L`ultimo lupo - Cinema Primavera

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L`ultimo lupo - Cinema Primavera
«L'ultimo lupo» ha i difetti del
blockbuster ruffiano nei confronti
degli animali incalzati dal pericolo
dell'estinzione, ma offre allo
spettatore una tale sfilata di
sequenze maestose, paesaggi di
una bellezza incantevole e scene
venatorie avvincenti e realistiche
da farsi perdonare la non
iscrizione al club degli spettatori
smaliziati. Firmato dallo specialista in odissee ferine Annaud (...)
Impossibile pretendere (...) la
sociologia sulla vita dei nomadi e
neppure un'interpretazione ad alto
tasso filosofico dell'interazione
antropologica di sacro e soprannaturale, ci si può accontentare
delle riprese a rotta di collo tra i
boschi e le steppe della natura
primordiale.
Valerio Caprara
Il Mattino
26 Marzo 2015
Per chi (...) abbia già un forte
trasporto per questi misteriosi e
affascinanti animali, 'L'ultimo
lupo' di Jean Jacques Annaud è
imperdibile; ma alla fine del film
è probabile che ad amarli
saranno molti. (...) il cineasta
francese
ha
girato
nelle
sconfinate
pianure
della
Mongolia una pellicola che gli
dà modo di confrontarsi con le
sue tematiche preferite l'importanza del fattore paesaggistico, la dialettica uomonatura. Troppo schematico, il
copione non approfondisce i
personaggi, né conferisce rilievo
all'aspetto
politico/culturale
(ovvero la repressività del
regime cinese) contenuto nella
vicenda. Ma i primi piani dei lupi
e certe scene d'azione nella
tempesta sono di una tale
bellezza
da
riscattare
le
debolezze.
Alessandra Levantesi Kezich
La Stampa
26 Marzo 2015
Avventura a tutto schermo
capace di evocare Kurosawa e
Disney, quasi esente da
sdolcinati
antropomorfismi,
aggancia curiosità su mondi
lontani e suspense, con qualche
brutalità nel target 'per famiglie'.
Impressionante
la
lunga
sequenza dell'attacco notturno
alla mandria di cavalli nella
bufera di neve. Viene da un
best seller autobiografico e ha
conquistato l'immenso boxoffice
a mandorla. Il regista dell''Orso'
ha colpito ancora. Il prossimo
sarà 'L'ultimo cavallo'?
Silvio Danese
IL Giorno
27 Marzo 2015
Spettacolare
e
ingenuo,
fervente e (causa censura)
pudico, un filmone che ulula
tanto e azzanna pochino, tra
moniti
ecologisti,
derive
favolistiche
e
animismo
oleografico. Ah, super incassi in
patria: la Cina è vicina, anzi,
vicinissima a battere Hollywood.
Federico Pontiggia
Il Fatto Quotidiano
26 Marzo 2015
MERCOLEDI 29 APRILE 2015, ORE 16.30-19.00-21.15
GIOVEDI 30 APRILE 2015, ORE 19.00-21.15
Il cast tecnico.
Regia: Jean-Jacques Annaud.
Soggetto:
Jiang
Rong.
Sceneggiatura:
Jean-Jacques
Annaud, John Collee. Fotografia:
Jean-Marie Dreujou. Montaggio:
Reynald Bertrand. Musica: James
Horner.
Origine: Cina, 2015.
Durata: 2h02.
Gli interpreti.
Shaofeng Feng (Chen Zhen),
Shawn Dou (Yang Ke), Shwaun
Dou,
Ankhnyam
Ragchaa
(Gasma), Yin ZhuSheng (Bao
Shunghi), Ba Sen Zha (Bu
Biling), Baoyingexige (Batu).
La trama.
Chen Zhen, giovane studente
nella Cina della 'rivoluzione
culturale', è trasferito in Mongolia
per educare una comunità di
pastori nomadi. In quella terra,
piena di una bellezza selvaggia e
vertiginosa, è tuttavia Chen Zhen
ad apprendere qualcosa sugli
uomini e sui lupi, che il governo
comunista
ha
deciso
di
sterminare. Colpevoli di 'frenare'
l'avanzata del progresso della
Cina di Mao, i lupi vengono
abbattuti da cuccioli o dentro safari
crudeli, che alterano l'equilibrio
uomo-natura che le tribù mongole
avevano conquistato nei secoli.
Il cinema di Jean-Jacques
Annaud ha da sempre due
anime: qualche volta si 'diverte' a
precipitare i suoi protagonisti
dentro una cultura esotica
(Bianco e nero a colori, Sette
anni in Tibet) e qualche altra a
elevare gli animali a protagonisti
(L'orso, Due fratelli). Contrariamente al titolo e alle apparenze,
L'ultimo lupo appartiene alla
prima categoria. Blockbuster à
l'ancienne e adattamento del
romanzo di Lü Jiamin ("Il totem
del lupo"), L'ultimo lupo è una
storia cinese, raccontata da un
francese, sul tramonto del
nomadismo
mongolo.
'Raccomandato'
dalla
sua
amante, film censurato in Cina
ma il più visto illegalmente in
Cina, Annaud è stato ingaggiato
dalla China Film Group Corporation per girare in Mongolia un
bestseller locale sulla civiltà
nomade degli allevatori mongoli
e la colonizzazione comunista.
Favola spettacolare, dentro un
cinema classico e popolare,
L'ultimo lupo racconta l'avventura
di due allievi-precettori che
lasciano Pechino per alfabetizzare le comunità della Mongolia
Interna e finiscono invece
alfabetizzati. Sedotti da quell'idil-
lio pastorale e da un'arcaicità
serena, in cui uomini e animali
convivono in armonia, bevono
come il latte delle giumente le
parole del capo del villaggio,
che insegna loro i rudimenti di
un equilibrio ecologico fondato
su una cosmogonia animista. Il
regista francese svolge questa
educazione
concentrandosi
sullo sguardo di Chen Zhen,
portatore critico della rivoluzione
culturale di Mao. Nella magnificenza dei paesaggi e sotto lo
sguardo delle creature selvagge
della steppa, il film cerca e trova
il battito barbaro del cuore di
Chen
Zhen,
sorpreso
di
frequente in primo piano e
davanti all'orizzonte come in
una vecchia cartolina della
propaganda
comunista.
Cronaca della fine di un mondo
e di un modo di vivere, L'ultimo
lupo esalta col 3D l'animale del
titolo, divinità tutelare e predatore antico. Venerato e temuto dai
nomadi mongoli, il lupo condivide la scena con Chen Zhen e la
riempie con tutta la sua dignità.
Se il vento freddo e pungente
della steppa increspa la sua
pelliccia e lo coglie in piena
corsa, la terza dimensione trova
la sua ragione nei piani fissi,
che ne afferrano la consumata
immobilità e la maestosa
monumentalità. Misurando la
loro perfetta fotogenia, la regia
di Annaud elude esotismo e
antropomorfismo, privilegiando
un modello di messa in scena in
rilievo che rende addirittura
palpabile la presenza del lupo,
vicino
eppure
sfuggente.
Pioniere di questa tecnologia,
nel 1995 aveva girato in Imax
3D Wings of courage, l'autore
rileva, dentro un paesaggio
irriducibile e sotto il pretesto di
studiare i predatori di Chen
Zhen, la speranza chimerica di
una conciliazione tra onnivori e
carnivori, tra un uomo di buona
volontà e un animale selvaggio,
tra una cultura nomade e una
sedentaria, che muore di fame
e sogna una terra intorno al
lago in cui coltivare i suoi
cereali. Dentro il recinto, eretto
da Chen Zhen per crescere il
suo cucciolo, però qualcosa si
perde, una perdita ineluttabile,
forse necessaria ma irreparabile. Fuori intanto urlano i lupi,
lupi
senza
pelliccia
che
rompono un equilibrio ancestrale sparando agli animale e
soffocando la volontà di libertà
degli uomini.
Marzia Gandolfi
MyMovies.it
Jean-Jacques Annaud è un
regista dotato ma discontinuo.
Se si tratta però di adattare
bestseller, dirigere bestie feroci
e girare in luoghi impervi e
lontani, state certi che porterà a
casa il risultato. L’ultimo lupo,
tratto dal romanzo di Jiang
Rong (Il totem del lupo, ed.
Mondadori), arriva per lui al
momento giusto: dopo un
periodo
d’appannamento
culminato nel flop de Il principe
del deserto, Estremo Oriente
(dove aveva girato L’amante e
Sette anni in Tibet) e creature
selvagge confermano di avere
sul nostro un potere taumaturgico. Il lupo della Mongolia gioca
qui un doppio ruolo: da una
parte quello che fu de L’orso e
dei Due fratelli tigrotti, ovvero di
cuore simbolico dello scontro
tra natura e cultura: anche
questa è una favola ecologista
che mostra come l’equilibrio del
mondo venga messo in pericolo
non dagli animali - che uccidono solo per istinto - ma dalla
cattiveria degli uomini; dall’altra
diventa la bandiera di una
resistenza a un potere odioso e
determinato a portare avanti il
suo progetto di sterminio, che è
in primo luogo culturale.
Periodo e ambientazione siamo nel 1967, nel pieno della
Rivoluzione culturale di Mao e
dell’oppressione a danno delle
comunità nomadi della Mongolia - aggiungono una speciale
nota di “colore” a un impianto
narrativo che, pur spettacolare,
ingenuo e sentimentale, rivela
un coraggio e un’asprezza
inediti. Questo è un film da cui i
cinesi non ne escono benissimo, ciononostante lo hanno
voluto finanziare spendendo la
bellezza di 40 milioni di dollari
(ampiamente
ripagati
dal
botteghino di casa peraltro). Se
aggiungiamo che Annaud è lo
stesso regista che venne
messo al bando da Pechino
dopo Sette anni in Tibet, si
capisce quanto il significato
dell’operazione vada ben al di là
del suo valore intrinseco.
Gianluca Arnone
Cinematografo.it
Nel 1969, ai tempi della Rivoluzione Culturale, lo studente di
Pechino Chen Zhen è inviato
nell’interno della Mongolia per
educare al pensiero unico una
tribù di pastori nomadi. In quella
terra immensa e ostile, però, è il
giovane a imparare molte cose. A
cominciare dal rapporto misto di
paura e venerazione che intercorre
tra i pastori e i lupi, creature
totemiche e misteriose. Mentre un
rappresentante del potere centrale
vuole eliminare con ogni mezzo gli
animali dalla regione, Chen Zhen
salva un lupacchiotto e cerca di
addomesticarlo. Ora che il
pubblico cinese torna ad affollare
le sale, è il francese Annaud a
portare sullo schermo un libro
popolarissimo in Cina, realizzando
un blockbuster da 40 milioni di
dollari, quasi tutti stanziati da
quel Paese. Cantore degli
animali (L’orso, le tigri di Due
fratelli), sceglie la via della
semplicità narrativa, dando forma
a un racconto per famiglie anche
se non privo di momenti crudeli.
Col merito, non trascurabile, di
dimostrare che l’epica non è una
faccenda riservata alle saghe
hollywoodiane a puntate dirette
da registi tutti uguali tra loro.
Robertro Nepoti
La Repubblica
26 Marzo 2015