), la trasmissione per i cinefili insonni di Rai3, dall’una
e trenta di notte alle sei di mattina.12
Fig. 3 – Le cascate del Niagara nel film
Fonte: Oceano Canada
12 Alcune sequenze di Oceano Canada sono ancora oggi visionabili sul sito internet
di RaiScuola.
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Dopo averlo ricordato mi auguro che, prima o poi, sia possibile rivederlo e parlarne in pubblico, magari in un prossimo Festival di Letterature
di Viaggio. Penso che ne varrebbe la pena!
BIBLIOGRAFIA
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1996.
SOLDATI M., Fuori (cronache di viaggio), Milano, Mondadori, 1968.
Ennio Flaiano, The discontented traveler. – Ennio Flaiano appears to have had
an adverse relationship with travel. In much of his work he was often
skeptical and not interested in the idea of travel, but, in contrast he was a
tireless traveler who has visited Europe, America and Asia and, towards
the end of his life, he wrote and starred in a documentary search for the
secrets of Canada. Rediscovering this person is a way to learn more
about one of the most subtle and forgotten intellectuals that Italy has
produced.
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Keywords. – Flaiano, travel, Canada
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Dipartimento di Scienze storiche,
filosofiche-sociali, dei Beni culturali e del territorio
[email protected]
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