L`articolo del Quotidiano Nazionale sulla nostra mostra 2011
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L`articolo del Quotidiano Nazionale sulla nostra mostra 2011
LUNEDÌ 12 SETTEMBRE 2011 il caffè del lunedì 27 IL GIORNO - LA NAZIONE - IL RESTO DEL CARLINO CULTURA E SOCIETÀ Libertà, arte, genialità Gli anni folli di Parigi 1918-1933: i capolavori di un periodo irripetibile Claudio Spadoni · FERRARA «COME Atene ai tempi di Pericle, oggi Parigi è la città dell’arte e dell’intelletto per eccellenza». Com’era sua abitudine, De Chirico non usava mezze misure, e aggiungeva che dunque era in quella capitale culturale del mondo, che ogni vero artista doveva «esigere il riconoscimento dei propri meriti». A quella data il nostro pittore, dalle alterne fortune in patria - basti pensare alla stroncatura di Roberto Longhi, che 6 anni prima aveva di fatto sancito la fine dell’esperienza metafisica - era diventato quasi un idolo per i surrealisti, dopo che, diversi anni prima, Apollinaire, il vate dell’avanguardia parigina, ne aveva colto l’inquietante, diversa modernità rispetto ai suoi amici cubisti. Ma Apollinare se l’era portato via la febbre “spagnola”, e sepolto proprio il giorno in cui Parigi era in festa per la fine della Grande Guerra. UN TEMPO già lontano. Come già lontani potevano sembrare gli albori del secolo, con la capitale francese brulicante di artisti giunti da ogni parte d’Europa, calamitati dal mito della ville lumière. Tutti in cerca di gloria, ma con diversa fortuna; per buona parte miseramente accasati a Montparnasse, e senza futuro, qualche altro destinato alla celebrità, o a diventare comunque un protagonista riconosciuto. Magari dopo una morte prematura, come il nostro Modigliani. In ogni caso, come avrebbe detto più tardi Getrude Stein, la Parigi dei primi decenni del secolo «era il posto dove bisognava essere per essere liberi». Certo la guerra fu uno spartiacque di non poco conto. Indusse anche chi ne era uscito meno traumaticamente, a correggere la prospettiva. Un diffuso “rappel à l’ordre”, indusse a riconsiderare la tradizione, l’ordine appunto, la compostezza della classicità, come valori da recuperare, pur senza che si spegnessero le fiammate innovative che avevano scosso dalle fondamenta il mondo dell’arte. Ed è proprio a partire dalla fine della Grande Guerra che prende avvio la mostra, davvero affascinante, ricca di capolavori, appena aperta (fino all’8 gennaio 2012) al Palazzo dei Diamanti di Ferrara: “Gli anni folli. La Parigi di Modigliani, Picasso e Dalì, 1918-1933”. E se proprio non sono gli “anni folli” della capitale france- LA MOSTRA DI FERRARA Modigliani, Picasso, De Chirico fino al surrealismo di Dalì e Mirò E due decenni dopo, New York se, è una stagione, questa, di una straordinaria, polifonica ricchezza artistica. Bene hanno fatto i curatori ad avviare il percorso espositivo con due grandi vecchi, reduci, si fa per dire, dell’epopea impressionista: Renoir, scomparso nel ‘19, e Monet nel ‘26. Ma subito dopo ci si trova in una sala bellissima, con un’adunata internazionale. Uno sfatto, sensuale ritratto femminile di Pascin, un latteo “nudo disteso” di Foujita, che dialoga per contrasto con uno d’un colore intenso, quasi ardente, di Modigliani, di cui si può ammirare anche l’incantevole “ragazzo con i pantaloni corti” . Poi, “La rossa” di Kisling e un favolistico “Gallo” di Chagall. Non poteva mancare Soutine, grande e stralunato talento, come si vede anche dal suo “Chierichetto” del 1925. La mostra documenta poi, dopo i nudi di Matisse e Maillol, le inflessioni decò di van Dongen e Tamara de Lempicka, la scultura filiforme di Calder, la fragranza del colore di Bonnard. Quindi, gli sviluppi del cubismo di “puristi” come Le Corbusier e Ozenfant, e poi Leger e Delaunay. A loro volta interpreti di variazioni personalissime dei principi cubisti esemplificati dalla triade canonica Picasso, Braque, Gris. ED ECCO poi il rigore “neoplastico” dell’astrattismo di Mondrian, sedotto a Parigi, più di 10 anni prima, dal cubismo analitico. E col suggestivo intermezzo della sala dedicata ai costumi per i “Balletti russi” e “svedesi”, con Larionov, Leger, Matisse e De Chirico, si ritrovano “Les italiens de Paris”: lo stesso De Chirico, accanto a Campigli, de Pisis, Severini, Savinio, in un clima di classicismo rivisitato, ma trasposto dai diversi protagonisti con inflessioni proprie inconfondibili. Quanto lontani, i nostri, dai dadaisti Duchamp e Man Ray, ottimamente rappresentati con lavori famosi, ma anche dal surrealismo di Dalì, Giacometti, Mirò, e con Magritte e Tanguy debitori dichiarati del nostro De Chirico. Un tempo irripetibile per Parigi, destinata nel volgere di nemmeno due decenni a passare il testimone a New York, dopo la Seconda, ancor più devastante guerra mondiale. «Questo premio non lo voglio» dell’inizio della cerimonia la propria soddisfazione per il conferimento del Premio». Subito dopo l’uscita di scena di Arbasino, anche il sindaco di Certaldo, Andrea Campinoti, ha preso la parola per difendere il premio dalle accuse rivolte. Alberto Alberto Arbasino Arbasino (foto (foto Germogli) Germogli) E LO HA FATTO senza se e senza ma, con un discorso breve ma molto sentito che gli è valso cinque minuti di applausi da parte del pubblico in sala. «Il Premio Boccaccio si fa da 30 anni con grande impegno e sacrificio da parte di molte persone, che passano mesi a contattare autori, valutare libri, cercare sponsor, organizzare la manifestazione in ogni dettaglio. Non siamo perfetti, e chiediamo scusa per i nostri difetti. Ma per la serietà e l’onestà con la quale lavoriamo, ci meritiamo e pretendiamo rispetto». B. B. Festivaletteratura: boom a Mantova · MANTOVA CON CIRCA 104mila presenze (rispetto alle 100mila dello scorso anno) si è chiuso ieri Festivaletteratura di Mantova. Un bilancio dunque più che positivo: 64mila i biglietti staccati e 40mila circa le persone stimate agli eventi gratuiti. Nella quindicesima edizione è aumentato anche il numero degli incontri: poco meno di 300 (l’anno scorso erano 288) e delle location. Il Festival è stato seguito molto anche sul sito e sulle pagine facebook e twitter. Si ripete l’anno prossimo, dal 5 al 9 settembre. FONDAZIONE MAGNANI ROCCA Prostitute, taverne e ballerine La grafica di Toulouse-Lautrec · MAMIANO DI TRAVERSETOLO (Parma) NON FU BACIATO dalla fortuna Henry de Toulouse-Lautrec, per quanto fosse il rampollo di una nobile famiglia. Si ritrovò con un corpo da adulto e arti da bambino, e una grave menomazione delle gambe. Visse trentasette anni (1864-1901), quanto bastò per diventare un artista tra i maggiori del suo tempo. Pittore, disegnatore straordinario, ma anche autore di “affiches” inconfondibili nella stagione della “Belle Époque” e della grande diffusione della grafica pubblicitaria. Toulouse-Lautrec fu un illustratore geniale, tagliente, talora amaramente ironico, o caustico, della società del tempo, o meglio di certi suoi aspetti. Non certo i più aristocratici, poiché la sua vita di artista si consumò prevalentemente non fra gli agi della nobiltà, ma fra la bohème di Montmartre. I SUOI INTERESSI si rivolsero in particolare alla pittoresca umanità della vita notturna: cantanti, ballerine, prostitute, frequentatori di caffé, di locali come il Moulin Rouge, o delle “maisons cloises”, oltre che di teatri. L’alcol e la sifilide lo sfibrarono precocemente, assieme a comprensibili crisi psichiche che tuttavia non gli impedirono di continuare a lavorare fin quasi all’ultimo. Ora la Fondazione Magnani Rocca gli dedica una mostra (aperta fino all’11 dicembre, con un ottimo catalogo edito da Mazzotta) che documenta soprattutto la sua opera di grafico ed esecutore di affiches, ma non senza offrire alcuni dipinti utili ad un confronto con opere di Monet, Renoir, Cézanne custodite dalla stessa Fondazione. Un confronto che chiarisce subito come Toulouse-Lautrec fin dagli inizi si fosse discostato non solo dai motivi naturalistici cari agli impressionisti, prediligendo il ritratto e la figura umana, ma fosse anche rimasto estraneo alle cangianti vibrazioni luminose, all’uso del colore che caratterizzavano il loro linguaggio. E un altro opportuno confronto è suggerito dalla presenza di alcune xilografie di grandi giapponesi come Utamaro, Toyokuni, Hokusai, Hiroshige, già ammirati dagli impressionisti che pure ne avevano fatto un uso diverso, e ancor più da Van Gogh, per cui Toulouse Lautrec nutriva grande ammirazione. Al punto da sfidare a duello (figurarsi, nelle sue condizioni!) un denigratore dello sventurato Vincent. NEL PERCORSO della mostra si incontrano figure divenute indi- menticabili grazie all’artista, come “La rossa dal giubbetto bianco”, una povera operaia notata per il suo viso “cavallino”; la “Demi-mondaine” Hélène Roland, avvinghiata a un anziano, repellente banchiere; la ballerina Jane Avril, grande amica dell’artista, che riconosceva che la sua celebrità era dovuta ai manifesti da lui realizzati. Poi René Bruant, chansonnier quindi proprietario del Mirlinton; le ballerine della compagnia di M.lle Eglantine, e molte altre figure di un mondo che non avrebbe più avuto un illustratore di tale grandezza. Claudio Spadoni Nelle foto: Divan Japonais (1893) e Napoleon (1895). Info sulla mostra, alla Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo, Parma: 0521 848327 / 848148 ) •