Ecco un altro pianeta ricco di fascino e di mistero. Marte, nome dato

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Ecco un altro pianeta ricco di fascino e di mistero. Marte, nome dato
GIOVE
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MARTE
Ecco un altro pianeta ricco di fascino e di mistero. Marte, nome dato dai romani al dio greco della guerra Ares, è il quarto
pianeta più vicino al Sole del Sistema Solare.
Ciò che lo rende speciale è che probabilmente un tempo aveva acqua allo stato liquido in superficie (e quindi qualche
primitiva forma di vita?), e proprio per questo nessun pianeta è stato così studiato con tante missioni spaziali. Ma andiamo
con ordine. Guardandolo con un telescopio o anche semplicemente a occhio nudo si vede che questo pianeta è rosso. La sua
superficie è infatti composta perlopiù da ossido di ferro (ruggine) che dona questa colorazione al pianeta. Ha una
sottilissima atmosfera (sulla quale tornerò più avanti) e, soprattutto, ciò che spiega in gran parte l’attuale conformazione del
pianeta, una massa molto più piccola di quella della Terra: 0.11 volte la massa del nostro pianeta (e un raggio che è la metà
del nostro). Esso non ha una tettonica a placche, e questo, dovuto alla bassa forza di gravità, ha permesso l’esistenza di
vulcani giganteschi: nella più grande regione vulcanica, Tharsis, si trova il più grande vulcano del Sistema Solare, il Monte
Olimpo. Esso ha una base di circa 600 km e un’altezza di 25 km (l’Everest è alto meno di 9 km!). Come detto poc’anzi,
Marte non ha una tettonica a placche, ma questo non vuol dire che è geologicamente inerte. Ci sono studiosi convinti che,
come sulla Terra, ci sono zone completamente inerti e zone attive (ci sono zone completamente prive di crateri, e zone con
crateri molto vecchi). Anche la conformazione degli emisferi è insolita: quello superiore è mediamente più basso di quello
meridionale. Se ci fosse acqua allo stato liquido su Marte essa starebbe in gran parte sull’emisfero settentrionale. Anche
Marte, come la Terra, ha le calotte polari, visibili al telescopio specialmente durante le sue opposizioni. Esse sono formate
da anidride carbonica allo stato solido (il nostro “ghiaccio secco”) e da ghiaccio. Dunque c’è acqua su Marte, anche se non
liquida! Un momento, il discorso è un po’ lungo. Gli scienziati sono d’accordo nel dire che probabilmente un tempo
l’acqua liquida su Marte esisteva davvero, e che anzi questo pianeta era completamente diverso da com’è oggi! Sono stati
osservati e fotografati delle “cicatrici” sul terreno, probabilmente letti di antichi fiumi e canyon (la Valle Marineris è come
il nostro Grand Canyon in Colorado, solo che la prima è profonda fino a 8 km, mentre il secondo è profondo 1.6 km),
nonché ciottoli rotondi (dilavati dall’acqua) dentro alcune rocce analizzate dalla Mars Pathfinder, la sonda atterrata il 4
luglio del 1997. Ma affinché l’acqua liquida possa scorrere devono esistere le giuste condizioni climatiche: una pressione
di 7 millibar (150 volte più piccola dell’atmosfera terrestre al livello del mare) e temperature che variano durante il giorno
da 180 K (all’alba) e 300 K (a mezzogiorno) non sono proprio le condizioni ideali per avere fiumi e laghi d’acqua! La
pressione così piccola fa sì che il ghiaccio, a 273 K, sublimi direttamente in vapore acqueo senza passare per lo stato
liquido. Inoltre la presenza al 95% di anidride carbonica nell’aria sarebbe sufficiente e creare un effetto serra (tale da
aumentare la temperatura media del pianeta) se solo l’atmosfera fosse più spessa. Quindi un tempo Marte aveva
un’atmosfera più spessa e un clima più clemente. Ma cosa successe? Perché Marte subì un sì violento cambiamento
climatico? Nessuno può ancora dirlo con certezza. Ci sono varie ipotesi, tutte plausibili: impatto con un corpo celeste,
mancanza di un satellite naturale stabilizzante, oppure attività geologica. Vediamole: poiché Marte ha una massa così
piccola, un impatto con un corpo celeste sarebbe molto più catastrofico dell’impatto che lo stesso oggetto provocherebbe
sulla Terra. L’impatto potrebbe scagliare nello spazio buona parte dell’atmosfera, che non è efficacemente trattenuta dalla
gravità. La mancanza di un satellite “vero” (Phobos e Deimos sono pietruzze, in confronto a Marte) potrebbe aver provocato
l’instabilità dell’asse di rotazione del pianeta, così da alterare le stagioni (che peraltro esistono ancora su Marte) e
provocare un mutamento climatico. Anche un intenso campo magnetico (che però oggi non c’è più, o meglio è debolissimo)
potrebbe aver strappato via l’atmosfera marziana. Infine, da considerazioni geologiche, i corpi piccoli si raffreddano più
velocemente.
Insomma, per potere avere acqua allo stato liquido Marte dovrebbe avere un’atmosfera molto più spessa: così avrebbe più
anidride carbonica per riscaldare la superficie. Anzi, un mistero è questo: se è vero che una volta l’acqua scorreva in
superficie, è vero anche che c’era più anidride carbonica nell’aria. Dov’è finito questo surplus? In parte congelata nelle
calotte polari, ma sommando la quantità di CO2 nelle calotte e quella nell’atmosfera non si arriva alla quantità che doveva
essere presente un tempo per permettere all’acqua di scorrere. La parte mancante non può essere racchiusa nelle rocce,
perché sennò ci sarebbe nell’atmosfera un surplus di N2 (azoto), come sulla Terra. E allora? Parte dell’anidride carbonica
non è più su Marte. Come mai? Non si sa. Un altro curioso risultato è che ci sono più gas nobili laggiù che qui sulla Terra:
il rapporto tra la concentrazione di 40Ar (Argon 40, che noi respiriamo) e quella di 36Ar è 10 volte maggiore che sulla
Terra. Anche questo è un mistero.
Tornando al presente, Marte ha due satelliti, Phobos e Deimos, che probabilmente sono asteroidi catturati, considerate le
ridotte dimensioni e la forma irregolare di entrambi. Il primo ruota attorno a Marte in 8 ore, quindi, poiché Marte ruota su
se stesso in poco più di 24 ore, un “marziano” vedrebbe il satellite sorgere e tramontare due volte nello stesso giorno. Lo
stesso “marziano” vedrebbe Deimos tramontare 60 ore dopo il sorgere. Sono corpi molto piccoli (il più grande, Phobos,
misura 25x21 km) da dove sarebbe molto facile decollare: velocità di fuga pari a 50 km/h!
Infine un aneddoto storico: nel 1877 l’astronomo italiano Giovanni Schiaparelli disse di aver visto su Marte delle linee
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scure, che chiamò canali. In inglese il termine “canali” venne tradotto in “canals”, ovvero canali artificiali, e cominciò a
circolare per il mondo la fantasia dei “marziani”. Un matematico americano, Percival Lowell, si convinse che essi fossero
dei canali d’irrigazione costruiti dai marziani. Era in errore, ma poco importa, poiché ebbe la sua consolazione, anche se
postuma: l’osservatorio da lui fondato a Flagstaff, in Arizona (USA), scoprì il pianeta Plutone (l’unico pianeta ad essere
stato scoperto da un americano, Clyde Tombaugh).
Cesare Grava
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