Tecnologia per la scienza, il sapere, il progresso: dalle idee

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Tecnologia per la scienza, il sapere, il progresso: dalle idee
Tecnologia per la scienza, il sapere, il progresso:
dalle idee moderniste al PC
Essendo il mio intervento soprattutto una sintesi testuale per un possibile processo
d’introduzione critica alla tecnologia didattica e non certo un corso di computer (osservato da
un punto di vista didattico o meno), ritengo fondamentale approfondire gli aspetti legati
all’interfaccia grafica ed al suo sviluppo sino alle attuali più diffuse applicazioni. Cercherò di
essere breve, limitandomi a citare soltanto le tappe fondamentali e mi dilungherò in tale
disamina per l’importanza che il processo ha avuto per la storia del sapere contemporaneo.
E’ infatti fondamentale capire che i cambiamenti introdotti dal computer attengono
alla sfera globale dell’individuo ed hanno una specifica coerenza rispetto al suo stile
d’apprendimento, ne modificano in certa misura i parametri ma subiscono a loro volta
continue modifiche dalle evoluzioni dell’individuo stesso. Il rapporto con le attuali interfacce
sta ad esempio mutando gli stili relazionali nei posti di lavoro e, a breve, comincerà a farlo in
modo strutturale anche nelle scuole. Non se ne discute ancora seriamente, ma l’impatto più
importante che i computer produrranno a scuola non sarà dato dalla loro presenza in quanto
tale, ma dal fatto che centinaia di migliaia di insegnanti potranno comunicare tra loro in
tempo reale, scambiandosi idee e opinioni, spostando avanti, in misura tale che a breve sarà
difficilmente misurabile, quelli che ognuno di noi ritiene i margini, gli ambiti ed ovviamente
anche i luoghi dell’insegnare.
Quelle che citerò considerandole tappe fondamentali, riferiscono prima di tutto
un’idea di base, quella che sia sempre possibile rifinire saperi e nozioni, che sia un preciso
dovere di ogni intellettuale il porsi in modo critico rispetto al proprio materiale di studio,
continuando ad accrescerne, razionalizzandola, la base. Sapere sempre di più e sempre
meglio, magari in sempre meno tempo.
Probabilmente quest’idea emerge con la consapevolezza stessa del sapere e forse
attiene più a Cartesio che ad altri autori ma, nel nostro caso, è possibile associarla, ancor
prima che ad un individuo, ad una precisa tecnica documentaria, quella delle glosse ebraiche,
considerate il primo rudimentale esempio di meta-testo in continua evoluzione. Senza
dilungarci ad aggiungere altri esempi di storia antica, passiamo ora direttamente alla fase i
cui l’accesso di molti ad una “tecnologia superiore permise di aspirare a più alte vette,
sostenendo nuove speculazioni sempre più ambiziose tra scienziati e studiosi d’ogni tipo.
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Questo periodo corrisponde agli anni trenta, anzi agli “imperscrutabili anni trenta”,
anni in cui il mondo conobbe un’incredibile incremento della conoscenza scientifica,
incremento che non ha mai cessato di prosperare, continuando ad allontanare i traguardi della
scienza. Potremmo dire che la scienza, dopo quel periodo “magico”, non seppe più scuotere
gli animi per lungo tempo, perlomeno sino alla conquista della luna e che non riuscì in
nessun modo a generare il medesimo “stacco” psicologico che si venne spontaneamente a
creare in quella fase.
Pochi ci pensano, ma riflettendoci potremmo ricordare ad esempio che, negli anni
trenta, le automobili di formula uno superavano già i 300 chilometri all’ora, che esistevano
prototipi di aeroplani privi di eliche ed esempi di sistemi per la trasmissione di programmi
televisivi, che anche se a costi proibitivi potevamo parlare al telefono da un capo all’altro del
pianeta e che, anche senza i computer, facevamo già calcoli complicatissimi a velocità
incredibili per la mente umana. Altrimenti, come accadrebbe per le piramidi egizie se le
osservassimo senza un’accettazione aprioristica della loro quasi magica perfezione
costruttiva, pressoché incredibile per l’epoca cui risalgono, giudicandone solo la logica
progettuale, non potremmo capire come siano stati costruiti i grattacieli di New York prima
dell’esistenza di Autocad. D’accordo che la roccia su cui poggia Manhattan è molto speciale,
ma se avete visto da vicino il caro vecchio Empire State Building non avrete potuto resistere
dal proferire varie esclamazioni e non provare la strana sensazione che quel “coso” avesse
proprio poco di umano, anche solo per le enormi dimensioni e l’altrettanto ciclopica sfida
alla gravità. Insomma coi calcoli ce la cavavamo già benissimo, anche senza computer, ma
da quando sono arrivati loro ci siamo dati nuovi obiettivi, ad esempio, si diceva poc’anzi la
Luna.
Non a caso ho scelto l’affascinante Selene, in quanto, il primo dei nostri autori,
(quello che in un certo senso “diede inizio” alla questione delle icone anche se non le vide
mai su uno schermo e che probabilmente le associò soltanto all’utilizzo in campo votivo)
Vannevar Bush, Ingegnere elettrotecnico statunitense dal piglio decisamente geniale, ebbe
infatti a dire durante uno dei suoi ultimi interventi, che “il genere umano avrebbe dovuto
aspirare a ben altri obiettivi che non quello di raccogliere un pugno di sabbia dalla superficie
di un sasso, anche se galleggiante nello spazio”. Fame, epidemie, guerre, calamità, erano
motivi di studio e confronto più che sufficienti per le nazioni del pianeta e le loro risorse, e
per molti degli anni a venire.
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Secondo buona parte della comunità informatica questo personaggio praticamente
sconosciuto rispetto all’apporto concreto che seppe dare alla tecnologia, fu il vero ispiratore
del personal computer e lo fu ben prima che il Pc nascesse, immaginandolo occupato già nei
suoi utilizzi di terza generazione, persino prima che venissero prodotte le sue prime versioni
“da camice bianco”.
Secondo Bush era giunto, già alla fine degli anni trenta, il momento per la comunità
scientifica e le istituzioni tutte, di farsi un bell’esame di coscienza e denunciare il ritardo
endemico che la ricerca accumulava di anno in anno, producendo montagne di dati che
nessuno avrebbe mai potuto sfruttare. Dichiarando in questo modo lo spreco sistematico
degli sforzi di migliaia di uomini e donne che dedicarono la vita a scoperte mai diffuse,
divulgate, utilizzate. Soprattutto lo disturbava enormemente che non fosse possibile godere
concretamente della maggior parte dei frutti di tali scoperte e ricerche, ovviamente con
particolare attenzione nei confronti delle perdite per la qualità della vita dell’intero genere
umano e per la perdita di vite vere e proprie. La scoperta di un vaccino poteva accedere venti
o trent’anni prima della sua diffusione e questo stato di cose per Bush era, ormai, del tutto
inaccettabile. Un suo scritto descrive la giornata di un uomo moderno ed elencandone i gesti
nel quotidiano, ci dà un quadro delle risorse tecnologiche già allora disponibili, evidenziando
il fatto che avrebbero continuato a svilupparsi, sollevandoci dalle attività materiali e
regalandoci sempre più spazio per pensare. Non dimentichiamo che Bush fu un uomo
d’azione, non un pingue topo da biblioteca e fece del dinamismo una vera bandiera; la
comodità materiale doveva soprattutto condurre ad una sempre migliore efficienza
intellettuale, vero scopo di ogni scienziato in ogni campo del sapere, (in particolare per la
classe dirigente di quel periodo, ancora intrisa di positivismo) e fulcro dell’indole evolutiva
che caratterizza la razza umana.
Utopie di un tecnocrate a parte, Bush “vagheggiò” di apparati che non sono ancora
stati prodotti ai nostri giorni ma che i pochi che hanno letto questo autore e conoscono a
sufficienza la tecnologia sanno che stanno per arrivare sulle nostre scrivanie, virtuali o reali
che siano e che non è ancora successo soprattutto per le logiche del mercato non certo perché
siano roba da fantascienza. Il suo vero exploit, quello per cui è più famoso e verrà ricordato è
sicuramente il Memex, un’incredibile macchina mai costruita realmente ma sognata,
perfezionata, sviluppata in progetto, lungo quasi un quarantennio, durante un’intera vita da
scienziato.
Questa macchina era appunto un sogno da scienziato modernista, la sintesi fatta
progetto, della vita di un uomo davvero figlio della sua epoca. Vannevar Bush rimane infatti
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tra i più rappresentativi di questa fase storica, probabilmente mai abbastanza studiata. La
macchina delle meraviglie di Bush avrebbe dovuto essere allora, esattamente quello che oggi
è per noi un personal computer, soltanto che avrebbe potuto fare (in teoria) addirittura
qualcosa in più di un comune, moderno Pc. Il Memex doveva servire a ricercatori e scienziati
per raccogliere, catalogare, collegare, produrre, utilizzare, condividere, tutti i propri
materiali, studi, ricerche, appunti, in modo da avere un archivio personale.
Un archivio si, ma dinamico e soprattutto interconesso ai “suoi simili” posseduti dai
colleghi di ogni luogo del pianeta. Bush immaginava già i Memex in costante contatto tra
loro, collegati attraverso la rete telefonica. Prevedeva inoltre: l’utilizzo di alcune funzioni
tramite sistemi di dettatura vocale e la possibile lettura dei contenuti stessi da parte del
sistema, l’integrazione della fotografia istantanea a secco e, soprattutto, la connessione
ipertestuale dei contenuti (di tutti i contenuti, testi, immagini, suoni, filmati…).
Il Memex, per l’epoca in cui venne pensato, era fantascientifico al punto che interessò
quasi di più le riviste di costume che la comunità intellettuale vera e propria. Bush pagò in un
certo senso lo scotto di essere un vero precursore. Seppe immaginare, con notevolissimo
anticipo, quello a cui solo oggi possiamo aver accesso in molti e, secondo alcuni, le sue idee
furono da stimolo a decine di fondamentali invenzioni, alcune delle quali nacquero proprio
dopo le sue affermazioni. Invenzioni come la fotocopiatrice, la fotografia istantanea a secco
(comunemente chiamiata polaroid), la scrittura su schermo, il celeberrimo vocoder del 1948
ecc.
Il segreto di tutto, comunque, non risiedeva nell’incredibile tecnologia retrostante il
sistema ma nella semplice eppur fondamentale idea che il sistema stesso dovesse
necessariamente lavorare secondo una logica non-lineare che permettesse l’accesso ad una
nuova forma d’indicizzazione. La logica non-lineare, molto simile allo stile con cui
naturalmente lavorano le sinapsi, presenti a miliardi nel nostro cervello, è quella in grado di
garantire estrema rapidità di risposta al nostro sistema nervoso e, secondo Bush, avrebbe
iniettato nuova linfa nel mondo della ricerca scientifica. Grazie a quest’intuizione, solo
apparentemente semplice, Bush può essere considerato il padre del concetto di ipertesto e
sarà ricordato per questo ancor prima che per la paternità dell’idea di calcolatore evoluto
personale o personal computer. Il suo scopo, in estrema sintesi, era perciò il seguente:
utilizzare tutte le possibilità offerte dalla tecnologia dell’epoca per sostenere, accrescere e
diffondere il più rapidamente possibile le ricerche scientifiche. Allora poteva sembrare un
sogno tipicamente positivista, oggi, nell’era dei personal-media, dell’informazione planetaria
in tempo reale e del post-consumismo, rappresenta semplicemente quello che dovrebbe fare
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qualunque insegnante, ricercatore o professionista contemporaneo, pena la perdita
dell’importante aggettivo “contemporaneo”. Per quanti usano diffusamente il web questo
momento è arrivato da circa 6-7 anni e ha cambiato definitivamente le prospettive di studio,
aggiornamento, lavoro, comunicazione interpersonale (ovviamente lavorativa e non). Chi usa
le rete e capisce davvero il potenziale del web ha finalmente potuto far proprio lo stesso
quadro concettuale, lo stesso paradigma, promosso e posseduto da Bush, quello
dell’interconnessione orizzontale dei saperi, peccato per i 55 anni di ritardo rispetto alle
attese del nostro vulcanico mentore.
Quella di Bush è una “storia” piena di fascino, sia per l’individuo che emerge da
scritti e documenti, sia per gli stimoli concreti che ancora oggi riescono ad affascinare
moltissimi studiosi e ricercatori anche se è praticamente sconosciuto, in particolare tra gli
informatici non particolarmente curiosi.
Anche il seguito di quest’analisi presenta però spunti affascinanti ed anche il secondo
personaggio che vogliamo citare, Douglas Engelbart, è una figura quantomeno unica e
probabilmente altrettanto rappresentativa di un epoca, quanto lo fu quella di Bush. Il
professor Engelbart è vivente, quindi nostro contemporaneo, ma fa capo alla generazione di
ingegneri che parteciparono agli sviluppi dell’ultima fase della seconda guerra mondiale,
appunto la generazione successiva a Bush. Questo studioso, ingegnere, inventore, è
unanimemente considerato il padre del nostro attuale Pc, perlomeno per quanto attiene una
parte fondamentale, forse la più importante, il mouse.
E’ infatti grazie all’idea di Engelbart di misurare direttamente con strumentazioni
elettroniche la superficie delle carte topografiche, se oggi possiamo scorazzare per una
scrivania virtuale con un aggeggio che secondo alcuni potrebbe assomigliare ad un topo e che
ormai chiamiamo tutti mouse. Quella delle misurazioni topografiche fu sicuramente
un’intuizione notevole e anche fortunata ma non certo casuale. Engelbart era un estimatore
riconosciuto di Bush e non esitò a comunicarglielo ma le sue idee facevano davvero parte
della generazione successiva e forse fu questo che non permise mai ai due studiosi di
convergere progettualmente.
L’idea di Bush ineriva la gestione della mole informativa da un punto di vista
logistico e di stoccaggio, quella di Engelbart si concentrò sull’accesso vero e proprio alle
informazioni, accesso che avrebbe dovuto necessariamente passare attraverso il trattamento
di simboli facilmente comprensibili, anziché stringhe alfanumeriche. L’idea di Bush era
ancora legata al mondo analogico, quella di Engelbart era già completamente (potremmo
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aggiungere incredibilmente per l’epoca) digitale, nonostante tale paradigma si stesse
diffondendo proprio allora e non fosse ancora consolidato nell’establishment scientifico.
Vuole la leggenda che Engelbart fosse, nel 1945, di stanza alle Hawaii come tecnico radar e
che passasse molto tempo in biblioteca, luogo dove reperì una copia dell’articolo di Bush
pubblicata su di una rivista. A parte questo particolare colorito, il lavoro di Engelbart si legò
subito ad un forte desiderio di naturalizzazione degli apparati tecnologici e si spostò,
ovviamente, in direzione della nascente scienza dell’informazione e, appunto, del mondo
digitale. Tralasciando per ragioni di spazio l’approfondimento del discorso sul mouse, che
meriterebbe sicuramente più attenzione, passiamo all’analisi della motivazione sottostante
l’opera di Douglas Engelbart. Se infatti il reperimento delle informazioni fu il punto di
partenza per le sue speculazioni, quello d’arrivo avrebbe dovuto certamente essere qualcosa
di molto più ambizioso anche se derivante proprio da questo particolare fondante.
L’obiettivo di Engelbart era infatti di quelli che non finiscono, di quelli che si sa, in una
singola esistenza, di poter solo cominciare, quasi ad inaugurare una nuova scienza per
l’ampiezza del campo svelato. L’idea era quella di aumentare le capacità di gestione delle
informazioni da parte, sia degli esseri umani, sia delle organizzazioni di cui essi fanno parte,
attraverso l’utilizzo di tecnologie interconnesse, sistemi telematici, editor testuali
dall’utilizzo intuitivo. Il progetto “Augment” avrebbe dovuto permettere una crescita
esponenziale della conoscenza, in più settori e con differenti strascichi operativi, sociali,
economici. Sarebbe inutile negare la presenza dell’idea di Bush in questa teorizzazione e lo
stesso Engelbart non ne fece mai segreto, tento anzi più volte di coinvolgere Bush sulla
questione ma senza successo. Bush non si convertì mai al digitale ma è da escludere che non
ne avesse capito il potenziale, come si diceva era semplicemente della generazione
precedente e pagava anche lo scotto di aver amato moltissimo tutto quello che aveva studiato,
applicato, modificato, e la difficoltà ad allontanarsene. Forse questa “riluttanza evolutiva” fu
del tutto consapevole, sicuramente non diminuì l’entusiasmo di Engelbart. Cronologicamente
potremmo anche aggiungere che, prima di creare il progetto Augment ma dopo l’invenzione
del mouse, egli gettò le basi per il primo sistema di collaborazione telematico che battezzò
NLS acronimo per on-line system. In pratica, e questo gli ha valso numerosi premi,
riconoscimenti e, secondo alcuni, la palma di uomo in assoluto più rappresentativo del
cambiamento radicale dell’economia e dei processi produttivi accaduti dal dopoguerra,
Engelbart getto concretamente le basi per quello che noi chiamiamo comunemente DTP,
acronimo per desktop publishing, pubblicazioni da scrivania, dove la scrivania si pone come
antitesi della tipografia e delle altre strutture adibite al montaggio e stampa di contenuti
editoriali, per il più importante cambiamento nelle pratiche lavorative dopo il telaio
meccanico e le macchine a vapore. L’informatizzazione degli uffici non è ancora finita, a
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diversi livelli e soprattutto in zone come l’europa mediterranea, il sudamerica, l’est, ma
continuerà ad evolvere il sistema produttivo sino a renderlo irriconoscibile rispetto a com’è
attualmente.
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