Catalogo mostra 2008 - BCC Fano

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Catalogo mostra 2008 - BCC Fano
BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI FANO
BART Banca Arte Territorio
Mostra collettiva nelle diciassette Filiali
della Banca di Credito Cooperativo di Fano
22 dicembre 2008
15 gennaio 2009
Ideazione e coordinamento
Monica Pucillo, Alessandro Marconi
Progetto grafico
Claudio Vagnini (Conte Camillo)
Stampa
Grapho5
Ulteriori informazioni sugli artisti
possono essere richieste
presso l’Ufficio Soci della Banca di Credito
Cooperativo di Fano (Tel. 0721 851201)
© 2008 Banca di Credito Cooperativo di Fano
BART
BART BANCA ARTE TERRITORIO
L’ARTE: VALORE PER IL TERRITORIO
Un’iniziativa importante proposta per la prima volta in occasione delle festività
natalizie, che coinvolge tutte le 17 filiali.
La nostra Banca rivolge i suoi auguri proponendo un percorso d’arte che vede
protagonisti diciannove artisti, soci o clienti.
Ad ognuno è stata affidata una sede, seguendo la logica del legame con il territorio
in cui l’artista vive e opera o del legame con la filiale stessa.
Ciascun pittore, scultore o fotografo ha utilizzato lo spazio dello sportello BCC che
gli è stato assegnato come vetrina per presentarsi, scegliendo autonomamente
le opere da esporre, perseguendo allo stesso tempo l’obiettivo di integrarsi e di
valorizzare esteticamente lo spazio architettonico e di lavoro della filiale.
Abbiamo infatti la convinzione che dare visibilità alle espressioni artistiche locali,
se pur differenti per settore, età e fama, significhi allo stesso tempo dare valore
al nostro territorio.
Quest’anno quindi gli auguri della BCC di Fano diventano auguri d’arte, con l’invito a percorrere l’itinerario che si snoda tra le 17 filiali e attraversa ben 8 comuni.
Romualdo Rondina
Presidente BCC Fano
Una bella idea. Decisamente una bella idea. Coniugare l’attività bancaria della
“BCC di Fano” con l’arte è davvero fantastico. Mettere a disposizione di pittori
e scultori gli spazi disponibili nelle attuali diciassette sedi è una di quelle cose
che lascerà il segno. Diciannove artisti avranno la possibilità e quindi il privilegio di impreziosire dal 22 dicembre al 15 gennaio con le loro opere i luoghi
dove “signore e padrone” è il denaro. Trattandosi di una Banca non potrebbe
non esserlo. Si tratta però di una banca un po’ diversa. Non tutte le Banche sono
uguali. Molte, moltissime mettono al centro del loro interesse l’utile, la BCC di
Fano mette invece l’uomo. L’uomo nella sua interezza. Non per niente l’idea del
BART (Banca, Arte, Territorio) è maturata all’interno di un istituto che è, e vuole
essere con tutte le sue forze, radicato nel territorio. In BCC è passato il concetto
che non ci sono vere radici senza l’arte e senza la cultura. L’attività editoriale
della BCC di Fano era nota da tempo, oggi registriamo la sua discesa in campo anche nel dominio delle arti figurative. Una discesa in campo non priva di
azzardo visto che anche in questo settore Presidenza e Consiglio di Amministrazione si sono mossi diversamente dalle altre Banche. Istituti che abitualmente
e meritoriamente acquistano, realizzando un buon investimento, opere d’arte
il cui valore artistico è indiscutibile. La BCC di Fano ha scelto invece la strada
affascinante e perigliosa dell’arte contemporanea. Ha scelto di indagare i segni
del tempo. Del nostro tempo. Ha scelto di farlo in un modo originale realizzando
un inusitato percorso artistico all’interno delle sue filiali. Non so se è previsto
un premio per tutti coloro, e mi auguro moltissimi, che toccheranno tutte le 17
stazioni. Personalmente lo propongo perché il loro interesse sarebbe il migliore
riconoscimento per la bontà dell’idea. Prometto che sarò fra questi. Naturalmente fuori concorso. Auguri e lunga vita al neonato BART.
Alberto Berardi
FANO 3
FANO CENTRO
Viale Cairoli
Piazza XX Settembre
FANO 5
FENILE
Viale Italia
Via Girardengo
FANO 1
FANO 2
Via Veneto
S. ORSO
via Roma
Via S. Eusebio
FANO 4
Via Mattei
MONTECICCARDO
Via Roma
CUCCURANO
BELLOCCHI
Via Flaminia
Via X Strada
LUCREZIA
MAROTTA
Via della Repubblica
SAN COSTANZO
Via Litoranea
Via Piave
CALCINELLI
Piazza De’ Cavalieri
TAVERNELLE
Via Flaminia
SENIGALLIA
Via Piave
Valerio Boria
Francesco Bruscia
Luca Caimmi
Umberto De Nuzzo
Giovanni Galiardi
Sirio Gentili
Mario Giacomelli
Andrea Giomaro
Giovanni Giombetti
Fernando Guidi
Marisa Lambertini
Pier Paolo Marcaccio
Giovanni Montesi
Natale Patrizi
Mario Perillo
Giovanni Piccini
Paolo Pucci
Virginio Ridolfi
Marotta
Cuccurano
Fano 5
Tavernelle
Lucrezia
Fano 2
Senigallia
Fano 4
Fano 1
S. Orso
Fano 1
Calcinelli
Fenile
S. Costanzo
Fano Centro
Bellocchi
Fano 3
Fano Centro
Valerio Boria
Valerio Boria è nato ad
Ancona nel 1984.
Diplomato all’istuto professionale del commercio con
titolo di Tecnico della
grafica pubblicitaria, si è
poi laureato nel 2008 presso
l’Accademia di Belle Arti di
Urbino in Pittura.
Si sta specializzando in
grafica d’arte.
Le opere di Valerio Boria utilizzano e mettono insieme immagini di culto popolare
e richiami alla corrente artistica della
Pop-Art.
I lavori, sono stati concepiti tutti tra il 2007
e il 2008 e sono frutto di una ricerca basata su immagini di stampo prettamente
pubblicitario, che però acquisiscono una
nuova dimensione e un diverso valore una
volta riportate su tela. Le immagini sono
concepite inizialmente come digitali per
poi venire Dis-digitalizzate e riportate su
un supporto, utilizzando la tecnica più
classica della pittura su tela.
Viaggi e sogni
acrilico su tela
cm. 105x75
2007-2008
Francesco Bruscia
Francesco Bruscia
è nato a Fano nel 1973 dove
attualmente vive e lavora.
Nel 1991 si diploma all’Istituto Statale D’Arte “Adolfo
Apolloni” in Decorazione
Pittorica.
Approfondisce gli studi
frequentando la sezione di
pittura presso l’Accademia
di Belle Arti di Urbino.
A volte rivolgendo lo sguardo al passato ci
si rende conto quanto il senso del tempo si
contragga, come alcune cose siano assolutamente immuni ai granellini di sabbia
che passano attraverso una strettoia nel
vetro, e come alcuni valori diventino assolutamente transgenerazionali. Questo è il
caso della bellezza, che esce dalla morsa
delle mode per assurgere a valore assoluto, un valore che si trasmette di padre in
figlio, di generazione in generazione. Così
le icone che hanno segnato un’epoca,
a volte suscitando l’ira placida di mogli
rassegnate, diventano spesso oggetto di
collezionismo o protagoniste, involontariamente colpevoli, di file interminabili
ai botteghini dei cinema o causa di notti
incollate ad uno schermo televisivo.
Vite straordinarie che infiorano le pagine
patinate dei rotocalchi più o meno rosa,
segreti (ed a volte capricci) che riempiono centinaia e centinaia di pagine, intervallate dalle foto che hanno fatto storia,
rilegate in eleganti volumi titolati da caratteri scintillanti. Qui la donna proietta
il personaggio dall’intimità del focolare
nell’irrealtà dello star system. Una figura
mitica, impalpabile, un simbolo di bellezza ed eleganza che comunque conserva,
negli occhi velati dal trucco un’umanità
straordinaria.
Così Francesco Bruscia ci propone il Pantheon delle Dive di Hollywood, una serie di
ritratti al femmile dove le icone della contemporaneità sfoggiano abiti imperlati e
colori sgargianti. Una galleria di immagini che ci riporta ad un recente passato
fatto di nostalgici manifesti acquerellati,
che ancora oggi ci fanno venire i brividi.
Scatti famosi, pose che hanno fatto la
storia del costume, ricordi indelebili nella
mente degli spettatori.
Così le grandi Dive della storia del cinema si prestano, inconsapevoli, al “gioco
della vanità” dell’artista. Glitter e smalti
colorati diventano uno strumento interpretativo. Gli abiti, i capelli i gioielli tutto
si trasforma ed il bianco e nero di una
gigantografia diventa il pretesto per una
visione nuova e personale.
I fondi prendono tonalità metalliche che
passano dal freddo argento al calore dell’oro decontestualizzando le figure da ogni
riferimento di spazio o di tempo. Il bagliore
del metallo come nell’antichità bizantina
eleva le figure ad una dimensione altra,
sovrumana.
Il bianco e nero appiattisce, i piccoli particolari che caratterizzano un gioiello od
un abito si confondono e perdono delle
gradazioni dal grigio al nero. Così l’artista riporta questi particolari all’originaria bellezza. Un lavoro di cesello, che si
muove tra smalti e cristalli, ridona luce
agli orecchini, al bordo di un abito ad
una spilla nei capelli. Luce e colore danno
giustizia di ciò che originariamente era, o
avrebbe potuto essere.
In questa chiave interviene l’inventiva
dell’artista che reinterpreta alcuni abiti con ricami di inaspettata ricchezza
espressiva. Un restyling dal tocco leggero,
dove i filamenti d’oro e d’argento si intersecano con garbo adattandosi
ed integrandosi alle figure.
Stefano Verri
Marilyn
tecnica mista su stampa
cm. 100x150
2008
Luca Caimmi
Luca Caimmi è nato a Fano
nel 1978. Frequenta l’istituto d’arte a Fano e l’Accademia ad Urbino, diplomandosi in pittura. Dal 2003
affianca all’attività grafica
e pittorica quella legata
alla scultura in ceramica
collaborando con artigiani e
botteghe faentine.
Le sculture di Luca Caimmi ci trasportano dentro un micro-mondo invisibile
ai nostri occhi, popolato da piccoli esseri che vivono in strane tende simili a
quelle degi indiani e baloon dei fumetti,
baloon che popolano i prati e si muovono con le loro codine in questo mondo
fantastico. Qui i prati appaiono come
alberi e tutto da un’idea di leggerezza. Le nuvolette ci si appoggiano sopra
quasi con leggiadria.
Questi paesaggi, incastrati in delle
semisfere, vengono poi posizionati su
dei piedistalli che isolano ogni pezzo
dall’altro, ogni mondo dall’altro, così
la leggerezza rimane un dato illusorio
nell’isolamento che circonda ogni paesaggio.
La sua è un’opera narrativa, che racconta storie che ci piace ascoltare, un
approccio fumettistico alla scultura
(ma Luca è un appassionato di fumetto e si confronta anche con questa
forma espressiva), una leggerezza di
linee che evoca i sogni di un bambino
e mondi lontani, quasi un percorso letterario, un viaggio a metà tra i Viaggi
di Gulliver e le visioni di Moebius. Le
sculture in maiolica sono così il riflesso
di un universo interiore, dei sogni che
magari uno fa da bambino, sogni che
col crescere svaniscono, ma che magari restano sempre dentro noi come un
mondo segreto. Un universo che trova
voce anche attraverso il disegno che
della narrazione diventa una componente fondamentale. Ecco allora che
la storia si arricchisce di sempre nuove
scene, che interagiscono tra di loro, ma
possono anche vivere singolarmente,
una vicenda semplice e complessa che
è la misura di un percorso artistico in
continua evoluzione.
Un’arte che si muove lungo il percorso
della cultura pop, ma mantenendo un
rigore di linee e di colori. Non ci sono
eccessi né sbavature, tutto è composto
nella semisfera che contiene la scena.
Le opere di Caimmi sono basate su una
rigorosa fantasia, popolari ma molto
raffinate, sanno offrire una fascinazione immediata ma anche una riflessione
profonda sulla realtà .
Dario Ciferri
Installazione mostra Just Behind, 2008
sculture in ceramica, basi in legno, pittura murale, tela
(Le ceramiche sono state realizzate presso la bottega Gatti di Faenza)
Umberto De Nuzzo
Le sculture di De Nuzzo esercitano sul
fruitore una stimolazione che fa scattare tutti i meccanismi della sensibilità
e della reattività percettiva, per cui il
messaggio denotativo viene fortemente
amplificato dagli elementi connotativi
che lo spettatore è naturalmente portato a riversare per esso.
Luigi Valerio
[...] La sua opera, di tecnica complessa,
è realizzata con senso della scultura.
Aldo Risi
Umberto De Nuzzo è uno
scultore autodidatta.
Luogotenente CC in
pensione, vive e lavora a
Tavernelle di Serrungarina.
Aborigeno
pietra leccese
2004
Giovanni Galiardi
Sembra essere opinione di molti che
l’esperienza di vita di un artista compaia,
trasposta, in molte delle sue opere.
Alle volte, però, meno si pensa al fatto
che anche la terra che ha dato la vita
all’artista stesso entri a far parte delle
opere dello stesso artista. Ne sono un
chiaro esempio le belle opere di Giovanni Galiardi, sculture di vari materiali e
differenti tecniche. Così come diverse
sono le tematiche rappresentate, fatto
nonostante il quale è sempre, però, ben
riconoscibile la mano e la volontà.
Lo spettatore viene da principio catturato
da una serie di opere bronzee di carattere
astratto ed informale.
Proprio di questo carattere Galiardi utilizza i topoi, portando alla luce, in una
comunanza ben equilibrata, figure geometriche con tratti liberi d’azione, primitive forme appartenenti al genere umano
(la sfera, la retta, il cerchio, la ruota) e
forme libere scavate nella materia.
Proprio alla materia ed al rispetto di essa
l’artista si rivolge, perchè nel materiale,
ai suoi tempi di “reazione”, alla sua lavorazione e manipolazione, sembra essere dedicata l’opera scultorea.
In essa le immagini totemiche legate ad
un passato che si fa futuro post-moderno
non sono solo i residui delle torri marchigiane oggi ridotte a lacerti di un passato
che allunga le sue mani fino ad oggi.
Le terre marchigiane con i loro minerali
multicolori sono omaggiate in tutta la
loro essenza e la figurazione cristologica
(ispirata ad una figura umana di carattere primitivo) si sposa al topos dell’architettura moderna in modo esemplare.
Sculture che offrono un’occasione di
viaggio nell’opera e nell’artista di grande impatto emotivo.
Michele Govoni
Giovanni Galiardi è nato a
Fano nel 1967. Ha frequentato per tanti anni lo studio
dello scultore Padre Stefano
Pigini di Cartoceto. Partendo
dall’imitazione dei classici, si
è dedicato alla figura umana
deformata e alla scoperta dell’informe e dell’organico; non
solo attraverso la scultura e la
pittura, ma anche attraverso
la creazione di oggetti d’arredamento nati dalla fusione tra
scultura e design. Ha avuto
diversi incarichi sia pubblici
che privati, in particolare per
opere di arte sacra. Vive e
lavora a Cartoceto.
Impronta della mia terra
refrattario, gres
cm. 68x97
2008
Sirio Gentili
Gentili rivela una crescente maturazione
artistica, orientandosi definitivamente verso la tecnica espressiva a lui più
congeniale: spatole decise, nette, sentite, materiano le figure in un’atmosfera
fiammeggiante di colori infuocati. Lo
studio della luce si evidenzia in effetti
cromatici estasiati, che accendono le
composizioni dando animazioni e visioni contemplative in cui si respira pace e
serenità. I Temi dominanti che ispirano
l’artista - la campagna il mare, le barche, i paesaggi innevati, colti spesso nel
magico momento in cui tutto sembra tingersi di fantastici riflessi dorati - esprimono la ricerca di un equilibrio interiore
attraverso l’amore per la natura, per le
cose e le creature semplici.
Piero Grilli
Sirio Gentili è nato a Fano
nel 1935. Ma è dal 1967
che “nasce” da autodidatta
alla pittura, frequentando
lo studio del pittore Paolo
Tarcisio Generali.
Nel 1970 inizia la sua attività espositiva. Le sue opere
si trovano presso collezioni
private italiane e straniere.
Come tutti gli autodidatti, quello che più
conta in Gentili non è l’appartenenza ad
una determinata scuola o la polemica
(quasi sempre verbale e verbosa) sulle
mode e gli «ismi» contemporanei, bensì
la naturalezza (diciamo pure la vocazione) da cui si sente spinto ad usare spatola o pennello, lapis o sanguigna.
Franco Battistelli
Gentili, oltre a belle opere ad olio, realizza quelle a china: ricche di sfumature
delicate, di personaggi che si muovono e raccontano storie umane, dona
pregievole possibilità interpretativa. Il
sogno prevale in questi mondi in cui le
forme si avvolgono in veli misteriosi,
riposanti. Il Gentili, riesce a sfociare
idealmente nello spazio aperto del pensiero artistico.
Jolanda D’Annibale
Non è molto che sono tornato ad ammirare i lavori di questo pittore in continua
evoluzione e dalla tecnica sempre più
perfezionata.
Spesso i suoi lavori si tridimensionano in
rilievi costanti e soporosamente appropriati, dalle tinte forti, o impasti marcati,
ma dosati nei limiti della pura necessità
per esprimere un movimento o la staticità di una stagione o di una veduta. Le
sue nevicate sembrano ammirate direttamente dalla finestra della casa di chi
osserva il quadro.
Salvatore Marletta
Gentili nello stesso tempo va coltivando
sincere simpatie, i primi amori, per quelle espressioni venate di solitudine per
rendere le quali non usa mai la spatola
all’opposto rarefà l’olio tanto da sembrare delicatamente alitato più che soffiato:
in dicotomia il carattere di Gentili, da un
lato la forza, l’esuberanza, l’irruenza,
dall’altro la dolcezza, l’intimità, l’approccio sincero all’uomo e alle cose.
Raimondo Rossi
Figure di contadine
olio su tela
cm. 70x50
1981
© Germano Nessi
Mario Giacomelli
Per me che uso la macchina fotografica
è interessante uscire dal piano orizzontale della realtà, avere la possibilità di un
dialogo stimolante perché le immagini
abbiano un respiro irripetibile.
Riscrivere le cose cambiando il segno, la
conoscenza abituale dell’oggetto, dare
alla fotografia una pulsazione emozionale
tutta nuova.
Il linguaggio diventa traccia, necessità,
spirito dove la forma si sprigiona non dall’esterno, ma dall’interno in un processo
creativo.
Lo sfocato, il mosso, la grana, il bianco
mangiato, il nero chiuso sono come esplosione del pensiero che dà durata all’immagine, perché si spiritualizzi in armonia con
la materia, con la realtà, per documentare
l’interiorità, il dramma della vita.
Nelle mie foto vorrei che ci fosse una tensione tra luce e neri ripetuta fino a significare.
Prima di ogni scatto c’è uno scambio silenzioso tra oggetto e anima, c’è un accordo perché la realtà non esca come da
una fotocopiatrice, ma venga bloccata in
un tempo senza tempo per sviluppare all’infinito la poesia dello sguardo che è per
me forma e segno dell’inconscio.
Il linguaggio è così la coscienza espressiva interna che ha accarezzato la realtà
pur rimanendo fuori, è l’attimo originale,
testimone di una realtà tutta mia, un
prelievo fatto sotto la pelle dell’oggetto,
guidato fuori dalle regole per una libertà
che è anche allargamento alle possibilità
del reale.
Mario Giacomelli
Mario Giacomelli nasce a Senigallia (AN) nel 1925. La prematura perdita del padre lo costringe ad iniziare a lavorare come garzone in
una tipografia di cui diventerà in futuro proprietario. La “Tipografia Marchigiana” affacciata sulla piazza che, nel centro di Senigallia,
ha chiuso le sue serrande nel Dicembre del 1999.
Il 1953 segna la svolta: acquista infatti per 800 lire una macchina fotografica e il giorno di Natale sulla spiaggia di Senigallia scatta
la sua prima fotografia.
Vicino alla tipografia abita Giuseppe Cavalli che, nel 1953, fonda a Senigallia il gruppo “Misa”, di cui Giacomelli e Piergiorgio Branzi
rappresentano le “giovani speranze”. Nel 1956 lo stesso Cavalli, lo chiama a far parte insieme a Branzi de “La Bussola”, da cui uscirà
ben presto per insanabili divergenze. Del 1957-59 è la serie di immagini riprese a Scanno, la serie “Lourdes” seguita, nel 1958, da
“Zingari”, “Puglia” e “Loreto”. Del 1961 sono le immagini di “Mattatoio” e “Io non ho mani che mi accarezzino il viso”, titolo ripreso
da uno scritto di padre Turoldo. Le immagini sono scattate nel Seminario Vescovile di Senigallia, ambiente in cui i giovani seminaristi
sono ritratti in momenti di ricreazione.
Nel 1963 inizia la grande stagione di mostre che porteranno le sue immagini nei grandi spazi espositivi di tutto il mondo.
Degli anni 1964-66 sono “La buona terra”, e del 1971-73 è “Caroline Branson”, lavoro ispirato all’Antologia di Spoon River di Edgar Lee
Masters, poi “Presa di coscienza sulla natura” (1980-94), la grande serie dei paesaggi.
Su testi del poeta Permunian si fonda “Il Teatro della neve” (1985-87) seguita da “Ninna Nanna” e “A Silvia” (1987-88), lavoro pensato
in origine per un programma televisivo. Tra i lavori più recenti: “Il mare dei miei ricordi” (1991-94), “Io sono nessuno” (1994-95) su testi
di Emily Dickinson fino ad arrivare a “Questo ricordo lo vorrei raccontare” (1998-2000) e “Bando” (1998-99).
Muore il 25 novembre 2000 nella sua casa di Senigallia.
Dalla serie “Scanno”
fotografia in bianco e nero
cm. 40x30
1957-59
Andrea Giomaro
Andrea Giomare nasce a
Fossombrone nel 1974.
Nel 1996 si diploma col
massimo dei voti all’Accademia Europea Effetti
Speciali diretta da Carlo
Rambaldi. Vive a Fano.
1996 Fornitura ufficiale nazionale di effetti speciali per la catena locali ”Transilvania”
1998 Costituzione di “Logical Art srl”
con cui collabora a: effetti per il corto
RossoFango (David Donatello 2003), diversi film (Mari del sud, Blek-jek, la Vita
dei Santi), trasmissioni (Le Jene) e spot
tv (Unicef, Lines)
2003 Supervisione e produzione effetti
speciali per il film Red Riding Hood di G.
Cimini prodotto da O. Assonitis (Premio
migliori effetti speciali al Fantafestival
di Roma 2004)
2003 Premio sceneggiatura e pubblico al
festival “Joung Promises” di Miglianico
per il cortometraggio “TDC”
2004 Produzione e regia video Emerald
Sword Saga per il gruppo musicale Rhapsody Pubblicato nel cd “Dark secret”
2004 Rimusicazione e sonorizzazione del
film “Nosferatu” di Murnau (1922) in
collaborazione con Sabrina Bursi (Menzione al Rimusicazioni Film Festival)
2005 Premio migliori effetti speciali all’Alienante Film Festival per il film “Week
End” di M. Gambini per la FilmHorror
2006 Premio migliori effetti speciali al
Murgia Film Festival per il film “Glow
Game” di Enry Secchiaroli
2006 Premio migliore regia al Cotofonino
film festival per il corto “Betania 1.0”
2007 Video “Jesus” per il gruppo musicale Crownheads in collaborazione con
l’associazione Onlus “Talitha Koum Cameroun”
2007 Collaborazione con la ditta Special
Project con cui realizza diversi spot tra
i quali “nuova Lancia Ypsilon” (con S.
Gabbana), “Fiat Bravo”, “Alfa Romeo”,
“Muller”
2007 Collaborazione con la ditta Mag
S.F.X. per gli effetti della trasmissione
televisiva “Grande Fratello”
2007 Selezionato come unico italiano al
Film Poket Festival di Parigi con “Betania 1.0” proiettato al museo d’arte moderna Pompidou e al Festival Internazionale del Cinema di Pesaro
2007 Realizzazione Make-up del personaggio “La Vecia Ines” vincitrice di una
puntata del format “Balls of Steel” in
onda su Rai 2
2007 Realizzazione impianto scenografico per “Orfeo ed Euridice” di David Alagna per il Teatro Centrale di Bologna
2008 Collaborazione con la ditta Special
Project per alcuni spot tra i quali “Tiscali” (con Ezio Greggio), “Muller”, “Sky”,
“MTV”, “Mc Donald’s”, “Tele2”
2008 Premio miglior film al Cuveglio
film festival per il cortometraggio “Il
pianoforte”
2008 Regia del film “Marche : imagine
your film” per Marche Film Commission
proiettato alla 65° Mostra d’arte cinematografica di Venezia presentato da
Dante Ferretti e Neri Marcorè
Testa di caprone
realizzata per
Special Project
“Auguri Natale
MTV 2007”
Gabriele Giorgi
Gabriele Giorgi è nato a
Montegaudio (PU) nel 1953.
Dopo la laurea universitaria
si iscrive al corso di Xilografia tenuto dal professor
Sanchini presso Istituto
d’arte di Urbino.
Nel 1985 apre il primo
studio a Pesaro.
Nel 1988 si diploma presso
l’Accademia di Belle Arti di
Urbino, sezione pittura.
Dal 1997 ha il suo studio a
Monteciccardo.
[...] Chi osserva avrebbe problemi a percepire lo stile, la scrittura di questo artista
figurativo. Egli deve rispettare e sapere
che si tratta di un artista che vuole dare
movimento ai paesaggi, che fa soste, per
così dire al “borderland” perché proprio ai
confini estremi della geografia estetica si
possono fare nuove esperienze. Questo superamento dei confini, che di nuovo mutano se percorsi, poiché qui si ci sono venuti
incontro nuovi paesaggi, è divenuto proprio
il segno distintivo di questo artista.
[...] Le opere sono prodotte dai più disparati materiali, una particolare preferenza è
per la pietra e l’acciaio, per la durezza che
proviene dalla natura e per ciò che oggi è
reso solido dal fuoco ma forgiato da opera
umana. L’autore si pone antiteticamente
ma anche a file o a mucchi. Il pezzo singolo
è stato abbandonato più volte a favore di
discussioni di parti artistiche singole, che
tra loro dialogano nell’opera d’arte, si inviano palle, pongono domande reciprocamente, per essere in grado di rispondere
come “ensemble”. [...] È probabilmente
tipico che egli abbia studiato Xilografia
all’Istituto d’Arte di Urbino. Qui ha appreso una tecnica che si può continuamente
rielaborare, che si deve inventare di nuovo
se si vuole arrivare a risultati differenti.
Liberandosi dal vincolo al medium della
Xilografia è riuscito a disporre liberamente di tutti i materiali, portando però con
sé l’esperienza nelle nuove creazioni: il
materiale è partecipe della forma. Quindi
non form follows function, ma form follows
material. Ciò è valido per tutte le opere,
dagli inizi ad oggi, sin all’opera Anima,
2000, o Sone, 2001. L’artista proietta le sue
fantasie nel cosiddetto medium classico
del disegno o dell’invenzione. Costruisce
modelli che vengono successivamente rielaborati in grandi dimensioni. Nell’ultimo
stadio utilizza esperti, artigiani, poiché tale
proprio non si sente. Lui è ideatore, inventore. Può fare proposte che vengono eseguite
molto individualmente in scala ridotta, ma
devono essere realizzate da altri nella nuova monumentale dimensione. Importante è
che l’artista ponga la propria mano, quindi
corregga e determini le rifiniture e la patina.
Giorgi è quindi un artista instancabile,
mutevole, sempre alla ricerca, un curioso,
pieno di idee, e continuamente fa registrare nuove sfide. Teso tra serietà ed ironia,
tra la fermezza del materiale e superamento del materiale, tra la precisione di
uno spazio e dissoluzione del medesimo.
Il freddo ed il caldo, il cielo come l’acqua,
la terra e la natura sono tutti elementi che
giocano un ruolo. Alessandro Pitré parla di
segni di forza. [...]
Questa non è serietà per proprio volere,
bensì riflessione che parafrasando Hermann Hesse l’artista è un homo ludens par
excellenz, che ha il compito, da Dio assegnatogli, di variare nuovamente e di continuo. I risultati sono interessanti soprattutto
laddove aumenta il grado di astrazione e si
avvicina il carattere d’incontro dei numeri.
Giorgi conosce questo gioco delle perle di
vetro. Stabilisce le sue regole per trovare
la propria libertà, per garantire con essa la
libertà dell’arte. Qui sono le radici della sua
volontà d’artista.
Dieter Ronte
Udeis, installazione
marmo di Carrara e rame
cm. 500x500x150
1998
Fernando Guidi
Fernando Guidi, nato a San
Costanzo, dipinge e crea
opere in ferro battutto dal
1966. Vive e lavora a Fano.
La vocazione alla pittura si manifestò
assai presto in Fernando Guidi, e sua
prima maestra fu la realtà.
Al ragazzino di S. Costanzo che usciva ai
campi con carta e matite colorate, il gargiante spettacolo della natura. Si esercitava in tutto il suo fascino: un invito alla
scoperta del mondo. Ed era vocazione insopprimibile, tanto che da circa 10 anni,
Guidi cominciò a dipingere.
La sua pittura conserva il significato
spirituale di un uomo inteso a ritrovare
in sé tutti quei valori che paiono essere
stati dissipati o addirittura degradati a
complementi non essenziali di una vita
avviata verso soluzioni esclusivamente
utilitarie.
Allora un artista di elementare formazione ma di ricchissima interiorità quale
Femando Guidi, ritrova nella pittura lo
strumento adatto a proporre la complessità del proprio essere in tele su cui appaiono figure religiose, paesaggi agresti,
vie di città. Inoltre un cenno meritano i
suoi mini quadri che fanno di un dipinto la testimonianza reale vista in quella
luce poetica che trasferisce la realtà medesima nella verità dell’immagine.
Mirella Secchiaroli
Natura morta
olio su tela
cm. 70x50
1975
Giovanni Giombetti
John Betti
La pennellata di John Betti non è solo
viva nel colore, ma è anche forte, di una
linearità marcata di taglio espressionista. Però con un’anima diversa, mediterranea, dove gli ambienti chiusi degli interni si aprono improvvisamente in ampi
panorami marini, in spiagge deserte con
alti cieli e corpose sensuali nubi bianche;
e il mare viene sempre accostato alle
donne in maniera così naturale da rendere impensabile questo senza quelle.
Ivo Gigli
Con la Sua Pittura John Betti ha dimostrato una ricerca costante che lo ha
portato a sviluppare e approfondire un
suo personale filone ‘Ironico-Fantastico’
trasfigurando la società contemporanea
e la vita quotidiana attraverso una rara
sensibilità poetica e gli smaglianti colori
della sua tavolozza.
Giovanni Tesoriere
John Betti (Giovanni Luca
Giombetti) è fanese e disegna dalla nascita. Ha fatto
Studi Classici. È Laureato in
Veterinaria.
Ha frequentato la Scuola
Libera del Nudo (Accademia
di Belle Arti di Roma), la
Scuola d’Arti Ornamentali
“S.Giacomo” di Roma e
la Scuola di Litografia
dell’Accademia Raffaello di
Urbino.
llustratore, Pittore, Grafico
e Umorista, collabora con le
più importanti Case Editrici
di Libri per Ragazzi.
Nell’opera di John Betti si ravvisa una
moderna figurazione capace di condurre,
con bella apertura colloquiale, un discorso segnico e coloristico di compiuta
indole espressiva.
Giorgio Falossi
Sirena (II)
olio su tela
cm. 150x100
2008
Marisa Lambertini
Marisa Labertini è nata
a Russi nel cuore della
Romagna e vive a Fano
dove lavora. Disegna da
sempre e scolpisce da più
di trent’anni. Ha eseguito
lavori monumentali, per
scuole chiese e monasteri in
Italia e all’estero. Ha diretto
un corso superiore di modellazione a Bruges (Belgio).
Le sue opere sono in molte
gallerie e fanno parte di collezioni italiane e straniere.
Ha uno studio a Portorotondo (Costa Smeralda) e uno a
Cortina d’Ampezzo.
Accolti da improvvise ondate di speranza
e di stupore, entriamo nel sempre giovane
mondo creativo di Marisa Lambertini: fra
sogno e incarnazione, fra verità e riflessione il dispiegarsi delle sue forme femminili ci coinvolge nel sorridente gioco
della purezza e della malizia con segni e
parole di verità figurativa che non toccano mai né i pericoli, né i drammi dell’inquietudine e dell’ovvietà. E la sorpresa
diventa silenzio e accoglienza, misura e
armonia fino ad una ammirazione sincera
che conquista il cuore di ognuno.
Marisa Lambertini è artista di sorriso e di
estroversione; il suo sguardo sa posarsi
su tutte le espressioni gentili e aggraziate
che l’umanità riesce ancora ad elaborare
ricreandole e illuminandole ulteriormente
di quella sua personale carica di vitale
affettuosità che rende le sue sculture solo
ed esclusivamente “sue”.
I bambini, le adolescenti, le ragazze di
Marisa escono dalla creta come da una
materia primigenia che infonde ai loro
corpi bellissimi, una carnalità sfolgorante che un’intima disinvoltura rende
espansiva e seducente. [...] Marisa ha
puntato la sua attenzione sull’atteggiamento maniacale che le donne hanno per
la loro “linea” e così, tutto ad un tratto,
dopo anni e anni di adolescenti perfette,
ha creato le “Pomone”, felicissime ragazze in sovrappeso che, nella coincidenza
degli opposti, giocano, ballano, sognano,
abbracciano bambini come le loro sorelle
di linea perfetta, al di sopra di ogni estetico “diktat”. Le “Pomone” sono creature
liberate da ogni complesso che esibiscono, anche loro con innocente narcisismo,
forme e rotondità che sanno suggerire
accoglienti e caldi abbracci. Ancora una
volta la femminilità riesce a riguardare e
a correggere i propri limiti e i propri tic,
grazie ad una “misura” ricreata da quel
speciale soffio che l’immaginazione suggerisce agli artisti.
In Marisa Lambertini, quietamente affermativa, l’arte non risulta mai affermazione di autorevolezza, ma amorosa e libera
partecipazione alla vita, senza lacci e
annodature con movimenti artistici né
con circuiti meramente esibitori: Marisa
canta sola, con gioia, i suoi fervori figurativi pieni e decantati, dando vita a vicendevoli scambi di umori vitali fra sé, e
loro, suoi personaggi: una vibrazione che
ci coinvolge in formule di cortesia variata
a modo di ciascuno, fra nostalgia e famigliarità, fra astrazione immaginativa e
emblemi del desiderio.
Ivana Baldassarri
Ragazza con leone
bronzo fusione a cera persa
cm. 120x70
2000
Pier Paolo Marcaccio
Pier Paolo Marcaccio è nato a Fermo
nel 1957. A metà degli anni ’70,
sul lascito del concettuale opera
con “materiali poveri”; il cinema di
animazione e astratto lo portano a
collaborazioni e pubblicazioni sul
cinema “antico”. Negli anni ‘80-‘90
si esprime con la “pittura-pittura” e
poi “pittura-installata”; alla fine del
2000 si rapporta con l’architettura
organica di Makovecz, al misticismo dell’icona in Florenskiy, alla
spiritualità nella scultura sociale
di Beuys; il lavoro nella Gestalt di
Arnheim lo spinge verso l’idea della
funzione pedagogica dell’arte.
È docente di decorazione presso
l’Accademia di Belle Arti di
Macerata.
Sogno di San Vito, dettaglio
olio su telo di canapa
cm. 50x7
1997-2000
Giovanni Montesi
Giovanni Montesi ha
frequentato la Scuola d’Arte
Mengaroni di Pesaro.
Vive e lavora a Fano.
Giovanni ha sempre avuto la passione per
la pittura, della quale non può fare a meno.
Ha sempre dipinto da quando frequentava
la Scuola d’arte “F. Mengaroni” di Pesaro,
esercitandosi con le tempere.
Ero insegnante di Educazione Artistica in
quella scuola ed apprezzavo la naturalezza, la sincerità e la robusta cromia con cui
si esprimeva, in un architettura solida ed
equilibrata.
Nei momenti liberi da impegni di lavoro, dipinge nel suo studiolo, ricavato nel seminterrato della sua abitazione, immersa nella
verde vallata del fiume Arzilla.
In tele di piccole e medie proporzioni, racchiude: paesaggi, vie, paesi a noi noti, poiché i suoi soggetti preferiti sono le nostre
terre, i nostri borghi. Sempre alla ricerca di
scorci caratteristici, e come gli impressionisti tenta di trovare il difficile accordo tra
occhio e sentimento.
Nei suoi viaggi porta sempre con sé una
macchina fotografica, e inquadra i soggetti
che più lo colpiscono, rielaborandoli nello
studio. le fotografie sono la moderna versione degli antichi “taccuini d’artista”.
La sua pittura è semplice, schietta e immediata, dipinge libero da presupposti intellettuali, e la si può collocare tra il naif e
il naturalismo.
Felice di poterci restituire la realtà, così
come la vede, e gioisce quando nota qual-
che progresso tecnico nell’uso del pennello
o del colore, quando la mano si fa più agile
o la tonalità subito trovata.
Ultimamente ha voluto sperimentare l’uso
dei tre colori primari da cui ne ricava tutti
gli altri, in un processo di semplificazione
con risultati lusinghieri.
Nelle tele di recente fattura si avverte il
progressivo superamento del particolare e
delle tinte piatte: il colore tende a sfaldarsi
in vibranti pennellate, imbevendosi di luce,
il tessuto pittorico diventa più leggero e
scorrevole, sono evidenti segnali che Giovanni sta lentamente avviandosi verso la
sua maturità pittorica.
Franco Fraternale
In molte sue opere si avverte il richiamo
alla natura incontaminata, espressa con
gusto e semplicità.
L’originalità e la sicurezza del disegno
fanno fantasticare oasi di pace, dove
Giovanni trova la serenità dei ricordi
lontani.
I dipinti si caratterizzano per la tensione
costante ad esprimere il rapporto privilegiato con la natura.
Di lui colpiscono: la passione spontanea,
l’esercizio instancabile e la tenacia nel
proseguire in un continuo miglioramento
di sé e della propria pittura.
Denis Bevilacqua
Notturno sul porto di Fano
olio su tela
cm. 61x32
2002
Natale Patrizi - Agrà
Natale Patrizi (Agrà) è nato a
Mondolfo nel 1941. Nel 1962 ha
conseguito a Firenze la specializzazione in pittura murale (affresco). Ha partecipato a mostre in
Italia e all’estero. Tra il 1981 e il
1983 realizza le caratteristiche
“Finestre”, assemblaggio di suoi
dipinti con infissi recuperati da
vecchie case coloniche. Insieme
con Mario Giacomelli e Fide, ha
compiuto dal 1986 al 1990 una
serie di interventi artistici in
luoghi aperti, nell’entroterra marchigiano. Una vasta collezione di
sue opere è conservata presso il
Museo Comunale d’Arte Moderna
e dell’Informazione di Senigallia.
Come tutti gli artisti, anche Patrizi ha
subito nel corso della sua carriera una
naturale evoluzione di tecniche e di modi
espressivi. Il primo quadro di cui ho
memoria visiva risale al 1963, l’ultimo
a pochi giorni fa: la diversità stilistica
e compositiva è palese. Il primo è una
composizione astratta, l’ultimo è un libro di legno di cinquanta chili, scritto
e dipinto in ogni suo lato e in ogni sua
pagina. Ma in precedenza Natale Patrizi
-Agrà è passato anche per tante finestre
e la sua barba si è fatta bianca (anche i
miei baffi si sono incanutiti!).
Un punto fermo però c’è sempre stato
in questi cinquant’anni di attività pittorica: i luoghi della sua ispirazione.
Quelli non sono mai cambiati e sono
rimasti ancorati in una sorta di quadrilatero che comprende il mare fra Fano
e Senigallia e le colline fra il Cesano e
il Metauro. Con i paesi e i campi, i borghi e le case di campagna, le strade e
i corsi d’acqua, le siepi e gli orizzonti.
E contadini e giovani donne.
Patrizi è nato e vissuto in questo mondo,
lo ha sviscerato con gli occhi e i colori,
l’ha plasmato e rimirato con i pennelli,
a volte con rabbia, a volte con tenerezza. Un mondo da cui è partito tante volte
senza mai andarsene del tutto. Anzi credo
che le sue trasferte siano state soltanto
degli equivoci spaziali e temporali: perché in realtà lui non si è mai mosso dalla
Strada dei Tufi (ora un tratturo sabbioso)
che da Mondolfo scende e risale, piega e si snoda, lambendo Stacciola per
inerpicarsi infine verso San Costanzo.
Il proverbio ammonisce che “nessuno è
profeta in patria”, ma nel caso di Patrizi
il detto non ha funzionato.
Mondolfo, Stacciola e San Costanzo,
senza nessun accordo politico-culturale,
hanno riconosciuto all’unisono l’arte del
loro cantore artistico.
L’estate del 2007 ha infatti visto il pittore
Patrizi acclamato “cittadino dell’anno” a
Mondolfo, Stacciola gli ha offerto i suoi
muri per un grande affresco e San Costanzo ha ospitato una sua personale.
Se Patrizi ha amato da sempre i Tufi, i
“paesi dei tufi” hanno ricambiato con
l’ammirazione. E Patrizi dunque può
bellamente fregiarsi del titolo di “pittore
profeta in patria”! Non è cosa da poco e
soprattutto non è da tutti.
Paolo Sorcinelli
Piaggiolino, terra di confine
tempera su tela
cm. 150x100
2008
Mario Perillo
Mario Perillo è nato a
Salerno nel 1953.
Consegue il diploma di
Maturità d’arte applicata
nel 1973 presso l’Istituto
d’arte A. Apolloni di Fano.
Dipinge e scrive dal 1978.
Vive e lavora a Fano.
Disegno dal vero e decorazione pittorica sono subito
le sue grandi passioni,
insieme allo studio di
pittori ed artisti d’origine
classica e romantica
italiani, francesi, inglesi e
olandesi.
[...] Prezioso crocevia esistenziale capace
di vivere a lungo nel fondo dell’anima ed
in essa, potente stimolo interiore, fa rieccheggiare sempre nuove sensazioni. Si,
perchè l’artista, salernitano di nascita
ma fanese di adozione ed elezione (anch’egli è un mirabile prodotto della mai
troppo elogiata Scuola d’Arte “Apolloni”),
approdato non da oggi alle soglie di una
splendida maturità espressiva prima
ancora che anagrafica, è in grado come
pochi di toccare le corde più recondite
di chi si pone di fronte alle sue opere,
regalandogli a profusione palpiti della
mente e del cuore. Obiettivo raggiunto
mediante l’uso sapiente della luce e del
colore che, sparsi con mirabile equilibrio
sulle tele raffiguranti paesaggi sospesi
nello spazio e nel tempo, intensi eppur
sfuggenti ritratti di figure umane, delicate, mistiche nature morte, fanno si che il
quadro stesso finisca con il trascendere
l’oggetto che rappresenta, rimandando a
quel qualcosa di indicibile da un punto
di vista puramente razionale che sta dietro, o meglio sopra alla mera realtà. Da
moderno, personalissimo impressionista
dell’intimo, egli sfrutta con maestria gli
effetti delle sorgenti luminose nonchè gli
accoppiamenti ed i contrasti cromatici
per fissare la materia nell’istante, unico
ed irripetibile, suggeritogli dall’ispirazione ed al contempo propone di superarla, tentando così di coglierne i legami
nascosti con ciò che la esprime. O, se si
preferisce, con l’Assoluto. L’arte dunque
non come classica consolazione o romantica maledizione, e neppure come
meta estrema, fine a se stessa, di estetizzante memoria, bensì come sublime
strumento di conoscenza. Mezzo privilegiato di elevazione che conduce Perillo,
pittore, poeta, pensatore finissimo, in
definitiva intellettuale a tutto tondo di
chiaro stampo umanistico, a specchiarsi
nell’infinito mistero dell’itinerario terreno dell’uomo, consentendogli di cogliere
per un attimo che dura un’eternità “il
senso sublime del tutto”. E, magia suprema regalata da questo straordinario
esploratore dell’essenza, la stessa sorte
è concessa continuamente allo spettatore. Al cospetto di ogni suo quadro.
Sandro Candelora
Studio per un dipinto
olio su tavola
cm. 40x30
2007
Giovanni Piccini
Giovanni Piccini nasce a Fano
nel 1977. Frequenta la Scuola
d’arte Mengaroni a Pesaro e
successivamente l’Accademia
Raffaello a Urbino, sezione
scultura. Dal 2002 frequenta
diversi corsi di incisione
presso il centro nazionale
per l’incisione KAUS a Urbino
partecipando a diverse mostre
collettive di libri d’artista in
alcune sedi europee.
Oggi gestisce un laboratorio
d’arte a Fano, Studio Drago
e la sua produzione va dalla
scultura alla pittura, dall’istallazione artistica all’incisione.
Nei suoi lavori è chiaramente leggibile il
carattere istintivo dell’esecuzione, grazie
ai gesti che lasciano un segno definitivo
sul supporto.
Nei suoi quadri la rifinitura non esiste,
perchè il lavoro termina nel momento in
cui scorge il soggetto che sta dipingendo, permettendo così all’osservatore di
leggere in progressione le pennellate che
compongono l’opera.
In questo modo i segni e i colori rivelano il percorso mentale dell’artista anche
nelle sue riflessioni più intime.
Testa
Acrilico su tavola
cm. 70x120
2008
Paolo Pucci
Paolo Pucci è nato a Fano nel
1941; il babbo scalpellino
diede degli input decisivi.
Fin da giovane cercò di
evolversi, con l’estro e con la
frequenza alla sezione “scultura” dell’“Apolloni” di Fano.
Così cominciò a perfezionarsi
in scultura, architettura e
restauro. Per venti anni gli furono commissionati interventi
di restauro in marmo dalla
Sovrintendenza ai Beni Culturali e Monumentali di Urbino.
Ha eseguito restauri in marmo
dei principali palazzi nobiliari
di Fano, prediligendo, ove
possibile, i marmi preesistenti.
“Perché non parli?” urlò affascinato e
spazientito Michelangelo, gettando anche un martello verso quella madonna
della sua “Pietà”. Non è Michelangelo
il nostro concittadino Paolo Pucci, ma
a volte, alla fine delle sue plasmature,
potrebbe anch’egli aver sussurrato la
stessa frase alle sue creature sacre.
Non è Michelangelo Buonarroti il nostro
Pucci, ma ai nostri tempi (tempi in cui la
creatività manuale sembra quasi definitivamente sacrificata sull’altare della
digitalità informatica tridimensionale)
un sopravvissuto dello scalpello, pur nel
suo piccolo, può apparire stranamente
ammirevole, nostalgicamente grande,
artisticamente bravo, quasi un (scusate
la moda!)… “unto del Signore”.
Tutte le sue ultime opere non sono da
copiatura, ma nascono da una metodica e graduale progettualità: schizzo,
disegno, modello ridotto, calco negativo in gesso a dimensioni reali, colatariempitura in gesso della copia e pla-
smatura a scalpello su marmo. Tutta
una procedura allettante, stimolante,
ma sempre più perduta e rara: infatti
questa attività artistico-artigianale
è quasi estinta a certi livelli nel Bel
Paese culla dell’arte. Questo perché la
scultura (attività che permette maggior creatività e dà più soddisfazione)
“da sola oggi non ti permette più di
campare economicamente”. Da millenni l’archeologia ci regala testimonianze storico-artistiche marmoree; dopo i
pochi testimoni dello scalpello (come
Pucci) lasceremo ai posteri solo colate
di cemento?
Paolo Pucci ama veramente il suo lavoro e le sue creature, al punto da non
accontentarsi del materiale marmoreo
su cui intervenire; al punto da scegliere
di persona i pezzi dalle cave di Carrara. Ed ogni volta il suo amore “paterno”
potrebbe veramente esternarsi in quel
sussurro: “perché non mi parli?”.
Massimo Ceresani
Busto di cavallo
marmo bianco di Carrara
cm. 60x60x25
2008
Virginio Ridolfi
Virginio Ridolfi è nato a
Fano nel 1922 dove si diploma maestro d’arte nella
locale scuola d’arte “A.
Apolloni”, è allievo di Emilio
Lazzaro e Fabio Tombari.
Trascorre un periodo della
sua vita (1954-1963) a Fossombrone per poi rientrare
con la sua famiglia a Fano
dove muore nel dicembre
1983. È sempre stato profondamente legato alla sua
terra, di cui conosceva ogni
anfratto e segreto.
[...] Ma poi accade, a partire da quel fatidico, intensissimo 1973 datato da Marcelle Azzolini, un mutamento dapprima
impercettibile, poi via via aperto, ad ali
spiegate.
Anzitutto i calanchi delle Marche del nord
e della Romagna, o vicini alle zone etrusche di Umbria e Lazio, sembrano stendersi in una potenza terribile ma morbida,
addolcita come carne, costruita con corpi
di terra.
Impasti di colore denso, stesi con pennellate invisibili o plasmati con le dita, sono
animati da mutamenti di luce pura, implacabile, cristallina, fino alle montagne
estreme sull’orizzonte.
Terra, terra all’infinito, con ferite arcaiche,
sedimenti, grumi: non fecondata dalla
vegetazione, spoglia ma non arida, ricca
della sua vitalissima forza plastica.
Come mappe preistoriche su mari o laghi
o cascate altrettanto poderosi.
Ma dalla lontananza geologica al sentimento del presente il passo è brevissimo:
bastano piccoli uomini, cani, gabbiani,
barche, fagiani.
Allora entra la vita, da quel fatidico 1973,
nelle immani visioni di Virginio Ridolfi, e se
c’è un sentore di tempesta nel cielo, senti
che s’allontana; o se è sereno, avverti una
luce sempre più trasparente e lieve, quasi
dissolta nel chiarore delle distanze. Sono
spazi infiniti coi quali i piccoli uomini coesistono, dominati ma non sopraffatti. Via
via il sentimento dominante è insomma la
“contemplazione” dell’immensità della natura, e di questo coesistere nostro con lei.
Memorie del grande romanticismo te-
desco - alla Caspar David Friedrich - si
attenuano in una tensione meno vertiginosa, meno allucinata, tutto sommato più
classica e controllata dalla ragione.
Perché la suggestione formidabile del
volare, del vedere dall’alto scendendo
col paracadute, ha dato a questo artista
il privilegio di catturare vastità di spazio
altrimenti imprendibili, nelle dimensioni
della profondità e della larghezza.
Credo che l’originalità più intensa dei
quadri di Ridolfi stia proprio in questo
suo doppio amore per il volo coraggioso
e per la pittura: dall’alto si può dominare tutto, immagini di città e campagne,
strade (generalmente al bivio) e filari di
coltivazioni.
Oppure il mare, alla luce del crepuscolo,
con aria di tempesta appena finita, e onde
che si alzano e s’increspano come le frastagliature dei calanchi.
Un primordiale bisogno di esaltare la vita,
con sapienza pittorica istintiva, talvolta
anche un po’ ingenua: ma tesa ad evocare stagioni esasperate o luoghi di piccole
città, nell’enormità dello spazio e del tempo da scandire col “suono dell’ora”.
L’infinito ameno delle docili colline di
Recanati si è spostato più a nord, nella
pittura di Ridolfi, e si è immerso in territori selvaggi fra terre e acque. Poi alla
fine, nell’ultima opera, è sprofondato nella
forza terribile di un vulcano che butta fuori
fuoco, come quel Vesuvio alla cui lava ha
resistito, fiore pieghevole eppure tenace,
solo la memorabile Ginestra. Alla fine: per
Virginio Ridolfi, nel dicembre 1983.
Grazia Calegari
Piazza XX Settembre Fano
olio su tela
cm. 70x50
1968