Legge 210 e nesso di causalità: recente sentenza della

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Legge 210 e nesso di causalità: recente sentenza della
OGGETTO: Legge 210 e nesso di causalità: recente sentenza della Cassazione
Roma, 15 marzo 2005
Prot. n. 39
Ai Coordinatori Regionali INCA
Ai Direttori Comprensoriali INCA
Al Dip. Politiche Sociali CGIL
LORO SEDI
OGGETTO: Legge 210 e nesso di causalità: recente sentenza della Cassazione
Con una recente sentenza la Cassazione è intervenuta sul tema dell'accertamento del nesso di
causalità fra le trasfusioni ematiche e l'epatite B diagnosticata nonche ' sulla condanna alla
corresponsione dei benefici ex lege 210/92.
Secondo questa recente sentenza, che riportiamo in integrale, fini del sorgere del diritto
all'indennizzo previsto in favore di coloro che presentino danni irreversibili da epatiti posttrasfusionali , la prova a carico dell'interessato riguarda, secondo i casi, l'esistenza dei danni ,
l'effettuazione di terapia trasfusionale e il nesso causale fra i primi e la seconda; nesso, da
valutarsi sulla base di un ragionevole criterio di probabilità scientifica (a tale riguardo vedi le
precedenti circolari sia della consulenza medica che del settore sanità) . Una volta dimostrato
tale nesso, si deve ritenere assolto l'onere probatorio incombente su chi pretenda il beneficio
senza che in contrario possa avere rilievo la presenza di un fatto successivo, pur esso
probabilisticamente idoneo a determinare la patologia, operando tale fatto come una causa
dell'evento che, intervenendo dopo il verificarsi della prima, non è idonea a toglierle rilievo,
salvo che non risulti in concreto che la prima causa ancorchè astrattamente idonea a provocare
l'evento pregiudizievole non lo abbia in effetti determinato.
Fraterni saluti.
p. la Consulenza Medico-Legale Nazionale
(dr. Marco Bottazzi)
Sentenza sez. Lav. 17 gennaio 2005, n. 753
Svolgimento del processo
(omissis) vedova di (omissis) ha convenuto in giudizio il Ministero della Salute dinanzi al
Tribunale di Trento affinchè, accertato il nesso di causalità fra le trasfusioni ematiche cui il
(omissis) si era sottoposto presso l'ospedale di Bolzano fra il 1976 e il 1978 e l'epatite B
diagnosticatagli nel 1982, che ne aveva provocato il decesso, l'amministrazione convenuta
fosse condannata a corrispondere ad essa attrice i benefici della legge 210 del 1992.
L'Amministrazione resistendo in giudizio aveva contestato la domanda sul rilievo che il
(omissis) si era sottopostoalle dette trasfusioni per prepararsi ad un trapianto di rene in
Austria. Quindi mancava la prova che il contagio fosse avvenuto a seguito delle trasfusioni o
invece nel corso dell'intervento chirurgico, nè vi erano comunque elementi per sostenere che il
decesso fosse stato determinato dalla malattia epatica cronica.
Il Tribunale, disposta ctu, accoglieva la domanda.
Il Ministero proponeva appello deducendo che nulla autorizzava a ricollegare il contagio con le
trasfusioni subite dal (omissis) nell'ospedale di Bolzano, anche considerando che vi era stato in
sede amministrativa un controllo quasi completo delle disponibilità ematiche della struttura
sanitaria, con esclusione del virus dell'epatite B. Qualora poi il contagio fosse dipeso dal
trapianto eseguito in Austria la provvidenza richiesta non poteva esserconcessa in base alla
legge 210/92, per il tenore di quest'ultima e in base al criterio di interpretazione sistematica.
Nella resistenza della (omissis) la Corte d'appello di Trento riformava la sentenza impugnata e
rigettava la domanda.
Nella motivazione, in sintesi, la Corte premette anzitutto che il CTU aveva radicalmente escluso
la possibilità di individuare con certezza la fonte del contagio, dal momento che nel corso del
1977 il (omissis) aveva subito sia le trasfusioni presso l'ospedale di Bolzano sia il primo
trapianto di rene presso l'ospedale di Innsbruck, tipologie di intervento entrambe idonee a
provocare l'insorgere dell'epatite, accertata per la prima volta nel febbraio 1978. In tale
situazione; secondo il giudice d'appello, non poteva essercondivisa la tesi del Tribunale
secondo cui era irrilevante fatto che il contagio fosse conseguenza di prestazioni sanitarie
eseguite all'estero. Infatti la legge 210/92 è necessariamente finalizzata a garantire una forma
di indennizzo per i soggetti che abbiano riportato conseguenze negative per possibili
disfunzioni non colpose del sistema sanitario italiano e non è invece destinata a fornire
prestazioni assistenziali indiscriminate a chiunque abbia riportato danni per interventi salutari
forniti da stati esteri in modo casuale o per scelta.
Quindi, ad avviso della Corte territoriale, una volta che secondo il chi il trapianto renale doveva
essere considerato, rispetto alle trasfusioni, una fonte di contagio del tutto paritaria, la parte
attrice avrebbe avuto l'onere di dimostrare che queste ultime neerano state la causa. In
mancanza di tale prova - data anche la regolarità della dotazione di emoderivati dell'ospedale
di Bolzano, come emersa dai controlli in sede amministrativa - la domanda della (omissis)
doveva esser rigettata. (omissis) chiede la cassazione di questa sentenza sulla base di tre
motivi. La parte intimata resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente addebita alla sentenza impugnata violazione ed
erronea applicazione dell'art. 1 comma 3, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 come
modificato dalla legge 20 dicembre 1996, n. 64, sostenendo che, diversamente da quanto
ritenutodalla Corte d'appello, la legge 210/92 nell'art. 1 comma 3, accorda un beneficio a
coloro che presentino danni irreversibili da epatiti post trasfusionali indipendentemente dal
fatto che l'atto terapeutico all'origine dell'infezione sia stato praticato in Italia o all'estero,
perchè si tratta di una misura di sostegno di tipo assistenziale disposta dal legislatore a norma
degli artt. 2 e 38 Cost., non circoscritta solo a chi abbia subito trasfusioni in Italia, e tanto più
dovuta nel caso di specie in quanto gli interventi chirurgici di trapianto renale vengono fatti a
Innsbruck in forza di apposita convenzione fra le Province di Trento e di Bolzano e il Land del
Tirolo.
Il motivo è infondato.
La legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da
complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e
somministrazione di emoderivati) successivamente integrata e modificata dalla legge 25 luglio
1997, n. 238, prevede nei primi tre commi dell'articolo 1 che:
"1. Chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di
una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione
permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle
condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge. 2. L'indennizzo di cui al comma 1 spetta
anche ai soggetti cherisultino contagiati da infezioni da HIV a seguito di somministrazione di
sangue e suoi derivati, nonchè agli operatori sanitari che, in occasione e durante il servizio,
abbiano riportato danni permanenti alla integrità psico-fisica conseguenti a infezione contratta
a seguito di contatto con sangue e suoi derivati provenienti da soggetti affetti da infezione da
HIV. 3. I benefici di cui alla presente legge spettano altresì a coloro che presentino danni
irreversibili da epatiti post-trafusionali." L'articolo 4 della stessa legge stabilisce che: "1. il
giudizio sanitario sul nesso causale tra la vaccinazione, la trasfusione, la somministrazione di
emoderivati, il contatto con il sangue e derivati in occasione di attività di servizio e la
menomazione dell'integrità psico-fisica o la morte è espresso dalla Commissione medico
ospedaliera di cui all'articolo 165 del testounico approvato con D.P.R. 29 dicembre 1973, n.
1092. 2. La Commissione medico-ospedaliera redige un verbale degli accertamenti eseguiti e
formula il giudizio diagnostico sulle infermità e sulle lesioni riscontrate.
3. La Commissione medico-ospedaliera esprime il proprio parere sul nesso causale tra le
infermità o le lesioni e la vaccinazione, la trasfusione, la somministrazione di emoderivati, il
contatto con il sangue e derivati in occasione di attività di servizio.
4. Nel verbale è espresso il giudizio di classificazione delle lesioni e delle infermità secondo la
tabella A annessa al testo unico approvato con D.P.R.: 23 dicembre 1978, n. 915, come
sostituita dalla tabella allegata al D.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834. "Questa legge, come noto,
trae origine dalla necessità di adeguare l'ordinamento alle indicazioni contenute nella sentenza
costituzionale 22 giugno 1990, n. 107, dichiarativa della illegittimità costituzionale della legge
4 febbraio 1966, n. 51 nella parte in cui non prevedeva a carico dello Stato un'equa indennità
per il caso di danno derivante, al di fuori delle ipotesi di cui all'articolo 2043 Codice civile, da
contagio o da altra apprezzabile malattia causalmente riconducigli alla vaccinazione
obbligatoria antipoliomielitica riportato dal bambino vaccinato o da un altro soggetto a causa
dell'assistenza personale prestata al primo. In quella occasione la Corte Cost. aveva avuto cura
diprecisare che con la dichiarazione di legittimità costituzionale si introduceva "un rimedio
destinato ad operare relativamente al danno riconducibile sotto l'aspetto oggettivo al
trattamento sanitario obbligatorio e nei limiti di una liquidazione equitativa che pur tenga conto
di tutte le componenti del danno stesso" ed aveva ribadito che tale rimedio era "giustificato dal
corretto bilanciamento dei valori chiamati in causa dall'articolo 32 Costituzione, in relazione
alle stesse ragioni di solidarietà nei rapporti fra ciascuno e la collettività, che legittimano
l'imposizione del trattamento sanitario".
La legge in esame peraltro introducendo l'indennizzo per i casi di danno da vaccinazione
obbligatoria lo ha esteso anche alle altre ipotesi - previste nei commi 2 e 3 dell'art. 1 - nelle
quali non ricorre tuttavia il medesimo presupposto della obbligatorietà deltrattamento sanitario
fonte di pregiudizio alla salute. La Corte costituzionale intervenendo su di essa, con la
successiva sentenza 18 aprile 1996, n. 118, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt.
2, secondo comma e 3, settimo comma della legge nella parte in cui essi escludevano per il
periodo ricompreso fra il manifestarsi dell'evento prima dell'entrata in vigore della legge e
l'ottenimento della prestazione determinata a norma della stessa legge il diritto - fuori delle
ipotesi dell'articolo 2043 Codice civile - ad un'equo indennizzo a carico dello Stato per le
menomazioni riportate a causa di vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica da quanti vi si
fossero sottoposti e da quanti avessero prestata ai primi assistenza personale diretta. E'
particolarmente utile ricordare qui, proprio con riferimento allealtre ipotesi diverse da quella
della vaccinazione obbligatoria - fra le quali rientra quella all'origine della controversia in
esame ha che nella sentenza cit. dopo alcune fondamentali chiarificazioni circa il possibile
conflitto fra la dimensione individuale e quella collettiva del diritto costituzionale alla salute e
circa i modi in cui tale conflitto deve essere composto, il giudice delle leggi ha avuto modo di
mettere in rilievo come "il necessario collegamento che deve esservi fra la previsione
legislativa dell'obbligo di sottoporsi a vaccinazione e l'indennizzabilità del pregiudizio da essa
derivante, rende palese la differenza fra questa e tutte le altre evenienze in cui, in nome della
solidarietà, la collettività assuma su di sè, totalmente o parzialmente, le conseguenze di eventi
dannosi fortuiti o comunque indipendenti da decisioni che la società stessa abbia preso nel
proprio interesse". In tale ultima ipotesi,come ha precisato la Corte, la solidarietà implica un
dovere che il legislatore può attuare "secondo quei criteri di discrezionalità e quella necessaria
ragionevole ponderazione con altri interessi e beni di pari rilievo costituzionale che valgono per
i diritti previsti da norme costituzionali a efficacia condizionata all'intervento del legislatore". Si
tratta,quindi,di ipotesi diversa dall'altra, nella quale invece vi è "un vero e proprio obbligo cui
corrisponde una pretesa protetta direttamente dalla Costituzione".
Fatte queste premesse è agevole osservare con riguardo al motivo in esame che
contrariamente alla tesi della ricorrente e come esattamente messo in luce dal
controricorrente, sebbene il riferimento esplicito all'autorità sanitaria italiana riguardi il solo
caso delle vaccinazioni obbligatorie, la legge 210 del 1992 contiene elementi che
inequivocabilmente depongono per la sua applicabilità ai soli casi di infezione da HIV o di
epatiticontratte a seguito di trasfusioni o somministrazione di emoderivati effettuate
nell'ambito delle strutture sanitarie italiane. A tal proposito vale tener presente l'art. 3 comma
6, che in parallelo con quanto stabilito dal comma precedente per il caso di vaccinazione
obbligatoria, impone al medico che effettua trasfusioni o somministra emoderivati di compilare
una scheda informativa dei dati relativi alla trasfusione o alla somministrazione. Vale inoltre
considerare l'incompatibilità concreta fra gli obblighi di valutatone del nesso causale stabiliti
dall'art. 4 della legge a carico della Commissione ivi richiamata (organo sanitario italiano) e la
effettuazione di trasfusioni o la somministrazione di emoderivati all'estero.
Vale infine richiamare le previsioni dell'art. 1 comma 2, riguardanti l'estensione dei benefici
agli operatori sanitari per i danni da essi riportati in occasione e durante il servizio,
palesemente rivolte achi abbia contratto l'infezione lavorando nelle strutture sanitarie
nazionali.
D'altra parte neppure può indurre ad una diversa conclusione il criterio della interpretazione
costituzionalmente orientata. Come si è detto infatti secondo le indicazioni fornite dalla Corte
Costituzionale nella seconda delle sentenze menzionate, l'indennizzo in parola si configura nei
termini di un diritto, a norma degli artt. 38 e 2 Costituzione, quale misura di sostegno
assistenziale disposta dal legislatore nell'ambito dell'esercizio costituzionalmente legittimo dei
suoi poteri discrezionali. Ora tale qualificazione, condivisa peraltro dalla parte ricorrente,
comporta che la determinazione dei casi nei quali la misura è accordata non possa prescindere
anche dalla considerazione delle risorse finanziarie disponibili, spettando "al legislatore
nell'equilibrato eserciziodella sua discrezionalità e tenendo conto anche delle esigenze
fondamentali di politica economica, bilanciare tutti fattori giuridicamente rilevanti, tra cui gli
andamenti della finanza pubblica" (Corte cost. 31 maggio 1995, n. 99). Quanto poi alla
censura concernente il mancato rilievo dato alla sostanziale equiparazione fra i trapianti nella
Regione Trentino Alto Adige e quelli avvenuti nel Land del Tirolo per effetto di apposite
convenzioni, fondate a loro volta sugli accordi di cooperazione transfontaliera fra Italia e
Austria, ratificati con la legge n. 76 del 1995, concorrono al suo rigetto diverse ragioni.
Innanzitutto si tratta di un tema non sviluppato nella sentenza impugnata, sicchè il ricorrente
avrebbe avuto l'onere di dimostrare dove e come egli aveva investito il giudice di appello di
tale questione. Inoltre si tratta di una censura che nel motivo di ricorso è appena accennata,
intermini di totale genericità Quindi essa - diversamente da quel che è avvenuto- non può
venire proposta nei modi propri di un motivo di ricorso solo nella memoria. Inoltre non vi è
alcuna dimostrazione che il trapianto all'origine della vicenda controversa sia stato effettuato
nell'ambito delle cennate convenzioni. Infine, sia la legge di ratifica dell'accordo quadro tra la
Repubblica Italiana e la Repubblica austriaca sulla cooperazione transfrontaliera delle
collettività territoriali fatto a Vienna il 23 gennaio 1993 (legge 8 marzo 1995 n. 76) sia le
convenzioni menzionate specificamente nella memoria, non possono costituire fonte di
disciplina del diritto azionato dalla ricorrente, essendo successive all'epoca delle trasfusioni e
del trapianto subiti dal (omissis) Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente addebita alla
sentenza impugnata violazione ed errata applicazione delle regole dell'oneredella prova di cui
all'art. 2697 c.c..
Ricorda che circa le cause dell'infezione da virus HBV, accertata nel 1978, il ctu aveva
affermato di ritenere sufficientemente dimostrato che esse potevano venir ravvisate nella
somministrazione di emazie concentrate avvenuta nell'aprile 1977 presso l'ospedale di Bolzano
come anche nel successivo intervento di trapianto renale a Innsbruck, ed aveva aggiunto che
non era dimostrabile quale delle due cause avesse prodotto la malattia. Il ctu aveva quindi
affermato sulla scorta di criteri di probabilità scientifica l'esistenza di un duplice possibile nesso
causale e dunque, sul piano giuridico, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello,
si doveva considerare assolto dalla ricorrente l'onere della prova a suo carico, avendo la
(omissis) dimostrato, secondo rigorosi criteri di probabilità scientifica, il fatto costitutivo del
proprio diritto, mentre sarebbespettato all'amministrazione di provare, contro le conclusioni del
ctu, che l'unica causa dell'infezione era stato l'intervento chirurgico in Austria. Con il terzo
motivo di ricorso la ricorrente addebita alla sentenza impugnata violazione ed errata
applicazione dell'art 41 c.p. e sostiene che poichè il concorso di cause preesistenti o simultanee
o sopravvenute non esclude il rapporto di causalità fra l'azione (o l'omissione) e l'evento, la
presenza di due fonti di contagio del tutto paritarie sul piano probabilistico non poteva
condurre, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d'appello, al rigetto della domanda, se
non ponendo a carico della parte un onere di prova eccedente i limiti della probabilità di tipo
scientifico.
Questi motivi, da trattare congiuntamente perchè connessi dal comuneriferimento al tema del
fattore a cui far risalire l'epatite contratta dal coniuge della ricorrente, sono fondati nei limiti
che seguono. In tema di nesso causale la giurisprudenza di questa Corte è costantemente
orientata ad approvare, specialmente in campo sanitario, il ricorso a criteri di tipo
probabilistico. Ad. es. in materia di malattia professionale non tabellata una lunga serie di
decisioni afferma che la prova della causa di lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere
valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera
possibilità dell'origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un
rilevante grado di probabilità. A tale riguardo - si aggiunge - il giudice deve non solo consentire
all'assicurato di esperire i mezzi di prova ammissibili e ritualmente dedotti, ma deve altresì
valutare le conclusioni probabilistiche del consulentetecnico in tema di nesso causale, facendo
ricorso ad ogni iniziativa "ex officio" diretta ad acquisire ulteriori elementi (nuove indagini o
richiesta di chiarimenti al consulente tecnico ecc.) in relazione all'entità ed all'esposizione del
lavoratore ai fattori di rischio ed anche considerando che la natura professionale della malattia
può essere desunta con elevato grado di probabilità dalla tipologia delle lavorazioni svolte,
dalla natura dei macchinar presenti nell'ambiente di lavoro, dalla durata della prestazione
lavorativa e dall'assenza di altri fattori extralavorativi, alternativi o concorrenti, che possano
costituire causa della malattia (così, di recente, fra le molte Cass. 11 giugno 2004, n. 11128;
25 maggio 2004, n. 10042; 24 marzo 2003 n. 4292; 21 febbraio 2003 n. 2716; 8 gennaio
2003, n. 87; 13 aprile 2002 n. 5352; nello stesso senso, in epoca più lontana Cass. 23 aprile
1997 n. 3523; 8 luglio 1994 n. 6434).
La validità dell'accertamento del nesso di causa secondo criteriprobabilistici è peraltro
riconosciuta da questa Corte in via generale anche in ambiti diversi e spesso lontani da quello
sanitario (v., per due ipotesi fra loro eterogenee, Cass. 3 gennaio 2003 n. 4, in tema di equa
riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole del processo ai sensi della legge 24
marzo 2001, n. 89; Cass. 25 gennaio 1986 n. 498, in tema di disconoscimento della paternità
del figlio concepito durante il matrimonio, con riferimento alla mancata coabitazione dei
coniugi). Ciò premesso, va osservato che, per ciò che qui rileva, l'indennizzo previsto dall'art. 1
della legge 25 febbraio 1992 n. 210 spetta anche, in base al comma 3 dello stesso articolo, a
coloro che presentino danni irreversibili da epatiti trasfusionali. A carico dell'interessato la
legge pone quindi l'onere di provare l'effettuazione della trasfusione, l'insorgenza dell'epatite
come conseguenza della stessa, il danno irreversibile che ne è derivato. Il rapporto di causalità
tra la trasfusione e la patologia, in applicazione del criterio ampiamente seguito dalla
giurisprudenza può, come s'è detto, esser dimostrato su base probabilistica, in base ai canoni
propri della scienza medica.
Nel caso di specie, come riferito dalla Corte di merito, vi era stato un accertamento del c.t.u.
secondo il quale era da ritenersi sufficientemente provato il nesso di causalità dell'epatite con
le trasfusioni a Bolzano e con il trapianto ad Innsbruck, pur non potendosi avere certezza di
quale delle due vicende fosse effettivamente responsabile del contagio. In altri termini per
quanto si desume dalla sentenza il ctu aveva posto sul medesimo piano secondo un criterio
probabilistico la possibilità di contatto con sangue infetto in entrambe le circostanze. Una
situazione siffatta avrebbe dovuto essere letta in senso giuridico considerando che una volta
accertata (non la mera possibilità ma) la ragionevole probabilità che nel corso delle trasfusioni
in Italia si fossero verificate le condizioni idonee a provocare il contagio la prova dei fatti
costitutivi del diritto azionato era stata raggiunta. L'eventuale somministrazione di sangue
contaminato nel corso dell'intervento chirurgico a Innsbruck non si pone sul piano logico come
circostanza che possa escludere di per sè sul piano fattuale che il medesimo contagio si fosse
già verificato a Bolzano. La Corte, senza peraltro affermare esplicitamente che le due situazioni
si escludevano, ha invece ragionato su tale presupposto e, ritenendo che la valenza del
giudizio probabilisticoriguardante la prima fosse elisa da quello concernente la seconda ha
conseguentemente messo nel nulla il positivo riscontro del nesso di causalità messo in luce dal
ctu. fra la terapia trasfusionale preventiva e la patologia, rappresentandosi in definitiva quali
mutuamente esclusive le ipotesi che l'occasione di contagio si fosse verificata a Bolzano o ad
Innsbruck.
Ora, posto che onere della ricorrente era di dar prova di un fatto idoneo a far sorgere il diritto
al beneficio, una volta accolto come valido criterio di valutazione del nesso causale quello della
ragionevole probabilità, la relativa prova, per restare nell'ambito delle previsioni di cui all'art.
2697 c.c. non poteva che esser costituita dalla dimostrazione che un tale fatto si era verificato.
Conseguentemente, nel valorizzare in senso sfavorevole alla ricorrente la circostanza che vi
erano probabilità analoghe di un contagio successivo la Corte di merito ha esteso l'onere
probatorio della (omissis) anche alla assenza di fatti ulteriori idonei a far venire meno gli effetti
del primo. Inoltre, considerando il successivo intervento di trapianto come tale da toglier rilievo
sul piano causale alle trasfusioni precedenti la Corte non ha tenuto conto che in base al
principio dell'equivalenza delle cause rissato dall'art. 41 del codice penale ma pacificamente
applicabile anche al di la degli ambiti penalistici (v, per tutte Cass. 29 maggio 2004 n. 10448;
4 maggio 2004 n. 8457; 22 ottobre 2003 n. 15789; 22 agosto 2003 n. 123777) la presenza di
cause simultanee o sopravvenute non esclude il rapporto di causalità fra l'azione od omissione
e l'evento, che è invece escluso quando le causesopravvenute siano state da sole sufficienti a
determinare l'evento.
L'applicazione di tale principio avrebbe comportato quindi nel caso di specie un risultato
sfavorevole per la (omissis) solo ove fosse stata dimostrata la esclusiva riconducibilità della
infezione al trapianto. In conclusione, il secondo e il terzo motivo di ricorso vanno accolti nei
limiti di cui sopra. La sentenza va cassata con rinvio ad altro giudice che deciderà in base al
seguente principio di diritto e provvederà anche sulle spese: "Ai fini del sorgere del diritto
all'indennizzo previsto in favore di coloro che presentino danni irreversibili da epatiti posttrasfusionali dall'articolo 1, comma 3 della legge 25 febbraio 1992, n. 110, ovvero, in caso di
morte, in favore dei soggetti indicati nell'articolo 2, comma 3 della stessa legge, la prova a
carico dell'interessato riguarda, secondo i casi, l'esistenza dei danni anzidetti o della morte,
l'effettuazione di terapia trasfusionale e il nesso causale fra i primi e la seconda;
nesso, da valutarsi sulla base di un ragionevole criterio di probabilità scientifica. Una volta
dimostrato tale nesso nei termini anzidetti,si deve ritenere assolto l'onere probatorio
incombente su chi pretenda il beneficio senza che in contrario possa avere rilievo la presenza
di un fatto successivo (quale nella specie un trapianto renale) pur esso probabilisticamente
idoneo a determinare la patologia, operando tale fatto come una causa dell'evento che,
intervenendo dopo il verificarsi della prima, non è idonea a toglierle rilievo, salvo che non
risulti in concreto che la prima causa ancorchè astrattamente idonea a provocare l'evento
pregiudizievole non lo abbia in effetti determinato".
P.Q.M.
accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le
spese alla Corte di appello di Venezia.
Così deciso in Roma, il 6 luglio 2004.