Sono camionisti speciali anche se loro dicono di
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Sono camionisti speciali anche se loro dicono di
esperienze motore della solidarietà il Sono camionisti speciali anche se loro dicono di no. Dai tempi della guerra nella ex Jugoslavia portano aiuti umanitari in Bosnia. Un viaggio lungo duemila chilometri. Con la guida sicura della Regina della Pace. Un’iniziativa che è nata a Viggiù, in provincia di Varese. Grazie all’associazione onlus Mir i Dobro di Elena Inversetti D icono di non avere fatto niente di straordinario, ma semplicemente ciò che era stato loro chiesto: “Non siamo gente speciale”, assicurano. Loro sono alcuni dei camionisti che dai tempi della guerra nella ex Jugoslavia offrono un passaggio sui loro camion agli aiuti umanitari che ogni anno partono da Viggiù, in provincia di Varese, e percorrono duemila chilometri per raggiungere i bisognosi della Bosnia. L’anima di questa iniziativa si chiama Chiarina Daolio, ex commercialista di Viggiù che con il marito Luciano ha dato vita all’associazione onlus “Mir i Dobro” (in serbo-croato: “Pace e Bene”). L’anima, sì, perché il motore, invece, ce lo mettono Luciano, Luigi, Ezio, Claudio e molti altri, protagonisti di una storia assai particolare che inizia con la guerra e termina a Medjugorje. Una storia avventurosa, non soltanto, come si potrebbe pensare, perché nata sotto le bombe, ma soprattutto perché racconta di un’avventura umana con il lieto fine, ossia la conversione di “gente per niente speciale”. piovevano bombe Luciano ha cinquant’anni anni e una ditta di trasporti: “Conoscevo Chiarina per motivi di lavoro”, ci racconta, “e il nostro rapporto si limitava all’ambito professionale. Poi un giorno mi telefona e mi dice di avere urgente bisogno di un camion per portare viveri e generi di prima necessità alla popolazione della 38 Medjugorje la presenza di maria 39 esperienze Bosnia. Una bella iniziativa, penso. Io sono cattolico, anche se non sono mai andato tanto in Chiesa, e aiutare gli altri mi ha sempre fatto piacere… ma in quel periodo sulla Bosnia piovevano le bombe! Ho subito pensato che Chiarina non avesse tutte le ruote a posto”. Per “tenerla buona” Luciano promette che ci avrebbe pensato, “ma dopo qualche giorno rieccola all’attacco: mi telefona per dirmi che ha pronto il carico e che ha bisogno del mio camion. Con me alla guida, ovviamente”. Non ha ancora capito perché, ma Luciano accetta: “Stavo vivendo un periodo difficile, perché mi ero appena separato, e i miei familiari erano molto preoccupati per la mia partenza”. Il viaggio, come quelli che seguirono e che per Luciano sono stati un centinaio, fu pericoloso e disseminato di ostacoli: “Chiarina all’inizio mi tartassava, ma io non ero granché entusiasta dell’impresa. Presto, però, mi sono dovuto ricredere”. Nonostante la paura fosse molta e giustificata – “A Mostar ci hanno sparato addosso” – il giusto incoraggiamento non mancava. La guida spirituale del convoglio – dai venti ai quaranta camion alla volta – era infatti Padre Jozo, il parroco di Medjugorje ai tempi delle prime apparizioni della Vergine, che ripeteva sempre di non preoccuparsi, perché “chi segue Cristo non può avere paura”. 40 Nell’immagine sopra, uno dei convogli organizzati da “Mir i Dobro” sulle strade della Bosnia. Nella foto sotto, finalmente giunti alla meta, i partecipanti a una delle spedizioni si concedono una fotografia in posa insieme alla “guida spirituale” della missione: Padre Jozo. Medjugorje la presenza di maria “Io sono un tipo che non sta tanto a pensare”, continua Luciano, “io vado, faccio, parto. Pensavo: se muoio sotto le bombe sono ben assicurato per entrare in Paradiso!”. Luciano con i suoi viaggi ha portato tanti aiuti e molta speranza, ma ha anche guadagnato qualcosa: “L’incontro con la Madonna di Medjugorje, dove spesso torno anche con mio figlio, che oggi ha ventidue anni, e un caro amico, Luigi, camionista come me e conosciuto proprio durante quei viaggi miracolosi”. In viaggio sempre la recita del rosario Ed è proprio Luigi, cinquantatre anni, di Torino, sposato con figli, anche lui titolare di un’azienda di trasporti, che ci racconta un altro pezzo della storia: “Ho saputo dei viaggi di Chiarina da alcuni colleghi camionisti e ho voluto partecipare anch’io. Volevo aiutare la povera gente sotto le bombe, ma non sapevo che avrei incontrato molto di più: la Madonna di Medjugorje. Io allora delle apparizioni non sapevo nulla”. Il primo viaggio di Luigi inizia nel maggio del 1993: “Eravamo pronti a dare gas ai motori, quando arriva il prete di Viggiù a benedirci. Io allora ero un cattolico tiepido e gli ho detto di voltarsi e di dare la sua benedizione ai morti del cimitero che stava alle nostre spalle, che per me non era ancora il momento”. L’iniziale baldanza, però, deve fare i conti con numerosi problemi: le difficoltà a passare la dogana, il tubo del gasolio che si rompe appena entrati in zona di guerra, la notte passata a dormire sul camion davanti alla cattedrale di Spalato per non farsi rubare il carico e le strade percorse di sera a fari spenti per evitare i cecchini. Luigi confessa di aver pensato di “tornare indietro, anche perché più volte abbiamo schivato i bombardamenti. A Mostar, una volta, ci hanno sparato addosso mentre scaricavamo la merce nel cortile dell’ospedale. La paura era tanta, anche se stranamente la fiducia era ancora di più. Forse perché tutti noi camioni- sti eravamo collegati via radio tra di noi e con Chiarina che ci precedeva su un’auto su cui viaggiava sempre un sacerdote. Molte ore di viaggio le abbiamo passate a recitare il Rosario”. Quando finalmente arrivarono a destinazione, dove si doveva scaricare la merce fra le macerie e le case distrutte, spuntarono “frotte di bambini che ci correvano incontro con le braccia tese. Era un mondo inimmaginabile per me, e a soli pochi chilometri da casa”. Ma la vera sorpresa fu l’arrivo a Medjugorje, un’esperienza che ha cambiato la vita di Luigi e della sua famiglia: “Con ‘Mir i Dobro’ ho fatto circa duecento viaggi, durante e dopo la guerra, ma quelli che ho fatto con i miei cari e i miei amici a Medjugorje non li ho contati. L’estate dopo la fine della guerra, io e alcuni amici camionisti ci siamo presi una pausa dai viaggi umanitari, ma ci siamo ritrovati tutti senza esserci dati appuntamento proprio a Medjugorje. Qui è nata un’amicizia per la vita, perché siamo 41 Missione umanitaria, ma anche pellegrinaggio. Giunti a destinazione, si scende dal camion e si ascende alla collina del Podbrdo, verso i luoghi delle apparizioni. esperienze stati toccati dalla mano di Maria. Qualsiasi intoppo sia accaduto non ci ha mai impedito di arrivare a destinazione, e questo non è mai avvenuto per nostra volontà, ma per la Sua intercessione. Ci ha sempre accompagnati e continua a farlo nel cammino di ogni giorno”. La carità è amore Quello che ha provato Luigi vale anche per Ezio, sessantatre anni, di Genova, che ha due camion: uno lo guida lui, l’altro suo figlio. Per “Mir i Dobro” ha fatto settanta viaggi, più altri cinque a Zagabria per il gruppo di preghiera di Medjugorje della sua città. La sua storia inizia prima della guerra: “Con la mia famiglia volevamo andare a Medjugorje e tramite il gruppo di preghiera di Genova ho contattato Chiarina. L’ho conosciuta così. Quando poi è scoppiata la guerra, io sono stato uno dei primi che Chiarina ha chiamato per organizzare i convogli umanitari. Io e mia moglie ci siamo messi subito a disposizione”. Ezio ha sempre portato con sé la consorte: “Lasciavamo i nostri due figli, che allora erano piccoli, a mia cognata e partivamo. Mia moglie mi segue ancora oggi e qualche volta è venuto pure mio figlio. L’ultimo viaggio l’ho fatto il febbraio scorso a Gospic”. Un sì incondizionato a una proposta poco ordinaria: “Quando siamo partiti la prima volta eravamo sul lastrico, il lavoro scarseggiava, ma siamo stati contenti. Questa esperienza, che aveva come meta le persone travagliate dalla guerra ma come guida la Madonna di Medjugorje, ci ha uniti e fortificati 42 Tra l’aprile 1992 e il dicembre 1995 la Bosnia Erzegovina è stata sconvolta da una feroce guerra civile, punteggiata da episodi di acclarato genocidio ai danni della popolazione civile. Si calcola che i morti siano stati oltre centomila, quasi la metà dei quali composta proprio da civili. Medjugorje la presenza di maria A destra, uno dei magazzini dove i partecipanti ai convogli di “Mir i Dobro” scaricavano gli aiuti. come famiglia, perché abbiamo vissuto l’amore inteso come carità che ci ha donato la gioia”. Chiarina è stata un’accompagnatrice speciale che “oltre a indicazioni pratiche, ci guidava nella preghiera. E prima della dogana si celebrava la Santa Messa. Ho visto parecchia gente che durante o dopo questi viaggi si è convertita”. Come quella volta che “abbiamo dato un passaggio a un ragazzo che diceva di voler andare ad aiutare i bambini sotto le bombe. A me e a mia moglie sembrava un po’ strano, forse perché siamo di un’altra generazione: era completamente rasato e portava un sacco di orecchini, anche sul naso. Lui è stato contento del passaggio, ma è rimasto un po’ sconcertato da tutti quei Rosari che recitavamo. Non se li aspettava. Così ha cominciato a tempestarci di domande e alla fine ha raccontato la sua triste storia di solitudine familiare e ci ha chiesto di accompagnarlo a Medjugorje”. Sulla via per la Bosnia questo giovane sbandato che non si era mai fatto troppe domande su Dio ha incontrato una compagnia di 43 amici che lo ha portato “sotto il manto della Madonna”. L’insospettabile E proprio questo è il desiderio e l’augurio espresso da molti pellegrini di Medjugorje, alcuni dei quali hanno incrociato la strada per la Bosnia sui camion di “Mir i Dobro”. Proprio come Claudio, un “insospettabile”. Architetto che ha sempre condotto una vita agiata ai margini della fede, per lui Cristo era solo un “maestro di socialismo”. Quello che non poteva prevedere fu la “sfacciataggine” di una sua compaesana, Chiarina, nonché allegra compagna di tante serate danzanti. Quando, infatti, il 24 agosto del 1992 Claudio tornò dalle vacanze estive, ricevette una sua telefonata: “Claudio, sono nei guai, ho un convoglio pronto per partire, ma mi manca un autista per un autocarro già carico. Per favore, puoi venire tu?”. Claudio disse di sì, “forse per spirito d’avventura”, ci racconta. E, infatti, quel viaggio si rivelò davvero ricco di sorprese: una ruota bucata, il telo del camion esperienze forato da decine di pallottole sparate dai cecchini, un bombardamento schivato solo di un quarto d’ora. Un’esperienza emozionante, dunque, diremmo anche toccante, ma nulla di più di una “bella avventura” da raccontare agli amici. Tre anni dopo, però, accadde qualcosa di inaspettato: “Chiarina mi ricontattò. La guerra era finita, ma c’erano ancora molte persone bisognose di aiuto: orfani, mutilati, ragazze madri, gente rimasta senza una casa”. Ma questa volta Claudio dovette fare i conti con la richiesta di un impegno serio, per il quale ci si deve credere. Per davvero. Non si trattava solo di fare del bene per mettersi a posto la coscienza: attraverso padre Jozo era stata proprio la Madonna di Medjugorje a chiedere aiuto per il popolo bosniaco. Claudio ricorda come le parole della Regina della Pace: “Se sapeste quanto vi amo, piangereste di gioia” siano state per lui una guida. Quella di Claudio è stata a tutti gli effetti una storia di conversione che ha cambiato radicalmente la sua vita: “Sono sempre stato un tipo razionale e riflessivo e ho sempre diffidato di tutto quello che non capisco. Ma quando ho iniziato ad andare a Medjugorje, piano piano, nonostante tutte le mie resistenze sono cambiato. Non che i miei problemi sul lavoro e in famiglia siano magicamente scomparsi, ma ho iniziato ad affrontarli diversamente”. Le attività di “Mir i Dobro”, infatti, sono in accordo con il messaggio della Regina della Pace del 13 dicembre 1984: “Senza amore non conseguirete nulla”. Questa storia, che si intreccia con quella di altri suoi compagni di viaggio, Claudio l’ha raccontata in un libro-diario intitolato, a ragione, Verso la Bosnia. Viaggio verso un credo. Non lo racconta nel suo libro né ai pellegrini che ogni anno accompagna a Medjugorje, ma a noi Claudio si è lasciato “sfuggire” che durante le sue trasferte è inspiegabilmente guarito da “un’allergia al sole che mi costringeva addirittura a guidare con i guanti di cotone” e ripete: “Ho sempre diffidato di quello che non capisco, ma quando ho iniziato ad andare a Medjugorje tutto per me è cambiato”. 44 Durante la guerra nella ex Jugoslavia la Regina della Pace ha protetto Medjugorje, che non è mai stata colpita durante tutta la durata del conflitto. Medjugorje la presenza di maria SOTTO LA SUA PROTEZIONE “Chi segue Cristo, non può avere timore” Il viaggio di “Mir i Dobro” e dei “suoi” camionisti inizia da Medjugorje, per impulso di una famiglia di Viggiù, un piccolo paese in provincia di Varese, vicino al confine con la Svizzera. Chiarina e suo marito Luciano si trovano in pellegrinaggio a Medjugorje nel 1991, proprio quando scoppia la guerra nella ex Jugoslavia, e riescono a tornare a casa sani e salvi dopo un viaggio rocambolesco. Passato lo spavento, rimane un pensiero fisso, come racconta Chiarina: “Che cosa possiamo fare per aiutare quel popolo imprigionato sotto le bombe?”. Il desiderio di portare aiuto è forte, ma altrettanto la paura. Lei e Luciano hanno due figli e un lavoro che li impegna molto: “La paura, non solo delle bombe, ma anche dell’incertezza di ciò che avrei fatto e incontrato mi paralizzavano”, spiega Chiarina, “ma sapevo che chi segue Cristo non può avere timore”. Così, su consiglio di un amico, anche lui pellegrino di Medjugorje, Chiarina si mette in contatto con Padre Jozo, che la invita a organizzare e a portare lei stessa gli aiuti umanitari. Padre Jozo è stato parroco di Medjugorje durante i giorni delle prime apparizioni della Vergine ed è stato lo strenuo difensore dei veggenti durante la loro persecuzione da parte del regime comunista jugoslavo. Lui stesso è stato incarcerato e torturato, ma è rimasto un punto di riferimento e una guida spirituale imprescindibile per la maggioranza dei pellegrini e dei fedeli di Medjugorje. È l’8 dicembre 1991 quando parte il primo convoglio umanitario di quella che presto diventerà l’associazione onlus “Mir i Dobro”, che in serbo-croato significa “Pace e Bene”. Chiarina ricorda: “Le granate piombavano prima e dopo il nostro passaggio, ma non ci colpirono mai. Sicuri della protezione di Maria e delle rassicurazioni di Padre Jozo, non abbiamo mai avuto paura. Soprattutto quando pernottavamo a Medjugorje, eravamo davvero protetti dal manto della Madonna. Non è stato un caso, infatti, che durante tutto il periodo del conflitto Medjugorje non sia mai stata colpita”. Per questo l’associazione, oltre a organizzare i pellegrinaggi a Medjugorje e la giornata annuale di preghiera al Palasharp di Milano, con la partecipazione di diecimila devoti alla Regina della Pace da ogni parte d’Italia, mette in campo numerose opere di carità. Come il Villaggio della Madre, una casa famiglia per bambini orfani di Medjugorje, le adozioni a distanza e il Centro Maria Nostra Speranza, in collaborazione con la Fondazione Don Gnocchi, che accoglie ragazzi disabili. 45