Jung: Hitler, Mussolini e Stalin

Transcript

Jung: Hitler, Mussolini e Stalin
JUNG CARL GUSTAV
Hitler, Mussolini e Stalin
(da un'intervista della rivista “Cosmopolitan”a Carl Gustav Jung) (a cura di Benedetto
Brugia)
— Che cosa succederebbe se Hitler, Mussolini e Stalin venissero
rinchiusi insieme in una stanza, con un pezzo di pane e una brocca
d'acqua bastanti per una settimana? Chi si accaparrerebbe tutto il cibo
e tutta l'acqua? O forse se li dividerebbero?
Dubito se li dividerebbero. Hitler, essendo il tipo dello sciamano,
probabilmente si terrebbe sdegnosamente in disparte senza partecipare
alla mischia. Senza il suo popolo tedesco, sarebbe impotente. Mussolini
e Stalin, essendo entrambi il tipo del capovillaggio o del guerriero,
probabilmente si disputerebbero il possesso di pane e acqua, e Stalin,
essendo il più duro e prepotente, alla fine si accaparrerebbe tutto.
Nella società primitiva c'erano due tipi di uomini potenti. Uno era il
capovillaggio, fisicamente possente, più forte di tutti i suoi rivali; e
l'altro era lo stregone, che non era forte per se stesso, bensì in “ragione
del potere che il popolo proiettava su di lui”. Allo stesso modo da noi
c'erano l'imperatore e il capo della comunità religiosa. L'imperatore
comandava, disponeva di forza “fisica”, attraverso il suo esercito; il
veggente, come lo stregone, possedeva scarsa o nessuna forza fisica,
ma la sua potenza effettiva superava a volte quella dell'imperatore,
perché per consenso popolare gli erano attribuiti poteri magici: vale a
dire, capacità sovrannaturali. Poteva, per esempio, facilitare od
ostacolare il passaggio alla beatitudine dopo la morte, porre al bando
un membro della comunità, la comunità stessa o un'intera nazione, e
provocare al popolo con la sua scomunica gravi danni e sciagure.
Orbene, Mussolini è l'uomo della forza “fisica”. Lo si avverte
immediatamente appena lo si guarda. La sua corporatura dà un'idea di
muscoli robusti. È il capo in ragione del fatto che individualmente è più
forte di ciascuno dei suoi avversari. E la sua mentalità corrisponde
oggettivamente a questa classificazione: ha la psicologia del
capovillaggio.
Alla stessa categoria appartiene Stalin. Stalin tuttavia non è un
creatore. Lenin lo era stato, ma Stalin sta divorando la creatura di
Lenin. Stalin è un predatore; non ha fatto altro che prendersi quello che
Lenin aveva creato per affondarvi i denti e divorarlo. Neppure nella
distruzione è creativo. Lenin lo era, invece: abbatté l'intera struttura
della società feudale e borghese della Russia sostituendola con un
sistema di sua creazione, che ora Stalin sta distruggendo.
Dal punto di vista psicologico, Stalin non è interessante come Mussolini,
che pure gli somiglia nello schema di base della personalità, e non è
neppure lontanamente interessante come lo stregone, il mito, come
Hitler.
— Chiunque assuma il comando di centosettanta milioni di individui,
come ha fatto Stalin, non può non essere interessante, che piaccia o
meno.
No, Stalin è solo un bruto, un contadino furbo, una belva istintiva e
possente, di gran lunga il più potente, questo è vero, di tutti i dittatori.
Con quel collo taurino, i baffoni spioventi, e il sorriso di un gatto che ha
appena rubato la panna, fa venire in mente una tigre siberiana dalle
zanne a sciabola. Gengis Khan, diciamo, potrebbe essere considerato
uno Stalin “ante litteram”. Non mi stupirei se si facesse acclamare zar.
Hitler è tutt'altra cosa. La sua costituzione fisica non dà un'idea di forza.
La caratteristica più evidente della sua fisionomia è lo sguardo
sognante. È questo che mi ha colpito più di tutto nel vedere le
fotografie scattate durante la crisi cecoslovacca: nei suoi occhi c'era lo
sguardo del veggente.
Non c'è dubbio che Hitler rientri nella categoria dello sciamano. Come
ebbe a osservare qualcuno durante l'ultimo congresso del partito a
Norimberga, non si è visto niente di simile dai tempi di Maometto.
La caratteristica segnatamente mistica di Hitler è ciò che lo spinge a
fare cose che “a noi” sembrano illogiche, inesplicabili, stravaganti e
irragionevoli. Ma riflettiamo: persino la terminologia dei nazisti è
chiaramente mistica. Prendiamo il nome stesso dello Stato nazista. Lo
chiamano il Terzo Reich. Perché?
— Perché il Primo Reich fu il Sacro Romano Impero, il secondo quello
fondato da Bismarck e quello di Hitler è il terzo.
Certo. Ma c'è un significato più profondo. Nessuno chiamò il regno di
Carlo Magno il Primo Reich, né quello di Guglielmo il Secondo Reich.
Solo i nazisti chiamano il proprio Stato il Terzo Reich. Perché ha un
profondo significato “mistico”: nell'inconscio di ogni tedesco
l'espressione “Terzo Reich” risveglia echi della gerarchia biblica. Perciò
Hitler, che per parte sua ha più di una volta lasciato intendere di essere
conscio della propria missione mistica, appare ai devoti del Terzo Reich
qualcosa di più di un semplice uomo.
E, ancora, prendiamo la diffusa reviviscenza del culto di Wotan nel
Terzo Reich. Chi era Wotan? Il dio del vento. Prendiamo la
denominazione “Sturmabteilung”, milizia della tempesta. La tempesta,
capisce: il vento. Alla stessa stregua, la svastica è una ruota che forma
un vortice ruotante incessantemente verso sinistra: il che nella
simbologia buddhista ha un significato appunto sinistro, infausto,
diretto verso l'inconscio.
E tutti questi simboli di un Terzo Reich guidato dal suo profeta sotto le
insegne del vento e della tempesta e del vortice incessante alludono a
un movimento di massa che, in un uragano di emotività irrazionale,
trascinerà il popolo tedesco sempre più verso un destino che nessuno
può predire, tranne il veggente, il profeta, il Führer, e forse neppure lui.
— Come mai, allora, Hitler, che fa cadere in adorazione ai suoi piedi
ogni tedesco, sembra così insignificante a qualunque straniero?
Appunto. Negli stranieri non provoca la minima risposta emotiva,
mentre in Germania sì, in ogni tedesco, a quanto pare. Perché Hitler è
lo specchio dell'inconscio di ogni tedesco, ma, com'è naturale, a chi non
è tedesco non rimanda alcuna immagine. Hitler è il primo uomo a dire a
ciascun tedesco ciò che questi ha sempre pensato e sentito nel suo
inconscio circa il destino della Germania, soprattutto dopo la sconfitta
nella guerra mondiale, e il tratto che più di ogni altro colora ogni anima
tedesca è il tipico complesso d'inferiorità di questo popolo: il complesso
del fratello minore, di quello che arriva sempre un po' in ritardo alla
festa. Il potere di Hitler non è politico: è “magico”.
— Che cosa intende per “magico”?
Per capirlo bisogna capire che cosa è l'inconscio. L'inconscio è quella
parte della nostra organizzazione psichica sulla quale abbiamo scarso
controllo e in cui sono accumulate ogni sorta di impressioni e
sensazioni; che contiene pensieri e persino conclusioni di cui non siamo
consapevoli.
Accanto alle impressioni che riceviamo consciamente, vi sono
impressioni di ogni sorta, che invadono costantemente i nostri organi di
senso, delle quali non siamo consapevoli perché sono troppo deboli per
attirare la nostra attenzione cosciente. Infatti giacciono “sotto” la soglia
della coscienza; ma tutte queste impressioni subliminali vengono
registrate: nulla va perduto.
Supponiamo che, mentre noi conversiamo, qualcuno nella stanza
accanto parli con voce appena percettibile. Noi non ci badiamo, ma la
conversazione nella stanza accanto viene registrata nel nostro inconscio
con la stessa precisione di un nastro magnetico. Mentre lei siede qui, di
fronte a me, il mio inconscio assorbe una quantità di impressioni su di
lei, benché io non me ne accorga; anzi, lei rimarrebbe stupito se le
dovessi dire tutte le cose che ho già inconsciamente imparato su di lei
in questo breve lasso di tempo.
Ebbene, il segreto di Hitler non è che egli abbia un inconscio con dentro
più cose del suo o del mio. Il segreto di Hitler è duplice: primo, in lui
l'inconscio ha accesso in maniera eccezionale alla coscienza, e,
secondo, egli se ne lascia dirigere. Possiamo paragonare Hitler a un
uomo che ascolta attentamente il torrente di consigli che gli vengono
sussurrati da una fonte misteriosa e che poi “li mette in pratica”. Noi
invece, anche se di tanto in tanto il nostro inconscio riesce a
raggiungerci, per esempio attraverso i sogni, siamo troppo razionali,
troppo cerebrali per ubbidirgli. Così è certamente nel caso di
Chamberlain; Hitler invece ascolta e ubbidisce. La vera guida è sempre
“guidata”.
In Hitler questo si vede chiaramente. Lui stesso ha fatto riferimento alla
sua Voce. La sua Voce altro non è che il suo inconscio, sul quale il
popolo tedesco ha proiettato il proprio essere; vale a dire, è l'inconscio
di settantotto milioni di tedeschi. È questo che lo rende potente. Senza
il popolo tedesco, Hitler non sarebbe quello che ora ci appare.
E dice la verità, alla lettera, quando afferma di essere in grado di fare
quello che fa soltanto perché ha alle spalle il popolo tedesco, ovvero,
come dice talvolta, perché egli è la Germania. Perciò, con un inconscio
che è il ricettacolo delle anime di settantotto milioni di tedeschi, Hitler è
potente, e, grazie alla sua “percezione inconscia” del vero equilibrio
delle forze politiche in patria e nel mondo, egli è sempre stato, finora,
infallibile.
Questo spiega perché i suoi giudizi politici risultino spesso antitetici
rispetto a quelli di tutti i suoi consiglieri e rispetto a quelli di tutti gli
osservatori stranieri. Quando questo avviene, significa semplicemente
che le informazioni raccolte dal suo inconscio, che grazie al suo talento
particolare raggiungono la coscienza, sono sempre state molto più
corrette di quelle di tutti gli altri, tedeschi o stranieri, che hanno cercato
di valutare la situazione e sono arrivati a conclusioni diverse dalle sue.
E significa anche, beninteso, che, avendo queste informazioni a
disposizione, Hitler è disposto ad “agire” in base a esse.
— Immagino si riferisca alle tre più cruciali decisioni prese da Hitler,
ciascuna delle quali comportava immediato pericolo di guerra: la marcia
sulla Renania nel marzo del 1936, l'annessione dell'Austria nel marzo
del 1938 e quando con la sua mobilitazione costrinse gli Alleati ad
abbandonare la Cecoslovacchia. Infatti sappiamo che, in ognuno di
questi tre casi, molti dei più alti consiglieri militari di Hitler cercarono di
dissuaderlo, convinti che gli Alleati avrebbero opposto resistenza e che,
in caso di guerra, la Germania sarebbe sicuramente uscita sconfitta.
Esattamente! Il fatto è che Hitler seppe giudicare i suoi avversari
meglio di chiunque altro, e che, sebbene lo scontro apparisse
inevitabile, “egli sapeva” che i suoi avversari avrebbero ceduto senza
combattere. Deve averlo capito soprattutto quando Chamberlain andò a
Berchtesgaden. Fu allora che per la prima volta Hitler incontrò di
persona l'anziano statista inglese.
Come Chamberlain stesso dimostrò in seguito a Godesberg, ci era
andato per dire a Hitler, tra le altre cose, di non tirare troppo la corda,
altrimenti la Gran Bretagna avrebbe reagito con la forza. Ma l'occhio
inconscio di Hitler, che fino a quel momento non gli era mai vento
meno, seppe leggere così a fondo nel carattere del Primo Ministro
inglese che tutti i successivi ultimatum e avvertimenti non gli fecero la
minima impressione: l'inconscio di Hitler sapeva (non è che lo
deducesse o lo sentisse, “lo sapeva”) che l'Inghilterra non avrebbe
rischiato una guerra. Eppure, il discorso di Hitler al Palazzo dello sport,
quando egli giurò solennemente davanti al mondo che il 1° ottobre
avrebbe invaso la Cecoslovacchia, con o senza il consenso della Gran
Bretagna e della Francia, lasciò per la prima e unica volta capire che
l'uomo Hitler, in quel momento decisivo e supremo, aveva paura di
seguire il profeta Hitler.
La sua Voce gli diceva di andare avanti, che tutto sarebbe andato bene.
Ma la sua umana ragione gli diceva che i pericoli erano enormi e forse
schiaccianti. Di conseguenza, per la prima volta, a Hitler tremò la voce
e venne meno il respiro. Quel discorso mancava di forma, e si trascinò
incerto. Ma quale essere umano “non” avrebbe avuto paura in un
momento simile? A fare quel discorso, in cui si decideva del destino di
centinaia di milioni di esseri umani, era un uomo che si accingeva a un
atto di cui aveva un terrore mortale, ma che pure si costringeva a
compiere perché così gli ordinava la sua Voce.
— E quella Voce ebbe ragione. Ebbene, chi ci dice che non possa
continuare ad avere ragione? In tal caso, sarà molto interessante
osservare la storia dei prossimi anni, perché, come Hitler stesso ebbe a
dire subito dopo la vittoria in Cecoslovacchia, la Germania si trova oggi
sulla soglia del suo futuro. Il che significa che questo è solo l'inizio, e se
la sua Voce gli dice che il popolo tedesco è destinato a diventare il
dominatore dell'Europa e forse del mondo, e se quella Voce continuerà
ad avere ragione, allora ci aspetta un periodo estremamente
interessante, non trova?
Sì. Si direbbe che il popolo tedesco sia oggi convinto di avere trovato il
suo Messia.
In un certo senso, la posizione dei tedeschi è molto simile a quella degli
ebrei nell'antichità. Da quando sono stati sconfitti nella guerra
mondiale, i tedeschi non hanno fatto che attendere un Messia, un
Redentore. Questo è tipico dei popoli con un complesso di inferiorità.
Quello degli ebrei derivava da fattori geografici e politici: la parte del
mondo in cui vivevano fu sempre teatro di conquiste da Oriente e da
Occidente, e dopo il ritorno dalla prima cattività babilonese, minacciati
di estinzione dai romani, inventarono la consolante idea di un Messia
che avrebbe nuovamente riunito tutti gli ebrei in un'unica nazione e li
avrebbe salvati.
Il complesso di inferiorità dei tedeschi nasce da cause analoghe. I
tedeschi emersero dalla valle del Danubio troppo tardi, e posero le
fondamenta di uno Stato nazionale quando questo si era da tempo
affermato in Francia e in Inghilterra. Arrivarono tardi anche alla corsa
delle colonie e ancora tardi per la fondazione di un impero. E quando
finalmente riescono a formare uno Stato unitario, ecco che,
guardandosi intorno, vedono che gli inglesi, i francesi e altri popoli
hanno ricche colonie e tutte le strutture di una nazione adulta; allora
sono presi dalla gelosia e dal risentimento, come il figlio minore, i cui
fratelli maggiori si sono accaparrati la parte del leone dell'eredità.
Questa fu l'“origine” del complesso d'inferiorità dei tedeschi, che ha
determinato una parte così notevole del loro pensiero politico e della
loro prassi politica, e che è certamente determinante per la loro politica
attuale. Come vede, è impossibile parlare di Hitler senza parlare del
popolo tedesco, perché Hitler non è altro che il popolo tedesco.
Durante il mio ultimo viaggio in America, mi venne fatto di pensare che
si potrebbe stabilire un'interessante analogia geografica con la
Germania. In America ho notato che in certe zone dell'East Coast esiste
una classe di persone che vengono chiamate poor white trash, “povera
spazzatura bianca”, di cui ho appreso che sono in gran parte i
discendenti dei primi coloni, alcuni dei quali provenienti da ottime
famiglie inglesi. Questi “poveri bianchi” furono lasciati indietro quando
altri, uomini pieni di energia e di spirito di iniziativa, salirono sui carri
dei pionieri e mossero alla conquista del West.
Poi, nel Middle West, si incontra una popolazione che io considero la più
stabile d'America; intendo la più equilibrata psicologicamente. Mentre,
un poco più a Ovest, si trovano alcune delle popolazioni meno
equilibrate.
Ora, mi pare che, considerando l'Europa come un'unità e includendovi
le isole britanniche, nell'Irlanda e nel Galles abbiamo l'equivalente della
vostra West Coast. I celti, infatti, posseggono facoltà immaginative fin
troppo ricche. Quindi, corrispondenti al vostro austero Middle West,
abbiamo in Europa gli inglesi e i francesi, entrambi popoli
psicologicamente stabili. Ma poi si arriva alla Germania, e subito al di là
della Germania ci sono gli slavi, i mugichi, la povera spazzatura bianca
d'Europa.
I mugichi sono gente che non riesce ad alzarsi la mattina, che dorme
tutto il giorno. E i tedeschi, i loro vicini di casa, sono un popolo che è
riuscito, sì, a svegliarsi, ma l'ha fatto troppo tardi. Ha presente come i
tedeschi rappresentano ancor oggi la Germania nelle loro vignette
umoristiche?
— Sì, come “schlafmütziger deutscher Michel”, Michele il Dormiglione,
un tipo alto e magro, in camicia e berretta da notte.
Appunto. Michele il Dormiglione dormiva durante la spartizione del
mondo in imperi coloniali, e di lì nacque il complesso d'inferiorità dei
tedeschi, che li ha spinti a provocare la guerra mondiale; e
naturalmente, quando persero la guerra, il complesso si aggravò, e fece
nascere in loro il desiderio di un Messia, e adesso hanno Hitler. Se pure
non è il vero Messia, Hitler assomiglia però a un profeta del Vecchio
Testamento: la sua missione è di unificare la sua gente e di condurla
alla Terra Promessa. Questo spiega perché i nazisti devono combattere
ogni forma di religione che non sia la loro particolare versione idolatra.
Sono sicuro che la campagna contro le Chiese cattolica e protestante
sarà portata avanti con instancabile e irriducibile vigore, per l'ottima
ragione, dal punto di vista dei nazisti, che vogliono sostituirvi la nuova
fede dell'hitlerismo.
— Ritiene possibile che l'hitlerismo diventi per la Germania la religione
stabile del futuro, come l'islamismo per i maomettani?
Lo ritengo altamente probabile. La “religione” di Hitler è la più vicina
all'islamismo, è realistica, terrena, promette la massima ricompensa in
questa vita, con un Walhalla tipo paradiso maomettano, a cui saranno
ammessi i tedeschi degni di questo nome per continuare a gustare i
piaceri dell'esistenza. Come l'islamismo, essa predica la virtù della
spada. La prima idea di Hitler è di rendere potente il suo popolo perché
lo spirito del tedesco ariano merita di essere sostenuto dalla possanza,
dai muscoli, dall'acciaio.
Beninteso, non è una religione spirituale, nel senso che siamo soliti
dare a questa espressione. Non dimentichiamo però che nei primi tempi
del cristianesimo anche la Chiesa ambiva al potere assoluto, sia
spirituale sia temporale! Oggi la Chiesa non avanza più questa pretesa,
che peraltro è stata fatta propria dagli Stati totalitari, i quali vogliono,
oltre al potere temporale, anche il potere spirituale.
Incidentalmente, mi viene in mente ora che il carattere “religioso”
dell'hitlerismo è sottolineato anche dal fatto che è stato adottato dalle
comunità tedesche di tutto il mondo, anche le più lontane dal potere
politico di Berlino: basta pensare alle comunità tedesche del
Sudamerica, soprattutto del Cile.
— (Mi aveva sorpreso che in questa analisi dei dittatori non si
accennasse all'influenza del padre e della madre. Il dottor Jung non
assegnava un ruolo di rilievo ai genitori).
È un grave errore credere che un dittatore diventi tale per motivi
personali, per esempio l'ostilità provata da bambino contro il padre.
Milioni di uomini si sono ribellati al padre tanto quanto, poniamo,
Mussolini, o Hitler o Stalin, e tuttavia non sono mai diventati neppure
lontanamente dei dittatori.
La legge da non dimenticare riguardo ai dittatori è la seguente: “È il
perseguitato che diventa persecutore”. I dittatori devono aver sofferto
in condizioni adatte a produrre la dittatura. Mussolini arrivò nel
momento in cui il suo paese era nel caos, la classe operaia era
incontrollabile e la minaccia del bolscevismo seminava il terrore tra la
gente.
Hitler comparve quando la crisi economica aveva paurosamente ridotto
il tenore di vita della Germania e fatto salire a livelli intollerabili la
disoccupazione, e dopo la grande inflazione che, nonostante la
successiva stabilizzazione, aveva impoverito l'intera classe media. Sia
Hitler sia Mussolini ricevettero il potere dal popolo e quel potere non
può essergli tolto. È interessante notare come il potere di entrambi
poggi soprattutto sulla piccola borghesia, gli artigiani e i piccoli
coltivatori.
Ma, per tornare alle condizioni in cui i dittatori arrivano al potere: Stalin
prese il potere quando la morte di Lenin, creatore unico del
bolscevismo, aveva lasciato il partito e il popolo senza guida e il paese
incerto sul suo futuro. Dunque i dittatori sono fatti di un materiale
umano che soffre sotto il peso di bisogni soverchianti. I tre dittatori
d'Europa sono enormemente diversi l'uno dall'altro, ma la differenza
non è tanto tra loro, quanto tra i popoli sui quali dominano.
Confrontiamo il modo in cui i tedeschi considerano Hitler con il modo in
cui gli italiani considerano Mussolini: i tedeschi sono estremamente
impressionabili, spingono sempre le cose agli estremi; sono sempre un
po' squilibrati. Sono cosmopoliti, cittadini del mondo; perdono
facilmente la loro identità nazionale, vorrebbero imitare le altre nazioni.
Il sogno di ogni tedesco è di vestire come un gentleman inglese.
— Tranne Hitler. Hitler si è sempre vestito a modo suo, e nessuno
potrebbe accusarlo di voler far credere che si comperi i vestiti in Savile
Row.
Appunto. Perché Hitler sta dicendo ai tedeschi: “E adesso, bei Gott,
incominciate a essere tedeschi!”.
I tedeschi sono straordinariamente sensibili alle nuove idee, e quando
ne trovano una che a loro piace tendono ad assorbirla acriticamente e a
lasciarsene dominare completamente per un certo periodo; ma dopo un
po' sono portati a disfarsene altrettanto impetuosamente, per
abbracciarne una più nuova, che con ogni probabilità è esattamente
l'opposto di quella di prima. Questo è il modo in cui hanno sempre
gestito la loro vita politica.
Gli italiani sono più stabili. La loro psiche non conosce le oscillazioni, gli
abissi, le vertigini e le estasi peregrine che costituiscono l'esercizio
quotidiano di quella tedesca. Perciò in Italia troviamo uno spirito di
equilibrio che manca in Germania. Quando in Italia i fascisti presero il
potere, Mussolini non si preoccupò neppure di spodestare il re.
Mussolini non si affidò alle estasi dello spirito, ma diede mano al
martello, e con quello prese a plasmare l'Italia nella foggia che voleva,
non diversamente da come suo padre, che faceva il maniscalco, ferrava
i cavalli.
Il temperamento equilibrato di Mussolini e degli italiani trova conferma
nel trattamento degli ebrei da parte dei fascisti. All'inizio non li
perseguitarono affatto, e anche ora che, per varie ragioni, hanno dato
inizio a una campagna antisemita, essa è mantenuta entro proporzioni
modeste. Immagino che la ragione principale della conversione di
Mussolini all'antisemitismo sia da ricercare nel suo essersi convinto che
il giudaismo internazionale costituisce una forza irriducibile ed efficace
contro il fascismo (ha contato l'esempio di Léon Blum in Francia,
credo), e inoltre nella sua volontà di rinsaldare i legami con Hitler.
Come vede, dunque, mentre Hitler è uno sciamano, una sorta di vaso
spirituale, un semidio, o, ancor meglio, un mito, Mussolini è un uomo, e
di conseguenza tutto nell'Italia fascista ha un aspetto più umano che
non nella Germania nazista, dove la vita è gestita per mezzo della
rivelazione. Hitler come uomo praticamente non esiste. O comunque
scompare dietro il suo ruolo. Mussolini, al contrario, non si lascia mai
cancellare dal suo ruolo. È il ruolo che scompare dietro Mussolini.
Ebbi modo di vedere il Duce e il Führer insieme a Berlino, in occasione
della visita ufficiale di Mussolini; per un caso fortunato mi trovavo a
pochi metri da loro e ho potuto studiarli per bene. È stato divertente
osservare l'espressione di Mussolini quando vide le truppe fare il passo
dell'oca. Se non avessi visto la sua faccia, avrei creduto anch'io, come
tutti, che l'adozione del passo dell'oca tedesco anche per l'esercito
italiano fosse una scimmiottatura di Hitler. E ne sarei rimasto deluso.
Perché mi era parso di scorgere nella condotta di Mussolini un certo
stile, la tipologia di un uomo dotato di originalità e di un certo buon
gusto in talune cose.
Voglio dire, per esempio, che è stato indice di buon gusto da parte del
Duce lasciare al suo posto il re. Anche la scelta del suo titolo, “Duce” —
non Doge, come nell'antica Repubblica di Venezia, e neppure Duca,
bensì Duce, il termine italiano normale per dire “leader” —, è originale e
a mio avviso dimostra buon gusto.
Ebbene, guardando Mussolini assistere per la prima volta al passo
dell'oca, mi resi conto che si stava godendo lo spettacolo con
l'entusiasmo di un bambino al circo. E ancora di più gli piacque il
numero in cui fa il suo ingresso la cavalleria e il tamburino a cavallo
galoppa davanti a tutti e si mette in posizione su un lato della strada,
mentre la banda si dispone sul lato opposto. Per fare questo, il
tamburino deve galoppare tutt'attorno alla banda fino al suo posto
senza mai toccare le redini, guidando il cavallo esclusivamente con la
pressione delle ginocchia, dato che le mani sono occupate a battere sul
tamburo.
In quella occasione il numero fu eseguito in maniera superba e a
Mussolini piacque talmente che scoppiò a ridere e si mise a battere le
mani. Tornato a Roma, introdusse il passo dell'oca, e io sono convinto
che lo fece esclusivamente per il suo piacere estetico. Bisogna
ammettere che il passo dell'oca è un passo quanto mai suggestivo.
A paragone di Mussolini, Hitler mi diede l'impressione di un manichino
di legno ricoperto da un telo, di un automa con la maschera, di un
robot, o la maschera di un robot. Durante tutta la cerimonia non fece
mai un sorriso; sembrava imbronciato, di cattivo umore.
Non diede mai un segno di umanità. Aveva un'espressione di inumana
univocità di intenti, senza il minimo senso dell'umorismo. Sembrava la
controfigura di una persona vera, come se l'uomo Hitler si fosse
nascosto dentro il robot, come un accessorio, e nascosto
deliberatamente, per non intralciare il meccanismo.
Tra Hitler e Mussolini non potrebbe esistere differenza più grande! Io
non ho potuto fare a meno di provare simpatia per Mussolini. L'energia
scattante del suo fisico ha un che di caldo, di umano e di contagioso:
con Mussolini hai la confortevole sensazione di trovarti davanti a un
essere umano. Con Hitler, ti viene paura: sai che non riuscirai mai a
rivolgere la parola a quell'uomo, perché non c'è nessun uomo là sotto.
Hitler non è un uomo, è qualcosa di collettivo. Non è un individuo; è
una nazione intera.
A mio avviso è vero in senso letterale che non ha amici personali. Come
si può parlare di cose intime con una nazione? È impossibile spiegare
Hitler partendo dalla sua personalità, così come è impossibile spiegare
una grande opera d'arte analizzando la personalità dell'artista. Una
grande opera d'arte è il prodotto dell'epoca e del mondo in cui vive
l'artista, e dei milioni di persone che lo circondano, e delle migliaia di
correnti di pensiero e degli infiniti flussi di attività che scorrono attorno
a lui.
Perciò per Mussolini, che è soltanto un uomo, sarebbe più facile trovare
un successore che non per Hitler. Con un po' di fortuna, credo che
Mussolini potrebbe trovare qualcuno a cui passare le consegne, mentre
nel caso di Hitler non vedo come sarebbe possibile.
—
Non può sposarsi. Se lo facesse, non sarebbe Hitler a sposarsi.
Cesserebbe di essere Hitler. Ma non è pensabile che lo faccia. Non mi
stupirei se si venisse a sapere che ha sacrificato la sua sessualità
interamente alla Causa.
Non è una cosa insolita, soprattutto per un capo di tipo sciamanico,
benché lo sia meno per il tipo del capovillaggio. Mussolini e Stalin
sembrano avere una vita sessuale del tutto normale. La vera passione
di Hitler, naturalmente, è la Germania. Si potrebbe dire che Hitler ha un
terribile complesso materno, il che significa che tenderà a essere
dominato o da una donna o da un'idea.
L'idea è sempre femminile. La psiche è femminile, perché la testa, il
cervello, possiede la facoltà di creare; perciò è come l'utero, è
femminile. L'inconscio di un uomo è sempre rappresentato da una
donna; e quello della donna da un uomo.
— Che ruolo svolge ciò che chiamiamo l'ambizione personale nella
costituzione dei nostri tre dittatori?
Direi che in Hitler svolge un ruolo insignificante. Non credo che Hitler
abbia ambizioni personali che vadano oltre quelle dell'uomo medio.
Mussolini ha un'ambizione superiore alla media, ma questo non basta a
spiegare la sua forza: è convinto anche di corrispondere ai bisogni della
nazione. Per parte sua, Hitler non governa la Germania. È
semplicemente l'esponente della tendenza delle cose. È questo che lo
rende misterioso e psicologicamente affascinante. Mussolini governa
sull'Italia, fino a un certo punto, ma per il resto è uno strumento del
popolo italiano.
Con Stalin le cose sono diverse. La sua caratteristica dominante è una
straripante ambizione “personale”. Non si identifica con la Russia.
Comanda sulla Russia come un qualsiasi zar. Non dimentichiamo che,
per l'appunto, è georgiano.
— Come spiega allora che Stalin abbia imboccato la strada che ha
imboccato? A me pare che, lungi dall'essere poco interessante, Stalin
sia a sua volta un enigma. Ecco un uomo che ha vissuto la maggior
parte della sua vita da bolscevico rivoluzionario. Il padre, un ciabattino,
e la madre, donna molto pia, lo mandarono in seminario. Ancora
giovanissimo divenne un rivoluzionario e da quel momento in poi non
fece altro che combattere contro lo zar e contro la polizia zarista. Fu
cacciato in prigione una dozzina di volte, e tutte le volte si liberò.
Ebbene, come spiega che un uomo, che per tutta la vita si è battuto
contro la tirannia dello zar, ora tutto a un tratto diventi a sua volta una
specie di zar?
Non è così strano. Si diventa sempre la cosa che più si combatte. Che
cosa indebolì il potere militare di Roma? Il cristianesimo. Perché,
quando i romani conquistarono il Vicino Oriente, furono conquistati
dalla sua religione.
Quando si combatte, si è costretti ad andarle molto vicino, ed è facile
rimanerne contagiati. Devi conoscere lo zarismo molto bene se vuoi
sconfiggerlo. Poi, quando hai cacciato lo zar, ecco che diventi tu stesso
uno zar, esattamente come un cacciatore di bestie feroci può diventare
a sua volta bestiale. So di un tale che, dopo aver praticato per anni la
caccia grossa in modo corretto e sportivo, dovette essere arrestato
perché usava la mitragliatrice per uccidere gli animali. Quell'uomo era
diventato assetato di sangue come le pantere e i leoni che era solito
cacciare.
Stalin combatté per tanto tempo contro la sanguinosa oppressione
zarista, che ha finito per fare esattamente come lo zar. Secondo me,
non esiste alcuna differenza tra Stalin e Ivan il Terribile.
— Come spiega allora il fatto, riferito da molti e da me personalmente
osservato, che il tenore di vita dell'Unione Sovietica è notevolmente
aumentato e continua ad aumentare dopo il livello bassissimo della
carestia del 1933?
È naturale. Niente impedisce a Stalin di essere un buon amministratore,
oltre che un despota. Sarebbe del resto stupefacente che qualcuno
potesse impedire a un paese così ricco di risorse naturali come la Russia
di essere prospero. Ma Stalin non ha nessuna originalità, ed è tipico del
suo cattivo gusto che si dia da fare per diventare uno zar in modo così
rozzo, pubblicamente, senza neppure cercare di salvare le apparenze.
Davvero da “proletario”.
— Però ancora non mi ha spiegato in che modo Stalin, il leale uomo del
partito, che ha lavorato nella clandestinità per quello che era allora un
ideale altamente altruistico, possa essersi trasformato in un arrivista
avido di potere.
A mio avviso il cambiamento avvenne in Stalin già nel 1918, durante la
rivoluzione. Fino a quel momento aveva faticato, forse altruisticamente,
per il bene della Causa, e probabilmente non aveva mai pensato di
conquistare un potere personale, per l'ottima ragione che non gli si era
mai presentata neppure l'ombra dell'occasione di poter aspirare a
qualcosa di simile. Il problema per lui non si poneva nemmeno. Ma,
durante la rivoluzione, Stalin vide per la prima volta come si fa ad
acquisire il potere. Sono sicuro che deve essersi detto con stupore: “Ma
allora è facile!”. Deve aver osservato Lenin e gli altri raggiungere tutti i
gangli del potere assoluto, ed essersi detto: “Dunque è così che si fa!
Ebbene, io posso batterli tutti. Basta eliminare quello che ti sta
davanti”.
E avrebbe certamente eliminato Lenin, se Lenin non fosse morto prima.
Niente lo avrebbe potuto fermare, così come niente lo può fermare ora.
È naturale che voglia che il suo paese sia prospero. Quanto più il suo
paese è prospero e grande, tanto più grande è la sua persona. Ma non
potrà dedicare tutte le energie al benessere del paese finché la sua
“personale” voglia di potere non sarà soddisfatta.
— Eppure ormai ha tutto il potere che può desiderare.
Sì, ma deve mantenerlo. È circondato da un branco di lupi; deve stare
costantemente all'erta. Devo dire che secondo me dovremmo essere
grati a Stalin!
— Perché?
Per avere dato al mondo una meravigliosa dimostrazione della verità
assiomatica che il comunismo conduce sempre alla dittatura.
Ma accantoniamo questa questione, e mi lasci spiegare qual è la terapia
che suggerisco. Come medico, ho il dovere non solo di analizzare e di
fare la diagnosi, ma anche di proporre una terapia.
Abbiamo parlato quasi esclusivamente di Hitler e dei tedeschi perché
nel momento attuale essi costituiscono l'espressione di gran lunga più
importante del fenomeno della dittatura. Per questo caso, dunque, devo
proporre una terapia. È molto difficile affrontare questo tipo di
fenomeno, perché è estremamente pericoloso; voglio dire il tipo di caso
in cui una persona agisce sotto coazione.
Ebbene, quando ho a che fare con un paziente che agisce secondo i
dettami di una potenza superiore, una potenza che è dentro di lui,
come la Voce di Hitler, non mi azzardo a dirgli di disubbidire alla sua
Voce. Se gli dico così, non seguirà il mio consiglio. Sarà anzi ancor più
determinato che se non gli avessi suggerito nulla. Io posso solo cercare,
“interpretando” la Voce, di indurre il paziente a comportarsi in un modo
che risulti meno nocivo a lui stesso e alla società che non se ubbidisse
alla Voce direttamente, senza la mia interpretazione.
Perciò, in questa situazione, io dico: l'unico modo per salvare la
democrazia in Occidente (e per Occidente intendo anche l'America) non
consiste nel cercare di fermare Hitler. Si potrà cercare di distrarlo, ma
fermarlo è impossibile senza scatenare la grande catastrofe per tutti. La
sua Voce gli dice di unificare il popolo tedesco e di condurlo verso un
futuro migliore, verso un posto più ampio nel mondo, verso una
posizione di gloria e di ricchezza. Non si può impedirgli di cercare di
raggiungere questi scopi; si può solo sperare di influire sulla direzione
della sua espansione.
Perciò dico: lasciamo che vada alla conquista dell'Est. Distogliamo la
sua attenzione dell'Occidente, o, meglio, incoraggiamolo a mantenerla
fissata altrove. Che vada in Russia. È questa la “cura” logica per Hitler.
Non credo che alla Germania possa bastare un pezzo di Africa, grande o
piccolo che sia. La Germania guarda all'Inghilterra e alla Francia, con i
loro grandiosi imperi coloniali, e persino all'Italia, con la sua Libia e la
sua Etiopia, e paragona le proprie dimensioni con le loro: settantotto
milioni di tedeschi contro quarantacinque milioni di sudditi britannici e
quarantadue milioni di francesi e quarantadue milioni di italiani; è
inevitabile che pensi che le spetterebbe un posto al mondo non
semplicemente pari a quello occupato da una qualunque delle altre tre
grandi potenze occidentali, ma “molto più vasto”. E come potrebbe
procurarselo, in Occidente, se non annientando uno o più nazioni che
ora lo occupano? Rimane un unico campo di operazioni per la
Germania, ed è la Russia.