LA SITUAZIONE MEDIORIENTALE NEI RACCONTI DI DUE
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LA SITUAZIONE MEDIORIENTALE NEI RACCONTI DI DUE
LA SITUAZIONE MEDIORIENTALE NEI RACCONTI DI DUE TESIMONI D'ECCEZIONE – DALLE RECENTI ELEZIONI IN PAKISTAN AGLI ESTREMISMI IN IRAQ - E IL COMMENTO DI SERGIO ROMANO CHE RICORDA “ NON SI PUO' IMPORTARE LA DEMOCRAZIA CON LO STAMPINO”. Centinaia di giovani incollati alle sedie ad ascoltare il dibattito e tanta voglia di fare domande e di capire Pakistan e Iraq a confronto, per l’ultima giornata di Internazionale a Ferrara, attraverso due penne autorevoli della stampa dei Paesi Mediorientali: così si sono aperti i lavori all’Apollo dopo una ‘colazione’ con la rassegna stampa internazionale proposta alla Borsa dalla redazione di Internazionale. Sono stati Zuhair al Jezairy (direttore dell’agenzia di stampa irachena Aswat al Iraq) e Ahmed Rashid (giornalista pakistano di fama internazionale, anche grazie al suo libro Talebani) a conversare con Sergio Romano portando le loro testimonianze dal fronte e un grato entusiasmo per la manifestazione e la città che li ha ospitati, come ha esordito Rashid. Una sapiente presentazione e moderazione del dibattito quella di Romano, il giorno dopo le elezioni in Pakistan. “Ma dove molti hanno votato con le schede – ha sottolineato – ancora troppi continuano a votare con le bombe…”. “Il risultato era atteso, le elezioni dirette del 2008 diranno la verità. Nel frattempo – aggiunge Rashid – vi chiedo di restare sempre attenti a quello che accade in Medioriente: voi siete tanti, giovani, vivete in una città bellissima e sicura, so che è difficile pensare ai problemi dell’Afghanistan, ma è necessario perché da questo presente si svilupperà il futuro del mondo intero”. E punta l’attenzione sugli errori degli USA in Medioriente colpevole per Rashid di aver lasciato un Paese nell’incertezza per intraprendere una campagna militare nuova, e più dannosa, da cui l’America esce tutt’altro che vincitrice. “L’Afghanistan è stata la prova generale di quello che gli USA intendevano fare all’Iraq – riprende Romano – e se una iperpotenza come quella americana vince, si hanno delle conseguenze: ma anche se perde. Il problema non sarà quando l’America se ne andrà dall’Iraq ma come, in quali tempi: se se ne andasse improvvisamente sarebbe disastroso”. “Commette un errore – continua Romano – chi pensa che in Medioriente si possa arrivare alla mediazione con gli estremisti islamici talebani la cui ‘agenda’ non lascia spazio alla mediazione. E si illude chi spera nella possibilità che nasca uno Stato Mediorientale che escluda o si opponga all’Islam, che andrà invece in qualche modo assorbito: un processo lento e laborioso di cui non si vede ancora la fine. E l’intervento armato degli Stati Uniti non ha che accentuato ed aggravato le crisi, fino a creare in Iraq un campo di battaglia dove l’islam radicale può ancor più facilmente reclutare nuovi combattenti”. Un Paese, quest’ultimo, che Al Jezairy racconta con occhi e parole. “Svegliarsi a Baghdad con un’esplosione è nella norma, ma le persone poi continuano la loro vita, portano i bambini a scuola, vanno al lavoro o a fare spesa. Ogni momento, ogni giorno rischiano di trovarsi uccisi da un’esplosione”. Ma “life goes on, day by day” lo dice lui a nome di tutta la popolazione. In questo clima i media assumono un significato ed un compito ignoto al mondo occidentale. “Secondo quanto viene detto dai media, la gente sa se può muoversi, se il giorno dopo potrà andare a lavorare. La gente chiede informazione. Quando ci furono le elezioni voleva sapere chi andava a votare: ho visto anziani che votavano per la prima volta, donne che si recavano a esprimere la propria opinione, sempre valutando se era un momento opportuno per recarsi ai seggi. Certi risultati non hanno cambiato molto le cose: il popolo desidera la democrazia, ma siamo solo ai primi passi del processo, e vuole sapere come sarà il futuro. Sono ancora troppe le domande senza risposta”. La democrazia non si può esportare, dunque: “E’ stato troppo chiedere una coscienza democratica in un solo anno con 3 elezioni: le persone hanno votato per etnie credendo di tutelare io propri interessi senza curarsi dei programmi”. Per la creare una democrazia – conclude Romano – occorre infatti creare prima un cittadino iraqueno, ma non possiamo importarlo da fuori con lo stampino.