Scarica - Villa Stuart

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Scarica - Villa Stuart
Raul Zini
Artroscopia
dell’anca
Presentazione di
J. W. Thomas Byrd
Argalìa Editore Urbino
Raul Zini
Artroscopia dell’anca
Presentazione di
J. W. Thomas Byrd
Argalìa Editore Urbino
ISBN 978-88-89731-19-2
Copyright © 2009 Edizioni Argalìa Editore, Urbino.
Finito di stampare nel mese di novembre 2009
per i tipi delle Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino
Diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo, riservati per tutti i paesi
PREFAZIONE
pag. 7
R. Zini
PRESENTAZIONE
Indice
9
T. Byrd
PARTE GENERALE E TECNICA ARTROSCOPICA
ANATOMIA
13
I. Saenz – O. Farinas
ANATOMIA ARTROSCOPICA
23
V. Ilizaliturri – A. Tomic Loftkjaer
TECNICA ARTROSCOPICA IN POSIZIONE SUPINA
35
T. Byrd
TECNICA PERSONALE: POSIZIONE SUPINA MODIFICATA
51
R. Zini – G. Ponzetto
TECNICA ARTROSCOPICA IN POSIZIONE LATERALE
57
A. Fontana
INDICAZIONI
63
R. Zini – A. Carraro – M. De Benedetto
COMPLICANZE E CONTROINDICAZIONI
97
M. Bigoni – S. Guerrasio
PARTE SPECIALE: TECNICHE CHIRURGICHE
PATOLOGIA CONDRALE E SINOVIALE
113
R. Buly – L. Moya
PATOLOGIA DEL LABBRO ACETABOLARE
129
N. Santori
TRAUMATOLOGIA
143
R. Zini – P. Pirani – M. Occhialini
IMPINGEMENT FEMORO-ACETABOLARE:
- INQUADRAMENTO CLINICO E DIAGNOSTICO
151
E. Sabetta – C. Ferraù
- TRATTAMENTO ARTROSCOPICO
163
T. Byrd – K. Jones
- TRATTAMENTO ARTROSCOPICO
177
M. Philippon – C. Hay – K. Briggs – M. Schenker
- TRATTAMENTO ARTROSCOPICO
189
M. Leunig – N. Mondanelli – M. Kain
3
EDITOR
Raul Zini M.D.
Chirurgo Ortopedico
Direttore Scientifico Ortopedie Gruppo Villa Maria
Villa Maria Cecilia Hospital
Cotignola (RA) - Italia
CONTRIBUTORS
Marco Bigoni, M.D.
Attending Orthopaedic Surgeon,
Academic Researcher,
Clinica Ortopedica Università degli Studi di MilanoBicocca
Azienda Ospedaliera San Gerardo, Monza (Mb) Italia
Michael Leunig, M.D.
Head of Orthopaedics
Orthopaedics
Schulthes Clinic
Zürich
Lower extremities
Zürich, Switzerland
Robert L. Buly, M.D
Assistant Professor of Orthopaedic Surgery
Total Joint Replacement and Adult Orthopaedic
Surgery
Hospital for Special Surgery
New York, USA
Marc J. Philippon M.D.
Orthopaedic Surgeon
Steadman Hawkins Clinic
Vail Co USA
J. W. Thomas Byrd, M.D.
Orthopaedic Surgeon
Nashville Sports Medicine Foundation
Nashville, Tennessee, USA
Ettore Sabetta M.D.,
Direttore Struttura Complessa Ortopedia e Traumatologia
Azienda Ospedaliera Reggio Emilia
Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia Italia
Andrea Fontana, M.D.
Consultant Orthopaedic Surgeon
Istituto Clinico San Siro
Hip and Knee Unit
MIlano - Italia
Consultan Orthopaedic Surgeon Istituti Clinici Rizzoli - Bologna
Consultan Orthopaetic Surgeon University of Torino – Torino
Ivan Saenz, MD
Assistant professor
Human Anatomy and Embriology Department
Faculty of Medicine
University of Barcelona
Orthopedic Surgeon
Emergency Unit
Hospital Espiritu Santo, Santa Coloma de Gramanet
Barcelona Spain
Victor M. Ilizaliturri Jr. MD
Professor of Hip and Knee Surgery, Universidad
Nacional Autónoma de México.
Chief of Hip and Knee Surgery, National Rehabilitation Institute of Mexico.
Mexico City Mexico.
Nicola Santori, M.D.
Chirurgo Ortopedico
Rome American Hospital – Roma – Italia
CO-AUTHORS
Karen K. Briggs, MPH
Steadman Hawkins Research Foundation
Vail, CO USA
Michael SH Kain M.D.
MEMNA European Travelling Fellow
Schulthess Klinik Zurich Switzerland
Andrea Carraro M.D.
Chirurgo Ortopedico
Villa Maria Cecilia Hospital
Cotignola (RA) Italia
Alexander Tomic Loftkjaer MD
Fellow of Hip surgery at the National Rehabilitation
Institute of Mexico.
Mexico City Mexico
Massimo De Benedetto M.D.
Chirurgo Ortopedico
Villa Maria Cecilia Hospital
Cotignola (RA) Italia
Nicola Mondanelli, M.D.
Consultant Orthopaedic Surgeon
Department of Orthopaedics and Traumatology
Azienda Ospedaliero-Universitaria di Careggi
FIRENZE Italia
Oscar Farinas, MD
Assistant professor
Human Anatomy and Embriology Department
Faculty of Medicine
University of Barcelona
Barcelona Spain
Claudio Ferraù M.D.
Azienda Ospedaliera Reggio Emilia
Arcispedale Santa Maria Nuova
Reggio Emilia Italia
Stefano Guerrasio M.D.
Chirurgo Ortopedico
Clinica Ortopedica Università degli Studi di Milano-Bicocca
Azienda Ospedaliera San Gerardo, Monza (MB) Italia
Kay S. Jones, M.S.N., R.N
Nashville Sports Medicine Foundation
Nashville, TN, USA
Connor J. Hay, BA
Steadman Hawkins Research Foundation
Vail, CO USA
Luis E. Moya, MD
Hospital for Special Surgery
New York, USA
Marcello Occhialini M.D.
Chirurgo Ortopedico
Villa Maria Cecilia Hospital
Cotignola (RA) Italia
Piergiorgio Pirani M.D.
Chirurgo Ortopedico
Villa Maria Cecilia Hospital
Cotignola (RA) Italia
Giorgio Ponzetto M.D.
Chirurgo Ortopedico
Villa Maria Cecilia Hospital
Cotignola (RA) Italia
Mara L. Schenker, MD
Steadman Hawkins Research Foundation
Vail, CO, USA
Prefazione
La chirurga artroscopica dell’anca desta attualmente un grandissimo interesse ed è una delle grandi novità
della Chirurgia Ortopedica degli ultimi anni.
L’anca è stata l’ultima articolazione in cui si è messa in discussione la chirurgia tradizionale a favore della chirurgia artroscopica; non è stato un processo rapido e fino a pochi anni fa l’artroscopia dell’anca era solo una
chirurgia di nicchia per pochi artroscopisti interessati a scoprire nuove possibilità ed a sperimentare nuove
tecniche.
Il ritardo dell’esplosione della tecnica artroscopica nell’anca rispetto ad altre articolazioni deriva probabilmente anche dal fatto che si tratta di una articolazione anatomicamente “difficile” da affrontare in artroscopia, che richiede una lunga curva di apprendimento anche per artroscopisti esperti.
Come in passato per le altre articolazioni, l’artroscopia è stata peraltro fondamentale per conoscere l’anca in
maniera diversa, valutarla dal di dentro, capire meglio la sua complessità, rivalutare alcune importanti strutture anatomiche quali in primis il labbro acetabolare.
Nei primi anni 90 è iniziato il mio avvicinamento all’artroscopia dell’anca, dopo una visita a Cambridge a Richard Villar, che allora era il maggiore esperto in Europa; vi erano alla base del mio interesse una innata curiosità per tutte le metodiche artroscopiche e la intuizione che anche in questa articolazione la artroscopia
avrebbe avuto grandi potenzialità, ancora non conosciute; una buona esperienza nella artroscopia delle altre
articolazioni mi ha consentito un approccio non troppo complesso all’artroscopia dell’anca ed ha quindi accresciuto il mio interesse e la mia personale casistica.
Fondamentali nel crescere della mia esperienza sono stati anche i viaggi di lavoro che mi hanno consentito di
visitare e conoscere negli anni successivi alcuni tra i migliori artroscopisti di anca del mondo, quali James
Glick, Robert Buly, Micael Dienst, Thomas Byrd, Marc Philippon, Micael Leunig.
Oggi anche in Italia l’artroscopia dell’anca è una realtà; numerosi sono i Centri in cui viene abitualmente effettuata e molti i Chirurghi Ortopedici che vi si sono avvicinati con entusiasmo.
Da queste considerazioni è nato il mio desiderio di contribuire alla ulteriore diffusione di questa tecnica artroscopica in Italia, realizzando il primo libro italiano di Artroscopia dell’Anca, con l’obbiettivo di racchiudere in un volume le più attuali nozioni di tecnica generale e le più specifiche metodiche chirurgiche.
La collaborazione scientifica di grandi esperti internazionali ed italiani, che ringrazio sentitamente per avere
accettato di dare il loro importantissimo contributo, consente, credo, di ben definire l’attuale stato dell’arte
ed i futuri campi d’azione dell’artroscopia dell’anca.
Spero che il volume possa essere interessante per chi già pratica in Italia l’artroscopia dell’anca e soprattutto
per i giovani ortopedici che ne sono interessati e vogliono approfondirla. .
Un ringraziamento particolare va a Thomas Byrd, per l’onore che mi ha fatto nel redigere la presentazione
del volume e nell’averlo presentato personalmente nel corso di una sua lezione magistrale al recente Congresso della Società Italiana di Artroscopia.
Un doveroso sentito ringraziamento va alla Smith&Nephew per l’mportante contributo all’edizione del volume.
Merita anche un mio speciale ringraziamento l’amico Gianluca Ruffi, che mi ha supportato in maniera fondamentale e con grande competenza nei rapporti con gli Autori Stranieri.
Un ultimo ringraziamento va ai miei collaboratori ed amici, Dottori Giorgio Ponzetto, Piergiorgio Pirani,
Marcello Occhialini, Andrea Carraro e Massimo De Benedetto, che mi hanno aiutato nella selezione e raccolta del materiale iconografico e nella fase di stampa del volume.
RAUL ZINI
7
Presentazione
L’artroscopia dell’anca è una tecnica affermata ormai da circa 20 anni; le applicazioni cliniche di questa procedura, tuttavia, sono cresciute in modo esponenziale nell’ultimo decennio. La tecnologia si è evoluta da artroscopia diagnostica ad operativa, partendo da semplici tecniche di resezione per giungere a sofisticate procedure di ricostruzione.
L’artroscopio ha portato ad una comprensione approfondita delle patologie dell’anca e dei disturbi ad essa
correlati. Abbiamo ora una conoscenza più accurata della natura delle lesioni del labbro acetabolare, delle relative possibilità di guarigione e dei metodi di conservazione. Sono stati compiuti enormi progressi nella definizione della eziologia dei disturbi legati all’anca, tra i quali una comprensione più corretta dell’impingement femoro-acetabolare, in particolare in riferimento alle implicazioni negative in giovani adulti attivi. Abbiamo inoltre definito in quale misura i problemi all’anca possono causare disturbi secondari come la pubalgia degli atleti e vari problemi alla colonna lombare.
Raul Zini ed i suoi collaboratori hanno preparato un lavoro molto attuale e qualificato che illustra con accuratezza le attuali conoscenze dei problemi dell’anca e dei metodi di trattamento. I contributi compresi nel volume costituiscono una valida analisi dello sviluppo dei metodi diagnostici e delle tecniche operative. Lo studio attento di questo testo rappresenterà una valida guida all’interno della patologia dell’anca, che, pur nella sua complessità, è stata grazie all’artroscopia progressivamente approfondita e compresa.
J. W. THOMAS BYRD
Parte generale e tecnica artroscopica
ANATOMIA
Capitolo 1
Ivan Saenz
Oscar Farinas
L’articolazione dell’anca, o articolazione coxo-femorale è la responsabile nello stabilire l’unione tra l’arto inferiore (femore) e la
pelvi (coxa). È un’articolazione di tipo enartrosi, essendo la più
perfetta che esista.
L’articolazione coxo-femorale è formata dalle superfici articolari della testa del femore, sferica e convessa, e l’acetabolo o cavità cotiloidea, sferica e concava.
La testa del femore, arrotondata e liscia, rappresenta approssimativamente due terzi di una sfera. È orientata obliquamente verso l’alto, verso l’interno e in avanti. A livello della superficie articolare, nell’unione tra il terzo inferiore coi due terzi superiori si
trova una piccola depressione rugosa denominata fossa della testa,
fovea capitis, dove si inserisce il legamento rotondo che si estende
fino alla gola acetabolare, essendo la sua lunghezza media 30-35
mm, (Fig. 1).
In fondo a questa fossa troviamo numerosi orifizi di piccole dimensioni attraverso i quali penetrano i vasi all’interno della testa
femorale.
Distalmente alla testa del femore si trova il collo femorale che
rappresenta il limite tra entrambe le strutture ed è abbastanza irregolare dato che è formato da due linee curve che si uniscono nella
parte antero-superiore della testa e nella porzione media del suo
aspetto posteriore. Presenta una forma di cilindro appianato in direzione antero-posteriore e presenta due aspetti: un aspetto anteriore, quasi piano, ed un aspetto posteriore convesso in senso longitudinale e concavo trasversalmente. Prossimalmente il collo del femore è più largo per sostenere la testa femorale e presenta numerosi orifizi vascolari. L’estremo distale è molto più voluminoso e si
prosegue con due eminenze: il gran trocantere situato lateralmente,
ed il piccolo trocantere, di dimensioni minori, situato nella parte
postero-inferiore. Il collo femorale forma un angolo di 130º con
l’asse diafisario femorale (angolo cervico-diafisario) (Fig. 2).
Perifericamente alla testa ed al collo femorale si trova la capsula articolare anche denominata legamento capsulare, che insieme
al legamento rotondo compone i due mezzi di unione tra il femo-
Figura 1
Visione laterale dell’articolazione coxo-femorale.
Si è realizzata la disarticolazione e la lussazione
posteriore della testa femorale per mostrare il legamento rotondo. Nel riquadro superiore destro si
mostra un dettaglio della testa femorale dove si
apprezza la presenza della fovea capitis
13
Capitolo 1
Figura 2
Figura 3
Figura 4
Visione posteriore dell’epifisi prossimale del
femore. Si osservi la morfologia della testa e
collo femorale, come l’orientamento del grande
e del piccolo trocantere
Visione anteriore dell’articolazione coxo-femorale. Si è realizzata una capsulotomia anteriore
per visualizzare la zona di inserzione prossimale e distale della capsula articolare o legamento
capsulare
Visione anteriore della capsula articolare coxofemorale. Si osservi la presenza del legamento
ileo-femorale, Y di Bigelow, formato dai suoi
due componenti: fascicolo superiore (frecce
nere) e fascicolo inferiore (frecce bianche)
re e la coxa. La denominazione di legamento capsulare si deve al
fatto che detta capsula si trova rinforzata esternamente da una serie di fascicoli o rinforzi denominati classicamente come legamenti di rinforzo della capsula.
La capsula articolare ha forma di un manicotto inserendosi
prossimalmente attorno all’acetabolo (a livello del bordo acetabulare, margine esterno del labrum acetabulare e legamento trasverso dell’acetabolo) e distalmente attorno al collo del femore (Fig.
3). L’inserzione distale di questa capsula articolare merita speciale
attenzione a causa delle molteplici implicazioni chirurgiche:
–
–
–
–
14
Anteriormente la capsula si inserisce decisamente a livello della linea obliqua del femore (linea rugosa che unisce lateralmente il bordo anteriore del gran trocantere e il piccolo trocantere).
Posteriormente si inserisce a livello del collo femorale nel punto di unione del suo terzo esterno coi suoi due terzi interni.
Per questo motivo esiste un’asimmetria rispetto alla capsula
anteriore, tanto per i punti di inserzione quanto nel fatto che
questa inserzione è molto lassa.
Superiormente si inserisce in una linea obliqua che unisce le linee di inserzione anteriore e posteriore.
Inferiormente si inserisce nella linea obliqua dirigendosi verso
Anatomia
la linea di inserzione posteriore, passando al di sopra del piccolo trocantere.
Due classi di fibre compongono la capsula articolare: longitudinali ed anulari o circolari. Le fibre longitudinali, situate superficialmente, adottano una direzione in senso superiore-inferiore incrociandosi nel loro tragitto con le fibre anulari e confondendosi
coi legamenti di rinforzo capsulare. Da parte loro, le fibre anulari
occupano il piano profondo della capsula e hanno una direzione
perpendicolare all’asse del collo femorale. Queste fibre anulari sono specialmente visibili nella parte posteriore ed inferiore dell’articolazione.
I legamenti di rinforzo capsulare descritti sono il legamento
ileo-femorale, il legamento ischio-femorale e il legamento arcuato.
1.- Il legamento ileo-femorale, denominato anche legamento a
Y di Bigelow, nasce tra la spina iliaca antero-inferiore (sotto il tendine diretto del muscolo retto anteriore) ed il bordo acetabolare
(Fig. 4). Durante il loro tragitto discendente, le fibre, che si aprono a mo’ di ventaglio, si dividono in due fascicoli (superiore ed inferiore) nel loro passaggio sull’articolazione. Il fascicolo superiore,
ileo-pertrocanterico, si inserisce nella parte prossimale della linea
intertrocanterica anteriore, giusto sotto al tendine del piccolo gluteo, ed agisce limitando il movimento di adduzione e rotazione
esterna. Il fascicolo inferiore, ileo-pertrocanterico, si inserisce nella stessa zona ma più distalmente, è più stretto del fascicolo superiore ma con simile resistenza. La funzione del legamento ileo-femorale consiste nel limitare l’estensione dell’anca, permettendo di
mantenere la posizione eretta senza un’azione muscolare attiva. È
il più resistente dei legamenti che rinforzano la capsula articolare
dell’anca.
Figura 5
Visione posteriore della capsula articolare coxofemorale. Si osservi la presenza del legamento
ischio-femorale (frecce nere)
2.- Il legamento ischio-femorale si origina dal bordo ischiatico
dell’acetabolo, seguendo la traiettoria a spirale del ligamento ileofemorale, per inserirsi nel margine posteriore del collo femorale
(Fig. 5). Grazie alla sua posizione posteriore la sua funzione principale è limitare la rotazione interna, ma limita anche il movimento di adduzione con anca flessa.
3. - Il legamento arcuato si localizza nella zona posteriore del
recesso capsulare profondo (Fig. 6). Nasce a livello del gran trocantere e si colloca, in profondità rispetto al legamento ischio-femorale, attorno al margine posteriore del collo femorale per inserirsi a livello del piccolo trocantere. Agisce tendendo la capsula in
posizione di flessione ed estensione massima. Precedentemente le
fibre del legamento arcuato furono descritte come zona orbiculare
a causa del percorso circolare delle sue fibre.
La conoscenza esatta della vascolarizzazione della testa femorale è basilare per la realizzazione di qualunque procedura chirurgica intra o extra capsulare. È difficile trovare nella letteratura riferimenti esatti sulla localizzazione e distribuzione dei vasi che penetrano a livello della testa e del collo femorale, poiché la gran
15
Capitolo 1
Figura 6
Sezione della zona orbitacolare, Legamento Arcuato
maggioranza degli studi sono inerenti ad una localizzazione approssimata degli stessi. Oggigiorno, dove tutte le procedure chirurgiche tendono a realizzare approcci più ridotti, come le tecniche chirurgiche artroscopiche, la descrizione e la conoscenza dell’anatomia assumono una maggiore rilevanza. La vascolarizzazione
della testa femorale è divisa classicamente in extra-ossea ed intraossea. La vascolarizzazione intraossea prende rilevanza in processi
come le artroplastiche di rivestimento nelle quali la preservazione
della vascolarizzazione del resto della testa femorale è essenziale
per il successo della tecnica.
Essenzialmente la vascolarizzazione della testa femorale proviene dall’arteria circonflessa femorale mediale e dai suoi rami,
originantisi dal suo ramo profondo che scorre in profondità rispetto ai muscoli rotatori pelvi-trocanterici. Il ruolo dell’arteria
circonflessa femorale laterale è molto minore (Fig. 7) così come il
suo rischio di lesione che nelle procedure chirurgiche diminuisce,
poiché la maggioranza degli approcci a questa articolazione coinvolgono la regione posteriore.
Trueta definì la nomenclatura appropriata per la descrizione
della vascolarizzazione della testa e del collo femorale in rapporto
al punto di penetrazione all’osso. In questo modo si descrissero
due vascolarizzazioni, una epifisaria ed un’altra metafisaria. Le arterie epifisarie si dividono in esterna, che penetra nella testa femorale per la sua regione postero-superiore, ed interna i cui rami
principali si dirigono verso l’esterno a partire dalla fovea capitis,
attraverso la quale penetrano nella testa femorale anastomizzandosi con i vasi. Tanto le arterie epifisarie laterali quanto i due gruppi
di arterie metafisarie di solito si originano dell’arteria circonflessa
femorale mediale, che ha pertanto un ruolo cruciale nella vascola-
16
Anatomia
Figura 7
Figura 8
Figura 9
Visione laterale del triangolo femorale, dove si
osservano i rami dell’arteria femorale profonda.
1.-arteria femorale profonda 2.-arteria femorale
3.-arteria circonflessa femorale mediale 4.-arteria circonflessa femorale laterale 5.-muscolo
sartorio, sezionato, 6.-muscolo retto anteriore,
sezionato, 7. - muscolo tensore della fascia lata
8.-vasto laterale del muscolo quadricipite
Rappresentazione ossea dello schema orario Preparazione anatomica della regione glutea
della testa e del collo femorali per quantificare destra dove si mostra la muscolatura pelvi-trola localizzazione degli orifizi vascolari propo- canterica
sto da Lavigne et al
rizzazione della testa e collo femorali. L’arteria epifisaria interna si
separa dall’arteria del legamento rotondo, ramo dell’arteria acetabolare che si origina dall’arteria otturatoria.
Lavigne (Fig. 8) descrisse la distribuzione di questi vasi attorno alla testa e al collo femorale, descrivendo il punto di entrata degli stessi e la loro importanza nel preservarli, nel realizzare le vie di
approccio chirurgico a questa articolazione. Descrisse la testa ed il
collo femorale dividendoli in porzioni orarie concludendo che la
maggioranza degli orifizi vascolari, 77 per cento, si trovano situati
nella regione postero-superiore, compresa tra le ore 9 e 2. Nel 71
per cento dei preparati studiati gli orifizi vascolari erano totalmente assenti nella fascia oraria dalle 2 alle 6, cioè a livello della regione anteriore del collo femorale.
Arteria circonflessa femorale mediale
È l’arteria principale nella vascolarizzazione della testa e del
collo femorali. Ramo dell’arteria femorale profonda, 83 per cento
e dell’arteria femorale comune, 27 per cento, è formata normalmente da cinque rami: ascendente, discendente, acetabolare, superficiale e profondo.
17
Capitolo 1
Figura 10
Figura 11
Tenotomia dei muscoli pelvi-trocanterici per
mostrare la capsula posteriore.
1.-muscolo medio gluteo 2.-muscolo piccolo
gluteo 3.-tendine del muscolo piriforme 4.-Muscolo gemello superiore 5. tendine del muscolo
otturatore interno 6.-muscolo gemello inferiore 7.-arteria circonflessa femorale mediale 8.muscolo quadrato femorale 9. - nervo sciatico
10.-capsula posteriore
Immagine del piano profondo della regione Resezione del muscolo quadrato femorale per
glutea dove si osserva l’emergenza del ramo osservare il tragitto del ramo ascendente delprofondo dell’arteria circonflessa femorale me- l’arteria circonflessa femorale mediale
diale sul muscolo quadrato femorale
Figura 13
Visione posteriore dell’articolazione dell’anca.
Si osserva la capsula posteriore ed il tragitto
del ramo ascendente dell’arteria circonflessa
femorale mediale coi suoi rami, sull’aspetto interno del gran trocantere
Figura 12
Il ramo profondo dell’arteria circonflessa femorale mediale
(Fig. 9 e 10), è la principale arteria responsabile della vascolarizzazione della testa e collo femorali. Nasce mediale, tra i tendini dei
muscoli pettineo ed ileo-psoas, lungo il bordo inferiore del muscolo otturatore esterno. Posteriormente il ramo profondo si divide
originando il ramo ascendente dell’arteria circonflessa femorale
mediale, la quale si dirige in profondità nello spazio tra il limite
prossimale del muscolo quadrato femorale ed il muscolo gemello
inferiore (Fig. 11 e 12). Corre anteriormente ai tendini di entrambi i gemelli e del muscolo otturatore interno. Di seguito perfora la
capsula a livello del tendine del muscolo gemello superiore e dà
origine prima a due e poi quattro rami retinacolari intracapsulari
(Fig. 13). Nel 20 per cento dei preparati troviamo due rami nell’aspetto inferiore del collo femorale conosciuti come vasi retinacolari inferiori. Questi vasi retinacolari, come descrissero Carlioz e
Gautier provengono dal ramo profondo dell’arteria circonflessa
mediale e sono pertanto suscettibili a lesioni nella realizzazione di
vie di approccio posteriori all’anca o nella pratica dei portali artroscopici posteriori di questa articolazione.
Arteria circonflessa femorale laterale
L’arteria circonflessa femorale laterale ha un ruolo molto meno
importante nella vascolarizzazione del collo e testa femorale. Nasce nella maggioranza dei casi dall’arteria femorale profonda (Fig.
13). Da questo punto si dirige lateralmente passando in profondi-
18
Anatomia
Figura 14
Figura 15
Figura 16
Piano superficiale del triangolo femorale
Visione del triangolo femorale dopo aver rea- Immagine del triangolo femorale dove si è realizzato la tenotomía del muscolo sartorio
lizzata la tenotomia del muscolo retto anteriore. Possono osservarsi il percorso dei rami muscolari del nervo femorale e dell’arteria circonflessa femorale laterale
1.-nervo femorale 2.-arteria femorale 3.-arteria
femorale profonda 4.-nervo femoro-cutaneo
superficiale 5.-muscolo sartorio 6.-muscolo
tà rispetto al muscolo retto anteriore (Fig. 15 e 16). A questo livelileo-psoas 7.-muscolo retto anteriore 8.-ramo
lo dà origine a rami tanto per questo muscolo come per la capsutrasverso dell’arteria circonflessa femorale lala anteriore dell’articolazione coxo-femorale, (Fig. 17), ed il vasto
terale 9.-rami muscolari dell’arteria circonflessa femorale laterale
esterno del quadricipite che circonda anastomizzandosi, nell’estre-
mità superiore del collo, col ramo profondo dell’arteria circonflessa femorale mediale.
RISCHI VASCOLO-NERVOSI NELLA ARTROSCOPIA DI ANCA
I rischi vascolo-nervosi vengono determinati dalla posizione dei
portali realizzati durante l’artroscopia d’anca. Così come è stato descritto, i portali abitualmente utilizzati in questa procedura vengono effettuati per un migliore accesso all’area di lavoro: compartimento centrale e/o compartimento periferico. Se decidiamo di lavorare nel compartimento centrale, i portali di uso abituale sono
tre: anteriore, antero-laterale e postero-laterale. Quando desideriamo accedere al compartimento periferico i portali più utilizzati sono: anteriore, antero-laterale prossimale ed antero-laterale distale.
Figura 17
Portale anteriore
I rischi di lesione associati al portale anteriore sono i nervi femorale e femoro-cutaneo laterale, ed il ramo ascendente dell’arteria femorale laterale.
Il portale anteriore si effettua ad una distanza media di 3,7 cm
(1-6 cm), rispetto al ramo ascendente dell’arteria circonflessa fe-
Visione anteriore del collo femorale,. Si osservi
il percorso del ramo ascendente dell’arteria circonflessa femorale laterale sulla capsula anteriore dell’articolazione coxofemorale.
1.-arteria circonflessa femorale laterale 2.-ramo ascendente 3.-ramo trasverso 4.-rami muscolari 5.-capsula anteriore 6.-vasto esterno
del muscolo quadricipite
19
Capitolo 1
morale laterale (Fig. 17) ma questa distanza diminuisce in maniera
considerevole quando misuriamo la distanza rispetto al ramo terminale di detta arteria che si trova ad una distanza media di 0,3
cm (0,2-0,4cm).
In riferimento al nervo femoro-cutaneo laterale, si trova ad
una distanza di sicurezza media di 0,3 cm (0,2-1cm). Questa struttura è quindi la più vicina al punto di creazione di questo portale,
per cui è da raccomandarsi al momento della sua realizzazione una
dissezione smussa almeno della fascia crurale, risparmiando in
questo modo il percorso di questo nervo.
La distanza media respetto al nervo femorale è di 4.3 cm (3,85cm), sebbene queste misurazioni possano effettuarsi a livelli e
piani differenti. Per ciò, quando ci troviamo a livello del muscolo
retto anteriore, la distanza media è di 4,3 cm mentre a livello della capsula è di 3,7 cm.
Portale antero-laterale
Figura 18
Visione della regione glutea, muscolo grande e
medio gluteo distaccati, dove si mostra la relazione del complesso neuro-vasculare gluteo
superiore con il gran trocantere del femore.
1.-nervo sciatico 2.-complesso vascolo-nervoso
gluteo superiore 3.-muscolo piccolo gluteo 4.muscolo piriforme 5.-muscolo quadrato femorale 6.-inserzione del muscolo medio gluteo a
livello del gran trocantere
Il portale antero-laterale presenta delle varianti: l’antero-laterale propriamente detto ed il portale laterale.
Rispetto alle strutture potenzialmente lesionabili, si sottolinea
solamente il nervo gluteo superiore. Byrd, concluse che la distanza media di sicurezza rispetto al nervo gluteo superiore è di 4,4 cm
(3,2-5,5cm). In conclusione si tratta di un portale abbastanza sicuro ed è il primo a realizzarsi, sotto controllo radiologico.
Portale postero-laterale
Tradizionalmente il portale postero-laterale è utilizzato come
un portale sicuro, poiché l’unica struttura nervosa a rischio descritta è stata il nervo sciatico. Nonostante ciò occorre ricordarsi
che questo portale mantiene una relazione molto intima con l’arteria circonflessa femorale mediale, nel momento in cui questa diventa posteriore.
Molti autori si sono incentrati sul pericolo di lesione dell’arteria circonflessa femorale laterale durante l’effettuazione del portale anteriore. Tuttavia, la lesione di questa arteria e dei suoi rami
non produce una necrosi vascolare della testa femorale poiché non
è la principale arteria nutritiva di questa.
Sussman studiò la relazione di questa arteria col portale postero-laterale. L’unico inconveniente dello studio, al momento di
estrapolare i risultati, è che il numero di preparati anatomici era 7.
Secondo questa pubblicazione, la distanza del portale dal percorso dell’arteria circonflessa femorale mediale ed i suoi rami è tra 3
e 10 mm.
Portali per l’accesso al compartimento periferico
Nell’effettuare questi portali, una possibile lesione vascolare
non provocherà la necrosi della testa del femore.
20
Anatomia
I portali abitualmente utilizzati per accedere al compartimento
periferico sono tre: portale anteriore, portali antero-laterale prossimale e antero-laterale distale. Tutti sono localizzati al livello della regione anteriore dell’articolazione. Non esistono sufficienti studi che descrivano le relazioni vascolo-nervose dei portali antero-laterale prossimale e distale, però, anatomicamente parlando, condividono i rischi del portale anteriore, cioè, l’arteria circonflessa femorale laterale ed i suoi rami capsulari, il nervo femorale e, superficialmente, il nervo femorale-cutaneo laterale; benché le distanze
di sicurezza possano variare in base alla differente direzione dei
portali, tanto prossimamente quanto distalmente.
21
Capitolo 1
BIBLIOGRAFIA
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22
ANATOMIA ARTROSCOPICA
Capitolo 2
Victor M. Ilizaliturri
Alexander Tomic Loftkjaer
PUNTI DI REPERE E ANATOMIA TOPOGRAFICA
DELL’ARTICOLAZIONE DELL’ANCA
I punti di repere superficiali nell’articolazione dell’anca e le loro relazioni con le strutture anatomiche nella stessa articolazione
sono il fondamento della artroscopia di anca: la comprensione del
posizionamento dei portali in relazione a questi punti di repere ed
alle strutture anatomiche che circondano il percorso del portale in
tutti gli strati anatomici è di capitale importanza nella realizzazione di una procedura artroscopica sicura e di successo.
I punti di repere superficiali più importanti ed evidenti nell’articolazione dell’anca sono il gran trocantere e la spina iliaca antero-superiore. Prima dell’inizio della procedura artroscopica questi
due punti di repere dovrebbero essere evidenziati con la matita
dermografica (Fig. 1).
Nell’artroscopia di anca l’articolazione è divisa in due compartimenti principali: quello centrale e quello periferico. Il compartimento centrale può essere raggiunto solamente tramite una trazione dell’arto in modo da produrre una separazione tra l’acetabolo e
la testa femorale (1, 2). Il compartimento centrale comprende la
cartilagine articolare acetabolare, il labbro acetabolare, la fossa
acetabolare ed i suoi contenuti e la maggior parte della testa femorale. Il compartimento periferico, che normalmente è accessibile
senza trazione, è extra-articolare ma intra-capsulare e contiene
parte della testa femorale, il collo femorale e la capsula articolare,
la sua plica sinoviale e la zona orbicolare (3). Un terzo compartimento nell’articolazione dell’anca è stato recentemente descritto
come spazio peritrocanterico, che è situato lateralmente al grande
trocantere e sotto la bendelletta ileo-tibiale.
Byrd ha eseguito uno studio anatomico su cadavere e ha descritto la relazione dei classici portali del compartimento centrale,
dei reperi superficiali e delle strutture anatomiche dell’articolazione dell’anca (5). Secondo Byrd il portale antero-laterale è situato
all’angolo supero-posteriore del grande trocantere e il portale anteriore diretto è all’intersezione della linea orizzontale tracciata an-
23
Capitolo 2
Figura 1
Fotografia clinica che dimostra la posizione dei punti di repere superficiali ed i portali in
una anca destra. Il paziente è posizionato in decubito laterale. Il grande trocantere (GT) e
la spina iliaca anteriore superiore (ASIS) sono stati evidenziati: Il portale antero-laterale
(AL) e postero-laterale (PL) sono collocati agli angoli antero-superiore e postero-superiore dell’apice del gran trocantere (GT). Un centimetro lateralmente dall’incrocio della linea
verticale che scende dalla spina iliaca anterore superiore (ASIS) e della linea orizzontale
diretta anteriormente dall’apice del gran trocantere (GT) si trova il portale diretto anteriore (DA): I portali accessori sono indicati usando linee tratteggiate bianche. Il portale accessorio antero-laterale prossimale (PALA), il portale medio-anteriore (MAP), il portale
medio-anteriore prossimale (PMAP), il portale dello spazio peritrocanterico (PSP), il portale accessorio antero-laterale distale (DALA) sono dimostrati
teriormente dal margine superiore del gran trocantere e la linea
verticale che scende dalla spina iliaca antero-superiore. Il nervo
sciatico corre circa 1,5 cm posteriore al margine posteriore del
gran trocantere. Il fascio neuro-vascolare femorale corre mediale
alla linea verticale che scende dalla spina iliaca antero-superiore.
Due o tre rami del nervo femoro-cutaneo laterale corrono nelle vicinanze del portale anteriore diretto (il nervo femoro-cutaneo laterale è la struttura più a rischio di danno da puntura con ago nella
realizzazione del portale). Dato che il portale antero-laterale giace
più centralmente nella zona di sicurezza (tra il margine posteriore
del grande trocantere e la linea verticale che scende dalla spina
iliaca antero-superiore) è sempre il primo ad essere realizzato. Il
portale antero-laterale attraversa il gluteo medio prima di entrare
24
Anatomia artroscopica
nella porzione laterale della capsula dell’anca al suo margine anteriore, il nervo gluteo superiore è mediamente 4,4 cm prossimale al
portale antero-laterale. Il portale postero-laterale attraversa il medio gluteo ed il piccolo gluteo prima di entrare nella capsula laterale al suo margine posteriore. Il decorso del portale postero-laterale è anteriore e superiore al tendine piriforme; questo giace mediamente a 2,9 cm dal nervo sciatico e gli si avvicina maggiormente a livello della capsula. Il nervo gluteo superiore è mediamente
4,4 cm prossimale al portale postero-laterale. Il portale diretto anteriore penetra il ventre muscolare del sartorio e del retto femorale prima di entrare attraverso la capsula anteriore. Alcuni chirurghi preferiscono posizionare il portale anteriore 1 cm laterale rispetto alla linea verticale dalla spina iliaca antero-superiore in modo da evitare la penetrazione del tendine retto femorale e di stare
più lontani dai rami del nervo femoro-cutaneo laterale, che giace a
lato del portale diretto anteriore (4, 5) (Fig. 2).
Nel tempo sono stati introdotti portali per le zone periferiche
dell’anca che erano variazioni dei portali originali ed altri portali
accessori, Kelly (7) studiò le relazioni anatomiche di 8 differenti incisioni cutanee (che incudono i tradizionali portali antero-laterale,
postero-laterale e diretto anteriore) con 11 differenti traiettorie di
portali che sono stati introdotti per l’artroscopia dell’anca e per lo
spazio peritrocanterico da differenti autori, usando un progetto di
studio simile a quello di Byrd (5). Nello studio di Kelly il portale
diretto anteriore è posizionato 1 cm laterale all’incrocio della linea
verticale che scende dalla spina iliaca antero-superiore ed una linea orizzontale tracciata dalla punta del grande trocantere, penetra il ventre muscolare del tensore della fascia lata e passa attraverso l’intervallo tra il piccolo gluteo ed il retto femorale prima di entrare in articolazione attraverso la capsula anteriore. Rami del nervo femoro-cutaneo laterale sono stati trovati mediamente a 1,54
cm dalla traiettoria del portale diretto anteriore. Il portale medioanteriore era posizionato utilizzando i portali antero-laterale e diretto-anteriore come vertici, un terzo punto era marcato distalmente così che tutti e tre formassero un triangolo equilatero. Il
vertice superiore di questo triangolo è il portale medio-anteriore.
Il portale medio-anteriore, che è utilizzabile per entrambi i compartimenti centrale e periferico, penetra il tensore della fascia lata,
prima di passare attraverso l’intervallo tra il piccolo gluteo ed il
retto femorale, ed entra nella capsula anteriore. La struttura neurovascolare più vicina è il nervo femoro-cutaneo laterale, mediamente distante 1,92 cm. Lo stesso triangolo equilatero è rappresentato questa volta con il vertice diretto prossimalmente, individuando così il sito del portale medio-anteriore prossimale. Il portale medio-anteriore prossimale fu ideato per passare attraverso il
ventre muscolare del gluteo medio e piccolo nella sua traiettoria
verso la capsula anteriore con una distanza media di 5 cm dal nervo gluteo superiore. Sono anche descritti tre portali per lo spazio
peri-trocanterico: 1) il portale peri-trocanterico che è posizionato
allo stesso livello del portale medio-anteriore appena anteriore al
Figura 2
Il disegno rappresenta il percorso di alcuni portali
e le strutture da essi trafitte verso la capsula dell’anca. I portali antero-laterali (AL) e postero-laterali (PL) penetrano la bendelletta ileo-tibilale. Il
portale medio-anteriore prossimale (PMAP) penetra la fascia glutea. Il portale anteriore (anteriore
diretto) (AP) ed il portale medio-anteriore penetrano il ventre muscolare del tensore della fascia
lata (TFL) (Secondo Kelly, 2008).
25
Capitolo 2
Figura 3
Figura 4
Figura 5
Il disegno dimostra la posizione dei portali e la
sua relazione con le strutture anatomiche. Il
portale antero-laterale (AL) penetra il tendine
del gluteo medio. Il postero-laterale (PL) penetra il tendine del gluteo medio e piccolo. Il portale medio-anteriore prossimale penetra il
ventre muscolare del gluteo medio e piccolo: Il
tensore della fascia lata è stato rimosso, sotto
di esso il portale anteriore (AP) ed il portale
medio-anteriore (MAP) entrano nella capsula
attraverso un profondo intervallo muscolare
tra il piccolo gluteo, il retto femorale ed il sartorio (secondo Kelly, 2008)
Il disegno dimostra il sito di ingresso nella capsula del portale antero-laterale (AL), del portale postero-laterale (PL), del portale medio-anteriore prossimale (PMAP), del portale medioanteriore (MAP) e del portale anteriore (PA)
(secondo Kelly, 2008)
La capsula è stata rimossa e sono state rappresentate le traiettorie del portale antero-laterale (AL), postero-laterale (PL), medio-anteriore
(MAP), medio-anetriore prossimale (PMAP) ed
anteriore (AP) (secondo Kelly, 2008)
margine anteriore del femore prossimale e che penetra le fibre anteriori della bandelletta ileo-tibiale con direzione verso il margine
laterale del grande trocantere. 2) Il portale accessorio antero-laterale prossimale che è posteriore, allo stesso livello del portale medio-anteriore prossimale in linea con il portale antero-laterale e
che passa tra tensore della fascia lata e bendelletta ileo-tibiale nel
suo percorso verso il margine laterale del gran trocantere. 3) Il
portale accessorio antero-laterale distale, che giace in linea con il
portale peri-trocanterico distalmente al margine anteriore del femore prossimale, alla stessa distanza usata per il portale accessorio
antero-laterale prossimale. Questo portale è posizionato in media
2,34 cm lateralmente al ramo trasverso dell’arteria femorale laterale circonflessa (Figg. 3, 4 e 5).
COMPARTIMENTO CENTRALE DELL’ARTICOLAZIONE
DELL’ANCA
Il compartimento centrale dell’articolazione dell’anca è l’articolazione coxo-femorale. Essa include la cartilagine articolare acetabolare semilunare, il labbro acetabolare, la fossa acetabolare ed i
suoi contenuti e la maggior parte della testa femorale. Questo spazio può essere raggiunto solamente con la trazione dell’arto per ottenere la separazione tra acetabolo e testa femorale. Dato che l’articolazione dell’anca è, in natura, sferica, l’esame completo dell’articolazione si ottiene tramite diversi portali ed utilizzando un’ottica con angolo di visione a 70°; in alcuni casi può essere necessario
usare anche un’ottica a 30° nel compartimento centrale. Il portale
26
Anatomia artroscopica
Figura 6
Figura 7
Visione artroscopica in un’anca destra. Il
portale antero-laterale è quello di visione
e viene utilizzata un’ottica da 70°. La testa
femorale (FH) è in basso. Il legamento rotondo (LT) e la sua inserzione nella testa
femorale e nella fossa acetabolare inferiore sono ben visualizzati. Il tessuto del
pulvinar (P) è prossimale al legamento
rotondo (LT) all’interno della fossa acetabolare. Una sonda a radiofrequenza viene
inserita dal portale diretto anteriore
Visione artroscopica, il portale antero-laterale è il portale di visione con un’ottica
a 70°. La visione è diretta anteriormente
per ispezionare l’acetabolo anteriore (AA)
ed il labbro anteriore (L). Una lesione cartilaginea (CD) senza rottura è visibile nell’acetabolo anteriore (AA). La parte inferiore della testa femorale (FH) è ben evidenziata. La fossa acetabolare (AF) è sulla
sinistra
antero-laterale è tipicamente quello realizzato per primo. La fossa
acetabolare, il pulvinar e il legamento rotondo sono chiaramente
visibili utilizzando questo portale (Fig. 6). Dato che l’ottica, quando è inizialmente inserita, è posizionata abitualmente sopra la fossa acetabolare, questa ed il suo contenuto sono frequentemente la
prima immagine che si rende disponibile all’interno della articolazione. Gli aspetti superiore e mediale della testa femorale sono
inoltre visibili. Ruotando l’ottica posteriormente ed anteriormente
si visualizzano l’acetabolo posteriore, il labbro posteriore, l’acetabolo anteriore e il labbro anteriore (Fig. 7). I portali successivi sono tipicamente realizzati sotto diretta visione artroscopica. Per il
portale diretto anteriore è necessario identificare il cosiddetto
triangolo femorale; il triangolo è formato dal margine libero del
labbro anteriore, la testa femorale ed il limite laterale del campo di
visione. L’area al centro del triangolo è la capsula anteriore dell’anca ed è il sito di inserimento dell’ago da spinale che traccerà il
percorso del portale. Una volta realizzato il portale si eseguirà una
capsulotomia parallelamente al margine labrale in modo da aumentare la mobilità degli strumenti nell’articolazione e per facilitare l’accesso alla zona labrale (Fig. 8). Volendo utilizzare un portale postero-laterale, questo può essere realizzato ruotando la visione dell’ottica lateralmente; ciò richiede attenzione da parte dell’operatore poiché si corre il rischio di perdere il portale e di tirare fuori l’ottica dall’articolazione. Quando il margine libero del
labbro laterale è visibile, l’ago può essere avanzato attraverso il
portale postero-laterale all’interno dell’articolazione tra il margine
libero del labbro e la testa femorale (Fig. 9). Cambiando il porta-
27
Capitolo 2
Figura 8
Sequenza di immagini artroscopiche che dimostrano l’esecuzione del portale diretto anteriore in una anca destra. Un’ottica a 70° è posizionata nel portale antero-laterale con
la visione diretta anteriormente. A) Il cosiddetto triangolo anteriore viene evidenziato.
B) Il limite superiore del triangolo anteriore è il margine libero del labbro anteriore (L),
il limite inferiore è la testa del femore (FH) ed il limite laterale è il limite dl campo di visione. La superficie del triangolo (in bianco) è la capsula articolare. C) Un ago viene introdotto per evidenziare il portale diretto anteriore. All’interno dell’anca l’ago entra attraverso il triangolo anteriore trafiggendo la capsula anteriore (AC) tra il margine libero
del labbro anteriore (L) e la testa femorale. D) Viene eseguita una capsulotomia a carico
della capsula anteriore (HC) per aumentare la mobilità degli strumenti e per facilitare
l’inserzione degli strumenti. Il labbro anteriore (L) e la testa femorale (FH) sono sulla sinistra
le di visione, cioè inserendo l’ottica nel portale diretto anteriore si
ottiene la migliore immagine del labbro laterale, della capsula laterale e della superficie laterale della testa femorale. Con questa visione è altresì più facile il posizionamento del portale postero-laterale nel caso si siano incontrate difficoltà (Fig. 10). È utile ricordare che la natura sferica dell’articolazione dell’anca può rendere
difficile il passaggio degli strumenti e l’accesso all’area patologica;
in altre parole, a causa della visione a 70° dell’ottica, la maggior
parte del compartimento centrale può essere esplorata da qualsiasi portale posto nel compartimento centrale, ma raggiungere l’area
patologica con uno strumento potrebbe richiedere l’utilizzo di diversi portali per ottenere traiettorie diverse oppure l’utilizzo di
strumenti curvi.
28
Anatomia artroscopica
Figura 9
Figura 10
Visione artroscopia di una anca destra. Un’ottica da 70° è nel portale
antero-laterale, la visione è diretta posteriormente. A) Un ago è introdotto dal portale postero-laterale nell’articolazione. L’acetabolo posteriore (PA) è sulla sinistra, la testa femorale (FH) è in basso e la fossa
acetabolare (AF) è sulla destra. B) un palpatore viene inserito usando
una “slotted cannula”
Visione artroscopica di una anca destra. Un’ottica da 70° è nel portale
diretto anteriore e fornendole una immagine della capsula laterale e
del margine libero del labbro laterale. A) un bisturi artroscopico sta
trafiggendo la capsula laterale (HC). Si osserva la separazione tra il
margine libero del labbro laterale (L) e la testa femorale (FH). B) Una
capsulotomia viene realizzata nella capsula laterale (HC). Il bisturi artroscopico appare tra il margine libero del labbro laterale (L) e la testa
femorale (FH)
Tabella 1 Strutture importanti da visualizzare nel compartimento centrale
Struttura Anatomica
Visione dal portale
Visione dal portale
antero-laterale
diretto anteriore
Fossa Acetabolare
Eccellente
Buona
Legamento Rotondo
Pulvinar
Acetabolo anteriore
Eccellente
Buona
Labbro anteriore dalla parte articolare
Eccellente
Buona
Labbro anteriore dalla parte capsulare
Eccellente
Eccellente
Capsula anteriore
Eccellente
Non buona
Acetabolo laterale
Buona
Eccellente
Labbro laterale dalla parte articolare
Buona
Eccellente
Labbro laterale dalla parte capsulare
Eccellente
Buona
Acetabolo posteriore
Eccellente
Eccellente
Labbro posteriore dalla parte articolare
Eccellente
Buona
Labbro posteriore dalla parte capsulare
Buona
Non buona
Visione dal portale
postero-laterale
Eccellente
Eccellente
Buona
Non buona
Eccellente
Buona
Buona
Eccellente
Eccellente
Eccellente
Eccellente
COMPARTIMENTO PERIFERICO DELL’ARTICOLAZIONE
DELL’ANCA
Il compartimento periferico è intra-capsulare ma extra-articolare. Include ogni struttura laterale al margine libero del labbro
acetabolare. Tali strutture sono il collo femorale, la capsula con la
sua plica sinoviale e la zona orbicolare. Sia l’ottica da 30° sia l’ottica da 70° sono utilizzate per la periferia dell’anca, come pure sono comunemente usati i portali accessori. I portali accessori per la
visione anteriore sono utili per l’osservazione del collo femorale
29
Capitolo 2
Figura 11
Visione artroscopica del comparto periferico in
una anca destra. Un’ottica da 30° è posizionata
nel portale medio-laterale. Un palpatore è sul
labbro anteriore (L); non vi è trazione quindi
non c’è separazione tra la testa e l’acetabolo.
La testa femorale anteriore è vicina al labbro.
La plica sinoviale anteriore (ASF) è osservata
adesa al collo femorale anteriore
Figura 12
Il disegno dimostra le strutture del compartimento periferico di una anca destra. Sono indicati la plica sinoviale mediale, la plica sinoviale laterale e la zona orbicolare. Sono rappresentati la relazione fra il tendine dell’ileo-psoas e la capsula anteriore. Il cerchio corrisponde alla immagine artroscopica in basso a destra. La immagine artroscopica corrisponde alla periferia di un’anca destra. Un artroscopio a 30° è nel portale medio-anteriore con visione anteriore-inferiore. La zona inferiore orbicolare (ZO) è in basso. Alla sinistra il labbro anteriore inferiore (L). Al centro vi è la plica mediale sinoviale (MSF) e sopra di essa il collo femorale inferiore (FN)
anteriore. La plica sinoviale anteriore è collocata nella porzione
media del collo femorale medio e vi aderisce rendendolo riconoscibile solo tramite la direzione delle sue fibre che seguono l’asse
del collo femorale e coprono l’osso (Fig. 11). All’altezza del collo
femorale inferiore la plica sinoviale mediale è chiaramente identificabile poiché non è aderente al collo femorale. Si origina prossimalmente alla giunzione inferiore del collo e della testa ed è diretta distalmente all’area del piccolo trocantere. Questo è un repere
molto affidabile per la posizione ad “ore 6” della giunzione testa-
30
Anatomia artroscopica
Figura 13
Figura 14
Visione artroscopica di una anca destra.
Un’ottica da 30° è nel portale medio-anteriore. Il palpatore è tra la plica mediale sinoviale (MSF) ed il collo femorale (FN). La
zona orbicolare non è visibile perché è
dietro l’ottica. Il tendine dell’ileo-psoas
(PT) può essere osservato attraverso la
capsula anteriore ivi molto sottile
Visione artroscopica di una anca destra.
Un’ottica da 30° è nel portale medio-anteriore Il collo femorale (FN) è nella parte
bassa della fotografia
collo femorale. La zona orbicolare è chiaramente identificabile da
ogni aspetto della periferia anteriore dell’anca. Essa corre perpendicolarmente alla direzione del collo femorale ed ha una forma di
clessidra restringendo la capsula attorno alla porzione media del
collo femorale. Artroscopicamente somiglia ad una restringimento
circonferenziale dello spazio attorno al collo femorale. La plica sinoviale mediale è in stretta relazione con la zona orbicolare verso
il collo femorale inferiore (Fig. 12). Dietro la capsula anteriore e
tra la zona orbicolare e il labbro antero-inferiore vi è la borsa dell’ileo-psoas che contiene il tendine dell’ileo-psoas. In alcuni pazienti c’è una normale comunicazione tra la borsa e la capsula
(Fig. 13). Prossimalmente al collo femorale laterale vi è la plica sinoviale laterale; questa plica corre dal gran trocantere in alto lungo il margine laterale del collo fino alla giunzione laterale femorale testa-collo (Fig. 14). La plica laterale sinoviale è un repere affidabile dei vasi epifisari del femore laterale che forniscono la maggior parte dell’irrorazione sanguigna della testa femorale.
SPAZIO PERI-TROCANTERICO
Lo spazio peri-trocanterico dell’anca corrisponde allo spazio
virtuale al di sotto della fascia e sopra lo strato muscolare (4). Questo spazio non si connette naturalmente allo spazio intra-articolare dell’anca e quindi la tecnica chirurgica consiste in una endoscopia piuttosto che in una artroscopia. Lo spazio virtuale è dilatato
dall’ingresso del fluido durante l’intervento, permettendo la visualizzazione delle strutture esistenti. Le strutture anatomiche che
possono essere valutate da questa procedura includono muscoli (i
rotatori esterni, il grande gluteo, il medio ed il piccolo, il vasto laterale, il tensore della fascia lata), borse (la borsa gran trocanteri-
31
Capitolo 2
Figura 15
Serie endoscopica di immagini dello spazio peri- trocanterico in una anca destra. Un’ottica da 30° è nel portale trocanterico distale. A) Una piccola finestra ellittica è stata creata nella bendelletta ileo-tibilale laterale (ITB) verso il gran trocantere. La borsa trocanterica è visualizzata atrraverso il difetto. B) Dopo la resezione della borsa si visualizza il vasto laterale (VL) in basso, il gran trocantere è al centro sotto il tendine congiunto e
l’inserzione del gluteo medio (GM) è in alto. Un motorizzato viene utilizzato per completare la resezione bursale. C) Un palpatore è utilizzato dall’alto per ispezionare le fibre muscolari del gluteo medio (GM) prossimali al gran trocantere
ca), fascia (bendelletta ileo-tibiale) e strutture ossee (grande trocantere, linea aspra, piccolo trocantere). Ciascuna di queste differenti strutture può essere raggiunta tramite portali specificatamente realizzati.
Sono state descritte due differenti tecniche per accedere a questi compartimenti: 1) l’accesso è ottenuto tramite una finestra
creata nella bendelletta ileo-tibiale (8, 9). Per questa procedura l’endoscopia inizia laterale alla bendelletta ileo-tibiale e lo spazio peritrocanterico viene raggiunto dopo aver creato un difetto laterale al
gran trocantere. La borsa gran trocanterica viene identificata attraverso il difetto nella fascia. Quando c’è l’indicazione di una decompressione della bendelletta ileo-tibiale, il release è una parte
del trattamento e può essere usato per l’accesso. Il tendine del vasto laterale ed il gluteo medio possono essere visualizzati solo dopo che la borsa sia stata rimossa (Fig. 15). 2) l’accesso è ottenuto
posizionando portali che penetrano attraverso la bendelletta ileotibiale (4). Ciò elimina la necessità di creare un difetto nella bendelletta ileo-tibiale. Quando non c’è necessità di eseguire un release della bendelletta ileo-tibiale questa tecnica evita di creare un difetto in essa.
32
Anatomia artroscopica
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33
TECNICA ARTROSCOPICA IN POSIZIONE
SUPINA
Capitolo 3
J. W. Thomas Byrd
INTRODUZIONE
L’artroscopia dell’anca può, di fatto, essere effettuata con il paziente nella posizione supina o laterale. La scelta è in gran parte
dettata dalla preferenza personale del chirurgo. I vantaggi della
posizione supina sono descritti come segue.
Il posizionamento del paziente è semplice e può essere compiuto in pochi minuti. La procedura può essere effettuata virtualmente su qualsiasi tavolo operatorio standard con un orientamento dell’articolazione familiare agli ortopedici abituati a gestire le
fratture dell’anca.
Con il paziente in questa posizione, la disposizione della sala
operatoria è familiare al chirurgo, agli assistenti e al personale di
sala.
Si ha un accesso affidabile per tutti i portali standard ed è facilitato il riposizionamento per l’artroscopia del compartimento
periferico, così come nella bursoscopia dell’ ileopsoas per accedere al tendine dell’ileopsoas.
Infine un importante vantaggio della posizione supina riguarda lo stravaso del liquido intra-addominale. Ciò è una complicazione potenzialmente seria dell’artroscopia d’anca ed è stata riportata soltanto in posizione laterale (1, 2). Con il paziente sul lato, la
cavità addominale e pelvica si trovano in una posizione inferiore,
creando uno spazio dove il deflusso del liquido si raccoglierà per
forza di gravità.
L’articolazione dell’anca ha sia un compartimento intra-articolare che uno periferico. La maggior parte delle patologie dell’anca
si riscontrano nella regione intra-articolare; quindi, la distrazione è
necessaria per realizzare l’accesso artroscopico. L’effettuazione
dell’artroscopia d’anca senza trazione non è diffusa perché non
permette l’accesso alla regione intra-articolare. Tuttavia, ora è riconosciuto che questo metodo può essere un’utile aggiunta alla
tecnica in trazione (3, 4). La flessione dell’anca detende la capsula e
permette l’accesso al compartimento periferico, che è intracapsulare, ma extra-articolare. Si incontrano numerose lesioni in questa
zona che possono essere misconosciute con la sola trazione, quali
35
Capitolo 3
patologie sinoviali e corpi mobili. Le lesioni del lato femorale (cam
impingement) si approcciano meglio dal compartimento periferico. La flessione dell’anca inoltre permette un ampio accesso alla
capsula per effettuare plicature o il trattamento termico.
NOZIONI SULL ’ARTROSCOPIA DELL’ANCA
Figura 1
Il paziente è posizionato sul tavolo di frattura in
modo che il blocco perineale che sta contro la coscia medialmente, sia posto il più laterale possibile verso l’anca operata. (Ristampato con permesso
di J.W. Thomas Byrd, M.D.)
A parte il tipo di posizionamento o la tecnica che sono state
scelte per l’effettuazione di questa procedura, ci sono parecchie
nozioni che dovrebbero essere completamente recepite. In primo
luogo, un risultato ottimale dipende per la maggior parte da un
adeguata selezione del paziente. Una procedura tecnicamente bene eseguita fallirà se effettuata per il motivo errato. Ciò può comprendere il fatto di non raggiungere le aspettative del paziente. Secondariamente, il paziente deve essere posizionato correttamente
in modo che l’intervento vada bene. Cattivi posizionamenti daranno vita a procedure difficili.
In terzo luogo, il semplice accesso all’articolazione dell’anca
non è tecnicamente un risultato difficile. La problematica principale è l’accesso in articolazione nella maniera meno traumatica possibile. A causa della sua architettura stretta e degli spessi tessuti molli
che la avviluppano, il pericolo di un eventuale trauma iatrogeno è
significativo e, forse in parte, inevitabile. Quindi, ogni misura ragionevole dovrebbe essere presa per limitare al minimo questo pericolo. Bisogna effettuare la procedura con più cautela possibile ed essere certi che la si sta effettuando per il giusto motivo.
SET-UP DELLA SALA OPERATORIA
Anestesia
La procedura è effettuata in day hospital in anestesia generale.
L’anestesia epidurale è un’alternativa adatta, ma richiede un adeguato blocco motorio per assicurare il rilassamento muscolare.
Figura 2
Il vettore ottimale per la distrazione è obliquo rispetto all’asse del corpo e coincide con l’asse del
collo femorale piuttosto che con l’asse femorale.
Questo vettore parzialmente obliquo è ottenuto
tramite l’abduzione dell’anca ed è parzialmente
accentuato da una piccola componente trasversale
al vettore. (Ristampato con permesso di J.W. Thomas Byrd, M.D.)
36
Posizionamento del paziente
Può essere usato un tavolo da frattura standard o un trazionatore versatile che possa adattarsi ad un tavolo operatorio standard.
Il paziente è in posizione supina. È utilizzato un post perineale sovradimensionato (diametro esterno di 12 cm) in poliuretano. Questo è posizionato lateralmente contro la parte mediale della coscia
dell’arto operato (Fig. 1). Lateralizzare il blocco perineale aggiunge una lieve componente trasversale al vettore di direzione della
trazione (Fig. 2).
Questo inoltre distanzia il post dall’area del nervo pudendo,
diminuendo il rischio di neuroprassia da compressione.
L’anca è posizionata in estensione ed approssimativamente a
25° di abduzione.
Una leggera flessione potrebbe rilassare la capsula e facilitare
la distrazione, ma un’eccessiva flessione dovrebbe essere evitata
perché provoca tensione sul nervo sciatico e può aumentare il ri-
Tecnica artroscopica in posizione supina
schio di neuroprassia. La rotazione neutra dell’estremità durante il
posizionamento dei portali è importante per un adeguato orientamento, ma la libertà di rotazione della pianta del piede durante la
procedura facilita la visualizzazione della testa del femore.
L’estremità contro-laterale è abdotta quanto necessario a permettere il posizionamento dell’amplificatore di brillanza tra i due
arti inferiori. Prima del distrarre l’anca, una leggera trazione si applica alla gamba non operata. Ciò stabilizza il dorso sul tavolo e
blocca il bacino evitando movimenti durante la distrazione dell’anca.
La trazione è quindi applicata all’estremità e la distrazione dell’articolazione è confermata dall’esame fluoroscopico. Solitamente
sono sufficienti circa 18 Kg di trazione. A volte è necessario più
peso per un’anca particolarmente stretta, ma la trazione deve essere aumentata con prudenza.
Se non si raggiunge subito una adeguata distrazione, è consigliato attendere qualche minuto affinchè la capsula ceda alla forza
della trazione, poiché spesso il rilassamento della capsula si verifica
progressivamente e consente una sufficiente distrazione senza una
eccessiva forza. Inoltre, il fenomeno del vacuum sarà evidente in
fluoroscopia. Questo è generato dalla pressione negativa intra-capsulare causata dalla distrazione. Questo effetto ventosa viene meno
quando l’articolazione è distesa con il liquido nel momento dell’intervento chirurgico, il che può ulteriormente facilitare la distrazione. Tuttavia, l’effetto è variabile e non si dovrebbe fare affidamento
su questo effetto quando la trazione è inadeguata (5).
Una volta che la capacità di distrarre l’articolazione dell’anca è
stata raggiunta, la trazione è rilasciata temporaneamente. Viene allora preparato un campo sterile e la trazione viene riapplicata una
volta pronti a cominciare l’artroscopia. Il chirurgo, l’assistente e la
strumentista sono posizionati dal lato operativo del paziente. Il
monitor, il carrello artroscopico, l’artroscopio e lo shaver sono posizionati dal lato contrario (Fig. 3).
Figura 3
Il disegno schematico della disposizione della sala operatoria mostra la posizione del chirurgo, dell’assistente, del ferrista, del carrello, del monitor,
del tavolo madre Mayo, del carrello della ferrista,
del fluoroscopio e del tavolo posteriore. (Ristampato con permesso di J.W. Thomas Byrd, M.D.)
Attrezzature
La maggior parte dei tavoli operatori da frattura standard possono soddisfare i pochi bisogni specifici dell’artroscopia d’anca.
Un tensiometro è un utile attrezzo che può essere aggiunto alla base del blocco del piede. Ciò è particolarmente utile per il controllo della capacità intra-operatoria di effettuare una sufficiente distrazione. Un grande post perineale generosamente imbottito distribuisce meglio la pressione sul perineo e facilita la lateralizzazione dell’anca operata.
Un intensificatore di brillanza è usato per tutti i casi. Ciò è importante per assicurare il posizionamento preciso del portale. L’accesso all’articolazione è spesso non difficile. È importante la cura
e la precisione nel posizionamento del portale per minimizzare il
rischio di danno iatrogeno.
Sia gli artroscopi da 30º che da 70º sono usati ordinariamente
per ottimizzare la visualizzazione. L’utilizzo delle due ottiche per-
37
Capitolo 3
Figura 4
Figura 5
Figura 6
Un cannula artroscopica standard (a) è confrontata con una cannula da anca più lunga
(b). Il raccordo modificato (c) è stato accorciato
per collegare l’artroscopio standard con cannule più lunghe. Frese di lunghezza maggiore(d)
sono inoltre disponibili oltre alle frese di lunghezza standard (e). (Ristampato con permesso di J.W. Thomas Byrd, M.D.)
Il sistema di otturatori cannulati offre maggior
facilità nell’effettuazione dei portali una volta
che è stato individuato con l’ago da spinale il
posizionamento adeguato. L’ago da spinale (a &
b) consente il passaggio di un filo al Nitinol (b &
c). Il trattamento speciale a memoria di forma
del filo guida lo rende resistente al piegamento.
Il trocar cannulato permette il passaggio della
camicia attraverso il filo guida (c). (Ristampato
con permesso di J.W. Thomas Byrd, M.D.)
Il tavolo servitore della strumentista contiene
gli strumenti di base necessari per l’inizio della procedura artroscopica: matita dermografica;
bisturi con lama #11; aghi da spinale; siringa
60 cc. di fisiologica con tubicino; filo guida al
Nitinol; tre cannule da 4.5, due cannule da 5.0
ed una da 5.5 millimetri con trocar cannulati e
non; switching stick; adattatore di inflow; palpatore modificato. (Ristampato con di permesso J.W. Thomas Byrd, M.D.)
Figura 7
Una cannula sezionata (sloted cannula) con il relativo trocar cannulato permette il passaggio delle
frese curve dello shaver e di strumenti manuali
più grandi in articolazione. (Ristampato con permesso di J.W. Thomas Byrd, M.D.)
38
mette una visualizzazione eccellente malgrado la manovrabilità limitata causata dall’architettura ossea dell’articolazione e dei tessuti. L’ottica da 30° fornisce la migliore vista della parte centrale dell’acetabolo e della testa del femore e la parte superiore della fossa
acetabolare, mentre l’ottica da 70° è migliore per vedere i bordi
esterni dell’articolazione, del labrum acetabolare, della capsula e
della parte inferiore della fossa.
L’utilizzo di una pompa fornisce vantaggi significativi nell’anca. Un sistema ad alto flusso può fornire il flusso ottimale senza
dovere usare un eccessiva pressione.
Ciò è importante per la visualizzazione e la sicurezza. Un flusso adeguato è essenziale per ottenere una buona visualizzazione
che è necessaria per effettuare efficacemente la procedura. Il flusso non può essere regolato in modo preciso con un sistema a gravità, generando sia difficoltà di visualizzazione che di stravaso del
liquido. Tuttavia, il chirurgo deve sempre essere attento che la
pompa stia funzionando in maniera corretta.
Sono state disegnate cannule di lunghezza maggiore da inserire nello spesso tessuto molle che avvolge l’anca (Fig. 4). La lunghezza supplementare è stata creata riducendo il raccordo e ciò
permette di utilizzare queste cannule con un artroscopio standard.
Speciali trocar cannulati inoltre permettono il passaggio delle cannule attraverso un filo guida di nitinol preposizionato nell’articolazione attraverso aghi da spinale del 17 (Fig. 5). Il tavolo servitore
della ferrista contiene gli strumenti necessari per ogni caso (Fig.
6). La cannula da 5.0mm è utilizzata per l’introduzione iniziale
dell’artroscopio mentre il tubo di inflow è collegato.
Il diametro permette un flusso sufficiente per la pompa tramite il raccordo della camicia. Una volta che tutti e tre i portali sono
Tecnica artroscopica in posizione supina
stati posizionati, l’inflow può essere collegato ad una delle altre
cannule e la cannula da 5.0mm sostituita con una cannula da
4.5mm. L’uso di tre cannule da 4.5mm permette l’intercambiabilità completa degli artroscopi, degli strumenti e dell’inflow. La cannula da 5.5mm è utilizzabile per le frese più grandi.
Sono disponibili frese di lunghezza maggiore. Le lame curve
dello saver sono particolarmente utili per le manovre all’interno
della geometria sferica dell’articolazione. Queste possono essere
introdotte tramite una “slotted cannula” progettata appositamente (Fig. 7) che guida le frese curve così come altri strumenti manuali. Gli strumenti manuali devono essere più lunghi, ma anche
di costruzione robusta per minimizzare il rischio di rottura dello
strumento. I dispositivi termici dimostrano i loro vantaggi specifici nell’anca. Il piccolo diametro permette l’accesso all’interno dell’articolazione, difficile da raggiungere con le frese. Inoltre, a causa dei limiti della manovrabilità, può essere difficile per lo shaver
asportare la cartilagine articolare danneggiata o il labbro e generare un bordo stabile. I dispositivi termici sono spesso molto più efficaci nel generare una zona di transizione regolare, preservando
maggiormente il tessuto sano.
TECNICA GENERALE
Figura 8
Il collocamento del portale anteriore coincide con
l’intersezione di una linea sagittale disegnata distalmente alla spina iliaca antero-superiore e di
una linea trasversale attraverso il margine superiore del gran trocantere. La direzione di questo
portale è 45° verso la testa e 30° verso la linea
mediana. I portali antero-laterale e postero-laterale sono posizionati direttamente sopra l’apice
del trocantere e vicini ai bordi anteriori e posteriori. (Ristampato con autorizzazione1)
La tecnica qui descritta è risultata essere efficace e riproducible
(6, 7).
PORTALI
Tre portali standard sono utilizzati per l’artroscopia del compartimento intra-articolare: anteriore, antero-laterale e postero-laterale (Fig. 8 e 9) (8, 9). La posizione del portale anteriore coincide
con l’intersezione di una linea sagittale disegnata distalmente dalla spina iliaca antero-superiore e da una linea trasversale passante
attraverso il margine superiore del gran trocantere. La direzione di
questo portale è approssimativamente 45º verso la testa e 30º verso la linea mediana. I portali antero-laterale e postero-laterale sono posizionati direttamente sopra l’apice del trocantere ai bordi
anteriore e posteriore.
Portale anteriore
Il percorso del portale anteriore passa attraverso il ventre muscolare del sartorio e del retto femorale prima di entrare nella capsula anteriore (Fig. 10). A livello del portale, il nervo femoro-cutaneo laterale è diviso solitamente in tre o più rami.
Di conseguenza, il portale passa solitamente ad una distanza
dell’ordine di millimetri da uno di questi rami. A causa dei rami
multipli, il nervo non è evitato facilmente se si altera la posizione
del portale, mentre lo si protegge utilizzando una tecnica meticolosa nel posizionamento del portale. In particolare, il nervo è più
vulnerabile ad un’incisione profonda della cute che può lacerare
Figura 9
Viene mostrato il rapporto tra le strutture neurovascolari principali e i tre portali standard. L’arteria ed il nervo femorale stanno ben più medialmente al portale anteriore. Il nervo sciatico è situato posteriormente al portale postero-laterale. I
piccoli rami del nervo femora-cutaneo laterale si
trovano vicino al portale anteriore. Si evitano le
lesioni di questi ultimi utilizzando una tecnica
adeguata nel piazzamento del portale. Il portale
antero-laterale si effettua per primo poiché si trova nella zona sicura per l’artroscopia. (Ristampato
con permesso di J.W. Thomas Byrd, M.D.)
39
Capitolo 3
Figura 10
Figura 11
Decorso e rapporti del portale anteriore rispet- Decorso e rapporto del portale antero-laterale
to al nervo femoro-cutaneo laterale, al nervo rispetto al nervo gluteo superiore. (Cortesia di
femorale ed all’arteria circonflessa laterale. Smith&Nephew, Andover, Massachusetts.)
(Cortesia di Smith&Nephew, Andover, Massachusetts.)
Figura 12
Decorso e rapporti del portale postero-laterale
rispetto al nervo sciatico ed al nervo gluteo superiore. (Cortesia di Smith&Nephew, Andover,
Massachusetts.)
uno dei suoi rami. Di conseguenza, l’incisione iniziale dovrebbe
essere fatta con attenzione attraverso la sola cute. Passando dalla
pelle alla capsula, il portale anteriore corre quasi tangenzialmente
all’asse del nervo femorale e si avvicina leggermente solo al livello
della capsula, con una distanza minima media di 3,2 cm.
La distanza del ramo ascendente dell’arteria circonflessa laterale inferiore è variabile ma mediamente dista inferiormente 3,6
cm dal portale anteriore.
Portale antero-laterale
Figura 13
Con il paziente supino, l’anca è nella rotazione
neutra con la rotula che punta verso il soffitto. Un
ago posto al margine anteriore del grande trocantere (posizione antero-laterale) è mantenuto nel
piano coronale parallelo al pavimento mentre entra in articolazione. A causa dell’antiversione del
collo femorale, il punto di entrata sarà appena anteriore al centro dell’articolazione. Se il punto di
entrata è troppo anteriore, si sovrappone con il
portale anteriore. Se è troppo posteriore, diventa
difficile visualizzare correttamente il punto di entrata per il portale anteriore. (Ristampato con permesso di J.W. Thomas Byrd, M.D.)
Il portale antero-laterale penetra il gluteo medio e il piccolo
gluteo prima di entrare nella porzione laterale della capsula all’altezza del margine anteriore. (Fig. 11).
Il nervo gluteo superiore corre superiormente al portale ad
una media di 4.4 cm.
Portale postero-laterale
Il portale postero laterale penetra sia il gluteo medio che il piccolo gluteo prima di entrare nella capsula laterale al margine posteriore (Fig. 12). Il decorso è superiore ed anteriore al tendine piriforme. Il portale giace più vicino al nervo sciatico in prossimità
della capsula con la distanza che è in media 2.9 cm. Una distanza
media di 4.4 cm separa il portale dal nervo gluteo superiore.
Posizionamento dei portali
Il portale antero-laterale si trova nella “zona sicura” per l’artroscopia e così è il primo portale da realizzare (8, 9). I portali successivi sono realizzati con l’aiuto della visualizzazione artroscopica
diretta. Questo portale iniziale è posizionato sotto controllo fluoroscopico sul piano AP. Tuttavia, l’orientamento nel piano laterale
40
Tecnica artroscopica in posizione supina
A
B
C
Figura 14
Visione fluoroscopica in AP di un’anca destra. A. È evidente un effetto di vacuum dovuto
alla pressione intra-capsulare negativa generata tramite la distrazione dell’articolazione
(frecce). B. Un ago da spinale è utilizzato nel pre-posizioniamento del portale antero-laterale. Perforare l’articolazione con l’ago fa cessare l’effetto di vacuum, l’aria che entra genera un artrogramma che visualizza il margine laterale libero della labrum (freccia) C. La
distensione dell’articolazione con liquido facilita ulteriormente la distrazione. D. Camicia
e trocar cannulato passano sopra il filo guida di Nitinol che era stato disposto attraverso
l’ago da spinale. (Ristampato con di permesso J.W. Thomas Byrd, M.D.)
è ugualmente importante. Con l’arto in rotazione neutra, l’antiversione femorale posiziona il centro dell’articolazione appena anteriormente al centro del grande trocantere. Quindi, il punto di ingresso per il portale antero-laterale è al margine anteriore del gran
trocantere e corrisponde ad un ingresso in articolazione appena
anteriore alla sua porzione media Questo punto corretto di entrata in articolazione è realizzato mantenendo gli strumenti paralleli
al pavimento durante il posizionamento dei portali (Fig. 13).
Nel distrarre l’anca, il fenomeno del vacuum sarà solitamente
presente (Fig. 14A).
Il preposizionamento del portale antero-laterale è effettuato
con un ago da spinale sotto controllo fluoroscopico. Il posizionamento attento di questo ago è essenziale perché la cannula e il trocar entreranno esattamente dove l’ago è stato posizionato. La perdita del vacuum, tramite l’inserzione dell’ago, genera un effetto artrografia gassosa, che può aiutare nel visualizzare il profilo del labrum laterale (Fig. 14B) (10). La sensazione tattile è importante,
perché si avverte maggior resistenza se si penetra involontariamente il labrum, più di quando si penetra la sola capsula. Una volta
che l’ago è stato posizionato, l’articolazione viene dilatata con approssimativamente 40cc di liquido e il posizionamento intracapsulare è confermato da un riflusso di liquido. La distensione dell’articolazione facilita la distrazione (Fig. 14c). Se si ha la sensazione
che l’ago possa aver perforato il labrum, una volta che l’articolazione è stata dilatata, è una tecnica semplice tirare indietro l’ago e
rientrare di nuovo nella capsula sotto il livello del labrum.
D
41
Capitolo 3
Figura 15
La rotazione neutra dell’anca è essenziale per la
protezione del nervo sciatico durante l’effettuazione del portale postero-laterale. (Cortesia di
Smith&Nephew, Andover, Massachusetts.)
Si incide la pelle in corrispondenza dell’ago. Il filo guida è posizionato attraverso l’ago che poi viene rimosso. Il trocar cannulato con la cannula da 5.0mm sono introdotti in articolazione scivolando sul filo guida (Fig. 14D).
Mentre si crea il portale, la camicia assemblata sul trocar dovrebbe passare vicino all’apice superiore del grande trocantere e
da lì sopra la superficie convessa della testa femorale. È importante mantenerla comunque lontano dalla testa femorale per evitare
l’involontaria scalfittura della superficie articolare.
A volte del sangue sarà presente all’interno dell’articolazione
dovuto alla forza della trazione necessaria per distrarre le superfici. Questo è difficile da eliminare finchè non si crea un’uscita separata.Tuttavia, la fuoriuscita di liquido con l’ago spinale dalla zona anteriore potrà pulire il campo visivo.
Una volta che l’artroscopio è stato introdotto si crea il portale
anteriore.Il posizionamento è ora facilitato dalla visione artroscopica diretta oltre che fluoroscopica. L’ottica da 70° è la migliore
per visualizzare direttamente il punto dove la strumentazione penetra la capsula. Il pre-posizionamento è effettuato di nuovo con
l’ago spinale, entrando nell’articolazione direttamente sotto il bordo libero del labrum anteriore. Quando la camicia con il trocar sono introdotti, sono sollevati per stare lontani dalla superficie articolare della testa femorale mentre passa accanto al labrum acetabulare. Se si è prestata adeguata attenzione all’anatomia topografica nel posizionamento del portale anteriore, il nervo femorale rimane in posizione mediale rispetto alla via scelta (8, 9). Tuttavia, il
nervo femoro-cutaneo laterale risulta abbastanza vicino a questo
portale. Il sistema migliore per evitarlo è utilizzare una tecnica appropriata nel posizionamento del portale. Il nervo è più esposto
ad una lacerazione a causa di un’incisione della pelle fatta troppo
profondamente.
Infine, si effettua il portale postero-laterale. I riferimenti fluoroscopici sono simili a quelli per il portale antero-laterale. La rotazione dell’ottica posteriormente, visulizza il luogo d’entrata sotto il
labrum posteriore. Il posizionamento sotto controllo artroscopico
assicura che gli strumenti non vengano spinti posteriormente, mettendo il nervo sciatico potenzialmente a rischio. L’anca rimane in
rotazione neutra durante la effettuazione del portale postero-laterale. La rotazione esterna dell’anca sposterebbe il grande trocantere più posteriormente e, poiché questo è il limite topografico principale, il nervo sciatico potrebbe essere più a rischio di lesione
(Fig. 15).
Posizionamento dei portali per l’artroscopia del comparto periferico(7, 11, 12)
Dopo il completamento dell’ artroscopia della parte intrarticolare dell’anca, gli strumenti possono essere rimossi e la trazione rilasciata per permettere l’accesso al compartimento periferico.
L’anca è flessa approssimativamente a 45° il che detende la capsula anteriore (Fig. 16). Dal portale antero-laterale, l’ago spinale penetra la capsula sul collo anteriore del femore sotto controllo fluo-
42
Tecnica artroscopica in posizione supina
A
B
C
Figura 16
La zona operatoria viene coperta da teli sterili mentre viene rilasciata la trazione e l’anca è flessa a 45º. Nell’angolo superiore: la posizione dell’anca senza i teli che la coprono. (Ristampato con permesso di J.W. Thomas Byrd, M.D.)
A
B
C
Figura 17
Visione fluoroscopica in AP dell’anca flessa. A. Dal portale antero-laterale, l’ago spinale
del 17 è stato riposizionato sul collo anteriore del femore. Si può percepire l’ago spinale
mentre perfora la capsula prima del contatto con l’osso. B. Il filo guida è posto dentro
l’ago spinale. Dovrebbe penetrare liberamente la capsula mediale come illustrato. C. Camicia e trocar cannulato passano sul filo guida di Nitinol. D. L’immagine mostra la posizione dell’ artroscopio a 30º mentre viene posto un ago da spinale per effettuare un portale ausiliario. (Ristampato con di permesso J.W. Thomas Byrd, M.D.)
roscopico (Fig. 17A e B). Usando il filo guida si posiziona la cannula e il trocar (Fig. 17C). La cannula di 5mm è preferibile con
l’inflow collegato all’ottica.
Per la strumentazione, un portale di servizio viene posizionato
5cm distalmente al portale antero-laterale. Ancora una volta il pre
posizionamento è effettuato tramite l’ago da spinale, osservando
direttamente con l’artroscopio l’ingresso dell’ago nel compartimento periferico (Fig. 17D). Si possono individuare molti corpi liberi in questa zona che possono essere rimossi. Dal compartimento periferico si effettua meglio il rimodellamento della testa femorale nell’impingement di tipo Cam.
Ciò inoltre consente l’accesso superiore al rivestimento ed alla
capsula sinoviale, che è importante per l’effettuazione di una sinoviectomia completa ed è di aiuto anche quando si effettua un trattamento termico della capsula.
D
43
Capitolo 3
ARTROSCOPIA DIAGNOSTICA
Nella preparazione di un artroscopia d’anca, il chirurgo formula un programma di trattamento basato sulla diagnosi preliminare. Tuttavia, la strategia di trattamento definitivo sarà dettata dai
risultati osservati in artroscopia. Con le limitazioni correnti delle
tecniche investigative, i risultati artroscopici possono differire significativamente da quelli indicati dagli studi pre-operatori. Quindi, un controllo iniziale sistematico e completo dell’articolazione è
di importanza fondamentale. Una volta che tutti gli aspetti della
patologia intra-articolare sono stati identificati, il chirurgo può allora intraprendere l’intervento, amministrandone i tempi, in modo
da trattare tutte le patologie all’interno dell’articolazione. Il chirurgo dovrebbe evitare di spendere un tempo considerevole su un
aspetto evidente della patologia per poi accorgersi soltanto dopo
che c’è un’altra patologia coesistente da trattare.
Usando la tecnica dei tre portali (anteriore, antero-laterale e
postero-laterale), l’esame comincia dal portale antero-laterale (Fig.
9). Questo è il primo portale effettuato poiché è il più centrale in
una zona sicura per l’artroscopia. L’esame comincia con l’ottica da
70° poiché questa fornisce la migliore visualizzazione dei margini
esterni dell’articolazione ed è usata per permettere la visualizzazione artroscopica diretta del posizionamento degli altri due portali.
Il portale antero-laterale fornisce la migliore visione della parte anteriore dell’articolazione (Fig. 18).
In seguito, l’artroscopio viene posizionato nel portale anteriore. Osservando lateralmente, è visibile la relazione tra i due portali laterali sotto il labrum laterale (Fig. 19). Il chirurgo dovrebbe essere particolarmente consapevole della criticità del posizionamento del portale antero-laterale poiché questo portale è posizionato
soltanto utilizzando un amplificatore di brillanza senza il beneficio
della visualizzazione artroscopica del suo ingresso in articolazione.
A
B
Figura 18
A. Visione artroscopica di un’anca destra dal portale antero-laterale. (Cortesia di
Smith&Nephew Endoscopy, Andover, Massachusetts.) B. L’immagine mostra la parete
acetabulare anteriore (aw) e il labrum anteriore (AL). La cannula anteriore che entra sotto il labrum e la testa femorale (FH) è a destra. (Ristampato con permesso di J.W. Thomas
Byrd, M.D.)
44
Tecnica artroscopica in posizione supina
A
B
Figura 19
Figura 20
A. Visione artroscopica dal portale anteriore. (Cortesia di Smith&Nephew Endoscopy, Andover,
Massachusetts.) B. L’immagine mostra l’aspetto laterale del labrum (l) ed il relativo rapporto con i
due portali laterali. (Ristampato con permesso di J.W. Thomas Byrd, M.D.)
Osservando infero-medialmente dal portale
anteriore si vede dove l’aspetto inferiore del labrum anteriore (l) diventa attiguo al legamento acetabulare trasverso (TAL) sotto il legamento rotondo (LT). (Ristampato con permesso
J.W. Thomas Byrd, M.D.)
A
B
Figura 21
A. Visione artroscopica dal portale postero-laterale. (Cortesia di Smith&Nephew Endoscopy, Andover, Massachusetts.)
B. L’immagine mostra la parete acetabolare posteriore (PW), il labrum posteriore (PL) e
la testa femorale (FH). (Ristampato da permesso di: Byrd JWT: Anca Arthroscopy - la posizione supina. In McGinty JB, Caspari RB, Jackson RW e Poehling GG(eds), Operative Arthroscopy. Raven Press, New York, 1996, 1091-1099.)
Osservando medialmente dal portale anteriore, il chirurgo può vedere il limite più inferiore del labrum anteriore (Fig. 20).
L’artroscopio allora è posizionato nel portale postero-laterale
che fornisce la migliore vista delle regioni posteriori dell’articolazione, particolarmente il labrum posteriore (Fig. 21). Il labrum
posteriore è la parte che meno spesso è danneggiata ed ha l’apparenza morfologica più consistente. Quindi, l’osservazione di questa zona è usata spesso come riferimento nella valutazione delle
variazioni del labrum anteriore o laterale e nella valutazione della
patologia.
45
Capitolo 3
A
B
Figura 22
A. La fossa acetabolare può essere ispezionata da tutti e tre i portali. (Cortesia di
Smith&Nephew Endoscopy, Andover, Massachusetts) B. Il legamento rotondo(LT), con i
relativi vasi, ha un decorso tortuoso dalla sua inserzione acetabolare a quella femorale.
(Ristampato con permesso di J.W. Thomas Byrd, M.D.)
A
B
Figura 23
A. Osservazione periferica del compartimento superiore. (Cortesia di Smith&Nephew, Andover, Massachusetts.) B. L’immagine mostra la parte anteriore dell’articolazione compresa la superficie articolare della testa femorale (FH), del labrum anteriore (AL) e della plica capsulare (CR). (Ristampato con permesso di J.W. Thomas Byrd, M.D.)
Ciascuno dei tre portali fornisce una prospettiva diversa della
fossa acetabolare (Fig. 22). L’ottica da 70° fornisce una visione diretta del legamento rotondo che è nella parte inferiore della fossa.
Il legamento acetabolare trasverso può anche essere parzialmente
osservato scorrendo sotto il legamento rotondo.
Dopo il completamento del controllo con l’ottica da 70°, viene
usata quella da 30°, invertendo la sequenza degli step fra i tre portali. L’ottica da 30° fornisce una visione migliore della parte centrale della testa femorale, dell’acetabolo e della parte superiore
della fossa acetabolare.
Una volta che la trazione è stata rilasciata e l’anca è stata flessa, l’artroscopio è riposizionato dal portale antero-laterale sul col-
46
Tecnica artroscopica in posizione supina
A
B
Figura 24
A. Osservazione periferica del compartimento mediale. (Cortesia di Smith&Nephew, Andover, Massachusetts.) B. L’immagine mostra il collo femorale (F-N), la plica sinoviale
mediale (MSF) e gli orbiculari (ZO). (Ristampato con permesso J.W. Thomas Byrd, M.D.)
lo anteriore del femore che fornisce una prospettiva eccellente del
compartimento periferico (Fig. 23 e 24).
Ciò introduce nelle strutture che non possono essere vedute
dall’interno dell’ articolazione ed inoltre fornisce una prospettiva
periferica differente su alcune delle strutture intra-articolari. La
plica sinoviale mediale è visualizzata adiacente al collo antero-mediale del femore.
VARIANTI NORMALI
La porzioni laterale e anteriore del labrum sono le più variabili. A volte questa parte del labrum è sottile, mal sviluppato ed ipoplasico e, altre volte, può sembrare più allargato. In presenza di
displasia acetabolare, il labrum laterale è particolarmente ipertrofico avendo non solo il un ruolo di stabilizzazione e carico ma anche di compensazione dell’assenza della parte laterale dell’acetabolo. Qualche volta è presente una fenditura nel labbro (Fig.
25) (13). Questo quadro è normale e non dovrebbe essere interpretato erroneamente come un distacco traumatico.
Le caratteristiche che lo controddistinguono sono assenza di
tessuto apparentemente danneggiato ed assenza di qualsiasi tentativo di riparazione conseguente al trauma. Resti della cartilagine
triradiata possono essere evidenti nell’età adulta come una cicatrice fiseale, senza cartilagine sovrastante, che si estende in modo rettilineo lungo la zona mediale della cavità cotiloidea anteriormente
e/o posteriormente alla fossa (Fig. 26). Ciò non dovrebbe essere
interpretato erroneamente come una vecchia linea di frattura.
Un reperto comunemente riscontrato negli adulti è una apparente lesione a forma di stella della superficie articolare immediatamente sopra la fossa acetabolare denominata “stellate crease”
(Fig. 27) (14). Quando riscontrata, è improbabile sia un segno di
47
Capitolo 3
Figura 25
Figura 26
Figura 27
La fenditura identificata dal palpatore a volte
separa il margine della superficie articolare
acetabolare dal labrum. Ciò è una variante normale e non presenta segni di trauma o tentativi di cicatrizzazione. (Ristampato con permesso di J.W. Thomas Byrd, M.D.)
La cicatrice fiseale (frecce) è una zona priva di
cartilagine che può estendersi posteriormente
alla fossa acetabolare (come indicato qui) o
anteriormente ad essa e indica la vecchia cartilagine di accrescimento triradiata. (Ristampato
con permesso di J.W. Thomas Byrd, M.D.)
La “stellate crease” è frequentemente individuata superiormente alla fossa acetabolare
(AF) ed è caratterizzata da una forma stellata
di condromalacia (frecce). Ciò sembra essere
un processo che avviene normalmente, anche
in giovani adulti, senza una chiara importanza
prognostica. (Ristampato con permesso di J.W.
Thomas Byrd, M.D.)
A
B
C
Figura 28
La fossa sopra-acetabolare è una variante morfologica. A. La radiografia in AP di un’anca di destra ne illustra l’aspetto tipico (freccia) B. Un’immagine coronale pesata T1 RMN con artrografia al gadolinio illustra il difetto tipico (frecce) riempito di contrasto. C. Una visione artroscopica mostra
la fossa sovra-acetabolare (frecce nere) con fasci fibrotici (*) che si estendono nella fossa acetabolare propriamente detta (frecce bianche). La configurazione ha l’aspetto “di un buco della serratura”. (Ristampato con permesso di J.W. Thomas Byrd, M.D.)
importanza clinica ed è di importanza prognostica incerta a lungo
termine per quanto riguarda la predisposizione alla malattia degenerativa futura. Occasionalmente, questa deve essere distinta dalle
lesioni articolari traumatiche che possono accadere in questa stessa zona, in particolare in seguito ad un trauma laterale all’anca che
fa urtare la testa femorale contro il cavo cotiloideo supero-mediale.
Un’altra variante precedentemente descritta coinvolge la fossa
sovra-acetabolare e il “keyhole complex”. Può essere presente un
recesso osseo nella superficie acetabolare supero-mediale. Ciò è
48
Tecnica artroscopica in posizione supina
solitamente evidente in radiografie normali e su RMN comparirà
come un difetto riempito di liquido (Fig. 28 A e B). Questa fossa
sovra-acetabulare è riempita di tessuto fibroso amorfo e può mostrare fasci fibrosi che si estendono fino alla fossa acetabolare (Fig.
28C). All’osservazione artroscopica, questa area si configura a forma di “buco di serratura„. Può essere necessaria la resezione dei
fasci fibrotici per visualizzare completamente l’architettura acetabolare. Attualmente, è poco chiaro se questo reperto determini
sintomi in alcuni pazienti o sia solo un reperto casuale.
49
Capitolo 3
BIBLIOGRAFIA
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50
TECNICA PERSONALE: POSIZIONE
SUPINA MODIFICATA
Capitolo 4
Raul Zini
Giorgio Ponzetto
L’artroscopia dell’anca può essere eseguita posizionando il paziente in decubito laterale o supino.
La scelta della metodica dipende dalle esperienze e dalle abitudini personali, anche se nel tempo si riscontra in letteratura un
progressivo aumento di gradimento ed utilizzo del posizionamento supino rispetto a quello laterale.
Nella tecnica a decubito supino viene utilizzato un letto da
traumatologia sul quale il paziente viene posizionato supino.
L’arto da operare è atteggiato con anca in lieve abduzione, intrarotazione e flessione; il ginocchio esteso; il piede viene posto in
un supporto per trazionare l’arto.
L’arto controlaterale viene posizionato in estensione, lieve abduzione, rotazione neutra, con piede in un supporto per esercitare una trazione atta a controbilanciare quella esercitata sull’arto da
operare. In zona perineale, lateralizzata verso l’anca da operare,
viene posta la controtrazione.
Nella tecnica a decubito laterale il paziente viene posto con
appoggio sul lato controlaterale a quello da operare, su un letto
che preveda un supporto podalico per la trazione dell’arto da
operare, mentre la controtrazione va messa in sede perineale e
non è prevista una ulteriore trazione dal lato da non operare; la
trazione va esercitata ad anca abdotta, flessa, intraruotata a ginocchio esteso.
In letteratura vegono enfatizzati entrambi i sistemi dai loro utilizzatori, ed, in effetti, con una buona esperienza entrambe le posizioni possono consentire una corretta esecuzione di un intervento artroscopico all’anca.
In particolare chi sostiene come migliore il decubito laterale,
sottolinea come sia più intuitiva e comoda la posizione per chirurghi abituati ad eseguire interventi all’anca in posizione laterale;
viene inoltre considerata di gran lunga migliore la gestione dei pazienti obesi.
Chi invece utilizza il decubito supino ritiene che questa sia una
posizione più intuitiva, più semplice, più comoda in quanto l’anca
da operare è meno alta rispetto alla posizione laterale e non vi è
51
Capitolo 4
quindi necessità di pedane per il chirurgo come spesso succede
con la posizione laterale, che sia possibile un migliore uso dell’amplificatore di brillanza e che sia possibile più agevolmente passare
dall’artroscopia del compartimento centrale all’artroscopia del
compartimento periferico.
ESPERIENZA PERSONALE
La nostra esperienza nell’artroscopia dell’anca è iniziata nel
1995 con la posizione laterale, che è stata sostituita dalla posizione supina nel 1999; questa modifica è seguita alla convinzione che
si sarebbero potuti semplificare alcuni aspetti di una fase pre-operatoria complessa e lunga per il personale di sala operatoria; in effetti il passaggio alla posizione supina ci ha consentito una progressiva riduzione dei tempi di preparazione del paziente, ed abbiamo constatato come effettivamente nel tempo la nuova posizione si sia mostrata più soddisfacente in termini di semplicità ed
efficacia.
L’uso del fluoroscopio in decubito supino è più agevole e dà
maggior garanzia di mantenere la sterilità del campo operatorio; vi
è inoltre la possibilità, rispetto al decubito laterale che consente
solo la proiezione antero-posteriore, di avere anche una visione assiale o laterale che, seppur in rari casi, potrebbe rendersi necessario eseguire.
La posizione del chirurgo, intesa come comodità operatoria, è
a nostro avviso migliore nel decubito supino in quanto è minore il
contatto e la collisione con l’amplificatore di brillanza che può essere rimosso e reinserito nel campo operatorio in qualsiasi momento.
Inoltre in decubito supino ci sembra molto più intuitiva l’anatomia artroscopica dell’anca, migliore l’orientamento spaziale, più
facile la visualizzazione dei reperi ed il posizionamento dei portali
artroscopici.
La definitiva conferma della nostra scelta vi è stata quando abbiamo iniziato a completare l’artroscopia del compartimento centrale con quella senza trazione del compartimento periferico;. ci
sembra infatti molto più agevole il tempo tecnico di passaggio dall’artroscopia con trazione del compartimento centrale a quella
senza trazione del compartimento periferico, che è un momento
sempre difficoltoso soprattutto per gli infermieri di sala.
TECNICA PERSONALE MODIFICATA
Aumentando l’esperienza della posizione supina, si sono comunque riscontrate delle criticità e difficoltà che potevano a nostro avviso essere migliorate con accorgimenti di tecnica che abbiamo progressivamente cominciato ad utilizzare.
Si è voluto soprattutto migliorare la manovrabilità dell’amplificatore di brillanza e favorire una migliore trazione sull’arto da
operare, cercando di agire soprattutto sulla controtrazione dell’ar-
52
Tecnica personale: posizione supina modificata
Figura 1
Figura 2
Posizionamento con tecnica personale
Particolare della posizione dell’arto controlaterale
to controlaterale, senza nel contempo aumentare i rischi di una
maggiore compressione sul pube.
Inoltre si è voluto favorire una migliore condizione intra-operatoria del paziente che viene operato in anestesia periferica e che
quindi, per la posizione operatoria, può lamentare l’insorgenza di
lombalgia dovuta alla forzata iperlordosi lombare; la posizione è
stata quindi modificata per appianare la lordosi lombare e scaricare il rachide da sollecitazioni che, vista la durata dell’intervento,
possono produrre sintomi dolorosi o perlomeno disagi intra-operatori.
Il paziente viene posto su letto traumatologico in posizione supina; l’anca è estesa, la rotazione neutra, il ginocchio esteso con
rotula allo zenit; il piede viene inserito in un supporto a scarpetta
collegato alla trazione (Fig. 1); una volta trazionato l’arto in modo
da ottenere una sufficiente distrazione articolare, l’arto viene intraruotato di oltre 45° per ottenere un parallelismo tra il collo femorale ed il piano del suolo.
L’arto controlaterale viene posto su un cosciale ginecologico
con anca flessa-abdotta, ginocchio flesso, piede libero (Fig. 2);
l’arto da non operare non viene trazionato.
A livello pelvico viene posta una controtrazione, definita post,
che deve essere molto imbottita per evitare una compressione eccessiva dei nervi otturatorio e pudendo; attualmente sono in commercio particolari post di notevole diametro dedicati per l’artroscopia dell’anca che sono molto morbidi riducendo al minimo i rischi compressivi (Fig. 3), oppure possono essere utilizzati cuscinetti di gel con i quali imbottire a strati il post metallico del letto
operatorio.
Un supporto di contenzione viene posto a livello toracico, naturalmente anch’esso ben imbottito per evitare decubiti, per contrastare il basculamento del tronco durante la trazione (Fig. 4).
53
Capitolo 4
Figura 3
Figura 4
Post dedicato per artroscopia di anca
Supporto toracico
Nei casi in cui si preveda di eseguire anche una artroscopia del
compartimento periferico al momento della preparazione del letto
operatorio, prima di iniziare l’intervento, viene fissato al braccio
di trazione del letto un ulteriore cosciale ginecologico o un reggicoscia imbottito, che verrà successivamente utilizzato per l’artroscopia senza trazione.
Per passare all’artroscopia del compartimento periferico viene
inizialmente rimossa la trazione, viene quindi flessa l’anca e viene
posizionato sotto il ginocchio il cosciale ginecologico, che rimane
fuori dal campo sterile e mantiene la flessione dell’arto prescelta
(Fig. 5).
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
La nostra tecnica personale, in decubito supino modificato,
pur mantenendo i lati positivi del decubito supino, consente di
poter approcciare in maniera semplice e riproducibile l’anca dai
vari portali permettendo, se necessario, di visualizzare fluoroscopicamente a 360° la posizione dei nostri strumenti (Fig. 6).
La posizione suggerita è analoga a quella che viene utilizzata in
traumatologia durante la sintesi con inchiodamento endomidollare delle fratture del femore; questo ha comportato una velocizzazione della fase di preparazione pre-operatoria, poiché il personale di sala operatoria era già addestrato ed ha ridotto al minimo la
curva di apprendimento.
Con tale tecnica siamo sempre riusciti ad ottenere una adeguata distrazione dell’articolazione, anche in casi di anca rigida ed artrosica.
Non si sono mai verificate complicanze neurologiche, grazie
alla adeguata imbottitura del post e probabilmente per l’appoggio
molto ampio che vi è nella zona perineale rispetto alle altre tecniche.
54
Tecnica personale: posizione supina modificata
Figura 5
Figura 6
Posizione ad anca flessa senza trazione per il comparto periferico
Utilizzo del fluoroscopio in proiezione ascellare
Concludendo suggeriamo l’utilizzo di questa tecnica di posizionamento del paziente per l’artroscopia dell’anca, in quanto la
riteniamo una tecnica semplice, maggiormente efficace rispetto alle altre tecniche, a bassissimo rischio e di facile apprendimento.
55
Capitolo 4
BIBLIOGRAFIA
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56
TECNICA ARTROSCOPICA IN POSIZIONE
LATERALE
Capitolo 5
Andrea Fontana
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni, con lo sviluppo sempre crescente della tecnica chirurgica e delle indicazioni, sempre in espansione, relative
all’artroscopia d’anca, si è aperto un significativo dibattito sul posizionamento del paziente (1, 2, 3), sui vantaggi e gli svantaggi che
comporta l’esecuzione dell’intervento con paziente in decubito supino o laterale.
Non vi è dubbio che la scelta della posizione del paziente dipende da molteplici fattori. In primo luogo, nonostante vi siano in
commercio numerosi sistemi di trazione specifici per l’artroscopia
d’anca, il chirurgo che si approccia a questo intervento, nelle fasi
iniziali, deve tenere conto dei sistemi di trazione già presenti nella
struttura in cui opera ed adattarsi quindi, se non altro per criteri
di economicità, a quanto gli è disponibile.
Un altro aspetto estremamente importante e non secondario è
la consuetudine all’approccio all’anca.
Molti dei chirurghi che manifestano interesse e che percepiscono l’utilità di tale intervento, hanno infatti una significativa
esperienza nella chirurgia protesica dell’anca. È indubbio pertanto che la scelta tra eseguire l’intervento con paziente in decubito
supino o laterale, può anche essere influenzata dalla personale
consuetudine all’eseguire l’intervento di protesizzazione, proprio
perchè questo può influenzare la personale percezione dell’anatomia e dei reperi chirurgici.
Premesso tutto ciò, si rende però necessario stabilire con
scientificità pregi e difetti delle due posizioni, in modo da dare un
indirizzo il più obiettivo possibile e facilitare una scelta.
PREPARAZIONE DEL PAZIENTE E DELLA SALA OPERATORIA
Nelle fasi che precedono l’intervento chirurgico, la preparazione del paziente segue un percorso standard, senza alcuna particolarità legata alla posizione del paziente in decubito laterale.
57
Capitolo 5
Figura 1
Figura 2
Anche per quanto riguarda la scelta dell’anestesia, non vi è alcuna
limitazione né per l’anestesia epi/peridurale, né per l’anestesia generale. In quest’ultimo caso la scelta di eseguire l’intubazione del
paziente, piuttosto che l’utilizzo della maschera laringea, è a totale discrezione del collega anestesista. In taluni casi, soprattutto nel
trattamento del conflitto femoro-acetabolare, è anche indicato
l’utilizzo di un catetere peridurale, per il controllo della sintomatologia dolorosa nell’immediato periodo post-operatorio.
PREPARAZIONE DELLA SALA OPERATORIA E POSIZIONAMENTO DEL PAZIENTE SUL LETTINO DI TRAZIONE
L’intervento di artroscopia d’anca inizia con il posizionamento
del paziente sul lettino operatorio e l’applicazione della trazione.
È essenziale pertanto che il chirurgo operatore segua scrupolosamente questa fase iniziale di preparazione e di applicazione
della trazione al paziente, così come è estremamente importante
la presenza in sala operatoria di personale infermieristico preparato ed adeguatamente informato sulle corrette manovre da eseguire.
I normali sistemi di trazione, comunemente usati in traumatologia per il trattamento delle fratture di femore, possono essere
applicati per l’esecuzione dell’artroscopia d’anca in decubito laterale. Usualmente tali sistemi prevedono infatti le componenti per
posizionare il paziente in decubito laterale. Si raccomanda comunque di utilizzare un apposito “rullo orizzontale” di controtrazione
adeguatamente imbottito (4), come raffigurato in figura 1 e 2.
La trazione con paziente in decubito laterale consente un’ ottimale diastasi dell’articolazione. Le forze che vengono applicate
sono 2; una longitudinale, lungo l’asse dell’arto inferiore; l’altra
verticale, verso l’alto, applicata dal rullo posizionato in zona inguinale. La risultante di queste due forze applicate, segue la direzione del collo del femore secondo l’angolo cervico diafisario (Fig. 1).
Il risultato di tale trazione è pertanto una diastasi ottimale dell’ar-
58
Tecnica artroscopica in posizione laterale
ticolazione e sappiamo quanto questo sia importante per inserire
lo strumentario artroscopico ed evitare di danneggiare il labrum e
la superficie cartilaginea della testa del femore e dell’acetabolo (5).
Una volta posizionato il paziente ed appplicata la trazione, la
sala operatoria viene organizzata e disposta in maniera molto semplice e schematica (Fig. 3). Il chirurgo operatore si pone all’altezza del bacino, alla spalle del paziente, con accanto lo/la strumentista ed il tavolino con lo strumentario chirurgico. Un secondo tavolino, qualora disponibile, può essere ancorato al letto operatorio
prossimalmente e posto sul paziente in modo da fungere da supporto per lo strumentario artroscopico e facilitarne l’utilizzo al
chirurgo operatore (Fig. 4).
La colonna artroscopica, il monitor dell’amplificatore di brillanza ed il chirurgo 2° operatore, si posizionano invece dalla parte opposta del letto operatorio, in posizione frontale rispetto al paziente.
Sappiamo che il controllo intraoperatorio con l’amplificatore
di brillanza è fondamentale per seguire il posizionamento degli
strumenti chirurgici durante le diverse fasi dell’intervento.
Nell’eseguire l’artroscopia d’anca con il paziente in decubito
laterale, l’amplificatore di brillanza può essere posizionato con il
braccio a “C” inclinato sopra o anche sotto il lettino operatorio, in
modo tale da ridurne l’ingombro per l’accesso alla sede dell’intervento.
IL POSIZIONAMENTO DEL PAZIENTE E LA TRAZIONE
Figura 3
Figura 4
Molte delle complicanze operatorie che si possono verificare
durante l’intervento di artroscopia d’anca, sono dovute alla trazione (5). È pertanto fondamentale porre una cura scrupolosa ed accurata nel proteggere le aree che sono sottoposte a sollecitazione,
in particolar modo la regione inguinale, quella perineale e la caviglia. Queste zone devono essere abbondantemente rivestite e protette in modo da ammortizzare le pressioni esercitate dall’applicazione della trazione (Fig. 1 e 2). Con il paziente in decubito laterale anche la regione della spalla controlaterale, del torace e del bacino devono essere accuratamente protette con degli appositi sistemi antidecubito.
ACCESSI CHIRURGICI E STRUMENTARIO
Eseguire l’artroscopia d’anca con paziente in decubito laterale,
permette di evidenziare molto bene i reperi anatomici. Ciò rende
decisamante più facile e corretta la localizzazione degli accessi chirurgici, soprattutto in pazienti in sovrappeso. Le masse muscolari
e soprattutto il tessuto adiposo sottocutaneo, si distribuiscono meglio intorno al rilievo del gran trocantere, per effetto della forza di
gravità. E questo rende più agevole il corretto posizionamento degli accessi chirurgici (6).
Inoltre gli strumenti chirurgici possono essere utilizzati e ma-
59
Capitolo 5
novrati dal chirurgo operatore con maggiore agilità consentendogli, quando opportuno, di lasciarli in sede operatoria senza il costante bisogno di sostenerli manualmente (Fig. 4). Ovviamente
questo si traduce in un notevole vantaggio per l’operatore che può
essere libero di dedicarsi anche alla preparazione degli strumenti
fuori dal campo operatorio.
COMPARTIMENTO CENTRALE E PERIFERICO
Come detto in precedenza l’artroscopia d’anca è una tecnica
chirurgica in costante evoluzione, sia dal punto di vista tecnico
che da quello delle indicazioni.
Negli ultimi anni vi è stato un notevole interesse legato al trattamento del conflitto femoro-acetabolare, nelle sue espressioni tipiche del “cam” e del “pincer”, per via artroscopica (7). Ciò ha
contribuito considerevolmente a differenziare, nell’ambito di questa tecnica chirurgica, due aree, due compartimenti anatomici, sia
pur collegati ma distinti dal punto di vista dell’anatomia artroscopica dell’anca; il “compartimento centrale” ed il “compartimento
periferico” (8).
Se si potesse tracciare una zona di confine tra l’uno e l’altro di
questi due compartimenti, questa potrebbe essere identificata dal
labrum. Tutta la porzione dell’articolazione contenuta all’interno
dell’area demarcata dal labrum, fa parte del compartimento centrale. Viceversa tutta la zona articolare esterna rispetto al labrum,
fa parte del compartimento periferico.
La distinzione tra questi due compartimenti non comporta soltanto una differenziazione anatomica, ma anche una approccio
chirurgico artroscopico diverso. Non solo gli accessi chirurgici al
compartimento centrale sono diversi rispetto a quelli del compartimento periferico, ma anche la posizione dell’arto e l’applicazione
della trazione cambiano (5). Mentre infatti per accedere al compartimento centrale è necessario diastasare i capi articolari e quindi
applicare la trazione, al contrario nel compartimento periferico
non è necessaria alcuna trazione, bensì l’arto va posizionato in leggera flessione ed extrarotazione, per consentire una adeguato detensionamento della capsula articolare.
Si intuisce pertanto quanto possa influire la posizione del paziente nella possibilità di esplorare ed accedere agevolmente ad
entrambi i compartimenti artroscopici dell’anca.
La posizione del paziente in decubito laterale, come descritto
in precedenza, permette un’ottimale distribuzione delle forze di
trazione ed una diastasi articolare che consente una eccellente accesso al compartimento centrale dell’anca.
La posizione in decubito laterale consente però anche un agevole accesso al compartimento periferico. In questo caso la trazione dovrà essere rilasciata e l’arto tenuto in leggera flessione ed extrarotazione.
Con i tradizionali sistemi di trazione, quelli comunemente usati un traumatologia, si possono utilizzare dei comuni supporti a
60
Tecnica artroscopica in posizione laterale
“fionda” in corrispondenza del ginocchio, per sostenere la posizione dell’arto inferiore. Esistono comunque in commercio dei sistemi di trazione appositi, che permettono di modificare agevolmente la posizione dell’arto inferiore e consentire un veloce passaggio tra i due compartimenti.
CONCLUSIONE
Come già detto all’inizio, diversi sono i fattori che possono influenzare la scelta di eseguire l’artroscopia d’anca con paziente in
decubito laterale o supino.
Non vi è dubbio però che la posizione in decubito laterale offre notevoli vantaggi ed è a mio avviso da preferire.
Tale posizione infatti permette un’ottimale esposizione della
regione trocanterica dell’anca, facilitando la corretta localizzazione
degli accessi artroscopici, anche in pazienti in sovrappeso. Ciò
consente di ottenere una completa visione artroscopica dell’anca e
di poter accedere sia al compartimento centrale che a quello periferico in maniera agevole e quindi di poter trattare artroscopicamente le patologie dell’anca, anche le più complesse ed indaginose.
La posizione in decubito laterale permette, consentendo una
ottimale diastasi dell’articolazione, di inserire più agevolmente lo
strumentario artroscopico e di ridurre notevolmente l’insorgenza
di complicanze.
Infine tale posizione permette al chirurgo di eseguire l’intervento con maggiore manegevolezza. L’amplificatore di brillanza
può essere posizionato in maniera meno ingombrante e l’operatore può gestire al meglio lo strumentario, anche fuori dal diretto
contatto col campo operatorio.
61
Capitolo 5
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Vol 90-B, Issue SUPP_III, 507. 2008
INDICAZIONI
Capitolo 6
Raul Zini
Andrea Carraro
Massimo De Benedetto
Le indicazioni ad una artroscopia dell’anca possono comprendere un’ampia gamma di patologie che interessano questa articolazione nel suo complesso, sia a carico del compartimento centrale, l’articolazione coxo-femorale propriamente detta, sia a carico
del compartimento periferico, sia a carico delle strutture periarticolari, per le quali è più appropriato il termine di chirurgia endoscopica.
Quando si cerca di classificare le indicazioni ad una artroscopia dell’anca, non va sottovalutata la difficoltà ancora presente a
raggiungere una precisa diagnosi clinica e strumentale, legata ad
una non sempre facile valutazione del quadro sintomatologico ed
obiettivo ed ad alla mancanza spesso di un completo e puntuale
supporto della diagnostica per immagini.
È per questo motivo che ancora una delle indicazioni più frequenti ad artroscopia dell’anca è la “coxalgia da causa sconosciuta”, capitolo in cui vengono inseriti tutti i casi di dolore coxo-femorale ai quali la clinica e la radiologia non sanno dare una risposta; l’artroscopia è inizialmente una procedura diagnostica che
consente, nella maggior parte dei casi, di giungere ad una diagnosi definitiva e che viene completata successivamente con la parte
chirurgica.
L’evoluzione delle conoscenze e dell’esperienza artroscopica
ha condotto in questi ultimi anni ad una progressiva evoluzione
delle indicazioni, che allo stato attuale possono spaziare su molteplici patologie, che interessino le strutture sinoviali, cartilaginee,
ossee, legamentose dell’anca.
In questo capitolo del trattato verranno prese in esame tutte le
attuali indicazioni ad una artroscopia dell’anca; gli argomenti più
importanti saranno descritti in appositi capitoli successivi cui si rimanda per un approfondimento; verranno maggiormente esaminate le indicazioni meno frequenti che si riferiscono a patologie e
problematiche meno diffuse e conosciute.
Distingueremo le indicazioni ad una artroscopia dell’anca, sia
quelle più frequenti che quelle più rare o meno condivise, riunendole in alcuni capitoli principali:
63
Capitolo 6
PATOLOGIA DEL COMPARTIMENTO CENTRALE
–
–
–
–
–
–
–
–
–
PATOLOGIA DEL LABBRO ACETABOLARE
PATOLOGIA OSTEO-CARTILAGINEA
PATOLOGIA DEGENERATIVA
PATOLOGIA SINOVIALE
PATOLOGIA TRAUMATICA
PATOLOGIA INFETTIVA
PATOLOGIA LEGAMENTOSA
ESITI DI ARTROPROTESI DELL’ANCA
M. DI PERTHES
PATOLOGIA DEL COMPARTIMENTO PERIFERICO
–
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–
–
IMPINGEMENT FEMORO-ACETABOLARE
IMPINGEMENT DA “OS ACETABULARIS”
IMPINGEMENT IN ESITI DI EPIFISIOLISI
OSTEOFITOSI POST-TRAUMATICA
CALCIFICAZIONI ED OSSIFICAZIONI
PATOLOGIA EXTRA-ARTICOLARE
– ANCA A SCATTO “INTERNA” ED “ESTERNA”
– BORSITE TROCANTERICA
– TENDINOPATIE DEL MEDIO E PICCOLO GLUTEO
PATOLOGIA DEL COMPARTIMENTO CENTRALE
Il compartimento centrale dell’anca, corrisponde all’articolazione coxo-femorale propriamente detta; è uno spazio particolarmente ristretto per le peculiarità di congruenza proprie dell’articolazione tra testa femorale ed acetabolo, per cui vi è assoluta necessità di una distrazione articolare per potere introdurre gli strumenti artroscopici ed eseguire qualsiasi atto chirurgico.
Possono essere visualizzate, diagnosticate e trattate patologie a
carico della testa femorale, dell’acetabolo, del labbro acetabolare
che contorna l’acetabolo stesso, del legamento rotondo (o legamento teres), della fovea capitis, di parte della capsula articolare.
Le patologie dell’articolazione coxo-femorale che trovano indicazione ad una artroscopia operativa dell’anca sono molteplici e
possono essere distinte e classificate in diversi gruppi, che verranno di seguito trattati.
Le patologie più importanti saranno trattate sinteticamente,
potendo essere approfondite particolarmente in specifici capitoli
inseriti nella seconda parte del libro.
64
Indicazioni
PATOLOGIA DEL LABBRO ACETABOLARE
Le lesioni del labbro acetabolare sono tra le più frequenti indicazioni ad artroscopia dell’anca.
La genesi di una lesione del labbro acetabolare può essere
traumatica, conseguente a trauma distorsivo dell’anca, o degenerativa, conseguente a microtraumi, spesso in presenza di fattori congeniti predisponenti di tipo displasico.
Byrd riferisce che il 61% degli sportivi da lui sottoposti ad artroscopia dell’anca presentavano una lesione del labbro acetabolare e che nel 55% dei casi le lesioni labrali erano associate a lesione cartilaginea.
Il segno clinico principale, patognomonico per una rottura del
labbro acetabolare, è il cosiddetto segno “C”, che localizza la sede
del dolore in una ipotetica area circolare che circonda dal davanti
all’indietro la regione peritrocanterica.
L’artroscopia consente una precisa e completa valutazione del
labbro acetabolare e delle sue lesioni che, come abbiamo già specificato, possono avere differenti caratteristiche, potendo essere
traumatiche, microtraumatiche e degenerative (Fig. 1)
In maniera simile ad un menisco del ginocchio, il labbro puo’
presentare lesioni parziali con aspetto radiale o a flap, (Fig. 2), lesioni longitudinali più o meno estese fino a lesioni tipo manico di
secchio (Fig. 3), oppure lesioni degenerative (Fig. 4, 5) di varia entità fino a quadri di grave usura del labbro acetabolare stesso.
Figura 1
Figura 2
Figura 3
Fibrillazione e lesione longitudinale parziale Lesione a flap
del labbro acetabolare
Lesione a manico di secchia
Figura 4-5
Figura 6
Lesioni degenerative
Degenerazione calcifica del labbro acetabolare
65
Capitolo 6
Figura 7-8
Reinserzioni del labbro con ancorette
In rarissimi casi vi può essere una degenerazione calcifica del
labbro acetabolare, che presenta le stesse caratteristiche di una
tendinopatia calcifica della spalla (Fig. 6)
La classificazione di Lage distingue le lesioni labrali in:
flap radiali (56.8%), fibrillazioni radiali (21.6%), longitudinali
periferiche (16.2%), instabili (5.4%).
Il trattamento artroscopico comprende diverse tecniche chirurgiche:
– EXERESI PARZIALE E DEBRIDMENT
La regolarizzazione può essere eseguita con strumenti manuali tipo basket, motorizzato o radiofrequenze: l’intervento mira a rimuovere solo la parte lesionata del labbro ed a regolarizzare la lesione creando una stabile area di transizione.
Byrd riferisce un follow-up di 10 anni con 82% di successi, in
cui non vi è stata una evoluzione artrosica dell’anca operata.
– SUTURA E REINSERZIONE CON ANCORETTE
Sono tecniche ancora troppo recenti per avere un sufficiente
follow-up clinico; Kelly riferisce il 67% di successi a 6 mesi e sottolinea come la preservazione del labbro acetabolare possa mantenere la normale funzione dell’anca e prevenire lo sviluppo di una
artrosi precoce; trattandosi di tecniche estremamente conservative
andrebbero sempre preferite alle più comuni exeresi, quando ovviamente la lesione lo consenta (Fig. 7, 8).
PATOLOGIA OSTEO-CARTILAGINEA
È un vasto capitolo che comprende diverse patologie che possono interessare in vario modo la cartilagine che riveste l’articolazione, nei versanti acetabolari e femorale, e l’osso sub-condrale.
Saranno presi in esame indicazioni più frequenti, quali corpi
mobili e condropatie, ed altre più discusse quali le osteonecrosi.
66
Indicazioni
Corpi mobili
L’asportazione di un corpo mobile osteo-condrale (Fig. 9) è
l’indicazione classica dell’artroscopia di ogni articolazione e nell’anca è particolarmente rilevante il vantaggio di poterla eseguire
senza una artrotomia.
Corpi mobili possono essere la conseguenza di un evento traumatico con frattura-lussazione dell’anca, come meglio sarà approfondito nella sezione dedicata alla traumatologia, oppure essere
dovuti a distacchi osteo-condrali della testa femorale.
Nell’anca artrosica, oltre alle manifestazioni patologiche di tipo cartilagineo e sinoviale possono essere presenti corpi mobili di
varie dimensioni.
La presenza di corpi mobili numerosi e di varie dimensioni si
configura nella condromatosi sinoviale, malattia relativamente frequente, per la quale si rimanda al paragrafo relativo alle patologie
sinoviali.
Nella maggior parte dei casi il corpo mobile isolato è ben visibile ed è facile la sua rimozione; si localizza generalmente a livello
della fovea interponendosi tra testa femorale ed acetabolo; in rari
casi può essere indovato tra il tessuto sinoviale della fovea ed essere di difficile ritrovamento.
L’asportazione dei corpi mobili viene effettuata con comuni
pinze da presa, ma spesso, quando il corpo mobile è di dimensioni elevate, può essere necessario l’uso di una speciale pinza da corpi mobili; talvolta corpi mobili molto voluminosi, soprattutto
post-traumatici, necessitano di essere asportati in più tempi dopo
essere stati frammentati; è quasi sempre necessario allargare l’incisione capsulare per facilitare l’estrazione del corpo mobile.
Figura 9
Asportazione di corpo mobile
Condropatie
Le condropatie dell’acetabolo e della testa femorale sono evenienza patologica piuttosto frequente e possono avere un adeguato trattamento per via artroscopica, ovviamente con una corretta
selezione dei casi.
L’artroscopia consente una completa valutazione della superficie cartilaginea dell’acetabolo ed una buona esplorazione di quasi
tutta la cartilagine della testa femorale.
Dal punto di vista diagnostico l’artroscopia è certamente il migliore metodo per valutare la cartilagine e classificare le sue condizioni patologiche.
Possono essere utilizzate anche nell’anca le classificazioni delle lesioni cartilaginee utilizzate nelle altre articolazioni; quella attualmente più seguita è la classificazione della ICRS (International
Cartilage Repair Society) che divide le lesioni cartilaginee in 4
gradi e che tiene conto delle dimensioni della lesione, della profondità della lesione stessa e dell’interessamento dell’osso subcondrale (Fig. 10).
Il grado 0 corrisponde alla cartilagine normale; nel grado 1 la
Figura 10
Schema classificazione ICRS
Figura 11
Fissurazione della cartilagine della testa femorale
(grado 1B)
67
Capitolo 6
Figura 12
Fibrillazioni cartilaginee della testa femorale (grado 2)
Figura 13
Erosione cartilaginea della testa femorale (grado
3A)
cartilagine ha aspetto quasi normale, può presentare un rammollimento (1A) o presenza di fissurazioni superficiali (1B) (Fig. 11);
nel grado 2 (Fig. 12), in cui la cartilagine è già patologica, le lesioni si estendono per una profondità inferiore al 50% dello spessore cartilagineo; nel grado 3 la cartilagine è gravemente patologica,
le lesioni cartilaginee sono estese per più del 50% dello spessore
(3A) (Fig. 13), possono raggiungere il tide-mark (3B), raggiungere
l’osso subcondrale (3C) (Fig. 14) o infine essere circondate da deterioramento della superficie cartilaginea circostante con aspetto
rigonfiato (3D); nel grado 4 sono incluse quelle lesioni che raggiungono e superano l’osso subcondrale (4A) (Fig. 15) fino in alcuni casi a sottominarne la superficie (4B).
Questa classificazione che può sembrare anche troppo dettagliata, fa comprendere bene il limite sfumato tra lesione cartilaginea isolata e condropatia in quadro di degenerazione articolare ed
introduce il problema dell’importanza di graduare l’evoluzione artrosica per potere comprendere fino a che punto può essere utile
un trattamento artroscopico.
La cartilagine articolare umana presenta basse capacità di riparazione e rigenerazione dopo aver subito un insulto che alteri la
sua complessa struttura; sia i singoli eventi traumatici che i processi degenerativi fisiologici o parafisiologici legati all’invecchiamento
del tessuto cartilagineo, non riparano spontaneamente e lasciano
quindi esiti che portano ad un’ulteriore progressiva evoluzione degenerativa. Il trattamento artroscopico potrà essere utile solo in
casi selezionati, nei quali non vi sia ancora un’evoluzione troppo
avanzata del processo degenerativo.
L’esplorazione articolare consente di valutare visivamente e
palpatoriamente le caratteristiche delle lesioni cartilaginee, isolate
o meno, e di comprendere quale sia complessivamente il grado di
degenerazione articolare.
Nelle lesioni cartilaginee che presentano una soluzione di continuo della superficie articolare, interessando in parte o tutto lo spessore della cartilagine (gradi 2,3,4 ICRS), sono utili tecniche che permettano una stabilizzazione della lesione, con regolarizzazione della superficie, asportazione dei frammenti cartilaginei instabili e stimolazione, se necessaria, dell’osso subcondrale (shaving).
Nei casi in cui vi sia un profondo danno cartilagineo con osso
subcondrale esposto e sclerotico è necessario procedere ad una
stimolazione dell’osso subcondrale mediante la tecnica delle microfratture.
In casi di lesione isolata, in pazienti giovani, dopo fallimento
delle precedenti tecniche potrebbe essere indicato un intervento
di ricostruzione cartilaginea mediante trapianto di condrociti autologhi.
Shaving
Figura 14
Lesione a flap circoscritta della cartilagine della
testa femorale (grado 3C)
68
Consiste in una condroabrasione delle aree di fibrillazione e di
lacerazione della cartilagine con limitazione dell’atto chirurgico al-
Indicazioni
Figura 15
Figura 16
Figura 17
Esposizione dell’osso subcondrale della testa Shaving con strumento motorizzato di lesione Trattamento con radiofrequenze
femorale (grado 4A)
cartilaginea dell’acetabolo
lo spessore cartilagineo, senza giungere all’osso subcondrale; la regolarizzazione dell’area di cartilagine degenerata va contenuta il
più possibile ed effettuata con strumenti non troppo aggressivi; a
tale scopo può essere utilizzata una lama full-radius con elevata
velocità del motorizzato; per non approfondirsi troppo possono
essere molto utili le lame curve del motorizzato che consentono di
raggiungere più agevolmente le zone da trattare a livello dell’acetabolo e della testa femorale (Fig. 16).
In alternativa o in aggiunta al motorizzato, possono essere utilizzati gli apparecchi a radiofrequenze che permettono di praticare uno “shrinkage” della cartilagine tramite la coagulazione della
matrice proteica nei suoi strati più superficiali, consentendo nel
contempo anche una più efficace e stabile regolarizzazione dei
margini della lesione; tra i terminali a radiofrequenze ve ne sono
alcuni che agevolano il chirurgo, permettendo un più agevole raggiungimento delle lesioni periferiche, grazie ad un “tip” flessibile
ed orientabile dall’esterno (Fig. 17).
Figura 18
Microfratture con condro-pick
Microfractures
La tecnica delle microfratture rappresenta la naturale evoluzione della tecnica delle perforazioni sec. Pridie dell’osso subcondrale, ed ha l’obiettivo di stimolare l’osso midollare e favorire una
rivascolarizzaione dell’area della lesione. Vengono utilizzati strumenti perforanti definiti “condro-pick” che sono di differenti misure e con punte perforanti angolate di vari gradi, per accedere in
maniera perpendicolare alla superficie ossea e per permettere fori
di diverse dimensioni. Viene soprattutto utilizzato il condro-pick
angolato a 45°, che, vista la maggiore frequenza statistica di lesioni acetabolari supero-esterne, viene generalmente introdotto attraverso il portale anteriore. I fori vengono eseguiti a distanza di circa 2-3 mm l’uno dall’altro e devono consentire un sufficiente afflusso ematico all’area lesionata (Fig. 18).
69
Capitolo 6
Figura 19
Figura 20
Figura 21
Quadro RMN di grave condropatia della testa Quadro TAC di osteocondrite della testa femo- Trapianto di condrociti per lesione cartilaginea
femorale
rale
dell’acetbolo
Trapianto di condrociti autologhi
Figura 22
Trapianto di condrociti per lesione cartilaginea
della testa femorale
70
Non sempre le tecniche descritte conducono ad una guarigione della lesione cartilaginea, per cui in casi selezionati, quando si
tratta di pazienti giovani e di lesioni isolate di grandi dimensioni,
è necessario ricorrere ad altre tecniche che possano condurre ad
una riparazione della cartilagine ed evitino l’evoluzione degenerativa di una lesione non riparata (Fig. 19, 20).
Il trapianto di condrociti autologhi ha dato ottimi risultati nel
ginocchio e nella caviglia e può essere utilizzato per lesioni cartilaginee dell’acetabolo o della testa femorale.
La tecnica necessita di una prima artroscopia in cui vengono
prelevati frammenti di cartilagine sana che sarà successivamente
coltivata in laboratorio: i condrociti seminati su membrane biologiche (Maci) o scaffolds di acido ialuronico (Hyalograft C) si redifferenziano moltiplicandosi e possono quindi essere impiantati nella
sede della lesione nel corso di un secondo intervento artroscopico.
In casi di frattura transcondrale o osteocondrite dissecante
della testa femorale può essere utilizzata la cartilagine prelevata
dal frammento osteo-condrale distaccato, secondo la tecnica utilizzata da Giannini nella caviglia.
Sia negli innesti eseguiti a livello del fondo acetabolare che in
quelli eseguiti nella testa femorale, si utilizzano il portale anterolaterale per l’ottica ed il portale anteriore per l’introduzione del
trapianto (Fig. 21, 22). Viene prima delimitata ed approfondita la
lesione fino all’osso subcondrale con una lama “burr”, curando di
avere margini netti e simmetrici, per favorire uno stabile posizionamento dell’innesto; viene successivamente misurata la lesione in
modo da preparare un trapianto di giuste dimensioni; viene quindi svuotata l’articolazione visto che l’innesto deve essere posizionato ad articolazione asciutta; viene quindi preparato il trapianto
che viene introdotto in articolazione con un grasper attraverso una
cannula anteriore; l’innesto viene steso sulla lesione e posizionato
con l’aiuto di una piccola spatola; se viene utilizzato un MACI
l’innesto viene fissato con colla di fibrina; se viene invece utilizzato uno scaffold di acido ialuronico, il trapianto , che ha caratteri-
Indicazioni
stiche di adesività, viene posizionato sulla lesione e lievemente
pressato con una spatola.
Osteonecrosi
La necrosi avascolare della testa femorale è indicazione controversa ad una artroscopia dell’anca.
Per anni è stata considerata una controindicazione ad una artroscopia dell’anca; McCarthy ancora recentemente (2004) la pone tra le controindicazioni; da qualche anno sono comparsi in letteratura articoli che sottolineano invece l’importanza dell’artroscopia nelle diverse fasi di questa patologia.
La artroscopia può essere di grande aiuto per stadiare l’evoluzione dell’osteonecrosi e dà una più precisa valutazione rispetto ai
quadri radiografici ed RMN (Sekiya 2000 – Ruch 2001).
Byrd (2004) pone indicazione elettiva ad artroscopia nel gradi
IV (post-collasso) per asportazione dei frammenti distaccati, debridment delle lesioni labrali associate, eventuale assistenza a perforazioni retrograde.
Wang (2007) propone l’assistenza artroscopica per il trattamento nelle fasi precoci dell’osteonecrosi con perforazioni multiple di piccolo diametro a bassa velocità con risultati migliori rispetto alla core-decompresion.
In definitiva esiste una corretta indicazione ad artroscopia nell’osteonecrosi nelle diverse fasi della malattia; in tutte le fasi l’artroscopia può essere determinante per studiare l’evoluzione dell’osteonecrosi ed identificare e trattare le lesioni articolari associate soprattutto lesioni labrali e cartilaginee, che determinano spesso la maggior parte dei sintomi; nelle fasi precoci è utile per assistenza a tecniche di perforazione retrograda; nelle fasi tardive (stage IV) è indicata per rimozione di frammenti osteocartilaginei distaccati e debridment delle lesioni (Fig. 23, 24).
Figura 23
Osteonecrosi cefalica in fase iniziale (gentile concessione Dr. N. Santori)
Figura 24
Distacco osteo-condrale dalla testa femorale in
osteonecrosi cefalica grado IV (gentile concessione Dr. N. Santori)
PATOLOGIA DEGENERATIVA
La coxartrosi è statisticamente la causa principale di coxalgia,
e presenta una notevolissima diffusione epidemiologica.
Il ruolo dell’artroscopia nella coxartrosi è discusso ed ancora
non ben definito; certamente il trattamento artroscopico non può
essere la soluzione della maggior parte dei casi di coxartrosi, anche se si può ritenere che vi sia una discreta percentuale di casi
che possa avvantaggiarsi in maniera importante e per tempi non
troppo brevi di un trattamento artroscopico.
È ormai certo che il trattamento artroscopico possa condurre
ad un vantaggio clinico e quindi abbia corretta indicazione in casi
di coxartrosi iniziale, in pazienti giovani, con quadro radiografico
non avanzato, con insorgenza relativamente breve dei sintomi e
che non traggano vantaggio dal trattamento conservativo.
Una volta ben selezionati i casi da trattare in artroscopia, bisogna dare ampia importanza alla fase esplorativa e diagnostica del-
71
Capitolo 6
Figura 25
Tipica esposizione dell’osso subcondrale da lesione cartilaginea supero-esterna in coxartrosi già
avanzata
l’artroscopia, che ben definisce le patologie articolari e spesso,
purtroppo, ci fa riscontrare manifestazioni degenerative articolari
di gran lunga maggiori di quelle ipotizzate sulla base del quadro
radiografico e clinico (Fig. 25).
Il quadro anatomo-patologico di una anca artrosica è complesso e si compone di diversi aspetti patologici: oltre alla patologia
degenerativa della cartilagine già descritta nel precedenti paragrafi, vi possono essere corpi mobili, lesioni degenerative del labbro
acetabolare, osteofitosi acetabolare o della testa femorale, sinoviti
croniche.
Il trattamento artroscopico consiste in una serie di procedure
combinate con rimozione dei corpi mobili, regolarizzazione del
labbro acetabolare, exeresi degli osteofiti più voluminosi, sinoviectomia sub-totale con radiofrequenze, shaving o microfratture a livello delle principali aree di condropatia.
Per le singole tecniche si rimanda ai rispettivi capitoli.
Va sottolineato come il debridment articolare non debba essere troppo aggressivo e come i vantaggi realmente ottenuti nel primo post-operatorio, con miglioramento dello score pre-operatorio
in tutte le casistiche pubblicate, non si mantengano nelle valutazioni a più lungo follow-up; queste considerazioni inducono ad
una notevole selezione dei casi da trattare in artroscopia ed ad una
limitazione rigorosa delle indicazioni.
PATOLOGIA SINOVIALE
Figura 26
Biopsia sinoviale
L’artroscopia ha specifica indicazione nella patologia sinoviale
dell’anca, come peraltro in tutte le altre articolazioni; la tecnica artroscopica ci fa infatti valutare meglio di ogni altra metodica la patologia presente, permette di eseguire un prelievo bioptico che generalmente dirime i dubbi diagnostici, consente una selettiva sinoviectomia.
La patologia sinoviale dell’anca che può essere trattata artroscopicamente comprende le sinoviti croniche aspecifiche, le sinoviti di interesse reumatologico, in casi di artrite reumatoide o artrite psoriasica, le sinoviti villo-nodulari pigmentose e la condromatosi sinoviale.
In presenza di una patologia sinoviale l’esame artroscopico
consente una immediata valutazione macroscopica del problema
sinoviale e può condure ad una precisa inquadratura diagnostica
successiva grazie alla possibilità di un prelievo bioptico (Fig. 26) e
di una sicura diagnosi istologica.
Sinovite
Figura 27
Sinovite acuta
72
La sinovite può essere focale o diffusa; la sinovite focale è generalmente localizzata a livello del pulvinar e determina un ispessimento ipertrofico del tessuto sinoviale che si presenta particolarmente vascolarizzato; vi può essere una flogosi articolare impor-
Indicazioni
Figura 28
Figura 29
Ipertrofia sinoviale nel pulvinar
Sinovite cronica in artrite reumatoide
tante per cui la visione potrà essere inizialmente meno limpida per
presenza di un liquido sinoviale torbido (Fig. 27, 28).
La sinovite diffusa interessa tutti i distretti capsulari sia a livello dello spazio articolare, sia a livello del compartimento periferico; si tratta di quadri correlati a malattie di pertinenza reumatologica, tra le quali la più diffusa è la artrite reumatoide; le peculiarità del danno sinoviale nella artrite reumatoide sono tali da rendere facile una diagnosi ispettiva; i villi sono iperplastici, di colorito
biancastro con aspetto cremoso, tanto da assomigliare a chicchi di
riso, e presentano frequenti aree iperemiche (Fig. 29).
Figura 30a-b
Sinovite villo-nodulare pigmentosa: sinoviectomia con radio-frequenze
Sinovite villo-nodulare pigmentosa
La sinovite villo-nodulare pigmentosa è malattia abbastanza
rara nell’anca; la diagnosi ispettiva è molto facile viste le caratteristiche del tessuto sinoviale che si presenta iperplastico, papillare,
brunastro; vi è spesso versamento siero-ematico con visione artroscopica poco chiara che migliora con il lavaggio articolare e con la
sinoviectomia con radiofrequenze (Fig. 30).
Il trattamento artroscopico consiste in una sinoviectomia il più
possibile allargata che, peraltro, in rapporto alle caratteristiche di
estensione e diffusione della malattia, difficilmente può essere totale; conviene utilizzare lame del motorizzato piuttosto aggressive,
quali il sinoviator che essendo dentata consente una più rapida
ablazione del tessuto sinoviale; fondamentale è anche l’uso delle
radiofrequenze che consentono di completare la sinoviectomia e
cauterizzare il tessuto sinoviale per evitare una possibile recidiva è
opportuno utilizzare sempre la tecnica a 3 portali, utilizzando gli
strumenti attraverso i portali anteriore, antero-laterale e posterolaterale; si inizia dalla sinoviectomia del pulvinar e successivamente si rimuove il tessuto sinoviale che, tipicamente, appare ipertrofico all’inserzione capsulare perilabrale; è inoltre fondamentale,
Figura 31
Sinoviectomia nel comparto periferico in sinovite villo-nodulare pigmentosa
73
Capitolo 6
Figura 32a-b-c
Quadri radiografici di condromatosi
dopo la sinoviectomia del comparto centrale, rimuovere la trazione ed eseguire una esplorazione del comparto periferico ed una sinoviectomia anche a tale livello (Fig. 31).
Condromatosi sinoviale
Figura 33
Quadro TAC di condromatosi del comparto centrale
Figura 34
Quadro RMN di condromatosi del comparto periferico
74
La condromatosi è una malattia sinoviale consistente in neoformazione di cartilagine ialina nello spessore della membrana sinoviale articolare oppure a livello delle guaine tendinee; pur essendo affezione piuttosto rara, è nell’anca relativamente frequente
e determina intensa coxalgia, scroscio articolare, episodi di blocco
articolare, complessiva rigidità articolare.
I corpi mobili sono numerosi e generalmente abbastanza voluminosi, di dimensioni variabili da un grano di pepe ad una ciliegia;
sono lucenti bianchi, ricoperti di cartilagine, lisci o bernoccoluti.
Si distinguono, nell’ambito della stessa malattia, due forme, caratterizzate da diverso aspetto dei corpi mobili; nelle forme classiche ed ormai cronicizzate sono presenti numerosi corpi mobili,
quali quelli descritti, che si localizzano soprattutto nel compartimento periferico; nelle forme più recenti, in cui non è ancora avvenuta la ossificazione dei noduli, i corpi mobili sono molto piccoli,
numerosissimi, relativamente molli, di aspetto cartilagineo translucido; sono raccolti in grandissima quantità nel compartimento periferico , ma sono presenti in numero elevato anche nel compartimento centrale dell’anca; la membrana sinoviale appare ispessita,
cosparsa di noduli in formazione, affioranti o peduncolati.
La diagnosi radiologica è molto semplice nei casi cronici con
corpi mobili ossificati (Figg. 32, 33), ma molto difficile ed insidiosa nelle forme più recenti se i noduli non sono ancora calcificati.
Quando comincia l’ossificazione si possono evidenziare minuti granuli radiopachi sfumati vicino al collo femorale; anche la
RMN non sempre consente una diagnosi sicura (Fig. 34), per cui
l’artroscopia è spesso l’unica metodica che consente una diagnosi
certa della malattia (Fig. 35).
Il trattamento artroscopico consiste in una asportazione possi-
Indicazioni
Figura 35
Figura 36
Figura 37
Numerosi corpi mobili nel pulvinar
Asportazione di corpo mobile in condromatosi Corpi mobili nel compartimento periferico
del compartimento periferico
bilmente completa dei noduli; viste le varie dimensioni dei noduli
possono essere utilizzate pinze grasper di diverse dimensioni, fino
a pinze da corpi mobili per i noduli più voluminosi (Fig. 36); lo
shaver consente di aspirare i noduli più piccoli e di attirare i noduli maggiori che spesso si indovano nella parte infero-posteriore
della capsula, dietro il collo femorale, e che quindi sono difficilmente raggiungibili; le radiofrequenze consentono di eseguire una
sinoviectomia subtotale e di praticare una accurata emostasi che
consente di avere una buona visione artroscopica; è opportuno
ogni tanto eseguire un controllo ampliscopico per valutare la presenza di corpi mobili in aree non raggiunte artroscopicamente; è
anche utile, durante l’artroscopia del compartimento periferico
(Fig. 37), eseguire movimenti di rotazione dell’anca per favorire la
liberazione e l’evidenziazione di corpi mobili più profondi; l’intervento termina quando non si rilevano più corpi liberi, anche se è
praticamente impossibile essere certi di avere rimosso tutti i noduli e bisogna sempre accontentarsi della rimozione più completa in
rapporto alle condizioni anatomiche presenti (Fig. 38).
PATOLOGIA TRAUMATICA
La traumatologia dell’anca è un campo in cui è particolarmente utile la tecnica artroscopica, che può consentire un trattamento
precoce ed a bassissima invasività in pazienti generalmente giovani, spesso politraumatizzati, in condizioni generali complessivamente delicate.
Nelle fratture-lussazioni dell’anca, dopo la riduzione possono
residuare frammenti liberi in articolazione, di diverse dimensioni e
numero, dovuti a distacchi osteo-condrali del bordo acetabolare o
della testa femorale (Figg. 39, 40).
Vi è inoltre un’avulsione del legamento teres con suo sfilacciamento ed ispessimento e vi possono essere lesioni labrali in contiguità dei distacchi cartilaginei del ciglio cotiloideo.
Figura 38a-b
Corpi mobili dopo asportazione artroscopica
75
Capitolo 6
Figura 39
Figura 40
Corpo mobile post-traumatico
Asportazione di frammento osteo-condrale del Sinovite infettiva
ciglio cotiloideo
Figura 41
Il trauma può inoltre determinare un importante impatto cartilagineo sia a livello della testa femorale che dell’acetabolo, con
lesioni cartilaginee più o meno evidenti.
Si rimanda al capitolo sulla traumatologia per una più completa definizione dei quadri artroscopici ed una descrizione delle tecniche artroscopiche.
PATOLOGIA INFETTIVA
L’artroscopia è ormai la tecnica di elezione per drenare un’anca infetta senza eseguire una artrotomia; per la sua mini-invasività
è particolarmente indicata in pazienti che presentano una compromissione delle condizioni generale e sono defedati.
La tecnica artroscopica consente una irrigazione dell’articolazione ed un prolungato lavaggio; all’inizio dell’artroscopia il campo è torbido e non consente una buona visione delle strutture articolari (Fig. 41); successivamente la visione migliora e vi è possibilità di esplorare completamente l’articolazione evidenziando
eventuali lesioni cartilaginee associate; può essere quindi effettuato un buon debridment articolare con una sinoviectomia parziale.
Indicazione particolare può essere l’infezione di artroprotesi
dell’anca, nei casi selezionati che non richiedano una immediata
revisione chirurgica.
PATOLOGIA LEGAMENTOSA
Patologia del legamento Teres
La patologia del legamento teres può essere post-traumatica o
degenerativa.
In seguito a lussazione dell’anca vi è sempre la rottura del legamento che può condurre ad una cicatrizzazione esuberante ed
essere causa di dolore da impingement.
Lesioni traumatiche del legamento teres possono anche essere
76
Indicazioni
Figura 42
Figura 43
Figura 44
Avulsione traumatica del legamento teres
Ipertrofia post-traumatica del legamento teres
Lesione parziale del legamento teres
la conseguenza di una trauma distorsivo o rotatorio importante
senza lussazione, che può ugualmente condurre ad una ipertrofia
cicatriziale dolorosa.
Infine è possibile che il legamento sia sede di una lesione degenerativa in casi di iniziale artrosi dell’anca, senza peraltro che la
lesione sia essenziale nel determinare la sintomatologia presente.
La sintomatologia dolorosa legata a patologia del legamento
teres è dovuta nella maggiorparte dei casi ad una situazione patologica di impingement, che il legamento determina interponendosi tra testa femorale e pulvinar.
L’artroscopia consente una agevole esplorazione del legamento teres attraverso i portali standard ed una valutazione anche palpatoria delle possibili lesioni; in caso di lesioni traumatiche recenti il legamento può presentarsi sfilacciato ed infarcito di sangue
(Fig. 42); in caso di lesioni inveterate può avere aspetto irregolare, e spesso si presenta ipertrofico, irregolare, rigido alla palpazione (Fig. 43, 44).
Nelle sindromi dolorose da impingement l’intervento artroscopico mira ad asportare il tessuto patologico iperplastico che determina le condizioni di attrito.
Viene eseguito un debridment del legamento con motorizzato
e radiofrequenze, limitandosi all’asportazione del tessuto danneggiato e con attenzione a non sacrificare troppo tessuto (Fig. 45);
una eccessiva estensione del debridment infatti potrebbe fare correre il rischio di non per preservare al massimo l’apporto vascolare alla testa femorale.
Figura 45
Impingement da ipertrofia del legamento teres
PATOLOGIA CAPSULARE
Instabilità
È un campo ancora non molto conosciuto, che si comincia ad
approfondire e studiare anche grazie all’artroscopia.
77
Capitolo 6
Un quadro di instabilità dell’anca può essere congenito, legato
a lassità capsulare costituzionale oppure post-traumatico; all’interno della eziologia traumatica, possono riconoscersi patogenesi macro o microtraumatiche che comportano una accentuazione dei regolari movimenti articolari.
Una instabilità articolare moderata può determinare per lungo
tempo solo minimi disagi e sintomi e può divenire sintomatica con
insorgenza di lesioni labrali conseguenti all’instabilità stessa.
Tra i casi di instabilità costituzionale vanno considerati a parte
le gravi iperlassità costituzionali, che rientrano nella sindrome di
Ehlers-Danlos, per le quali si comincia ad ipotizzare un possibile
trattamento di capsuloraffia artroscopica.
Figura 46
Release capsulare in capsulite adesiva
Figura 47
Capsulotomia in esiti di capsulite adesiva
Capsulite adesiva
Meno frequente della instabilità dell’anca legata ad una lassità
capsulare è la situazione clinica opposta, cioè la rigidità dell’anca
da capsulite adesiva.
Il quadro clinico ed anatomo-patologico ricorda la capsulite
adesiva della spalla con il dolore e la rigidità sono i dati sintomatologici ed obbiettivi principali.
Dal lato anatomo-patologico è sempre presente una sinovite
ed una retrazione capsulare che determina rigidità più o meno importante.
Il trattamento incruento è quasi sempre risolutivo, e si avvale
di terapia medica anti-infiammatoria e fisioterapia per il graduale
recupero della funzionalità articolare.
Una terapia infiltrativa con cortisonici può favorire la risoluzione del quadro clinico, che peraltro migliora sempre piuttosto
lentamente e necessita di un prolungato ciclo di riabilitazione.
Nei casi che non si risolvono incruentamente può esservi indicazione ad un trattamento artroscopico; viene eseguita una ispezione articolare, una sinoviectomia con radiofrequenze ed un release capsulare (Fig. 46).
La triangolazione degli strumenti può essere difficoltosa per il
ristretto spazio articolare e per la impossibilità ad una adeguata distrazione articolare.
In casi cronicizzati si può trovare una capsula particolarmente
ispessita, difficile da sezionare con la lama di bisturi, e vi po’ essere necessità di utilizzare le radio-frequenze anche per la capsulotomia (Fig. 47)
PROTESI D’ANCA DOLOROSA
L’indicazione ad artroscopia in casi di protesi di anca dolorosa
viene riportata in letteratura in qualche articolo, anche se si tratta
certamente di una indicazione molto particolare e quindi rara.
Le situazioni cliniche in cui può ipotizzarsi una indicazione artroscopica in esiti di intervento di artroprotesi sono molto selezionate.
78
Indicazioni
Il sospetto di una infezione precoce può essere una indicazione utile per formulare una diagnosi più precisa, eseguire dei prelievi bioptici, fare un lavaggio ed un debridment dell’ambiente articolare.
Aderenze cicatriziali ed interposizioni capsulari, piccoli frammenti metallici e corpi mobili di cemento possono essere rimossi
in artroscopia con notevole vantaggio clinico.
Sinoviti croniche da metallosi o debris del polietilene possono
avere vantaggio da lavaggi artroscopici e da debridment del tessuto sinoviale patologico (Fig. 48, 49).
I portali utilizzati sono quelli classici, antero-laterale ed anteriore, ai quali può essere aggiunto un portale mid-anterior; è necessaria ovviamente una notevole cautela ed una particolare attenzione per non rischiare di danneggiare le componenti protesiche
durante l’introduzione degli strumenti.
Attualmente l’indicazione è eccezionale, ma certamente lo sviluppo dell’artroscopia dell’anca porterà ad aumentare il numero
delle indicazioni nelle anche protesizzate, come in parte successo
nel ginocchio protesizzato.
Figura 48
Sinovite in protesi di anca dolorosa (gentile concessione Dr. N. Santori)
MORBO DI PERTHES
In letteratura sono descritti rari casi di interventi artroscopici
in corso di morbo di Perthes.
L’indicazione è rara nell’età infantile nella fase acuta della malattia, ma è molto maggiore, pur nella sua rarità, in età adulta
quando l’articolazione deformata dalla malattia comincia a presentare i segni di un impingement femoro-acetabolare.
Nell’ età infantile si può eseguire un intervento artroscopico
per presenza di persistente sintomatologia dolorosa, impotenza
funzionale, rigidità articolare, con sintomi insensibili ai comuni
trattamenti medici e fisioterapici,
Le cause dei sintomi possono essere la ipertrofia sinoviale, localizzata soprattutto a livello della fossa acetabolare, la presenza di
Figura 50
Figura 51
Figura 49
Debridment artroscopico con radio-frequenze in
protesi di anca dolorosa (gentile concessione Dr.
N. Santori)
Figura 52
M. di Perthes: quadro TAC di distacco osteocon- M. di Perthes: distacco osteocondrale dalla te- Deformazione dell’epifisi in esiti di m. di Perdrale dalla testa femorale
sta femorale
thes
79
Capitolo 6
Figura 53
Figura 54
Figura 55
Impingment femoro-acetabolare in esiti di m. Asportazione artroscopica del frammento di- Asportazione del frammento osteo-condrale
di Perthes
staccato dalla testa femorale
distaccato
distacchi osteo-cartilaginei della testa femorale (Fig. 50, 51), la deformazione della testa e del collo femorale da osteofiti, con conseguente sindrome da impingement femoro-acetabolare.
In età più adulta gli esiti a distanza, ormai stabilizzati, di un
morbo di Perthes possono determinare una evoluzione degenerativa importante dell’articolazione coxo-femorale con insorgenza di
coxalgia importante e progressiva, associata a limitazione funzionale; in queste fasi si determina una sindrome da impingement femoro-acetabolare conseguente alle deformazione della testa femorale ed alla presenza di esuberanti osteofiti della testa stessa e del
collo (Fig. 52, 53).
L’artroscopia ha indicazioni selezionate, in rapporto ovviamente alle condizioni degenerative presenti, e consente una sinoviectomia selettiva, l’asportazione di corpi liberi (Fig. 54, 55) e la regolarizzazione di eventuali osteofiti, conducendo ad una remissione
del dolore ed ad un recupero perlomeno parziale dell’articolarità.
PATOLOGIA DEL COMPARTIMENTO PERIFERICO
Il compartimento periferico è quella porzione dell’articolazione dell’anca che contorna il collo femorale ed è divisa dal compartimento centrale dal labbro acetabolare; Dorfmann e Boyer nel
1996 divisero per primi l’anca in questi due compartimenti distinti che vengono approcciati in maniera completamente diversa durante una artroscopia dell’anca; l’artroscopia del compartimento
periferico viene infatti eseguita, a differenza del comparto centrale, senza necessità della trazione.
Il compartimento periferico comprende anatomicamente la
parte più periferica della cartilagine della testa femorale, la zona di
passaggio tra testa e collo femorale, il collo femorale con i suoi recessi mediale, anteriore e postero-laterale, la capsula articolare con
i suoi legamenti intrinseci e la zona orbicolaris, cioè l’insieme delle sue fibre circolari. È in definitiva uno spazio limitato in alto dal
labbro acetabolare, in basso dalle inserzioni capsulari alla base del
collo femorale, internamente dal collo femorale ed esternamente
80
Indicazioni
dalla capsula articolare. A livello di questo spazio articolare ristretto e difficilmente accessibile possono verificarsi situazioni patologiche che possono determinare coxalgia e limitazione funzionale.
L’impingement femoro-acetabolare è divenuta la più frequente
indicazione ad artroscopia dell’anca e sarà trattata diffusamente in
un apposito capitolo del libro.
Escluse le sindromi classiche da impingement femoro-acetabolare, altre patologie possono essere riscontrate a livello del compartimento periferico ed essere trattate in artroscopia, con vantaggi incredibilmente maggiori rispetto a tecniche tradizionali aperte
che comportano importante sacrificio dei tessuti molli e successive problematiche cicatriziali.
Indicazioni ad una artroscopia del comparimento periferico
possono quindi esservi in presenza di:
– Impingement femoro-acetabolare tipo cam
– Impingement femoro-acetabolare tipo pincer
– Impingement da “os acetabuli”
– Impingement in esiti di epifisiolisi
– Calcificazioni - ossificazioni
– Osteofitosi post-traumatica
IMPINGEMENT FEMORO-ACETABOLARE
L’impingement femoro-acetabolare è quella sindrome determinata da diverse condizioni che comportano un conflitto tra la testa
femorale ed il bordo cotiloideo.
L’attrito che si determina produce un progressivo deterioramento del labbro acetabolare ed un danno cartilagineo che evolve
nel tempo in un quadro artrosico.
Condizioni favorenti l’impingement sono malformazioni congenite che alterano la morfologia dell’acetabolo o del collo femorale, che producono diversi quadri patologici denominati rispettivamente pincer-impingement e cam-impingement.
Nel pincer-impingement l’alterazione morfologica è a carico
dell’acetabolo e consiste in una prominenza del bordo acetabolare
con eccesso di copertura e conseguente precoce contatto tra collo
femorale e acetabolo (Fig. 56). Si determina una lesione del labbro
mentre la cartilagine rimane intatta per un lungo periodo. L’usura
cartilaginea compare tardivamente nella parte postero-inferiore
della testa e conduce ad una osteoartrosi postero-superiore o centrale.
Nel cam-impingement l’alterazione morfologica è invece a carico della giunzione testa-collo, che si presenta asferica; la prominenza ossea alla giunzione testa-collo femorale urta contro il ciglio, produce una lesione a flap del labbro acetabolare ed un progressivo danno della cartilagine acetabolare (Fig. 57); il quadro
evolve verso una osteoartrosi antero-superiore; è patologia tipica
del giovane di sesso maschile, che si manifesta generalmente in seguito all’attività sportiva.
L’impingement femoro-acetabolare raccoglie una elevata per-
Figura 56
Pincer-impingement
Figura 57
Cam-impingement
81
Capitolo 6
Figura 58
Figura 59
Figura 60
Quadro artroscopici di cam-impingement
Quadro artroscopici di cam-impingement
Reinserzione del labbro acetabolare in pincerimpingement
Figura 61
Osteoplastica del collo femorale in cam-impingement
Figura 62
Osteoplastica del collo femorale in cam-impingement
centuale di indicazioni ad artroscopia dell’anca con risultati migliori proporzionalmente alla precocità della diagnosi e del trattamento.
L’artroscopia inizia dal comparto centrale con valutazione del
labbro acetabolare e della sua patologia, della cartilagine acetabolare e della testa femorale.
Si passa successivamente nel compartimento periferico e si valuta la morfologia del passaggio cervico-cefalico spesso sede di alterazioni displasiche o di osteofiti (Fig. 58, 59).
Il trattamento artoscopico varia in rapporto al tipo di impingement da trattare; nel pincer-impingement si eseguono successivi
tempi chirurgici che consistono in debridement del comparto centrale, trattamento della lesione del labbro acetabolare, resezione
dell’osteofita cotiloideo e di eventuali ossicles paracotiloidei; il trattamento della patologia labrale può variare in rapporto al danno
anatomo-patologico; in caso di grave deterioramento del labbro
viene eseguito un debridment con shaver e radiofrequenze, qualora
invece il labbro sia ancora valido si esegue una disinserzione dello
stesso fino ad una zona di impianto stabile ed una successiva reinserzione con ancorette, una volta eseguito il tempo osseo (Fig. 60)
Nel cam-impingement si esegue ugualmente un primo tempo
chirurgico a livello del comparto centrale con debridment delle lesioni cartilaginee e labrali; il labbro acetabolare viene sempre salvato e reinserito in maniera stabile con ancorette; viene successivamente esguita, nel comparto periferico, una osteoplastica del collo
femorale, con resezione della prominenza ossa e rimodellamento
del collo femorale; questa tecnica artoscopica viene chiamata femoroplastica (Fig. 61, 62).
IMPINGEMENT DA “OS ACETABULI”
Una displasia acetabolare può essere causa predisponente di
una coxartrosi, determinando precocemente una condizione di
impingement femoro-acetabolare.
La lesione anatomo-patologica può consistere nella presenza di
un frammento osseo distaccato dal bordo laterale dell’acetabolo,
82
Indicazioni
Figura 63
Figura 64
Figura 65
“os-acetabuli”: quadro radiografico
“os-acetabuli” dopo asportazione artroscopica
Ossicles multipli acetabolari: quadro radiografico
Figura 66
Figura 67
Ossicles multipli acetabolari: frammenti dopo
asportazione artroscopica
Os acetabuli: singolo e multipli: quadro TAC-3D
che viene denominato “os acetabuli” e che è spesso associato ad un
distacco del labbro acetatolare dal bordo osseo (Fig. 63, 64).
Pitto ha riscontrato in uno studio radiografico su 178 anche
displasiche 23 casi di “os acetabuli” e 37 casi di avulsione labrale.
L’exeresi artroscopica dell’os acetabuli migliora la sintomatologia dolorosa e la funzionalità articolare; se l’intervento viene eseguito precocemente, quando ancora non sono presenti avanzati fenomeni degenerativi, si possono ottenere brillanti risultati.
Talvolta l’os acetabuli può essere voluminoso oppure possono
essere presenti 2 o 3 frammenti più piccoli, quasi fusi tra loro (Fig.
65, 66, 67); è sempre opportuno asportare parzialmente la capsula sovrastante per una migliore valutazione dell’osso soprannumerario; l’uso delle radiofrequenze è fondamentale per isolare e meglio valutare l’ossicle; spesso è necessario mobilizzare l’os acetabuli con un piccolo scalpello per poterlo estrarre più facilmente; il
frammento, spesso voluminoso, viene rimosso con pinza da corpi
mobili (Fig. 68); rimosso il frammento è necessario regolarizzare il
bordo acetabolare con motorizzato e associare una osteoplastica
femorale in caso di concomitante cam-impingement.
Figura 68
Rimozione di os acetabularis con pinza da corpi mobili
83
Capitolo 6
Figura 69
Figura 70
Figura 71
Impingement femoro-acetabolare in esiti di in- Impingement femoro-acetabolare in esiti di Impingement femoro-acetabolare in esiti di
tervento per epifisiolisi
epifisiolisi
epifisiolisi
IMPINGEMENT IN ESITI DI EPIFISIOLISI
In esiti di epifisiolisi, anche in casi di buona riduzione dello
scivolamento epifisario, può residuare una deformazione anatomica a livello del passaggio cervico-epifisario che determina un impingement femoro-acetabolare (Fig. 69, 70, 71).
L’indicazione ad una artroscopia vi può essere in casi rari in
età infantile, con persistente ed incoercibile sintomatologia dolorosa; la causa del dolore può derivare da una erosione della cartilagine della regione antero-superiore dell’acetabolo o della superficie anteriore della testa femorale, oppure da una lesione del labbro acetabolare.
Viene descritta in letteratura anche una indicazione al trattamento artroscopico delle problematiche articolari coesistenti, in
associazione alla sintesi con viti (Futami 1992).
Al termine dell’accrescimento si può manifestare una sindrome da impingement femoro-acetabolare, che ha carattere progressivamente ingravescente e può portare ad una importante evoluzione degenerativa.
La tecnica artroscopica è analoga a quella effettuata negli altri
casi di impingement femoro-acetabolari, e già descritta.
I vantaggi del trattamento artroscopico sono direttamente proporzionali alla precocità dell’indicazione e migliori quando non
siano ancora presenti importanti condropatie.
CALCIFICAZIONI – OSSIFICAZIONI
Calcificazioni capsulari
A livello del compartimento periferico possono essere presenti
calcificazioni capsulari di diverse dimensioni che possono essere
causa di dolore oppure di limitazione funzionale antalgica (Fig. 72).
Si tratta di una patologia piuttosto rara, spesso associata a fe-
84
Indicazioni
Figura 72
Figura 73
Calcificazione capsulare
Asportazione con radio-frequenze di calcificazione capsulare
nomeni degenerativi articolari, impingement femoro-acetabolare o
esiti traumatici.
La sintomatologia presente consiste generalmente in dolore,
riferito soprattutto in regione peritrocanterica o inguinale, e lieve
limitazione funzionale; i sintomi peraltro si confondono con quelli delle manifestazioni patologiche generalmente associate.
Le calcificazioni possono essere evidenziate e rimosse in artroscopia con l’utilizzo dello shaver e delle radiofrequenze per il loro
isolamento ed eventualmente di un grasper per l’asportazione
(Fig. 73).
Tendinopatia calcifica del retto femorale
La tendinopatia calcifica del retto femorale può essere causa di
un dolore dell’anca; il dolore è localizzato in sede laterale, in corrispondenza della spina iliaca anteriore inferiore irradiato al terzo
prossimale della coscia; la mobilità articolare può essere limitata
Figura 74
Figura 75
Figura 76
Calcificazione del retto anteriore – valutazione Valutazione ampliscopica senza trazione dopo Asportazione con radio-frequenze di calcificapre-operatoria ampliscopica con anca in tra- rimozione della calcificazione del retto ante- zione del retto anteriore
zione
riore
85
Capitolo 6
dal dolore soprattutto nei movimenti di flessione; vi può essere
zoppia più o meno accentuata.
La diagnosi è soprattutto radiografica con immagine calcifica
che si proietta vicino al bordo superiore verso la testa femorale. La
diagnosi, se dubbia, può essere approfondita e confermata con
ecografia, scintigrafia e RMN.
Il trattamento è generalmente incruento e consiste in terapia
medica con Fans, terapia fisica, infiltrazioni cortisoniche.
Talvolta la calcificazione determina un persistente dolore dell’anca nonostante i trattamenti eseguiti, spesso associandosi ad
una capsulite o ad una iniziale patologia degenerativa articolare,
per cui può essere posta indicazione ad una artroscopia; dopo
esplorazione del compartimento centrale, si passa nel compartimento periferico, si esegue una limitata capsulectomia in corrispondenza della calcificazione e la si asporta sotto controllo amplivideo (Fig. 74, 75, 76).
Ossificazione del retto femorale
Ben più complesso è il trattamento di voluminose calcificazioni-ossificazioni che si producono a livello del tendine retto femora-
Figura 77
Figura 78
Figura 79
Ossificazione del retto femorale
Quadro artroscopico di ossificazione del retto Controllo ampliscopico intra-operatorio
femorale
le e che si estendono dalla spina iliaca anteriore inferiore fino alla
regione articolare (Fig. 77); il quadro clinico, oltre al dolore coxalgico è caratterizzato dalla rigidità dell’anca, soprattutto in flessione.
L’asportazione della ossificazione può esser fatta in artroscopia, con un controllo costante radiologico con amplificatore di
brillanza (Fig. 78, 79); è opportuno eseguire una capsulotomia
parziale ed utilizzare le radiofrequenze per isolare più accuratamente l’ossificazione; la rimozione viene eseguita con una lama
acrpionizer (Fig. 80).
Figura 80
Asportazione con acromionizer della ossificazione
86
OSTEOFITOSI POST-TRAUMATICA
Gravi fratture articolari, soprattutto se associate a lussazioni,
possono guarire con deformazioni scheletriche o formazione di
Indicazioni
Figura 81
Figura 82
Grave osteofitosi post-traumatica
Sub-anchilosi dell’anca da grave osteofitosi
post-traumatica
esuberante callo osseo, il che può far residuare, in un elevata percentuale di casi, dolore e limitazione funzionale.
In casi più rari si formano osteofiti di notevoli dimensioni che
determinano una grave rigidità dell’anca; questa situazione patologica può verificarsi soprattutto in casi in cui vi sia stato un trattamento chirurgico di osteosintesi; gli osteofiti e le ossificazioni possono essere presenti a livello della testa femorale e soprattutto a
carico delle ossa del bacino, sia a livello dell’ileo che dell’ischio
(Fig. 81); in buona parte dei casi l’articolazione non appare troppo compromessa e la causa della rigidità e del quadro clinico molto invalidante è la presenza di osteofiti confluenti tra di loro.
Gli osteofiti determinano quindi un particolare caso di impingement femoro-acetabolare ad evoluzione rapidamente peggiorativa, che può giungere ad una subanchilosi dell’anca, spesso in atteggiamento viziato in semiflessione ed extrarotazione (Fig. 82).
L’asportazione degli osteofiti può consentire un buon recupero della funzionalità articolare ed alleviare la sintomatologia dolorosa conseguente (Fig. 83).
L’intervento può essere eseguito, oltre che con un approccio
tradizionale aperto, per via artroscopica.
L’intervento artroscopico non è certamente semplice, in quanto il compartimento periferico appare notevolmente alterato nella
sua anatomia, per il confluire dei voluminosi osteofiti che in alcune aree giungono quasi a fondersi, facendo perdere la percezione
dei contrapposti versanti articolari; è difficile scegliere i portali e
spesso l’inizio dell’intervento avviene in condizioni di scarsa visibilità, finchè rimuovendo il tessuto osseo esuberante, si riesce ad ottenere una migliore distensione capsulare; vengono alternati il motorizzato, con lame full-radius e burr (Fig. 84), e le radiofrequenze per eseguire contemporaneamente la necessaria emostasi; il rischio di un sanguinamento che rallenti l’intervento è sempre presente, per cui è opportuna una buona assistenza anestesiologica
con ipotensione controllata; l’intervento può essere lungo nei casi
più complessi e può essere accelerato con la rimozione degli osteofiti più grandi utilizzando uno scalpello è inoltre opportuno controllare periodicamente con l’amplificatore di brillanza il livello di
Figura 83a-b-c
Miglioramento della mobilità articolare dopo
l’intervento artroscopico
87
Capitolo 6
resezione; durante l’intervento si può rilevare una progressiva mobilizzazione articolare fino ad ottenere una funzionalità sufficiente
a sospendere la procedura.
PATOLOGIA PERI-ARTICOLARE
ANCA “A SCATTO”
L’anca a scatto può essere dovuta a diverse problematiche, intra ed extraarticolari e va quindi distinta in esterna, interna, intraarticolare
L’anca a scatto “esterna” è dovuta allo scatto della porzione
posteriore della bendelletta ileo-tibiale sul gran trocantere,
L’anca a scatto “interna” è dovuta ad uno scatto del tendine
ileo-psoas sulla testa femorale e sulla capsula inferiore.
L’anca a scatto “intra-articolare” è dovuta a lesioni articolari,
quali ad esempio una lesione a manico di secchio del labbro acetabolare o un corpo mobile.
Figura 84a-b
Exeresi artroscopica degli osteofiti
Figura 85
Quadro radiografico dopo exeresi artroscopica
degli osteofiti
Figura 86
Quadro RMN peritendinite essudativa del tendine ileo-psoas in anca a scatto interna
88
Anca a scatto interna
Lo scatto interno dell’anca dovuto all’ileo-psoas è quindi determinato dal passaggio del tendine sulla parte anteriore della testa femorale o sull’eminenza pettinea durante i movimenti di rotazione dell’anca.
Lo scatto è molto evidente e sempre doloroso, in rapporto alle condizioni di flogosi del tendine; la diagnosi clinica è generalmente agevole per i caratteristici sintomi, che l’esame obbiettivo
mette facilmente in evidenza.
La conferma diagnostica può essere fatta con un esame RMN
che evidenzia un versamento lungo il tendine, dovuto ad una peritendinite essudativa (Fig. 86).
L’indicazione chirurgica va limitata ai pochi casi che non si risolvono con le abituali terapie mediche e fisiche; rispetto alla tecnica artrotomica l’artroscopia presenta enormi vantaggi per la bassa morbidità, l’assenza di dolore post-operatorio, la scarsissima
percentuale di complicanze.
La tecnica artroscopica prevede un release del tendine ileopsoas che può essere eseguito con due diverse tecniche; la prima
prevede un intervento per via endoscopica attraverso la borsa dell’ileo-psoas con disinserzione del tendine all’inserzione sul piccolo
trocantere (Ilizaliturri 2005, Byrd 2005) ; la seconda per via artroscopica attraverso una finestra capsulare mediale praticata nel corso di una artroscopia del comparto periferico (Wettstein 2006);
entrambe le vie preservano la componente muscolare e conducono ad una risoluzione della sintomatologia.
Il release del tendine, fino ad una completa sezione, viene eseguito con radiofrequenze, dopo avere eseguito con lo shaver una
sinoviectomia parziale ed una capsulectomia mediale parziale; ter-
Indicazioni
minato il release si apprezza visivamente la retrazione della parte
prossimale del termine che fa comprendere che la procedura è terminata; le radiofrequenze consentono anche di fare una adeguata
emostasi se necessaria (Fig. 87).
Anca a scatto esterna
L’anca a scatto esterna (o coxa saltans) è una condizione creata dallo scatto della bandelletta ileo-tibiale sulla prominenza del
gran trocantere.
Lo scatto si determina per un ispessimento della parte posteriore della bendelletta o, in un numero minore di casi, del margine anteriore del muscolo grande gluteo, che è in contiguità con la
parte posteriore della bendelletta.
La flessione dell’anca fa scivolare la bendelletta al davanti del
trocantere e quando la parte posteriore ispessita della bendelletta
viene a contatto con il gran trocantere scatta in avanti; durante il
movimento di estensione lo stesso meccanismo di scatto si determina in senso inverso per passaggio della bendelletta posteriormente.
Ripetuti episodi di scatto, possono aumentare la fibrosi e favorire fenomeni degenerativi della bendelletta, oltre a determinare
una infiammazione della borsa trocanterica
Fattori predisponenti ad un anca a scatto esterna possono essere la coxa vara, una prominenza anatomica eccessiva del gran
trocantere, una iperplasia della borsa trocanterica.
La maggiorparte delle anche a scatto sono asintomatiche; talvolta, soprattutto durante pratiche sportive, la ripetitività dello
scatto conduce a fenomeni flogistici che si manifestano con dolore ed inabilità alla pratica sportiva.
L’esame obbiettivo, oltre all’evidenza dello scatto, che viene
spesso provocato volontariamente dal paziente, consiste in possibile dolorabilità sull’inserzione della bendelletta o sul gran trocantere, con saltuaria irradiazione dolorosa laterale alla coscia.
La diagnostica radiologica spesso è negativa e non significativa; radiografie del bacino possono mostrare anomalie displasiche
favorenti; ecografia e RMN possono evidenziare ispessimenti fibrotici della bendelletta ileo-tibiale.
Il trattamento endoscopico consiste nel release della bendelletta ileo-tibiale.
Il paziente viene posizionato in decubito laterale; i portali utilizzati nella nostra esperienza sono localizzati anteriormente e posteriormente a circa 2 cm dalla regione trocanterica, a livello dell’inserzione della bandelletta.
Il primo tempo chirurgico consiste nell’asportazione del tessuto sottocutaneo con full-radius; viene così identificata l’inserzione
trocanterica della bendelletta e viene eseguito un suo release con
radiofrequenze (Fig. 88, 89); è opportuno al termine della procedura eseguire una coagulazione dei piccoli vasi recisi e posizionare un drenaggio per circa 12 ore.
Figura 87
Release con radio-frequenze del tendine ileo-psoas
Figura 88
Esposizione della benedelletta ileo-tibiale
Figura 89
Release della bendelletta ileo-tibiale con radiofrequenze ad uncino
89
Capitolo 6
Borsite trocanterica
Figura 90
Esposizione della borsa trocanterica
Figura 91
Calcificazione lamellare peritrocanterica in artroprotesi di anca
90
La borsite trocanterica è una sindrome dolorosa molto frequente nella pratica ortopedica; consiste in un dolore localizzato
in corrispondenza del gran trocantere, soprattutto in sede superiore e postero-laterale, con irradiazione verso il basso e lateralmente
alla coscia.
La diagnosi di borsite trocanetrica non è sempre agevole in
quanto gli stessi sintomi possono essere segno riferito di altre patologie più importanti quali coxartrosi, osteonecrosi cefalica, patologia della sacro-iliaca, patologe lombari e compressioni radicolari; per questo motivo è stata definita da autori americani (Dougherty, 1989) “the great mimicher”.
La diagnosi clinica è legata prevalentemente alla dolorabilità
palpatoria; gli esami radiografici sono generalmente negativi e sono utili ad escludere altre patologie dell’anca; in rare occasioni
possono essere presenti calcificazioni peritrocateriche; in tali situazioni può essere fatta diagnosi di borsite calcifica; calcificazioni
peritrocanteriche possono essere più spesso presenti in esiti dolorosi di artroprotesi di anca.
Nella maggior parte dei casi la sindrome viene trattata in maniera incruenta con terapia medica, fisica o infiltrativa, con alta percentuale di risoluzione: nei casi recalcitranti, e soprattutto nei casi
di calcificazioni peritrocanteriche, può essere eseguito il trattamento chirurgico di bursectomia: il trattamento endoscopico va consigliato per gli ovvi vantaggi della mini-invasività della metodica.
La bursectomia endoscopica consente la rimozione della borsa
e delle eventuali calcificazioni; il paziente viene posizionato in decubito laterale e vengono utilizzati due portali uno prossimale ed
uno distale a distanza di 2-3 cm. dal gran trocantere; i portali sono posizionati su una linea longitudinale passante sul gran trocantere lievemente anteriore rispetto al centro del trocantere.
Viene utilizzata una lama full-radius con la quale in un primo
tempo viene asportato il grasso sottocutaneo fino a completa visualizzazione della bendelletta ileo-tibiale; la bendelletta viene incisa longitudinalmente alle sue fibre in sede lievemente posteriore
rispetto alla regione centrale; si ottiene così l’esposizione della
borsa trocanterica (Fig. 90), che viene asportata con lo shaver.
Una volta asportata la borsa trocanterica possono essere visualizzate le inserzioni dei tendini medio e piccolo gluteo, la cosiddetta cuffia dei rotatori dell’anca.
È importante al termine della procedura eseguire una buona
coagulazione per evitare ematomi post-operatori; è in ogni caso
opportuno posizionare al termine dell’intervento un drenaggio per
qualche ora.
Una bursectomia endoscopica può essere eseguita anche in caso di borsite calcifica, patologia non rara in esiti di intervento di
artroprotesi dell’anca (Fig. 91).
La calcificazione viene dapprima isolata con le radio-frequen-
Indicazioni
ze e viene poi asportata con un grasper (Fig. 92); viene successivamente perfezionata la bursectomia con lo shaver.
Tendinopatie di medio e piccolo gluteo
I tendini medio e piccolo gluteo si inseriscono sul gran trocantere e formano una struttura simile alla cuffia dei rotatori della
spalla.
Lesioni tendinee a questo livello vengono definite le “lesioni
della cuffia dei rotatori dell’anca” e possono avere aspetti clinici
ed anatomo-patologici differenti.
Si può andare da quadri di tendinopatia cronica con semplice
edema a lesioni fissurative di varie dimensioni, con aspetti di lesioni parziali o complete dei tendini glutei.
Si tratta di patologie piuttosto frequenti, ma che sono poco conosciute e quindi poco diagnosticate.
I sintomi consistono in dolore in corrispondenza delle inserzione dei tendini al gran trocantere, con accentuazione del dolore
e difficoltà all’abduzione dell’anca; all’esame obbiettivo vi è dolore all’extrarotazione contro resistenza con anca flessa a 90°, dolore e facile stancabilità in appoggio monopodalico.
L’esame radiografico è generalmente negativo, può mostrare
iniziali manifestazioni artrosiche che non giustificano il dolore
presente, raramente può evidenziare la presenza di microcalcificazioni in corrispondenza dell’inserzione tendinea dei glutei al gran
trocantere.
La presenza di lesioni tendinee può essere confermata da una
ecografia o da una RMN.
Il quadro clinico può simulare quello di una semplice borsite
trocanterica, ma è generalmente resistente alla terapia medica ed
infiltrativa che in questi casi viene eseguita.
Le possibili calcificazioni possono essere rimosse per via endoscopica (Kandemir 2003).
Le lesioni tendinee dei glutei possono essere evidenziate e trattate per via endoscopica mediante reinserzione con ancore al gran
trocantere (Voos 2009); viene inizialmente visualizzata l’inserzione
del medio gluteo in corrispondenza del bordo posteriore della
bendelletta ileo-tibiale (Fig. 93); viene successivamente asportata
la borsa trocanterica e meglio visualizzata la lesione tendinea; viene preparata con una lama full-radius la regione trocanterica in cui
reinserire il tendine; viene quindi inserita un ancoretta nel gran
trocantere e completata la reinserzione tendinea, con la stessa tecnica utilizzata per una lesione della cuffia dei rotatori nello spazio
sub-acromiale della spalla.
Figura 92
Isolamento con radiofrequenze di calcificazione
peritrocanterica in artroprotesi di anca
Figura 93
Visualizzazione dei tendini glutei dopo bursectomia
91
Capitolo 6
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COMPLICANZE E CONTROINDICAZIONI
Capitolo 7
Marco Bigoni
Stefano Guerrasio
COMPLICANZE
Le complicanze nella chirurgia artroscopica dell’anca, così come sono state descritte in letteratura, presentano una incidenza
variabile, ma sicuramente più che doppia, rispetto a quella di tutte le altre procedure artroscopiche (1). La recente introduzione di
questa tecnica chirurgica nella gestione della patologia coxo-femorale e la lunga curva di apprendimento, sono verosimilmente la
causa della frequenza relativa delle complicanze osservate.
Come riassunto nella Tabella 1 (Tab. 1), le complicanze associate alla artroscopia d’anca possono coinvolgere distretti ed organi differenti.
Le lesioni a carico del sistema nervoso periferico interessano i
nervi pudendo, femoro-cutaneo laterale, femorale e sciatico. Nella
stragrande maggioranza dei casi si tratta di neuroprassie transitorie, con risoluzione completa nell’arco di poche settimane. Lesioni
Tabella 1
Autore/
anno
N°
interventi
%
Lesioni
Lesioni
complicanze Nervose vascolari
Lesioni
perineali
Glick,
1992 (16)
Funke,
1996 (17)
Griffin Villar,
1999 (15)
Sampson,
2001 (18)
Clarke MT
2003 (19)
Lo YP,
2006 (20)
60
15% (9)
x
19
3
x
x
640 1.6% (10)
x
x
530 6.4% (34)
x
1054
1.4%
x
73
17
x
Lesioni/
Lesioni Stravaso TVP
problemi da articolari
fluidi
Learning iatrogene
curve (scope trauma)
x
AVN
x
x
Rottura
Ematoma
Borsite Infezioni
strumenti Sanguinamenti trocanterica
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
97
Capitolo 7
sono state osservate e descritte a carico dei tessuti molli perineali,
sia maschili che femminili.
Rotture dello strumentario, calcificazioni eterotopiche, patologie dei tronchi venosi ed in particolare tromboflebiti e trombosi
venose profonde (TVP), problematiche legate allo stravaso dei
fluidi a livello addominale, infezioni dei tessuti molli sono ulteriori complicanze riscontrabili in questo tipo di chirurgia (2-7).
Molti degli autori ascrivono la maggior parte dei propri errori
alla fase di apprendimento (learning curve), in particolare all’inadeguatezza dei sistemi di trazione con conseguente scarsa distrazione dell’articolazione. Secondo Griffin e Villar non vi è correlazione tra le complicanze ed il livello di esperienza del chirurgo senior (2).
Le complicanze possono manifestarsi durante l’atto operatorio, nell’immediato post-operatorio, o nel medio-lungo termine a
seconda delle strutture interessate e della modalità lesiva. Uno
stesso tipo di complicanza può tuttavia avere caratteristiche di
esordio differenti a seconda dell’entità stessa della lesione. Per
semplificazione suddivideremo le complicanze rispetto all’esecuzione del gesto chirurgico in pre-operatorie, intra e peri-operatorie, post-operatorie.
COMPLICANZE PRE-OPERATORIE
Complicanze anestesiologiche
Una adeguata selezione del paziente ed una corretta valutazione delle comorbidità, rendono il rischio di complicanze anestesiologiche dell’anestesia periferica e di quella generale, sovrapponibile a quello dell’altra chirurgia in tale distretto.
Complicanze nel posizionamento del paziente e nella trazione
La scelta del decubito supino o laterale è operatore dipendente.
Diversi autori (ma è sufficiente eseguire anche una sola volta un intervento artroscopico con sistemi distrattivi non adeguati, per capire le difficoltà e le insidie di questo tipo di chirurgia), enfatizzano la
necessità di disporre di adeguati sistemi di trazione, onde poter eseguire una adeguata, ma non aggressiva, diastasi articolare, permettendo un buon accesso articolare allo strumentario, senza creare
traumi da distrazione dei fasci vascolo nervosi (3, 4, 8). Neuroprassie
transitorie a carico del nervo peroneale e safeno, dolori transitori al
piede e alla caviglia sono stati descritti (5).
COMPLICANZE INTRA E PERI-OPERATORIE
Lesioni neuro vascolari da trauma diretto: realizzazione dei portali
Questo tipo di lesioni dipende direttamente dall’esecuzione
dei portali artroscopici, cui abbiamo dedicato, data l’importanza,
un intero paragrafo (vedi pagine seguenti).
Il nervo femoro-cutaneo laterale è la struttura nervosa più a ri-
98
Complicanze e controindicazioni
schio ed è facilmente lesionabile nella esecuzione del portale anteriore (9). Evitare incisioni profonde con il bisturi al momento dell’incisione cutanea, può ridurre il rischio di lesione diretta del nervo (10). Anche con una tecnica chirurgica appropriata possono realizzarsi lesioni di piccole branche del nervo.
Lesioni articolari da inadeguata trazione articolare
Le lesioni iatrogene articolari da scarsa trazione sembrano essere sottostimate, secondo quanto descritto in letteratura (3, 5).
Spessore del tessuto sottocutaneo, tono-trofismo muscolare, parametri auxologici e morfometrici possono favorire questo tipo di lesioni. Le due strutture più soggette a lesioni iatrogene sono la testa femorale (scuff lesions, Fig. 1) ed il labbro acetabolare. L’attenta e accurata esecuzione del portale antero-laterale sotto controllo
scopico è il momento fondamentale per la riduzione delle possibili lesioni iatrogene articolari, come descritto da Bartlett e da
Byrd (11, 12). La visione articolare dei movimenti in entrata ed in
uscita dello strumentario, è importante al fine di evitare urti e
quindi lesioni del labbro e della cartilagine.
Figura 1
Scuff lesion della testa femorale
Rottura intra e peri-articolare dello strumentario
La ridotta manovrabilità articolare, il lungo percorso degli
strumenti per raggiungere la lesione con conseguente aumento del
braccio di leva e l’utilizzo di cannule metalliche aumentano il rischio di rottura degli strumenti in questa chirurgia. Tale rischio
pur essendo basso (0.1-0.4%) è significativamente superiore a
quello che si realizza nelle altre articolazioni. Come mostrato in tabella 1, è infatti una complicanza descritta da tutti gli autori riportati (2, 5).
Lesioni neuro-vascolari da trazione
La neuroaprassia transitoria da trazione dello sciatico è la lesione del sistema nervoso periferico più frequentemente riscontrata in questo tipo di chirurgia. Un prolungato tempo di trazione
sembra correlarsi alla lesione, come descritto da Sampson (5), ponendo il cut-off a 2 ore consecutive di trazione. Byrd ritiene che
una trazione esercitata su di un’articolazione flessa al fine di detendere la capsula, potrebbe essere la causa di una lesione del nervo sciatico per gli stretti rapporti anatomici che il nervo viene ad
avere in quella posizione con il grande trocantere. L’entità della
trazione, che non deve mai superare i 60 kg, deve essere rapportata infine alla lassità costituzionale del paziente (8).
Complicanze acute e subacute da stravaso di soluzione salina
Lo stravaso di fluidi in particolare a livello addominale, può
essere causa di disturbi più o meno gravi della meccanica ventilatoria, come descritto da Glick, fino all’arresto cardio-circolatorio (3, 11). Frattura acetabolari non completamente consolidate,
99
Capitolo 7
tempi extra-articolari (come ad esempio la tenolisi dell’ilepsoas)
possono esporre ad un maggior rischio di stravaso (5). L’utilizzo
della pompa e pertanto la possibilità di decidere l’entità del flusso
di liquidi, riduce questo tipo di rischio.
Il posizionamento del paziente, in particolare il decubito laterale, sembra essere maggiormente correlato a queste complicanze,
favorendo l’accumulo di liquidi in addome per gravità.
Necessità di procedure artrotomiche.
Una inadeguata selezione del paziente e della patologa da trattare, possono portare all’impossibilità di eseguire nella sua completezza l’intervento chirurgico, con conseguente mancata risoluzione della sintomatologia. Eventi avversi intra-operatori, rari, ma
pur sempre possibili, possono condurre alla necessità di realizzare
una artrotomia o una sintesi. Il chirurgo artroscopista deve poter
essere in grado di disporre dello strumentario e del materiale di
sintesi in casi di fratture intra-operatorie e deve essere in grado di
poter eseguire un tempo artrotomico.
COMPLICANZE POST-OPERATORIE
Lesioni da compressione del perineo (trazione arto inferiore non congrua)
Il posizionamento di un fittone (post) a livello perineale sul
lettino di Maquet, per ottenere la controspinta alla trazione, espone la regione perineale stessa ad elevate compressioni e quindi ai
rischi ad esse correlati. Neuroprassie del pudendo, dell’otturatorio, lesioni cutanee della regione e degli organi perineali sono state descritte in letteratura (2-4, 10, Tab 1). Sistemi di trazione appositi
o post ben imbottiti possono evitare tali complicanze. Va segnalato tuttavia, che le neuroprassie tendono a risolversi completamente nell’arco di poche settimane.
Per evitare compressioni perineali eccessive è da consigliare
infine come forza di trazione, la minima in grado di dare una distasi articolare sufficiente all’esecuzione del tempo articolare (tempo centrale), da mantenersi per un massimo di due ore, così come
indicato poc’anzi per le lesioni da trazione.
TVP
Non sono descritti in letteratura casi certi di trombosi venosa
profonda post-intervento artroscopico.
Mancata risoluzione della sintomatologia
La persistenza della sintomatologia nel post-intervento può dipendere da molteplici fattori. Fra questi, in quanto potenzialmente evitabili, ricordiamo:
• indicazione chirurgica non corretta
• mancato riconoscimento intraoperatorio della patologia
100
Complicanze e controindicazioni
• strumentario inadeguato
• gesto chirurgico/procedura chirurgica non corretto/incompleto
Necrosi asettica della testa femorale: AVN (Vedi paragrafo delle complicanze vascolo-nervose.)
Villar e Byrd hanno descritto una progressione di significato
incerto delle AVN della testa del femore in seguito alle procedure
artroscopiche (13).
Sampson descrive una AVN post-artroscopica eseguita per una
lesione del labbro(5).
Implicazioni medico-legali: consenso informato incompleto
Riteniamo opportuna la preparazione di un consenso informato dedicato ed adeguato, che tenga conto delle possibili difficoltà,
fino alla impossibilità, nella esecuzione completa del gesto chirurgico e/o della necessità di dover ricorrere ad artrotomie. L’artroscopista che esegue l’atto chirurgico è in grado di poter eseguire
un intervento artrotomico dell’anca in caso di necessità? Tutelarsi
in tal senso è a nostro avviso auspicabile al fine di ridurre il rischio
di imperizie ed imprudenze.
La frequenza delle lesioni del nervo cutaneo laterale nell’esecuzione del portale anteriore impone, durante il colloquio con il
paziente, una corretta informazione sui rischi di neuroprassia.
Ossificazioni eterotopiche, infezioni, lesioni aneurismatiche dei grossi
vasi periarticolari
Sono altre possibili complicanze, che però hanno scarso riscontro in letteratura con percentuali trascurabili.
Di tutte le complicanze descritte, quelle neuro vascolari sono
tra le più temute a causa possibili gravi esiti cui possono dare luogo. Pertanto verrà loro dedicato ampio spazio, in particolare nella
definizione e nella descrizione anatomica del sistema arterioso a
tale livello e dei rapporti tra le strutture vascolo-nervose ed i portali di accesso al comparto centrale e periferico dell’articolazione
dell’anca. L’approfondimento anatomico e le immagini di preparati anatomici sono stati il risultato di un lavoro comune svolto a
Barcellona con I. Saenz e O. Farinas, che hanno già curato il capitolo di Anatomia del volume al quale inevitabilmente in parte ci
sovrapporremo.
COMPLICANZE VASCOLO-NERVOSE
NELLA ARTROSCOPIA D’ANCA
L’esatta conoscenza della vascolarizzazione della testa femorale è fondamentale per la realizzazione di qualunque atto chirurgico sia intra che extra-capsulare, in particolare oggi, data la diffusione delle tecniche chirurgiche mini-invasive e l’interesse per la
101
Capitolo 7
chirurgia artroscopica dell’anca. Tuttavia è difficile trovare in letteratura lavori che indichino esattamente la localizzazione e la distribuzione dei vasi che penetrano a livello della testa e del collo
femorali.
La vascolarizzazione della testa si divide scolasticamente in intra ed extra-ossea. Quella intra-ossea è rilevante nella chirurgia
protesica di rivestimento, dato che la salvaguardia della vascolarizzazione cefalica è fondamentale per il successo dell’atto chirurgico. Descriveremo la vascolarizzazione della testa e del collo femorali, per poter poi meglio comprendere i rischi correlati con l’esecuzione dei portali artroscopici di più frequente utilizzo.
Vascolarizzazione della testa e del collo femorale
La vascolarizzazione della testa femorale dipende fondamentalmente dall’arteria circonflessa mediale e dai suoi rami, in particolare da quello profondo, che decorre profondamente ai muscoli
rotatori pelvi-trocanterici. Il ruolo dell’arteria circonflessa femorale laterale è minore (14) e così pure gli esiti di una sua eventuale lesione.
Trueta suddivise la vascolarizzazione della testa e del collo in
metafisaria ed epifisaria a seconda punto di penetrazione nell’osso
dei vasi, definendo quindi meglio dal punto di vista terminologico
la vascolarizzazione stessa.
Le arterie epifisarie si dividono in esterna, che penetra nella testa attraverso la sua regione postero-superiore, ed interna, i cui rami principali si anastomizzano con gli esterni passando attraverso
la fovea capitis.
L’anatomia della vascolarizzazione arteriosa metafisaria è invece costituita da:
– 2,3 o 4 arterie metafisarie superiori, che daranno poi origine al
gruppo delle arterie epifisarie esterne, le quali penetreranno nel
collo femorale ad una certa distanza dalla cartilagine articolare
– arterie metafisarie inferiori: penetrano nell’osso in vicinanza del
bordo inferiore della cartilagine articolare.
Tanto le arterie epifisarie laterali che i due gruppi di arterie
metafisarie, originano abitualmente dall’arteria circonflessa femorale mediale, svolgendo pertanto un ruolo cruciale nella vascolarizzazione della testa e del collo femorali.
L’arteria epifisaria interna origina dall’arteria del legamento
rotondo, ramo dell’otturatoria.
Lavigne et al (15) studiarono la distribuzione di questi vasi attorno alla testa e al collo femorali, descrivendone il punto di ingresso degli stessi e l’importanza, onde evitarne lesioni al momento della esecuzione di un accesso chirurgico. Divisero testa e collo
in “sezioni orarie”, concludendo che la maggior parte degli orifici
vascolari (77%) sono situati nella porzione postero-superiore
compresa tra le ore 9 e le ore 2. Nel 71% degli specimen studiati,
gli orifizi vascolari della frangia oraria situata tra le 2 e le 6, cioè a
livello della regione anteriore del collo femorale, scomparivano totalmente.
102
Complicanze e controindicazioni
Arteria circonflessa femorale mediale
È l’arteria principale nella vascolarizzazione della testa e del
collo femorali. Ramo dell’arteria femorale profonda (83%) o dell’arteria femorale comune (27%) (16) è normalmente formata da 5
rami: ascendente, discendente, acetabolare, superficiale e profondo.
Il ramo profondo è la principale arteria responsabile della vascolarizzazione della testa e del collo femorali (17). Origina medialmente, tra i tendini dei muscoli pettineo ed ileopsoas, distalmente
al bordo inferiore del muscolo otturatore esterno. Posteriormente
il ramo profondo si divide dando origine al ramo ascendente dell’arteria circonflessa mediale, la quale a sua volta si dirige in profondità nello spazio tra il margine prossimale del muscolo quadrato del femore e il gemello inferiore. Decorre anteriormente ai tendini dei gemelli e del muscolo otturatore interno. Successivamente perfora la capsula a livello del tendine del gemello superiore,
dando origine ad un numero variabile da 2 a 4 rami retinacolari
intra-capsulari (17). Nel 20% degli specimen abbiamo trovato due
rami nella porzione inferiore del collo femorale, noti come vasi retinacolari inferiori. Detti vasi, come descritto da Carlioz (18) e
Gautier (17), provengono dal ramo profondo dell’arteria circonflessa mediale, essendo pertanto potenzialmente a rischio di lesione nella realizzazione dei portali posteriori o nella via di accesso
posteriore all’articolazione dell’anca.
Arteria circonflessa femorale laterale
L’arteria circonflessa femorale laterale riveste un ruolo molto
meno importante nella vascolarizzazione della testa e del collo femorali (19). Nella maggior parte dei casi nasce dall’arteria femorale
profonda. Da qui si dirige lateralmente passando in profondità rispetto al muscolo retto anteriore, dando poi origine a rami per il
muscolo retto stesso, per la capsula anteriore dell’articolazione coxo-femorale (9) e per il muscolo vasto laterale, che avvolge, anastomizzandosi con il ramo profondo dell’arteria circonflessa mediale
a livello della parte superiore del collo femorale.
POTENZIALI RISCHI NELLA ESECUZIONE DEI PORTALI
ARTROSCOPICI
I rischi di lesione vascolo-nervosi nell’artroscopia d’anca dipendono per tipo ed entità dalla realizzazione dei portali artroscopici. Come descritto in letteratura la scelta e pertanto l’esecuzione del portale, sono strettamente correlate alla regione anatomica di interesse, localizzata nel compartimento centrale o periferico (20, 21). I portali abituali di lavoro per il compartimento centrale sono 3, quello anteriore, l’antero-laterale ed il postero-laterale; per l’accesso al compartimento periferico i portali utilizzati saranno l’anteriore, l’antero-laterale prossimale e l’antero-laterale
distale (22) (Fig. 2).
Figura 2
Rapporto tra i portali e le strutture pelvi-trocanteriche
1. M. piccolo gluteo; 2. M. piriforme; 3. Mm. pelvitrocanterici; 4. N. sciatico; 5. Grande trocantere; 6.
Tendine del muscolo medio gluteo; 7. Tuberosità
ischiatica
103
Capitolo 7
Figura 3
Figura 4
Dissezione anteriore con esposizione del decorso
del ramo ascendente dell’arteria circonflessa femorale laterale al di sopra della capsula articolare.
1. A. circonflessa femorale laterale; 2. Ramo ascendente; 3. Ramo traverso; 4. Rami muscolari; 5. Capsula anteriore; 6. M. vasto laterale
Rapporti anatomici del portale anteriore.
1. Ramo laterale del n. femoro-cutaneo laterale; 2. Ramo mediale del n. femoro-cutaneo
laterale; 3. M. ileo-psoas; 4. Ramo ascendente dell’arteria circonflessa femorale laterale;
5. M. tensore della fascia lata; 6. M. retto anteriore; 7. Capsula anteriore; 8. Grande trocantere; 9. M. sartorio
Portale anteriore
Le strutture anatomiche a rischio nell’esecuzione del portale
anteriore sono:
1. Nervo cutaneo femorale laterale
2. ramo ascendente dell’arteria femorale laterale (9, 23).
Figura 5
Rappresentazione ossea del portale antero-laterale
Il portale anteriore è sito ad una distanza in media di 3.7 cm
(range 1-6 cm) rispetto al ramo ascendente dell’arteria circonflessa laterale (Fig. 3). Questa distanza si riduce notevolmente se calcolata rispetto al ramo terminale dell’arteria, localizzata in media a
0.3 cm (range 02-0.4 cm).
Il rischio di lesioni a carico del n. cutaneo femorale laterale, risulta invece essere maggiore essendo questo localizzato ad una distanza media dal portale di 0.3 cm (range 0.2-1 cm): si consiglia
pertanto una dissezione del sottocute fino alla fascia lata onde visualizzare il rapporto del portale con il decorso del nervo (Fig. 4).
La distanza rispetto al nervo femorale è in media di 4.3 cm
(range 3.8-5 cm). È opportuno tener presente il decorso tridimensionale del nervo, essendo la distanza dal portale differente nei diversi piani anatomici: 4.3 cm a livello del retto anteriore, 3.7 cm a
livello della capsula articolare (23).
Portale antero-laterale
Il portale antero-laterale (Fig. 5 e 6) è il primo accesso ad essere realizzato, sotto controllo scopico, presentando infatti discreti margini di sicurezza rispetto alle strutture vascolo-nervose.
104
Complicanze e controindicazioni
Figura 6
Figura 7
Portale antero-laterale, compartimento centrale e periferico.
1. Ramo laterale del n. femoro-cutaneo laterale; 2. Ramo mediano del n. femoro-cutaneo
laterale; 3. Ramo mediale del n. femoro-cutaneo laterale; 4. Ramo ascendente dell’arteria
circonflessa femorale laterale; 5. M. tensore della fascia lata; 6. M. retto anteriore; 7. Capsula anteriore; 8. Gran trocantere
Rappresentazione ossea del portale postero-laterale a livello del margine posteriore del gran trocantere
Presenta due varianti, l’antero-laterale propriamente detto ed
il laterale. La struttura di rispetto è il fascio vascolo-nervoso gluteo
superiore. Come descritto da Byrd (9) la distanza media di sicurezza rispetto al n. gluteo è di 4.4.cm (range 3.2-5.5).
Portale postero-laterale
Questo portale è stato considerato come sicuro, per quanto riguarda i rapporti con il nervo sciatico, dal quale dista in media 2.9
cm (range 2-4.9 cm) (23). Tuttavia è di estrema importanza segnalare l’estrema vicinanza dell’arteria circonflessa mediale al portale,
nel punto in cui l’arteria si posteriorizza, prendendo rapporto con
la capsula articolare. Molti autori, invece, si sono concentrati sui
rischi di lesione dell’arteria circonflessa femorale laterale al momento dell’esecuzione del portale anteriore: non essendo questa la
principale arteria responsabile della vascolarizzazione della testa, il
rischio di necrosi ischemica risulta trascurabile (24).
Sussman et al. (1) in uno studio anatomico su 7 cadaveri, ha
puntualizzato la relazione tra l’arteria ed il portale postero-laterale, riscontrando una distanza minima di 3 mm ed una massima di
10. L’autore ha segnalato che il bordo posteriore del gran trocantere (Fig. 7, 8, 9) è un buon repere per l’accesso all’articolazione
nel rispetto dell’arteria circonflessa femorale mediale e dei suoi rami e quindi della vascolarizzazione della testa femorale.
La distanza media di questo portale rispetto al n. sciatico è di
2.9 cm (2-4.3 cm) (23).
105
Capitolo 7
Figura 8
Figura 9
Sezione traversa a livello dell’epifisi prossimale del femore. Punto di
ingresso del trocar con margine posteriore del gran trocantere come
punto di repere e di sicurezza.
Portale postero-superiore e strutture a rischio
1. Bordo posteriore del gran trocantere; 2. N. sciatico; 3. Mm. pelvi-trocanterici; 4. M. grande gluteo; 5. Tendine del medio gluteo; 6. M ileopsoas
1. Bordo posteriore del grande trocantere; 2. N. sciatico; 3. Mm. pelvi
trocanterici; 4. M. grande gluteo; 5. Tendine del m. medio gluteo; 6. M.
ileo-psoas; 7. Ramo ascendente dell’arteria circonflessa femorale mediale; 8. Capsula posteriore; 9. Vasi glutei inferiori
Portali per il compartimento periferico
Figura 10
Rappresentazione ossea dei tre portali utilizzati
per il compartimento periferico
Una lesione vascolare in questa sede non provoca necrosi della testa femorale.
I portali utilizzati per accedere al compartimento periferico sono 3: l’anteriore, l’antero-laterale distale e l’antero-laterale prossimale (Fig. 10).
Tutti questi portali si localizzano nella regione anteriore dell’articolazione. Non ci sono sufficienti studi che descrivano le percentuali di lesioni vascolo-nervose dei portali antero-laterale distale e prossimale, tuttavia, dal punto di vista anatomico, presentano
rischi simili a quelli del portale anteriore: lesione dell’arteria circonflessa laterale e dei suoi rami capsulari, lesione del n. femorale
profondamente e del femoro-cutaneo laterale superficialmente. Il
diverso orientamento dello strumentario a seconda dell’effettiva
distanza di realizzazione dei portali determina una variazione delle distanze di sicurezza.
CONTROINDICAZIONI
In maniera lapalissiana potremmo affermare che le controindicazioni alla esecuzione di un intervento artroscopico dell’anca sono tutte quelle situazioni sistemiche o locali, in grado di rendere
impossibile l’esecuzione dell’intervento stesso o di presentare una
elevata probabilità di comparsa di complicanze sia intra che perioperatoriamente.
Le controindicazioni sistemiche o locali, possono poi a loro
volta essere assolute e relative
106
Complicanze e controindicazioni
•
•
•
•
•
•
Le controindicazioni sistemiche assolute sono:
Età del paziente, non adeguatezza dello stato di salute generale
(entità dell’ASA).
Malattie del metabolismo osseo note ed in grado di aumentare
significativamente il rischio fratturativo della testa o del collo in
seguito a procedure di osteoplastica con strumentario motorizzato.
Altre malattie sistemiche in grado di pregiudicare le procedure
anestesiologiche, con difficoltà sia al momento dell’induzione
che durante l’atto operatorio.
Malattie sistemiche in grado di aumentare il rischio di mortalità peri e post-operatorio.
Obesità severa, per l’estrema difficoltà/impossibilità nella realizzazione dei portali e nell’utilizzo dello strumentario.
Disturbi della coagulazione o alterazioni della coagulazione farmaco-indotti non correggibili.
Le controindicazioni sistemiche relative sono:
• Obesità media.
• Disturbi della coagulazione o alterazioni della coagulazione farmaco-indotti correggibili.
• Malattie sistemiche, con possibilità di correzione farmacologica
pre e perioperatoria, in grado di ridurre significativamente i rischi correlatiti sia alle procedure anestesiologiche che all’atto
chirurgico.
Per una disanima delle controindicazioni locali riteniamo utile
un’analisi topografica delle potenziali sedi di controindicazione,
procedendo dall’articolazione, in profondità, sino alla superficie
cutanea.
Anche in questo caso le controindicazioni possono essere assolute o relative.
In letteratura vengono descritti (25, 26):
• Pregressi traumi (fratture-lussazioni) dell’articolazione dell’anca, che siano esitati in postumi in grado di rendere estremamente difficoltosa od impossibile la realizzazione dei portali chirurgici o la distrazione articolare.
• Coxa profunda/protrusione acetabolare
• Artrosi di stadio avanzato/anchilosi
• Displasia severa
• Lesioni cartilaginee e sotto-condrali passibili di elevato rischio
di peggioramento in seguito ad atto chirurgico.
• Osteonecrosi della testa con collasso della stessa.
• Calcificazioni periarticolari/ossificazioni eterotopiche di grado
III-IV
• Ferite cutanee, cellulite.
107
Capitolo 7
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109
Parte speciale e tecniche chirurgiche
PATOLOGIA CONDRALE E SINOVIALE
Capitolo 8
Robert L. Buly
Luis E. Moya
INTRODUZIONE
L’artroscopia di anca è divenuta uno strumento utile nel trattamento di una grande varietà di patologie dell’anca. Non solo è
possibile confermare una diagnosi, ma l’artroscopia d’ anca permette trattamenti definitivi o almeno di ritardare un intervento
più invasivo. Avere una diagnosi corretta prima della chirurgia è
fondamentale. Questo dovrebbe essere possibile attraverso
l’anamnesi associata con lo studio radiografico. Altri test come
RMN e TAC possono aumentare l’accuratezza della diagnosi. Nelle malattie reumatiche, test di laboratorio possono aiutare nella
diagnosi. È estremamente importante conoscere la storia naturale
delle malattie che stanno alla base, per capire se l’artroscopia d’anca da sola, sarà sufficiente.
Ci sono condizioni che sono primariamente “intrinseche” all’articolazione dell’anca, come una condromatosi della sinovia o sinoviti villo-nodulari pigmentatose, dove il problema sembra nascere solo dall’articolazione stessa. Problemi estrinseci sono quelli
che causano danno, agendo sull’articolazione dell’anca dall’esterno. Queste condizioni possono includere patologie reumatiche o
osteoartriti, displasia dell’anca, conflitto femoro-acetabolare, artrite settica o traumi. Il comune percorso finale è la progressiva distruzione dell’articolazione, a meno che non ci sia un intervento.
Questo capitolo discuterà le opzioni nel trattamento delle malattie
della membrana sinoviale e della cartilagine nell’anca.
MALATTIE SINOVIALI
Condromatosi sinoviale
In questa inusuale malattia, di etiologia sconosciuta, la membrana sinoviale produce corpi mobili cartilaginei che fuoriescono
dalla membrana sinoviale e causano un danno articolare di tipo
meccanico. Nel passato la diagnosi era difficile da fare , perchè
spesso i corpi mobili possono non essere calcificati. L’evoluzione
di RMN ad alta risoluzione ha reso la diagnosi estremamente facile.
113
Capitolo 8
Può essere difficile se non impossibile curare questa malattia,
a meno che non si esegua una sinovialectomia totale. Questa può
essere rischiosa perché se la sinovialectomia è eseguita alla giunzione testa-collo postero-superiore può mettere a rischio l’apporto
vascolare alla testa femorale. La decisione del chirurgo deve valutare tra un approccio aperto o artroscopico. Il gruppo di Berna
(Svizzera) ha riportato una serie di 8 casi trattati con successo attraverso una chirurgia aperta con lussazione della testa femorale e
sinovialectomia totale “modificata”. Il termine “modificata” è utilizzato per la preoccupazione riguardo all’apporto sanguigno alla
testa femorale. Ad un follow-up medio di 6.5 anni, due pazienti
hanno hanno subito una protesi totale di anca per artrosi ma non
hanno avuto una recidiva di condromatosi. I rimanenti 6 non hanno avuto evidenza di ripresa della malattia.
Lim ha riportato una serie di 21 pazienti con condromatosi sinoviale trattati chirurgicamente in artrotomia con o senza lussazione a un tempo medio di follow-up di 4.4 anni. Ci sono state due
recidive nei 13 casi trattati senza lussazione e nessuna negli 8 casi
con lussazione; il risultato non ha rilevanza statistica. Mentre le recidive erano minori con la lussazione, l’incidenza di complicanze
era più alto.
Boyer ha trattato 120 pazienti in artroscopia per questa malattia, 111 dei quali sono tornati a controllo per il follow-up. Risultati eccellenti o buoni sono stati riportati nel 56.7% mentre il 20%
ha dovuto ricorrere ad una protesi totale di anca. La chirurgia
aperta è stata richiesta nel 38% dei casi, mentre il 21% ha richiesto più di una artroscopia. Gli Autori hanno concluso che l’artroscopia di anca è sicuramente una metodica utile nel trattamento di
questa malattia.
Nel trattare questa malattia in artroscopia, è importante ottenere il massimo spazio articolare. Prima di affrontare questa procedura, è importante una pianificazione pre-operatoria. Se l’articolazione è completamente piena con centinaia di corpi mobili,
molti dei quali più larghi del diametro delle cannule, potrebbe essere più prudente eseguire direttamente una chirurgia aperta. A
volte numerosi corpi mobili possono essere inglobati tra di loro fino a dimensioni di diversi centimetri di diametro, con completo
riempimento della fossa acetabolare.
La chirurgia può essere eseguita sia in posizione laterale sia supina. Il chirurgo dovrebbe usare i portali standard che permettono pieno accesso alla articolazione Questi portali possono essere:
laterale, postero-laterale, antero-laterale o anteriore. La trazione è
richiesta per visualizzare a pieno il comparto centrale. In aggiunta
ai portali standard sono necessari portali accessori più distali che
possono permettere l’accesso al comparto periferico e al recesso
inferiore dell’articolazione.
Quando si accede al comparto periferico non c’è bisogno della trazione; quindi la capsula è più distesa e il movimento all’interno dell’articolazione è più agevole. Oltre a rimuovere i corpi mobili, si deve eliminare con l’uso di radio-frequenze o con lo shaver
114
Patologia condrale e sinoviale
Figura 1a
Figura 1b
Figura 1c
Condromatosi sinoviale: visione artroscopica Corpi mobili che riempiono la fossa acetabola- Fossa acetabolare dopo il debridment
con tipici corpi mobili ed iperplasia sinoviale
re; la testa femorale è a sinistra
Figura 1d
Figura 1e
Visione del compartimento periferico con testa
femorale in basso, labbro da sinistra a destra,
parzialmente oscurato da sinoviale ipertrofica
e corpi mobili
Visione fluoroscopica dello shaver nel recesso Stessa visione della figura 1D dopo debridment
inferiore del compartimento periferico. Nota del compartimento periferico
che la trazione non viene usata per accedere al
compartimento periferico
Figura 1f
la maggior parte possibile di membrana sinoviale nel tentativo di
ridurre il rischio di recidiva.
Per rimuovere corpi mobili molto grandi può essere necessario
allargare i portali di accesso alla capsula con un bisturi o con le radiofrequenze, prima di cercare di estrarre il corpo mobile con un
grasper; in alternativa, i più grandi possono essere ridotti con frese o lame del motorizzato. Invertire l’ottica e i portali di lavoro
può servire per dare una piena visione dell’articolazione e aumentare lo spazio raggiungibile. Muovere l’arto o iniettare della soluzione salina nell’articolazione, attraverso una siringa, metterà altri
corpi mobili in evidenza. Se necessario, il chirurgo può ricorrere
ad una artrotomia “semi-artroscopica” per operare una pulizia più
radicale (Fig. 1a, 1f).
Mentre non c’è dubbio che la dislocazione chirurgica così come diffusa da Ganz, fornisce una ottima esposizione e un massimo potenziale trattamento, la morbidità è considerevolmente
maggiore. È necessario limitare il carico utilizzando le stampelle
per 6-8 settimane e la possibilità di una pseudo-artrosi trocanterica con dolore persistente che può richiederne un intervento. Poi-
115
Capitolo 8
ché una pulizia artroscopica ha una morbidità consistemente ridotta, informiamo i nostri pazienti che una artroscopia ripetuta
nel futuro, in seguito alla recidiva della malattia, può essere molto più agevole che dopo una artrotomia. Infine iniziare con un
artroscopia non preclude procedure più invasive in un secondo
tempo (Fig. 2a, 2c).
Sinovite Villonodulare Pigmentosa (SVNP)
Figura 2a
Condromatosi sinoviale: visione antero-posteriore
di un’anca destra che mostra multipli corpi mobile.
E’ stato scelto di procedere con una lussaione chirurgica per un migliore trattamento del caso.
Figura 2b
Lussazione chirurgica: questo approccio consente
di rimuovere tutti I corpi mobile e di eseguire una
sinoviectomia estesa
Figura 2c
Visione antero-posteriore di un’anca destra. I corpi mobili sono stati tutti rimossi, l’osteotomia trocanterica è stata fissata con viti
116
Come la condromatosi sinoviale, questa malattia ha una etiologia sconosciuta ma sembra avere una natura neoplastica. Fu descritta per la prima volta nel 1941 da Jaffe, e di solito appare in 2
forme: una di tipo nodulare localizzato più benigna e una caratterizzata da una sinovite diffusa più aggressiva. La malattia può essere molto insidiosa all’inizio, e possono passare molti anni dai
primi sintomi alla scoperta della patologia. È una malattia rara,
con un incidenza stimata di 1.8 casi per milione di persone all’anno (Myer, Masi 1980). Può coinvolgere ogni articolazione, ma l’anca viene colpita nel 15% dei casi.
Le semplici radiografie possono mostrare perdita di spazio articolare con caratteristiche erosioni cistiche dell’acetabolo e del femore prossimale. In quei casi in cui la diagnosi non è certa, l’artroscopia è stata citata come una procedura che può confermare la
presenza di SVNP. Comunque gli sviluppi nell’imaging RMN hanno reso molto più facile diagnosticare la malattia. La RMN mette
in evidenza il versamento articolare, bassi segnali sia su T1 che T2
dovuti a depositi di emosiderina, sinoviti ed erosione ossea. Depositi di emosiderina, che appaiono come un’ area a basso segnale
che si vede meglio su una sequenza eco a campo veloce, sono considerati segni diagnostici di SVNP.
L’obiettivo nel trattamento della malattia è fornire un sollievo
sintomatico eliminando la maggior quantità possibile di membrana sinoviale, prevenire le ricadute della malattia e minimizzare la
probabilità di osteoartrite. Sfortunatamente, uno stato avanzato di
perdita di cartilagine può essere già presente al momento della
diagnosi, rendendo la protesi di anca l’unica via possibile. Se la
perdita di cartilagine non è eccessiva, la scelta è tra una pulizia artroscopica e una artrotomia, con o senza lussazione chirurgica.
Gitelis ha pubblicato una meta-analisi di 64 casi ottenuta con
una revisione di letteratura. I pazienti erano trattati con una semplice sinoviectomia per via artrotomia o con una protesizzazione.
La ricorrenza della malattia era del 22% con la sola sinoviectomia
contro un 3.5% con la protesi totale di anca.
Della Valle ha eseguito una meta-analisi con 7 nuovi pazienti
insieme con 117 casi raccolti da articoli pubblicati tra il 1944 e il
1988. Di questi 62 casi non avevano sufficiente documentazione,
lasciandone solo 55 nello studio. Metà dei casi erano stati sottoposti alla sola sinoviectomia con soltanto 6 di 26 che avevano avuto
una completa lussazione chirurgica. L’altra metà avevano avuto o
sinoviectomia con protesi d’anca o sinoviectomia con artrodesi
dell’anca. Quelli con la sola sinoviectomia avevano un tasso di re-
Patologia condrale e sinoviale
cidiva del 28% per malattia di grado 1 o 2, ma del 50% per il grado 3. Di contro solo il 4% delle protesi totali aveva avuto ricaduta della malattia.
Schwartz ha riportato uno 0% di ricaduta su 20 pazienti trattati con una tecnica aperta. Flipo ha riportato una ricaduta del
12% su 58 casi. Vastel ha condotto uno degli studi a più lungo termine sul trattamento di questa malattia. Sedici pazienti sono stati
trattati con sinoviectomia e dislocazione chirurgica. Otto pazienti
hanno avuto solo sinoviectomia mentre altri otto hanno avuto un
intervento di artroprotesi. Il tempo medio di follow-up è stato
16.7 anni con un solo paziente seguito per meno di otto anni. Solo un paziente ha avuto ricaduta, scoperta 14 anni dopo una revisione del cotile. Tutti e 8 i pazienti trattati con la sola sinoviectomia hanno sviluppato una osteoartrite secondaria che in 4 casi ha
richiesto una protesi totale di anca 62.
Virtualmente tutte le casistiche riportate hanno coinvolto il
trattamento aperto. Ci sono veramente pochi casi riportati trattati in artroscopia e non sono grandi casistiche. Sim, Dorfman,
Krebs, Janssens e Godde hanno tutti riportato che l’artroscopia
può essere utile nel trattare SVNP dell’anca. Il trattamento artroscopico di questa malattia è simile a quello della condromatosi sinoviale. L’obiettivo della chirurgia è confermare la diagnosi, stabilire il grado di danno e togliere quanta più sinovia possibile per
fornire un sollievo sintomatico e minimizzare la possibilità di ricaduta. La tecnica chirurgica è simile a quella descritta per la condromatosi sinoviale, tenendo in mente che la forma diffusa è molto più difficile da trattare a causa della estesa distribuzione articolare.
In più, una completa sinoviectomia è virtualmente impossibile,
se fatta artroscopicamente. Pur se l’artroscopia è meno invasiva, se
la cartilagine è ancora viva può valer la pena considerare una artrotomia per aumentare la possibilità di cura. Se si conosce in anticipo che è presente una forma nodulare, allora dovrebbe essere
tentata per prima una pulizia artroscopica. Gli autori sono stati in
grado di asportare una massa nodulare artroscopicamente, mentre
un altro paziente ha richiesto artrotomia per una residua SVND
dopo un tentativo di pulizia artroscopica (Fig. 3a-3e).
Malattie reumatologiche
Le malattie reumatiche differiscono dalle condromatosi sinoviali e dalla sinovite villo-nodulare pigmentosa in quanto l’inizio
della proliferazione sinoviale sembra innescarsi per un motivo sistemico esterno all’articolazione. Sono molto simili, perché le sinoviti rilasciano enzimi che determinano infiammazione con conseguente dolore, gonfiore e in ultimo distruzione della cartilagine articolare. Queste condizioni includono, pur non essendo limitate
solo a queste: artriti reumatoidi, artriti reumatoidi giovanili, spondiliti anchilosanti, artrite psoriatica e lupus. Farmaci che bloccano
i fattori necrotici derivanti dai tumori come etanercept, adalimumab e inflaximab hanno aumentato le armi a disposizione delle
117
Capitolo 8
Figura 3a
Figura 3b
Figura 3c
Sinovite villo-nodulare pigmentosa. Tessuto si- Shaving del tessuto sinoviale, stessa visione Dopo rimozione della sinovia e coagulazione
noviale ipertrofico riempie il recesso anteriore, della figura 3A
con radio-frequenze, stessa visione della figura
coprendo il labbro. La testa femorale è sulla si3A
nistra.
Figura 3d
Sinoviale pigmentata che riempie la fossa acetabolare.
DMARDS (farmaci antireumatici che modificano la malattia), riducendo la gravità del coinvolgimento articolare.
Per anni la sinoviectomia aperta è stata utilizzata per il trattamento delle artriti reumatoidi e dell’artrite reumatoide giovanile in
diverse articolazioni, quando il solo trattamento medico non era
sufficiente e la distruzione articolare progrediva fino al punto da
lasciare come unica soluzione l’artroplastica o l’ artrodesi. Pochissimi report sono disponibili sull’efficacia dell’artroscopia di anca
nel trattare sinoviti reumatologiche. Holgersson ha riportato l’uso
dell’artroscopia su 13 pazienti affetti da artrite reumatoide giovanile. Vi è stata efficacia nel valutare lo stato della cartilagine e nel
prelievo per l’esame istologico, non c’è stato invece effetto nel fornire sollievo al paziente.
Come con la SVNP diffusa o la condromatosi sinoviale, può
essere preferibile effettuare una artrotomia o una lussazione chirurgica per ottenere una pulizia più completa. Carl ha riportato 67
artrotomie di anca per sinoviectomia in 56 pazienti seguiti per una
media di 4 anni. L’Hip Score era migliorato significativamente e il
tasso di sopravvivenza era del 94%. L’artroscopia di anca può avere un ruolo limitato ad una sinoviectomia parziale ed ad una diagnosi istologica.
Artrite settica
Figura 3e
Dopo il debridment, stessa visione della figura
3D.
118
Questa condizione può certamente essere diagnosticata senza
l’artoscopia attraverso la storia del paziente, l’esame clinico, esami
di laboratorio, studi radiologici e artrocentesi dell’anca. Comunque è stato dimostrato che l’artroscopia di anca può essere una efficace tecnica di trattamento che presenta morbilità molto inferiore rispetto alla tecnica a cielo aperto. El-Sayed ha riportato in uno
studio randomizzato nel quale 20 pazienti erano randomizzati in 2
gruppi: debridment artroscopico o chirugica aperta, 10 bambini in
ciascun gruppo. Non solo si è riscontrata una permanenza ospedaliera più breve dopo la procedura artroscopica , ma ci sono anche
stati risultati clinici migliori. Anche altri Autori hanno riportato
eccellenti risultati clinici dopo il trattamento artrosocpico della
Patologia condrale e sinoviale
sepsi dell’anca. Sembra che ci sia una scarsa indicazione della chirurgia aperta per trattare questo tipo di malattia a meno che gli
studi radiologici rivelino la presenza di un ascesso o un osteomielite, che non possono essere trattati adeguatamente solo con l’artroscopia.
MALATTIE CARTILAGINEE
Danni cartilaginei possono derivare da una alterata o deficiente composizione biochimica (oocronosi, Sindrome di Marfan) da
un substrato anormale (necrosi avascolare, malattia di Paget), da
malattie reumatologiche autoimmuni o da una anatomia anormale
(conflitto femoro-acaetabolare, lussazione congenita, displasia, coxa valga, epifisiolisi, malattia di Perthes, displasia scheletrica congenita), da osteocondriti dissecanti, o da traumi.
La classificazione di Outerbridge è stata utilizzata per quantificare la gravità dei danni cartilaginei ed è stata adattata per essere utilizzata in quasi tutte le articolazioni.
Tabella 1
Outerbridge
Grado
Dimensione del difetto
Descrizione
I
Rammollimento e tumefazione
II
< 1/2 inch
III
> 1/2 inch
IV
Frammentazione/fessurazione
Frammentazione/fessurazione
Erosione con esposizione dell’osso subcondrale
Il labbro, mentre da un punto di vista tecnico è fatto di cartilagine, in realtà è fatto di fibrocartilagine e può danneggiarsi in diverse condizioni come la displasia e l’impingement dell’anca. Le
patologie del labbro sono discusse in un altro paragrafo di questa
monografia. Gli obiettivi nel trattare i difetti cartilaginei dell’anca
sono:
1) Stabilire diagnosi corrette
2) Stabilire il grado del danno cartilagineo
3) Pulire e stabilizzare le superfici articolari
4) Correggere le deformità di base che causano il difetto (se possibile)
1) Stabilire diagnosi corrette
Questa è criticamente una importante procedura. In alcuni disordini metabolici, non c’è molto più da fare che affrontare i problemi dell’articolazione quando insorgono. Comunque scoprire
un problema autoimmune e fornire un intervento tempestivo può
drammaticamente rallentare o perfino arrestare la progressione
della distruzione articolare.
Condizioni come la displasia acetabolare e il conflitto femoro-
119
Capitolo 8
acetabolare sono responsabili della maggior parte dei casi di osteoartrite. Le radiografie devono essere visionate per valutare lo spazio articolare, la copertura acetabolare, l’angolo cervico-diafisario
e per la presenza di lesioni cam, lesioni pincer o anormalità del’orientamento. Mentre in questi casi è possibile migliorare i sintomi mediante il debridment del labbro rotto e della cartilagine danneggiata, il difetto di base non viene corretto a meno che non si
faccia un osteotomia o si rimuova il conflitto.
2) Stabilire il grado del danno cartilagineo
È utile un sistema di classificazione per definire il grado di
osteoartrosi visto sulle radiografie, come la classificazione di Tonnis. Questa classificazione del grado di artrosi ha importanza nel
predire la probabilità di successo di un intervento di salvataggio
dell’articolazione. I miglioramenti nella risoluzione della RMN
hanno largamente aumentato la possibilità, conoscere il grado di
danno cartilagineo presente, anche prima di eseguire una artroscopia.
Nella chirurgia è importante documentare la posizione del
danno articolare sia sulla testa che sull’acetabolo, il grado di degenerazione e la dimensione del difetto. La posizione del danno viene normalmente riferita alle ore presenti sul piano dell’orologio.
Un sistema di mappatura a 6 zone è stato proposto nello sforzo di
standardizzare la posizione dei danni cartilaginei. Anche con scansioni ad alta risoluzione, ci può essere un danno maggiore di
quanto si sospettasse. Gli autori hanno incontrato diversi casi in
cui si pensava ad una danno cartilagineo di grado 2 o grado 3 sulla base di RMN, mentre invece era presente una delaminazione a
tutto spessore. Questo succede più spesso nel conflitto cam. Il
conflitto Pincer di solito porta ad un danno più diretto sul labbro.
3) Pulire e stabilizzare le superfici articolari
Come in ogni articolazione, l’obiettivo del trattamento chirurgico è quello di preservare quanto più possibile la cartilagine articolare. Questo viene fatto rimuovendo ogni lembo cartilagineo
non stabile fino a farlo diventare un bordo stabile. Corpi mobili,
se sono il risultato di una metaplasia, di un trauma o di un processo degenerativo, vanno rimossi. Se si crede opportuno, si possono
fare delle microfratture per favorire la formazione di fibrocartilagine nel difetto, come si è fatto in altre articolazioni, tipo il ginocchio. In uno studio di Philippon, nove pazienti hanno eseguito
una revisione artroscopica a seguito di un intervento di microfratture ad un followup medio di 20 mesi. Otto dei nove hanno avuto
un esito positivo; con una fibrocartilagine di grado 1 o 2 e una
percentuale media di riempimento del 91% (25-100%) mentre un
paziente è stato sottoposto ad artroprotesi.
Gli Autori hanno eseguito microfratture nel 94% dei casi trattati artroscopicamente per conflitto cam che avevano un grado 4
di lesioni cartilaginee. Le lesioni di grado 4 hanno avuto il più for-
120
Patologia condrale e sinoviale
te effetto predittivo sul risultato, ma anche quando presenti, risultati buoni o eccellenti sono stati possibili nel 50% dei casi. Come
aneddoto, alcuni ricercatori hanno presentato a diversi congressi
sull’artroscopia di anca casi di riparazioni con colla di fibrina, trapianti di cartilagine autologa o innesti osteocondrali, ma non ci sono ancora lavori scientifici sull’argomento. Se si è verificato un distacco osteocondrale, dovrebbe essere eseguita una riduzione a
cielo aperto e una fissazione interna perché c’è una maggiore possibilità di ristabilire una normale cartilagine articolare. Può essere
indicata la semplice rimozione di un frammento osteocondrale, se
è molto piccolo o se non coinvolge la porzione superiore della testa femorale che sostiene il peso, come una frattura di tipo I di
Pipkin.
L’artroscopia di anca si è dimostrata efficace nel rimuovere difetti cartilaginei riscontrati nella malattia di Perthes. Byrd ha trovato i migliori risultati in un follow-up di 10 anni nel trattamento
di corpi mobili e difetti cartilaginei traumatici. Al contrario, i risultati sono stati poco favorevoli trattando osteoartrosi, il 79% ha
avuto una protesi totale di anca. Un altro studio su casi di osteoartrosi ha mostrato ad un follow-up di 18 mesi solo il 39% di buoni o eccellenti risultati. L’artroscopia non ha indicazioni nemmeno
nel trattamento della necrosi avascolare con collasso della testa femorale.
4) Correggere le anormalità di base che causano il difetto (se possibile)
Una volta stabilita la presenza di un difetto cartilagineo che
causa una sufficiente disabilità al paziente, si deve pianificare un
percorso preciso. I pazienti sono spesso fuorviati quando hanno
una RMN che mostra una rottura del labbro e vengono consigliati per un trattamento, pensando che una semplice artroscopia correggerà il problema. Rotture del labbro non traumatiche presentano quasi sempre una deformità anatomica alla radice del problema. Un’alta incidenza di delaminazione cartilaginea si vede con il
conflitto femoro-acetabolare e questo spesso degenera in osteoartrite. Kim ha dimostrato che i risultati della pulizia artroscopica
diminuiscono quando vi è un conflitto. La displasia dell’anca ha
un alta incidenza di rottura del labbro e di danni cartilaginei che
spesso degenerano in artrosi.
Ci sono casi in cui non è necessario o indicato correggere le
cause che sono alla base del problema cartilagineo. I pazienti sono
considerati troppo anziani per essere sottoposti ad un’intervento
chirugico invasivo come una osteotomia pelvica o femorale. Quando il danno è già elevato interventi chirurgici che preservano l’anca hanno bassi tassi di sopravvivenza in proporzione al grado di
danno artrosico. In alternativa, i pazienti possono desiderare di
tentare una chirurgia meno invasiva, se non sono pronti per un intervento chirurgico maggiore. Gli Autori hanno eseguito l’artroscopia di anca nello stesso intervento di una osteotomia, per correggere il labbro rotto e danni cartilaginei. Se fatto correttamente,
c’è poco rischio in questo approccio. La pulizia artroscopica per
121
Capitolo 8
cicatrici o aderenze è stata utile in 13 pazienti su 16, che avevano
dolore dopo una precedente lussazione chirurgica.
RIASSUNTO
L’artroscopia di anca è uno strumento estremamente efficace
non solo nel fornire una diagnosi, ma in molti casi può fornire il
trattamento definitivo o può essere tentata prima di interventi chirugici più invasivi. Si deve conoscere la storia naturale della patologia dell’anca, consci che diversi problemi possono sovrapporsi e
coesistere, per esempio trattando una condromatosi sinoviale in
una anca che ha anche di base un impingement.
Il chirurgo deve avere sufficiente capacità ed esperienza artroscopica per valutare tutte le parti dell’articolazione in maniera sicura, sia quella centrale che le periferiche. Per fare un lavoro adeguato devono essere disponibili strumenti appropriati. Si devono
anche conoscere i limiti dell’artroscopia dell’anca e sapere quando
convertirla in chirurgia aperta. Per esempio non è una scelta appropriata tentare una pulizia artroscopica in una anca stipata di
grandi corpi mobili articolari. Non si dovrebbe evitare di fare una
riduzione aperta e una fissazione interna delle fratture osteocondrali quando indicato. È opportuno correggere definitivamente
tutti i difetti che stanno alla base della patologia, specialmente in
pazienti giovani. Questo può prevenire delle evoluzioni in artrosi
che altrimenti sarebbero inevitabili. Non bisogna trascurare
l’eventualità di artriti infiammatorie, che possono avere un impercettibile ed insidioso inizio e possono essere confuse con altre malattie. Le tecniche usate nella artroscopia dell’anca stanno evolvendo rapidamente e le procedure si sono fermamente affermate nel
trattamento chirurgico delle malattie dell’anca.
122
Patologia condrale e sinoviale
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127
PATOLOGIA DEL LABBRO ACETABOLARE
Capitolo 9
Nicola Santori
ANATOMIA
Il labbro acetabolare è una fibrocartilagine a sezione triangolare simile a quelle che troviamo in altre articolazioni del nostro organismo (1). Circonda la porzione ossea dell’acetabolo assumendo
una forma a C e si continua, a completare l’anello che circonda
l’acetabolo, con il legamento traverso (Fig. 1). È questa una struttura legamentosa che passa a ponte sul margine inferiore della fossa cotiloidea (Fig. 2). Raramente il labbro acetabolare non si continua nel legamento traverso ma termina sul margine dell’acetabolo come i menischi sul piatto tibiale. È questo un riscontro raro
ma non patologico e non associato con alcuna sintomatologia.
Con la sua presenza contribuisce alla stabilità articolare aumentando del 22% la superficie della articolazione e del 33% il volume
della cavità cotiloidea (2). Il labbro ha una larghezza media di 5,3
mm (range 3-12mm). È tendenzialmente più spesso anteriormente
e superiormente, meno nella porzione posteriore (1). Lo spessore e
le dimensioni sono aumentate nella displasia, soprattutto nei casi
con iniziale sublussazione prossimale della testa femorale. In questi casi, cambia il ruolo del labbro assumendo una funzione di sostegno e contenzione nel tentativo di limitare la migrazione laterale e prossimale della testa femorale (3). La differente funzione e
morfologia del labbro nella displasia dell’anca deve essere valutata
con attenzione qualora insorga una rottura del labbro stesso. In
questi pazienti, una estesa limbectomia può destabilizzare una situazione di per se in equilibrio precario ed associarsi ad un aggravamento della migrazione prossimale della testa femorale (3, 4).
All’analisi istologica, il labbro acetabolare normale risulta
strettamente adeso all’osso acetabolare, con una zona di transizione di 1-2 mm ricca di fibre collagene e cartilagine calcificata (2). Il
labbro acetabolare è in buona parte privo di vascolarizzazione e
nutrito esclusivamente dal liquido sinoviale. La porzione periferica però, similmente a al menisco, il cercine glenoideo e la fibrocartilagine triangolare, riceve una microvascolarizzazione dalla capsula adiacente (5). La presenza di questa zona “rossa” alla periferia
del labbro acetabolare pone le basi per sostenere la possibilità di
a)
b)
Figura 1a, 1b
Scansione frontale RMN anca Dx. Il profilo del
labbro con la sua funzione di ampliamento della
cavità acetabolare appare evidente (b). Visione artroscopica della porzione antero-laterale del labbro acetabolare con ottica a 70° (b)
129
Capitolo 9
Figura 2
Legamento trasverso. Con una buona distrazione è
possibile osservare questa struttura e l’inserzione
prossimale del legamento rotondo
a)
b)
Figura 3a, 3b.
Anca displasica (a). Rottura a manico di secchia di
voluminoso labbro acetabolare
130
eseguire una sutura qualora si verifichi una lesione in questa zona.
Anche la reinserzione del labbro nelle plastiche del bordo cotiloideo, eseguita per la correzione dell’impingement femoro-acetabolare di tipo PINCER, è resa possibile grazie a questo tipo di vascolarizzazione. Una ulteriore conferma della fattibilità delle suture
labbrali nel trattamento dell’impingement potrebbe essere considerata l’evidenza che, nei giovani, la vascolarizzazione della periferia del labbro è più valida e penetra più a fondo nel labbro stesso (5).
Il labbro è dotato di terminazioni nervose libere e di corpuscoli sensitivi compatibili con la percezione del dolore in presenza di
una rottura e di una funzione propriocettiva (6). L’innervazione del
labbro proviene, nella porzione posteriore, da un ramo del nervo
del muscolo quadrato del femore e, nella porzione superiore ed
anteriore, da un ramo del nervo otturatorio (7).
La funzione e le proprietà biomeccaniche del labbro acetabolare sono state studiate sia con elementi finiti (8-10) che con studi in
vivo su cadavere (11). Questi ultimi hanno evidenziato una maggiore resistenza meccanica del labbro nel sesso maschile ed una superiore resistenza nei casi di displasia rispetto alle anche affette da
coxartrosi. Il labbro, per la sua localizzazione attorno alla cavità
acetabolare, limita l’articolarità dell’anca ed entra in conflitto con
il collo acetabolare nei gradi massimi di flessione ed intrarotazione (8). Konarth et al (12), hanno valutato i carichi nella regione del
labbro acetabolare simulando in carico monopodalico durante la
deambulazione. Dai loro studi il labbro non esercita una funzione
di distribuzione del carico e di diminuzione della concentrazione
degli stress sulla cartilagine articolare come fa il menisco nel ginocchio. Quello che è certo è invece il ruolo di guarnizione e distribuzione del liquido sinoviale sulla superficie cartilaginea della
testa femorale durante il movimento. Questa capacità del labbro
di mantenere un sottile film di liquido sinoviale tra la testa femorale e la cavità cotiloidea sotto carico avrebbe, a detta di alcuni, un
importante ruolo protettivo dell’articolazione soprattutto nell’impatto traumatico (9, 10). Non sarebbe quindi il labbro direttamente
a proteggere la cartilagine durante il carico assiale come fa il menisco nel ginocchio. Bensì, il ruolo di protezione dell’articolazione,
verrebbe esercitato dal film fluido di liquido sinoviale che l’azione
sigillante del labbro acetabolare riesce a mantenere interposto tra
i capi articolari durante il carico. Nella displasia dell’anca, la scarsa contenzione della struttura ossea dell’acetabolo determina la
concentrazione di stress sul labbro acetabolare, soprattutto nella
sua porzione superiore. In questi casi il labbro può assumere un
ruolo determinante nel limitare la migrazione prossimale e laterale
della testa femorale (Fig. 3a, 3b).
Similmente al menisco nel ginocchio, anche il labbro acetabolare, sembra perdere progressivamente la sua resistenza con l’invecchiamento (13).
Patologia del labbro acetabolare
MECCANISMI DI ROTTURA DEL LABBRO
Studi osservazionali hanno evidenziato la frequente coesistenza di rotture del labbro acetabolare con lesioni condrali (2, 14). Gia
Altenberg nel 1977, nella prima descrizione nota di rotture del
labbro, ipotizzava una correlazione con l’insorgenza di coxartrosi
avendo trovato il labbro rotto in due casi da lui operati con tecnica convenzionale a cielo aperto (8). La prevalente localizzazione
nella porzione antero-superiore delle lesioni labbrali, riportata da
molti Autori (2, 4, 16-25), ha focalizzato, soprattutto negli ultimi anni, l’attenzione su questa regione anatomica. Esistono due possibili spiegazioni alla prevalente localizzazione antero superiore delle
lesioni del labbro; una eziologia traumatica ed una dismorfica.
L’origine traumatica consiste nella possibilità che questa zona
sia sottoposta a picchi di sollecitazioni durante il movimento. L’occorrenza di lesioni labbrali con movimenti di torsione è stata riportata in Letteratura (17) ma una reale comprensione dell’esatto
meccanismo e movimento responsabile della rottura sono ancora
argomenti di ricerca. Recentemente, Christopher, in uno studio
post mortem su 7 acetaboli, con l’ausilio di marker radio-opachi
applicati sulla superficie del labbro, è giunto ad alcune interessanti conclusioni (26). Eseguendo sollecitazioni torsionali sull’ arto inferiore, ha confermato che la porzione antero-superiore del labbro, è sottoposta al massimo picco di stress nel movimento di extra rotazione, abduzione e lieve flessione o estensione. È interessante osservare come questi Autori abbiano specificatamente sottolineato che la rottura nella zona anterosuperiore possa avvenire,
in queste condizioni, anche in totale assenza delle dismorfie tipiche dell’impingement femoro-acetabolare. Altra causa di rottura
traumatica possono essere associati ad episodi di sublussazione
dell’anca o a lassità capsulare o, infine, ipermobilità (22, 27).
La causa più frequente di lesione del labbro rimane però quella dismorfica. L’alterata anatomia dell’articolazione comporta un
conflitto osseo tra il collo femorale ed il margine anterosuperiore
dell’acetabolo. Wenger ha riscontrato, nell’87% dei pazienti con
lesione del labbro, almeno una anomalia ossea radiografica (28).
L’anomalia più frequente, in questo studio, è stata la coxa valga
(52%), una deformità a tipo CAM (42%), e la retroversione dell’acetabolo (36%). Il meccanismo patogenetico che porta alla lesione del labbro anterosuperiore ed al danno condrale acetabolare, in questo tipo di deformità, sono stati descritti e classificati dalla scuola bernese di Ganz (18) anche se la genesi dismorfica della
precoce degenerazione articolare risale inizialmente alla descrizioni di Smith Petersen del 1936 (29). Attualmente si riconosce una
entità patologica a carico del femore prossimale denominata deformità a tipo CAM ed una che interessa il versante acetabolare
denominata PINCER. Nelle deformità CAM esiste una errata proporzione tra il diametro della testa femorale ed il collo del femore
(Fig. 4). Questa alterata morfologia fa si che, nella flessione ed intrarotazione, la regione anterolaterale del femore prossimale entri
Figura 4
Proiezione assiale che evidenzia deformità a tipo
CAM del femore prossimale
131
Capitolo 9
Figura 5
Proiezione anteroposteriore. Ossificazione del labbro acetabolare, reperto relativamente frequente
in associazione a deformità a tipo PINCER.
Figura 6
Disgiunzione tra il labbro acetabolare e la superficie condrale della parete anteriore dell’acetabolo
in conflitto con il margine anteriore dell’acetabolo esercitando una
compressione sul labbro e sulla cartilagine del versante anteriore
dell’acetabolo.
La deformità a tipo PINCER si fonda su un errato orientamento della cavità acetabolare che risulta retroversa. In questo caso è il margine anteriore dell’acetabolo che sporge anteriormente
ed entra in conflitto con il collo femorale durante la flessione. Nelle deformità tipo PINCER è spesso contemporaneamente presente l’ossificazione del labbro acetabolare (Fig. 5). Nella realtà clinica, la distinzione rigida tra questi due tipi di deformità è sfumata
e, ad una attenta analisi, nella maggior parte dei casi, coesistono
anomalie di entrambi i versanti dell’articolazione. Quello che accomuna le forme CAM e PINCER sono la sede del conflitto sul
margine anterosuperiore dell’acetabolo. Per quanto riguarda il
danno articolare conseguente all’impingment è possibile osservare
una differente distribuzione anatomo patologica delle lesioni se la
deformità prevalente è a tipo CAM oppure a tipo PINCER.
Nelle deformità CAM, soprattutto nei giovani sotto i 30 anni,
è frequente che, in presenza di labbro ancora integro, si trovi un
distacco della cartilagine della faccia anteriore dell’acetabolo dall’osso sub condrale (Fig. 6). Questo fenomeno si visualizza in artroscopia applicando una pressione sul labbro con un palpatore e
prende il nome di “wave sign”. Nella fase successiva, interviene il
distacco della giunzione labbro – cartilagine e talora anche la completa frammentazione della cartilagine del versante anteriore dell’acetabolo (Fig. 7). Ambedue le situazioni appena descritte si possono verificare, nelle deformità CAM, anche in assenza di lesioni
del labbro. Nei pazienti oltre i 30 anni o nei giovani in cui coesiste una diminuita resistenza tissutale su base costituzionale, il labbro risulta danneggiato dal ripetersi dei micro traumi. La cartilagine della testa del femore è, nelle deformità CAM, normalmente integra e si degenera solo nelle fasi più avanzate della patologia.
Nel tipo PINCER invece il labbro acetabolare, quando non è
calcificato, è quasi costantemente lesionato. La cartilagine della testa femorale è spesso danneggiata e, talora, si associa anche un
danno del versante posteriore dell’acetabolo da attribuire all’effetto leva che si genera quando il collo anteriore entra in conflitto
con l’acetabolo nella flessione dell’anca.
DIAGNOSI CLINICA
Figura 7
Grosso flap cartilagineo con esposizione dell’osso
sub condrale della parete anterosuperiore dell’acetabolo in paziente affetto da deformità a tipo
CAM.
132
La presentazione clinica delle lesioni del labbro è variabile e la
diagnosi spesso tardiva (19). La scarsa confidenza della maggior
parte degli specialisti ortopedici con la patologia del labbro spiega
perchè non è infrequente che si attribuisca il dolore inguinale associato all’assenza di artrosi dell’anca a cause del tutto estranee
come ernie inguinali, protrusioni discali lombari alte, patologie
dello scavo pelvico, sacroileiti, pubalgia. Burnett (19), ha riportato
come nel 17% dei pazienti affetti da lesioni del labbro acetabolare fosse stata data una indicazione chirurgica differente ed estra-
Patologia del labbro acetabolare
nea all’anca. Lo stesso Autore ha messo in evidenza come l’intervallo medio per la diagnosi, dall’insorgenza della sintomatologia
sia di 21 mesi ed i pazienti consultino una media di 3,3 specialisti
prima di giungere alla diagnosi corretta. Tra gli elementi diagnostici che si riscontrano all’esame obiettivo ed alla raccolta della storia clinica abbiamo: dolore in sede inguinale nel 92% dei casi, dolore laterale all’anca nel 59%, dolore gluteo nel 38%, dolore sotto
sforzo nel 91%, dolore notturno nel 71%, zoppia di fuga nel
39%, Trendelemburg positivo nel 38% e test da impingment positivo nel 95%. In realtà, buona parte di questo tipo di sintomatologia non è affatto specifico della lesione del labbro e può essere
compatibile con varie patologie intra articolari dell’anca. In particolare sintomi simili si riscontrano nell’artrosi iniziale ed in tutte
quelle condizioni che determinano un versamento articolare (corpo libero, condromatosi, sinovite, rottura legamento rotondo, etc).
Un sintomo che nella mia esperienza è importante ricercare nella
raccolta della storia clinica della lesione del labbro è il dolore acuto nei cambi di direzione, nella vita quotidiana o nella attività
sportiva. Questi pazienti non hanno alcuna sintomatologia nella
vita quotidiana e riportano invece questo tipo di dolore caratteristico nella attività sportiva.
Un esame obiettivo accurato consente, per prima cosa, di
escludere con ragionevole sicurezza le cause extrarticolari di coxalgia. Il test di impingment, FADIR test (18), viene eseguito con
paziente supino flettendo l’anca a 90° ed applicando sollecitazione
in intrarotazione ed adduzione. Nelle lesioni del labro “pure” non
esiste una diminuzione della intrarotazione ed adduzione se non
quella imposta dal dolore. Nella patologia labbrale associata ad
impingment al dolore si associa una limitazione “meccanica” dell’intrarotazione (Fig. 8). Il contatto precoce che si verifica tra il
margine anteriore dell’acetabolo e la giunzione testa collo blocca
l’intrarotazione e addirittura spinge l’anca in extrarotazione quando la flessione è spinta oltre i 90° . È tipico dell’impingment femoro acetabolare osservare come l’arto affetto da impingment si extraruoti con l’accosciamento. (Fig. 9)
Figura 8
Test per impingment femoro-acetabolare. (FADIR
test) Al dolore si associa diminuzione dell’intrarotazione. Nelle lesioni del labbro traumatiche non
vi è invece restrizione della intrarotazione.
DIAGNOSI STRUMENTALE
La diagnosi strumentale delle lesioni del labbro non è semplice. La risonanza magnetica convenzionale non può essere considerata affidabile in quanto dotata di una buona sensitività ma di una
insoddisfacente specificità (20). Dal classico articolo di Petersilge
del 1996, la risonanza magnetica con contrasto è stata considerata
la tecnica di elezione per la diagnosi strumentale (30). I risultati ottenuti da questo Autore non sono stati ripetuti da altri investigazioni ed attualmente si considera che questa metodica abbia una
sensitività compresa tra il 63% e il 100% ed una specificità dal
44% al 75% con quindi una accuratezza dal 63% al 94% (31-35).
Esiste una classificazione artro-RMN delle lesioni labrali in 3 tipi,
Figura 9
Impingment femoroacetabolare monolaterale Dx.
Nell’eseguire lo squat l’anca di dx è forzata in extrarotazione.
133
Capitolo 9
Figura 10
Artro RMN in paziente affetto da deformità a tipo
CAM. L’infliltrazione del mezzo di contrasto alla
base del labbro acetabolare evidenzia l’avvenuta
disgiunzione tra cartilagine e labbro (vedi fig. 6)
portati a 6 in quanto ogni tipo può essere tipo A o B, proposta da
Czerny nel 1996 ed ancora comunemente accettata (36).
La discussione sugli accorgimenti tecnici per migliorare la
qualità dei risultati è aperta. Una accortezza sulla quale vi è unanime consenso, è la necessità di raccogliere immagini multiplanari
coronali, sagittali ed assiali oblique. Queste ultime si ottengono
impostando il piano parallelo all’asse del collo del femore e passando esattamente al centro della testa del femore (21). Su queste
immagini si calcola anche l’angolo alfa che, se inferiore a 50°, è segno inequivocabile di una deformità a tipo CAM (37). I limitatori
di campo sono un altro strumento utile anche se non sufficiente a
migliorare le capacità diagnostiche della RMN. È stato riportato
che, nella diagnosi delle lesioni del labbro, l’uso del solo limitatore è in grado di portare la sensitività della RMN convenzionale dal
8% al 25 %. Quando viene addizionato l’impiego del galdolinio
intraarticolare al limitatore si sono ottenuti valori di sensitività del
92% e specificità del 100% (38).
Nel caso non possa essere utilizzata la RMN per problemi correlati al paziente come claustrofobia, presenza di una protesi in acciaio nell’anca condrolaterale o il pregresso impianto di un pacemaker, è possibile ricorrere alla TAC multistrato con mezzo di
contrasto. Questa metodica, quando utilizzata in questo particolare tipo di pazienti, ha dato risultati molto positivi (sensitività 92,3
%, specificità 100%, accuratezza 95%) sovrapponibili a quelli ottenuti con RMN (39).
La superiorità della risonanza magnetica nello studio dell’impingement femoro-acetabolare consiste nella possibilità di evidenziare contemporaneamente tutto il quadro patologico e quindi anche le lesioni accessorie (34, 40). Nell’impingment tipo CAM, alla
lesione del labbro, si associa la disgiunzione tra il labbro stesso e
la cartilagine della parete anteriore dell’acetabolo, la presenza di
lesioni cistiche nella parte anterosuperiore del collo femorale e il
“bump” femorale. Nell’impingment tipo PINCER, la lesione del
labbro è meno frequente ed anzi questo è frequentemente ossificato. La RMN permette talora di identificare una lesione cartilaginea
associata nella porzione posteroinferiore dell’acetabolo frutto della aumentata compressione che si esercita in questa regione durante la flessione dell’anca. (40)
TECNICA OPERATORIA
La regolarizzazione artroscopica di un lesione del labbro può
essere eseguita sia operando il paziente in posizione supina che in
decubito laterale. Il posizionamento deve essere curato con estrema attenzione dal chirurgo o da uno staff informato dei rischi che
possono derivare dalla trazione. La maggior parte delle complicanze riportate derivano infatti da errori nel posizionamento e nell’applicare la trazione e possono essere evitati con opportuni accorgimenti (41, 42). Qualora si renda necessario anche il simultaneo
trattamento di un impingment associato, è necessario mettere in
134
Patologia del labbro acetabolare
atto gli accorgimenti necessari ad eseguire anche il tempo artroscopico nel collo del femore. Nella mia esperienza personale, dopo aver eseguito l’artroscopia per 8 aa in posizione laterale, dal
2004, con l’avvento del trattamento dell’impingment, sono passato al decubito supino che, a mio giudizio, facilita l’esecuzione della osteocondroplastica.
La prima accortezza nell’esecuzione di una artroscopia di anca
è evitare di creare danni al labbro stesso nell’introduzione degli
strumenti. La attuale disponibilità di strumentari cannulati rende
sufficientemente agevole l’accesso alla cavità articolare, esistono
però delle cautele indispensabili ad evitare che il filo guida prima
e gli strumenti cannulati poi, non passino attraverso il labbro ma
distalmente ad esso. Se questo avviene è ovvio che, al momento
dell’inserzione degli strumenti, si danneggi inevitabilmente il labbro. La prima precauzione consiste nell’ottenere una apertura sufficiente con uno spazio tra testa ed acetabolo di almeno 1 cm. La
direzione dell’accesso è parimenti importante e dipende in qualche misura anche dalla morfologia dell’anca che viete operata. In
ogni caso, la direzione del filo guida e del successivo portale devono consentire un agevole accesso alla cavità acetabolare. Il terzo, e
forse più importante accorgimento, consiste nell’evitare di posizionare il filo guida troppo vicino al bordo acetabolare. In quella sede, infatti, è molto probabile che si passi attraverso il labbro che
risulterebbe quindi danneggiato quando sul filo guida si vanno ad
inserire le cannule artroscopiche. Il portale più a rischio per il
danneggiamento iatrogeno del labbro è quello antero-laterale. I
portali successivi vengono infatti eseguiti sotto controllo diretto
artroscopico. Il modo più accurato per essere sicuri di non passare attraverso il labbro è l’iniezione di aria nell’articolazione prima
di posizionare il filo guida. L’artrografia con aria consente, nella
maggior parte dei casi, una buona visualizzazione del labbro (Fig.
11). Qualora non risulti possibile una visualizzazione artrografica
del labbro, un altro modo descritto per rendersi conto se l’ago iniziale ha perforato il labbro è la percezione della resistenza incontrata (43). Nel caso l’ago perfori correttamente la sola capsula articolare la resistenza è normalmente minima. Nel caso si sia passati
attraverso il labbro la resistenza incontrata è notevolmente superiore. Il portale anteriore, il secondo ad essere eseguito, viene posizionato sotto controllo artroscopico senza l’ausilio dell’amplificatore (Fig. 12).
Una volta eseguiti i portali di accesso, la regolarizzazione delle
lesioni delle lesioni del labbro è sovrapponibile al trattamento delle rotture meniscali. A scopo di catalogazione è stata recentemente proposta una suddivisione in 6 zone dell’acetabolo e della testa
femorale (23). Sul versante acetabolare si tracciano due linee verticali, sul margine anteriore e posteriore della fossa cotiloidea. Una
terza linea orizzontale, perpendicolare alle precedenti, viene disegnata a livello del margine superiore della fossa cotiloidea. Questo
schema suddivide l’acetabolo in 6 zone. La zona 1 è la più anteriore, la zona 5 la più posteriore. La zona 6 corrisponde alla fossa co-
Figura 11
L’artrografia con aria mette in evidenza con chiarezza i contorni del labbro consentendo il posizionamento corretto del filo guida
Figura 12
Posizionamento del portale anteriore sotto controllo artroscopico. L’ottica a 70° dal portale antero-laterale consente la visualizzazione ottimale
del labbro anteriore e della capsula articolare
135
Capitolo 9
Figura 13
Lesione a flap del versante anterosuperiore del
labbro acetabolare
tiloidea. Le lesioni tipiche del labbro sono in zona 2 e 3. Le lesioni in zona 2 si trattano più agevolmente con la telecamera nel portale anterolaterale e gli strumenti nel portale anteriore. Al contrario, le lesioni in zona 3, preferibilmente con la telecamera nel portale anteriore e gli strumenti nel portale anterolaterale. Dal punto
di vista morfologico le lesioni sono classificate in 4 tipi differenti (44). Il tipo 1 sono lesioni a flap (Fig. 13), il tipo 2 con fibrillazione (Fig. 14), il tipo 3 longitudinali periferiche ed il tipo 4 instabili. Per la limbectomia possono essere utilizzati sia strumentari motorizzati, radiofrequenze (Fig. 15) oppure, più raramente, pinze a
basket dedicate per l’artroscopia di anca. Come per l’esecuzione
di altri interventi artroscopici, nell’anca, una capsulotomia circoscritta ad allargare gli accessi amplia la manovrabilità della telecamera e degli strumenti chirurgici facilitando la limbectomia.
Le lesioni nella regione periferica, dotata di una valida vascolarizzazione, vengono trattate con sutura artroscopica (Fig. 16).
Massima attenzione ed un accurato posizionamento dei portali sono necessari per il posizionamento delle ancore. Almeno nei primi
casi, un uso frequente dell’ amplificatore di brillanza è consigliato
(Fig. 17). Nei casi in cui la sutura viene eseguita assieme alla correzione di un impingment a tipo PINCER o di tipo misto, questa
viene realizzata prima della plastica del collo femorale con l’anca
ancora in trazione.
RISULTATI CLINICI
Figura 14
Lesione fibrillata. Queste lesioni, similmente alle
lesioni del corno posteriore del menisco interno,
hanno molto spesso una origine degenerativa
Figura 15
Limbectomia artroscopica con radiofrequenze
136
La letteratura sui risultati delle limbectomie artroscopiche è ad
oggi ancora limitata (22). I risultati nei 10 studi pubblicati in letteratura hanno tasso di soddisfazione dei pazienti che varia dal 67 al
93% (17, 24, 25, 41, 45-50).
Nella mia personale esperienza pubblicata con Villar nel
2000 (17), ottenemmo proprio quel 67% di risultati soddisfacenti
che appare il risultato peggiore tra quelli menzionati. Analizzando
con più attenzione queste casistiche è possibile osservare che quello studio, in realtà, era dotato del follow up medio più lungo, pari a 42 mesi. In nessuno dei casi incluso nella serie pubblicata nel
2000 era stata fatta diagnosi di impingment e tutte le lesioni furono considerate primitive e non secondarie a dismorfie ossee. Recentemente, a rivisitazione presente di quella esperienza Villar, nel
2008 (51), ha pubblicato i risultati di una serie simile di pazienti,
nella quale è stata associata alla limbectomia la correzione dell’impingment quando presente. Nel suo studio, ha dimostrato come la
correzione della deformità ossea consenta di portare dal 67
all’83% la percentuale di buona riuscita clinica. A posteriori è
possibile ipotizzare che molti dei pazienti inseriti nella casistica
pubblicata nel 2000 avessero un coesistente impingment femoro
acetabolare che, a quel tempo, non era stato evidenziato. Studi
successivi hanno confermato che, il trattamento della sola lesione
labbrale, quando associata ad una deformità ossea ed in particolare una lesione a tipo CAM aumenta significativamente il tasso di
Patologia del labbro acetabolare
insuccessi e di ri-rotture del labbro. (52, 53). May (54), ha riportato
una serie di insuccessi in 5 pazienti sottoposti a sola limbectomia
nei quali, la sintomatologia si è risolta con l’osteocondroplastica
del collo femorale. Appare quindi evidente come si renda necessario identificare con attenzione la presenza di una causa specifica
che abbia determinato la lesione labbrale e correggerla nello stesso tempo chirurgico onde non intercorrere nel rischio di un insuccesso.
RIABILITAZIONE
Nel caso venga eseguito intervento di semplice limbectomia, i
tempi di recupero sono rapidi. Al paziente viene chiesto di deambulare con canadesi ma con carico completo per 3 gg. Al 7° giorno, dopo la rimozione dei punti, si inizia la terapia in acqua ed il
potenziamento muscolare. La flessione dell’anca oltre i 100° è interdetta per 2 settimane, i movimenti di torsione per 4 settimane.
Il potenziamento muscolare viene proseguito fino al terzo mese
quando è possibile riprendere l’attività sportiva
Se alla limbectomia è associata l’osteocondroplastica per un
impingment, i tempi sono più lunghi. Il carico per le prime 2 settimane è completo a tolleranza ma associato all’uso di bastoni canadesi. Al paziente viene chiesto di evitare il carico nell’atto dell’alzarsi dalla posizione seduta senza supporto. È consigliato quindi l’uso di sedie con braccioli o di sollevarsi dalla posizione seduta solo con l’arto sano. L’attività in acqua inizia alla prima settimana ed il potenziamento muscolare alla 3° settimana. La ripresa della attività sportiva avviene dopo 4 mesi.
Nelle suture del labbro acetabolare, con o senza osteocondroplastica associata, è importante iniziare la chinesiterapia precoce
per evitare aderenze. Il carico è ristretto per 3 settimane. La ginnastica in acqua inizia dopo la seconda settimana. Il potenziamento muscolare progressivo continua fino al 4 mese ed il ritorno all’attività sportiva dopo il 5-6 mese.
Figura 16
Visione artroscopica di sutura della porzione antero-superiore del labbro in atleta professionista
Figura 17
Controllo intraoperatorio con amplificatore di brillanza del posizionamento dell’ancoretta
CONCLUSIONI
La comprensione della patologia dell’anca è in continua evoluzione. L’avvento e la diffusione dell’artroscopia stanno determinando un incredibile miglioramento delle capacità diagnostiche e
terapeutiche. La patologia del labbro acetabolare non si sottrae a
queste considerazioni e la stretta interconnessione con le dismorfie ossee e l’impingment femoro acetabolare ci impongono di sottolineare l’importanza di una visione globale dell’anca dolorosa
per ricercare la soluzione migliore soluzione terapeutica.
137
Capitolo 9
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141
TRAUMATOLOGIA
Capitolo 10
Raul Zini
Piergiorgio Pirani
Marcello Occhialini
INTRODUZIONE
La traumatologia dell’anca è uno dei settori nei quali maggiormente si pone l’indicazione ad un trattamento artroscopico.
Nei gravi traumi dell’anca con frattura-lussazione possono residuare, dopo riduzione della lussazione, corpi mobili articolari di
varie dimensioni, a partenza del ciglio cotiloideo o della testa femorale; sono sempre presenti lesioni complete del legamento teres
e possono inoltre determinarsi lesioni a carico del labbro acetabolare; a carico delle cartilagini articolari possono esservi lesioni contusive di varia entità.
L’artroscopia consente un trattamento post-acuto, con minima
invasività, senza necessità di esporre l’articolazione e lussare nuovamente la testa femorale, riducendo al minimo i rischi di un trattamento aperto.
Ma il vantaggio maggiore di un mirato trattamento artroscopico, che consenta di rimuovere i frammenti articolari e bonificare
l’articolazione, consiste soprattutto nella riduzione del rischio di
evoluzione artrosica che consegue ad un mancato trattamento; la
scelta di non intervenire era fino a non molto tempo fa frequente,
suffragata dalla convinzione che l’astenersi dal trattamento fosse il
male minore rispetto ad un approccio chirurgico troppo aggressivo e rischioso.
Emerge dalla letteratura (Upadhyay-1983) (1) che il rischio di
una artrosi post-traumatica sia molto alto negli esiti di lussazione,
con percentuali oscillanti tra il 24% ed il 54%, e che sia strettamente correlato all’entità delle lesioni presenti.
I fattori predisponenti di questa costante evoluzione artrosica
sono dovuti alla persistenza in articolazione di frammenti osteocondrali, il che produce, come sottolineato da Evans nel 84 (2), un
aumento degli enzimi litici che si sviluppano in ambiente articolare per presenza di particelle cartilaginee libere.
Il motivo per cui anche nelle lussazioni pure vi è una percentuale del 24% di evoluzione artrosica, potrebbe risiedere nella
considerazione che con alta probabilità in queste situazioni sono
presenti microframmenti articolari non visibili radiograficamente;
143
Capitolo 10
Katayama (3) ha sottolineato che lo studio Tc e Rmn di anche con
esiti di lussazione traumatica pura può non evidenziare frammenti
cartilaginei inferiori ai 5 mm; anche nelle lussazioni pure viene
quindi da questi autori proposta l’indicazione ad artroscopia per
una completa valutazione articolare e per un lavaggio che consenta di ridurre il potenziale rischio di evoluzione artrosica.
In letteratura non vi sono molti lavori sull’utilizzo delle tecniche artroscopiche in traumatologia dell’anca, ma tutti gli Autori
presenti concordano sulla sua grande utilità.
Keene e Villar nel 1994 (4) riferiscono per primi sull’indubbia
utilità dell’asporazione artroscopica di corpi mobili residuati a lussazione traumatica dell’anca.
Byrd nel 1996 (5) pubblica 3 casi di giovani adulti operati in artroscopia di rimozione di frammenti liberi post-traumatici.
Kashiwagi nel 2001 (6) riferisce 1 caso di asportazione di frammento osseo associato ad avulsione del legamento teres.
Yamamoto nel 2003 (7) enfatizza l’importanza della artroscopia
in traumatologia, riportando la prima casistica numericamente rilevante, di 10 pazienti ed 11 anche operate in artroscopia; in 7 casi era stato effettuato il debridment di piccoli frammenti osteocondrali non diagnosticati, in 2 casi erano stati asportati frammenti
più voluminosi, in 2 casi era stata associata una sintesi di frammenti con pin bio-riassorbibili.
Svoboda e Murphy nel 2004 (8) sottolineano l’importanza dell’artroscopia per la rimozione di frammenti dopo lussazione posteriore dell’anca.
Mullis nel 2006 (9) riporta una abbondante casistica di 36 pazienti, con 39 anche operate; nel 92% dei casi operati venivano rimossi corpi mobili; corpi mobili venivano trovati anche nel 78%
dei casi che all’esame radiografico e TC sembavano negativi.
Owens nel 2006 (10) riferisce di 11 casi operati di asportazione
di frammenti articolari con associazione statisticamente importante di lesioni labrali e senza alcuna complicanza o problematica a
distanza.
INDICAZIONI
In seguito a fratture-lussazioni posteriori dell’anca possono residuare frammenti osteo-condrali articolari, che possono essere sia
dovuti a frammenti distaccati dal ciglio cotiloideo, sia a frammenti della testa femorale.
La classificazione di Thompson-Epstein riconosce 5 tipi di
quadri patologici di progressiva importanza; il tipo 1 corrisponde
alla lussazione traumatica pura senza apparenti fratture o con piccoli frammenti distaccati; nel tipo 2 vi è il distacco di un voluminoso frammento del ciglio cotiloideo posteriore; nel tipo 3 vi è una
frattura comminuta del ciglio cotiloideo posteriore; nel tipo 4 vi è
una frattura del pavimento acetabolare; nel tipo 5 una frattura della testa femorale.
All’interno del tipo 5 che comprende le fratture della testa fe-
144
Traumatologia
Figura 1
Figura 2
Thompson-Epstein 3
Thompson-Epstein 3 dopo riduzione della lussazione
Figura 3
Figura 4
Thompson-Epstein 3 – TAC post-riduzione
Pipkin-1
morale associate alla lussazione dell’anca, vi è la sotto-classificazione di Pipkin che riconosce 4 differenti tipi di lesioni di gravità crescente; nel tipo 1 vi è il distacco di frammento osteo-condrale più
o meno voluminoso della testa femorale; i tipi 2-3-4 rappresentano
casi più gravi coinvolgenti anche il collo femorale e l’acetabolo.
I casi che possono richiedere un trattamento artroscopico sono relativi ai gruppi di pazienti cui residuano in articolazione , dopo la riduzione della lussazione, frammenti liberi che non necessitino per le loro dimensioni di una osteosintesi.
Il tipo Thompson-Epstein 3 (Fig. 1, 2, 3) ed il Pipkin 1 (Fig. 4,
145
Capitolo 10
Figura 5
Figura 6
Pipkin-1
Pipkin-1 – TAC dopo riduzione della lussazione
5, 6) sono i tipici casi in cui vi è indicazione a trattamento artroscopico; in base alla letteratura si potrebbe estendere l’indicazione al
tipo Thompson-Epstein 1, vista la possibibilità che vi siano in articolazione frammenti di minime dimensioni non visibili alle radiografie standard ed alla TAC.
L’indicazione deve comunque essere posta dopo una completa
valutazione radiologica; oltre alle radiografie standard, ed alla
TAC, può essere utile il completamento degli accertamenti con
una RMN, che ci definisce meglio le condizioni cartilaginee.
Il timing chirurgico deve tenere conto delle condizioni dei pazienti, che sono generalmente politraumatizzati, che devono quindi essere studiati anche dal punto di vista generale e che spesso
necessitano di qualche giorno per superare la fase critica posttraumatica.
Si tratta di solito di pazienti giovani, che recuperano abbastanza rapidamente una buona condizione, per cui l’intervento artroscopico viene di solito programmato entro la prima settimana dal
trauma, una volta migliorate e stabilizzate le condizioni generali.
In casi particolari l’indicazione può essere differita, con gli
stessi vantaggi terapeutici, di qualche settimana.
COMPLICANZE
Non vi è un particolare rischio di complicanze con la tecnica
artroscopica nella traumatologia dell’anca, anche se bisogna avere
particolari attenzioni, trattandosi spesso di pazienti con problematiche complesse associate.
L’intervento viene preferibilmente eseguito in anestesia subaracnoidea selettiva e, viste le caratteristiche cliniche dei pazienti,
deve possibilmente essere piuttosto rapido per evitare ulteriori
complicanze.
146
Traumatologia
La trazione da utilizzare può essere minore rispetto alla media,
in quanto la lacerazione caspulare conseguente alla lussazione rende più distraibile l’articolazione.
La presenza di una capsula lacerata può peraltro essere uno
svantaggio in quanto favorisce lo stravaso del liquido di distensione, il che può, in caso di intervento lungo e difficile, favorire problematiche anche molto gravi.
In letteratura viene descritto da Bartlett (1998) (11) 1 caso di
grave stravaso liquido intra-addominale con conseguente arresto
cardiaco del paziente; l’evento si era verificato durante l’intervento artroscopico di rimozione di un frammento articolare, dopo peraltro un lungo intervento di osteosintesi aperta.
Complicanze gravi come quella descritta sono eccezionali, se
non uniche, mentre possono essere più frequenti complicanze meno gravi, ma ugualmente importanti quali quelle legate ad una eccessiva trazione, che può determinare neuroaprassia del nervo
sciatico o da eccessiva compressione inguinale, che può favorire
una neuroaprassia del nervo pudendo.
Figura 7
Asportazione di frammento distaccato dal ciglio
cotiloideo
TECNICA ARTROSCOPICA
L’artroscopia viene eseguita in posizione supina, su letto di trazione.
La trazione, come già sottolineato, va graduata controllando
l’articolazione con l’amplificatore di brillanza, in modo da esercitarla nella maniera minore possibile.
Lo strumentario generale è quello abituale di ogni artroscopia
dell’anca; è consigliabile utilizzare un’ottica a 70° che consente
una visione articolare più ampia e panoramica; nonostante il rischio di stravaso liquido è opportuno utilizzare la pompa di infusione da mantenere su valori pressori intorno a 40-50; è necessario
esser dotati di pinze da presa di varie dimensioni e di una pinza
per corpi mobili con branche piuttosto ampie, vista la presenza
spesso di frammenti molto voluminosi (Fig. 7).
La tecnica artroscopica è quella a 3 portali, antero-laterale, anteriore e postero-laterale per potere esplorare tutta l’articolazione
e potere raggiungere con gli strumenti tutte le aree in cui possono
essere indovati i frammenti liberi.
Posizionati i portali si svuota l’articolazione dall’ematoma sempre presente, si esegue un abbondante lavaggio e si pratica emostasi con radiofrequenze a livello capsulare e sinoviale; una volta
ottenuta una buona visualizzazione articolare si esegue un esame
diagnostico dell’articolazione; si riscontra quasi sempre la presenza di frammenti a livello del pulvinar (Fig. 8) più o meno indovati
nel tessuto sinoviale; i frammenti sono generalmente distaccati dal
ciglio cotiloideo posteriore, a livello del quale si rileva la lesione
fratturativa, che spesso prosegue con rima superficiale verso il
centro dell’acetabolo (Fig. 9 ); al di sotto della frattura si riscontra
la breccia capsulare, che può essere più o meno ampia; va sempre
esplorata la testa femorale (Fig. 5), a livello della quale oltre a pic-
Figura 8
Frammento nel pulvinar
Figura 9
Frattura del ciglio cotiloideo posteriore che si continua nell’acetabolo.
147
Capitolo 10
Figura 10
Frattura di Pipkin 1 con distacco osteo-condrale
dalla testa femorale
coli distacchi cartilaginei, possono essere evidenziate aree di contusione cartilaginea; una RMN pre-operatoria ci può aiutare a ricercare possibili condropatie da impatto, che necessitano di una
attenta esplorazione e palpazione; va inoltre valutato il legamento
teres che è sempre lacerato e spesso si presenta emorragico ed aumentato di volume (Fig. 11); va infine valutato il labbro acetabolare che non infrequentemente si presenta lacerato o distaccato
(Fig. 12).
Una volta fatta una completa valutazione articolare si passa alla fase chirurgica; ci si aiuta invertendo tra di loro i portali, per
meglio trattare le singole lesioni; i corpi mobili (Fig. 13) vengono
asportati con apposite pinze, generalmente attraverso il portale
anteriore; vi è sempre necessità di allargare l’incisione capsulare e
spesso quella cutanea per rimuovere senza difficoltà il frammento;
se il frammento distaccato è troppo voluminoso e rischia di essere
perso nel tessuto sottocutaneo durante l’estrazione, conviene
frammentarlo ed asportarlo in più parti; i frammenti più inferiori
possono esser asportati attraverso il portale postero-laterale; una
volta liberata l’articolazione dai frammenti si passa a trattare il legamento teres con asportazione delle porzioni lacerate; conviene
eseguire questo tempo con le radiofrequenze per evitare sanguinamenti e successivi ematomi; quale ultimo tempo vengono regolarizzate eventuali lesioni labrali, e viene regolarizzato il margine cotiloideo fratturato per evitare distacchi successivi di altri piccoli
frammenti.
CASISTICA E RISULTATI
Figura 11
Lacerazione del legamento teres
Figura 12
Distacco osteo-condrale con avulsione labrale inferiore
148
La casistica personale è di 21 casi operati tra il 2000 ed il 2007.
Il sesso era maschile in 15 casi e femminile in 6 casi.
L’età minima è stata di 14 anni e la massima di 36 anni, con
una media di 25 anni.
Il lato è stato il destro in 11 casi ed il sinistro in 10 casi.
Il tempo trascorso tra trauma ed intervento è stato in media di
6 giorni, con minimo di 3 gg e massimo di 21 gg.; 19 casi sono stati peraltro trattati entro 10 giorni dal trauma.
In 18 casi si trattava di Thompson-Epstein 3, in 3 casi di Pipkin 1.
In 18 casi sono stati asportati frammenti osteo-condrali acetabolari, in 3 casi frammenti osteo-condrali della testa femorale; in 2
casi vi erano frammenti a partenza di entrambe le sedi; in 2 casi vi
erano frammenti osteo-condrali inglobati nella lesione da avulsione del legamento teres; in 5 casi vi erano piccoli frammenti distaccati dal bordo acetabolare insieme ad un frammento di labbro.
Non sono mai state eseguite artroscopie senza una diagnosi
TAC di corpo mobile (Fig. 14), né si è mai tentata la sintesi con
pin riassorbibili di frammenti più voluminosi.
I risultati sono stati brillanti in tempi brevi, con rapido recupero funzionale dell’articolazione e precoce riabilitazione.
Traumatologia
Tutti i pazienti sono stati ricontrollati a distanza con follow-up
medio di 4 anni con conferma dei buoni risultati iniziali.
CONCLUSIONI
In conclusione si può considerare la traumatologia un campo
di grande interesse per la chirurgia artroscopica.
Le indicazione sono relativamente frequenti, pur necessitando
di una adeguata selezione dei casi, soprattutto di tipo radiologico
e clinico.
Il trattamento artroscopico in acuto degli esiti di fratture-lussazioni posteriori dell’anca dà grandi vantaggi rispetto alle tecniche trazionali artrotomiche e consente un rapido recupero funzionale ed una immediata riabilitazione.
L’opzione artroscopica consente inoltre di trattare tutti quei
casi che in passato venivano lasciati senza trattamento, per non incorrere nel rischio di maggiori problematiche post-chirurgiche a
distanza.
L’asportazione dei frammenti osteo-condrali post-traumatici ci
permette inoltre con alta probabilità di ridurre drasticamente il rischio di una coxartrosi post-traumatica, che, anche in considerazione dell’età media molto giovane dei pazienti, è un evento altrimenti statisticamente frequente e piuttosto temibile.
Figura 13a-b
Voluminosi frammenti osteo-condrali dopo asportazione
Figura 14
TAC che mostra presenza frammento osseo intraarticolare
149
Capitolo 10
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150
IMPINGEMENT FEMORO-ACETABOLARE:
INQUADRAMENTO CLINICO E DIAGNOSTICO
Capitolo 11
Ettore Sabetta
Claudio Ferraù
Il conflitto femoro-acetabolare (FAI) è un quadro morboso
descritto in tempi relativamente recenti da R. Ganz (9, 2), sostenuto da un’anomalia morfologica dell’articolazione dell’anca (Fig.
1a-1b).
In un articolo pubblicato nel 2008 (10) R. Ganz scrive che nell’ambito del trattamento conservativo dell’anca, ai fini della prevenzione della coxartrosi, il trattamento del FAI dovrebbe assumere lo stesso ruolo che riveste il trattamento della displasia. La
lesione a livello della rima articolare acetabolare che si osserva nel
FAI è simile a quella che si osserva nella displasia, anche se il meccanismo del danno è quasi opposto. Nell’anca displasica la testa
del femore instabile si sublussa e migra lateralmente fuori dalla cavità acetabolare, mentre nel conflitto femoro-acetabolare la testa
del femore rimane ben centrata, ma l’arco del movimento è limitato da un acetabolo che è “funzionalmente” eccessivo o da un’epifisi femorale malformata o da una combinazione delle due (19).
Con il termine di conflitto femoro-acetabolare (FAI) si indicano
quadri anatomo-patologici caratterizzati da anomalie morfologiche dell’epifisi femorale e/o della cavità acetabolare. Queste anomalie morfologiche causano la riduzione dell’arco di movimento
articolare e l’insorgenza di fenomeni degenerativi che conducono
progressivamente alla coxartrosi. Si distinguono due forme di FAI:
il PINCER e il CAM che possono manifestarsi in modo isolato o
in associazione.
Il PINCER impingement (Fig. 2a) è sostenuto da un eccesso
di copertura acetabolare localizzata (retroversione acetabolare) o
globale (coxa profunda e protrusio acetabuli). Tale anomalia, se
da un lato aumenta la superficie di contatto tra epifisi femorale e
acetabolo riducendo quindi il carico per unità di superficie, dall’altro determina il precoce contatto tra bordo acetabolare e collo
femorale (Fig. 2b). Il labbro acetabolare è la struttura che per prima paga le conseguenze di questo conflitto e quella che più ne risente con precoce degenerazione e rottura (Fig. 2c). In posizione
diametralmente opposta al punto dove avviene il conflitto tra bordo acetabolare e collo femore, quindi sul versante postero-inferio-
Figura 1a
Articolazione dell’anca normale: il cotile è antiverso di circa 20°; epifisi femorale e acetabolo sono
sferici
Figura 1b
Anca normale: il movimento articolare avviene
senza conflitti patologici
151
Capitolo 11
Figura 2a
Figura 2b
Figura 2c
PINCER impingement. Eccessiva copertura an- PINCER impingement. L’eccessiva copertura PINCER impingement. Per effetto del ripetuto
teriore dell’acetabolo che risulta retroverso
acetabolare anteriore è responsabile del pre- conflitto con il collo femorale il labbro degenecoce contatto tra bordo acetabolare e collo fe- ra rapidamente
morale in flessione-rotazione interna dell’anca.
In posizione opposta, nel versante articolare
postero-inferiore si realizza un sovraccarico
cartilagineo femoro-acetabolare
Figura 2d
PINCER impingement. Il contatto anteriore tra
bordo acetabolare e collo femorale agisce da
fulcro causando un sovraccarico articolare opposto che determina una progressiva usura
cartilaginea femoro-acetabolare.
152
re dell’articolazione si produce, per contraccolpo, un sovraccarico
cartilagineo femoro-acetabolare come conseguenza della sublussazione subclinica che si realizza quando il movimento articolare
non si arresta prima del blocco meccanico prodotto dal conflitto (18) (Figg. 2b, 2d). Nel Pincer impingement isolato la lesione del
labbro è precoce, ma la cartilagine articolare rimane intatta per un
lungo periodo. L’usura cartilaginea compare tardivamente nella
parte postero-inferiore della testa e dell’acetabolo (contrecoup lesion). Progressivamente si instaura un quadro di osteoartrosi postero-superiore o centrale. Il FAI Pincer si osserva più frequentemente nel sesso femminile. Si manifesta tra i 30 e i 40 anni in donne che praticano sport che prevedono ampie escursioni articolari
come yoga e aerobica (2).
Il CAM impingement (Fig. 2a) è sostenuto da un’anomalia
morfologica della giunzione testa-collo femorale con perdita della
sfericità e dell’offset. In questa situazione si crea una limitazione
meccanica al movimento. Infatti, in corrispondenza del passaggio
testa/collo si perde la sfericità dell’epifisi femorale per la presenza
di un’area prominente che in flesso-intrarotazione si incastra
(“grippa”) contro il ciglio e la cartilagine sottostante (Fig. 2b).
Progressivamente queste strutture degenerano (18). La sollecitazione meccanica tangenziale di “grippaggio” che l’area prominente
della giunzione testa-collo esercita sulla cartilagine contrapposta
dell’acetabolo produce un precoce slaminamento cartilagineo che
da origine ad un flap instabile (Figg. 3c, 3d). Questa lesione si
espande progressivamente esponendo una crescente area di osso
sub-condrale acetabolare entro la quale l’epifisi femorale migra.
Ne consegue la riduzione della rima articolare e l’instaurarsi di un
Impingement femoro-acetabolare: inquadramento clinico e diagnostico
Figura 3a
Figura 3b
Figura 3c
CAM impingement. Anomalia morfologica della CAM impingement. Per effetto della deformità
giunzione testa-collo femorale con perdita del- epifisaria, nella flessione-intrarotazione della sfericità dell’epifisi e dell’off-set testa-collo
l’anca l’area ossea esuberante tende ad incastrarsi contro il labbro e la cartilagine acetabolare limitrofa.
CAM impingement. Il meccanismo di grippaggio ripetuto nel tempo danneggia il labbro e
produce lo slaminamento della cartilagine acetabolare dando origine ad un flap cartilagineo
instabile
quadro di coxartrosi antero-superiore. Il FAI Cam si osserva più
frequentemente nel sesso maschile e in quelle categorie più attive
come negli atleti. Si manifesta tra i 20 e i 30 anni . Pincer e Cam
impingement sono frequenti e spesso combinati (2, 24). Producono
entrambi un danno prima sul lato acetabolare, ma il Cam è più
grave perché il danno cartilagineo è precoce nonostante i sintomi
siano inizialmente più sfumati. Frequentemente infatti, quando il
disturbo spinge il paziente allo specialista, è già presente la lesione
cartilaginea. Nel Pincer invece, la lesione delle fibre propriocettive del cercine acetabolare causa dolore precoce per cui la diagnosi viene posta prima che si sia instaurato il danno cartilagineo.
Le cause del FAI sono molteplici: anomalie morfologiche dell’epifisi femorale; ridotto offset testa/collo (9); eccessiva copertura
acetabolare focale o globale (cotile retroverso, coxa profunda,
protrusio acetabuli); osteotomie pelviche che abbiano prodotto
una eccessiva copertura acetabolare; situazioni in cui vi sia una associazione di cause intra-ed extra-articolari (8). Le patologie associate allo sviluppo del FAI sono: retroversione acetabolare congenita, epifisiolisi (14, 11), displasia dell’anca, malattia di Legg-CalvePerthes, viziose consolidazioni delle fratture del collo femorale (3),
epifisi femorali ellittiche, coxa profunda e protrusio acetabuli, coxa vara, necrosi ischemica dell’epifisi femorale, os acetabuli. Spesso l’etiologia di molte delle cause che producono FAI rimane non
ben definita (19).
Dal punto di vista clinico il sintomo dominante è il dolore:
dapprima intermittente, poi continuo e intenso, specie in flessione-rotazione interna dell’anca nei casi di FAI antero-superiore, i
più frequenti. Il dolore è più spesso localizzato all’inguine; si ac-
Figura 3d
CAM impingement. Il meccanismo di grippaggio ripetuto nel tempo danneggia il labbro e
produce lo slaminamento della cartilagine acetabolare dando origine ad un flap cartilagineo
instabile
153
Capitolo 11
Figura 4
Figura 5
Figura 6
Per la diagnosi clinica di FAI antero-superiore
si flette l’anca a 90° a paziente supino, quindi
si adduce e si intraruota l’arto. Questa manovra
è diagnostica se evoca dolore inguinale anteriore, specie quando è associata a ridotta o assente intrarotazione
Nel FAI posteriore il dolore è evocato dalla ro- Tecnica di esecuzione corretta per la proieziotazione esterna dell’anca iperestesa mentre il ne AP del bacino
paziente giace supino con l’arto inferiore penzoloni fuori dal lettino
centua nella posizione seduta prolungata, nella posizione seduta a
gambe incrociate o nella posizione a “4”, nell’entrata e uscita dall’automobile, nell’indossare calze e scarpe. Per evocare il dolore
caratteristico è sufficiente flettere passivamente l’anca a 90°, quindi addurre e intrarotare l’arto mentre il paziente giace in posizione supina (13) (Fig. 4). Obiettivamente si apprezza ridotta o assente intra-rotazione dell’anca. Questi due elementi: dolore in flessione, adduzione, intrarotazione; ridotta o assente intrarotazione (anterior impingement test) sono presenti nel 99% dei pazienti affetti da FAI (20). Quando il conflitto è posteriore, il dolore è evocato
dalla rotazione esterna dell’anca iperestesa (posterior impingement sign) mentre il paziente giace supino con il bacino al bordo
del lettino e con l’arto inferiore “penzoloni” per avere l’anca iperestesa (17) (Fig. 5). Altri test che evocano dolore sono il test di
Thomas e il test della bicicletta. Sono suggestivi, ma non specifici
per il FAI. La deambulazione avviene con Trendelemburg quando
è presente dolore. La diagnosi differenziale deve esser fatta con il
dolore provocato da pubalgia, da tendinite degli adduttori o da ernia inguinale (21, 7). I pazienti affetti da FAI hanno spesso diagnosi ritardata e sono soggetti a indagini strumentali inappropriate e
cure non ortopediche (4). R. Ganz e coll. dal 2005 hanno in corso
uno studio prospettico su oltre 1100 ragazzi sportivi per evidenziare la prevalenza del FAI nella popolazione e determinare se
queste alterazioni morfologiche sono associate ad un aumento di
osteoartrosi precoce. I risultati preliminari evidenziano che la riduzione di 10° della rotazione interna ad anca flessa a 90° raddoppia la prevalenza della patologia degenerativa dell’anca (10).
154
Impingement femoro-acetabolare: inquadramento clinico e diagnostico
Figura 7
Figura 8
Figura 9
La sorgente RX è centrata sul punto di mezzo Tecnica di esecuzione per la proiezione assiale RX AP anca normale: il bordo anteriore deldella perpendicolare tesa tra la linea che con- dell’anca “cross-table lateral view”
l’acetabolo (in giallo) è mediale rispetto a quelnette le spine iliache antero-superiori e il marlo posteriore (in rosso) per tutto il suo decorso
gine superiore della sinfisi pubica
Lo studio radiologico è essenziale per la diagnosi di FAI. Prevede una radiografia in antero-posteriore (AP) del bacino in decubito supino, con arti intraruotati di 15° per compensare l’antiversione dei colli femorali. La sorgente radiante viene posta ad un’altezza di 120 cm. sopra il paziente, perpendicolare al piano di appoggio del bacino (Fig. 6). Il raggio è centrato sul punto di mezzo
della perpendicolare tesa tra la linea che connette le spine iliache
antero-superiori (SIAS) e il margine superiore della sinfisi pubica
(Fig. 7). Per visualizzare la parte anteriore della giunzione
testa/collo femorale, non visibile in AP, è necessario eseguire
un’assiale dell’anca. Per l’assiale dell’anca sono descritte tre proiezioni: 1) la cosiddetta cross-table lateral view che si ottiene ad anca estesa ed arto intraruotato di 10-15° con sorgente radiante parallela al piano del tavolo radiologico e direzione caudo-craniale
(Fig. 8); 2) la standard Dunn view che consiste in una AP dell’anca in rotazione neutra, 20° di abduzione e 90° di flessione; 3) la
modified Dunn view che consiste in una AP dell’anca in rotazione
neutra, 20° di abduzione e 45° di flessione. Quest’ultima proiezione pare la più efficace per evidenziare il passaggio testa/collo e misurare l’off-set (22). Gli elementi da valutare sulla proiezione AP
del bacino sono: i margini anteriore e posteriore dell’acetabolo, il
centro dell’epifisi femorale, l’angolo di copertura anteriore della
testa femorale CE (centre-edge, Wiberg), i rapporti del fondo acetabolare e della testa del femore con la linea ileo-ischiatica. Nell’anca normale il bordo anteriore dell’acetabolo è mediale a quello posteriore per tutta la sua estensione (Fig. 9). In caso di copertura eccessiva o retroversione acetabolare avviene il contrario con
155
Capitolo 11
L
E
C
Figura 10
Figura 11
RX AP acetabolo retroverso: il bordo acetabolare antero-superiore (in giallo) è laterale rispetto a quello posteriore (in rosso) per un
tratto più o meno esteso. Se la radiografia è
correttamente eseguita e correttamente esposta il profilo dei bordi acetabolari anteriore e
posteriore disegna una figura a”8”
L’angolo CE valuta la copertura dell’epifisi fe- RX AP bordo posteriore prominente: il bordo
morale. Presenta il vertice nel centro della te- posteriore dell’acetabolo è laterale rispetto al
sta del femore. Da questo punto un lato rag- centro di rotazione della testa
giunge il bordo supero-laterale del cotile, tangente ad esso; l’altro risale cranialmente e perpendicolarmente rispetto alla linea che congiunge il centro delle due epifisi femorali
Figura 13
RX AP coxa profunda: il fondo dell’acetabolo si
sovrappone o è mediale alla linea ileo-ischiatica
156
Figura 12
il bordo antero-superiore che per un tratto più o meno esteso è
più laterale rispetto al posteriore. Se la radiografia è correttamente eseguita, sia come tecnica di ripresa che come esposizione, è
ben visibile l’incrocio dei due margini anteriore e posteriore (cross
over sign) (15, 25). In alcuni casi questo incrocio disegna una figura
a “8” (figure of eight sign) (Fig. 10). Altri due segni radiologici sono caratteristici della retroversione acetabolare: il centro della testa femorale si trova lateralmente al bordo della parete posteriore
(posterior wall sign); la spina ischiatica protrude all’interno della
cavità pelvica (ischial sign). L’angolo CE consente di valutare la
copertura dell’epifisi femorale (Fig. 11). Il valore medio nell’adulto è di 20°-40°. Al di sopra di questi valori si può prendere in considerazione il trimming artroscopico o aperto del bordo acetabolare, mentre al di sotto dei valori normali si deve valutare l’opportunità di una osteotomia pelvica per aumentare la copertura dell’epifisi femorale. Sempre nella proiezione AP del bacino si valuta il
bordo posteriore del cotile che risulta prominente, limitando la rotazione esterna dell’anca, quando è laterale al centro di rotazione
della testa in misura più o meno marcata (Fig. 12). Ancora, devono essere individuate e distinte la coxa profunda dalla protrusio
acetabuli. La coxa profunda è caratterizzata dal fatto che il fondo
dell’acetabolo si sovrappone o è mediale alla linea ileo-ischiatica
(Fig. 13); la protrusio acetabuli, che rappresenta la forma più severa di coxa profunda, si caratterizza perché è la testa del femore
che raggiunge o supera la linea ileo-ischiatica (Fig. 14). Nella pro-
Impingement femoro-acetabolare: inquadramento clinico e diagnostico
Figura 14
Figura 15
RX AP protrusio acetabuli: la testa del femore RX assiale anca (frog leg position)
raggiunge o supera la linea ileo-ischiatica
iezione assiale, in caso di Cam impingement, è visibile una prominenza ossea in corrispondenza della giunzione testa-collo (bump
sign) (Fig. 3a); l’epifisi femorale assomiglia all’impugnatura di una
pistola (pistol-grip sign). Stulberg et al. hanno descritto questo tipo di deformità nel 40% dei pazienti con “osteoartrosi idiopatica”
dell’anca (26). Sempre nella proiezione assiale dell’anca (un’altra
proiezione oltre a quelle precedentemente descritte è la “frog leg
position”) (Fig. 15) è possibile misurare l’off-set testa/collo tracciando 2 linee entrambe parallele all’asse longitudinale del collo,
una tangente al margine anteriore della testa e l’altra tangente al
margine anteriore del collo. La distanza tra le 2 linee rappresenta
l’off-set testa/collo (Fig. 16). Nell’anca normale il valore deve essere ≥7 mm. (6) Nel Cam impingement la distanza tra le due parallele è diminuita (Fig. 17). In presenza di FAI Pincer, la proiezione
RX assiale spesso evidenzia una o più formazioni cistiche nell’area
del collo in cui si realizza il conflitto con il labbro/bordo acetabolare.
La TC, con le sue ricostruzioni 3D (1-27), ha un’alta risoluzione
per visualizzare le anormalie ossee e non necessita di mezzo di
contrasto, richiede però un’alta dose di radiazioni ionizzanti. La
Risonanza Magnetica è utile per evidenziare necrosi epifisarie iniziali, ma l’artro-rmn è indispensabile per definire il grado di compromissione del labrum acetabolare (5) e della cartilagine articolare. Consente inoltre di determinare la deformità della testa femorale o il ridotto off-set del collo (23). Sui tagli assiali dell’epifisi fe-
Figura 16
RX assiale anca. Per misurare l’off-set testacollo si tracciano due linee parallele tra loro e
parallele all’asse del collo femorale; una tangente al margine anteriore della testa, l’atra
tangente al margine anteriore del collo. Nell’anca normale la distanza tra le due linee (offset) è ≥ 7 mm
Figura 17
RX assiale anca. Nel FAI Cam l’off-set testa-collo è ridotto
157
Capitolo 11
α
α
Figura 18
Figura 19
Figura 20
Angolo “alpha” nell’anca normale
Angolo “alpha” nel FAI Cam
Classificazione delle lesioni del labbro acetabolare basata sulla ARTRO-RMN. Stadio 0: labbro normale
Figura 21
Stadio IA
Figura 22
Stadio IB
158
morale può essere calcolato l’angolo “alpha” (α). Questo si misura inscrivendo l’epifisi femorale in una circonferenza delle stesse
dimensioni. Si individua il centro dell’epifisi (che coincide con il
centro della circonferenza), quindi si tracciano l’asse del collo femorale passante per il centro dell’epifisi e il raggio di curvatura
della circonferenza nel punto in cui il profilo dell’epifisi si allontana dalla circonferenza per prolungarsi in quello del collo. L’angolo formato tra l’asse del collo femorale e il raggio di curvatura descritto formano l’angolo “alpha”. Nell’anca normale l’angolo alpha è < 50° (23) (Fig. 18), nel FAI Cam è >50° (Fig. 19). Nello studio clinico effettuato da Nötzli e coll. (23), l’angolo alpha misurava
nel gruppo sintomatico e in quello di controllo 74° e 42°, rispettivamente. La degenerazione del labrum è caratteristicamente antero-superiore. Czerny et al. (5) hanno classificato in tre stadi le lesioni del labrum acetabolare utilizzando l’ARTRO-RMN e hanno
concluso che questa indagine diagnostica ha una sensibilità ed una
precisione del 90%. Le lesioni sono classificate in base alla loro
morfologia, intensità del segnale, presenza o assenza di fissurazioni, aderenza del labrum all’acetabolo. Stadio 0: intensità del segnale omogenea, forma del labrum triangolare, aderenza continua al
margine laterale dell’acetabolo, assenza di fissurazioni (Fig. 20);
stadio IA: aumento dell’intensità del segnale al centro del labrum,
forma triangolare, aderenza continua al margine laterale dell’acetabolo, assenza di fissurazioni (Fig. 21); stadio IB: simile allo stadio
IA con ispessimento del labrum e mancata visualizzazione del recesso del labrum (Fig. 22); stadio IIA: il liquido di contrasto penetra nel labrum (Fig. 23); stadio IIB simile allo stadio IIA con ispessimento del labrum e mancata visualizzazione del recesso del labrum(Fig. 24); stadio IIIA: il labrum appare staccato dall’acetabolo, conserva la forma triangolare (Fig. 25); stadio IIIB simile al
IIIA con ispessimento del labrum, mancata visualizzazione del re-
Impingement femoro-acetabolare: inquadramento clinico e diagnostico
Figura 23
Figura 24
Figura 25
Stadio IIA
Stadio IIB
Stadio IIIA
cesso (Fig. 26). Le lesioni cartilaginee dell’acetabolo nel Cam impingement sono anch’esse antero-superiori, mentre nel Pincer impingement sono tipicamente postero-inferiori. Johnston et al. (16)
hanno descritto una significativa correlazione tra riduzione dell’offset, misurato come angolo alpha, e presenza di lesioni cartilaginee rilevate artroscopicamente. Nei giapponesi, per l’abitudine
di sedersi con anche abdotte ed extra-ruotate, vi è una prevalenza
di lesioni posteriori (12).
Figura 26
Stadio IIIB
159
Capitolo 11
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161
IMPINGEMENT FEMORO-ACETABOLARE:
TRATTAMENTO ARTROSCOPICO
Capitolo 12
J.W. Thomas Byrd
Kay S. Jones
L’impingement femoro-acetabolare non è un concetto nuovo;
già nel 1913 Vulpius e Stoffel descrivevano una procedura per la
resezione ossea della deformità formatasi per lo slittamento dell’epifisi prossimale del femore (Fig. 1) (1). Nel 1936 Smith-Petersen descrisse un intervento con l’asportazione del bordo acetabolare, talvolta in combinazione con la resezione a cuneo della giunzione testa/collo femorale nei casi di protrusione, slittamento dell’epifisi e coxa plana (2). Sebbene questa tecnica risulti primitiva, è
sorprendentemente simile alle recenti descrizioni di lussazioni in
chirurgia aperta nei casi di conflitto di tipo Cam e Pincer (Fig. 2)
Questo approccio combinato non venne più menzionato a livello
bibliografico, ma l’osteoplastica della deformazione femorale, associata allo slittamento cronico dell’epifisi prossimale di femore è
stata poi divulgata da Heyman e Herndon ed è stata descritta in
modo simile nei casi di anomalie morfologiche della testa femorale nei casi di coxa plana come esito del morbo di Perthes (3, 4).
In ogni caso furono il prof. Ganz e i suoi collaboratori che formularono la teoria del conflitto femoro-acetabolare (FAI). Ciò
venne inizialmente descritto come un processo iatrogeno associato
alla sovra-correzione dell’osteotomia periacetabolare eseguita per
curare una displasia (5).
In seguito, descrissero il FAI come evento spontaneo delll’anca stessa e precursore nello sviluppo dell’osteoatrite (6).
Lo suddivisero nei tipi Cam, Pincer e combinato; e descrissero un intervento in chirurgia aperta per la sua correzione (7).
Sono stati pubblicati reports di successo sull’obiettivo di ritardare la progressione dell’osteoartrite, ma questa non è stata una
tecnica che viene proposta per la ripresa di uno stile di vita attivo
e dinamico (8).
Dal punto di vista degli autori, il FAI non è causa del dolore
all’anca.
È solo una variante morfologica che predispone l’articolazione
a una patologia intra-articolare che poi diventa sintomatica. Il conflitto di tipo pincer causato da una sporgenza del bordo antero-laterale dell’acetabolo, causa primariamente una rottura del labbro
Figura 1
Questa figura di Vulpius e Stöffel, pubblicata nel
1913, illustra una cheilectecomia su epifisi femorale. L’osso al di sopra della curva tratteggiata viene
rimosso per eliminare l’ostacolo al movimento a livello della rima dell’acetabolo
Figura 2
Diagrammi da un lavoro di Smith-Petersen, pubblicato nel 1936, illustra I primi tentativi di rimodellare l’acetabolo e la testa femorale per aumentarne il grado di movimento. (Ristampata con autrorizzazione 2.
163
Capitolo 12
acetabolare e secondariamente, col tempo, un numero variabile di
danni articolari associati all’acetabolo (Fig. 3). Il conflitto di tipo
Cam, creato dalla parte sporgente della testa femorale non-sferica
in conflitto con superficie articolare dell’acetabolo causa una delaminazione selettiva e la degenerazione della superficie articolare
dell’acetabolo, con la relativa conservazione del labbro (Fig. 4).
Queste osservazioni sono importanti nell’artroscopia proposta
per il FAI. L’anca può avere le caratteristiche morfologiche del
FAI senza per questo sviluppare il cedimento della cartilagine associato a un conflitto patologico. In questo modo la valutazione
artroscopica è un fattore determinante durante la cura di pazienti
che hanno radiografie con le caratteristiche del FAI.
Il conflitto non è l’unica causa della patologia intrarticolare e
della sintomatologia relativa all’articolazione dell’anca negli adulti
dinamici.
Figura 3
APPROCCIO ALL’ARTROSCOPIA
Impingement tipo Pincer causato da una sporgenza ossea anteriore dell’acetabolo che schiaccia il
labbro contro il collo del femore. Nel tempo causa
una degenerazione articolare secondaria. (Ristampata con l’autorizzazione di J. W. Thomas Byrd,
M.D.)
Selezione del paziente
L’indicazione per l’artroscopia dell’anca è un dolore non trattabile dell’anca con un imaging significativa ed una sintomatologia persistente che non riponde alle terapie conservative.
Figura 4
Figura 5
Figura 6
Cam impingement causato dalla flessione dell’anca quando la sporgenza ossea della porzione non sferica della testa femorale (lesion
Cam) scivola sul labbro entrando in conflitto
con il bordo della cartilagine articolare e causando una progressiva delaminazione. Inizialmente il labbro è relativamente preservato, ma
successivamente, nel tempo, esso degenera.
(Ristampata con l’autorizzazione di J. W. Thomas Byrd, M.D.)
La posizione del portale anteriore coincide con
l’intersezione di una linea sagittale disegnata
distalmente alla spina iliaca antero-superiore
e una linea obliqua che corre lungo il margine
superiore del gran trocantere. La direzione di
questo portale è circa di circa 45° verso la testa
e 30° verso la linea mediana. I portali anterolaterale e postero-laterale sono posizionati direttamente sopra l’apice superiore del trocantere ai suoi bordi anteriore e posteriore. (Ristampata con l’autorizzazione di Smith & Nephew Endoscopy, Andover, MA.)
Viene illustrato il rapporto tra le maggiori
strutture neurovascolari e i tre portali standard. La arteria femorale ed il nervo sono ben
mediali rispetto al portale anteriore. Il nervo
sciatico passa posteriormente al portale posterolaterale. Il nervo femoro-cutaneo laterale
corre vicino al portale anteriore. Le lesioni a
questa struttura vengono evitate tramite un accurato piazzamento del portale. Il portale antero-laterale viene fatto per primo poiché giace
centralmente nella zona sicura per l’artroscopia. (Ristampata con l’autorizzazione di J. W.
Thomas Byrd, M.D.)
164
Impingement femoro-acetabolare: trattamento artroscopico
A
B
C
D
E
F
Figura 7
Maschio di 20 anni con persistente dolore all’anca a seguito di un trauma acuto.
A. Una radiografia in AP dimostra un segno di cross-over positivo per un impingement di
tipo pincer. Superiormente il muro anteriore (frecce) è laterale al muro posteriore (tratteggio), dimostrando un impingement anteriore acetabolare. Inferiormente è mediale al
muro posteriore, creando il segno di cross-over.
B. Osservando dal portale antero-laterale, si nota una lesione del labbro (frecce). Il palpatore viene introdotto dal portale anteriore.
C. Ritraendo la porzione lesionata del labbro si espone il sottostante impingement osseo
(*).
D. Il labbro danneggiato è stato resecato, scoprendo la lesione che causava impingement
(*).
E. Viene effettuata una acetaboloplastica resecante l’osso sporgente.
F. L’artroscopio è stato spostato al portale anteriore, per completare l’acetaboloplastica
con una fresa posta nel portale anterolaterale. Il labbro laterale sano (*) demarca il limite della resezione ossea.
G. Una radiografia AP postoperatoria mostra la correzione del segno di cross-over (Ristampata con l’autorizzazione di J. W. Thomas Byrd, M.D.)
G
Le indicazioni al trattamento del conflitto è basato parzialmente sull’accertamento radiografico ma principalmente sui parametri artroscopici.
La presenza di un segno del cross-over fornisce un indizio di
sospetta presenza di un conflitto tipo pincer che poi dove essere
confermato dai tre parametri artroscopici.
In primo luogo, la difficoltà nella creazione del portale anteriore, nonostante un adeguato spazio articolare, dovuto all’ostacolo creato dalla sporgenza dell’acetabolo anterolaterale.
165
Capitolo 12
A
B
C
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E
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Figura 8
G
Giocatore di hockey di 20 anni con una storia di 4 anni di dolore all’anca destra.
A. La radiografia in AP è irrilevante.
B. La radiografia in frog-lateral mostra una variante morfologica con prominenza ossea
nella parte femorale anteriore della giunzione collo/testa (frecce) caratteristica dell’impingement di tipo Cam.
C. Una immagine TAC in 3D definisce ulteriormente l’estensione della lesione ossea (frecce). D. Osservando dal portale antero-laterale, il palpatore introdotto anteriormente scopre un’area di delaminazione della superficie antero-laterale dell’acetabolo caratteristico
del fenomeno di “peel back” creato da lesioni ossee che sfregano sulla superficie articolare durante la flessione dell’anca.
E. La lesione ossea viene identificata osservando dal compartimento periferico (*) immediatamente al di sotto del bordo libero del labbro acetabolare (L).
F. La lesione è stata resecata, ricreando il normale rapporto convesso della giunzione femorale collo/testa immediatamente adiacente alla superficie articolare (frecce). Posteriormente, la resezione è limitata alla porzione media del collo laterale per evitare di
compromettere il rifornimento sanguigno alla testa femorale da parte dei vasi retinacolari laterali.
G. L’immagine TAC in 3D postoperatoria che mostra l’estensione della resezione ossea.
(Ristampata con l’autorizzazione di J. W. Thomas Byrd, M.D.)
In secondo luogo il riscontro di un danno al labbro creato dal
processo patologico di conflitto tipo pincer.
Terzo, una volta regolarizzata in modo selettivo la parte danneggiata, il riscontro di una sporgenza ossea tipica del conflitto tipo pincer.
Il Cam impingement viene rivelato dalle caratteristiche radio-
166
Impingement femoro-acetabolare: trattamento artroscopico
grafiche di perdita di sfericità della testa femorale. Per i casi in cui
si sospetta tale patologia, un esame TAC in 3D è d’aiuto per ottenere un’architettura ancora più dettagliata dell’osso prima della
correzione artroscopica.
Una patologia tipo cam, associata a una morfologia tipo cam,
è confermata dalla evidenza artroscopica di una lesione della superficie articolare con delaminazione dell’acetabolo anterolaterale.
Tecnica
I principi di base sviluppati nei primi anni ’90 sono stati utili
come punto di partenza per la successiva definizione dei metodi
per affrontare il conflitto femoro-acetabolare (9, 11).
Mentre all’inizio dello sviluppo di questa tecnica si è eseguita
un chirurgia correttiva per il conflitto causato da osteofiti posttraumatici, il conflitto femoro-acetabolare è stato introdotto, come
indicazione formale, solo dal 2003 (12, 15).
Il conflitto di tipo Pincer viene trattato dal compartimento
centrale con tecnica standard a 3 portali (anteriore, anterolaterale
e posterolaterale) a paziente supino come precedentemente descritto (11, 12).
Dopo aver ispezionato completamente l’articolazione, l’attenzione è rivolta alla lesione del labbro.
Un debridement selettivo della parte danneggiata rivela il bordo sporgente dell’osso invece della normale inserzione capsulare
del labbro.
Una volta che il tessuto danneggiato è stato rimosso, e si evidenzia la lesione pincer, il contorno dell’osso viene rimodellato
tramite una fresa sferica.
Una abbondante capsulotomia attorno ai portali facilita l’accesso e la manovrabilità.
La lesione tipo pincer viene trattata invertendo l’artroscopio e
la strumentazione tra i portali anteriore e antero-laterali.
Prossimalmente l’osso è resecato fino alla colonna anteriore
dell’acetabolo. L’estensione antero-mediale e laterale della resezione dell’osso è imposta dal margine del labbro sano. L’osso viene rimodellato per creare una transizione dolce con la parte sana del
labbro, che è conservata. Può essere presente una danno cartilagineo secondario associato che richiede un trattamento di condroplastica o di microfratture per lesioni di IV grado.
Il trattamento dell’impingement di tipo cam inizia con l’artroscopia della parte centrale dove viene accertata la presenza della
patologia cam. (Fig. 8 e 9). La caratteristica tipica è la lesione articolare dell’acetabolo antero-laterale. A seconda della posizione
della lesione Cam, il danno articolare può essere più anteriore o
laterale. L’ esempio classico è la delaminazione articolare che inizia alla giunzione con la base del labbro. Spesso questa è una lesione di IV grado a tutto spessore, sebbene in alcuni casi possa
presentare una lesione profonda di III grado.
Nello stadio iniziale della malattia, ci può essere un’area di rigonfiamento cartilagineo di I grado, ma ciò deve essere distinto da
167
Capitolo 12
A
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Figura 9
Donna di 38 anni con dolore e progressiva perdita di movimento all’anca destra.
A. Una radiografia in AP mostra un aumento di volume osseo e formazione di osteofita
sulla testa femorale laterale (freccia).
B. Una radiografia in frog-lateral definisce ulteriormente l’aumento di volume osseo sulla testa femorale anteriore (freccia).
C. Una immagine TAC in 3D definisce ulteriormente la presenza di un osteofita sulla testa
femorale (*) e la lesione acetabolare anteriore (frecce).
D. Una artroscopia della superficie soggetta a carico nella parte centrale dell’articolazione dimostra una buona qualità articolare sia dell’acetabolo (A) che della testa femorale
(FH) sinovite reattiva all’interno della fossa (S).
E. L’osteofita acetabolare anteriore viene asportato.
F. Osservando il compartimento periferico, la testa del femore è stata rimodellata mostrando il bordo della superficie articolare femorale (frecce bianche) ed il labbro (frecce
nere).
G. Una immagine TAC in 3D post operatoria mostra l’estensione del rimodellamento osseo sia dell’acetabolo che della testa femorale.
(Ristampato con l’autorizzazione di J. W. Thomas Byrd, M.D.)
G
168
un semplice rammollimento che può essere un normale cambiamento della consistenza della superficie.
Spesso si associa una degenerazione del labbro in corrispondenza della sua base, ma si nota un sproporzionata quantità di
anormalità della superficie articolare collegate alla patologia del
labbro. La lesione articolare è trattata con shaving e microfratture
a seconda della gravità.
Le patologie del labbro associate vengono trattate con un de-
Impingement femoro-acetabolare: trattamento artroscopico
bridment conservativo atto a stabilizzare i bordi del labbro. Tale
debridment dovrebbe essere limitato alla parte articolare del labbro ottenendo così di preservare la superficie capsulare e mantenendo la maggior parte della sostanza del labbro.
Successivamente al completamento della artoscopia del compartimento centrale, la lesione cam deve essere trattata dal compartimento periferico. Esistono numerose varianti di come questo
possa essere raggiunto in un osso anormale. La caratteristica principale è il posizionamento dei portali in modo che la lesione sia al
centro di essi ed in modo da ridurre la quantità di tessuto da resecare per esporre la lesione nel migliore dei modi. Gli autori hanno
trovato che semplicemente connettendo la capsulotomia tra il portale anteriore e quello antero-laterale si crea la maggior parte della finestra necessaria per trattare nel miglior modo la lesione e posizionarsi direttamente sopra alla lesione ossea. Questa capsulotomia ottiene anche il release della porzione riflessa del retto femorale. A questo punto il portale postero-laterale può essere rimosso
ed i portali anteriore e antero-laterale semplicemente ritratti dal
compartimento centrale. La trazione viene rilasciata e l’anca flessa
a circa 35°. Un errore nella esecuzione di una adeguata capsulotomia prima del rilascio della trazione può comportare l’incarceramento della strumentazione prossimamente e la riduzione della loro manovrabilità nella periferia. Essendo la flessione eseguita sotto controllo artroscopico si dovrebbe normalmente evidenziare la
linea di demarcazione tra la cartilagine sana e la fibrocartilagine
anormale che ricopre la lesione tipo cam. Flettendo l’anca in modo tale che questa linea di demarcazione sia esattamente sotto la
rima acetabolare, ci si mette in condizione di utilizzare parzialmente l’acetabolo come punto di riferimento per determinare
l’area circolare adiacente alla superficie articolare in cui effettuare
la resezione. Un eccessiva flessione può determinare la sparizione
della lesione tipo cam sotto l’acetabolo e causare una inadeguata
resezione.
Si esegue un ulteriore portale posizionato ancora più prossimalmente circa 5 cm sopra il portale antero-laterale entrando attraverso la capsulotomia già eseguita. Questi due portali antero-laterali, prossimale e distale rispettivamente, sono molto utili per accedere e raggiungere la lesione tipo cam.
Il portale anteriore può essere, a questo punto, rimosso oppure mantenuto in modo da accedere nel miglior modo possibile alla parte mediale del collo femorale.
La maggior parte del lavoro necessario a ricostruire i contorni
della lesione cam (plastica femorale) risiede della preparazione dei
tessuti molli. Questo include il debridment capsulare, in modo da
assicurare la perfetta visione della lesione, e la rimozione della fibrocartilagine e dei frammenti tissutali che ricoprono l’anormalità
ossea. Con l’anca flessa, il portale prossimale permette un accesso
migliore alla porzione laterale e posteriore, mentre quello distale
è, relativamente all’articolazione, posizionato più anteriormente e
permette il miglior accesso possibile alla parte anteriore della le-
169
Capitolo 12
sione. La plica sinoviale laterale deve essere considerata come
punto di riferimento per il reticolo vascolare e si deve porre attenzione nel preservare questa struttura durante il rimodellamento
della testa femorale. È molto importante lo scambio continuo dei
portali per apprezzare al meglio la tridimensionalità della ricostruzione. Tentare di completare il lavoro utilizzando solo un portale
senza scambiarli tra loro aumenta il rischio di eseguire una resezione planare senza ricreare la sfericità anatomica.
Una volta che l’osso è stato completamente esposto si procede
con il rimodellamento del contorno tramite l’uso di una fresa sferica. La resezione ossea si inizia in corrispondenza della giunzione
articolare in modo da demarcare completamente la linea di resezione così come la sua profondità.
La resezione deve proseguire distalmente fino a raccordarsi
con il collo naturale del femore. Particolare attenzione deve essere
riposta nel far si che la resezione risulti adeguata e sufficiente ma
che non vada ad incavare il collo del femore o a lasciare sporgenze che possano creare potenziali stress. Gli autori iniziano la resezione dal limite latero-posteriore della lesione con l’artroscopio
nel portale più distale e gli strumenti in quello più prossimale. La
parte posteriore della resezione è normalmente la più difficoltosa;
risulta critico evitare di incavare la superficie di carico del collo femorale; ugualmente critico risulta fare massima attenzione ad evitare e preservare il retinacolo vascolare laterale. Successivamente,
spostando l’artroscopio nel portale prossimale e la fresa in quello
distale, viene completata la rifinitura lungo la testa anteriore e la
giunzione del collo femorale. Un’ultima attenzione deve essere riposta nell’assicurare la rimozione più completa possibile di ogni
frammento per diminuire la possibilità che si sviluppino ossificazioni eterotropiche.
Riabilitazione
Entro uno o due giorni dopo l’intervento deve essere iniziata
una terapia fisica guidata. Il protocollo può variare a seconda della patologia evidenziata durante l’artroscopia ed il suo trattamento chirurgico. In generale deve essere data enfasi alla ottimizzazione del arco di movimento attraverso la stabilizzazione della articolazione con esercizi a catena chiusa e di rafforzamento.
Se si è eseguita la plastica acetabolare è permesso il carico dell’articolazione a tolleranza. Le stampelle sono indicate per approssimativamente una settimana fino a che sia ristabilito il normale
processo del passo così come permesso dal dolore post-chirurgico.
Nel caso di femoroplastica il carico è permesso a tolleranza ma
le stampelle devono essere utilizzate per almeno quattro settimane
come misura precauzionale contro episodi di rotazione accidentale. Una volta ristabilito il tono muscolare ed il normale schema di
risposta questi proteggeranno adeguatamente l’articolazione nei
carichi normali. Devono essere evitati i carichi improvvisi e violenti almeno nei successivi tre mesi fino a che l’osso non sia completamente rimodellato.
170
Impingement femoro-acetabolare: trattamento artroscopico
Figura 10
Figura 11
Risultati nel tempo
Risultati per impingement di tipo Cam, Pincer e combinato
Nel caso di microfratture il protocollo di riabilitazione deve
essere modificato proteggendo il paziente dal carico per due mesi.
Al paziente è permesso appoggiare la gamba al terreno e caricarla
con il suo stesso peso, questo permette l’ottimale neutralizzazione
della forze attraverso l’articolazione.
Un protocollo di riabilitazione guidato deve essere seguito per
tre mesi. Per gli atleti la progressione funzionale può essere accelerata se ben tollerata dal paziente. Sebbene alcuni atleti possano
tornare alla attività normale più velocemente, a volte si attende da
1 a 3 mesi per una totale ripresa.
RISULTATI
Dal 1993 tutti i pazienti sottoposti ad artroscopia di anca in
questo centro sono stati controllati prospetticamente utilizzando
la scala modificata di Harris sia in sede preoperatoria che postoperatoria a 3, 12, 24, 60 e 120 mesi (16, 18. Il trattamento artroscopico dell’impingement femoro-acetabolare è stato eseguito in 227
anche di 220 pazienti (in 7 casi bilaterale) con un minimo di 12
mesi di follow up (media 17 mesi). Si è avuto il 100% di follow-up
per tutti i pazienti. L’età media è stata 34 anni (da 13 a 77). Si sono trattati 148 maschi e 72 femmine con 130 anche destre e 97 sinistre. Il miglioramento medio è stato di 21 punti (66 preop; 87
postop) con l’85% di miglioramenti all’ultimo follow up. I risultati nel tempo sono evidenziati nella figura 10 che mostra il continuo miglioramento presente per tutto il primo anno ed il mantenimento dei risultati nei casi seguiti con una follow-up di 2 anni. In
generale, utilizzando la classificazione di Harris, ci sono stati 88 risultati eccellenti, 99 buoni, 15 invariati e 18 scarsi con 7 pazienti
usciti dalla classificazione per una successiva chirurgia (1 protesi
totale e 6 artroplastiche). La maggior parte aveva danni articolari
di IV grado (115) o III grado (89). In 162 pazienti si è proceduto
alla plastica femorale per correggere il conflitto tipo cam, 21 pazienti sono stati sottoposti a plastica acetabolare per correggere
l’impingement tipo pincer e 44 sono stati sottoposti ad entrambe
171
Capitolo 12
le procedure con i risultati rappresentati nella figura 11. Ci sono
state tre complicazioni, ma nessuna di esse significative. Si è verificata una temporanea neuropraxia rispettivamente del nervo pudendo e del nervo femoro-cutaneo laterale, entrambe risolte senza
lesioni permanenti. In 1 caso è stato casualmente notato che il paziente aveva sviluppato una ossificazione eterotropica all’interno
della capsula che non ha comunque ostacolato il buon risultato finale.
DISCUSSIONE
La gestione artroscopica del conflitto non è un nuovo concetto.
Lesioni acetabolari e femorali sono state indirizzate a questo centro
già da due decadi. Queste erano, però, limitate a osteofiti post-traumatici, frammenti avulsi e occasionali deformazioni della testa femorale come conseguenza di morbo di Perthes (12, 13). Con lo sviluppo iniziale del concetto di conflitto femoro-acetabolare, questi
autori hanno lentamente definito il ruolo per il trattamento artroscopico. Man mano che la fiducia nella FAI diveniva maggiore,
questi autori hanno cominciato ad esplorare il valore potenziale di
un approccio artroscopico meno invasivo. I risultati di questo studio riflettono questa evoluzione. Esso ripete la nostra attuale conoscenza della FAI e le strategie artroscopiche per affrontarla. Questo
continuerà a cambiare ed evolversi con il tempo.
I dati demografici dell’esperienza vissuta in questo centro nei
casi di artroscopia di anca per FAI offrono importanti parallelismi
per le correnti applicazione del suo ruolo. Il numero assoluto di
casi e la sua incidenza sui casi trattati in questo centro sono cresciuti esponenzialmente. Solamente ora stiamo cominciando ad
avere un ragionevole follow-up sui primi casi fatti. Il notevole numero di casi trattati basandosi su risultati preliminari modesti, enfatizza una assoluta cautela. La speranza è che una maggiore esperienza ci guiderà verso migliori risultati, ma sarà il tempo a dirlo.
In questa serie di casi gli autori riportano una prevalenza sproporzionata di lesioni cam.
Questo è probabilmente influenzato dal criterio su cui è basata la correzione chirurgica. Se il labbro è intatto il paziente non ha
la patologia pincer. Nel paziente con un cross-over positivo ed un
labbro sano gli autori sono stati riluttanti ad asportare il tessuto
normale per correggere una variante radiografica solo basandosi
sul concetto generale che questa variante sia, di per sé, un problema anche in assenza di patologie articolari. Nonostante il labbro
possa essere nuovamente fissato il risultato finale non potrà mai
essere vicino a come esso sia in una situazione di tessuto normale
e sano.
Questi autori hanno posto in discussione, senza sminuirne il
valore, gli indici radiografici della morfologia tipo pincer. È poco
chiara la rilevanza che le misure radiografiche di una radiografia
supina centrata possano avere in relazione a come un individuo
orienta le pelvi con le proprie attività di carico funzionale. Molti
172
Impingement femoro-acetabolare: trattamento artroscopico
fattori possono influenzare l’individuale orientamento pelvico. Un
esempio singolare è la variabilità con cui la cifosi o la lordosi lombare possano accentuare la flessione o la estensione pelvica ed alterare significativamente la sovra o sotto copertura dell’acetabolo.
Considerando la difficoltà nell’ottenere una visione radiografica
della pelvi AP supina ben standardizzata e centrata, se si cerca di
completarla con un’immagine radiografica con il paziente in posizione eretta, si potrebbero generare ampie incongruenze, per cui è
improbabile che si possano ottenere indici radiografici di una certa rilevanza.
Relativamente a questa relazione ci sono quattro importanti
domande. La prima: la correzione chirurgica (a cielo aperto o artroscopica) del conflitto femoro-acetabolare porta a risultati di
successo?
Su questo c’è un’ampia disponibilità di dati che, seguendo vari strumenti di misurazione dei risultati, dimostrano che una parte
importante di pazienti migliorano grazie al trattamento chirurgico.
La seconda domanda è se la correzione del conflitto femoroacetabolare altera o no l’evoluzione naturale della patologia.
Da questo punto di vista, sebbene si riportino risultati di successo, in assenza di un gruppo di reale confronto e controllo su
coloro in cui la patologia non venga trattata, non è possibile dare
una risposta scientificamente valida a questa domanda.
La terza domanda è: come possiamo confrontare i risultati del
trattamento artroscopico con il quelli relativi alla chirurgia aperta?
Ovviamente l’artroscopia permette una tecnica meno invasiva,
minori rischi di complicazioni ed una più facile riabilitazione che
non richiede alcuna ospedalizzazione. In ogni caso: risulta così efficace? Benché non esista un singolo lavoro che confronti i trattamenti a cielo aperto con quelli artroscopici, la letteratura supporta sempre di più che, in casi appropriatamente selezionati, le tecniche artroscopiche possano essere associate a risultati di successo. La visualizzazione e il rimodellamento osseo sono più completi se effettuati con una tecnica a cielo aperto.
Con un’accurata selezione e pianificazione dei pazienti appare
che la metodologia artroscopica possa avvicinarsi ad ottenere la
stessa precisione nel rimodellamento che è documentata nella chirurgia a cielo aperto. Aiutandosi con una tomografia 3-D, che può
essere utilizzata come piano di azione per il chirurgo artroscopico,
la pianificazione e la performance del rimodellamento può essere
completata con successo.
La quarta ed ultima domanda è: la correzione artroscopica del
conflitto di base può portare a migliori risultati rispetto ad una artroscopia in cui si affronti semplicemente la sola patologia dei tessuti molli? Ovviamente la correzione del conflitto rappresenta una
chirurgia più estesa e può, potenzialmente, creare problemi più
grandi. Non ci sono, al momento, studi randomizzati che confrontino i risultati artroscopici ottenuti con o senza la correzione del
conflitto. Nonostante ciò, in questo centro, c’è una base di dati
storici contenuti in un database di 15 anni di attività in base al
173
Capitolo 12
quale si può rispondere alla domanda. Ci sono molti pazienti che
sono stati sottoposti ad artroscopia prima che il FAI fosse riconosciuto come entità e nei quali la correzione non è stata fatta. Questo studio avrà una estensione su tutti i pazienti di cui si possiedono le informazioni, che devono essere rivisti con lo scopo di ottenere un confronto tra il gruppo di persone affette da conflitto non
trattate. Attendetevi sviluppi.
Avendo in chiaro le domande poste, vengono descritti i nostri
risultati. L’esperienza iniziale del trattamento artroscopico del
conflitto femoro-acetabolare ha dato l’83% di risultati buoni ed
eccellenti. Questo gruppo rappresenta una patologia ad uno stadio di danno articolare più avanzato con il 90% di IV grado (115)
e III grado (89). In generale l’85% è migliorato con solo un caso
(0,4%) che ha necessitato una conversione ad una protesi d’anca
totale.
Questi risultati si confrontano favorevolmente con quelli riportati con lussazione chirurgica a cielo aperto, compreso Beck e
altri, che riportano il 68% di risultati di successo con il 26% di
conversione a ricostruzione protesica totale e Murphy e altri, che
descrivono il 65% di successo con il 30% di conversione a propesi (8, 19).
Questi dati supportano il ruolo del trattamento artroscopico
nel conflitto femoro-acetabolare. Con la raccolta dati in corso, si
potranno identificare migliori indicatori prognostici, che permetteranno una migliore selezione dei pazienti per i quali si possano prevedere risultati favorevoli. Comunque, la tecnica è stata ulteriormente raffinata e può essere eseguita con minore morbilità; questo
permetterà anche l’estensione della procedura ai casi al limite delle
indicazioni. Quindi è difficile poter prevedere come questi risultati
possano cambiare con il crescere dell’esperienza ma i dati attuali
giustificano il suo ruolo per le attuali applicazioni.
CONCLUSIONI
Molti pazienti affetti da conflitto femoro-acetabolare possono
essere in modo appropriato indirizzati al trattamento artroscopico.
Ci si possono aspettare risultati di successo nella maggioranza dei
casi sempre che la procedura sia eseguita con una meticolosa attenzione ai dettagli. Ci sono numerosi vantaggi nel metodo artroscopico. Si tratta di un trattamento meno invasivo e vi sono meno
complicazioni e una facilitata riabilitazione post-operatoria.
La procedura artroscopica è più adatta a individui che contino
su un ritorno ad uno stile di vita attivo. Inoltre la diagnostica per
immagini può sottostimare la gravità della perdita articolare che
solo l’artroscopia può rendere evidente, per cui può essere completata da questa procedura poco invasiva in casi di problematiche
non evidenti ma avanzate.
174
Impingement femoro-acetabolare: trattamento artroscopico
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176
IMPINGEMENT FEMORO-ACETABOLARE:
TRATTAMENTO ARTROSCOPICO
Capitolo 13
Marc J. Philippon
Connor J. Hay
Karen K. Briggs
Mara L. Schenker
ABSTRACT
L’impingement femoro-acetabolare (FAI) è stato recentemente
riconosciuto come causa di: dolore all’anca, patologia labrale, danno condrale ed fattore preditore di una osteoartrosi nelle anche dei
pazienti. Storicamente il FAI veniva trattato in chirurgia aperta con
lussazione della articolazione. Il trauma ricevuto durante la procedura aperta in combinazione con una lenta riabilitazione limitò
l’approccio chirurgico e incoraggiò lo sviluppo di tecniche meno
invasive. Si è così sviluppata la tecnica artroscopica per il trattamento del FAI e lo scopo di questo capitolo è quello di riportare
l’approccio al trattamento per entrambi i tipi di impingement: Cam
e Pincer.
INTRODUZIONE
L’impigement femoro-acetabolare (FAI) si è recentemente rivelato come una causa di dolore all’anca ed è predittivo per lo sviluppo dell’osteartrosi precoce nell’anca (1, 2, 3). Questo termine descrive una anomalia strutturale della morfologica ossea, che può
alterare la distribuzione delle forze nell’articolazione e può essere
causa di potenziali danni alla struttura capsulo-labrale e alla cartilagine articolare.
Il concetto di FAI è stato ben definito da Ganz e collaboratorii (4, 5, 6). In determinate condizioni, una anormalità spaziale o
strutturale a carico del femore (cam) o dell’acetabolo (pincer)
danneggia le strutture labbro-acetabolari durante il normale movimento della articolazione. Si parla di cam-impingement quando
una testa femorale anormale viene in contatto con un acetabolo
normale. Il pincer-impingement è invece dovuto a un contatto tra
una testa del femore normale ed un acetabolo deformato, profondo e/o retroverso. Il modello di danno labrale o condrale risultante dall’impingement appare correlabile al tipo di impingement (5).
Nel cam-impingement, la prominenza ossea (“bump”) alla giunzione testa-collo prossimale o l’alterato offset testa-collo produce
una forza di taglio, spostando il labbro verso la capsula e la adia-
177
Capitolo 13
Figura 1
Delaminazione cartilaginea e distacco labrale
Figura 2
Contusione e appiattimento del labrum
178
cente cartilagine articolare verso l’articolazione. Se al danno labrale coesiste un danno condrale può essere rilevato un “segno dell’onda”, caratteristico della delaminazione della cartilagine articolare acetabolare adiacente all’area della lesione labrale o della
mancanza del labbro stesso.
Con insulti ripetuti il labbro può distaccarsi dalla rima acetabolare e la cartilagine può completamente delaminarsi (Fig. 1).
Nel pincer impingement l’eccessiva copertura acetabolare della testa del femore può indurre una avulsione della rima vicino al collo del femore. In aggiunta il labbro è essenzialmente bloccato tra
le strutture ossee, così è spesso contuso e appiattito. (Fig. 2). Con
un persistente pincer-impingement il labbro può degenerarsi con
formazione di cisti o ossificazione della fibrocartilagine. Un persistente pincer-impingement può condurre ad un difetto condrale
(lesione di contraccolpo) nell’acetabolo postero-inferiore o nella
testa femorale postero-mediale (5).
Il danno condrale risultante dal pincer-impingement è tipicamente meno severo dei danni risultanti dal un cam-impingement.
Diversi meccanismi, particolarmente quelli di anormale sviluppo, sono all’origine del FAI. Lo scivolamento dell’epifisi femorale
ha mostrato indurre un cam-impingement, causando danno al labbro e alla adiacente cartilagine articolare (6, 7, 8). Una insufficiente
riduzione delle fratture del collo del femore e una diminuita antiversione del collo del femore hanno mostrato essere causa di camimpingement (9, 10). Il pincer-impingement può essere causato da
una eccessiva copertura acetabolare come nella coxa profunda o
nella protrusione acetabolare, o da una eccessiva copertura anteriore data da una retroversione acetabolare (11, 12), e spesso si associa a una osteoartrosi dell’anca (13). Demograficamente il cam è
più comune nei giovani maschi e il pincer nelle atlete femmine.
Come descritto sopra è stato osservato che il FAI può causare
danni labrali e può condurre ad una osteoartrosi precoce. Perciò
la chirurgia ha lo scopo di eliminare i sintomi dell’impingement e
aumentare lo spazio intrarticolare, particolarmente in flessione ed
in intrarotazione, con la speranza di posporre la osteoartrosi.
Storicamente solo la osteoplastica open, per la decompressione del FAI, è stata descritta. Ganz e collaboratori hanno preferito
questo approccio per la possibilità di crearsi una visione a 360°,
senza ostruzioni, sulla testa femorale e sull’acetabolo (5, 14). Esistono rischi significativi per questa tecnica, tra le quali ossificazioni
eterotopiche, rigidità post-operatoria, neuroaprassia e fallimenti
della sintesi trocanterica (15). È nostra convinzione che tutte le
aree vicino alla giunzione testa-collo e nella rima acetabolare sono
sicuramente accessibili con l’artroscopio. Le recenti scoperte che
si sono ottenute con le tecniche artroscopiche e una valutazione
dinamico intraoperatoria dell’impingement hanno permesso al
FAI di essere trattato con procedure meno invasive rispetto alla
decompressione open(16). L’approccio artroscopico consente di
minimizzare il trauma chirurgico, riduce il dolore post-operatorio
e consente una più veloce riabilitazione per i pazienti.
Impingement femoro-acetabolare: trattamento artroscopico
PRESENTAZIONE CLINICA
Il principale sintomo nella storia clinica dei pazienti con FAI è
un dolore inguinale che inizia dopo un trauma minore ed è esacerbato dalla flessione dell’anca. I pazienti riferiscono anche dolore
causato da una posizione seduta prolungata, difficoltà nel mettersi
calze e scarpe oppure difficoltà a scendere o salire dall’auto. Per
quanto riguarda l’esame clinico, Philippon et al. hanno trovato la
flessione media essere 9° meno dell’altra gamba. L’abduzione media era di 4° in meno e la adduzione media era di 3° in meno rispetto all’anca sana. Anche la rotazione interna era di 4° in meno e la rotazione esterna media era di 3° in meno rispetto al lato controlaterale in pazienti che presentavano FAI (17). Inoltre il paziente avverte
dolore all’inguine quando l’anca è flessa a 90° e ruotata internamente. Questo è il cosidetto “impingement sign” ed è opinione diffusa che sia presente quando la prominenza ossea alla giunzione fra
testa del femore e collo impatta l’acetabolo e il tessuto labrale. Un
altro test per il FAI si esegue posizionando il paziente supino con
l’anca in posizione “a 4” o flessa-abdotta extraruotata (posizione
FABER). Il medico può misurare o osservare visivamente la distanza tra la superficie laterale al ginocchio e il lettino. Tipicamente
questa distanza è aumentata nei pazienti con FAI e un dolore laterale può essere riportato durante il test (Fig. 3) (18). Un completo esame dell’anca deve essere fatto in aggiunta a queste manovre specifiche. Una completa analisi della storia clinica, dei test di motricità e
dei test di range del movimento dovrebbero essere fatti per ogni paziente.
Un esame radiologico completo per un paziente con FAI include radiogrammi in proiezione anteriore-posteriore [AP] e assiale e una risonanza magnetica (RMN) con mezzo di contrasto
(gadolinio). La proiezione AP potrebbe essere utilizzata per valutare il segno del cross-over, che potrebbe essere indicativo per un
acetabolo retroverso e il segno del muro posteriore, indicativo per
una coxa profunda (11, 19) (Fig. 2). La radiografia in assiale offre
una buona visione per valutare l’offset testa collo del femore e i
gradi di anteroversione del collo del femore (20) (Fig. 4). Johnston
e collaboratori hanno condotto uno studio valutando la misurazione dell’angolo alfa attraverso proiezioni assiali in pazienti con FAI
e la sua relazione con la prevalenza di lesioni condrali. Essi hanno
trovato che il FAI di tipo cam, misurato con incremento dell’angolo alfa, era correlato con un aumento delle lesioni condrali, delle
lesioni labrali e un decremento del range di movimento (21).
Figura 3
FABER test
Figura 4
Radiografia in proiezione antero-posteriore
TECNICA CHIRURGICA
Posizionamento del paziente
Nel metodo proposto (22), il paziente è posto nella posizione supina modificata con l’arto da operare in 15 di flessione, 35 di rotazione interna, 15 di inclinazione laterale, e 45 di abduzione (Fig. 5).
Un post molto grande e soffice viene posizionato in regione perineale per minimizzare il rischio di lesioni del nervo pudendo.
179
Capitolo 13
Figura 5
Posizione supina modificata
Figura 6
Posizione dei portali
Viene eseguita una prima trazione per aprire l’articolazione e
togliere il vacuum articolare.
La gamba è poi addotta lievemente sopra il post, con ciò si
tende la capsula e si ha lo spostamento della testa femorale. Una
trazione addizionale, tipicamente dalle 25 alle 50 libbre è richiesta
per creare circa 10 mm di distrazione per un accesso sicuro. Una
immagine fluoroscopica è utilizzata per verificare l’avvenuta e sufficiente distrazione. Una minima controtrazione è applicata nella
gamba controlaterale per ridurre la trazione necessaria alla distrazione della gamba operata.
Posizionamento dei portali
Due portali (antero-laterale e anteriore) sono raccomandati
per la decompressione sicura e adeguata del FAI e per la visualizzazione ottimale ed il trattamento delle patologie associate intraarticolari (Fig. 6). Utilizzando l’ottica a 70°, il portale antero-laterale offre una visione del comparto centrale (capsula anteriore,
labbro, e superficie anteriore condrale della testa del femore), legamento ileo-femorale, tendine ileo-psoas, fossa cotiloidea, legamento rotondo, legamento trasverso, e la maggior parte dell’acetabolo.
Il labbro postero-superiore, la capsula posteriore, il compartimento posteriore, il legamento rotondo possono essere visualizzati attraverso il portale anteriore. Inoltre, il portale anteriore fornisce una buona visione del compartimento periferico, tra cui il collo femorale anteriore, la giunzione testa-collo, la zona orbicularis,
l’inserzione distale del legamento capsulare. Sotto visualizzazione
diretta, un ago da spinale viene introdotto nella capsula con la zona orbicularis come punto di riferimento anatomico. Un filo guida
viene quindi inserito attraverso l’ago e un trocar smusso cannulato consente un accesso sicuro nella articolazione.
Tecnica per il Cam-impingement
Il primo passo nel trattamento del cam-impingement è quello
di affrontare le patologie associate intra-articolari. Ciò può includere la riparazione labrale o il debridement, e le microfratture del
femore o dell’acetabolo. Il passo successivo si verifica dopo che la
lesione è stata visualizzata con l’artroscopio nel portale anteriore.
Una lama lunga del motorizzato viene introdotto attraverso il
portale laterale per la pulizia di qualsiasi tessuto capsulare che
possa ostacolare una visione completa della testa del femore e del
collo. Una osteoplastica dell’impingement viene eseguita con una
fresa lunga dello shaver attraverso il portale laterale. Durante tutta la procedura, l’anca può essere flessa o estesa, abdotta e addotta, ruotata internamente ed esternamente in modo dinamico per
valutare la lesione dovuta dall’impingement. In queste posizioni
dell’anca la fresa motorizzata può essere utilizzata per resecare
l’osso che crea impingement.
Si deve usare cautela quando ci si avvicina alle porzioni ante-
180
Impingement femoro-acetabolare: trattamento artroscopico
ro-laterale e postero-laterale della giunzione testa-collo per la presenza dei rami dell’arteria circonflessa mediale (vasi del retinacolo
laterale) che perforano la capsula articolare e corrono lungo le regioni del collo femorale (Fig. 7).
Capire l’anatomia del sistema vascolare è fondamentale per
evitare una necrosi avascolare conseguenti all’osteoplastica (23).
L’obiettivo del debridement nel cam è quello di eliminare
l’osteofita che urta il labbro e il bordo acetabolare, e ripristinare la
sfericità anatomica della testa femorale. Una delle obbiezioni sollevate durante la decompressione del FAI è la quantità di osso che
può essere rimosso senza aumentare il rischio di frattura del collo
del femore. Un recente studio ha dimostrato che la resezione in un
cadavere fino al 30% della porzione antero-laterale di un femore
morfologicamente normale non ha alterato la capacità portante (24). Una resezione più grande del 30% tuttavia, ha provocato
una diminuzione del carico richiesto per causare una frattura. Sebbene questo studio debba essere utilizzato come linea guida per la
massima resezione, è difficile interpretare i risultati per quanto riguarda una testa morfologicamente anormale. Nella nostra esperienza, fresare sino ad una profondità di circa 5-8 millimetri è stato clinicamente osservato essere una procedura sicura ed efficace.
Per valutare la corretta pulizia articolare, l’anca operata può
essere flessa oltre i 90° e ruotata internamente sotto visualizzazione diretta attraverso il portale anteriore. Inoltre, la gamba deve essere portata in abduzione completa e di nuovo flessa a 90° internamente ed esternamente. Se viene visualizzato un impingement
in questa posizione, è necessaria una ulteriore resezione. Il successo della decompressione è ottenuto quando non c’è impingement
tra la testa-collo del femore, il labbro e l’acetabolo durante i test
dinamici.
Figura 7
Vasi lungo il collo e la testa femorale
Tecnica per il Pincer-impingement
Il pincer-impingement si verifica quando l’acetabolo copre anteriormente la testa del femore. Il primo passo per la resezione di
una lesione pincer è la definizione dei margini palpandoli con uno
strumento flessibile. Come accennato in precedenza, altri indizi
per riconoscere l’impingement pincer possono essere un labbro cistico, degenerato, piatto o contuso (5). La quantità di bordo acetabolare che può essere rimosso in tutta sicurezza può essere determinato sulla base delle misure calcolate sulle radiografie dell’angolo CE.
Una volta che il bordo acetabolare è misurato e i margini di una
lesione pincer sono stati riconosciuti, uno shaver motorizzato è usato per eliminare tutti i tessuti molli dell’acetabolo sovrastante e per
definire il piano tra il labbro e il bordo acetabolare. Se la lesione è
di dimensioni modeste, una fresa motorizzata è inserita nel portale
anteriore e la prominenza anteriore è accuratamente eliminata.
Se la lesione è grande, un osteotomo artroscopico può essere
inserito tramite il portale anteriore per separare con attenzione il
labbro anterosuperiore dalla sua inserzione ossea.
181
Capitolo 13
Figura 8
Osteotomo usato per rimuovere una lesione di tipo pincer dall’acetabolo
L’osteotomo viene poi immesso sulla porzione anterosuperiore
dell’acetabolo e piccole porzioni del bordo sono asportate fino a
quando la maggioranza della lesione è stata rimossa (Fig. 8). La
fresa motorizzata completa quindi il lavoro di resezione per rimodellare l’acetabolo.
È fondamentale evitare una resezione eccessiva del bordo acetabolare per evitare una instabilità futura. Se staccato durante tale
procedura, il labbro deve essere reinserito al bordo superiore acetabolare con delle ancore (21).
In un recente studio, abbiamo dimostrato che l’ammontare
della variazione del angolo CE può essere previsto con precisione
in base alla quantità di acetabolo rimosso dopo il trattamento del
pincer impingement (25). Con l’utilizzo di un modello di regressione, gli autori hanno trovato che il cambiamento dell’angolo CE
potrebbe essere determinato dalla seguente formula: cambio angolo CE = 2.1 + (0.2 x riduzione del bordo in millimetri). Pertanto,
cinque millimetri di resezione ossea è uguale a 3,2 gradi di variazione dell’angolo (25).
Dopo resezione del pincer, è importante far scivolare l’artroscopio nel compartimento periferico attraverso il portale anteriore
per visualizzare la giunzione testa-collo. Patologie miste cam-pincer sono molto comuni e per un successo post-operatorio è necessario affrontarle assieme.
GESTIONE DEL POST OPERATORIO
Dopo la osteoplastica per un impingement cam o pincer, del
gel piastrinico autologo viene iniettato direttamente sul collo del
femore per ridurre il sanguinamento e promuovere una precoce
guarigione dei tessuti. Una gamma di esercizi di movimento sono
effettuati entro quattro ore nel post-operatorio per ridurre il rischio di sviluppare aderenze dei tessuti. Il carico è concesso parzialmente per 2 settimane in pazienti sottoposti ad una artroscopia
standard per cam o pincer impingement. Se vengono eseguite microfratture o altri trattamenti condrali questo può essere esteso a
otto settimane. Speciali calzari ai piedi sono indossati durante la
notte per 14-21 giorni per il controllo di rotazione e abduzione.
Un tutore viene utilizzato durante la deambulazione per 14-21
giorni nel post-operatorio per il controllo muscolare e una leggera
abduzione. Una macchina per movimento passivo continuo viene
utilizzata per due settimane nel post-operatorio per quattro ore al
giorno. Nel complesso, la riabilitazione è fondamentale per avere
risultati positivi dopo una artroscopia dell’anca (26).
RISULTATI
Abbiamo seguito 124 pazienti che hanno subito il trattamento
artroscopico per impingement femoro-acetabolare dall’autore senior tra marzo 2005 e ottobre 2005 (27). Questi pazienti dopo 2 an-
182
Impingement femoro-acetabolare: trattamento artroscopico
ni dalla chirurgia hanno compilato dei questionari per una valutazione soggettiva del loro follow-up.
La loro valutazione dell’Harris Hip modificato è migliorata, da
58 pre-operatorio a 84 post-operatorio, e la soddisfazione media
del paziente era 8,4 su 10 (27). Inoltre, l’autore senior ha eseguito
un intervento chirurgico in artroscopia dell’anca in 16 atleti adolescenti tra marzo 2005 e maggio 2006 (28). L’età media di questi pazienti al momento della chirurgia era di 15 anni e il tempo medio
di follow-up è stato di 1,4 anni. Il punteggio Harris Hip modificato era migliorato di 35 punti, da 55 pre-operatoria al 90 post-operatorio. Inoltre, il loro punteggio con riferimento allo sport era migliorato di 56 punti, da 33 pre-operatorio a 89 post-operatorio. La
soddisfazione media dei pazienti era di 9 su 10 (28).
Storicamente, una procedura aperta con lussazione chirurgica
per la decompressione del FAI è stata proposta per fornire una libera visione a 360° del femore e dell’acetabolo (5, 14). Bizzini e colleghi hanno effettuato uno studio di cinque giocatori di hockey
professionisti che hanno subito la decompressione chirurgica dell’anca con tecnica open(29). Essi hanno scoperto che tre atleti sono
stati in grado di ritornare al più alto livello e due atleti hanno dovuto tornare a giocare a hockey su ghiaccio in Minor League.
I giocatori sono tornati alla pratica sportiva senza restrizioni
dopo un tempo medio di 6,7 mesi ed erano in grado di partecipare alla loro prima partita ufficiale dopo una media di 9,6 mesi dopo l’intervento (29). Al contrario, l’autore ha monitorato 45 atleti
di alto livello professionale, a seguito di decompressione artroscopica del FAI (30). Ha riscontrato che 42 (93%) degli atleti erano
tornati allo sport professionistico dopo un intervento chirurgico
ed i tre pazienti che non avevano ripreso a giocare avevano osteoartrosi diffusa già al momento della artroscopia. 35 (78%) dei 45
atleti sono rimasti attivi a livello professionale per circa 1,6 anni
dopo artroscopia dell’anca (30).
DISCUSSIONE
L’ impingement femoro-acetabolare è stato recentemente riconosciuto come una delle principali fonti di dolore all’anca, di lesioni labrali, danni condrali , e artrosi precoce nel paziente. In
passato, le lesioni labrali e le patologie condrali sono state considerate come patologie isolate e le lesioni coesistenti sono state
spesso ignorate (31).
Anche se il debridement del labbro può produrre immediatamente un sollievo al dolore post-operatorio, esiti a lungo termine
di debridement del labbro non sono stati promettenti (31). Pertanto, il trattamento isolato delle patologie dei tessuti molli può non
essere adeguata senza affrontare contemporaneamente le anomalie
morfologiche di base. Ganz e collaboratori hanno proposto il FAI
come il meccanismo di base in una porzione significativa delle lesioni labrali (4, 5). Inoltre, il FAI ha dimostrato essere una causa significativa di osteoartrosi precoce dell’anca (1, 2, 3, 6, 7). Di conse-
183
Capitolo 13
guenza il trattamento artroscopico dell’impingement così come
della patologia associata si è pensato che migliori i sintomi del paziente. Nel complesso, i pazienti che si presentano con dolori all’anca dovrebbero essere valutati per i segni ed i sintomi del FAI,
oltre a quelli di lesioni condrali e labbrali. La crescita progressiva
dell’artroscopia ha consentito lo sviluppo di questa nuova tecnica.
I vantaggi per l’approccio artroscopico sembrano essere una minimizzazione del trauma chirurgico, riduzione della morbilità postoperatoria e un recupero migliore. Trattando con una artroscopia
il FAI in fase iniziale, si ha la speranza che la progressione dell’osteoartrosi sarà ritardata o impedita completamente e che i risultati a lungo termine possano migliorare.
184
Impingement femoro-acetabolare: trattamento artroscopico
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IMPINGEMENT FEMORO-ACETABOLARE:
TRATTAMENTO ARTROSCOPICO
Capitolo 14
Michael Leunig
Nicola Mondanelli
Michael SH Kain
INTRODUZIONE
Il primo tentativo descritto di artroscopia dell’anca venne fatto da Burman nel 1931, egli asserì che “è palesemente impossibile
inserire un ago tra la testa del femore e l’acetabolo.” (Burman
1931). I progressi nell’artroscopia dell’anca sono stati molto più
lenti, se paragonati a quelli del ginocchio e della spalla.
Ciò è dovuto all’anatomia dell’articolazione dell’anca, che limita l’accessibilità artroscopica e la manovrabilità degli strumenti.
Allo stesso tempo sono stati fatti negli ultimi anni progressi significativi nella comprensione della patologia dell’anca, e l’ipotesi
è che le piccole alterazioni nella morfologia dell’anca possano causare col tempo un danno meccanico e portare ad un inizio di
osteo-artrosi.(Ganz 2003, Wenger 2004, Beck 2005, Ganz 2008).
Il termine conflitto femoro-acetabolare (FAI) è usato per descrivere queste alterazioni morfologiche, e le osservazioni fatte durante
il trattamento chirurgico aperto del FAI hanno portato alla comprensione della patologia e del relativo meccanismo ed all’ipotesi
che il FAI possa essere una causa di osteo-artrosi primaria. (Ganz
2003, Beck 2004, Ito 2001) La lussazione chirurgica dell’anca ha
permesso inoltre il riconoscimento di varie tipologie di danno all’interno dell’articolazione in base alle diverse morfologie di FAI.
(Beck 2005) Sono stati identificati due tipi differenti di FAI, tipo
“Cam” e tipo “Pincer”, sebbene circa il 70% dei casi mostri una
forma combinata (Beck 2005, Ganz 2003).
Il tipo “Pincer” è caratterizzato da una copertura in eccesso
parziale (per esempio una retroversione acetabolare) o globale
(per esempio una coxa profunda o protrusio) dell’acetabolo, e ciò
porta ad un impatto del bordo acetabolare contro la giunzione testa-collo. La prima struttura a venir interessata è il labrum, che si
degenera con il formarsi di fissurazioni al suo interno, formazione
di gangli e ossificazioni. In seguito, anche la cartilagine acetabolare adiacente al labrum coinvolto comincia a degenerarsi. Con il
tempo, la zona di impatto sul collo femorale mostra una erosione
tipo sella. La cartilagine della testa femorale non viene coinvolta
per lungo tempo; solo più tardi nel processo ci sarà una abrasione
189
Capitolo 14
A
C
B
D
Figura 1
Impingement femoroacetabolare: A) Anca normale, B) FAI Cam, C) FAI pincer, D) FAI combinato. (da
Lavigne et al.ref)
A
B
C
D
Figura 2
Meccanismo di lesione del FAI. A, B) Tipo Pincer;
C, D) Tipo Cam. (da Beck et al. ref)
190
della cartilagine nella parte postero-inferiore della articolazione,
sulla testa e/o sull’acetabolo, chiamata “lesione da contraccolpo”.
Il tipo “Cam” è definito da un profilo non sferico della testa
femorale che urta contro il bordo acetabolare. Il labrum non rimane coinvolto per un tempo piuttosto lungo, mentre la cartilagine
acetabolare viene avulsa dal labbro ed in seguito dall’osso subcondrale e spesso si sviluppano cisti alla giunzione del testa-collo. La
cartilagine della porzione non sferica della testa (zona non soggetta a carico) mostra precocemente nel processo di malattia un danno di superficie, mentre è soltanto quando il difetto sulla cartilagine acetabolare è abbastanza esteso e la testa femorale si muove in
esso, che la cartilagine della parte sferica della testa (zona soggetta a carico) viene chiamata in causa (Fig. 1 e 2). Anche se il FAI
può avvenire in tutta la articolazione femoro-acetabolare, la parte
più comunemente affetta è la antero-laterale ed il conflitto è prodotto tramite rotazione interna del femore in flessione. Il conflitto
“Pincer” è più frequentemente riscontrato in donne di mezza età
che praticano attività sportive, mentre il conflitto “Cam” è più comune in giovani maschi e atleti. Il FAI di tipo cam è più distruttivo del FAI di tipo pincer, anche se i sintomi sono spesso meno
pronunciati; il labrum contiene fibre nocicettive (Kim 1995) e
questa è la spiegazione più probabile per l’incremento del dolore
segnalato dalle donne che soffrono di FAI di tipo pincer rispetto
agli uomini che soffrono di FAI di tipo cam.
Essendo il FAI un problema intrarticolare ed essendo la lussazione chirurgica, descritta per trattare il problema, abbastanza invasiva e complicata, è cresciuto un forte interesse sul trattamento
artroscopico del FAI. (Sampson 2005, Bare 2005, Weiland 2005,
McCarthy 2006, Philippon 2007, Ilizaliturri 2008).
La lussazione chirurgica rimane il modo più efficace di trattare il FAI e di affrontare tutti i problemi morfologici. L’artroscopia
d’anca presenta molti vantaggi teorici sulla chirurgia aperta, su come si possano raggiungere gli stessi obiettivi chirurgici parimenti
alla metodica aperta. L’artroscopia può essere fatta come intervento ambulatoriale o con una sola notte di pernottamento; elimina
l’esigenza di una grande incisione, evita la lussazione, permettendo quindi un recupero più rapido e rimuove il rischio di fratture
trocanteriche. Evitando la lussazione, l’artroscopia d’anca elimina
la necessità di resecare il legamento rotondo ed anche se gli studi
vascolari hanno dimostrato che la vitalità della testa femorale è indipendente da esso, (Beck 2004, Ganz 2001, Gautier 2000, Nötzli
2002) le terminazioni nervose nel legamento rotondo possono
svolgere un ruolo nella propriocezione che ancora non è chiaro.
(Leunig 2000) Infine, le strutture capsulo-legamentose sono meno
sollecitate e quindi diminuisce il rischio di instabilità postoperatoria. (Byrd 1994, Glick 2001, McCarthy 1995) Sono state descritte
diverse tecniche per l’artroscopia d’anca, così come diverse tecniche per il trattamento artroscopico del FAI. Qui presentiamo le
nostre indicazioni per il trattamento artroscopico del FAI e la nostra attuale tecnica, che consiste in un approccio a 2 portali, co-
Impingement femoro-acetabolare: trattamento artroscopico
minciando dalla artroscopia del compartimento centrale sotto trazione per poi concentrare l’attenzione al compartimento periferico, sia in trazione che senza trazione, con il paziente in posizione
supina.
INDICAZIONI
Le indicazioni per l’artroscopia d’anca continuano a evolversi
e attualmente comprendono una lista relativamente lunga di patologie. Alcune sono chiare indicazioni per l’artroscopia d’anca,
mentre altre sono meno accettate ed ovvie ed ancora devono essere ben definite. Le nostre indicazioni per l’artroscopia d’anca sono elencate in tabella 1.
Tabella 1 Le nostre indicazioni per l’artroscopia d’anca e relative procedure
Indicazioni per l’artroscopia
Procedure
Corpi mobili (es. esiti di fratture-lussazioni)
Rimozione di corpi mobili
Impingement Femoro-acetabolare (tipo Cam)
Osteocondroplastica del collo femorale
Impingement Femoro-acetabolare (tipo Pincer)
Resezione acetabolare, ± rifissazione del labbro
Impingement Femoro-acetabolare (tipo misto)
Osteocondroplastica ± resezione acetabolare
Capsulite adesiva (post-precedente chirurgia o post-trauma)
Debridment della adesione, capsular release
Lesioni labrali
Debridment, riparazione
Lesioni condrali
Debridment, condroplastica, microfratture
Osteoartrosi precoce
Debridment
Clohishy e coll. (2005) hanno proposto un sistema per suddividere i pazienti in cinque gruppi, basati su tre parametri, utili come
linee guida di riferimento per il loro trattamento. I disturbi dell’anca possono essere caratterizzati dalla localizzazione anatomica della
malattia, la presenza o l’assenza di anomalie ossee strutturali ed il
grado di degenerazione dell’articolazione. L’artroscopia d’anca è
una valida opzione di trattamento per le patologie intra-articolari in
assenza di anomalie strutturali (lesioni labrali e condrali, corpi mobili, sinoviti) e in presenza di lievi anomalie strutturali con deformità articolari (FAI Cam, FAI pincer, Cam secondario a lieve SCFE)
in assenza di degenerazione avanzata dell’articolazione. Nella nostra pratica, più del 95% delle artroscopie d’anca sono state effettuate per trattare lesioni labrali/condrali secondarie a un FAI, ed il
rapporto attuale fra il trattamento aperto e quello artroscopico del
FAI è di 50% - 50%, ma il trattamento artroscopico sta aumentando costantemente. È importante trattare sia le lesioni labrali/condrali che l’anomalia strutturale di fondo per tentare d’ottenere un
risultato favorevole: se la causa primaria può essere trattata artroscopicamente, allora si potrà effettuare l’artroscopia. Se la causa
primaria richiede il trattamento aperto, allora sceglieremo il trattamento aperto. L’approccio deve essere adeguato alla patologia e
non alle preferenze tecniche del chirurgo.
191
Capitolo 14
Nel caso di FAI senza deformità extra-articolari, la nostra decisione è basata sui parametri radiografici: localizzazione del segno
di “cross-over„ (Jamali 2007), del segno del “posterior wall” e della retroversione acetabolare (Ezoe 2006, Kalberer 2008) e sull’integrità e sulla qualità del labrum. Per il FAI di tipo cam puro o per
il FAI di tipo cam congiunto ad un lieve FAI di tipo pincer con un
segno “di cross-over” all’interno del quarto superiore, preferiamo
un approccio artroscopico per effettuare la procedura di osteocondroplastica sulla testa-collo femore. Se il labrum è intatto, non
trattiamo la rima acetabolare. Se il labrum è degenerato o rotto,
viene resecato artroscopicamente. Se tramite RX e MRI si individua un FAI di tipo pincer puro (sia locale o globale) o di tipo pincer prevalente in un FAI di tipo cam e pincer congiunto, con segno “di cross-over” all’interno del secondo quarto ed un labrum
intatto, allora è preferita una lussazione chirurgica. Il labrum è distaccato dalla circonferenza della rima ossea, e riattaccato con ancore dopo aver cruentato la rima, essendo impossibile il metodo
artroscopico nelle parti più mediali e più posteriori del labrum. Se
è presente un’anomalia ossea strutturale importante, deve essere
scelto un metodo diverso; per esempio se il FAI è dovuto a una retroversione acetabolare, con un segno di “cross-over” inferiore, un
segno “posterior wall” positivo e una spina ischiatica sporgente
nel bacino, allora deve essere valutata la possibilità di effettuare
una osteotomia pelvica inversa. (Siebenrock 2003) Infine, nel caso
di un paziente con FAI, che presenta già i segni secondari di
osteo-artrosi, con danno degenerativo labrale e della cartilagine,
sclerosi dell’osso subcondrale e riduzione dello spazio articolare,
viene considerata la possibilità di una procedura di resurfacing.
TECNICA CHIRURGICA
Set-up della sala operatoria
Per effettuare una artroscopia d’anca occorre un’equipe molto
bene organizzata ed addestrata e l’utilizzo di strumentario dedicato. Si devono avere a disposizione ottiche da 70° e 30°, essendo la
prima più utile e più utilizzata durante la procedura. L’ottica da
70° è utile per visualizzare la periferia dell’articolazione, del labrum acetabolare e della porzione inferiore della fossa cotiloidea,
mentre l’ottica da 30° garantisce la visualizzazione della porzione
centrale dell’acetabolo, della testa femorale e della porzione superiore della fossa. (Dvorak 1990, Byrd 2005). Nella nostra pratica,
per il trattamento del FAI, abbiamo bisogno solo dell’ottica a 70°
(Karl Storz Endoskope). L’uso della pompa artroscopica fornisce
significativi vantaggi nell’anca. Un sistema ad alto flusso permette
la distensione liquida dell’articolazione senza la necessità di eccessiva pressione. Ciò è importante per una sufficiente visualizzazione e sicurezza, essendo presente, con pressioni superiori, un rischio di stravaso di liquido nei tessuti periarticolari e nello spazio
intra-addominale, mentre un sistema a gravità non permette di
controllare in maniera precisa il flusso. Utilizziamo una pompa
192
Impingement femoro-acetabolare: trattamento artroscopico
FMS, che può controllare ingresso ed uscita dei fluidi per mantenere una pressione costante, ha funzioni integrate con il sistema
motorizzato o possiamo interfacciarla ad un altro sistema motorizzato. Nella nostra pratica, non creiamo un portale di uscita, poichè non è essenziale. La pressione della pompa è fissata a 50
mmHg e aggiungiamo 0.1 mg di adrenalina in ogni sacca da 5 lt.
di fisiologica per contribuire ad ottenere la emostasi e per migliorare la visualizzazione.
Un intensificatore di brillanza è utile come supporto in alcuni
punti della procedura, come la distrazione dell’articolazione, il posizionamento del portale e per valutare il grado di resezione ossea
effettuata. Prima di fare il campo, il paziente viene valutato in proiezione AP e in ”Frog Lateral” per due motivi. In primo luogo, ci
assicuriamo che si abbiano nell’intra-operatorio immagini di buona qualità e secondariamente per avere un riferimento per la valutazione della resezione ossea.
Strumenti dedicati per l’artroscopia d’anca sono utili e devono essere disponibili. Possono essere utilizzati normali strumenti
da spalla o da ginocchio ma occasionalmente possono risultare
troppo corti, sia nei pazienti più grossi sia quando, durante la
procedura, si presenta un edema dei tessuti. Nella artroscopia per
un FAI, il chirurgo dovrebbe accertarsi che siano disponibili gli
strumenti adeguati. Questi consistono in una serie di otturatori
cannulati, cannule finestrate, estensori di irrigazione, bisturi artroscopici, e un assortimento di strumenti manuali e pinze da presa
disegnati per l’anca. Questi inoltre devono essere più lunghi e di
costruzione robusta per minimizzarne il rischio di rottura. Sono
state sviluppate speciali lame lunghe e frese per il sistema motorizzato. Sono state create delle cannule extra-lunghe, adattandole
in modo che possano essere utilizzate con artroscopi standard.
Inoltre utilizziamo uno speciale otturatore cannulato smusso munito di un manico a T modulare in modo tale da essere usato con
un filo guida al Nitinol. Il Nitinol è una lega del Nichel-Titanio
con proprietà di memoria di forma che è flessibile e resistente al
piegamento. Sono disponibili cannule di diametro differente (4.5,
di 5.0. e 5.5 millimetri) e sono state disegnate cannule finestrate
per poter invertire artroscopio e strumenti da un portale all’altro
o per poter far passare strumenti curvi. L’ablazione termica ed i
dispositivi a radiofrequenza hanno mostrato vantaggi specifici nell’anca. Il loro piccolo diametro e la flessibilità permettono l’accesso ai recessi articolari a cui è difficile accedere con le lame del sistema motorizzato, e sono spesso molto più efficaci a rimodellare
i tessuti molli. (Byrd 2005)
Posizionamento del paziente
Il paziente è supino su un tavolo standard da frattura ed è in
anestesia generale, il che ci permette un miglior rilasciamento muscolare, per ottenere la distrazione ottimale dell’anca con la minima quantità di trazione. Può anche essere usata l’anestesia regionale (spinale), ma è più difficile ottenere un adeguato blocco mo-
193
Capitolo 14
Figura 3
Il reggi arto-pneumatico.
194
torio per assicurarsi il rilassamento muscolare completo. Occorre
cura nel proteggere i genitali e il sostegno perineale deve essere
imbottito molto bene. Utilizziamo un supporto in poliuretano di
20 cm. di diametro per distribuire la pressione su una superficie
maggiore e per ridurre il rischio di lesioni del nervo pudendo
(neurapraxia da compressione) o di ematoma degli organi genitali dopo una trazione prolungata. (Sampson 2001, McCarthy 2006,
Clarke 2003, Funke 1996 ) Il supporto è spostato verso il lato
operato, contro la coscia mediale, per ottenere una certa lateralizzazione della coscia e ottimizzare il vettore della trazione per la
distrazione dell’articolazione che è obliquo rispetto all’asse del
corpo e parallelo al collo femorale piuttosto che all’asse femorale.
(Byrd 1994, Byrd 2001) Questo inoltre allontana il supporto dalla zona del nervo pudendo. Entrambi i piedi sono posti in scarpa
in modo da eseguire una minima controtrazione sull’arto non
operato, mentre l’arto operato è attaccato al tavolo di trazione
tramite un sistema pneumatico (SPIDER, Tenet Medical Engineering Inc., CAN; distribuito da Smith&Nephew, USA.)
Un tale sistema permette il posizionamento stabile e la trazione dell’arto, ma deve essere posta attenzione, nel posizionarlo correttamente all’inizio della procedura perché conservi la possibilità
di una ulteriore trazione, che il giunto distale sia posizionato almeno 20 cm sopra il giunto prossimale (Fig. 3). Per la seconda parte
della procedura, quando liberiamo la trazione, lo SPIDER offre la
possibilità di muovere facilmente l’arto e di mantenerlo nella nuova posizione. Può essere usato anche con i pazienti grandi e pesanti. Qualora si fosse interessati a misurare la trazione applicata, può
essere incorporato nel reggi-piede un dinamometro. (Byrd 2005)
Viene applicata una modesta trazione all’arto controlaterale, lievemente abdotto, questo permette l’adduzione dell’arto operato e
l’inserimento dell’amplificatore di brillanta fra gli arti del paziente
per ottenere proiezioni antero-posteriori (AP) e “frog lateral” dell’anca. Per ottenere la sufficiente distrazione dell’anca, l’arto operato è inizialmente posizionato lievemente in flessione (10°), nella
sua rotazione interna massima e a 30° di abduzione per migliorare
il vettore di forza. Sotto controllo fluoroscopico, si applica delicatamente la trazione. Quindi l’arto operato è addotto a posizione
neutra; la sufficienza della distrazione è confermata dall’allargarsi
dello spazio articolare in proiezione AP sull’intensificatore (Fig.
4). Se una distrazione sufficiente è stata ottenuta, si può osservare
un’apertura dell’articolazione di 6-10 millimetri e un’area di radiolucenza intorno all’apice della testa femorale. Sull’intensificatore è
possibile vedere differenti opacità dell’osso, della cartilagine della
testa femorale ed a volte del labrum, relativamente all’artrogramma vuoto/aria. (Byrd 2000) Se risulta difficile ottenere una buona
distrazione, un’opzione può essere di entrare prima nel compartimento periferico, di effettuare una capsulotomia parziale ed allora
applicare più trazione. (Dienst 2005) La distrazione è mantenuta e
l’arto viene preparato in maniera usuale come per il trattamento
delle fratture prossimali, facendo attenzione a lasciare accessibilità
Impingement femoro-acetabolare: trattamento artroscopico
A
B
C
Figura 4
Distrazione dell’anca. A, B) L’anca è 10° in flessione, 30° abduzione, massima rotazione
interna, e con trazione applicata. C, D) L’adduzione dell’arto permette l’apertura dell’articolazione
all’anca anteriore e laterale ed alla coscia prossimale. Il tempo dell’applicazione della trazione va segnato ed il tempo di trazione
continua è limitato a meno di 2 ore.
Approccio e posizionamento dei portali
Il chirurgo prende posizione davanti all’anca e l’assistente distalmente al primo operatore, per contribuire a manovrare l’arto.
Vengono preparati due servitori; uno è posizionato prossimalmente al chirurgo, con gli strumenti utilizzati più frequentemente e
l’altro dietro l’assistente con altri strumenti meno utilizzati. La colonna artroscopica è disposta sul lato controlaterale davanti al chirurgo, mentre il monitor dell’intensificatore è posto più distale
verso i piedi del paziente. La ferrista la strumentista rimane fuori,
fino a che è stato preparato il campo chirurgico (Fig. 5). I pedali
per gli strumenti artroscopici (pompa, sistema motorizzato, radiofrequenze) e per l’intensificatore sono posizionati ai piedi del chirurgo, mentre l’assistente ha accesso al pedale del reggi-arto pneumatico per riposizionare l’arto, se necessario. I repere anatomici
come la spina iliaca anteriore superiore (ASIS), la cresta iliaca, il
gran trocantere e la diafisi laterale del femore e l’arteria femorale
possono essere disegnati sulla pelle come repere per il posizionamento del portale. Tipicamente, tre portali di base sono stati descritti (antero-laterale, anteriore e postero-laterale), con vari portali accessori. La nostra tecnica utilizza due portali, un portale antero-laterale, che è il primo ad essere effettuato sotto fluoroscopia e
un portale medio-anteriore, creato per visione diretta dal portale
antero-laterale (Fig. 6).
D
Portale Antero-laterale
Questo portale è stato descritto anche come “portale peritrocanterico anteriore„ (Dorfmann 1988) dato che è posizionato oltre
Figura 5
Set-up della sala operatoria
195
Capitolo 14
Figura 6
Repere anatomici per i portali antero-laterale e
medio anteriore
196
il gran trocantere; questo è il primo portale da creare ed è fatto
sotto controllo fluoroscopico. Nella nostra tecnica a 2 portali, il
portale antero-laterale è un po’ più prossimale e posteriore rispetto al portale “peritrocanterico anteriore„ usuale.
Il punto di ingresso sulla pelle è disposto da 1 a 2 cm superiore
e da 1 a 2 cm posteriore rispetto all’angolo antero-superiore del
gran trocantere; il punto di partenza può essere regolato in base alle dimensioni del gran trocantere e dell’angolo tra collo e asse femorale. Inizialmente, un ago spinale 17 G, lungo 18 cm, viene inserito
in posizione sotto il controllo dell’intensificatore; l’ago è avanzato
medialmente e lievemente cefalico per raggiungere la capsula, parallelamente al pavimento dato che l’arto è ruotato internamente.
Se il portale è posizionato troppo cefalico, si rischia di lesionare il
labrum superiore quando la camicia dell’artroscopio penetra la
capsula articolare. Il labrum è più resistente della capsula alla penetrazione dell’ago e quando l’ago penetra attraverso la capsula si ha
una apprezzabile diminuzione della resistenza, mentre se l’ago è diretto nel labrum, la resistenza sarà maggiore (Byrd 2000). Il mancato riconoscimento di questo effetto può provocare un danno evitabile del labrum con l’ago e successivamente con il trocar. Se il portale è troppo caudale e l’ago non è orientato verso lo spazio fra la testa femorale e l’acetabolo, vi è il rischio di danno iatrogeno alla cartilagine della testa femorale. Inoltre non si deve piegare l’ago: se i
portali non sono posizionati bene, le grandi e lunghe cannule usate
nell’artroscopia d’anca danneggerebbero le strutture sia extra che
intra-articolari e risulterebbe più difficile eseguire i successivi passaggi.
L’ago viene inserito nello spazio libero fra l’acetabolo e la testa
femorale; rimuovendo l’otturatore dall’ago da spinale si permetterà che l’aria entri nell’articolazione interrompendone l’effetto di
vacuum, garantendo così una certa distrazione supplementare.
(Monllau, 2005) Possono anche essere iniettati 30 - 40 ml di soluzione salina in articolazione; il riflusso attraverso l’ago confermerà
la posizione intrarticolare (Byrd 1994). Un filo guida di Nitinol
viene quindi introdotto attraverso l’ago da spinale. Il filo guida deve raggiungere la fossa acetabolare e fermarsi lì, confermando così di essere in articolazione. Se il filo guida non riesce a raggiungere la fossa acetabolare, questo significa che l’ago è troppo anteriore o posteriore rispetto all’acetabolo e alla posizione centrale. Una
volta che il filo guida di Nitinol è stato posizionato correttamente,
viene effettuata una incisione sulla pelle con un bisturi con lama n.
11, l’ago è retratto e un otturatore cannulato smusso è introdotto
in articolazione tramite il filo guida. Allo stesso modo, l’otturatore
è usato come guida per l’introduzione di una cannula da 4.5 millimetri. Infine, viene introdotto in articolazione un artroscopio a
70°. Questa sequenza di passaggi (Fig. 7), a nostro parere, è obbligatoria per garantire il posizionamento corretto e per diminuire
qualunque rischio di danno alle superfici articolari. A volte sarà
presente all’interno dell’articolazione un pò di sangue, a causa della patologia in sé o a causa della forza della trazione necessaria per
Impingement femoro-acetabolare: trattamento artroscopico
A
B
C
D
E
F
Figura 7
La sequenza dei passi per effettuare il portale anterolaterale sotto controllo fluoroscopico. A) Ago da spinale, B) Artrogramma con aria, C) Il filo guida di Nitinol nella fossa cotiloidea, D,E) Otturatore smusso, F) Cannula da 4.5 mm sull’otturatore smusso, G) Cannula
posizionata
distrarre e per la creazione del portale. È difficile eliminarlo fino
quando non verrà creata una via di uscita separata; basta appena
un ago da spinale cannulato per effettuare un lavaggio e ripulire la
visuale. Questo portale permette la visualizzazione della testa femorale, del collo anteriore e delle pliche capsulari anteriori come
pure dei tessuti sinoviali sotto la zona orbicolare e il labrum anteriore. (Dvorak 1990, Keene 1994, Sweeney 2001)
G
Anatomia chirurgica (Byrd 1995, Dvorak 1990, Monllau 2003, Robertson
2008).
Il portale antero-laterale è situato più centralmente nella “zona sicura„ per l’anca e così è il portale da eseguire per primo. Passa attraverso il margine anteriore del grande gluteo e penetra il
medio gluteo e piccolo gluteo prima di raggiungere la capsula
(Fig. 8). Il nervo gluteo superiore ed i vasi passano da 3 a 4 cm ce-
197
Capitolo 14
falici e da 2 a 3 cm posteriori a questo portale, mentre il nervo femoro-cutaneo laterale (LFCN) è situato molto mediale, facendo si
che queste strutture siano difficili da danneggiare. Tuttavia, lo
spessore della capsula articolare così come l’obliquità dell’approccio possono far si che il trocar possa scivolare anteriormente e potenzialmente danneggiare il sistema vascolare femorale (McCarthy
1995); questo può essere evitato usando la tecnica dell’ago da spinale e del filo guida di Nitinol sotto controllo fluoroscopico come
descritto.
Portale medio-anteriore
Figura 8
Il portale antero-laterale passa attraverso i muscoli medio gluteo e piccolo gluteo
A
Una volta all’interno dell’articolazione dell’anca con l’ottica attraverso il portale antero-laterale, viene effettuato il portale medio-anteriore tramite visualizzazione diretta. Questo è un portale
anteriore modificato che è lievemente più distale e laterale rispetto al portale anteriore standard; questo viene effettuato identificando l’intersezione della linea verticale ricavata dal dalla spina
iliaca anteriore-inseriore e della linea orizzontale ricavata dal limite superiore del gran trocantere (Fig. 6) (Sweeney 2001). Un ago
da spinale è diretto 45° cefalicamente e 30° medialmente in articolazione; il posizionamento dell’ago in articolazione è visualizzato
direttamente dal portale antero-laterale; il chirurgo vede un triangolo costituito dai bordi della testa femorale anteriore, dal labrum
e dalla capsula articolare. Può anche essere usata la fluoroscopia
per aiutare a posizionare correttamente l’ago (Fig. 9). Viene quindi inserito un filo guida di Nitinol, seguito da un trocar cannulato
nello stesso modo precedentemente descritto. L’ottica viene spostata in questo portale per visualizzare il portale antero-laterale e
per confermare direttamente il punto esatto di ingresso in articolazione; il portale può ora essere riposizionato, se necessario, sotto
controllo visivo diretto. Con l’ottica a 70° nel portale medio-anteriore, è possibile la visualizzazione del collo femorale anteriore,
della parte anteriore dell’articolazione, del tessuto retinacolare laterale del legamento rotondo. (Dvorak 1990, Keene 1994, Sweeney 2001)
Anatomia chirurgica (Byrd 1995, Dvorak 1990, Monllau 2003, Robertson
2008).
B
Figura 9
Il portale medio-anteriore viene effettuato per visione artroscopica diretta (A, Artroscopio attraverso il portale antero-laterale). B) Anche il controllo
fluoroscopico può essere utile ma non è indispensabile
198
Il portale anteriore attraversa i muscoli sartorio e retto femorale, prima di raggiungere la capsula anteriore, mentre il nostro portale medio-anteriore, più distale e laterale nel suo punto di partenza, attraversa il tensore della fascia lata e il piccolo gluteo o passa
attraverso l’intervallo tra piccolo gluteo e retto femorale (Fig. 10).
Le strutture principali a rischio sono il LFCN e l’arteria femorale
circonflessa laterale (LCFA). Il LFCN è un nervo sensitivo derivato dal plesso lombare che innerva la parte anteriore e laterale della coscia. fuoriesce dal bacino medialmente alla ASIS ed poi passa
sopra il muscolo sartorio entrando sulla sua fascia superficiale. A
livello del portale, si è già suddiviso in tre o più rami cutanei ter-
Impingement femoro-acetabolare: trattamento artroscopico
minali (de Ridder 1999, Grothaus 2005). Di conseguenza, il portale passa alcuni millimetri da uno di questi rami. Il nervo viene protetto non alterando la posizione del portale ma piuttosto usando
una tecnica meticolosa: l’incisione con il bisturi deve essere fatta
con attenzione e soltanto attraverso la pelle, quindi si procederà
con una penetrazione smussa attraverso i dilatatori cannulati. Più
in profondità, la LFCA può essere in pericolo. Questa arteria è solitamente un ramo prossimale dell’arteria femorale profonda, anche se sono state segnalate parecchie varianti anatomiche. Il portale è disposto 2-3 cm prossimalmente a questo vaso, ma può anche
essere molto vicino ad alcune piccole terminazioni; tuttavia, nessuna complicazione relativa a questa struttura è stata segnalata. Per
concludere, normalmente le vene, l’arteria femorale ed il nervo femorale sono abbastanza mediali rispetto al portale (in media 3 cm
per il nervo femorale, che è il più laterale di queste strutture). La
localizzazione della pulsazione dell’arteria femorale al di sotto del
legamento inguinale evita eventuali lesioni a queste strutture ed il
chirurgo deve soltanto mantenere il portale laterale al ASIS.
Figura 10
Il portale medio-anteriore passa attraverso il tensore della fascia lata ed il muscolo piccolo gluteo
Portali supplementari
Nella nostra pratica, non sono necessari portali supplementari;
in ogni modo, questi possono essere creati sotto visualizzazione diretta dai portali antero-laterale o medio-anteriore e sono posizionati a seconda della loro funzione. Il portale accessorio distale è
creato in linea con il portale antero-laterale ma circa 4 cm più distale; può anche essere creato un portale accessorio prossimale, che
è anch’esso in linea con il portale antero-laterale ma è 2-3 cm
prossimale rispetto ad esso ed è utile per le lesioni laterali. Il portale postero-laterale è praticato sull’angolo postero-superiore del
gran trocantere.
Esposizione
Una volta che i due portali sono stati realizzati (antero-laterale
e medio-anteriore), il passo seguente consiste nel migliorare
l’esposizione dell’articolazione. Questa è una parte importante
della procedura, per una artroscopia diagnostica e operativa sicura ed accurata. Il release capsulare è analogo alla capsulotomia effettuata in chirurgia aperta per ottenere l’esposizione dell’articolazione. Il primo punto è di collegare i due portali lungo l’orlo acetabolare. La capsulotomia consente di manovrare gli strumenti in
modo sicuro per evitare danni iatrogeni alla cartilagine articolare.
Ci sono numerose tecniche descritte circa il modo migliore di
liberare la capsula anteriore (zona orbiculare, legamento ileofemorale, ecc.); questi variano dalle procedure di conservazione capsulari alle capsulotomie sino alle capsulectomie aggressive. (Sampson 2005, Sampson 2006, Glick 2006, Philippon 2007, Dienst
2005)
Di solito allarghiamo i due portali con una capsulotomia “a T”
che imita la procedura aperta e ci dà un più facile accesso alle di-
199
Capitolo 14
A
B
C
Figura 11
La Capsulotomia: taglio intrerportale. A) Una lama
Beaver artroscopica viene usata per incidere la
capsula. B, C) Una lama di sistema motorizzato
viene usata per allargare la capsulotomia. (A, B:
Artroscopio attraverso il portale antero-laterale
nel compartimento centrale; C: Artroscopio attraverso il portale medio-anteriore nel compartimento periferico
200
verse zone dell’articolazione dell’anca, con un minor rischio di
danno iatrogeno alla cartilagine. Va fatta attenzione a liberare soltanto la parte della capsula necessaria a poter utilizzare bene gli
strumenti e a evitare di resecare i legamenti capsulari (legamento
ileofemorale) ed i vasi retinacolari superiori. Un bisturi artroscopico con una lama Beaver viene inserito nella cannula del portale antero-laterale, la cannula viene ritratta per lasciare che la lama acceda alla capsula e si effettua una capsulotomia orizzontale parallelamente al labrum; il taglio corre da antero-mediale ad antero-laterale. Si effettua la stessa procedura dal portale medio-anteriore,
unendo i due portali con un taglio “interportale”. Con una lama
da motorizzato, i bordi della capsulotomia vengono regolarizzati
per aumentare ulteriormente la visualizzazione (Fig. 11); la coagulazione dei vasi capsulari sul taglio è realizzata con i dispositivi a
radio-frequenza, qualora necessario. Preferiamo effettuare la capsulotomia con una lama da motorizzato invece che direttamente
con le radio-frequenze a causa della retrazione termica del tessuto
capsulare associato a questo. Il recesso perilabrale e la capsula
prossimale al taglio “interportale„ vengono accuratamente regolarizzati per evitar capsuliti adesive post-chirurgiche (fra la capsula
e la parete acetabolare). Questo taglio “interportale„ sarà sufficiente per le procedure nel compartimento centrale dell’articolazione (vedi più avanti); dopo questi tempi chirurgici, nel caso di
osteocondroplastica del collo femorale per conflitto di tipo Cam,
effettuiamo un taglio verticale per la capsulotomia “a T”. Anche
questo copia la procedura aperta e ci consente un accesso più facile alle diverse zone dell’articolazione, con un minor rischio di
danno iatrogeno alla cartilagine. Il taglio “interportale„ già effettuato si trasforma nella parte superiore della capsulotomia a “T„.
Con l’artroscopio nel portale medio-anteriore e il bisturi Beaver
nel portale antero-laterale, la zona orbicolare viene liberata antero-superiormente e viene effettuata la parte verticale distale della
capsulotomia a “T” seguendo il collo femorale antero-superiore fino a raggiungere la base (Fig. 12). Osservando da anteriore, con
una resezione delicata del bordo del lembo capsulare superiore,
diventano visibili la giunzione laterale collo/testa ed i vasi retinacolari (che devono essere preservati). Con questa capsulotomia “a
T” e grazie alla possibilità di spostare il femore per mezzo del reggi-arto pneumatico, non abbiamo mai bisogno di portali supplementari per trattare le lesioni FAI.
Compartimenti centrale e periferico
Una volta che sono stati effettuati gli accessi appropriati e
l’esposizione dell’articolazione, possono essere effettuate procedure diagnostiche e terapeutiche. La nostra tecnica si basa sull’artroscopia prima del compartimento centrale seguita dall’accesso al
periferico. Il compartimento centrale include il labrum e tutte le
strutture poste più medialmente: superficie articolare acetabolare,
fossa acetabolare, legamento rotondo e parte della testa femorale.
Il compartimento periferico consiste in tutte le strutture che sono
Impingement femoro-acetabolare: trattamento artroscopico
laterali al labrum ma che sono all’interno della capsula: parte della testa femorale, collo femorale con le relative pliche sinoviali e la
capsula articolare (Dienst 2001, Dorfmann 1988). L’artroscopia
diagnostica del compartimento centrale viene effettuata inizialmente con un artroscopio da 70° per identificare qualunque lesione labrale o condrale così come la zona di massimo conflitto: la
patologia labrale è utile per identificare eventuali “kissing lesions„
sul femore prossimale. Un palpatore artroscopico viene utilizzato
per palpare il labrum e la cartilagine acetabolare. Le lesioni labrali o condrali rilevate vengono trattate come necessario (debridement per stabilizzare il labrum/la cartilagine, condroplastica con
radio-frequenze, microfratture, shrinkage a radio-frequenza del labrum, riparazione del labrum). Dopo che sono stati effettuati
l’esame e il trattamento del compartimento centrale, l’attenzione si
sposta nel compartimento periferico. A questo si può accedere sia
dopo il rilascio della trazione, o come facevamo inizialmente con
la trazione, con l’artroscopio nel portale medio-anteriore. Gli strumenti vengono inseriti nel compartimento periferico attraverso il
portale antero-laterale.
Figura 12
Una incisione verticale completa la capsulotomia
“a T”
Resezione Acetabolare nelle lesioni di tipo Pincer
Nel caso di lesioni di tipo pincer, la parete acetabolare viene
trattata durante il tempo del compartimento centrale. Il labrum
può essere rimosso, se è degenerato, o può essere distaccato con
attenzione ed essere riattaccato successivamente alla fine della
procedura (Kelly 2005). Ci sono evidenze che la riparazione labrale è migliore della rimozione del labrum per quanto riguarda la
progressione dell’OA, (Espinosa 2006) ma non siamo sicuri del
beneficio reale del provare a conservare un labrum degenerato,
con qualità del tessuto scadente e degenerazione grassa. Inoltre, il
labrum contiene recettori nocicettivi (Kim 1995) ed il dolore può
alla fine essere persistente. Dopo il distacco del labrum dall’osso
con una lama Beaver, possiamo ora cruentare la rima articolare
con una fresa tipo burr da 5.5 mm. La superficie ossea del labrum
può essere lievemente cruentata con il sistema motorizzato per rivitalizzare il tessuto fino al sanguinamento e possono essere usate
la radio-frequenze per ritensionare le relative fibre tramite shrinkage. Quindi il labrum può essere riattaccato con ancore. Le suture possono essere passate intorno all’intero labrum (solitamente se
il labrum è sottile) o possono passare attraverso esso. Il passaggio
delle suture e le tecniche di annodamento sono lo stesse che nella
artroscopia di spalla e gli strumenti sono gli stessi o mutuati dai
passa-suture o dalle pinze da presa per la spalla (Fig. 13). Occorre prestare attenzione a non rovinare la cartilagine mentre si praticano i fori per le ancore.
Osteocondroplastica nelle le lesioni di tipo Cam
La osteocondroplastica artroscopica nel FAI è una procedura
tecnicamente impegnativa che, nel corso degli ultimi anni, si sta
201
Capitolo 14
A
B
C
Figura 13
Resezione acetabolare. A) Visione fluoroscopica di una lesione di tipo pincer, B) Resezione labrale, C) Debridement del labrum, D) Resezione della rima, E) Rifissazione labrale
(B: Artroscopio attraverso il portale antero-laterale nel compartimento centrale; C,D: Artroscopio attraverso il portale medio-anteriore nel compartimento periferico).
D
E
202
gradualmente affinando grazie alle aumentate abilità chirurgiche e
tecniche, l’avvento di migliori strumenti ed ad aumentata comprensione della patologia. L’obiettivo della procedura artroscopica
è quello di rimodellare il femore prossimale, in modo da ripristinare l’offset femorale o la sfericità e migliorare il rapporto testacollo per ottenere una migliore escursione di movimento senza
conflitti, con correzioni ossee simili al “golden standard„ della chirurgia aperta ma con una metodica meno invasiva.
La nostra tecnica comincia da superiore con trazione e finisce inferiormente dopo aver rilasciato la trazione, mentre altri
chirurghi effettuano l’osteocondroplastica senza trazione a partire dal collo inferiore (Sussmann 2007, Sampson 2005, Dienst
2005). Dopo che nella capsulotomia è stata creata la parte verticale della “T”, si può visualizzare la giunzione femorale anteriore
collo/testa. I confini del compartimento periferico anteriore sono
la plica sinoviale laterale (a ore 12) con i vasi retinacolari superiori (o epifisari laterali) ed la plica sinoviale mediale o vinculum
(legamento di Weitbrecht), circa a ore 6, con i meno importanti
vasi retinacolari inferiori (o epifisari mediali) (Fig. 14). La zona
di conflitto del Cam viene visualizzata, essendo la superficie condrale in questa zona convessa e con cambiamenti di colore (violaceo, grigio) e con anomalie strutturali (fibrillazione, rotture,
fenditure) che la distinguono dalla cartilagine articolare normale;
si possono osservare anche “herniation pit„ e in fasi più avanzate
“cisti da impingement„ (Fig. 15) (Leunig 2005). Per la tecnica di
osteocondroplastica, l’ottica a 70° viene inserita dal portale medio-anteriore, mentre gli strumenti (lame e frese) sono inseriti dal
portale antero-laterale. La procedura di osteocondroplastica co-
Impingement femoro-acetabolare: trattamento artroscopico
mincia nella parte superiore utilizzando la trazione da superiore;
occorre prestare attenzione per individuare la zona di conflitto,
che comincia dalla zona antero-superiore della giunzione
testa/collo. Le lesioni laterali sono comuni e sono le più difficili
da trattare artroscopicamente a causa della intima relazione con i
vasi retinacolari. La resezione ossea viene effettuata con una fresa
motorizzata tipo burr da 5.5 mm. Dopo aver ottenuto una transizione regolare e arrotondata della giunzione collo/testa lateralmente, la trazione viene delicatamente rilasciata mentre l’anca è
flessa ad approssimativamente 30°-40° ed è abdotta a 20°, e ruotata esternamente fino ad una rotazione neutra per esporre il collo femorale anteriore. Il supporto pneumatico reggi-arto rende il
movimento dell’anca più facile quando si effettua una artroscopia del comparto periferico e questa nuova posizione permette
una migliore visualizzazione della zona di conflitto (anterolaterale), permette il rilassamento della capsula anteriore e una più facile manovrabilità della telecamera e degli strumenti. Inoltre ciò
avvicina la porzione antero-inferiore del collo femorale all’ottica
e agli strumenti, per una più facile procedura senza l’esigenza di
portali accessori e di invertire ottica e strumenti fra i portali (Fig.
16). È inoltre possibile la valutazione dinamica, divenendo apprezzabile l’estensione della lesione del Cam con il movimento
dell’anca. La necessaria resezione ossea viene continuata anteriormente dalla plica sinoviale mediale, fino a raggiungere la
osteocondroplastica laterale già effettuata sotto trazione. Così, la
prima osteocondroplastica supero-laterale è effettuata sotto trazione con l’anca estesa ed ruotata internamente, poi l’osteocondroplastica antero-inferiore è effettuato senza trazione con l’anca
flessa, abdotta e in rotazione neutra; infine, le due precedenti
procedure vengono unite (Fig. 17).
A
B
A
B
Figura 14
Reperi per l’intervento di osteocondroplastica. A)
Plica sinoviale laterale con i vasi retinacolari superiori B) Legamento di Weitbrecht o plica mediale sinoviale (artroscopio nel portale medio-anteriore).
C
Figura 15
Vista artroscopica di un FAI di tipo Cam (A). B) Herniation pit, C) RMN di una cisti da impingement comunicante con l’articolazione tramite l’herniation pit (stesso caso B). (A, B:
artroscopio attraverso il portale medio-anteriore nel compartimento periferico)
203
Capitolo 14
A
C
B
Figura 16
Figura 16 – Differente posizionamento degli arti per effettuare una osteocondroplastica del collo femorale. A) Inizialmente l’anca è lievemente
estesa, addotta e ruotata internamente; B) L’anca è abdotta, flessa e ruotata esternamente per raggiungere il collo femorale antero-inferiore. C) Posizione intermedia
A
B
C
Figura 17
Procedura di osteocondroplastica. A, B) Controllo fluoroscopico del punto di partenza sotto trazione (A) e dopo il rilascio della trazione (B). C) Visione artroscopica della procedura. D) le procedure supero-laterale ed antero-inferiore devono ora essere congiunte (tratteggio). (C, D: artroscopio atttraverso il portale medio-anteriore)
D
Figura 18
Test di impingement dopo il ripristino dell’offset
del testa collo del femore (artroscopio attraverso il
portale medio-anteriore)
204
Una osteocondroplastica dovrebbe includere il trattamento di
tutte le patologie cartilaginee presenti, ma non dovrà salire più in
alto o più prossimamente del limite epifisario, che può essere valutato fluoroscopicamente. La profondità e la larghezza della resezione sono determinate dalla superficie dell’area di conflitto e dalla condizioni anatomiche. La procedura di osteocondroplastica
viene interrotta ogni tanto per valutare la quantità reale di resezione. Durante la procedura sono effettuati sia una visualizzazione diretta dinamica sia una valutazione fluoroscopica della quantità di
tessuto resecato alla giunzione collo/testa. L’anca è portata in flessione e in rotazione interna per visualizzare direttamente se è stata rimossa una quantità sufficiente di osso (Fig. 18). La visione antero-posteriore con l’anca in estensione e in rotazione neutra mostrerà il femore prossimale laterale, mentre la posizione frog-lateral mostrerà l’aspetto anteriore del collo (Fig. 19).
Impingement femoro-acetabolare: trattamento artroscopico
A
B
C
Figura 19
FAI di tipo Cam, controllo fluoroscopico in AP e in frog-leg. A, B) prima della osteocondroplastica. C, D) dopo il ripristino offset femorale
TERAPIE PRE E POSTOPERATORIE E RIABILITAZIONE
La procedura è effettuata ambulatorialmente o con una notte
di ricovero. I pazienti ricevono la profilassi antibiotica in unica
somministrazione. La prevenzione della trombosi venosa profonda
(DVT) è eseguita sia con dispositivi meccanici che farmaceutici.
La mobilizzazione attiva precoce della caviglia è incoraggiata e la
terapia medica è applicata fino al momento del ripristino del carico. Le opzioni di trattamento medico includono aspirina, warfarin
o eparine a basso peso molecolare, l’ultima delle quali costituisce
la nostra prima scelta. È inoltre suggerita, a parer nostro, la profilassi farmacologica della ossificazioni eterotopiche, e ai pazienti
viene somministrato 1mg di Indometacina pro/chilo al giorno per
10 giorni.
Il percorso e le esigenze della riabilitazione post-operatoria dipendono dalla procedura chirurgica effettuata. Una semplice artroscopia con debridement limitato ed il release capsulare ha bisogno di carico minimo e di una protezione del ROM. Nel caso di
importante osteocondroplastica del collo femorale, il carico è limitato al contatto del piede per 2 - 4 settimane, dopodiché si abbandonano le stampelle. Il movimento passivo continuo (CPM) è fatto 8 - 12 ore al giorno per lo stesso periodo ed esso si è dimostrato positivo nella riduzione del rischio, piccolo ma reale, di aderenze intracapsulari. Nel caso di microfratture, il carico è parziale ed
il CPM è continuato per 6 - 8 settimane. Un sostegno antirotazionale per impedire la rotazione esterna dell’anca viene utilizzato la
notte per i primi 10 giorni dopo la chirurgia. A parer nostro, non
c’è necessità di alcun apparecchio di supporto per limitare l’esten-
D
205
Capitolo 14
sione, la flessione e l’abduzione. La terapia fisica mira a ristabilire
il movimento passivo, la rotazione interna in primis; la flessione attiva dell’anca è limitata per 3 - 4 settimane per ridurre l’incidenza
di tendiniti dei flessori dell’anca. Si incomincia a rinforzare il muscolo dopo che si è ottenuto il movimento passivo completo e il
carico completo. I pazienti sono visitati in ambulatorio per il follow-up clinico e radiografico 4 - 6 settimane dopo la chirurgia.
DISCUSSIONE
La tecnica attuale, che abbiamo sviluppato col passare del
tempo, venendo da un’esperienza importante di lussassione di chirurgia aperta, a parer nostro unisce parecchi vantaggi rispetto ad
altre tecniche, e rispetto alle lussassioni chirurgiche, per quei casi
trattabili sia con tecnica aperta che artroscopica. La posizione supina è semplice e può essere preparata in pochi minuti, essa può
essere effettuata su tutti i tavoli operatori standard per fratture
con un orientamento dell’articolazione che è familiare ai chirurghi
ortopedici. Inoltre permette di ottenere facilmente una visuale
“frog-lateral”, che è utile per valutare la quantità di resezione ossea da effettuare/effettuata nel preoperatorio, durante ed alla conclusione della procedura. L’accesso è affidabile per il posizionamento di tutti i portali. Infine, lo stravaso intra-addominale di fluidi che è una complicazione potenzialmente seria dell’artroscopia
d’anca è stata riportata soltanto in posizione laterale. (Funke 1996;
Bartlett 1998; Sampson 2001, Haupt 2008) Comunque, a prescindere dalla posizione, un posizionamento mal effettuato comporterà una procedura più difficile. Il posizionamento accurato dei portali e l’entrata in articolazione sono molto importanti quando si effettua una artroscopia d’anca, sia per evitare il danno iatrogeno
che per effettuare facilmente le procedure necessarie. Il trauma diretto alle strutture neurovasculari nell’artroscopia d’anca è poco
più di un problema teorico; queste strutture sono a distanza di sicurezza quando si osserva una tecnica corretta di posizionamento
del paziente e di esecuzione dei portali. Byrd (2005) ha descritto
un caso di paralisi del nervo femorale ed un caso di lacerazione
del nervo femorale. Il LFCN è sempre vulnerabile dal portale anteriore (Byrd 1995), ma una tecnica adeguata con l’incisione del
bisturi soltanto della pelle eviterà le lesioni a questo nervo. L’anatomia del LFCN e il corretto posizionamento dei portali è stato
precedentemente descritto. Sono stati segnalati soltanto due casi
di danneggiamento permanente di questo nervo. (Eriksson 1986,
Byrd 2005) Il danneggiamento del labrum all’entrata in articolazione è una complicazione possibile che può essere evitata con avvedutezza tecnica. (Byrd 2000) Può anche accadere di graffiare la
testa in varia misura, anche con una buona distrazione dell’articolazione e la vera frequenza di questa complicanza è certamente
sottostimata (Sampson 2001). Se tali lesioni realmente producano
sintomi o siano clinicamente rilevanti non è affatto chiaro; Sampson (2001) ha segnalato 2 casi su 530 procedure (0.4%) e 3 su
206
Impingement femoro-acetabolare: trattamento artroscopico
1001 (0.3%), in un recente report, di lesioni alla cartilagine relazionandole ad una inadeguata trazione (Sampson 2005). L’uso di
un reggi-arto pneumatico mobile, pur garantendo la stessa affidabilità ed efficacia nella distrazione dell’articolazione durante la
parte iniziale della procedura, permette anche un facile movimento dell’arto ed il riposizionamento in una nuova posizione. Un
normale tavolo da trazione è probabilmente più facile da posizionare, già disponibile in ogni ospedale e di nessun costo, ma non
permette un completa escursione di movimento particolarmente
nella flessione e nelle rotazioni (sia interna che esterna) dell’articolazione combinate. I nuovi dispositivi di trazione specificamente
progettati per l’artroscopia d’anca hanno a nostro parere alcuni
svantaggi. Richiedono un tempo maggiore e più personale per il
posizionamento del paziente; l’abduzione dell’arto controlaterale
non è regolabile e lo stivale è molto ingombrante, entrambi interferiscono con il C-arm; per lo spostamento dell’arto è inoltre necessario l’aiuto del personale non lavato. Con un reggi-arto pneumatico mobile l’alto grado di mobilità dell’anca permette di visualizzare l’intera zona di conflitto dal portale medio-anteriore (dove
è posizionata l’ottica) e rende accessibile il collo femorale anteroinferiore agli strumenti (che sono utilizzati dal portale antero-laterale). Di conseguenza, possiamo effettuare la osteocondroplastica
femorale senza l’esigenza di portali accessori o della inversione di
ottica e strumenti tra i portali. Se il chirurgo non va dal femore, il
femore deve venire al chirurgo. Anche la valutazione dinamica risulta accurata, essendo possibile portare il femore in flessione
massima e in rotazione interna (test di impingement) e in massima
di flessione-abduzione e rotazione esterna (FABER-test).
Ottenere una buona esposizione attraverso una capsulotomia a
“T” è, a nostro parere, un altro aspetto molto importante: ciò migliorerà la visualizzazione delle strutture ossee e della plica retinacolare e renderà l’uso degli strumenti più facile, riducendo il rischio di danno iatrogeno alla cartilagine articolare. Insieme alla
mobilità ottenibile grazie al supporto pneumatico dell’arto, la capsulotomia rende possibile raggiungere l’intero femore prossimale
anteriore senza il bisogno di portali supplementari. Si potrebbe
pensare che tale capsulotomia possa favorire un eccessivo stravaso
di liquidi nella coscia prossimale. Un certo stravaso di liquido nel
tessuto molle della coscia prossimale è comune e non ha attinenza
clinica. È importante effettuare la procedura rapidamente e come
la trazione dovrebbe essere interrotta dopo 2 ore per evitare le
complicazioni ad essa relative, così lavorare per un tempo eccessivo nel compartimento periferico può causare il rigonfiamento dei
tessuti, danni muscolari ed anche sanguinamento nella coscia antero-laterale. L’uso di una pompa a bassa pressione può contribuire ad evitare l’eccessivo stravaso di liquido mentre si mantiene una
buona visibilità. In ogni modo, il liquido uscirà dai portali o sarà
riassorbito entro le prime ore post-operatorie e nessuna complicanza relativa è stata mai segnalata. Un altro problema relativo alla capsulotomia è una eventuale lassità post-operatoria o una er-
207
Capitolo 14
niazione capsulare nei muscoli e siamo consci che alcuni chirurghi
preferiscano chiudere la capsula con alcuni punti. A nostro parere
la sutura capsulare non è necessaria, poichè il difetto capsulare è
molto piccolo ed i muscoli circostanti (piccolo gluteo e retto femorale) aderiscono strettamente al piano capsulare fornendo una
barriera naturale ed una matrice per la formazione della cicatrice.
Inoltre, non abbiamo mai visto, tramite RMN nel follow-up, muscoli impregnati di liquido o ernie articolari.
Per quanto riguarda l’organizzazione della procedura, preferiamo cominciare dal compartimento centrale. A nostro parere, il
primo punto dell’artroscopia d’anca sarà sempre una valutazione
diagnostica dell’intera articolazione, per capire a fondo tutte le patologie dell’articolazione e successivamente trattare ciò che merita
di essere trattato. Inoltre, il labrum e le patologie macroscopiche
della cartilagine possono essere bene apprezzate nella valutazione
diagnostica pre-operatoria, (Leunig 1997, Leunig 2004, Chan
2005) mentre le alterazioni fini della cartilagine e di altri tessuti
molli non si possono sempre visualizzare neppure con RMN con
gadolinio (Schmid 2003, Keeney 2004, Byrd 2004, Knuesel 2004).
Le evidenze artroscopiche possono differire significativamente dai
risultati dagli studi diagnostici pre-operatori (Baber 1999), e il chirurgo rischia di spendere tempo nel trattamento di un aspetto evidente della patologia (per esempio una lesione Cam) per poi accorgersi che ci sono altre lesioni associate che devono essere trattate (per esempio un grosso flap condrale).
Nel cruentare la rima acetabolare per deformità di tipo Pincer,
il chirurgo deve decidere come gestire il labrum. Se il labrum è solo parzialmente strappato, o intatto, deve essere distaccato dall’osso sottostante per poter effettuare una regolarizzazione ossea per
poi essere riattaccato tramite ancore. Espinosa ha dimostrato che,
nelle procedure aperte di FAI, la fissazione labrale è migliore della sua asportazione; ancora rimane discutibile se sia meglio rifissare piuttosto che asportare un labrum degenerato. Il labrum contiene terminazioni nervose nocicettive, (Kim 1995) e alla fine un labrum degenerato rifissato può non riattaccarsi all’osso diventando
doloroso e quindi richiedendo una successiva procedura di debridement di esso. La valutazione intra-operatoria dell’osteocondroplastica del collo femorale è abbastanza semplice da effettuarsi,
mentre la valutazione del lato acetabolare è più difficile. Noi quindi consideriamo utile il planning preoperatorio per valutare la
quantità di rima acetabolare che deve essere resecata (sia nelle
procedure aperte che artroscopiche), senza che si arrivi ad una insufficiente copertura della testa femorale e ad una conseguente instabilità o a eccessive sollecitazioni compressive e di taglio; miriamo ad ottenere un angolo centro-bordo laterale finale da 27° a
30°.
Per quanto riguarda la osteocondroplastica di una lesione di
tipo Cam, crediamo che ci siano alcuni vantaggi ad iniziare la
procedura da supero-laterale mentre si è ancora in trazione. In
primo luogo, siamo già sotto trazione, come abbiamo precisato
208
Impingement femoro-acetabolare: trattamento artroscopico
prima, e questo garantirà una migliore visualizzazione e protezione del labrum mentre si fresa il collo femorale. I vasi retinacolari
superiori sono un punto di repere affidabile e la resezione ossea
deve risparmiarli per non compromettere l’irrorazione sanguigna
alla testa femorale. (Ganz 2001, Gautier 2000, Sussmann 2007).
Ultimo ma non ultimo, le lesioni laterali sono comuni e più difficili da trattare artroscopicamente a causa della loro posizione vicina ai vasi retinacolari e preferiamo trattare questa parte all’inizio della procedura piuttosto che alla fine. Dopo aver abraso la
parte laterale del collo femorale, viene rilasciata la trazione e l’arto è spostato in modo da raggiungere e trattare la parte anteroinferiore del collo. A questo punto è inoltre possibile effettuare
un test dinamico, e la procedura viene proseguita come necessario.
La resezione eccessiva del conflitto di tipo Cam è tanto nociva
quanto una resezione insufficiente: nel secondo caso, i sintomi e la
patologia non si risolveranno, nel primo caso, si avranno rischi di
frattura femorale del collo, di necrosi avascolare (AVN) o della
perdita dell’effetto ventosa del labrum, che alla fine può portare
ad una instabilità dell’anca. È inoltre importante creare una zona
di transizione regolare, evitando una resezione “a morso del biscotto”. In più, si deve valutare criticamente il limite mediale e laterale della estensione della resezione. L’osso nel Cam è solitamente sclerotico a causa dell’urto ripetuto e sono inoltre presenti alterazioni fibrocistiche tipiche come le cisti sub-condrali (cisti di conflitto), che devono essere rimosse. Se si arriva all’osso spongioso, il
chirurgo potrebbe non essere nella zona della deformità massima,
essendo la posizione errata all’osteoplastica più comunemente
troppo mediale.
L’infezione è una complicazione potenziale e seria di ogni procedura chirurgica. A nostra conoscenza, è stato segnalato soltanto
un caso di artrite settica a seguito di un’artroscopia d’anca; il paziente era stato operato per un condromatosi sinoviale e non ha ricevuto alcuna profilassi (Clarke 2003). L’artroscopia d’anca è una
procedura chirurgica, ed anche se il rischio di sepsi è molto basso,
abbiamo suggerito l’uso della profilassi anti-microantibiotica.
Inoltre è usata la profilassi anti-tromboembolica, anche se le tromboflebiti e le TVP o l’embolia polmonare sono una complicazione
rara nelle procedure artroscopiche dell’arto inferiore, essendo l’incidenza delle entità subcliniche maggiore a quando riscontrato di
routine. Nessuno studio sull’incidenza del TVP nell’artroscopia
d’anca è mai stato intrapreso, né nelle serie pubblicate di artroscopia d’anca sono state effettuate di routine indagini diagnostiche. A
nostra conoscenza soltanto Byrd ha segnalato un caso possibile di
TVP in un atleta 2 mesi dopo una artroscopia d’anca (Byrd, 2005),
e una rassegna di 27 articoli includenti 5554 casi ha rivelato un
tasso di 0% di TVP e di embolia polmonare. (Bushnell 2008) Per
concludere, l’ossificazione eterotopica è una complicazione riconosciuta connessa alla lussassione chirurgica dell’anca (Ganz
2001) ed il rischio annesso ad una artroscopia d’anca è molto pic-
209
Capitolo 14
colo pur essendo sempre presente (Byrd 2000). Pensiamo che l’approccio capsulotomico potrebbe alla fine aumentare questo rischi,
per cui è suggerita una prevenzione medica con NSAID.
CONCLUSIONI
Il conflitto femoro-acetabulare è un fattore molto importante
nella patogenesi dell’osteo-artrosi dell’anca, specialmente nei casi
considerati finora idiopatici in origine. Il trattamento aperto del
FAI è stato sviluppato ed i risultati sono incoraggianti. Tuttavia,
l’approccio chirurgico è molto impegnativo ed esistono ancora
dubbi circa il rischio di AVN della testa femorale e di fratture trocanteriche. L’artroscopia è meno invasiva ma deve mirare ad ottenere gli stessi risultati delle procedure aperte. Le chiavi di successo nel trattamento artroscopico del FAI sono diverse. In primo
luogo, un risultato di successo dipende da una selezione adeguata
del paziente. Una procedura tecnicamente ben eseguita fallirà se
effettuata su una indicazione errata; ciò comprende le procedure
fatte per soddisfare le aspettative del paziente. In secondo luogo,
il posizionamento del paziente è di importanza preminente. Uno
scarso posizionamento comporterà una procedura difficile o impossibile. In terzo luogo, l’accesso all’articolazione dell’anca deve
essere il più atraumatico possibile. Per concludere, ovviamente, la
procedura deve essere fatta con più cura possibile. Occorre prestare attenzione ed evitare la resezione nella regione di inserimento dei vasi laterali epifisari. È sulla conoscenza esatta dell’irrorazione sanguigna (Gautier 2000) alla testa femorale che il trattamento operativo per FAI è stato sviluppato (Ganz 2001, Lavigne
2004, Leunig 2005, Nötzli 2002) ed il metodo artroscopico deve
rispettare i punti di irrorazione sanguigna come fa la chirurgia
aperta. L’articolazione dell’anca rimane la meno comune da trattare artroscopicamente tra tutte le articolazioni maggiori, a causa
delle difficoltà tecniche possibili. L’ulteriore sviluppo degli strumenti artroscopici dedicati all’anca e una migliore comprensione
del conflitto nell’anca da parte della comunità ortopedica, permetteranno che aumenti il numero di interventi artroscopici rispetto
ad altri approcci nel trattamento dell’impingement femoro-acetabolare.
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Impingement femoro-acetabolare: trattamento artroscopico
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