Rosso Malpelo

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Rosso Malpelo
Giovanni Verga
Rosso Malpelo
Vita dei campi
Anno: 1878
Temi: • la disumanità del lavoro nelle miniere • l’isolamento del protagonista dalla comunità
• la legge del sopruso che domina la società
Il capolavoro del primo Verga “siciliano” è questa lunga novella, pubblicata per la prima volta
sul «Fanfulla della domenica» tra il 2 e il 5 agosto 1878. Il testo illustra la sventurata esistenza
di un ragazzo vittima della miseria e della malvagità; egli via via, nel corso della narrazione, si
conquista una rabbiosa e disincantata consapevolezza su come va il mondo. Malpelo diviene in
tal modo un personaggio-simbolo della sopraffazione reciproca che governa la società.
왘 Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi;1 ed aveva i capelli rossi perché
era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire2 un fior di birbone. Sicché tutti alla cava della rena3 rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre, col
sentirgli dir sempre a quel modo, aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo.
Del resto, ella lo vedeva soltanto il sabato sera, quando tornava a casa con quei po- 5
chi soldi della settimana; e siccome era malpelo c’era anche a temere che ne sottraesse
un paio, di quei soldi: nel dubbio, per non sbagliare, la sorella maggiore gli faceva la
ricevuta4 a scapaccioni.
Però il padrone della cava aveva confermato che i soldi erano tanti e non più; e in
coscienza erano anche troppi per Malpelo, un monellaccio che nessuno avrebbe vo- 10
luto vederselo davanti, e che tutti schivavano come un can rognoso, e lo accarezzavano coi piedi,5 allorché se lo trovavano a tiro. Egli era davvero un brutto ceffo, torvo,
ringhioso, e selvatico. Al mezzogiorno, mentre tutti gli altri operai della cava si mangiavano in crocchio6 la loro minestra, e facevano un po’ di ricreazione, egli andava a
rincantucciarsi col suo corbello7 fra le gambe, per rosicchiarsi quel po’ di pane bigio, 15
come fanno le bestie sue pari, e ciascuno gli diceva la sua, motteggiandolo,8 e gli tiravan dei sassi, finché il soprastante9 lo rimandava al lavoro con una pedata. Ei c’ingrassava, fra i calci, e si lasciava caricare meglio dell’asino grigio, senza osar di lagnarsi. Era sempre cencioso e sporco di rena rossa, che la sua sorella s’era fatta sposa,10 e aveva altro pel capo che pensare a ripulirlo la domenica. Nondimeno era co- 20
nosciuto come la bettonica11 per tutto Monserrato e la Carvana,12 tanto che la cava dove lavorava la chiamavano «la cava di Malpelo», e cotesto al padrone gli seccava assai.
Insomma lo tenevano addirittura per carità e perché mastro Misciu,13 suo padre, era
morto in quella stessa cava.
II La morte 왘 Era morto così, che un sabato aveva voluto terminare certo lavoro preso a cottimo, 25
del padre
di un pilastro lasciato altra volta per sostegno dell’ingrottato,14 e dacché non serviva
I Malpelo 1
1. Malpelo... rossi: nella frase vi è l’eco di
una superstizione popolare, secondo cui i
capelli rossi sono indice di animo cattivo,
e perciò il ragazzo ha il soprannome di
Malpelo.
2. riescire: col senso di risultare, divenire;
la grafia comune è oggi riuscire.
3. rena: arena, sabbia, ovvero detriti di
roccia o terra molto fini, usati come materiale da costruzione.
4. ricevuta: documento che attesta la riscossione di ogni somma di denaro (qui
con valore amaramente ironico).
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5. lo accarezzavano coi piedi: lo prendevano a calci.
6. crocchio: gruppo.
7. corbello: il grosso cesto di vimini che
serviva per trasportare fuori dalla cava la
rena, munito di cinghia per essere retto
sulle spalle. Qui contiene cibo.
8. motteggiandolo: canzonandolo, prendendolo in giro.
9. il soprastante: colui che presiede ai lavori e li controlla.
10. s’era fatta sposa: si era fidanzata.
11. bettonica: erba molto comune, dalle
proprietà medicinali; si dice, metaforicamente, delle persone che si infilano in ogni
luogo per fare pettegolezzi.
12. Monserrato e la Carvana: località appena fuori Catania, verso le pendici dell’Etna, e oggi inglobate nella città.
13. mastro Misciu: in siciliano, mastro è
l’appellativo riservato a chi esercita un
mestiere manuale; Misciu è diminutivo di
Domenico.
14. ingrottato: cavità scavata, come una
grotta artificiale.
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più, s’era calcolato, così ad occhio col padrone, per 35 o 40 carra15 di rena. Invece
mastro Misciu sterrava da tre giorni, e ne avanzava ancora per la mezza giornata del
lunedì. Era stato un magro affare e solo un minchione16 come mastro Misciu aveva
potuto lasciarsi gabbare17 a questo modo dal padrone; perciò appunto lo chiamava- 30
no mastro Misciu Bestia, ed era l’asino da basto18 di tutta la cava. Ei, povero diavolaccio, lasciava dire, e si contentava di buscarsi il pane colle sue braccia, invece di menarle addosso ai compagni, e attaccar brighe. Malpelo faceva un visaccio, come se
quelle soperchierie19 cascassero sulle sue spalle, e così piccolo com’era aveva di quelle occhiate che facevano dire agli altri: – Va là, che tu non ci morrai nel tuo letto, co- 35
me tuo padre –.
Invece nemmen suo padre ci morì, nel suo letto, tuttoché fosse una buona bestia.
Zio Mommu20 lo sciancato, aveva detto che quel pilastro lì ei non l’avrebbe tolto per
venti onze, tanto era pericoloso; ma d’altra parte tutto è pericolo nelle cave, e se si sta
a badare a tutte le sciocchezze che si dicono, è meglio andare a fare l’avvocato.
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Dunque il sabato sera mastro Misciu raschiava ancora il suo pilastro che l’avemaria21 era suonata da un pezzo, e tutti i suoi compagni avevano accesa la pipa e se
n’erano andati dicendogli di divertirsi a grattar la rena per amor del padrone, o raccomandandogli di non fare la morte del sorcio.22 Ei, che c’era avvezzo23 alle beffe, non
dava retta, e rispondeva soltanto cogli «ah! ah!» dei suoi bei colpi di zappa in pieno, 45
e intanto borbottava: – Questo è per il pane! Questo pel vino! Questo per la gonnella di Nunziata! – e così andava facendo il conto del come avrebbe speso i denari del
suo appalto,24 il cottimante!25
Fuori della cava il cielo formicolava di stelle, e laggiù la lanterna fumava e girava al
pari di un arcolaio.26 Il grosso pilastro rosso, sventrato a colpi di zappa, contorcevasi 50
e si piegava in arco,27 come se avesse il mal di pancia, e dicesse ohi! anch’esso. Malpelo andava sgomberando il terreno, e metteva al sicuro il piccone, il sacco vuoto ed il
fiasco del vino.
Il padre, che gli voleva bene, poveretto, andava dicendogli: – Tirati in là! – oppure:
– Sta attento! Bada se cascano dall’alto dei sassolini o della rena grossa, e scappa! – 55
Tutt’a un tratto, punf! Malpelo, che si era voltato a riporre i ferri nel corbello, udì un
tonfo sordo, come fa la rena traditora allorché fa pancia28 e si sventra tutta in una
volta, ed il lume si spense.
L’ingegnere che dirigeva i lavori della cava, si trovava a teatro quella sera, e non
avrebbe cambiato la sua poltrona con un trono, quando vennero a cercarlo per il 60
babbo di Malpelo che aveva fatto la morte del sorcio. Tutte le femminucce di Monserrato, strillavano e si picchiavano il petto per annunziare la gran disgrazia ch’era toccata
a comare29 Santa, la sola, poveretta, che non dicesse nulla, e sbatteva i denti invece,
quasi avesse la terzana.30 L’ingegnere, quando gli ebbero detto il come e il quando,
che la disgrazia era accaduta da circa tre ore, e Misciu Bestia doveva già essere bell’e 65
arrivato in Paradiso, andò proprio per scarico di coscienza, con scale e corde, a fare il
15. carra: la quantità di materiale che può
essere contenuta in un carro; è una forma
di plurale, derivato dal neutro latino, e corrispondente a carrate.
16. un minchione: ingenuo tanto da farsi
imbrogliare.
17. gabbare: ingannare, imbrogliare.
18. basto: l’apposita bardatura delle bestie da soma, adatta per fissarvi il carico.
L’espressione indica una persona sottomessa, di cui tutti si approfittano.
19. soperchierie: soprusi, prepotenze.
20. Zio Mommu: zio e zia sono appellativi
che si usano in Sicilia per indicare i conoscenti, e non necessariamente i parenti;
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Mommu può essere diminutivo di Domenico, di Girolamo o di Romolo.
21. avemaria: la campana serale che invita alla preghiera.
22. la morte del sorcio: la morte di chi resta chiuso in trappola; qui come altrove il
corsivo è usato per indicare espressioni tipiche del linguaggio popolare.
23. avvezzo: abituato.
24. appalto: lavoro affidato a una persona
o a un’impresa dietro pagamento di una
certa somma.
25. cottimante: il lavoratore che aveva
preso l’appalto a cottimo (oggi diremmo a
forfeit).
26. arcolaio: strumento di legno girevole
intorno a un perno e mosso a mano o a
pedale; vi si dispongono le matasse di filo
che devono essere dipanate o avvolte su
un rocchetto.
27. contorcevasi... in arco: il pilastro, in
parte sventrato, aveva assunto la forma di
un arco; perciò sembrava contorcersi.
28. fa pancia: si rigonfia, prima di crollare.
29. comare: comare e compare sono appellativi comuni in Sicilia.
30. terzana: febbre malarica, che si manifesta ogni tre giorni.
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III Malpelo 2
buco nella rena. Altro che quaranta carra! Lo sciancato disse che a sgomberare il sotterraneo ci voleva almeno una settimana. Della rena ne era caduta una montagna,
tutta fina e ben bruciata dalla lava,31 che si sarebbe impastata colle mani, e dovea
prendere il doppio di calce.32 Ce n’era da riempire delle carra per delle settimane. Il 70
bell’affare di mastro Bestia!
Nessuno badava al ragazzo che si graffiava la faccia ed urlava, come una bestia davvero.
– To’! – disse infine uno. – È Malpelo! Di dove è saltato fuori, adesso?
– Se non fosse stato Malpelo non se la sarebbe passata liscia...33 –
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Malpelo non rispondeva nulla, non piangeva nemmeno, scavava colle unghie colà,
nella rena, dentro la buca, sicché nessuno s’era accorto di lui; e quando si accostarono col lume, gli videro tal viso stravolto, e tali occhiacci invetrati,34 e la schiuma alla
bocca da far paura; le unghie gli si erano strappate e gli pendevano dalle mani tutte
in sangue. Poi quando vollero toglierlo di là fu un affar serio; non potendo più graf- 80
fiare, mordeva come un cane arrabbiato, e dovettero afferrarlo pei capelli, per tirarlo
via a viva forza.
왘 Però infine tornò alla cava dopo qualche giorno, quando sua madre piagnucolando ve lo condusse per mano; giacché, alle volte, il pane che si mangia non si può andare a cercarlo di qua e di là. Lui non volle più allontanarsi da quella galleria, e ster- 85
rava con accanimento, quasi ogni corbello di rena lo levasse di sul petto a suo padre.
Spesso, mentre scavava, si fermava bruscamente, colla zappa in aria, il viso torvo e
gli occhi stralunati,35 e sembrava che stesse ad ascoltare qualche cosa che il suo diavolo gli susurrasse nelle orecchie, dall’altra parte della montagna di rena caduta. In
quei giorni era più tristo e cattivo del solito, talmente che non mangiava quasi, e il 90
pane lo buttava al cane, quasi non fosse grazia di Dio. Il cane gli voleva bene, perché i
cani non guardano altro che la mano che gli dà il pane, e le botte, magari. Ma36 l’asino, povera bestia, sbilenco e macilento,37 sopportava tutto lo sfogo della cattiveria di
Malpelo; ei lo picchiava senza pietà, col manico della zappa, e borbottava: – Così creperai più presto!
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Dopo la morte del babbo pareva che gli fosse entrato il diavolo in corpo, e lavorava al pari di quei bufali feroci che si tengono coll’anello di ferro al naso. Sapendo
che era malpelo, ei si acconciava ad esserlo38 il peggio che fosse possibile, e se accadeva una disgrazia, o che un operaio smarriva i ferri, o che un asino si rompeva una
gamba, o che crollava un tratto di galleria, si sapeva sempre che era stato lui; e infatti 100
ei si pigliava le busse senza protestare, proprio come se le pigliano gli asini che curvano la schiena, ma seguitano a fare a modo loro. Cogli altri ragazzi poi era addirittura crudele, e sembrava che si volesse vendicare sui deboli di tutto il male che s’immaginava gli avessero fatto gli altri, a lui e al suo babbo. Certo ei provava uno strano
diletto a rammentare ad uno ad uno tutti i maltrattamenti ed i soprusi che avevano 105
fatto subire a suo padre, e del modo in cui l’avevano lasciato crepare. E quando era
solo borbottava: – Anche con me fanno così! e a mio padre gli dicevano Bestia, perché egli non faceva così! – E una volta che passava il padrone, accompagnandolo
con un’occhiata torva:39 – È stato lui! per trentacinque tarì!40 – E un’altra volta, dietro allo Sciancato: – E anche lui! e si metteva a ridere! Io l’ho udito, quella sera! –
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31. bruciata dalla lava: la lava dell’Etna.
Essa ha modificato in profondità la natura
dei terreni circostanti il cratere.
32. il doppio di calce: la sabbia che veniva estratta dalla cava, costituita da sedimenti vulcanici, più è stata a contatto con
la lava incandescente, più è fine e si utilizza meglio, perché nell’impasto con la calce ne occorre meno. Perciò il narratore aggiunge Il bell’affare di mastro Bestia, un
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amaro commento, si deve supporre, dei
minatori circostanti.
33. passata liscia: sarebbe anche lui morto con suo padre. La salvezza del ragazzo
viene attribuita alla sua natura un po’ diabolica.
34. invetrati: fissi e inespressivi come fossero di vetro.
35. stralunati: sbarrati, stravolti.
36. Ma: la congiunzione avversativa logi-
camente non si lega con la frase precedente; caso mai con quella prima ancora. È un
segnale che il narratore sta riferendo discorsi di altri.
37. macilento: molto magro, debole.
38. ei si acconciava ad esserlo: egli cercava di esserlo.
39. torva: feroce, ostile.
40. tarì: moneta siciliana.
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왘 Per un raffinamento di malignità41 sembrava aver preso a proteggere un povero ragazzetto, venuto a lavorare da poco tempo nella cava, il quale per una caduta da un
ponte s’era lussato il femore, e non poteva far più il manovale. Il poveretto, quando
portava il suo corbello42 di rena in spalla, arrancava in modo che sembrava ballasse
la tarantella,43 e aveva fatto ridere tutti quelli della cava, così che gli avevano messo 115
nome Ranocchio; ma lavorando sotterra, così Ranocchio com’era, il suo pane se lo buscava. Malpelo gliene dava anche del suo, per prendersi il gusto di tiranneggiarlo, dicevano.
Infatti egli lo tormentava in cento modi. Ora lo batteva senza un motivo e senza
misericordia, e se Ranocchio non si difendeva, lo picchiava più forte, con maggiore 120
accanimento, dicendogli: – To’, bestia! Bestia sei! Se non ti senti l’animo di difenderti da me che non ti voglio male, vuol dire che ti lascerai pestare il viso da questo e da
quello!
O se Ranocchio si asciugava il sangue che gli usciva dalla bocca e dalle narici: – Così, come44 ti cuocerà il dolore delle busse, imparerai a darne anche tu! – Quando cac- 125
ciava un asino carico per la ripida salita del sotterraneo, e lo vedeva puntare gli zoccoli, rifinito,45 curvo sotto il peso, ansante e coll’occhio spento, ei lo batteva senza
misericordia, col manico della zappa, e i colpi suonavano secchi sugli stinchi e sulle
costole scoperte. Alle volte la bestia si piegava in due per le battiture, ma stremo46 di
forze, non poteva fare un passo, e cadeva sui ginocchi, e ce n’era uno il quale era ca- 130
duto tante volte, che ci aveva due piaghe alle gambe. Malpelo soleva dire a Ranocchio:
– L’asino va picchiato, perché non può picchiar lui; e s’ei potesse picchiare, ci pesterebbe sotto i piedi e ci strapperebbe la carne a morsi –.
Oppure: – Se ti accade di dar delle busse, procura47 di darle più forte che puoi; così
gli altri ti terranno da conto, e ne avrai tanti di meno addosso –.
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Lavorando di piccone o di zappa poi menava le mani con accanimento, a mo’ di
uno che l’avesse con la rena, e batteva e ribatteva coi denti stretti, e con quegli ah!
ah! che aveva suo padre. – La rena è traditora,48 – diceva a Ranocchio sottovoce; – somiglia a tutti gli altri, che se sei più debole ti pestano la faccia, e se sei più forte, o
siete in molti, come fa lo Sciancato, allora si lascia vincere. Mio padre la batteva sem- 140
pre, ed egli non batteva altro che la rena, perciò lo chiamavano Bestia, e la rena se lo
mangiò a tradimento, perché era più forte di lui –.
Ogni volta che a Ranocchio toccava un lavoro troppo pesante, e il ragazzo piagnucolava a guisa di una femminuccia, Malpelo lo picchiava sul dorso, e lo sgridava: –
Taci, pulcino! – e se Ranocchio non la finiva più, ei gli dava una mano, dicendo con 145
un certo orgoglio: – Lasciami fare; io sono più forte di te –. Oppure gli dava la sua
mezza cipolla, e si contentava di mangiarsi il pane asciutto, e si stringeva nelle spalle, aggiungendo: – Io ci sono avvezzo –.
V Malpelo 3 왘 Era avvezzo a tutto lui, agli scapaccioni, alle pedate, ai colpi di manico di badile, o
di cinghia da basto, a vedersi ingiuriato e beffato da tutti, a dormire sui sassi colle 150
braccia e la schiena rotta da quattordici ore di lavoro; anche a digiunare era avvezzo,
allorché il padrone lo puniva levandogli il pane o la minestra. [...]
La vedova di mastro Misciu era disperata di aver per figlio quel malarnese,49 come
dicevano tutti, ed egli era ridotto veramente come quei cani, che a furia di buscarsi
dei calci e delle sassate da questo e da quello, finiscono col mettersi la coda fra le 155
gambe e scappare alla prima anima viva che vedono, e diventano affamati, spelati e
IV Ranocchio
41. raffinamento di malignità: perfezionamento della cattiveria.
42. corbello: vedi nota 7.
43. tarantella: danza popolare meridionale, molto vivace (il nome viene da tarantola, perché chi è morso da questo ragno è
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agitato da continui movimenti isterici).
44. come: quando, non appena.
45. rifinito: voce toscana per “sfinito,
esausto”.
46. stremo: più comune come aggettivo
nella forma stremato.
47. procura: cerca.
48. traditora: l’uso della forma popolare
sottolinea la personificazione che Malpelo
fa anche delle cose.
49. malarnese: individuo poco raccomandabile.
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VI Le scarpe e i
calzoni del padre
selvatici come lupi. Almeno sottoterra, nella cava della rena, brutto, cencioso e lercio
com’era, non lo beffavano più, e sembrava fatto apposta per quel mestiere persin nel
colore dei capelli, e in quegli occhiacci di gatto che ammiccavano50 se vedevano il
sole. Così ci sono degli asini che lavorano nelle cave per anni ed anni senza uscirne 160
mai più, ed in quei sotterranei, dove il pozzo d’ingresso è a picco, ci si calan colle funi, e ci restano finché vivono. Sono asini vecchi, è vero, comprati51 dodici o tredici lire, quando stanno per portarli alla Plaja,52 a strangolarli; ma pel lavoro che hanno da
fare laggiù sono ancora buoni; e Malpelo, certo, non valeva di più; se veniva fuori
dalla cava il sabato sera, era perché aveva anche le mani per aiutarsi colla fune, e do- 165
veva andare a portare a sua madre la paga della settimana.
Certamente egli avrebbe preferito di fare il manovale, come Ranocchio, e lavorare
cantando sui ponti, in alto, in mezzo all’azzurro del cielo, col sole sulla schiena, – o
il carrettiere, come compare Gaspare, che veniva a prendersi la rena della cava, dondolandosi sonnacchioso sulle stanghe, colla pipa in bocca, e andava tutto il giorno 170
per le belle strade di campagna; – o meglio ancora, avrebbe voluto fare il contadino,
che passa la vita fra i campi, in mezzo al verde, sotto i folti carrubbi, e il mare turchino là in fondo, e il canto degli uccelli sulla testa. Ma quello era stato il mestiere di
suo padre, e in quel mestiere era nato lui. E pensando a tutto ciò, narrava a Ranocchio
del pilastro che era caduto addosso al genitore, e dava ancora della rena fina e bru- 175
ciata che il carrettiere veniva a caricare colla pipa in bocca, e dondolandosi sulle
stanghe, e gli diceva che quando avrebbero finito di sterrare si sarebbe trovato il cadavere del babbo, il quale doveva avere dei calzoni di fustagno quasi nuovi. Ranocchio aveva paura, ma egli no. Ei pensava che era stato sempre là, da bambino, e aveva
sempre visto quel buco nero, che si sprofondava sotterra, dove il padre soleva con- 180
durlo per mano. Allora stendeva le braccia a destra e a sinistra, e descriveva come
l’intricato laberinto delle gallerie si stendesse sotto i loro piedi all’infinito, di qua e
di là, sin dove potevano vedere la sciara53 nera e desolata, sporca54 di ginestre riarse, e
come degli uomini ce n’erano rimasti tanti, o schiacciati, o smarriti nel buio, e che
camminano da anni e camminano ancora, senza poter scorgere lo spiraglio del poz- 185
zo pel quale sono entrati, e senza poter udire le strida55 disperate dei figli, i quali li
cercano inutilmente.
왘 Ma una volta in cui riempiendo i corbelli si rinvenne una delle scarpe di mastro
Misciu, ei fu colto da tal tremito che dovettero tirarlo all’aria aperta colle funi, proprio come un asino che stesse per dar dei calci al vento.56 Però non si poterono tro- 190
vare né i calzoni quasi nuovi, né il rimanente di mastro Misciu; sebbene i pratici affermarono che quello dovea essere il luogo preciso dove il pilastro gli si era rovesciato addosso; e qualche operaio, nuovo al mestiere, osservava curiosamente57 come
fosse capricciosa la rena, che aveva sbatacchiato il Bestia di qua e di là, le scarpe da
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una parte e i piedi dall’altra.
Dacché poi fu trovata quella scarpa, Malpelo fu colto da tal paura di veder comparire fra la rena anche il piede nudo del babbo, che non volle mai più darvi un colpo di
zappa, gliela dessero a lui sul capo, la zappa. Egli andò a lavorare in un altro punto
della galleria, e non volle più tornare da quelle parti. Due o tre giorni dopo scopersero infatti il cadavere di mastro Misciu, coi calzoni indosso, e steso bocconi58 che 200
sembrava imbalsamato. Lo zio Mommu osservò che aveva dovuto penar molto a fi-
50. ammiccavano: si socchiudevano, si
stringevano come per un gesto d’intesa.
51. comprati: comprati per, costati.
52. Plaja: o praja, in siciliano vale “piaggia, plaga”. Ma qui, con la lettera maiuscola, si riferisce a un luogo specifico, una località a sud del porto di Catania, con grande spiaggia sabbiosa battuta dal sole.
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53. sciara: terreno lavico e desertico, alle
pendici del vulcano. È una voce siciliana di
origine araba (harra, zona pietrosa, terreno vulcanico).
54. sporca: la desolazione della sciara sarebbe totale se non ci fossero i cespugli
delle ginestre; e appunto in questo senso i
fiori «sporcano».
55. strida: grida.
56. dar... al vento: l’immagine raffigura
un animale agonizzante e ormai incapace
di reggersi in piedi.
57. curiosamente: con stupore.
58. bocconi: con il ventre a terra.
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VII Malpelo 4
nire, perché il pilastro gli si era piegato proprio addosso, e l’aveva sepolto vivo: si poteva persino vedere tutt’ora che mastro Bestia avea tentato istintivamente di liberarsi
scavando nella rena, e avea le mani lacerate e le unghie rotte. – Proprio come suo figlio Malpelo! – ripeteva lo sciancato – ei scavava di qua, mentre suo figlio scavava di 205
là –. Però non dissero nulla al ragazzo, per la ragione che lo sapevano maligno e
vendicativo.59
Il carrettiere si portò via il cadavere di mastro Misciu al modo istesso che caricava
la rena caduta e gli asini morti, ché stavolta, oltre al lezzo del carcame,60 trattavasi di
un compagno, e di carne battezzata. La vedova rimpiccolì i calzoni e la camicia, e li 210
adattò a Malpelo, il quale così fu vestito quasi a nuovo per la prima volta. Solo le
scarpe furono messe in serbo per quando ei fosse cresciuto, giacché rimpiccolire le
scarpe non si potevano, e il fidanzato della sorella non le aveva volute le scarpe del
morto.
Malpelo se li lisciava sulle gambe, quei calzoni di fustagno quasi nuovi, gli pareva 215
che fossero dolci e lisci come le mani del babbo, che solevano accarezzargli i capelli,
quantunque fossero così ruvide e callose. Le scarpe poi, le teneva appese a un chiodo, sul saccone, quasi fossero state le pantofole del papa, e la domenica se le pigliava
in mano, le lustrava e se le provava; poi le metteva per terra, l’una accanto all’altra, e
stava a guardarle, coi gomiti sui ginocchi, e il mento nelle palme, per delle ore intere, 220
rimuginando chi sa quali idee in quel cervellaccio.
왘 Ei possedeva delle idee strane, Malpelo! Siccome aveva ereditato anche il piccone e
la zappa del padre, se ne serviva, quantunque fossero troppo pesanti per l’età sua; e
quando gli aveano chiesto se voleva venderli, che glieli avrebbero pagati come nuovi, egli aveva risposto di no. Suo padre li aveva resi così lisci e lucenti nel manico col- 225
le sue mani, ed ei non avrebbe potuto farsene degli altri più lisci e lucenti di quelli,
se ci avesse lavorato cento e poi cento anni.
In quel tempo era crepato di stenti e di vecchiaia l’asino grigio; e il carrettiere era
andato a buttarlo lontano nella sciara. – Così si fa, – brontolava Malpelo; – gli arnesi
che non servono più, si buttano lontano –.
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Egli andava a visitare il carcame del grigio in fondo al burrone, e vi conduceva a forza
anche Ranocchio, il quale non avrebbe voluto andarci; e Malpelo gli diceva che a questo
mondo bisogna avvezzarsi a vedere in faccia ogni cosa, bella o brutta; e stava a considerare con l’avida curiosità di un monellaccio i cani che accorrevano da tutte le fattorie dei
dintorni a disputarsi le carni del grigio. I cani scappavano guaendo, come comparivano i 235
ragazzi, e si aggiravano ustolando61 sui greppi62 dirimpetto, ma il Rosso non lasciava che
Ranocchio li scacciasse a sassate. – Vedi quella cagna nera, – gli diceva, – che non ha paura delle tue sassate? Non ha paura perché ha più fame degli altri. Gliele vedi quelle costole al grigio? Adesso non soffre più –. L’asino grigio se ne stava tranquillo, colle quattro zampe distese, e lasciava che i cani si divertissero a vuotargli le occhiaie profonde, e 240
a spolpargli le ossa bianche; i denti che gli laceravano le viscere non lo avrebbero fatto
piegare di un pelo, come quando gli accarezzavano la schiena a badilate, per mettergli
in corpo un po’ di vigore nel salire la ripida viuzza. – Ecco come vanno le cose! Anche il
grigio ha avuto dei colpi di zappa e delle guidalesche;63 anch’esso quando piegava sotto
il peso, o gli mancava il fiato per andare innanzi, aveva di quelle occhiate, mentre lo 245
battevano, che sembrava dicesse: «Non più! non più!». Ma ora gli occhi se li mangiano
i cani, ed esso se ne ride dei colpi e delle guidalesche, con quella bocca spolpata e tutta
denti. Ma se non fosse mai nato sarebbe stato meglio –.
59. maligno e vendicativo: persino in
questo silenzio dei compagni di lavoro non
c’è traccia di pietà, ma solo calcolo.
60. carcame: cadavere. Ma la parola si
adatta piuttosto alla “carcassa” di un ani-
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male.
61. ustolando: uggiolando, mugolando;
propriamente è voce toscana che indica
l’atteggiamento e la voce degli animali desiderosi di cibo.
62. greppi: fianchi di un’altura.
63. guidalesche: piaghe prodotte dai finimenti e dal basto sulla pelle degli animali
da carico o da tiro.
Paolo Di Sacco, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori
VIII La malattia
di Ranocchio
La sciara si stendeva malinconica e deserta, fin dove giungeva la vista, e saliva e
scendeva in picchi e burroni, nera e rugosa, senza un grillo che vi trillasse, o un uc- 250
cello che venisse a cantarci. Non si udiva nulla, nemmeno i colpi di piccone di coloro che lavoravano sotterra. E ogni volta Malpelo ripeteva che la terra lì sotto era tutta
vuota dalle gallerie, per ogni dove, verso il monte e verso la valle; tanto che una volta
un minatore c’era entrato da giovane, e n’era uscito coi capelli bianchi, e un altro,
cui s’era spenta la candela, aveva invano gridato aiuto per anni ed anni. – Egli solo 255
ode le sue stesse grida! – diceva, e a quell’idea, sebbene avesse il cuore più duro della
sciara, trasaliva. [...]
왘 Da lì a poco, Ranocchio, il quale deperiva da qualche tempo, si ammalò in modo
che la sera dovevano portarlo fuori dalla cava sull’asino, disteso fra le corbe,64 tremante di febbre come un pulcin bagnato. Un operaio disse che quel ragazzo non ne 260
avrebbe fatto osso duro65 a quel mestiere, e che per lavorare in una miniera, senza lasciarvi la pelle, bisognava nascervi. Malpelo allora si sentiva orgoglioso di esserci nato, e di mantenersi così sano e vigoroso in quell’aria malsana, e con tutti quegli stenti. Ei si caricava Ranocchio sulle spalle, e gli faceva animo alla sua maniera, sgridandolo e picchiandolo. Ma una volta, nel picchiarlo sul dorso, Ranocchio fu colto da 265
uno sbocco di sangue; allora Malpelo spaventato si affannò a cercargli nel naso e
dentro la bocca cosa gli avesse fatto, e giurava che non avea potuto fargli poi gran
male, così come l’aveva battuto, e a dimostrarglielo, si dava dei gran pugni sul petto
e sulla schiena, con un sasso; anzi un operaio, lì presente, gli sferrò un gran calcio
sulle spalle: un calcio che risuonò come su di un tamburo, eppure Malpelo non si 270
mosse, e soltanto dopo che l’operaio se ne fu andato, aggiunse: – Lo vedi? Non mi
ha fatto nulla! E ha picchiato più forte di me, ti giuro! –
Intanto Ranocchio non guariva, e seguitava a sputar sangue, e ad aver la febbre tutti
i giorni. Allora Malpelo prese dei soldi della paga della settimana, per comperargli
del vino e della minestra calda, e gli diede i suoi calzoni quasi nuovi, che lo copriva- 275
no meglio. Ma Ranocchio tossiva sempre, e alcune volte sembrava soffocasse; la sera
poi non c’era modo di vincere il ribrezzo66 della febbre, né con sacchi, né coprendolo di paglia, né mettendolo dinanzi alla fiammata.67 Malpelo se ne stava zitto ed immobile, chino su di lui, colle mani sui ginocchi, fissandolo con quei suoi occhiacci
spalancati, quasi volesse fargli il ritratto, e allorché lo udiva gemere sottovoce, e gli 280
vedeva il viso trafelato68 e l’occhio spento, preciso come quello dell’asino grigio allorché ansava rifinito sotto il carico nel salire la viottola, egli borbottava: – È meglio
che tu crepi presto! Se devi soffrire a quel modo, è meglio che tu crepi! – E il padrone diceva che Malpelo era capace di schiacciargli il capo, a quel ragazzo, e bisognava
285
sorvegliarlo.
Finalmente69 un lunedì Ranocchio non venne più alla cava, e il padrone se ne lavò
le mani, perché allo stato in cui era ridotto oramai era più di impiccio che altro. Malpelo si informò dove stesse di casa, e il sabato andò a trovarlo. Il povero Ranocchio era
più di là che di qua; sua madre piangeva e si disperava come se il figliuolo fosse di
290
quelli che guadagnano dieci lire la settimana.
Cotesto non arrivava a comprenderlo Malpelo, e domandò a Ranocchio perché sua
madre strillasse a quel modo, mentre che70 da due mesi ei non guadagnava nemmeno quel che si mangiava. Ma il povero Ranocchio non gli dava retta; sembrava che badasse a contare quanti travicelli71 c’erano sul tetto. Allora il Rosso si diede ad almanaccare72 che la madre di Ranocchio strillasse a quel modo perché il suo figliuolo era 295
64. corbe: ceste di vimini.
65: non... osso duro: non sarebbe riuscito
ad abituarsi.
66. ribrezzo: brivido.
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67.
68.
69.
70.
fiammata: del focolare.
trafelato: spossato.
Finalmente: alla fine.
mentre che: nonostante che (o forse:
dal momento che).
71. travicelli: travi.
72. almanaccare: fantasticare.
Paolo Di Sacco, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori
IX L’epilogo
sempre stato debole e malaticcio, e l’aveva tenuto come quei marmocchi che non si
slattano73 mai. Egli invece era stato sano e robusto, ed era malpelo, e sua madre non
aveva mai pianto per lui, perché non aveva mai avuto timore di perderlo.
Poco dopo, alla cava dissero che Ranocchio era morto, ed ei pensò che la civetta
adesso strideva anche per lui la notte, e tornò a visitare le ossa spolpate del grigio, nel 300
burrone dove solevano andare insieme con Ranocchio. Ora del grigio non rimanevano più che le ossa sgangherate, ed anche di Ranocchio sarebbe stato così. Sua madre
si sarebbe asciugati gli occhi, poiché anche la madre di Malpelo s’era asciugati i suoi,
dopo che mastro Misciu era morto, e adesso si era maritata un’altra volta, ed era andata a stare a Cifali74 colla figliuola maritata, e avevano chiusa la porta di casa. D’ora 305
in poi, se lo battevano, a loro non importava più nulla, e a lui nemmeno, ché quando sarebbe divenuto come il grigio o come Ranocchio, non avrebbe sentito più nulla.
왘 Verso quell’epoca venne a lavorare nella cava uno che non s’era mai visto, e si teneva nascosto il più che poteva. Gli altri operai dicevano fra di loro che era scappato
dalla prigione, e se lo pigliavano ce lo tornavano a chiudere per anni ed anni. Malpe- 310
lo seppe in quell’occasione che la prigione era un luogo dove si mettevano i ladri, e i
malarnesi come lui, e si tenevano sempre chiusi là dentro e guardati a vista.
Da quel momento provò una malsana75 curiosità per quell’uomo che aveva provata la prigione e ne era scappato. Dopo poche settimane però il fuggitivo dichiarò
chiaro e tondo che era stanco di quella vitaccia da talpa, e piuttosto si contentava di 315
stare in galera tutta la vita, ché la prigione, in confronto, era un paradiso, e preferiva
tornarci coi suoi piedi. – Allora perché tutti quelli che lavorano nella cava non si fanno mettere in prigione? – domandò Malpelo.
– Perché non sono malpelo come te!76 – rispose lo Sciancato. – Ma non temere, che
tu ci andrai! e ci lascerai le ossa! –
320
Invece le ossa le lasciò nella cava, Malpelo come suo padre, ma in modo diverso.
Una volta si doveva esplorare un passaggio che doveva comunicare col pozzo grande
a sinistra, verso la valle, e se la cosa andava bene, si sarebbe risparmiata una buona
metà di mano d’opera nel cavar fuori la rena. Ma a ogni modo, però, c’era il pericolo
di smarrirsi e di non tornare mai più. Sicché nessun padre di famiglia voleva avven- 325
turarcisi, né avrebbe permesso che si arrischiasse il sangue suo,77 per tutto l’oro del
mondo.
Malpelo, invece, non aveva nemmeno chi si prendesse tutto l’oro del mondo per la
sua pelle, se pure la sua pelle valeva tanto: sicché pensarono a lui. Allora, nel partire,
si risovvenne78 del minatore, il quale si era smarrito, da anni ed anni, e cammina e 330
cammina ancora al buio, gridando aiuto, senza che nessuno possa udirlo. Ma non
disse nulla. Del resto a che sarebbe giovato? Prese gli arnesi di suo padre, il piccone,
la zappa, la lanterna, il sacco col pane, il fiasco del vino, e se ne andò: né più si seppe nulla di lui.
Così si persero persin le ossa di Malpelo, e i ragazzi della cava abbassano la voce 335
quando parlano di lui nel sotterraneo, ché hanno paura di vederselo comparire dinanzi, coi capelli rossi e gli occhiacci grigi.
G. Verga, Vita dei campi, a cura di C. Riccardi, Le Monnier, Firenze 1987
73. non si slattano: non si abituano a rimanere privi del latte materno, ovvero alle
durezze della vita.
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74. Cifali: Cìbali, paese vicino a Catania.
75. malsana: esprime un giudizio degli altri minatori.
76. malpelo come te: malvagio come te.
77. il sangue suo: i figli suoi.
78. si risovvenne: si ricordò.
Paolo Di Sacco, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori
LE CHIAVI DEL TESTO
■ Abbiamo suddiviso la novella in nove sequenze.
La 1ª, la 3ª, la 5ª e la 7ª sono direttamente incentrate sul
carattere del protagonista, che è il vero perno di tutto il
racconto. Queste quattro sequenze ci presentano Malpelo
secondo un punto di vista via via mutevole:
• all’inizio è definito senz’altro malizioso e cattivo;
• poi (3ª sequenza), dopo la morte del padre, pareva che
gli fosse entrato il diavolo in corpo;
• quindi (5ª sequenza) viene associato per la solitudine ai
lupi;
• infine (7ª sequenza) il narratore presenta la sua filosofia
di vita (Ei possedeva delle idee strane, Malpelo!).
Con montaggio alternato, a queste sequenze focalizzate
sul protagonista se ne intervallano altre, incentrate su
eventi o figure esterne:
• la morte del padre (2ª);
• Ranocchio (4ª);
• il ritrovamento, nella cava, delle reliquie paterne (6ª);
• la malattia e morte di Ranocchio (8ª).
Ciascun episodio origina un’evoluzione nel modo d’essere
di Malpelo: il suo muto dolore (2ª); l’amicizia (4ª); la meditazione sulla morte (6ª); il desiderio di morire a propria
volta (8ª).
■ Il significato del testo consiste nell’inumanità del lavoro minorile nelle miniere. In mano a un altro narratore,
questi tema si sarebbe colorito delle tinte un po’ convenzionali e patetiche di un Dickens o di un De Amicis. Ma in
Verga nulla è mai convenzionale, e neppure lo è la storia di
questo garzone povero e ignorante, abbrutito dal lavoro
bestiale, maltrattato dai compagni e dal padrone, orfano
(come altri eroi verghiani, Nedda, Jeli, ’Ntoni) inconsolabile,
a cui nessuno concede affetto e comprensione. Il narratore
riassorbe l’emozione interamente nell’analisi, e i sentimenti nelle cose. Malpelo non è malvagio per sua natura;
lo diventa, ribelle a un mondo che non lo ama perché
nessuno, a questo mondo, può essere amato. È la triste
morale della novella. Eppure, noi finiamo per amarlo, questo eroe della disperazione. Intuiamo la sua coerenza
morale, la sua umanità, che egli nasconde maltrattando
l’asino e Ranocchio, ma che emerge nei suoi gesti di gratuita generosità verso l’amico. Intendiamo la sua disperata
nostalgia di cielo, di aria, di spazi infiniti. E mentre lo vediamo scendere nel labirinto sotterraneo, così simile alle
misteriose profondità dell’anima umana, lo accompagniamo
con quell’umana fraternità che gli è stata negata dal suo
mondo, sordo e insensibile al punto da considerare i capelli
rossi un segno certo di malvagità.
■ L’esordio del racconto – Malpelo si chiamava così perché
aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un
ragazzo malizioso e cattivo – è molto importante per cogliere la particolare ottica narrativa di Verga. I due perché non affermano una causa obiettiva, quanto la distorta
causalità, tipica della superstizione popolare. Il narratore ha
scelto un punto di vista interno alla narrazione stessa:
Verga ha ripudiato i suoi criteri di giudizio e si è abbassato al livello dei propri umili protagonisti.
L’ottica del racconto è dunque (almeno inizialmente) quella primitiva dei paesani. Essi attribuiscono un valore esa9
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gerato ai capelli rossi (il segno della malvagità); più avanti,
giudicheranno naturale che mastro Misciu sia sfruttato dal
padrone e muoia sotto la sabbia; l’uomo è più debole della rena traditora, e chi la sfida muore. Nella lotta per la vita
c’è chi vince e c’è chi perde: la mentalità popolare, a cui il
narratore aderisce, accetta in entrambi i casi il risultato, con
fatalismo e rassegnazione.
■ I compagni di lavoro non capiscono il rancore di Malpelo verso condizioni di lavoro così infami; egli appare loro via via come una bestia; come un cane; a mo’ dei gatti;
al pari di quei bufali feroci. Le similitudini rafforzano l’impressione: il narratore asseconda l’impressione generale.
Di fronte alla morte di mastro Misciu, al narratore la voce di
Malpelo sembra non aver più nulla di umano; in realtà Malpelo è l’unico a tenere un contegno umano. Il cinismo
del narratore e dei paesani non può capire i sentimenti di
affetto che legano il ragazzo alla memoria paterna (egli custodisce religiosamente le scarpe del padre quasi fossero
state le pantofole del papa). La mentalità comune non conosce infatti sentimenti, ma solo rapporti di interesse o di
forza. Per questo i valori incarnati da Malpelo verranno
da lui nascosti dietro una maschera di cattiveria e di odio.
Sapendo che era malpelo, ei si acconciava ad esserlo il peggio che fosse possibile: è una forma disperata di protesta
contro tutto e tutti.
■ Quando Malpelo prende a proteggere un povero ragazzetto storpio, Ranocchio, il narratore-coro interpreta la
cosa come un raffinamento di malignità. Ma è proprio da
qui che il punto di vista della narrazione, pian piano, si
sposta. Il narratore, che ha finora interpretato il pensiero
«corale» dei paesani, comincia a porsi nella stessa ottica del
suo protagonista: E quando era solo borbottava: Anche con
me fanno così! e a mio padre gli dicevano Bestia, perché ei
non faceva così!. Una corrente di simpatia s’instaura tra
Verga e il suo protagonista.
■ Malpelo, diversamente dai suoi compagni di sventura, è
un ragionatore. Qui è la ragione della sua differenza. Egli
ha capito la legge del sopruso e della violenza che regge la società; comprende anche che essa è una condizione non modificabile. Reagisce a suo modo, incarnando la
parte del cattivo a ogni costo e impartendo all’amico-figlio
Ranocchio indimenticabili lezioni di vita. Se ti accade di dar
delle busse, procura di darle più forte che puoi. Le sue ragioni (il mondo è dei forti) sono amaramente condivise dal
narratore.
La sua filosofia giunge fino alla riflessione più dolente del
pessimismo antico, Ma se non fosse mai nato sarebbe
stato meglio. Egli applicherà tale idea anzitutto a se stesso, inabissandosi nel regno dei morti, a cui si sentiva chiamato (Per noi che siamo fatti per vivere sotterra [...] ci dovrebbe essere buio sempre e dappertutto). Dopo la morte
dell’asino e di Ranocchio, dopo che la madre fedifraga, maritata un’altra volta, se n’è andata dal paese, la parabola vitale di Malpelo si esaurisce: non ha più alcuna ragione per
sopravvivere.
■ L’epilogo del racconto giunge coerente con quanto precede. Malpelo fin dall’inizio portava su di sé i colori diabolici della cava, il nero, il rosso maligno, il buio della diPaolo Di Sacco, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori
sperazione. I colori e la luce del giorno appartengono al
fuori, agli operai che cantano sui ponteggi; il cielo di Malpelo è la volta scura della miniera. Essa è il suo dentro, il
suo destino. Perciò accetta di scendere nell’intricato labirinto delle gallerie, che il narratore «paesano» presenta come l’equivalente del regno dei morti: un buco nero, abitato dai fantasmi e custodito dagli animali inferi, civette e pipistrelli.
L’eroe si addentra nelle viscere della terra; la sua impresa disperata assume un’aura mitica. Come in un sacrario, Malpelo cerca sottoterra l’unico senso possibile della
sua vita, il ricongiungimento al padre. Nella cava mastro
Misciu era scomparso e qui Malpelo si inoltra, con gli oggetti stessi di lavoro del padre. La morte (un’esperienza da
lui già conosciuta, per le morti via via del padre, dell’asino,
di Ranocchio) gli permetterà il ritrovamento dell’unico suo
«oggetto di desiderio», l’unica persona da lui amata e che
lo abbia mai amato. La cava diverrà così il luogo della
leggenda di Malpelo (già all’inizio essa è indicata come la
cava di Malpelo).
LAVORIAMO SUL TESTO
1. Riassumi in non più di cinque righe ciascuna delle nove sequenze che abbiamo identificato nel testo.
2. Perché Malpelo picchia l’asino e, soprattutto, perché
maltratta Ranocchio? Solo perché è cattivo, come pensano
i minatori? Oppure con questo modo di fare vuole insegnargli qualcosa, e cosa?
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3. Rosso Malpelo è una novella incentrata sulle vicende di
un solo personaggio, che domina su tutti gli altri. Sintetizza nella tabella i tratti fondamentali del personaggio, facendo gli opportuni riferimenti al testo.
elementi
riferimenti al testo
fisici
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psicologici
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culturali
...................................................
ambientali e sociali
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altri
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4. A un certo punto il narratore, dopo aver dato corpo alla figura del ragazzo, sottolineandone la diversità, comincia
a riportare i suoi pensieri; via via che la narrazione procede, si fanno più frequenti e significativi i momenti in cui vie-
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ne espressa la semplice umanità del protagonista. In tal
modo Verga ottiene che il lettore non abbia più davanti agli
occhi i fatti visti da un unico punto di vista, quello del «narratore popolare», ma ne abbia un’idea anche del punto di
vista di Malpelo.
• Rintraccia nel testo i luoghi utili a documentare tali fenomeni. Fai attenzione, per esempio, alla progressione che
dalle poche parole dette a Ranocchio, conduce fino alle
considerazioni sulla carcassa dell’asino e sulla morte e la
vita.
• Esplicita inoltre quale sia il punto di vista specifico di Malpelo rispetto ai fatti e all’ambiente che lo circonda.
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5. Nel testo il «buco nero» della miniera si oppone al buio
della notte illuminato dalle stelle. Rintraccia il punto o i punti interessati; e spiega il valore simbolico che assume tale
antitesi.
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6. Tutto quanto viene detto di Malpelo contribuisce a evidenziare l’isolamento e l’estraneità del ragazzo dalla comunità, dalla famiglia, dal normale rapporto di amicizia con i
coetanei; ogni suo atto è visto e interpretato secondo questa ottica distorta e malevola.
• Evidenzia i punti del racconto da cui si ricava con chiarezza questo modo di procedere.
• Rifletti inoltre sul perché Verga lo metta in atto: quali scopi si prefiggeva, quale messaggio intende comunicare?
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• E infine: ti sembra giusto dire che, accentuando l’isolamento di Malpelo, la sua diversità, Verga finisce appunto
per questo per renderlo una sorta di “eroe”? Ed eroe di
che cosa? Documenta la tua risposta.
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7. Come si spiega la “trasfigurazione mitica” che conosce il personaggio nella conclusione del testo?
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Paolo Di Sacco, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori