analecta romana - Det Danske Institut i Rom

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analecta romana - Det Danske Institut i Rom
ANALECTA ROMANA
INSTITUTI DANICI
OFFPRINT
XXXIII
2008
ROMAE MMVIII
ANALECTA ROMANA INSTITUTI DANICI XXXIII
Accademia di Danimarca Via Omero, 18 - 00197 Rome
© 2008 Accademia di Danimarca
Analecta Romana Instituti Danici. — Vol. I (1960) — . Copenhagen: Munksgaard.
From 1985: Rome, «L’ERMA» di Bretschneider. From 2007 (online): Accademia di
Danimarca
ISSN 2035-2506
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Contents
Antonella Mezzolani: I materiali lapidei nelle costruzioni di età fenicia e punica a Cartagine
7
Gitte Lønstrup: Constructing Myths: The Foundation of Roma Christiana on 29
June
27
Jens Viggo Nielsen: ”L’Esistenzialismo non è un umanesimo” La dialettica come
approccio all’esistenzialismo di Luigi Pareyson
65
Lise Bek: Innocence Lost. Symbolism to Rhetoric in Architecture and the Renaissance Concept of Invention
91
I materiali lapidei nelle costruzioni di età fenicia e punica
a Cartagine
di Antonella Mezzolani
Abstract. The aim of the article is to provide a general survey of the various types of building stone used in the
construction of Carthage in the Phoenician and Punic period, devoting particular attention not only to the contexts
in which they are found but also to the quarries exploited by the North African metropolis.
The extensive use of sandstone is attested since the earliest phases in the history of the city. Yet this usage is
characterized by some diversification of quarrying sites depending on the particular function to which it was put
as building material. The evidence shows that sandstone was quarried in peri-urban areas of Carthage (quarry of
Amilcar) for stones of irregular size used in the construction of rubble walls, whereas the quarries of Cape Bon (the
peninsula in northeastern Tunisia pointing towards Sicily) seem to have been exploited for more imposing blocks.
A further differentiation can be deduced from the use of coloured limestone. This type of stone comes from more
remote quarries than those ascertained for sandstone; its use, moreover, was limited to decorative elements; and
the chronological period in which it was mainly used is once again the late-Punic phase. The use of limestone, and
the location of the quarries from which it was extracted, show that the metropolis during this period was able to
draw on the resources of a more extensive hinterland and develop greater refinement in the carving of decorative
elements. Apart from the types of stone used and the quarries exploited, the author also devotes a rapid survey to
how quarries were organized and how connected with operations on building sites, which, unfortunately, remain
for the most part unknown, in the absence of more detailed literary or epigraphic evidence.
Introduzione
Una breve annotazione di Plinio sull’uso del
tufo a Cartagine come materiale da costruzione1 pare l’unica registrazione di un preciso
litotipo impiegato negli edifici della metropoli nordafricana, a fronte di una sostanziale
indifferenza di altri autori che hanno trattato
della città; un riscontro a tale atteggiamento
si rileva anche nelle pubblicazioni moderne,
che fino a tempi recenti non sembrano aver
mai prestato grande attenzione ai differenti
tipi di materiale lapideo dei complessi edilizi cartaginesi di fase preromana, nonostante
qualche tentativo di esaminare più analiticamente le varietà di pietre utilizzate nelle
costruzioni di epoca punica e neopunica in
Tunisia,2 accanto a lavori di carattere più
spiccatamente geologico che hanno preso in
considerazione le potenzialità dei giacimenti litici più o meno pregiati della regione in
antico.3
La pietra, per la sua durata nel tempo e
la sua qualità statica, risulta la componente strutturale più consistentemente attestata
nelle indagini archeologiche, ma la genericità delle definizioni non sempre consente
di stabilire il tipo litico e, di conseguenza,
rischia di fornire un quadro omogeneamente
indistinto di materiali lapidei, minimizzando differenze che, al contrario, possono ri-
8
Antonella Mezzolani
sultare utili per verificare moduli di gestione e sfruttamento delle risorse territoriali e
comprendere al meglio il fenomeno edilizio. Ugualmente poco consistenti sono, per
l’epoca punica, le indicazioni relative ai metodi di estrazione dei materiali litici, all’organizzazione del lavoro nelle cave, alla loro
condizione giuridica e amministrativa, al
ruolo delle maestranze e delle committenze, ma con questa nota, che si basa sostanzialmente su dati pubblicati e non ha potuto
usufruire di analisi petrologiche specifiche
in grado di connettere i materiali edilizi rinvenuti a Cartagine con cave ben individuate,
analisi che d’altronde non sono mai state effettuate sistematicamente,4 si tenterà quanto
meno di definire i contorni della questione e
di individuare eventuali linee di ricerca da
sviluppare.
Litotipi e attestazioni archeologiche
In base ai dati provenienti dagli scavi effettuati a Cartagine, appare subito evidente
come l’arenaria, per le sue caratteristiche di
duttilità al taglio e per la facile reperibilità
nei territori limitrofi al sito, sia stata uno dei
materiali lapidei impiegati con più frequenza in epoca punica nelle costruzioni, siano
esse domestiche o pubbliche: la realtà che
emerge dai dati di scavo, però, presenta un
panorama più variegato rispetto al quadro
proposto da J. Cintas5 e soprattutto non consente di collegare in maniera univoca un tipo
litico ad una precisa funzionalità della struttura, soprattutto per il consistente fenomeno
del reimpiego e delle ricostruzioni, che muta
la funzionalità strutturale e svincola il mate-
riale litico dalla sua originaria impostazione.
A Cartagine, dunque, si può rilevare la presenza di vari tipi di arenaria, come ad esempio un tipo locale, di vario colore, che ancor
oggi si vede sulla costa di Amilcar, tra Cartagine e Sidi Bou Said:6 la pietra proveniente da questa zona, di costo non eccessivo per
la facile reperibilità e la vicinanza alla città,
di agevole lavorazione, ma di resa indubbiamente non elevata, risulta impiegata per
conci non lavorati, che formavano in genere
i paramenti d’intervallo fra gli ortostati di
maggiori dimensioni nell’opus africanum e
che in grande quantità si sono rinvenuti nello strato di crollo del quartiere di Byrsa o,
anche, negli edifici del settore costiero;7 dalla crosta calcarea di Capo Gammarth, area
sempre molto vicina alla città, sembrano
provenire, invece, le pietre malamente sbozzate impiegate negli apparati delle abitazioni arcaiche sottostanti al grande edificio punico in rue Ibn Chabâat.8
Di maggiore impegno economico e nel
contempo garante di maggiore stabilità strutturale era invece l’arenaria di El Haouaria9
e, più genericamente, del Capo Bon,10 utilizzata soprattutto per ricavare blocchi regolari
di grandi dimensioni oppure lastre: l’impiego di arenaria di El Haouaria è confermato
in tutti i settori di scavo che nella metropoli
cartaginese hanno interessato livelli fenici e
punici.
Sin dalle fasi arcaiche, lastre di questo
materiale risultano utilizzate nella costruzione di tombe, sia del tipo costruito, sia di
quello a cassone,11 mentre nelle abitazioni,
in genere, risulta menzionata la presenza di
I materiali lapidei nelle costruzioni di età fenicia e punica a Cartagine
apparati in opus africanum, senza ulteriori
specificazioni sul tipo litico dei ritti verticali,12 benché una individuazione più precisa
di arenaria di El Haouaria sia stata proposta
per frammenti di dimensioni non ridotte in
un riempimento connesso alla fase di un edificio abitativo dell’ultimo quarto del VII sec.
a.C.;13 infine, lastre in arenaria di El Haouaria sono state impiegate per il rivestimento
di un pozzo nel settore delle abitazioni arcaiche scoperte in rue Ibn Chabâat.14
Nelle fasi successive, l’impiego di questa arenaria trova documentazione anche in
costruzioni monumentali, come il muro marittimo indagato dalla missione tedesca,15 il
grande edificio pubblico, interpretato come
tempio, di rue Ibn Chabâat,16 o le darsene del porto circolare,17 nella sistemazione
dell’impianto stradale,18 nelle strutture abitative per gli ortostati delle murature in opus
africanum19 e sotto forma di blocchi per piedritti d’ingresso, nelle infrastrutture idrauliche20 e, soprattutto, in elementi architettonici isolati e rifiniti in stucco, come basi e fusti
di colonne, pilastri, capitelli e cornici a gola
egizia o a becco di civetta.21 Oltre a ciò, i
blocchi già tagliati di El Haouaria furono di
sovente reimpiegati in fase tardo-punica nella ristrutturazione delle aree residenziali.22
Se l’arenaria, dunque, pare essere il materiale litico più largamente impiegato a
Cartagine punica, diverso risulta invece
l’impatto dei calcari,23 generalmente più impegnativi per operazioni di taglio, attestati
in maniera assai sporadica nelle murature e
utilizzati, piuttosto, per soglie, vere di pozzo
o elementi di decorazione architettonica.
9
Un calcare grigio, talvolta con venature
verdi e rosse, ritenuto originario o del Djebel Djemâa24 o del Djebel Bou Kornine,25
pare utilizzato in soglie e puteali individuati
nel Quartier Hannibal26 e nell’abitazione
tardo-punica in rue Astarté27 alle pendici
della collina di Byrsa, così come nel settore
indagato dall’Università di Amburgo28 e nel
Quartier de Magon.29
Quanto ad altri calcari colorati (sub-marmi) o marmi, componenti architettoniche e
decorative in tali materiali30 si sono ritrovati, sebbene in misura ridotta, nelle ville del
settore residenziale costiero e nell’area del
grande edificio pubblico in rue Ibn Chabâat:
sono tornate alla luce, dunque, basi di colonne, zoccoli modanati e profili in marmo nero
di Thala31 e in marmo giallognolo del Djebel
Ichkeul,32 così come una base di colonna in
marmo grigio-rosa.33
Infine, altre attestazioni di calcare sotto
forma di schegge o tessere si rinvengono in
manifestazioni al tempo stesso funzionali e
decorative, come i piani pavimentali:34 così
pavimenti in cementizio (c.d. opus signinum), a schegge litiche (o terrazzo alla veneziana), a tessere fittili poste in piano (c.d.
opus figlinum) e, ancora, tessellati per lo più
monocromi, ma talvolta con semplici decorazioni policrome, sono ravvivati dall’inserzione di elementi in calcari colorati. Il calcare/marmo più attestato per le inserzioni di
schegge o tessere e per i mosaici pavimentali
è quello di colore bianco,35 ma non mancano
esempi di calcare rosato,36 forse originario
del Djebel Rouass37 e, soprattutto, di calcare nero,38 per lo più proveniente dal Djebel
10
Antonella Mezzolani
Aziz,39 nei pressi di Thuburbo Maius, o in
alternativa attribuibile al giacimento di Ain
el-Ksir, nei pressi delle più famose cave di
Chemtou.40 Schegge in calcare nero si sono
individuate in pavimenti a terrazzo del Quartier Magon,41 mentre tessere regolari dello
stesso colore compaiono come elemento decorativo in lacerti pavimentali di tessellati
bianchi provenienti sempre dallo stesso settore residenziale.42 Ancora, tessere in calcare
nero ravvivano l’ordito di una soglia a fondo bianco nell’abitazione C4, del Quartier
Hannibal,43 così come una combinazione in
cubetti neri, bianchi e rossi costituisce la decorazione a triangoli dentellati nel pannello
di soglia tra due vani, presumibilmente adibiti a sala da bagno, dell’abitazione tardopunica di rue Astarté.44 Sempre calcare nero
compare nella fascia a scacchiera bicolore
che delimita un pavimento in tessere fittili
nell’abitazione indagata da J. Renault,45 mentre una banda in tessere bianche, rosse e nere
sottolinea un lacerto pavimentale, anch’esso
in tessere fittili, esposto al Musée National
de Carthage.46 Infine, tessere in calcare nero
si alternano a tessere bianche in un piccolo riquadro a scacchiera, posto al centro di
un pavimento in cementizio, rinvenuto nel
corso degli scavi a Bir Massouda e ancora
inedito, mentre un quadrato in tessere calcaree nere costituisce il centro dell’emblema
geometrico in posizione centrale all’interno
di un pavimento in tessere fittili nello scavo
sul Decumanus Maximus dell’Università di
Amburgo.47
Due manufatti singolari sono stati recuperati nel Quartier Magon, nello strato di
pianificazione augustea (RBPS) e anch’essi
testimoniano l’impiego di calcare nero: si
tratta di un disco con solchi concentrici in
cui sono inserite tessere marmoree bianche48
e di un frammento di lithostroton, in cui un
nucleo spezzato di marmo nero del Djebel
Aziz, con altri framenti litici, si compone in
una superficie estremamente lucida.49
Le cave: sistemi di estrazione e organizzazione del lavoro
Se, a Cartagine, il materiale litico per apparati murari a conci grossolani è reperito
nelle immediate vicinanze del sito (Amilcar,
Gammarth), per blocchi di arenaria di maggiore impegno volumetrico o per elementi
decorativi di supporto ci si è rivolti, come si
è visto, a giacimenti non sempre immediatamente limitrofi, come nel caso delle cave di
El Haouaria.
Queste ultime, cui probabilmente si riferiscono i laconici accenni topografici delle fonti classiche,50 trovano collocazione in
un’ampia formazione würmiana litoranea,
sfruttata sistematicamente in antico, fino a
quando l’evoluzione del litorale, con conseguente arretramento della costa, non ha impedito la possibilità di estrazione sul fronte
di cava (Fig. 1). Sebbene tutta la costa del
Capo Bon sia interessata da giacimenti di
arenaria, a partire da Menzel Temime fino
a Sidi Daoud,51 ciò che pare distinguere le
cave di El-Haouaria, individuate più precisamente nella località di Rhar el-Kebir, è la
tecnica estrattiva applicata al giacimento,
sfruttato non secondo il più usuale sistema
“a cielo aperto”, bensì attraverso una colti-
I materiali lapidei nelle costruzioni di età fenicia e punica a Cartagine
vazione sotterranea: grandi camere ipogeiche, accessibili attraverso pozzi a sezione
quadrangolare, s’incuneavano in profondità
nel giacimento litico, inizialmente senza
11
comunicazione reciproca.52
Sebbene siano rimasti in loco anche blocchi sommariamente sbozzati e non distaccati
in maniera definitiva, non sembra possibile
Fig. 1. Carta delle formazioni quaternarie e delle cave litoranee antiche della Tunisia (da Paskoff &
Trousset 1995, 57 fig. 1)
12
Antonella Mezzolani
datare l’epoca di abbandono delle cave, che
doveva corrispondere anche in questo caso,
come avviene frequentemente per le cave litoranee, al mutamento della linea di costa;
allo stesso modo, l’ipotesi di uno sfruttamento in epoca punica di questi giacimenti
sembra avvalorato non tanto dagli elementi
desumibili dal sito di estrazione, quanto dal
rinvenimento di componenti afferenti a questa formazione litica a Cartagine in strutture
indubbiamente puniche.53 La menzione di
Diodoro sullo sbarco di Agatocle “nei pressi
delle cosiddette Latomie”, poi, pare avvalorare l’ipotesi di un’attività di cava in questa zona quanto meno dalla fine del IV sec.
a.C.
Ovviamente le incertezze nell’ attribuzione cronologica non consentono di stabilire
se lo sfruttamento intensivo si sia verificato
già in fase punica o sia un portato della successiva epoca romana, ma rimane comunque da sottolineare il fatto che il sistema di
estrazione attraverso escavazione di camere
sotterranee non comunicanti,54 con distanza
regolare dei pozzi d’accesso, da cui entravano gli addetti55 e venivano asportati i blocchi
già tagliati, ha indotto a pensare ad una organizzazione programmata e utile alla migliore resa possibile, ad un più agevole controllo dei gruppi di lavoro e, non ultimo, ad
una maggiore stabilità del tetto di cava.56 La
coltivazione di cava in camere sotterranee
non pare la più diffusa e trova confronto,
nella regione, solo a Sidi Salem, nei pressi di
Menzel Temime, dove sono state individuate
gallerie sotterranee di estrazione, vicine ad
una necropoli punica ipogeica;57 molto più
diffuso il sistema di estrazione a cielo aperto, che si vede impiegato nella stessa area
di El Haouaria, ma anche nei rilievi costieri
vicini a Korbous.58
Allo stesso modo, uno sfruttamento a
cielo aperto è adottato per le cave del Djebel Aziz59 e del Djebel Ichkeul,60 quantomeno per l’epoca romana, anche se da tali siti
sembrano provenire i sub-marmi policromi
utilizzati nelle case tardo-puniche di Cartagine per elementi decorativi o schegge pavimentali; in entrambi i casi sono ancora ben
visibili i gradini di taglio, da cui venivano
asportati i blocchi. L’estrazione da cave poteva avvenire sfruttando le linee naturali di
diaclasi delle vene litiche, soprattutto quando non si necessitava di blocchi regolarmente sbozzati, ma di conci o lastre grossolane;
i manufatti migliori, cioè i blocchi sbozzati
regolarmente, però, si ottenevano con la lavorazione del banco roccioso, secondo piani orizzontali. In tutte le cave sopra citate
si sono trovate ampie tracce di lavorazione,
cioè i solchi d’incisione, che determinavano
la forma del blocco, oppure i segni dei cunei
innestati per distaccare i blocchi;61 le tracce
lasciate dai solchi di incisione e dai gradini, che rivelano l’altezza media di un’assisa
di blocchi, possono consentire un approccio
metrologico, in cui il dato più interessante
è la prevalenza di moduli di 0.50/0.52 m e
0.45/0.46 m per l’altezza dei blocchi,62 misure che corrispondono ai due tipi di cubito impiegati più frequentemente nel mondo
punico63 e con vitale persistenza nel Nord
Africa di piena epoca romana.64
In questo panorama alquanto indefinito
I materiali lapidei nelle costruzioni di età fenicia e punica a Cartagine
per quanto riguarda le attestazioni puniche,
un altro interrogativo che ci si può porre riguarda il trattamento dei blocchi, una volta
che fossero distaccati dal piano di coltivazione: non ci sono elementi sufficienti per
comprendere se i blocchi venissero rifiniti o
meno e se ciò avvenisse nel luogo di estrazione, oppure al momento del loro impiego
nella costruzione. Di fatto, non pare, sulla
base dei rinvenimenti in contesti punici, che
il materiale da costruzione lapideo fosse oggetto di particolare finitura, tanto più che
nella maggior parte dei casi la superficie era
uniformemente ricoperta da intonaci bianchi o policromi; per quanto riguarda, poi, gli
elementi architettonici decorativi in calcare
policromo ritrovati nelle ville puniche di
Cartagine, la loro presumibile provenienza
da cave sfruttate ampiamente anche in epoca successiva non consente alcuna conclusione.
Ancora più incerta è la ricostruzione relativa alla gestione delle cave in epoca punica,
soprattutto in relazione al carattere pubblico
o privato di queste attività di sfruttamento:
in una epigrafe da Gozo, che rientra nella
serie di iscrizioni che si riferiscono a costruzioni pubbliche,65 si menziona un “ispettore/
sorvegliante delle cave”,66 senza però fornire chiare indicazioni su un eventuale ruolo pubblico o privato del personaggio. Per
quanto riguarda i tagliatori di pietra, poi, è
difficile comprendere le differenze semantiche di una serie di denominazioni che potrebbero interessare anche questo mestiere,
ma che più genericamente potrebbero riferirsi anche a lapicidi, scultori, incisori.67
13
Al problema della gestione produttiva
delle cave di estrazione si connette la presenza di marchi di cava, che servivano probabilmente per conteggiare e identificare la
provenienza dei blocchi, anche in previsione del trattamento finanziario; questi marchi
di cava, distinti dai segni di assemblaggio
per una differente finalità, non avevano una
collocazione fissa sulle diverse facce dei
blocchi e dovevano risultare visibili solo
fino al momento del pagamento. I marchi
individuati nei blocchi di Cartagine sono in
genere semplici lettere o simboli e risultano
incisi o dipinti, ma è difficile comprendere
eventuali diversità nell’uso delle prime o
degli altri, così come non si riesce a cogliere una possibile differenziazione tra marchi
incisi o dipinti. Certo è che una distinzione
tra marchi di cava, marchi dell’eventuale
impresario che si occupava della costruzione e segni di assemblaggio, che, almeno nei
casi più monumentali, dovevano guidare le
operazioni di montaggio, doveva esistere e
la stessa coesistenza di più simboli e lettere,
a pittura e ad incisione, sul medesimo blocco pare indiziare una differenza nella loro
funzione: Sulla scorta di quanto si è verificato per alcuni monumenti greci si potrebbe pensare che le lettere, specialmente se
accoppiate, indicassero le coordinate per il
posizionamento del blocco, mentre i simboli
potevano essere più consoni ad un semplice conteggio dei blocchi al momento della
consegna;68 in ambito punico e neopunico,
le lettere incise sui blocchi sono state interpretate sia come indicatori di assemblaggio
sia come contrassegni di cava, ad esempio
14
Antonella Mezzolani
nel caso delle mura difensive di Erice,69 Lilibeo70 e Palermo,71 o a Leptis Magna in vari
edifici del Foro vecchio e del porto,72 ma
anche nell’area del Mercato augusteo e nel
perimetro di una domus sulla costa.73
L’individuazione di tracce di lettere puniche dipinte in rosso sulla finitura in stucco
bianco di un blocco reimpiegato nell’abitazione 4 dell’isolato C,74 induce a pensare
che, almeno in questo caso, si possa trattare
di una indicazione relativa all’assemblaggio
all’interno dell’apparato, senza per questo
concludere che tutti i simboli e lettere dipinti espletassero la stessa funzione. Tra i segni dipinti possiamo annoverare il simbolo
di Tanit, i quarti di cerchio, in genere posizionati negli angoli, la palma e la croce di
Sant’Andrea,75 oltre alle lettere,76 mentre tra
quelli realizzati ad incisione compaiono le
lettere puniche, spesso accoppiate, le stelle a
sei/otto bracci, la croce inserita in un cerchio
e la bipenne.77
Una volta preparati e, probabilmente,
marcati i blocchi dovevano essere trasportati nei cantieri di costruzione; proprio per poterli caricare su carri o, nel caso di trasporto
marittimo o fluviale, su imbarcazioni, molte
delle cave presentavano piani inclinati su cui
si trascinavano i blocchi già preparati.78
La nostra conoscenza sull’ organizzazione del trasporto è, come per molti altri
aspetti, del tutto carente, così che della pietra estratta pare perdersi ogni traccia fino al
momento della sua utilizzazione negli apparati murari, quando una serie di epigrafi ci
informano sulle costruzioni, sui diversi ruoli
del personale addetto alle opere edilizie e
sulle possibili committenze.79
Conclusioni
Questa rassegna di attestazioni a Cartagine
offre il destro per una riflessione sui sistemi
di sfruttamento dei giacimenti geologici e
sulle dinamiche di approvvigionamento del
materiale litico: dal preliminare approccio
della raccolta in superficie di pietre, o meglio, di frammenti litici derivati dalla frantumazione dei banchi rocciosi ad opera di
agenti atmosferici, è naturale presumere il
passaggio ad uno sfruttamento organico del
patrimonio litologico presente nel territorio,
per un utilizzo dinamico delle risorse, in cui
si rivela una capacità tecnica e gestionale
che supera di gran lunga la semplice raccolta di superficie. Il problema di fondo, però,
consiste nella difficoltà di individuare cave
attive in antico, visto che il loro sfruttamento si è protratto fino ai giorni nostri, e, soprattutto, nel qualificare cronologicamente,
secondo fasi distinte, le tracce di estrazione
antica. A ciò si aggiunga il fatto che, come si
diceva nella premessa, solo in casi sporadici
si sono effettuate analisi petrografiche accurate dei materiali da costruzione rinvenuti
in contesto archeologico cronologicamente
definito, con successivo confronto con campioni presi dalle aree di cava presumibilmente pertinenti, una linea d’indagine, che,
al contrario, andrebbe ampliata e rafforzata,
perché in grado di fornire maggiori certezze
nella trattazione delle strutture già evidenti,
nuove indicazioni per lo sfruttamento territoriale e per la cognizione tecnica e possibili
acquisizioni finalizzate ad operazioni di
I materiali lapidei nelle costruzioni di età fenicia e punica a Cartagine
restauro.
Come si è visto dai dati sopra riportati,
pare possibile rilevare una differenza tra
funzione strutturale e funzione decorativa espletate dal materiale litico impiegato:
infatti, se per apparati semplici e non particolarmente monumentali si sono ricercati
giacimenti geologici di facile sfruttamento
e, soprattutto, vicini al sito in cui saranno
utilizzati, l’approvvigionamento di materiali
più pregiati o, forse, semplicemente più apprezzati per apparati decorativi si è indirizzato anche verso aree territoriali più distanti
(Fig. 2), con un conseguente impegno anche
dal punto finanziario, se non altro per questioni di trasporto.
A conclusione di questa breve annotazione basata sui dati a nostra disposizione in
relazione all’impiego della pietra all’interno
delle realizzazioni strutturali di Cartagine, si
possono proporre due rapide considerazioni:
nella metropoli punica, il tipo litico che pare
predominare è l’arenaria, che pur con le differenze di taglio e trattamento derivate dalle
peculiarità litologiche di ciascun giacimento, compare costantemente nelle murature e
fornisce la base per elementi architettonici
decorativi come colonne, pilastri o capitelli,
rifiniti in stucco bianco o, talvolta, policromo; i vari tipi di calcare, invece, sembrano
trovare un’applicazione minore nelle realizzazioni murarie, essendo riservati per la
fattura di componenti accessorie come le
soglie o le vere di pozzo e, nel caso di calcari colorati o marmi, di elementi decorativi
e inserzioni pavimentali. Dal punto di vista
cronologico, mentre l’arenaria, anche pro-
15
veniente da cave non esattamente vicine a
Cartagine, compare sin dalle fasi più antiche, i calcari colorati sono generalmente riferibili a manufatti di epoca tardo-punica;
su questa base si potrebbe presumere che
l’intenso utilizzo di arenaria abbia condotto
ad uno sfruttamento dei giacimenti di grande impatto sul contesto geomorfologico,
mentre la quantità assai limitata dei calcari
potrebbe indiziare un’attività circoscritta e
non ancora costante di estrazione, quasi un
primo stadio d’intervento sulle risorse litologiche di un territorio, che si configura,
però, arealmente più ampio rispetto a quello
interessato dalle cave di arenaria. In maniera
ipotetica, si potrebbe legare questa differenziazione sia alla questione del rapporto col
territorio (nelle fasi più antiche connessione
più stretta con aree limitrofe quali il Capo
Bon, nelle fasi tarde ampliamento dei bacini di approvvigionamento fino alla regione
di Thuburbo Maius, forse conseguenza di
un controllo diretto da parte della metropoli
punica di tali territori), sia alla prospettiva
di una elaborazione del gusto architettonico
più incline a modelli ellenistici.
La seconda annotazione, infine, riguarda
l’aspetto tecnico e, al contempo, economico, che presiede all’attività estrattiva: se le
cave stesse possono indicare l’approccio allo
sfruttamento del patrimonio geologico di una
regione, è da sottolineare il principio di economia e qualità che sembra determinare la
scelta dei materiali.80
La facilità di reperimento e un costo certo minore facevano prediligere pietre relativamente morbide e non necessariamente
16
Antonella Mezzolani
Fig. 2. Carta dei giacimenti di calcari colorati (sub-marbles) in territorio cartaginese (da Bullard 1978,
fig. 1. Copyright Kelsey Museum, University of Michigan).
I materiali lapidei nelle costruzioni di età fenicia e punica a Cartagine
sbozzate per apparati murari, che spesso,
però, richiedevano ortostati, catene d’angolo o montanti di soglie più solidi, costituiti
generalmente da blocchi regolarmente sbozzati e di maggiore impegno volumetrico, per
ottenere i quali, staticamente più solidi anche se di maggior prezzo, ci si rivolgeva a
cave anche non immediatamente adiacenti,
come nel caso di El Haouaria. Non si è in
grado di comprendere come la costruzione
fosse programmata, cioè, in questo caso, chi
scegliesse i materiali per le strutture murarie
e attraverso quali tramiti li si potesse ottenere; certo è che un circuito commerciale e
organizzativo doveva connettere le cave di
17
estrazione, gli addetti al trasporto e i componenti del cantiere di costruzione. Di tutto
questo percorso, purtroppo, a noi sono note
solo alcune tappe, cioè l’attività estrattiva e
la realizzazione edilizia, mentre ci sfugge
del tutto, almeno per ora, l’organizzazione
amministrativa delle cave, i meccanismi di
vendita e trasporto del materiale, il ruolo
delle maestranze e delle committenze nella
realizzazione strutturale.
Antonella Mezzolani, Dott.ssa
Via E. De Nicola, 3
I-61100 Pesaro
[email protected]
BIBLIOGRAPHY
Le abbreviazioni utilizzate per le riviste periodiche sono conformi alla lista proposta da Hermann, W. et
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I materiali lapidei nelle costruzioni di età fenicia e punica a Cartagine
21
NOTE
1
Plinio, Nat. Hist., XXXVI, 166: “E reliqua multitudinem lapidum tofus aedificiis inutilis est mortalitate, mollitia. Quaedam tamen loca non alium habent, sicuti Carthago in Africa. Exestur halitu maris, friatur vento, euerberatur imbri. Sed cura tuentur picando parietes, quoniam et tectorii calce eroditur, sciteque dictum est ad tecta
eos pice, ad uina calce uti, quoniam sic musta condiunt” (ed. Les Belles Lettres 1981).
2
Per i materiali utilizzati a Cartagine e per le risorse geologiche nelle immediate vicinanze della città, cf. Cintas
1959, 137-139; Bullard 1978, 3-25.
3
Ad esempio per le cave litoranee Slim et al. 2004, 258-263, mentre per le potenzialità odierne di sfruttamento
dei giacimenti di marmo Gaied et al. 2000.
4
Un progetto FIRB su “Marmi antichi dell’Africa Proconsolare e della Mauretania: studi archeometrici archeo-
logici e storici”, recentemente attivato e coordinato da P. Pensabene Perez, vede impegnati il Dipartimento di
Scienze dell’Antichità dell’Università “La Sapienza” di Roma, il Laboratorio di Analisi dei Materiali Antichi
del Dipartimento di Storia dell’Architettura dell’Università Iuav di Venezia, l’Istituto di Geologia Ambientale
e Geoingegneria del C.N.R. Sebbene le linee di ricerca del progetto siano più indirizzate alla fase romana di
estrazione e utilizzo dei marmi, è plausibile (e auspicabile) che anche la precedente epoca punica venga presa in
esame.
5
Nel corso di uno studio preliminare J. Cintas ha proposto una distinzione nell’impiego di pietre diverse come
materiali di costruzione a Cartagin, supponendo che in epoca punica il tufo venisse utilizzato per opere ordinarie, l’arenaria conchiglifera per edifici pubblici, porte cittadine e opere difensive e il calcare bianco come supporto per iscrizioni: Cintas 1959, 139
6
7
Per questi giacimenti, Bullard 1978, 4-10; Rakob 1984, 15-16.
Le menzioni di conci non lavorati in arenaria sono numerosissime, ma non si trova mai una precisa identificazi-
one del giacimento litico: per questo motivo, l’attribuzione al giacimento di Amilcar può essere solo ipotizzata,
vista la poca distanza di questo giacimento da Cartagine. Per le costruzioni sulla collina di Byrsa, cf., a titolo
esemplificativo, Lancel & Thuillier 1979, 226-228; anche nel settore delle ville sulla costa manca una precisa
identificazione del litotipo cui riferire conci di dimensioni ridotte e poco lavorati.
8
9
Rakob 1995, 437.
Si impiega la definizione di “arenaria”, che in qualche caso è definita “à ciment calcaire” (Slim et al. 2004,
258), anche se, talvolta, il materiale proveniente da El Haouaria è definito Foraminiferkalk o calcaire à foraminifères.
10
Arenaria del Capo Bon (forse dalle alture litoranee del Korbous) viene citata per i blocchi di notevoli dimensioni
delle fondazioni del muro marittimo e per i muri perimetrali delle insulae del quartiere costiero di Cartagine:
Rakob 1984,16.
11
Per la copertura delle tombe a fossa erano utilizzate, secondo H. Benichou-Safar, pietre locali, come il teffaz
dell’istmo, il tufo della Soukra e l’arenaria conchiglifera di El Haouaria: Benichou-Safar 1982, 98. Nella necropoli rinvenuta sotto il Quartier Hannibal sulla collina di Byrsa, si è segnalato un grande apparato in lastre
di arenaria di El Haouaria probabilmente pertinente ad una grande tomba costruita (Lancel 1982c, 148), mentre
lo stesso materiale pare utilizzato anche per tombe a cassone, tutte della metà del VII sec. a.C. circa (A. 194; A.
195 e 196; forse A. 128): Lancel & Thuillier 1979, 191-192; Lancel 1982d, 298-300, 301. Sempre sulla collina
di Byrsa, vicino alla cattedrale di Saint-Louis, è stata individuata una tomba a camera in blocchi di El Haouaria
attribuibile all’incirca all’ultimo quarto del VI sec. a.C.: Morel 2001, 241-245. Nell’area di Bordj Djedid, per
alcune tombe a cassone di età punica risultano impiegate lastre in pietra di El Haouaria: cf. Vernaz 1887, 153.
12
Cf., ad esempio, Niemeyer et al. 1993, 201-244.
13
Fase IVa della casa I: Docter et al. 2006, 88, Abb. 25 (Schicht IVa, 4).
14
Rakob 1991a, 55.
15
Hurst 1994a, 48; Rakob 1984, 10; Rakob 1987, 335-336; Stanzl 1991b, 211.
22
Antonella Mezzolani
16
Blocchi crollati degli apparati murari del grande edificio e lastre per la pavimentazione del cortile, oltre a vari
elementi architettonici per i quali si daranno indicazioni in seguito: Rakob 1989, 174, 184; Rakob 1991a, 57, 58,
64, 68; Rakob 1995, 438.
17
Hurst 1975, 19; Hurst 1979, 26, 30; Hurst 1994a, 33, 48.
18
Per esempio nei gradini della rue II del Quartier Hannibal (Lancel 1982a, 32) o nel lastricato che copriva la
Weststraße nel settore residenziale sotto il Decumanus Maximus: Docter et al. 2006, 160.
19
Per il Quartier Magon, Stanzl 1991b, 211-212. Per il Quartier Hannibal, sulla collina di Byrsa, non si sono
trovate precise indicazioni di arenaria di El Haouaria utilizzata per ortostati della muratura in opus africanum,
ma è molto probabile che questi, ancor oggi visibili, siano stato tagliati in tale pietra, o, più genericamente, in
arenaria del Capo Bon. Anche nell’abitazione tardopunica di rue Astarté alcune murature hanno usufruito di ritti
verticali in arenaria conchiglifera di El Haouaria: Chelbi 1980, 33, 37.
20
Lastre di arenaria da El Haouaria eramo impiegate per le coperture delle cisterne: si veda, ad esempio, Schmidt
2006, 211.
21
Blocchi di grande apparato e elementi architettonici in arenaria di El Haouaria nel settore B dello scavo della
missione francese a Byrsa, probabilmente riferibili ad uno o più edifici monumentali, distrutti sistematicamente
forse durante la pianificazione augustea: Morel 1982, 182-89. Un altro ammasso di blocchi ed elementi architettonici in arenaria di El Haouaria sono stati individuati nell’area libera (strada o piazza) ad est degli isolati C ed
E: Thuillier 1982b, 159, 160 fig. 197. Infine, altri elementi architettonici, come basi, pilatri e colonne, capitelli
dorici, ionici, ed eolici angolari, gole egizie e cornici a becco di civetta sono stati recuperati in vari settori della
città, in particolare dal Quartier Hannibal e dall’edificio tardopunico di rue Ibn Chabâat, oltre che da rinvenimenti sporadici. Per un’analisi architettonica e per i riferimenti bibliografici precedenti si rimanda a Ferchiou
1989, 65-66, 77-82 (capitelli dorici); 83, 94 (capitelli eolici); 119, 124-127, 139 (capitelli eolici). Per elementi
architettonici con nucleo in arenaria di El Haouaria dall’area del porto, cf. Merlin 1912, 283; Hurst 1994b,
291.
22
Per il reimpiego di blocchi afferenti al muro marittimo e utilizzati per la limitazione delle insulae del II sec.
a.C., Rakob 1984, 10. Anche nel quartiere di abitazioni puniche della collina di Byrsa si potrebbe ipotizzare
un fenomeno di reimpiego di blocchi pertinenti a costruzioni architettonicamente più imponenti: cf. Ferron &
Pinard 1960-1961, 97, dove si menziona la possibilità di blocchi reimpiegati nell’isolato C, alcuni dei quali con
tracce di lettere puniche dipinte in rosso e marchi di cava (bipenne?).
23
Per definire lo stesso tipo di pietra si utilizzano sia il termine “calcare” sia quello di “marmo”, il che ha origine
nel fatto che alcuni dei calcari utilizzati, una volta lucidati, per la loro forte percentuale cristallina, possono
assumere un aspetto simile a quello del marmo. La definizione di sub-marble è applicata ad alcuni calcari che
trovano attestazione anche in epoca punica a Cartagine da Bullard 1978, pp.18-21
24
Lancel & Thuillier 1979, 231 nota 28, per una soglia ed una vera di pozzo (isolato C, unità abitativa 4) in calcare
grogio venato per il quale si propone ipoteticamente un’origine dalle cave del Djebel Djemaâ, in epoca punica
utilizzato di preferenza per le stele: Ferron 1975, 70.
25
Rakob 1991b, 225.
26
Oltre alla soglia e al puteale nell’abitazione 4, isolato C, già menzionati, in calcare grigio è la soglia d’ingresso
dell’abitazione E1, mentre, nella stessa unità abitativa, un altro tipo di calcare, bianco e a grana fine, è stato
impiegato in una soglia monolitica interna: Lancel 1982b, 125. Di un calcare bianco a grana fine scrive anche
J. Cintas, ma riferendosi in particolare ad uno sfruttamento di epoca romana e attribuendo per l’epoca punica a
questo tipo litico la funzione di supporto di iscrizioni nelle stele del tofet: cf. Cintas 1959, 138-39.
27
Soglia, larga 1,90 m, con, in posto, gli occhi di bandella in rame e una serie di incassi per le barre verticali di
chiusura: Chelbi 1980, 30.
28
Kunze & Niemeyer 2006, 255, n° 1007.
29
Rheidt 1991, 226.
30
Nell’area abitativa tardopunica sita sulle pendici della collina di Byrsa si è rinvenuto anche un elemento architettonico non ricavato dalla consueta arenaria: si tratta di una base ionizzante in schisto grigio-blu, estremamente
frammentaria e reimpiegata in un apparato murario: Ferron & Pinard, 1960-1961, 129, n° 320, pl. LI; Ferchiou
I materiali lapidei nelle costruzioni di età fenicia e punica a Cartagine
23
1989, 28 (N° I. II. A3).
31
Nell’area del Quartier Magon, si sono recuperati tre frammenti di una base in calcare nero venato di gialloarancio e attribuito alle cave di Thala: Stanzl 1991a, 47. Altre basi in marmo nero, attribuito alle cave di Thala,
sono state recuperate anche nel settore di rue Ibn Chabâat: Rakob 1989, 183; Rakob 1995, 432 Taf. 119, 3.
Per cave di Thala si è inteso, forse, il giacimento del Djebel Boulahnèche, che ancor oggi fornisce un calcare
nero con venature bianche e/o rosse e che viene identificato commercialmente come Thala noir: Gaied 2000,
38. Occorre anche dire che questo marmo non differisce molto, almeno ad un esame macroscopico dal calcare
nero del giacimento di Ain El Ksir, nei pressi di Chemtou, quindi non si può escludere la provenienza da questa
regione, fondamentale snodo viario da verso Hippo Regius e Tabarka: Rakob 1991b, 225. Per il giacimento di
Ain El Ksir: Röder 1993, 52-53.
32
Un frammento di zoccolo profilato e di una base ionico-attica sono stati recuperati nello strato di pianificazione
augustea sovrapposto al Quartier Magon: Rakob 1991b, 225, Abb. 48, 49; Rakob 1995, 430, in particolare nota
52, in cui si sostiene che in base al materiale ceramico tale giacimento era presumibilmente sfruttato già in epoca
tardopunica. Per le cave del Djebel Ichkeul e la varietà di marmi ivi reperibile, cf. Ferchiou 1980, 130-35; Röder
1993, 18-19. Il marmo estratto da queste cave è cromaticamente assai vicino al famoso marmor numidicum di
Chemtou, il cui sfruttamento inizierà solo nella seconda metà del II sec. a.C.
33
La base è stata ritrovata in un’area abitativa di carattere apparentemente modesto, contestualmente a più usuali
elementi architettonici in arenaria di El Haouaria, rivestiti da stucco bianco: Rakob 1987, 9.
34
“Pavimenta Poenica marmore Numidico constrata”, così Festo spiega ai suoi lettori che cosa debba intendersi
per pavimenti punici, riportando un’invettiva di Catone contro il lusso delle ville romane piene di decorazioni
“maximo opere citro atque ebore atque pavimentis poenicis”. Per l’esame filologico del passo si rinvia alle
osservazioni di Bruneau 1982, 639-655 e Gaggiotti 1988, 215-228, sottolineando come quest’ultimo autore abbia letto nel brano una possibile conferma di uno sfruttamento delle cave di Chemtou in epoca cartaginese, in
consonanza con quanto già proposto da Gsell 1972, 50. Di diversa opinione Moscati 1972, 490-491; Dunbabin
1978, 180 nota 25; Bruneau 1982, 649-51.
35
La provenienza di questo marmo bianco impiegato per i tessellati non è mai stata provata, ma, secondo Rakob,
sulla base della tessitura macrocristallina si potrebbe pensare ad una importazione dal Mediterraneo orientale,
per quanto esista in territorio algerino una vasta area di cave di marmo bianco a grana fine, nel Djebel Filfila:
Rakob 1991b, 225. Filoni bianchi superficiali si trovano anche accanto a cave di calcari colorati, ma non ne è
provato lo sfruttamento in epoca così antica.
36
Rakob 1991b, 222, 225.
37
Bullard 1978, 18.
38
Per alcuni calcari di colore nero in Tunisia, denominati neri antichi, si veda ora Fornaseri et al. 1995, 238-39;
Agus et al. 2006; Lazzarini et al. 2006.
39
Sulle cave antiche del Djebel Aziz, cf. Ferchiou 1973, 633-42. Per la composizione e le caratteristiche di questo
calcare (sub-marmo), cf. Bullard 1978, 18-19.
40
Röder 1993, 52-53.
41
Rakob 1991b, 221-222.
42
Rakob 1991b, Farbtaf. 70, 21: esempio di tessellato bianco con tessere in calcare nero disposte in ordine sparso,
dalla casa III.
43
Lancel & Thuiller 1979, 235 nota 42
44
Chelbi 1980, 32-33
45
Renault 1912, 364.
46
Chelbi 1985, 82-84: il pavimento sigilla uno strato di IV sec. a.C.
47
Il pannello geometrico, in cui ad un quadrato centrale in tessere nere, segue una fascia in bianco, circondata da
una banda a scacchiera bianca e rossa, a sua volta rifinita da un’alta fascia bianca, appartiene alla stanza E della
casa ISud, fase VIII (circa 250-146 a.C.): Schmidt 2006, 207-209.
24
Antonella Mezzolani
48
Rakob 1991b, 223, Abb. 47, Taf. 53 d-g.
49
Rakob 1981, 129, Taf. 62, 6; Rakob 1991b, 222.
50
Diodoro XX, 6, 3; Strabone XVII, 3, 16.
51
Tutta la costa del Capo Bon, in cui si localizzano anche le cave di El Haouaria, rientra nelle formazioni eoliche
würmiane che forniscono un’arenaria a cemento calcareo, di grana più o meno grossolana, di colore che va
dall’ocra al giallastro, con forte percentuale di residui conchigliferi, dalla cui alterazione deriva il caratteristico
aspetto vacuolare: per le formazioni quaternarie litoranee in Tunisia e per la cave di sfruttamento in antico,
Paskoff & Trousset 1995, 57-66; Slim et al. 2004, 258-263.
52
Cf. Rakob 1984, pl. 14-16.
53
In via ipotetica J. Röder ha indicato come possibile l’epoca tardo-punica per lo sfruttamento di queste cave, più
intensamente utilizzate nei periodi successivi: “Zur Altersfrage geben die brüche auf Anhieb wenig her. Sie gleichen sehr den Brüchen der Mareotis. Doch machen sie im allgemeinen einen urtümlicheren Eindruck. Ich halte
bei allem Vorbehalt, der bei solchen noch nicht Denkmälern angebracht ist, ein punisches bis frührömisches
Alter für möglich”: Rakob 1984, 22 nota 46. Secondo Guérin, la somiglianza tra queste cave sotterranee e installazioni simili da lui osservate in Palestina poteva costituire un indizio per l’ipotesi di un loro funzionamento in
epoca punica: cf. Guérin 1862, 226-228.
54
Cf. Rakob 1984, pl. 14-16.
55
Delle tacche incise sulle pareti perpendicolari dei pozzetti d’ingresso alle camere sotterranee dovevano servire
per l’ingresso e l’uscita dei cavatori e rievocano sistemi simili visibili nei pozzi d’attingimento idrico, così come
nei pozzi di discesa alle tombe: cf. Rakob 1986, fig. 27.
56
Per quanto riguarda la quantità totale che si può presumere estratta dalle cave di El Haouaria, unificando sia
quelle sotterranee sia quelle a cielo aperto circostanti, si è parlato di 250.000 mc circa: Rakob 1984, 19.
57
Fantar 1984, 287.
58
Cf. Rakob 1984, 22.
59
Ferchiou 1973; il giacimento di marmi grigio-chiaro e nero sembra sfruttato in maniera intensiva in età romana
per manufatti che si sono localizzati a Thuburbo Maius, Uthina, Mactar, Dougga e Cartagine.
60
Ferchiou 1980, 130-35. I marmi estraibili da questa area sono bianco-grigi e policromi. Lo sfruttamento in
antico è sicuro solo per le vene policrome, mentre per quelle bianco-grigie c’è solo l’apporto della tradizione
orale.
61
Generalmente il blocco veniva definito su tre lati da un solco inciso a piccone; una volta che i blocchi erano così
inquadrati si procedeva al distacco dal piano di fondo o con l’incisione di un solco inferiore o con l’inserzione
di un cuneo che, in seguito ad un colpo ben assestato, procurava la frattura in piano. In alcuni casi venivano
impiegati cunei di legno, conficcati a distanza regolare sulle linee di definizione del blocco e, poi, bagnati, in
modo tale che l’espansione del legno inumidito provocasse il distacco del manufatto: Kozelj 1988, 39. In tutte
le cave in esame, fossero esse a cielo aperto o in galleria sotterranea, si sono trovate tracce dei solchi d’incisione
e/o dei cunei: cf. Rakob 1984, 18-19, 21 Abb. 3 (El Haouaria); Ferchiou 1973, 642 (Djebel Aziz).
62
Cf. Ferchiou 1973, 642; Paskoff & Trousset 1995, 63.
63
Cf. Jodin 1975; Acquaro 1991, 549-58. Per mensa mensuraria da Leptis Magna, in cui compare il cubito di
51,55, attribuito alla cultura fenicia e punica, in correlazione con il piede greco-romano e il braccio tolemaico:
Joppolo 1967, 89-98.
64
Per la continuità d’impiego dei moduli metrici punici in Nord Africa in epoca romana imperiale: Barresi 1991,
479-502.
65
Sznycer 1991, 71; Sznycer 1995, 20.
66
Cf. C.I.S. I, 132 ; Amadasi Guzzo 1967, Malta 6, 23-25.
67
Bonnet 1990, 118-121.
68
Martin 1965, 222-224.
7
I materiali lapidei nelle costruzioni di età fenicia e punica a Cartagine
25
69
Cf., da ultimo, Zirone 2003, 1358 nota 7, 1370.
70
Di Stefano 1993, 22, 54 tav. I, 2.
71
Di Stefano 1998, 87 fig. 4, 88.
72
Romanelli 1925, 77; Joppolo 1967, 89, 91 fig. 2, 96 fig. 5
73
Tomasello & De Simone 2005, 331-342.
74
Ferron & Pinard 1960-1961, 97, pl. VIII fig. 1; altri blocchi, sempre reimpiegati nella stessa struttura, hanno
mostrato invece marchi di cava incisi (dalla nota parrebbe di comprendere che si tratti di bipenne).
75
Merlin 1912, 281-82.
76
Morel 1991, 38 per una lettera punica incisa e due dipinte che compaiono sullo stesso blocco.
77
Merlin 1912, 281-283 (lettere puniche incise); Thuillier 1982a, 74 nota 37 (stella inscritta in un cerchio); Morel
1982, 184, 187 fig. 284 (cerchio e croce inscritta ad incisione); Thuillier 1982a, 79 nota 56 (ascia bipenne); Morel 1982, 189 fig. 236a (blocco di trabeazione a becco di civetta, con vari segni incisi sul retro, tra cui un’ascia
bipenne). Per la presenza di una figurazione di ascia bipenne a Leptis Magna, Tomasello & De Simone 2005,
341.
78
Nel caso di cave in camere sotterranee, come quelle di El Haouaria, i blocchi erano prima sollevati all’esterno,
probabilmente con l’ausilio di una capra a verricello, poi trascinati verso la riva, da dove erano caricati su imbarcazioni: Rakob 1984, 22. Il sistema che utilizza cammini di evacuazione in pendío sembra comune a tutte le
cave litoranee della costa tunisina: Paskoff & Trousset 1995, 61-63.
79
Sui testi relativi a costruzioni pubbliche, in cui sono indicati i ruoli delle maestranze, Sznycer 1991, 69-81.
80
L’adattamento delle tecniche edilizie ai materiali locali sembra un principio irrinunciabile nelle regioni nord-africane in epoca preromana e, d’altronde, è fortemente sottolineato anche nelle prescrizioni di Vitruvio, De Arch.,
I, V, 8: “De ipso autem muro, e qua materia struatur aut perficiatur, ideo non est praefiniendum, quod in omnibus
locis, quas optamus copias, eas non possumus habere. Sed ubi sunt saxa quadrata siue silex seu caementum aut
coctus later siue crudus, his erit utendum... sic item possunt omnes regiones sui locorum proprietates habere
tanta eiusdem generis utilitates, uti ex his comparationibus ab aeternitatem perfectus habeatur sine uitio muro”.