Brexit - Campus - Mondadori Education

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Flavio Delbono
Brexit
Flavio Delbono
Brexit
Abstract
Parole chiave
Pil, regime di cambi flessibili, deprezzamento, bilancia commerciale, bilancia dei
pagamenti, speculazione, protezionismo.
L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea (che passerebbe così da 28 a 27
Stati) sta già provocando importanti conseguenze politiche ed economiche. Tra
queste ultime, possiamo menzionare le seguenti.
1. Il deprezzamento della sterlina rispetto alle principali valute internazionali,
incluso l’euro.
2. Il conseguente peggioramento della bilancia commerciale, visto il volume di
importazioni della Gran Bretagna rispetto alle esportazioni.
3. Una fuga degli investitori dalla sterlina, con conseguente peggioramento della
parte finanziaria della bilancia dei pagamenti.
4. Il probabile ripristino di barriere alla libera circolazione di merci, servizi,
persone e capitali.
5. Probabili politiche protezionistiche da parte dell’Unione Europea verso le
esportazioni britanniche e viceversa.
6. Instabilità dei mercati finanziari e valutari internazionali.
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Con il referendum popolare di giugno, i cittadini della Gran Bretagna hanno votato
l’uscita del loro paese dall’Unione Europea (UE) della quale faceva parte dal 1973.
L’UE perde così il suo terzo membro in ordine di importanza economica, dato che il
Pil britannico è preceduto soltanto da quelli tedesco e francese (l’Italia è quarta).
Scende da 28 a 27 il numero dei paesi aderenti all’UE.
Occorre peraltro ricordare che la Gran Bretagna non appartiene all’Unione
Monetaria Europea (la sua valuta nazionale è la sterlina) e che aveva
recentemente negoziato le modalità della sua appartenenza all’UE. Per esempio, la
Gran Bretagna non fa parte dello spazio Schengen, non ha sottoscritto gli accordi
sulla regolamentazione bancaria e ha ottenuto uno sconto di circa sei miliardi di
euro sul suo contributo annuo al bilancio dell’Unione.
Se non intervengono altre decisioni – è stato proposto un nuovo referendum
sull’appartenenza all’UE – la Gran Bretagna dovrà negoziare con le autorità di
Bruxelles tempi e modi dell’uscita, così come previsto dall’art. 50 del Trattato di
Lisbona.
Trascurando i fattori politici e culturali che hanno contribuito all’esito elettorale,
prima di esaminare le conseguenze economiche, conviene segnalare che tale esito
potrebbe addirittura modificare i confini dello Stato britannico che è formato,
ricordiamolo, da Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord. Si potrebbero infatti
svolgere alcuni referendum “secessionisti” per staccarsi dal Regno Unito e per poi
votare a favore dell’appartenenza all’UE. Questa eventualità è attualmente
discussa sia in Scozia sia in Irlanda del Nord.
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Ma veniamo agli effetti economici della Brexit.
Il primo, già bruscamente manifestatosi il giorno stesso in cui sono stati resi noti i
risultati del voto, è stato il crollo del valore della sterlina rispetto alle principali
valute internazionali (euro, dollaro Usa, yen, yuan). La sterlina non appartiene
infatti ad alcun regime a cambi fissi e il suo valore viene dunque determinato sui
mercati valutari, dove la sterlina si è deprezzata di quasi il 10% rispetto all’euro e al
dollaro, toccando il valore più basso degli ultimi decenni. Ciò significa che la Gran
Bretagna pagherà di più le sue importazioni anche se le sue esportazioni
risulteranno meno costose per gli acquirenti di molti paesi.
Visto che la Gran Bretagna ha un deficit nella bilancia commerciale – il valore
delle sue importazioni supera cioè quello delle sue esportazioni – si può prevedere
che tale deficit aumenterà.
Inoltre, anche i movimenti di capitali (registrati nella parte finanziaria della
bilancia dei pagamenti) dovrebbero penalizzare il paese, con uscite di capitali
verso l’estero superiori ai nuovi ingressi. Gli investitori internazionali preferiscono
infatti operare in paesi che presentano prospettive di crescita e di guadagno migliori
di quelle che si possono intravvedere in una Gran Bretagna isolata non solo
geograficamente.
La speculazione sulla sterlina potrebbe provocare altre ampie fluttuazioni del tasso
di cambio rispetto alle principali valute, aggiungendo ulteriore incertezza sui prezzi
futuri. Chi compra beni o strumenti finanziari inglesi (o comunque denominati in
sterline) si troverebbe così a fronteggiare un “rischio cambio” per assicurarsi dal
quale occorre sostenere costi ingenti.
L’uscita dal mercato unico europeo avrà conseguenze dirette per consumatori e
imprese su entrambe le sponde della Manica. Occorre infatti ricordare che il
mercato unico, così come configurato dagli accordi del 1985, rappresenta “un unico
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spazio per la libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali”. Circolazione
che nella UE non è invece libera per beni, servizi, persone e capitali di provenienza
extra-comunitaria. Quindi la Gran Bretagna, essendo diventata con il referendum
un paese extracomunitario, cesserà di godere dei numerosi vantaggi condivisi con
un numero crescente di paesi per oltre 40 anni.
Saranno ripristinate barriere protezionistiche sotto forma di controlli alle frontiere
(forse saranno richiesti dei visti a chi espatria da e verso la Gran Bretagna), dazi
doganali e altre misure sulla circolazione dei capitali. Per esempio, potrebbe
essere introdotto l’obbligo di giustificare presso qualsiasi banca europea l’acquisto
di sterline.
Uno studente italiano perderebbe in Gran Bretagna lo status di cittadino
comunitario e vedrebbe le sue tasse universitarie passare dalle attuali 9.000
sterline (la stesa cifra pagata dai britannici) a oltre 30.000 sterline annue. Con
l’effetto di incentivare molti studenti europei verso altrettanto prestigiosi atenei
americani.
In sintesi, il voto inglese sembra preludere a:
• una maggiore instabilità dei mercati valutari e, vista l’importanza della piazza
d’affari londinese (la celebre City), anche dei mercati finanziari;
• un ritorno a misure protezionistiche tra l’UE e la Gran Bretagna con ovvie
ripercussioni negative sugli scambi e sulla circolazione di merci, servizi e
capitali;
• una contrazione del Pil e un peggioramento dei conti con l’estero della Gran
Bretagna.
Conviene sperare che questi probabili effetti si manifestino abbastanza
rapidamente così da scoraggiare coloro che, in altri paesi dell’UE, propongono di
imitare la strategia referendaria dei sudditi di Sua Maestà.
L’Unione Europea sta però deludendo molti cittadini che non riconoscono nella sua
azione la coerente applicazione dei principi fondanti dell’Unione stessa. Occorre
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dunque auspicare che Brexit fornisca in tempi brevi un’occasione di rilancio della
missione dell’UE sui tanti problemi, come quelli generati dai massicci flussi
migratori, dove l’azione europea continua a risultare decisamente inadeguata.
Flavio Delbono
Bologna 30 giugno 2016.
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