Intervista a Marco Osio - Sport
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Intervista a Marco Osio - Sport
Marco Osio, Sindaco di Parma Nel calcio succede anche che un giocatore, dopo aver risolto situazioni e incontri delicati mettendo a segno reti decisive e giocando grandi partite, sia invocato dai propri tifosi quale nuovo Sindaco della città. A Parma, sul finire degli anni '80, il primo cittadino Mara Colla dovette fare i conti con la fama di Marco Osio, idealmente investito della fascia tricolore dal Consiglio della Curva Nord. E Osio ha ricambiato il favore, scegliendo Parma come città in cui vivere e costruire una famiglia. “Il Sindaco” Marco Osio è stato tra i protagonisti del periodo più felice del Parma Calcio. La promozione in A, la prima Coppa Italia, la Coppa delle Coppe. Probabilmente è anche il simbolo di una favola di provincia, di una squadra umile e straordinaria, che ha saputo esprimere un calcio ammirato e osannato da pubblico e stampa, non solo in Italia. Barba e capelli da nazionale argentina anni '70, i calzettoni infilati nei parastinchi, a metà tibia, l'incedere inconfondibile e il tocco felpato. Osio giocherebbe nella selezione dei calciatori fuori dal coro, non allineati allo stereotipo, sempre più marcato, del calciatore Vip. Finita la carriera di giocatore ha intrapreso quella di allenatore, portando, tra l'altro, i Crociati Noceto in Serie D. Dopo la breve e sfortunata esperienza alla Nuorese, al momento Osio è in cerca di una panchina, accompagna il figlio a tennis e la suocera nei suoi giri. Chiacchiera volentieri su tutto, dal calcio alla musica. “Sono un grande fan della New Wave inglese, Cure, Echo & The Bunnyman... ti racconto un aneddoto legato alla finale di Coppa delle Coppe a Wembley, nel '93. Il giorno della partita Scala ci ha lasciato la mattinata libera. Poi ci saremmo ritrovati a mezzogiorno in albergo, per il briefing. Io, che sono un grande appassionato di musica, cosa faccio? Vado a Londra e non vado da Tower Records, che ora è Virgin? Ci facciamo accompagnare in taxi, visito tutti i piani del negozio e compro una valanga di dischi. Guardo l'orologio: le 11.30. Perfetto, siamo in orario. Prendiamo il taxi, ma puntualmente rimaniamo imbottigliati nel traffico. Ormai mancano pochi minuti a mezzogiorno e noi siamo ancora in macchina. Per fortuna il tassista ci scarica davanti all'hotel proprio mentre tutti si recavano alla conferenza stampa. Ho pensato, 'cominciamo bene la giornata'. La sera, poi, abbiamo vinto”. Una serata indimenticabile. “Certo. Stavamo vivendo un momento magico, al terzo anno in serie A avevamo vinto la Coppa delle Coppe, l'hanno prima la Coppa Italia contro la Juventus, che per noi è stato come battere il Brasile. E poi aver vinto a Wembley, il tempio del calcio, ha avuto un sapore particolare. Siamo stati tra gli ultimi a disputarvi una finale, poco tempo dopo lo stadio fu demolito”. A proposito della finale di Coppa Italia contro la Juve: tu segnasti la rete decisiva. Non ne hai fatti molti nella tua carriera, ma hai sempre fatto gol molto pesanti. “È vero. Pensa, ho segnato il primo gol in serie A nella storia dell'Empoli, che è valso anche la prima vittoria, ho segnato il primo dei due gol promozione contro la Reggiana, poi quello contro la Juve. Non ho segnato tanto, ma sai, io ero un attaccante particolare”. Si potrebbe dire un trequartista? “Nemmeno... ero un attaccante atipico e un centrocampista altrettanto atipico, difficile da classificare. Forse anche per questo non sono stato capito fino in fondo. Comunque ho fatto molti più assist che gol; ecco, preferivo fare l'ultimo passaggio. Per me, mandare in gol i compagni era il massimo”. Marco, come sei arrivato al Parma? “Il mio arrivo a Parma è un stato un po' casuale. Ho fatto tutta la trafila nelle giovanili del Torino, una delle scuole dalla migliore tradizione, insieme all'Atalanta e al Cesena, allora molto forte. Il Toro mi mandò a Empoli, in Serie B, per farmi le ossa. Era l'anno i cui il Vicenza fu penalizzato per la vicenda delle scommesse e così ci ritrovammo in Serie A al loro posto. In Toscana giocai un buon campionato, al termine del quale sono rientrato alla base. L'anno successivo sarei dovuto tornare a Empoli, ma ci fu qualche problema, così chiesi di andare in prestito da un'altra parte. Dopo un paio di giorni si fece vivo il Parma. A quei tempi c'era il Direttore Generale Soliani. Io ero ben contento di venire al Parma, perchè allora era un trampolino di lancio per i giovani”. Con Sacchi rischiò già di salire in A. “Certo, e sfornò ottimi giocatori. Bianchi, Mussi, Signorini, Bruno, Macina successivamente hanno fatto molto bene in A. Per me era una bella piazza per farmi conoscere; e poi rimanevo pur sempre di proprietà del Torino. Fatto sta che a fine anno il Parma mi ha riscattato a titolo definitivo e sono rimasto fino al '93. Era la stagione 1987/'88”. Che rapporto avevi con Scala? “Io ho sempre cercato di allacciare buoni rapporti con gli allenatori, mantenendoli su un piano essenzialmente professionale. Con Scala ho avuto qualche contrasto solo nel '93, dopo la vittoria in Coppa e, come sai, poi sono tornato al Torino. Vedi, arrivato a un certo punto della carriera vorresti sempre qualcosa in più, sempre nuovi stimoli. Diciamo che io avevo le mie ragioni e lui le sue, ma quando capita di incontrarsi sono baci e abbracci. Scala non era così burbero come lo dipingono”. Quali pensi siano stati i meriti di Scala nel successo del suo Parma? “Credo che Scala abbia saputo amalgamare i giocatori più adatti al suo gioco. Nel nostro Parma erano molto importanti gli esterni. Chi avevamo noi? Gente forte e veloce, come Di Chiara e Benarrivo e, prima ancora, Gambaro, che poi è andato al Milan. La difesa si reggeva su tre centrali molto affiatati. Un elemento dalla grande classe come Grun, un marcatore implacabile come Gigi Apolloni e un ex libero dalla grande visione di gioco come Lorenzo Minotti. E poi c'era Cornelio Donati, che meriterebbe un premio. Ha esordito in A a trentuno anni ed è arrivato a vestire la maglia della Nazionale, come lo stesso Zoratto. Poi c'erano i vari Cuoghi, Melli, Brolin. Io sono convinto che, in fondo, i risultati dipendano prima di tutto dai giocatori”. Tu sei reduce da una esperienza un po' sfortunata come allenatore della Nuorese. Cosa è successo? “Guarda che il mondo del calcio è davvero incredibile. Il Presidente della Nuorese mi ha espressamente voluto. Su tre partite non si è mai visto allo stadio, avrà assistito a un'ora di gioco e poi mi ha esonerato. La domenica successiva era in panchina con la squadra. Vai a capire. Il mio grande rammarico è che oggi più di un giocatore mi chiama per dirmi quanto stavamo lavorando bene”. Che consiglio daresti a Di Carlo, da tecnico a tecnico? “Io credo che stia sbagliando modulo. Non è tanto una di questione di 4-4-2 o 4-3-3, il problema è schierare gli uomini giusti al posto giusto. Ad esempio, Dessena è fuori posizione: non può giocare laterale, deve stare in mezzo. E poi Morrone e lo stesso Dessena sono troppo simili: due incontristi bravi a distruggere, ma meno abili a costruire. Comunque, non vogio giudicare una situazione che non conosco bene”. Tu hai vissuto anche il Campionato brasiliano. Cosa ricordi? “Dopo aver chiuso in Serie A con il Torino, nel '95, ho giocato u anno nel Palmeiras, che era sponsorizzato dalla Parmalat. Tra i miei compagni di squadra c'erano Rivaldo, Cafu e Junior, per dirne alcuni. Ho fatto un Campionato Paulista e mezzo Campionato brasiliano, perchè poi mia moglie è rimasta incinta ed è voluta rientrare. Del Brasile ricordo soprattutto il numero esorbitante di partite, nei giorni, nei posti e negli orari più assurdi. Ricordo il potere della televisione, molto più influente che in Italia, che decideva dove e quando giocare, anche una gara casalinga in uno stadio a centinaia di chlometri. Ma soprattutto ricordo lo strapotere delle telenovelas: una puntata importante poteva far slittare o anticipare un incontro di campionato”. Marco, hai smesso di giocare relativamente presto in Serie A . Perchè? Hai qualche rimpianto? “No, nessuno. Ho sempre fatto quello che mi sentivo di fare. Sono contento di quello che ho fatto e che ho ricevuto. Noi calciatori dobbiamo crescere molto in fretta. A tredici anni mi sono trasferito da Ancona a una metropoli come Torino. Devi abituarti in fretta ai cambiamenti e devi saper prendere decisioni scomode. Sono felice a Parma. Ho scelto di restare ancora prima di smettere di giocare qui. Ora cercherò di prosegire la mia carriera da allenatore”.