Le formiche scontente ovvero La risata di Brahma

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Le formiche scontente ovvero La risata di Brahma
noi e loro
Le formiche scontente ovvero
La risata di Brahma
(favoletta all’antica)
Sebbene siano tanto piccole, le formiche sono insetti
superdotati, capaci di fare cose che certi grossi scarabei
tropicali lunghi dieci centimetri e pesanti centinaia di
volte più di loro non si proverebbero nemmeno a tentare.
Per esempio, è accertato che sono capaci di comunicare tra loro. Non lo fanno, come noi uomini, emettendo
con la bocca suoni articolati, bensì toccandosi con le
minuscole antenne che portano al vertice del capo e che
sono organi quanto mai sensibili e perfezionati, anche se
noi, per vederle, abbiamo bisogno di una forte lente.
Questa fiaba comincia appunto con una conversazione tra due formiche, che si svolge un secolo fa, in un
prato qualunque della immensa pianura che separa la
penisola indiana dalla catena montuosa dell’Hymalaya
(quella che, come sapete, contiene le vette più alte del
Mondo).
Non posso riprodurla testualmente, sia perché non ho
le antenne, sia perché non le avete voi, e quindi non
potreste capirla. Cercherò quindi di tradurla approssimativamente in linguaggio umano, e lo stesso sistema
userò per tutti gli animali parlanti che incontreremo nel
corso della vicenda. In verità, nei libri di zoologia non si
trova alcuna notizia sul fatto che conversazioni, del genere di quelle che vi tradurrò, possano avvenire. Ma ho
letto parecchi Autori che invece riferiscono, fin dall’antichità, discorsi assai interessanti, intercorsi tra animali
delle specie più disparate. Per citare i primi che mi ven367
gono in mente, basti pensare a Esopo, a Fedro, a La
Fontaine, a Kipling, a Trilussa, a Swift. E, se qualche
pignolo vi obbiettasse che quelli non sono autori scientifici, controbbiettategli che neanche le loro storie, come
questa, sono scientifiche, e quindi non stia a rompere.
Ma torniamo alle nostre due formiche indostane.
Esse erano ambedue molto avvilite, e non senza ragione. Era successo infatti poco prima che un grosso rinoceronte di un paio di tonnellate, bighellonando coi suoi
occhietti miopi, aveva messo un piede sul loro formicaio
ipogeo, devastando il paziente lavoro di tutta la comunità cui le due appartenevano e uccidendo o storpiando
centinaia di loro compagne. Per essere di umore depresso, ce n’era più che d’avanzo.
Un inciso: le formiche non usano assegnarsi nomi individuali; intanto perché non saprebbero dove trovarli, tutti
quei nomi, e poi, da loro, ogni individualismo è proibito.
Le chiamerò quindi, per distinguerle, Prima Formica (F1) e Seconda Formica (F-2).
F-1 “Triste destino davvero, essere nate formiche!
Chiunque ci può calpestare; chiunque ci può spiaccicare
senza sforzo. Siamo costrette ad aver sempre paura di
tutti. Bella vita, la nostra!” F-2 “Non me ne parlare, mia
cara! Io non mi ci so rassegnare. Hai visto che orrore,
poco fa? Quello che poi mi fa più rabbia è che, probabilmente, quello scemo che si allontana dondolando il suo
enorme sedere, del disastro che ha combinato, non se n’è
neanche accorto! Sai che ti dico? Che non è giusto che ci
siano tanti esseri grandi, grossi e potenti, e tanti come
noi, piccoli e indifesi, voglio dire! Brahma non ha fatto
le cose per bene, mi dispiace.
“Ce l’avete con Me?” tuonò una voce così potente che
le due formiche ne restarono atterrite. Si trattava di
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Brahma in persona, che dedica ugualmente la sua attenzione a una piccola formica come a un’immensa balena e
al quale non sfugge neanche l’impercettibile fruscio di
quattro antennine che si toccano. Di tutti gli innumerevoli esseri viventi che popolavano la regione, nessuno udì
nulla. Solo i due minuscoli insettini cui la divina domanda era stata rivolta. La voce di Brahma ha questa caratteristica. Appena rimessesi dallo sbalordimento, F-1, la più
anziana delle due, osò rispondere, agitando le antennine
nell’aria:
“Perdonaci, Signore onnipotente, se abbiamo osato
criticarti. Anche Tu, però, saprai quello che è successo al
nostro formicaio, senza che noi, poverette, potessimo
farci niente. Come possiamo essere contente della
nostra condizione? Esiste qualcuna delle Tue creature
più diseredata di noi?” “Ne siete convinte?” chiese la
Grande Voce.
“Certo!” risposero in coro le antennine di F-1 ed F-2.
“Uhm” tuonò Brama. “Quando è così, ditemi che animale vorreste essere, e Io che posso tutto ve lo concederò. Neanche a Me piace essere criticato.”
L’offerta provocò alle formiche la più grande esultanza, ma insieme le piombò nella costernazione. Come
decidere, così su due piedi (o meglio dodici)? Chi scegliere, nella grande varietà di animali che allora popolavano la valle dei grandi fiumi? Si consultarono febbrilmente. Il grosso rinoceronte autore del disastro fu subito scartato perché stupido e miope. Allora, chi? Decine
di nomi si affollavano nella loro mente, timorosa di sprecare l’occasione unica che si presentava loro.
“Allora!?” sollecitò la Voce. “Guardate che ho altro da
fare che aspettare i vostri comodi!”
Agitate, intimidite, le due formiche trovarono infine
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l’accordo: una bestia possente, dominatrice, terrore di
tutte le altre? Ma sì! Come non ci avevano pensato
prima? La tigre! La grande tigre dorata e striata, agile e
forte, con le zanne tremende e gli artigli d’acciaio.
Quella, certo, non doveva conoscere la paura!
“Ecco, Signore - azzardò F-1 con antenne tremanti se non Ti dispiace, vorremmo essere tigri.” Fu affare di
un attimo: nel tempo di tirare uno starnuto, due splendide tigri del Bengala si materializzarono nel punto esatto
dove erano state le due misere formiche.
F-2 guardò l’altra e si prese uno spavento, prima di
realizzare di essere anche lei una tigre non meno spaventosa. E le due fiere, orgogliose e soddisfatte, si addentrarono nella giungla, in cerca di prede da sbranare. Il
primo animale che incontrarono fu invece un’altra tigre,
che sgusciò silenziosa da un canneto.
“Ciao!” miagolò in Tigrino. “Nuove della zona?”
“Appunto - rispose F-1, che era diventata anche spiritosa - più nuove di così sarebbe difficile essere.”
Le due “nuove” approfittarono poi del fortunato
incontro per farsi dare qualche informazione utile sulle
usanze locali della loro nuova specie, a scanso di figuracce. Mentre la collega vecchia del mestiere stava dando
loro gentilmente utili consigli sul modo più semplice per
acchiappare i Nilgau, antilopi assai gustose ma maledettamente veloci, si sentì come un rimbombo che faceva tremare il terreno. La nuova conoscenza fece un gran salto
e si ricacciò tra le canne. Subito, sentirono il suo brontolio: “Ma che fate, incoscienti? Venite a infrattarvi, per la
miseria!”
Le due ex formiche la raggiunsero nel canneto e videro che se ne stava acquattata, facendo loro, concitatamente, gesti di star giù. Il rimbombo aumentò fino a farsi
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vicinissimo, e poi scomparve gradualmente dal lato
opposto. Allora l’altra tigre emise un gran respiro, si tirò
su e poi disse:
“Vedo che nel posto da dove venite non c’erano elefanti. Ma da noi, per disgrazia, ci sono, e neanche
pochi!”
“Perché? Che fanno gli elefanti?”
“Che fanno! Non lo sapete? Siete state proprio fortunate a incontrare me, care forestiere, altrimenti… Vi
basti dire che la settimana scorsa, mio fratello, per non
essersi tirato da parte abbastanza in fretta (e dire che ne
fanno, di fracasso, quei maledetti, quando arrivano!)
quelli se la son presa a male e me l’hanno ridotto come
uno scendiletto, povero Gnaur! Eh: con gli elefanti è
meglio non prendersi confidenze, date retta a me!”
“Ti facciamo le nostre condoglianze.”
“Grazie. Ora scusatemi, ma devo cercare qualcosa per
i piccoli. Ne ho due. Ci vediamo!” e se ne andò per i fatti
suoi.
Rimaste sole, le due si guardarono in faccia, sgomente.
“Bella scema che sei, tu e le tue tigri!” sbottò per
prima F-2. “Eccole, le tue terribili tigri! Per poco non se
la faceva addosso, quando ha sentito gli elefanti!”
“Ti faccio osservare che sulle tigri eri d’accordo anche
tu, e quindi le sceme sono almeno due! Comunque,
ammetto che, nella fretta, ci siamo sbagliate. Dovevamo
scegliere gli elefanti, è evidente. Ormai, però, dobbiamo
rassegnarci. Non possiamo certo chiedere a Brahma di
cambiarci un’altra volta!”
La Voce risuonò ancora una volta dall’alto, attraverso
le chiome degli alberi:
“Sento fare ancora il Mio nome, e con tono lamentoso. Che c’è: non siete soddisfatte del mio miracolo?”
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Fu ancora F-1 a spiegare che, nella fretta di esprimere il
loro desiderio, si erano impappinate, e avevano detto
“tigri”, anziché “elefanti”. Le poverette non osavano
davvero sperarlo, invece l’Onnipotente la prese bene:
“Niente paura, figliole. È presto rimediato.”
Con la velocità della precedente metamorfosi, due enormi elefanti grigi torreggiarono d’incanto, in luogo delle
tigri che esistevano un secondo prima.
Si stupirono di trovarsi di colpo all’altezza delle chiome degli alberi, e anche di trovare appetitose e invitanti
quelle fronde che, nella precedente incarnazione, avrebbero ritenute buone, tutt’al più, per fare ombra.
Ringraziarono in cuor loro Brahma per la sua infinita
generosità e si misero tranquillamente a brucare a quattro metri dal suolo, nella confortante convinzione di aver
risolto per sempre il loro problema di liberarsi dalla
paura.
L’esperienza dei due giorni successivi confermò nei
due neo-pachidermi la detta convinzione. Nessuna delle
altre creature osava disturbarli e tutte ostentavano per
loro il massimo rispetto. C’era acqua in abbondanza e,
per il cibo, bastava allungare la proboscide. Conobbero
anche altri elefanti come loro, che trovarono simpatici e
bonaccioni.
Il terzo giorno, però, era in agguato una terribile delusione.
Fu quando s’imbatterono in un loro simile che trasportava a fatica, con la proboscide, un enorme tronco
d’albero privo di fronde.
“Ehi, che ci fai con quel coso?” gli chiesero. “Non
sarebbe cattivo, di sapore, ma è troppo duro. Non le vedi
le foglie tenere e succose che ci sono in giro?”
“Che c’entra” rispose quello. “Mica lo mangio!”
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“E che cavolo ci fai, allora?”
“Lo trasporto per il mio padrone. È il mio lavoro.
“E chi sarebbe, il tuo “padrone”, se non siamo indiscreti?”
“Un uomo: chi volete che sia? Ma da dove arrivate:
dalla Luna?”
“Un uomo? Che roba è?”
“Venite… venitemi dietro, che ve lo faccio vedere!”
“Certo, due zotici come questi non li ho mai conosciuti” borbottava intanto tra sé.
Fece ancora un breve tratto, sempre trasportando il
suo peso, e s’inoltrò in una spianata, dove erano altri elefanti, con altri tronchi, che essi ammucchiavano insieme.
I nostri due amici, su consiglio del lavoratore, rimasero
nascosti dietro un gruppo di alberi ad osservare.
Sul collo di uno dei loro simili, ridotti in umiliante
schiavitù, era seduto un buffo animale, simile a un grande scimmiotto ma senza peli, con l’aria di essere lui a
comandare. Ecco dunque un “uomo”!?
Altri “uomini” si vedevano a terra, e non si scostavano nemmeno se qualche elefante passava loro accanto.
Cose da pazzi! Eppure, sembravano molto più deboli e
inermi di una tigre!
Sistemato il suo tronco, l’elefante-schiavo tornò sui suoi
passi, evidentemente a prenderne altri, e ripassò accanto ai
suoi nuovi conoscenti non ancora baciati dalla civiltà.
“Scusa un minuto, se non hai troppa fretta.”
“Ho da fare, lo vedete. Ma un minuto posso fermarmi. Che c’è?”
“Sono quelli gli uomini a cui obbedite? Quei cosi ridicoli, tutti colorati?”
“Non sono colorati: sono tutti marroncini. Anzi, quello lassù, senza niente in testa, che comanda più degli
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altri, è addirittura rosa. Colorate sono le finte pelli che si
fanno da sé e si mettono addosso. Qualche volta, nei
giorni di festa, le mettono anche addosso a noi, e allora
diventiamo belli come pavoni, dovreste vederci!”
“Belli, ma con uno di loro seduto sul collo!”
“Che significa? Pesano pochissimo.”
“Appunto - gli diede sulla voce F-2 - sono piccoli e
deboli”. (Noterete, per inciso, che F-2 aveva adottato
subito le nuove misure di grande e piccolo. E dire che,
solo pochi giorni prima, un uomo gli sarebbe parso
immenso, coi capelli tra le nuvole del cielo!) “Mi parete
proprio rimbecilliti - continuò con disprezzo - a stare al
servizio di quegli scimmiotti con la pelle finta!
Basterebbe alzare una delle vostre zampe e: ciac! Fareste
polpette dei vostri “padroni” e i padroni diventereste
voi! Ora ti faccio vedere…”
“Sei uno stupido ignorante e presuntuoso, e non mi
farai vedere proprio nulla! Solo che tu ti permettessi di
avanzare con fare burbanzoso contro di loro, caro il mio
selvaggio, uno di quegli “scimmiotti” alzerebbe verso di
te quel bastoncino luccicante che ha in mano e “pam!”:
le zampe le alzeresti tutte e quattro, e ti caverebbero
quelle belle zanne che hai per venderle al mercato, e tu
non potresti fare nulla per impedirglielo perché saresti
solo una grande carogna morta! Mi spiego? Non ho, proprio tempo da perdere, per uno stupido sovversivo come
te!” E se ne andò a raccogliere altri tronchi.
F-1 ed F-2, come immaginerete, erano annichiliti, e
sembrava loro persino di essere diminuiti di statura. Il
loro sogno di grandezza e di potenza si sbriciolava miseramente, davanti a quei piccoli mostriciattoli, la cui astuzia era più forte della forza enorme degli elefanti, tanto
da riuscire perfino a farsi schiavi obbedienti quei colossi.
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D’altronde, questa volta non avevano nulla da rimproverarsi: agli uomini, o come accidenti si chiamavano, non
avevano potuto pensarci semplicemente perché, nella
loro vita precedente di formiche dei boschi, non li avevano mai visti né uditi menzionare.
“Tu pensi che Brahma…” azzardò F-2.
“Per piacere - gli diede sulla voce F-1 - non Lo nominare neppure!” “A quest’ora avrà esaurito la sua pazienza, e, se ci azzardiamo a scocciarlo ancora, è capace di
trasformarci in cimici o in lombrichi… Ecco! Accidenti
a te !” concluse avvertendo il rimbombo ormai ben noto
della Voce far tremare il cielo.
“Sciocchezze!” disse invece bonariamente Brahma.
“Non sapete forse che in Me tutto è infinito, anche la
pazienza? Coraggio, dunque! Fuori il rospo: qual è adesso il problema?”
Con barriti che sembravano belati, F-1 si dilungò a
spiegare la situazione e a giustificare la loro incolpevole
ignoranza, come se non sapesse che Brahma conosceva
già tutto e voleva solo divertirsi alle loro spalle.
“Basta chiacchiere, ora” l’interruppe la voce di tuono.
“Insomma, che minchia volete?” (Nei momenti di
distensione, capita anche a Brahma di usare un linguaggio poco brahmanico).
“Beh… se fosse possibile… diventare anche noi uomini, non avremmo certo più da disturbarti!”
“Certo che è possibile, a Me. Se è quello, che desiderate, ecco fatto!”
Così fu che, dopo qualche minuto, quelli che lavoravano con gli elefanti videro arrivare due giovanotti sconosciuti. Brahma, si deve dirlo, non aveva fatto le cose a
metà. Con tutta la fretta, non aveva dimenticato nulla. Li
aveva vestiti elegantemente con costumi e turbanti del
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luogo, li aveva muniti di borse di pelle ricamata alla cintura, sonanti di rupìe, e ci aveva aggiunto anche, ad
armacollo, due carabine delle migliori in commercio. Li
aveva anche fatti capaci di comprendere e usare perfettamente sia l’Indostano che l’Inglese. Non avrebbero potuto davvero lamentarsi di come erano stati trattati.
Chiesero all’uomo bianco quanto distasse l’abitato più
vicino e quello, ritenendoli due nobili e ricchi Indiani,
reduci (a dire dall’accento) da Oxford, diede loro le indicazioni con gran gentilezza, e insistette addirittura perché, il giorno successivo, venissero a prendere il tè a casa
sua. Bastava seguire verso nord la via che passava a pochi
passi da lì - aveva detto l’inglese - e in una mezz’oretta si
sarebbero trovati nei sobborghi della cittadina, dove
ognuno avrebbe potuto indicare loro l’unico ostello esistente adeguato a persone del loro rango. I due giovani si
avviarono con passo elastico. Dopo poco, F-1 disse al
compagno: “Sai che ti dico? Ho avuto tanto l’impressione che Lui - e indicava in alto col dito - ridacchiasse.”
“Ma che dici? Le divinità non ridacchiano.”
“E tu che ne sai? Secondo me, ridacchiava. Anzi, se
non temessi di mancarGli di rispetto, direi che sogghignava!”
“Le tue nozioni teologiche vanno rivedute a fondo, e
in particolare il tuo concetto di trascendenza…”
E continuarono per un pezzo, come ogni intellettuale che si rispetti, a discettare di cose di cui non avevano
alcuna conoscenza, finché la loro attenzione fu attratta
da un lamento che proveniva dalla boscaglia a lato della
strada. Subito, ne uscirono quattro indiani che impugnavano ciascuno uno dei quattro capi di un mantello celeste. Sul mantello, radendo con la schiena il terreno e con
le gambe a pendoloni, giaceva, col volto violaceo, quello
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che si lamentava. Non osando fermare i portatori, che
mostravano evidente fretta, F-2 interpellò uno di quelli
che seguivano a mani vuote, bisbigliando tra loro.
“Che succede? S’è fatto male?”
“Altro che male! Un cobra reale l’ha morso alla coscia.
È spacciato, pover’uomo! Potrebbero risparmiarsi di correre tanto, quelli, tanto a casa vivo non ci arriva di certo!”
“Ah, sventurato! Ma perché non si era portato il fucile?
Noi uomini, non li abbiamo i denti velenosi, ma, in compenso, abbiamo l’ingegno e la tecnica, e ci possiamo
dotare di armi efficaci, davanti a cui, non solo un serpente, ma anche un elefante e una tigre sono impotenti come
lattanti!” “Vi compatisco perché siete giovani” rimbeccò
l’altro, che invece era un vecchio. “È per imparare quelle sciocchezze che i vostri stimabili padri vi mandano a
studiare in Inghilterra? Poveri soldi buttati! Ne so più io
che non so leggere, ma ho passato una vita ai margini
della giungla; e vi conviene starmi a sentire. Se vi imbattete in un cobra reale, o anche in un volgare naja con gli
occhiali, potete essere sapienti come Buddha e avere con
voi carabina, pistola, scimitarra e pure un pezzo di artiglieria da campagna, vi ritrovate morti in un batter d’occhio come due imbecilli. Occorre solo avere un sacro
rispetto per quelle bestiacce e tenere gli occhi ben aperti… e certe volte non basta nemmeno. Si nascondono tra
l’erba e le foglie e sono veloci come il fulmine. Il fucile
mi fate ridere! Sapete che ha letto sul giornale mio figlio,
che è stato a scuola alla missione? Che in India, ogni
anno, più di ventimila persone vengono uccise dai serpenti! Ventimila, mica due o tre! Ficcatevelo bene in
testa e datevi una regolata!” e il vecchio affrettò il passo
per raggiungere gli altri.
Le due ex formiche erano ancora una volta a terra,
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umiliate e deluse. F-1 si levò di dosso la carabina ultimo
modello e la spaccò con rabbia contro un tronco.
“Paura… paura… paura… Anche gli uomini hanno
paura… hai sentito? Con tutta la loro intelligenza e i loro
maledetti aggeggi, hanno paura, ed è bene che l ‘abbiano. Perché non sono loro, i più forti. I cobra sono più
forti di loro. È questa la verità!”
Si sedettero a terra, schiena contro schiena, al centro
della strada (non si sa mai!) e rimasero muti e ingrugnati a guardarsi i piedi. Tutta la loro umana boria era svanita come nebbia d’estate.
Questa volta, la voce divina rimbombò senza essere
invocata: “E allora? Che cos’è quell’aria da funerale, giovanotti?”
I giovanotti non osarono rispondere e si limitarono a
guardare in su, colle facce lunghe. La Voce continuò.
“Su… parlate senza soggezione. Anche essere uomini
non vi sta bene, forse? Forse vorreste tentare qualche
altro esperimento?”
Fu la timida F-2 a farsi uscire il fiato: “Tu sei stato infinitamente buono con noi, Signore Onnipotente.
Purtroppo, solo adesso abbiamo finalmente capito chi è il
più forte… Quello che tutti temono, anche gli uomini…”
“Vediamo se indovino: vorreste che vi trasformassi in
cobra!”
“Reali, per favore” azzardò F-1 speranzosa.
Brahma ci mette poco: scomparvero i due giovani
benestanti, le loro vesti, le loro armi, i loro denari. Al
loro posto, due grandi cobra reali, scuri e lucenti, drizzarono le loro teste squamose e micidiali.
“D’improvviso, s’è abbassata la temperatura” se ne
uscì F-2.
“Macché abbassata!” le rispose F-1. “Speravo che,
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con tutti questi cambiamenti, avessi almeno imparato
che tutto è relativo. Una tigre è enorme per un topo e
piccola per un elefante. Un’allodola è un’orribile fiera
per un bruco e un ghiotto boccone per un falco; e così
la temperatura che è gradevole per un uomo è freddino
per noi serpenti. Hai capito, zuccone?”
“Non c è bisogno di offendersi, tra reali… che diamine! Andiamo piuttosto a cercarci un posticino riparato per dormire. Domattina, poi, quando tornerà il caldo,
sperimenteremo finalmente la nostra terribile potenza!”
e i due amici strisciarono nel sottobosco in cerca d’alloggio. Dopo parecchio tempo di inutili ricerche, pensarono di domandare a qualcuno del posto. Drizzarono i
colli ed emisero insieme il loro sibilo, quello che fa tanta
paura anche ai presuntuosi uomini.
“Che è questa cagnara?” strillò un altro cobra reale
affacciandosi da un buco sotto certe radici. “Vi sembra
l’ora di andarvene in giro a schiamazzare, benedetti voi?”
“Scusaci, amico. È che anche noi abbiamo sonno… siamo
forestieri... e non riusciamo a trovarci un posticino per la
notte.”
“Purtroppo da me non c’è più posto. Non posso proprio ospitarvi… non è per cattiveria. Ma qui intorno non
ne mancheranno… Va bene, visto che non siete pratici
del posto, vi darò una mano, per dimostrare che noi
cobra non siamo carogne come certa gente dice in giro.
Venitemi dietro.” Uscì tutto dal suo buco e si avviò tra le
piante, seguito dai presunti forestieri.
“Ah, ecco qui!” disse di lì a poco, indicando con la
lingua un’apertura rotonda che si vedeva in un piccolo
rilievo di terra. “Questo potrebbe fare al caso nostro.
Aspettatemi un attimo, che vado a dare un’occhiata.”
Era scomparso nel buco con neppure metà del corpo,
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che la coda cominciò ad agitarsi convulsamente e sibili
soffocati e incomprensibili uscirono dalla terra. I due si
avvicinarono e riuscirono a distinguere. “Tiratemi
fuori… presto… presto, per carità!”
Fecero del loro meglio. Quando finalmente la testa
dello sventurato uscì all’aperto, videro che era sconvolta
dal terrore, e dalle labbra sanguinanti uscì un sibilo d’angoscia: “Aiuto! Le formiche!!!” Da lassù, oltre i rami più
alti, oltre le nuvole, la risata di Brahma esplose con la
forza di dieci tuoni insieme, anche se la sentirono soltanto F-1 ed F-2
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