DRAGO DI SONNINO. Un nuovo articolo dei due “Giancarli”, Pavat e

Transcript

DRAGO DI SONNINO. Un nuovo articolo dei due “Giancarli”, Pavat e
Una novità assoluta è costituita dalla scoperta,
effettuata il 14 gennaio 2017, da Giancarlo Pavat
assieme al sindaco di Sonnino Luciano De Angelis,
Angela Pacchiarotti, Mario Tiberia, Alex Vigliani,
Orazio Vignola ed altri ragazzi di “ViVi Ciociaria”, di
un graffito riproducente un….. drago.
Il piccolo graffito, certamente di non di recente
esecuzione (molto probabilmente di epoca tardo
medievale) si trova un lacerto di affresco che un tempo
faceva parte del grandioso ciclo pittorico dell’antica
chiesa di S Giovanni, di cui è rimasta soltanto
l’Annunciazione, databile al XV secolo.
Certamente la presenza di un rettile, perlopiù in una
chiesa, se avulsa da particolari immagini sacre (ad
esempio, la Vergine che schiaccia il serpente), può
lasciare perplessi.
Certamente la presenza di un rettile, perlopiù in una
chiesa, se avulsa da particolari immagini sacre (ad
esempio, la Vergine che schiaccia il serpente), può
lasciare perplessi.
Nella nostra Cultura europea occidentale (ma
pure in quella dei Paesi dell’Europa orientale),
che alla faccia degli Eurocrati di Bruxelles,
volenti o nolenti, affonda le radici nel
Cristianesimo
e
quindi
nell’Ebraismo
veterotestamentario, il Drago è visto come
Simbolo del Male per eccellenza. D’altronde lo
si ritrova appunto sia nel Vecchio Testamento,
come nel “Libro di Giobbe” dove si parla del
misterioso Leviatano
“25 Puoi tu pescare il Leviatan con l’amo e tener
ferma la sua lingua con una corda, 26 ficcargli un
giunco nelle narici e forargli la mascella con un
uncino? 27 Ti farà forse molte suppliche e ti rivolgerà
dolci parole? 28 Stipulerà forse con te un’alleanza,
perché tu lo prenda come servo per sempre? 29
Scherzerai con lui come un passero, legandolo per le
tue fanciulle? 30 Lo metteranno in vendita le
compagnie di pesca, se lo divideranno i
commercianti? 31 Crivellerai di dardi la sua pelle e
con la fiocina la sua testa? 32 Metti su di lui la mano:
al ricordo della lotta, non riproverai!” (Giobbe
40,25-32).
e ancora
“1 Ecco, la tua speranza è fallita, al solo vederlo uno stramazza. 2 Nessuno è tanto audace da osare eccitarlo e
chi mai potrà star saldo di fronte a lui? 3 Chi mai lo ha assalito e si è salvato? Nessuno sotto tutto il cielo. 4 Non
tacerò la forza delle sue membra: in fatto di forza non ha pari. 5 Chi gli ha mai aperto sul davanti il manto di
pelle e nella sua doppia corazza chi può penetrare? 6 Le porte della sua bocca chi mai ha aperto? Intorno ai suoi
denti è il terrore! 7 Il suo dorso è a lamine di scudi, saldate con stretto suggello; 8 l’una con l’altra si toccano, sì
che aria fra di esse non passa: 9 ognuna aderisce alla vicina, sono compatte e non possono separarsi. 10 Il suo
starnuto irradia luce e i suoi occhi sono come le palpebre dell’aurora. 11 Dalla sua bocca partono vampate,
sprizzano scintille di fuoco. 12 Dalle sue narici esce fumo come da caldaia, che bolle sul fuoco. 13 Il suo fiato
incendia carboni e dalla bocca gli escono fiamme. 14 Nel suo collo risiede la forza e innanzi a lui corre la paura.
15 Le giogaie della sua carne son ben compatte, sono ben salde su di lui, non si muovono. 16 Il suo cuore è duro
come pietra, duro come la pietra inferiore della macina. 17 Quando si alza, si spaventano i forti e per il terrore
restano smarriti. 18 La spada che lo raggiunge non vi si infigge, né lancia, né freccia né giavellotto; 19 stima il
ferro come paglia, il bronzo come legno tarlato. 20 Non lo mette in fuga la freccia, in pula si cambian per lui le
pietre della fionda. 21 Come stoppia stima una mazza e si fa beffe del vibrare dell’asta. 22 Al disotto ha cocci
acuti e striscia come erpice sul molle terreno. 23 Fa ribollire come pentola il gorgo, fa del mare come un vaso da
unguenti. 24 Dietro a sé produce una bianca scia e l’abisso appare canuto. 25 Nessuno sulla terra è pari a lui,
fatto per non aver paura. 26 Lo teme ogni essere più altero; egli è il re su tutte le fiere più superbe”. (Giobbe
41,1-26)
o nei “Salmi”:
“Sfracellasti la testa del drago e la desti in pasto agli Etiopi” (Salmo 73, 14)
E, ovviamente, nel Nuovo Testamento:
“Apparve in cielo anche un altro segno, ecco un immane
drago rosso con sette teste e dieci corna e sette diademi
sulle test; la sua coda trascinava dietro un terzo delle stelle
del cielo e le gettò sulla terra. Il dragone poi si tiene
innanzi una donna che sta per partorire, per divorarne il
bimbo non appena abbia partorito. Ed essa partorì il
figlio, maschio, destinato a pascere tutti i popoli con verga
di ferro. Il suo bimbo venne d’un tratto portato presso Dio
e presso il suo trono- E la donna fuggì nel deserto, dove ha
un posto apprestato da Dio, affinché in esso le venga dato
nutrimento per milleduecentosessanta giorni”. (Apocalisse
di Giovanni; 12, 3-6)
È in questa veste che troviamo il Dragone all’interno
dell’Abbazia di San Pietro al Monte a Civate. L’artefice l’ha
affrescato mentre viene sconfitto dalle schiere angeliche
guidate da Michele. Ma, visto che il Drago, a seguito della
sconfitta, era finito sulla terra, ecco scendere in campo per
aiutare gli uomini, santi come il cavaliere Giorgio che lo
sconfigge trafiggendolo con la lancia e diventando
immortale protagonista di opere assolute dell’arte sia
medievale
che,
soprattutto,
rinascimentale.
Basti pensare ad alcuni capolavori dell’Arte italiana
raffiguranti San Giorgio che sconfigge il Drago. Come l’olio
su tela di Paolo Uccello (1397-1475) del 1456, conservato
alla “National Gallery” di Londra; o la tavola conservata al
Musèe Jacquemart Andrè di Parigi, di poco successiva alla
tela londinese.
Ma esiste ancora un opera del pittore fiorentino avente il medesimo soggetto. È datata al 1431, quindi anteriore
alle due precedentemente citate, ed è attualmente esposta alla “National Gallery of Victoria” di Melbourne in
Australia.
Per non parlare di Raffaello con il suo olio su tavola del 1505, oggi
esposto al Louvre a Parigi. E, soprattutto, il celeberrimo San
Giorgio e il Drago del 1505 esposto alla “National Gallery of Art”
di Washington negli Stati Uniti.
Celeberrimo il capolavoro di Andrea Mantegna del 1460. La tavola
dipinta a tempera è esposta alle “Gallerie dell’Accademia” a
Venezia. Il santo cavaliere è rappresentato ormai vincitore.
In piedi, invitto rivestito dell’armatura e con la lancia spezzata per
l’uccisione del drago, che giace ai suoi piedi con la punta dell’arma
conficcata nella mascella.
Ma non sono soltanto l’Arcangelo Michele e il Santo cavaliere a
sconfiggere i draghi. Va annoverata anche Santa Margherita
d’Antiochia eternata da Tiziano nella celebre versione del 1560
oggi conservata a Madrid al Museo del Prado. Soggetto ripreso, tra
gli altri, anche da Raffaello (la sua opera è esposta al
Kunsthistorische Museum di Vienna), da Andrea del Sarto (la sua
Santa Margherita d’Antiochia si trova nel Duomo di Pisa) e da
Pellegrino Tibaldi (la cui Santa Margherita dipinta tra il 1556e il
1561 la possiamo ammirare nella Pinacoteca del castello Sforzesco
a Milano).
E ancora San Filippo apostolo, che nel capolavoro di Filippino Lippi (XV-XVI secolo) che si può ammirare a
Santa Maria Novella a Firenze, esorcizza un drago all’interno di un tempio pagano a Hieropolis. Senza scordare
la tavola a tempera del 1507 con “San Trifone dei Dalmati che ammansisce il Basilisco” (quindi non
propriamente un drago ma sempre simbolo del male) di Vittor Carpaccio, esposta a San Giorgio degli
Schiavoni a Venezia.
Secondo i racconti agiografici anche un pontefice avrebbe sconfitto un terribile drago. Si tratterebbe di San
Silvestro I°, sì quello della Notte di Capodanno, che esorcizzò una mostruosa creatura che aveva la propria tana
in una spelonca ai piedi del Palatino a Roma. Ad Alatri (FR), nella chiesa ad esso dedicata, si ammira San
Silvestro affrescato mentre sconfigge l’orrido rettile.
San Giulio, invece liberò un isoletta posta in mezzo ad un laghetto prealpino da serpenti e draghi, tra cui la
gigantesca ”Orchera”. L’isola esiste ancora, ha preso il nome del Santo e si trova nel lago d’Orta in
Piemonte. Sull’isola sorge la basilica dedicata a Giulio ed è ancora possibile vedere una vertebra
dell’”Orchera”. Ovviamente l’impresa del Santo è eternata in diverse opere d’arte, bassorilievi, affreschi,
incisioni lignee, con tanto di immancabili draghi e draghetti.
A volte il Drago è presente sui bastoni pastorali (oppure sulle tombe)
dei vescovi; sta a rappresentare l’eresia sconfitta dalla Vera Fede. Un
capolavoro del genere è il pastorale in argento smaltato di Limoges
del XIII secolo, che si conserva nel Tesoro della Cattedrale di Anagni.
In molte regioni d’Italia, sempre per esorcizzare il Male, si portava in
processione uno stendardo sul quale era rappresentato il mostro,
pure emblema della peste e della carestia. Oppure si utilizzava un
vero e proprio simulacro, un drago processionale in ferro battuto da
rogazione. Un esemplare è conservato proprio nella sagrestia della
Basilica sull’isola di San Giulio nel Lago d’Orta. Veniva appunto
portato in processione per i tre giorni antecedenti l’Ascensione. Nei
primi due giorni il drago aveva lunga coda, formata da parti
snodabili, e le ali alzate e precedeva la Croce astile. Il terzo giorno,
invece, coda e ali venivano abbassate e seguiva la Croce a significare
la vittoria delle vera Fede sulle Forze del Male. Satana era vinto che
seguiva il suo vincitore, Cristo, come nei trionfi dei Cesari vittoriosi i
re nemici, domati e condannati, seguivano con le mani legate il carro
del trionfatore.
Persino nella fiabe il Drago rappresenta il Male, come ne “Il diavolo e sua nonna” dei Fratelli Grimm, che
testimonia, come acutamente sottolineato da Ditte e Giovanni Bandini nel loro “Das
Drachenbuch” ( Deustcher Taschenbuch Verlag GmbH & Co KG, Munchen 2002), “quanto questa idea sia
profondamente radicata nell’anima stessa del popolo”.
Ma il drago non è stato soltanto un allegoria del Male. Quindi per cercare di comprendere il significato del
graffito sonninese, è opportuno indirizzare ricerche anche in questa direzione. Tralasciando i draghi di altre
culture e continenti (ad esempio quelli cinesi o indiani) converrà concentrarci su quelli del “Vecchio
Continente”.
Innanzitutto come è nata la figura del drago? Si tratta di un archetipo celato nelle pieghe della memoria
collettiva della razza umana? Un arcaico ricordo dei mostruosi e giganteschi sauri che dominarono il Pianeta
per milioni di anni?
La paleontologia ci insegna che uomini e dinosauri non hanno mai convissuto. Nonostante circolino,
soprattutto su internet decine di “prove” in senso contrario, non credeteci. Nonostante siano propagandate
soprattutto dai “creazionisti”, ad un riscontro serio ed obiettivo nessuna ha retto a lungo. In particolare le
impronte di sauri affiancate ad altre umane si sono dimostrate essere bufale o, peggio, frodi oppure semplici
risultati dell’erosione meteorica o eolica.
Quindi se i nostri lontanissimi antenati non hanno mai potuto vedere i dinosauri in carne e zanne, da dove è
saltata fuori l’idea del drago? Se non vivi forse li hanno visti morti. O meglio i loro resti ossei, i fossili. Non è
un ipotesi così peregrina. Dopotutto qualcosa del genere è successo con la leggenda ed il mito dei Ciclopi, i
giganti monocoli, il cui rappresentante più famoso, Polifemo, fu sconfitto da Ulisse. È probabile che tutto sia
nato dal rinvenimento nell’antichità di misteriosi resti ossei. In particolare crani di “elefanti nani” che vissero
in Sicilia (e su altre isole del Mediterraneo, come Malta, Cipro e Creta) circa 500.000 anni fa. È noto che sulle
isole mancano spesso i grandi predatori, ovvero un fattore importante della selezione naturale. Inoltre negli
ambienti insulari sono ridotti gli spazi e le risorse alimentari disponibili. Per queste ragioni l’enorme taglia
dell’”Elefante Antico” (Elephas Antiquus o Palaeoloxodon antiquus), che poteva arrivare sino ai cinque metri
di altezza, con zanne lunghe quattro metri, non essendo più vantaggiosa, cominciò a ridursi. La selezione
naturale premiò individui di dimensioni sempre più piccole. Il Palaeoloxodon falconeri, questo il nome
scientifico dell’elefante nano in onore del geologo, botanico e paleontologo scozzese Hugh Falconer
(1808-1865), in età adulta poteva raggiungere un’altezza massima di circa un metro alla spalla. I primi resti
degli “elefanti nani” siciliani furono trovati alla fine degli anni ’50 durante delle ricognizioni geologiche nella
Grotta di Spinagallo nei pressi di Siracusa. Successivi scavi paleontologici hanno permesso di recuperare resti
di oltre 3000 esemplari. Altri fossili di “elefanti nani” in Sicilia sono stati trovati nei siti di Luparello
(Palermo) e di Alcamo (Catania).
Fu un paleontologo austriaco, Othenio Abel (1875-1946), che per primo, all’inizio del XX secolo, mise in
relazione il cranio degli “elefanti nani” con la leggenda di Polifemo e dei Ciclopi. Gli elefanti hanno infatti
nella parte anteriore del loro cranio una cavità sub-ellittica che ospita la proboscide. Il cranio degli “elefanti
nani”, di grandezza non molto superiore di quella degli esseri umani e con questa cavità nel cranio,
probabilmente generò, appunto, i racconti mitologici di queste creature umanoidi con un occhio solo.
Per quanto riguarda l’equazione fossili di dinosauri = draghi, merita certamente un approfondimento che
sicuramente sarà oggetto di un prossimo dettagliato articolo.
Comunque non trovando una spiegazione proveniente dalla paleontologia, si è scomodata persino la
Psicanalisi.
Per lo psicanalista svizzero Carl Gustav Jung (1875-1961) il drago rappresenta la forza e la potenza dell’Ignoto
che sin dalla Notte dei Tempi avvolge l’Uomo e che ognuno di noi deve superare e vincere per liberare il
proprio Io.
D’altronde nella Confederazione Elvetica di draghi se ne intendono. Visto che “nel 1619 il prefetto Scherer
riferì di ave rvisto “un fiero dragone” volare sul lago uscendo da una grotta” (da “Atlante dei misteri” di
Francis Hitching, edizione italiana De Agostini 1982)
Ma nonostante le ipotesi della psicanalisi, siamo ben lontani da comprendere la genesi anche iconografica del
mostro. Proviamo almeno con l’etimologia del nome.
Il nome deriva dal Latino “draco, draconis” e dal Greco “Drakon”, con cui si indicavano però pure i serpenti.
Nelle leggende del nostro Medio Evo, il Drago era
considerato il più grande dei serpenti. Ma il termine
Greco-Latino si rifà al verbo che significa “avere una
vista acuta”. Non per nulla nel XVI secolo si era
convinti che non solo i serpenti avessero una vista
acuta, ma che i draghi ce l’avessero ancora di più.
Ma come vedremo tra poco, molto spesso con il
termine drago si indicano altri generi di creature
rettiliformi.
Quello che normalmente anche il profano in materia conosce come “Drago” è generalmente l’essere definito
dagli studiosi di araldica, folklore o iconografia sacra come “Drago occidentale” o “Drago classico della
tradizione europea”. Per la cronaca è quello che compare nella bandiera del Galles.
Si tratta di una sorta di rettile, simile ad un coccodrillo di smisurate dimensioni, e quindi con un corpo
coperto di scaglie, con quattro zampe, ali membranose d pipistrello, corna, spesso una cresta, coda
acuminata e capacità di sputare fuoco e fiamme. Così lo vediamo nell’arte romanica e gotica. Nelle opere
miniate era quasi sempre verde in quanto era il colore del veleno. Infatti la creatura era ritenuta capace di
emettere effluvi pestilenziali e mortiferi dalle sue fauci. Ne era convinta anche Santa Ildegarda von Bingen,
che lo spiega in uno dei suoi scritti.
Il Drago alato unisce il simbolismo del serpente e quello dell’uccello (materia e spirito) l’uno che imprigiona
l’altro, l’uccisione del drago libera l’uomo dalle forze che ne irretiscono l’anima e lo spirito
Ma oltre al “Drago occidentale” esistono i:
Draghi serpenti
Si tratta di smisurati serpenti dotati però di una testa
draghiforme (o da coccodrillo) con corna ma privi di zampe e di
ali. Anche se molti lo scambiano per un normale serpente, in
realtà è proprio una di queste creature a campeggiare sullo
stemma della cittadina di Itri in provincia di Latina e non troppo
distante da Sonnino.
Mezzi draghi o Lindwurm
Il nome deriva dall’antico alto tedesco “Lint”, ovvero tenero,
molle e “wurm”, appunto verme o serpente. Questa creatura,
detta anche Lindworm in inglese o Lindorm o Linnorm nelle
varie lingue derivanti dal Norreno, occupa un posto da
protagonista nella mitologia e nelle saghe del popoli e delle
culture nordiche. Generalmente vive in caverne sulle montagne
o sulle sponde di laghi o scogliere. Sebbene esistano alcune
varianti, grossomodo era descritto con un corpo serpentiforme,
privo di ali ma dotato di due sole zampe artigliate. Portatore di
guerre, pestilenze, sciagure d’ogni genere, era pertanto sempre
esiziale per l’Uomo e, alla fine, anche per gli Asi, gli dei Norreni
destinati a perire il giorno del Ragnarok.
Viverne
È l’essere più simile al cosiddetto “Drago occidentale”, ovvero al Drago
classico della tradizione europea. Si differenzia però per l’assenza delle
zampe anteriori. Dotato di ali, non sempre soffia fuoco, (ma anche in
questo caso vi sono alcune eccezioni), e in molte leggende e saghe è
dotato di un uncini posto al termine della coda con cui punge i
malcapitati, iniettando loro un mortale veleno. Un famosa Viverna è il
celeberrimo “Drago di Klagenfurt immortalato non solo nello stemma
(risalente al XIII secolo) della graziosa cittadina austriaca capitale del
Land della Carinzia ma persino nella rinascimentale fontana
monumentale che troneggia al centro della Neuerplatz. In realtà in
alcune delle versioni della leggenda il mostro sembrerebbe essere un
Lindwurm. Mentre la statua in pietra di oltre sette metri di lunghezza,
realizzata nel 1590 dallo scultore Andreas Vogelsang (nel 1636,
Michael Honel, vi aggiunse la statua del gigante munito di clava),
raffigura un “drago occidentale”. Comunque sia, la testa del drago della
Neuerplatz venne modellata basandosi sullo spaventoso cranio
ritornato alla luce nel 1335 a Klagenfurt (secondo alcuni resoconti
proprio presso in quella piazza). Gli abitanti di Klagenfurt
identificarono subito il cranio come quello del mostro, trovandovi,
quindi, conferma alla leggenda. In realtà si tratta del cranio di un
“rinoceronte lanoso” (Coelodonta o Rhinoceros antiquitatis), un
grande erbivoro contemporaneo dei Mammut, che si estinse in Europa
al termine dell’ultima Glaciazione, circa 10.000 anni fa.
Da questa breve disamina , balza all’occhio il fatto che il draghetto graffito su una parete di ciò che rimane
dell’antica chiesa di San Giovanni a Sonnino, sia con tutta probabilità un Lindwurm, anche se allo stato
attuale delle ricerche non possiamo affermare che venisse chiamato in questo modo. Possiamo però
analizzare alcuni significati simbolici che potrebbero spiegare la sua presenza. Continueremo ad usare il
termine “drago” per comodità, anche perché molti dei significati simbolici che andremo a vedere, si
addicono perfettamente anche al Lindwurm, come alla Viverna.
Molte leggende antiche mostrano il Drago come il geloso custode d’immensi tesori che si trovano in
caverne inaccessibili oppure in arcaiche tombe megalitiche. In Scandinavia esistono dei siti megalitici che
sino al XVIII secolo vennero ritenuti tane di draghi o altre di altre mostruose creature del ricchissimo
folklore norreno.
Il dotto gesuita Athanasius Kircher (1602-1680), citato da Ditte e Giovanni Bandini, riteneva che i
draghi o comunque creature draghiformi, vivessero in una estesa rete di caverne che conducevano sino
al centro della Terra. Quelli che comparivano sulla superficie del nostro pianeta in realtà si erano persi
e non erano più riusciti a ritornare nel loro mondo. In pratica i draghi sarebbero creature di un Altrove
che posto sotto i nostri piedi, nella cosiddetta Terra Cava, che Kircher chiamava “Mundus
Subterraneus”
ed
a
cui
dedicò
un
opera
avente
proprio
questo
titolo.
In altre leggende, il Drago difende l’ingresso di meravigliosi paradisi cui si offre il più prezioso e fragile
dei tesori: la Felicità. Esotericamente, il mito del drago significa la lotta dell’iniziato contro il Custode
della soglia, e quindi la morte simbolica del guardiano drago, che permette l’accesso al Sancta
sanctorum della conoscenza dei Grandi Iniziati. Il “Drago Iniziatico” a volte è stato simbolicamente
attribuito all’immagine di Gesù Cristo, in quanto solamente con la sua morte, l’Umanità decaduta ha
potuto avvicinarsi alla soglia della Vita Eterna. Nello stesso modo come il Drago Guardiano difende
l’ingresso della vita beata, altrettanto il Cristo con la sua dottrina, la severa morale e i rigorosi
comandamenti, rende difficile l’accesso al regno dei cieli. Soltanto l’effusione del sangue di drago
permette a Sigfrido di avvicinarsi all’uccello, di attraversare il braciere, di risvegliare la vergine.
Solo l’effusione del sangue di Cristo permette il cammino verso la gloria dei cieli, mettendo a frutto i
tesori della redenzione, di glorificazione e resurrezione che solo Gesù poteva donare all’umanità. La
differenza sostanziale che il drago difende la propria vita in difesa del tesoro, il Cristo si offre per
amore.
È questa la spiegazione del drago, o meglio, del Lindwurm, di Sonnino? Una interpretazione
profondamente esoterica di Cristo stesso? Non lo possiamo escludere. Anche perché non va
dimenticato che si trova inciso su un affresco in cui la scena principale (per quanto se ne sa, visto che è
l’unica sopravvissuta) raffigura l’Annunciazione. Ovvero l’annuncio dell’Incarnazione di Cristo,
ovvero l’inizio di quel progetto salvifico per l’Umanità che raggiungerà la sua conclusione con la Morte
sulla Croce e la Resurrezione.
(Giancarlo Pavat & Giancarlo Marovelli)