Progetto Pilota riproducibile mirato alla riabilitazione ed all

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Progetto Pilota riproducibile mirato alla riabilitazione ed all
Ente Parco di Montemarcello-Magra
Parco Naturale Regionale.
Progetto Pilota riproducibile mirato alla riabilitazione
ed
all'inserimento
socio
lavorativo
di
soggetti
portatori di patologie psichiche attraverso la terapia
occupazionale e orticolturale
λογοσ
Logos servizi
Ente Parco di Montemarcello-Magra
Parco Naturale Regionale.
i n d i c e
pag.
2
relazione sul ruolo dell’ortoterapia
pag.
13
progetto del sito Piano di Beverino
pag.
27
relazione minima sulla fitocenosi
pag.
33
schede di coltivazione
pag.
67
analisi terreno collinare Beverino
pag.
70
giardino delle farfalle
pag.
74
aspetti gestionali
λογοσ
Logos servizi
“Un mazzetto di fiori stretto in una mano, le cui dita rappresentano la frase ti
voglio bene e' il simbolo della terapia orticolturale dal sito della Kansas State
University”.
1
Premessa:
In tutti i miti la terra ha un ruolo primordiale: è la “grande madre”, “ il ventre materno”, il linguaggio
della natura e il linguaggio dell'anima.
L'alchimia proponeva una visione simbolica della natura che è un libro che occorre imparare a leggere
per conoscere noi stessi. Il grande giardino della natura è il luogo del medico del corpo e dello spirito.
Il giardino, sia naturale che dell'uomo, può essere declinato attraverso l'incontro dei suoi paesaggi,
anche agrari, e l'utilizzo che ne viene fatto: giardini di pace, delle emozioni, dei sensi, massonici,
simbolici, filosofici, alchemici, fantastici, dell'armonia. di amore e di tolleranza; luoghi che possiamo
variamente e diversamente utilizzare in funzione di obbiettivi differenti.
Nel passato molte persone hanno tratto positivi benefici dall'interazione con le piante e con la natura: il
recente ridestarsi di interesse ha fatto sorgere una terminologia varia che identifica tali attività quali
terapia orticolturale HT(Horticultural Therapy), terapia del giardinaggio, orticoltura sociale e
giardinaggio terapeutico; questi termini sono spesso usati in maniera interscambiabile e con il termine
terapia orticolturale si ricomprendono i vari interventi sia terapeutici che occupazionali.
L'HT rappresenta un modello di come l'agricoltura multifunzionale ed il giardinaggio servano per la
riabilitazione psichiatrica ed occupazionale.
Il progetto pilota ha questi obiettivi: attraverso l’impianto dell’azienda agricola sociale
luogo/laboratorio nel quale la terapia orticolturale ed occupazionale sarà praticata.
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La terminologia da A.H.T.A. (American Horticultural Therapy Association)
Terapia orticolturale (HT)
E' l'impiego di un utente in attività agricole e di giardinaggio facilitato da un trained therapist con
obbiettivi specifici e documentati di trattamento; il processo stesso è considerato attività terapeutica. I
programmi terapeutici possono essere adottati in una varietà di cure, riabilitazioni e comunità
terapeutiche.
Horticultural therapeutic
E' un processo che usa le piante e la relazione con esse come mezzo per creare “well-being” nei
partecipanti. Gli obiettivi non sono definiti clinicamente né documentati. Il leader usa il contatto con il
giardinaggio e l'orticultura come un medium per il benessere umano.
Social horticulture ( o community horticulture)
Non vi sono trattamenti né obiettivi terapeutici, infatti non è presente alcun terapeuta: il focus è
un'interazione sociale attraverso le attività di giardinaggio ed agricole in generale, in Italia fra le
aziende agricole multifunzionali si considerano anche le aziende che praticano agricoltura sociale, sia
per inserire disabili nei processi produttivi che come luogo di socializzazione (P.S.R. 2007-2013).
Vocational horticulture
Consente con la terapia occupazionale l'inserimento (dopo il training) di individui per lavorare in
aziende agricole o di gestione del verde al fine di raggiungere l'indipendenza o la semi-indipendenza
economica. Questi soggetti possono non essere disabili, ma anche fasce deboli del mercato del lavoro
come le donne retravailler.
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Breve storia dell'HT
L'utilizzo dell'orticoltura e del giardinaggio in rapporto ai sensi data dal 2000 A.C.. Infatti i fertili fiumi
della valle del Tigri e dell'Eufrate ispirarono i primi giardini dei sensi.
I Persiani, circa nel 500 a.c., crearono giardini per compiacere tutti i sensi, bellezza, fragranza, musica
(acqua) e temperature miti.
Nel 1100 San Bernardo descrive il giardino del monastero di Clairaux riferendo sui benefìci terapeutici
del silenzio, del verde, dei profumi e del canto degli uccelli( Gerlach – Spriggs, Kaupfman & Warner,
1998).
Nel 1699 Leonard Maeger scriveva che “ non vi è modo migliore di conservare la propria salute che
lavorare in giardino” (English gardener).
Nel 1812 il Dottor Benjamin Rush professore dell'Istituto di Medicina e Pratiche Cliniche
dell'Università della Pennsylvania (conosciuto per il suo ruolo nello sviluppo della psichiatria moderna)
pubblicò il suo libro “Medical inquirers and observation upon diseases of the mind” che introdusse il
metodo scientifico in base al quale la lavorazione del terreno e in rapporto con le piante può avere un
benefico effetto sulla salute mentale. Da allora l'agricoltura e le attività di giardinaggio furono incluse
negli ospedali psichiatrici: primo esempio conosciuto data nella Philadelphia del 1813.
Nel 1879 fu costruito il primo giardino terapeutico che iniziò la lunga tradizione della terapia
orticolturale.
Programmi di HT furono utilizzati in migliaia di interventi di riabilitazione di reduci della prima e
seconda guerra mondiale.
Negli anni '50 del secolo scorso Alice Burlingame progettò corsi di terapia orticolturale al Pontiac State
Hospital e fu attivato il primo master in HT alla Michigan State University.
Nel 1960 la Burlingame scrisse il primo libro sulla terapia orticolturale con il Dr. Donald Watson,
“Therapy through Horticulture” (Burlingame & Watson 1960).
Negli anni 70 fu istituito il primo corso di laurea universitaria presso la Kansas State University in
collaborazione con il National Council Job Therapy, & Rehabilitation.
I programmi di HT si sono diffusi in Australia, Giappone, Canada, Gran Bretagna (l'Università di
Reading rilascia un certificato in Social and Therapeutic Horticulture).
In Italia la Scuola Agraria del Parco di Monza organizza corsi professionali in materia.
La formazione
Il primo master in HT risale agli ani ’50 presso la Michigan State University ed il primo corso di laurea
universitario è stato istituito 30 anni fa presso la Kansas State University in collaborazione con il
National Concil Therapy & Rehabilitation through horticulture.
Interessanti programmi di HT sono attuati in Australia dall’Horticulturale Therapy Society e Giappone
da Japan Horticultural Society.
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In Gran Bretagna Università di Reading rilascia un Certificate in Social and Therapeutic Horticulture.
La prestigiosa American Horticulture Therapy Association (AHTA),associazione senza fini di lucro, ha
messo a punto uno schema di registrazione volontaria dei professionisti basato su un sistema di
accreditamento a punti, ottenibili per lo più frequentando corsi ufficialmente riconosciuti, (ma anche
dimostrando attività pubblicistica e ed altre esperienze professionali). organizzato nei seguenti livelli:
• Horticultural Therapist Assistant (HTA) (personale con ridotta esperienza in HT ma con almeno
500 ore di attività volontaria o retribuita).
• Horticultural Therapist Registered (HTR) (minimo una esperienza di 2000 ore retribuite).
• Master Horticultural Therapist (almeno 8000 ore retribuite).
I programmi formativi includono le seguenti materie:
z specializzazione in terapia orticolturale;
z tecniche di HT tarate sui bisogni della popolazione;
z programmazione dell'HT (analisi dei bisogni, pianificazione delle attività e definizione degli
obbiettivi);
z ricerca;
z programmazione (funding);
z grant writing;
z scienze orticolturali;
z management;
z botanica, propagazione delle piante, scienze del suolo, entomologia, patologia vegetale,
fisiologia;
z progettazione e disegno del paesaggio;
z disegno dei fiori;
z scienze terapeutica – human;
z psicologia;
z sociologia;
z dinamica di gruppo;
z riabilitazione vocazionale (occupazionale);
z Servizi e skills terapeutici;
z Anatomia e fisiologia;
z linguaggio dei segni, C.P.R., interventi sulle crisi.
In attesa anche in Italia del riconoscimento della figura del terapista orticolturale, anche se alcune
esperienze formative sono in atto (come i corsi della scuola Agraria del Parco di Monza o altre agenzie
formative) appare necessario formare il personale preparato nella gestione del paziente psichiatrico ed
esperto in orticoltura.
Il progetto pilota è stato inserito nel programma triennale delle politiche attive del lavoro della
Provincia della Spezia, partner del progetto.
Le azioni formative richieste sono un corso di qualifica per terapista orticolturale: “l'agricoltura e il
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giardinaggio” e infatti non sono limitate solamente allo sviluppo di attività simboliche e riabilitative
ma anche produttive; corso per operatore agricolo (biologico e biodinamico) rivolto ai riabilitandi:
occorre verificare la sperimentabilità e finanziabilità di inserimenti lavorativi di lungo periodo: la terra
e la natura hanno propri cicli e la formazione in situazione è essenziale, occorre inoltre verificare
eventuali differenze di genere.
Esistono diverse interpretazioni dell'operatività dell'HT, da una branca dell'ergoterapia alla
declinazione di quelle interazioni non strutturate che riguardano anche il permanere in giardini perchè
le immagini, il silenzio e i suoni della natura riducono lo stress, infatti la tipologia di programmi
dell'HT e dei giardini terapeutici riguardano:
■ programmi di riabilitazione occupazionale, vocazionale e per-vocazionale;
■ programmi per ospedali psichiatrici e sulla salute mentale;
■ programmi sull'abuso di sostanza stupefacenti;
■ ospedali, cliniche, e centri attrezzati;
■ programmi di cure palliative;
■ centri oncologici;
■ programmi correzionali;
■ rifugi per i senzatetto e vittime di abusi;
■ scuole pubbliche e private;
■ orti sociali;
■ giardini botanici.
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Le possibilità di inserimenti lavorativi
Diane Relf, individua quattro elementi per classificare un'attività come HT:
z una procedura di trattamento centrata su operazioni che riguardano le piante;
z un paziente a cui sia stata definita sia la diagnosi che la terapia;
z un obbiettivo dell'intervento opportunamente valutato e misurato;
z un professionista qualificato che somministri il trattamento.
L'HT può far parte a pieno titolo di processi terapeutici-riabilitativi di persone afflitte da rilevanti
problemi mentali, fisici o sociali, in quanto offre abilità motorie, stimola le capacità di problem solving,
restituisce al paziente fiducia nelle proprie capacità, lo rende consapevole dello spazio, facilita il
rapporto con il mondo esterno, contribuendo in maniera determinante al raggiungimento di un
fondamentale obiettivo riabilitativo: il recupero di abilità per una qualità di vita accettabile.
Ma si può andare oltre: un paziente in buon equilibrio, adeguatamente qualificato nel settore del
giardinaggio e della cura delle piante può essere inserito in cooperative sociali che si occupano di
manutenzione e sorveglianza del verde ornamentale pubblico e privato, anche se dovranno esservi
limiti e vincoli sì che le operazioni complesse e particolarmente pericolose, quali la preparazione e
somministrazione dei trattamenti antiparassitari, l'uso di macchine, il lavoro in quota, dovranno essere
evitate, o quantomeno essere eseguite sotto la diretta sorveglianza del tutore.
Per l'HT, così come per altre forme di riabilitazione di attualità (ippoterapia, pet therapy,
musicoterapia), il ruolo del riabilitatore rimane fondamentale. Occorre ottimizzare l'integrazione degli
interventi medici, sociali e riabilitativi nel paziente con disagio psichico.
Gli elementi qualificanti dell'HT sono di natura fisica e psichica, connessi al fatto che nell'accrescere
l'autostima del paziente. riscoprire la propria manualità, e svolgere un'attività fisica. Nell'acquisire
competenze strumentali relative alle attività di HT, impara ad interagire con lo spazio circostante e a
comprendere il valore del fattore "tempo", inteso come quello "proprio" e quello relativo alle diverse
fasi vitali del mondo vegetale. Il rapporto di natura affettiva che si viene ad instaurare tra la persona e
la pianta che cresce, grazie alle sue emozioni, risveglia capacità emotive distrutte da anni di malattia.
Imparare a prendersi cura di un altro organismo implica una assunzione di responsabilità, con
conseguente aumento di fiducia in se stessi e nelle proprie capacità; la non comune soddisfazione di
ottenere un risultato concreto e tangibile è un altro elemento qualificante.
Il lavoro di gruppo, che spesso utilizza L'HT, poi, sviluppa un senso di appartenenza e favorisce la
socializzazione e la necessità di superare gli imprevisti legati alla coltivazione fa sì che ben poche altre
attività riabilitative riescono a condensare la capacità del“problem solving” come L'HT.
Esperienze
La complessità dell'intervento pone l'esigenza di ricercare best manual practice.
Alcune esperienze riguardano il progetto oliveto “ La Rocca di Pietrasanta” che attraverso il progetto
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“olivicoltura di qualità” in collaborazione con l'A.R.S.I.A. Toscana ha consentito di inserire sette utenti
seguiti dal servizio di salute mentale della A.S.L. in un'attività lavorativa, evitando un intervento solo
di tipo assistenziale o economico.
La comunità montana dell'Alta Versilia ha inoltre realizzato un progetto per un centro di onoterapia.
Tutti gli interventi che riguardano altre attività produttive sono stati gestiti dall'associazione l'Uovo di
Colombo ONLUS.
Nel parco della Facoltà di Agraria dell'università di Pisa: in collaborazione con la locale ASL, sono in
corso programmi di inserimento di pazienti psichiatrici riabilitati e formati professionalmente alla cura
del verde.
Recentemente sono state emanate dalla Regione Liguria le linee guida relative alla progettazione di un
giardino sensoriale per malati di Alzheimer finanziato dalla Fondazione Carispe e realizzato in
Comune di Brugnato.
Nella Provincia di La Spezia è attiva l’esperienza di inserimento di disabili nell’attività agricola della
Cooperativa CILS.
Il ruolo dell'agricoltura sociale e l'HT
Il Piano di Sviluppo Rurale (PSR) 2007/2013 rilancia il ruolo dell’agricoltura multifunzionale e sociale
e soprattutto della cooperazione sociale
La considerazione del lavoro agricolo come fattore di salute mentale era emersa fin dall’inizio nel
dibattito scientifico che aveva dato vita alla disciplina psichiatrica.
In quesiti e osservazioni mediche sui disturbi della mente si ritrova un'osservazione di Benjamin Rush
divenuta storica, perché ormai è riportata da tutti i testi anglosassoni che trattano l’argomento. Rush
osservò che le persone con problemi psichiatrici ospedalizzate miglioravano se, essendo maschi,
venivano coinvolte in operazioni di giardinaggio in senso allargato (tagliare legna, preparare il fuoco,
zappare) ed essendo donne, collaboravano alle operazioni domestiche (lavare, stirare, pulire i
pavimenti). Le persone di classi sociali superiori, invece, che normalmente erano esonerate da compiti
di questo genere, languivano, spegnendosi lentamente tra le pareti dell’ospedale. In poche parole Rush
confermò, nell’ambito degli studi psichiatrici del suo tempo, che relegare la persona con problemi
psichiatrici in una condizione di assoluta inattività e di mancanza totale di coinvolgimento non fa che
peggiorare la sua situazione, mentre un’attività manuale, in particolare a contatto con la terra e con la
natura, aiuta il processo di guarigione.
La funzione sociale dell’agricoltura ha subito nel tempo un’evoluzione di pari passo con il processo di
industrializzazione che ha investito il settore primario e che, come è noto, è avvenuto nel nostro paese
con enorme ritardo e con caratteri del tutto peculiari: si diffuse la proprietà coltivatrice e iniziò a
prendere corpo il fenomeno dell’agricoltura a tempo parziale.
Gli addetti agricoli erano ancora 8,6 milioni nel 1951. Scesero a meno di 5 milioni dieci anni dopo. Tra
il 1951 e il 1971 le campagne persero 4,4 milioni di agricoltori, ma guadagnarono 1,9 milioni di operai,
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impiegati e artigiani. Ogni anno 260 mila contadini lasciavano l’agricoltura, negli anni Sessanta
diventarono 314.000. Per la prima volta, da secoli, incominciò a scarseggiare la manodopera agricola e
aumentò il costo del lavoro. L’esigenza di produrre di più e la minore disponibilità di braccia portarono
verso l’integrale meccanizzazione delle operazioni colturali.
Nel Mezzogiorno l’esodo fu imponente. Tra il 1955 e il 1970 3 milioni di persone spostarono la
residenza dal Sud in un comune settentrionale, e si trattò per lo più di uomini e giovani, tutti o quasi
provenienti dall’agricoltura.
A seguito di tali processi anche il paesaggio agrario mutò: un nuovo paesaggio rurale veniva a
testimoniare gli effetti della grande trasformazione.
Negli anni Novanta questo movimento trova un primo assestamento normativo nella “cooperazione
sociale”.
Con la legge 381/91 sono state istituite le cooperative sociali, definite anche come enti ibridi, per la
finalità sociale che perseguono, per il carattere privato della struttura di impresa e per la proiezione
esterna del principio di mutualità, cioè la sua estensione a persone con bisogni sociali. Quella
normativa ha previsto esplicitamente che le cooperative sociali potessero svolgere attività agricole.
Alla fine del 2001, tra le cooperative di tipo B, cioè quelle la cui attività è finalizzata all’integrazione
lavorativa di persone svantaggiate, circa il 46% presentava come lavoratori svantaggiati esclusivamente
persone con disabilità e tra queste cooperative il 16,7% operava in ambito agricolo. Si trattava
complessivamente di 143 cooperative, distribuite fra tutte le regioni italiane, ma per la metà localizzate
in Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Lazio e Sicilia.
Se si considera che le donne operanti nelle cooperative sociali sono complessivamente il 70% e che la
stragrande maggioranza delle esperienze sono basate su forme di gestione familiare e comunitaria, si
può agevolmente ritenere che nell’Agricoltura Sociale sia notevole il protagonismo femminile.
Alla fine del 2003, le cooperative di tipo B sono diventate 1.979 e le persone svantaggiate coinvolte
sono 23.575, con un incremento del 26,1% rispetto al 2001. La percentuale di soggetti svantaggiati
presenti in cooperativa rispetto al totale dei lavoratori si attesta, a livello nazionale, al 46,5%, ben al di
sopra del limite minimo (30%) stabilito dalla legge 381 del 1991. Le cooperative sociali che operano in
ambito agricolo sono 471 su tutto il territorio nazionale. Si tratta di un numero significativo ma ancora
limitato, che denota da parte del movimento della cooperazione sociale una scarsa consapevolezza
dell’effettiva opportunità lavorativa per le persone svantaggiate rappresentata dalle attività agricole.
Pur mancando, come si è detto, studi specifici sull’inserimento lavorativo in ambito agricolo di persone
svantaggiate, un documento redatto da un gruppo di esperti europei sulla situazione occupazionale delle
persone con disabilità, quantifica nella misura del 5,7% la quota di occupati in agricoltura sul totale dei
disabili che lavorano. Un dato superiore a quello relativo agli occupati complessivi (disabili e non), che
a livello comunitario risultano impiegati nel settore primario per il 4%.
.
Sul finire degli anni Novanta un importante spazio di azione si è aperto grazie alla legge sui beni
confiscati alla mafia. Nel 1996 l’Associazione Libera, fondata da don Luigi Ciotti, aveva promosso una
petizione popolare e presentato al Parlamento un milione di firme per utilizzare a fini sociali i beni
9
confiscati alla mafia.
Con l’emanazione del provvedimento si è avviato quello straordinario processo con cui i beni confiscati
alla mafia, in particolare terreni e fabbricati rurali, sono stati recuperati a un utilizzo di interesse
collettivo.
Si chiama “Dopo di noi” il progetto che prevede come prendersi carico delle persone disabili quando la
famiglia non è più in grado di farlo. Con Decreto Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 13
dicembre 2001, n. 470, si sono fissati criteri e modalità per la concessione di finanziamenti a sostegno
di progetti “Dopo di noi”.
Si tratta della legge 109 del 1996 che reca “Disposizioni in materia di gestione di beni sequestrati o
confiscati”., col coinvolgimento, in molti casi, di persone svantaggiate. Sono nate così le prime
cooperative agrisociali siciliane e calabresi che sfidano con coraggio le organizzazioni mafiose nel
cuore dei loro “possedimenti” e contendono a queste il controllo del territorio e dell’economia locale,
su cui la mafia fonda buona parte del suo potere criminale anche sulla società civile.
Ma dando uno sguardo a quello che avviene in Europa, il panorama delle potenzialità occupazionali per
le persone svantaggiate da parte dell’agricoltura diventa ancor più variegato.
Le esperienze più significative in Europa ci dicono che il mondo della produzione agricola può cogliere
nell’Agricoltura Sociale.
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Benefits of Horticultural Therapy and Therapeutic Gardens
The benefits of involvement in horticultural activities and exposure to nature can be seen in cognitive,
psychological, social, and physical realms and research continues to reveal these connections across
many groups of people. The following list includes some of the benefits that have been cited in the
literature. Please note that many of these studies report on specific populations and the benefits may or
may not be applicable to all groups.
Coqnitive Benefits:
z Enhance cognitive functioning (Kaplan & Kaplan, 1989; Cimprich, 1993; Herzog, Black,
Fountaine & Knotts, 1997)
z Improve concentration (Wells,2000; Taylor et al., 2001)
z Stimulate memory (Namazi & Haynes, 1994).
z Improve goal achievement (Willets & Sperling, 1983).
z Improve attentional capacity (Haftig, Mang & Evans, 1991; Ulrich et al., 1991; Ulrich &
Parsons 1992; Ulrich , L999; Taylor et al., 2001)
Psvcholoqical Benefits:
z Improve quality of life (Willets & Sperling, 1983; Waliczeketal., 1996)
z Increase self-sistem (Moore, 1989; Blair et al., 1991; Smith & Aldous, 1994; Feenstra et al.,
1999; Pothukuchi & Bickes, 2001)
z Improve sense of well-being (Relf et a|.1992; Ulrich & Parsons, 1992; Galindo & Rodriguez,
2000; Kaplan, 2001; Jarrott, Kwack & Relf, 2002; Barnicle & Stoelzle Midden 2003; Haftig,
2003)
z Reduce stress (Ulrich & Parsons, 1992; Whitehouse et al., 2001; Rodiek, 20A2)
z Improve mood (Wichrowski, Whiteson, Haas, Mola & Rey, 2005; Whitehouse et al., 2001)
z Decrease anxiety (Mooney & Milstein, 1994)
z Alleviate depression (Relf, 1978; Mooney & Milstein, 1994; Cooper Marcus & Barnes, 1999)
z Increase sense of control (Relf et al., 1992)
z Improve sense of personal wofth (Smith & Aldous, 1994)
z Increase feelings of calm and relaxation (Moore, 1989; Relf et al., 1992)
z Increase sense of stability (Blair et al., 1991; Feenstra et al., 1999; Pothukuchi & Bickes, 2001)
z Improve perconal satisfaction (Blair et al., 1991; Smith & Aldous, 1994; Feenstra et al., 1999;
Pothukuchi & Bickes, 2001)
z Increase sense of pride and accomplishment (Hill & Relf, 1982; Matsuo, 1995)
Social Benefits:
z Improve social integration (Kweon, Sullivan & Wiley, 1998)
z Increase social interaction (Langer & Rodin, 1976; Moore, 1989; Perrins-Margalis, Rugletic,
Schepis, Stepanski, & Walsh 2000).
z Provide for healthier patterns of social functioning (Langer & Rodin, 1976; Kuo, Barcaicoa &
Sullivan, 1998)
z Improved group cohesiveness (Bunn, 1986)
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Phvsical Benefits:
z Improve immune response (Haftig, Mang & Evans, 1991; Ulrich et al., 1991; Ulrich & Parsons
1992; Ulrich, 1999)
z Decrease stress (Rodiek, 2002)
z Decrease health rate (Wichrowski, Whiteson, Haas, Mola & Rey, 2005)
z Promote physical health (Ulrich & Parsons, 1992; Kweon, Sullivan & Wiley, 1998; Cooper
Marcus & Barnes, 1999; Armstrong, 2000; Rodiek,2002)
z Improve fine and gross motor skills and eye-hand coordination (Moore, 1989)
Bibliografia
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well-being of older people in a long-term care facility. Horttechnology
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Relf D., DeHart-Bennett M. (1990) -Characteristics of horticultural businesses hiring persons with
mental retardation . Journal of Therapeutíc Horticulture.
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ambientale e la "terapia orticolturale". III giornate scientifiche SOI, Orto-Floro-Frutticoltura
amatoriale. Cesena.
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L’agricoltura sociale in Europa
L’agricoltura sociale in Europa è diffusa nei Paesi Bassi, Norvegia, Italia,
Belgio, Slovenia, Svizzera, Germania e Austria.
M entre nel Regno Unito e Svezia è diffusa la terapia orticolturale ed in
Finlandia le terapie assistite con animali.
Dim ensione dell’agricoltura sociale in alcuni paesi
europei
Paesi Bassi 600
Norvegia 500
Italia 500
Austria 300
Germania 150
Fiandre 140
n.b.:
Le car farms Olandesi sono decuplicate nell’ultimo
quinquennio
I ‘cantieri’ aperti
In Italia
Università della Tuscia e Università di Pisa
AIAB: promozione delle biofattorie sociali
ARSIA: animazione in Toscana sull’ AS
ALPA: creazione di uno sportello informativo
Provincia di Roma: Forum delle Fattorie Sociali
La Rete delle Fattorie Sociali
Il “Lombrico sociale” blog dedicato all’ AS
In Europa
La COST Action europea“Green Care in Agriculture”
Il progetto europeo SoFar – Social Farming
La Community of Practice “Farming for Health”
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Progetto del sito denominato Piano di
Beverino
L'Azienda Agricola, luogo laboratorio dell'inserimento lavorativo ha l'esigenza di
ampliare la S.A.U. attraverso l'utilizzo di terreni incolti di proprietà demaniale. I
terreni individuati quale estensione progettuale ricadono nel comune di Beverino e
sono censiti:
Terreni demaniali in Beverino F.16 e F.15
Foglio
15
Totale foglio 15
16
Mappale
84
86/p
730
737/p
731
Mq
13.800
40.416
2.790
69.547
0.150
7/p
306
126.703
7.660
5.530
Totale foglio 16
13.190
Totale generale
139.893
La superficie totale interessata dal progetto è di ha. 13.98.93, l’area è facilmente
accessibile attraverso una strada vicinale e raggiungibile tramite una diramazione
della “strada dei Tedeschi” e quindi collegata al sito di proprietà dell’Ente Parco
Montemarcello Magra nel quale insiste il fabbricato rurale oggetto di recupero di
infrastrutture a fini socio assistenziali.
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Il progetto pilota può essere ampliato attraverso la coltivazione di questa vasta area
pianeggiante localizzata sulla destra idrografica del corso del fiume Vara.
Il substrato geologico è costituito da depositi alluvionali, il clima di questa zona
presenta una piovosità piuttosto elevata (circa 1.216 mm. annui) con un massimo
assoluto autunnale e un massimo relativo primaverile, come da dati termoudometrici e
delle precipitazioni predisposti dal C.A.A.R. Sarzana (all. 1).
Il clima è mite con inverni non eccessivamente rigidi e temperature medie annuali
pari a 13,9 C ° , l’area è interessata da un clima sub-mediterraneo, periumido e
fresco, la zona fitoclimatica corrispondente è il lauretum sotto – zona fredda.
Il suolo, a seguito dei dati di analisi forniti dal Laboratorio Analisi Regionali Terreni
e Produzioni Vegetali della Regione Liguria, presenta una classe granulometrica dal
triangolo della tessitura francosabbioso con il 72,7% di sabbia e il 7,5% di argilla,
con la reazione ph del suolo subalcalina, conducibilità molto bassa, rapporto C/N
equilibrato, un contenuto di sostanze organiche relativamente elevato, suolo
scarsamente calcareo e capacità di scambio cationico media (pari a 13 meq/100g -1 ).
Per quanto attiene al contenuto degli elementi nutritivi si rimanda al grafico allegato.
Nell’area considerata insistono sia colture foraggere che di frumento tenero e di
patata, abbiamo quindi inteso valutare l’attitudine del suolo per la gestione aziendale
e per la programmazione a livello puntuale del progetto pilota, riferendoci così al
frumento tenero ed alla patata, perchè la coltivazione della stessa può rappresentare
un interessante prodotto tipico vendibile attraverso i Gruppi d'Acquisto Solidale o
direttamente in Azienda.
Il frumento tenero è stato individuato perchè il sito può diventare sede di un campo
varietale per determinare le varietà che meglio si attaglino alla coltura non irrigua, in
un momento in cui l'acqua sta diventando un fattore limitante.
Il sito si presta inoltre alla realizzazione di un giardino delle farfalle,di seguito
esplicitato dalle linee guida progettuali predisposte dalla Prof.ssa Rossi del
Dipartimento di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose “G.Scaramuzzi” Sez.
Entomologia Agraria dell’Università degli Studi di Pisa, anche in virtù della presenza
di esemplari di Zerynthia polyxena Denis & Schiffermüller catturati nell'areale come
da all. 2
La relazione minima sulla fitocenosi della zona denominata Piano di Beverino è
propedeutica sia all'individuazione di aromatiche coltivabili che alla predisposizione
delle relative schede di coltivazione.
L'elenco delle specie erbacee può rappresentare un'utile indicazione per la
progettazione di un giardino delle aromatiche.
15
(Solanum tuberosum, L.)
Descrizione della coltura
La patata
è una pianta erbacea perenne a coltura annuale, provvista di fusti
sotterranei carnosi trasformati, detti stoloni, gli ingrossamenti dei quali, i tuberi,
costituiscono il prodotto commestibile: le patate. I tuberi sono provvisti di gemme
(dette occhi) da cui prende avvio lo sviluppo della parte aerea della pianta. Le foglie
sono di un bel colore verde, imparipennate, glabre nella pagina superiore e pelose in
quella inferiore. I fiori, riuniti a grappoli, hanno calice verde formato da cinque
sepali uniti, e corolla
bianca o rosea formata da cinque petali, in parte concresciuti a formare un breve tubo
che si apre in un largo lobo. Il frutto è una bacca carnosa, prima verde e poi scura,
tondeggiante, contenente numerosi semi piccoli, appiattiti.
La patata ha un fusto aereo di colore verde bruno ricoperto di peli, lungo da 50 a 100
cm circa, in posizione eretta nella fase iniziale dello sviluppo e prostrato verso il
suolo a crescita avvenuta. La patata è conosciuta circa da 8000 anni, come
testimoniano alcuni reperti storici. Gli Spagnoli la conobbero durante la conquista
dell’America del Sud. La pianta era invece sfuggita a Cristoforo Colombo, perchè la
sua coltivazione veniva fatta solo sulle Ande, ma ebbe modo di gustare e di vedere
altre piante da radice e tuberi come la manioca e l’igname, specie di aree litoranee,
con maggiore esigenze termiche .
La patata è originaria del Messico e dell'America meridionale, dove è diffusa fino
alle estremità meridionali del Cile. Le antiche popolazioni della Cordigliera delle
Ande hanno addomesticato questa pianta da tempo immemorabile, più di 4000 anni fa,
selezionandone un numero enorme di varietà adatte in pratica a tutti i climi. Il suo
nome attuale deriva da batata, voce quechua. Nella nostra mente "patata" è associata
a "montagna". In montagna le patate sono più saporite, più sane, perché meno
soggette ai parassiti, alla peronospora, ai batteri ed alle virosi trasmesse dagli afidi
che, a causa delle basse temperature, hanno un minor numero di generazioni.
Portata in Europa dagli Spagnoli nel 1570, solo nel 1586 arrivò in Irlanda, dove
venne immediatamente accettata come importante prodotto agricolo ed entrò nella
dieta della gente povera. In Italia la patata si diffuse agli inizi dell’Ottocento per
merito del veneziano Vincenzo Dandolo. Oggi la sua coltivazione è diffusa in tutto il
mondo ed è tra i più importanti alimenti del genere umano. Il suo alto contenuto di
amido e il suo discreto contenuto di proteine, oltre alla vitamina C, la rendono un
cibo ideale. La patata produce più energia dei cereali per unità di superficie coltivata.
I tuberi si conservano preferibilmente in locali privi di luce per limitare la
germogliazione ed è buona norma, di tanto in tanto, eliminare i germogli che si
sviluppano. Le patate che diventano verdi contengono degli alcaloidi velenosi
16
(solanina).
Le varietà coltivate in Italia sono molto numerose. La varietà locale ligure per
eccellenza è la patata quarantina bianca, che è compresa nell'atlante regionale dei
prodotti tradizionali coltivata su tutto il territorio dell'entroterra genovese e in parte
dello spezzino.
Ha un tubero a forma rotonda o rotonda/ovale, buccia liscia di colore giallo; pasta di
colore bianco; germoglio a colorazione antocianica della base blu – violetto. Fiori
con frequenza bassa e colore bianco della parte interna: il germoglio presenta una
colorazione antocianica poco intensa, gemme mediamente profonde e sfumature rosa
chiara alla base del germoglio.
Qualità culinarie di tipo B (adatta a tutti gli usi) con scarsa consistenza della polpa e
aspetto umido, non farinoso a granulazione fine; gusto tipico di patata poco
pronunciato, senza retrogusti, delicato, è considerato la più antica e la più buona
varietà locale.
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Esigenze pedoclimatiche
La patata si sviluppa in un range di temperature molto limitato (15°C per la
germogliazione, 20°C per la fioritura, 18°C per la maturazione del tubero), per cui
sono temibili sia gli eccessi di caldo in carenza di acqua, sia i ritorni di freddo
tardivi. Questo vale per tutte le tipologie di patate.
Valori consigliati
Temperatura di germogliazione:14-16°C
Temperatura minima biologica: temperature inferiori a 2°C pregiudicano la
sopravvivenza delle piante; evitare zone caratterizzate da gelate tardive.
Temperatura ottimale di maturazione: 18-20°C
Temperature massime prolungate temperature superiori a 30°C
impediscono l’accumulo dei carboidrati nel tubero con diminuzione del peso
specifico; aumenta il rischio di tuberomania.
Il suolo è un fattore importante per la crescita della patata in quanto determina una
condizione o stato favorevole o meno alla respirazione degli stoloni e dei tuberi.
L’indicazione agronomica di una tessitura del suolo franco o francosabbiosa non è
sufficiente per definire una buona condizione di crescita. In Tunisia, sulle antiche
superfici terrazzate che sostengono suoli molto argillosi, ma che producono una
struttura superficiale granulare (self mulching) è possibile coltivare, con l’aiuto
dell’irrigazione, patate con ottime qualità organolettiche e merceologiche. Questo è
uno dei tanti esempi di suoli con caratteristiche lontane da quelle che sono
standardizzate nella valutazione d'idoneità e si riferiscono a condizioni locali non
estensibili a tutti gli ambienti suolo possibili. Così come è possibile avere buoni
risultati sui suoli pseudo sabbiosi di natura vulcanica che tuttavia hanno una buona
capacità d’acqua e sono decisamente aerati.
Parametri pedologici
Condizioni: tessitura franco, franco-sabbioso
Drenaggio: buono
Profondità 60-70 (cm)
ph: 6-6,5; < 6
Salinità (dS m-1): 4
Dotazione S.O.:buona
Calcare totale e attivo (%) :< 10
Tecnica colturale
La patata è una coltura da rinnovo che necessita di lavorazioni medio profonde,
quindi per creare un buon franco di coltivazione si ara alla profondità di circa 30-35
18
cm. Dopo l'aratura ed una successiva erpicatura, si procede alla concimazione di
fondo e all'interramento del tubero seme. Se la semina è fatta meccanicamente è
indispensabile effettuare anche un livellamento del terreno; se invece è manuale si
procede con l’assolcamento. È buona norma evitare il ritorno della coltura di patata
sullo stesso appezzamento prima di 2 anni durante i quali si sono fatte altre colture; è
sconsigliata anche la successione ad altre solanacee.
Scelta della semente
Nella scelta della semente abbiamo a disposizione varie classi di tubero seme, il cui
prezzo varia in funzione della categoria e della pezzatura.
Sesto di coltivazione
I sesti di coltivazione sono di 60-70 cm tra le file e di 25-35 cm sulla fila per una
densità di semina di 5-6 tuberi a m 2 . In genere si procede alla semina a mano, sono
meccanici i processi di assolcamento.
19
Concimazione
Le concimazioni necessarie alla patata non sono molto elevate. Gli asporti per 1 t di
tuberi prodotti con la corrispondente quantità di steli e foglie sono: 4 Kg di N; 2 Kg
di P2O5; 6 kg di K2O. La patata è una pianta potassofila e si giova, soprattutto la
primaticcia, di letamazioni. Ha una bassa efficienza d’uso nei confronti dell'azoto
(60%), anche perché essendo coltivata quasi sempre in terreni permeabili e non
avendo un apparato radicale molto sviluppato, tende a perderlo nel terreno.
Le esigenze azotate sono maggiori nei primi 50-60 giorni e per evitare che l'azoto
vada perduto si praticano tre interventi di concimazione: il primo, per 1/3 della
quantità, localizzato alla semina e in forma ammoniacale; il secondo intervento si fa
alla sarchiatura; il terzo alla rincalzatura.
Il fosforo viene distribuito all'80% in presemina, ed il restante alla semina, per
rinforzare le strutture meccaniche della pianta, ed in particolar modo favorire
l'ispessimento della "buccia" (periderma) del tubero, aumentandone la conservabilità.
Il fosforo è un catalizzatore del metabolismo glucidico e quindi particolarmente
importante per le produzioni primaticce.
Il potassio non è mai carente nei terreni italiani ma, poiché la patata ne assimila
tantissimo e, come il P, partecipa a rinforzare le strutture meccaniche della pianta e
favorisce la tuberizzazione, viene comunque distribuito. Tale operazione si fa
totalmente in presemina.
Le dosi per ettaro consigliate sono: 120-150 Kg di N per la patata
primaticcia e 150-180 Kg per la comune, di preferenza ammoniacale, per la lenta
cessione e il non dilavamento, 120 Kg di P 2 O 5 e 150 Kg di K 2 O. Per le patate
primaticce la dose di azoto non deve superare i 150 Kg ha - 1 distribuiti in due
frazioni: alla semina e alla tuberizzazione. Infatti le unità fertilizzanti consigliate a
seguito dell'analisi del suolo, riferite a 1.000 m 2 sono: N= kg.10, P 2 O 5 kg. 10, K 2 O
kg. 20.
La messa a dimora dei tuberi si effettuerà a 8-12 cm di profondità con tuberi seme
pregermogliati alla luce diffusa (questo permette di scartare quei germogli che
risultino anomali e accorcia il ciclo di 10-15 giorni per consentire la formazione di
forma idonea al consumo). Poco dopo l'emergenza (15 giorni) si procede ad una prima
rincalzatura-sarchiatura per favorire lo sviluppo di stoloni e per ridurre le infestanti.
Una quindicina di giorni dopo si pratica una seconda rincalzatura-sarchiatura per
favorire la tuberizzazione, impedire l'inverdimento dei tuberi, distruggere eventuali
infestanti e distribuire l'ultima dose di concimazione azotata e fosfatica.
Dopo questi interventi, le piante inizieranno a chiudere la fila, quindi non ci sarà più
rischio di competizione con le infestanti e gli unici interventi che si devono fare
saranno le irrigazioni, diversificate in funzione del periodo di coltivazione.
20
Acqua e patata
La patata, avendo generalmente un apparato radicale poco sviluppato ed essendo per
lo più coltivata in terreni sciolti e piuttosto permeabili, è sensibile alla carenza idrica
che ritarda la differenziazione e la crescita dei tuberi.
In ogni caso, per ottenere l’optimum sia della tuberizzazione che dello sviluppo dei
tuberi, sono necessarie condizioni di accrescimento regolari, legate ad un equilibrato
sviluppo vegetativo della parte aerea della pianta. Tutti gli eccessi sono negativi e si
ripercuotono come tali sia sulla quantità che sulla qualità delle produzioni. Uno
stress idrico che si manifesti durante la fase iniziale di sviluppo degli stoloni, può
ridurre sensibilmente il numero di tuberi che si formeranno.
Lo stress idrico può verificarsi quando il tubero è già formato e si sta accrescendo; in
questo caso, se interrompiamo bruscamente lo stress, con un adacquamento
improvviso o una concimazione inopportuna, possiamo provocare escrescenze,
anomalie, fenditure e fisiopatie sui tuberi. Tutti gli inconvenienti appena descritti
possono essere evitati mantenendo il terreno costantemente umido per il 65-75% della
sua capacità idrica, ad eccezione delle ultime fasi della maturazione. È opportuno,
quando ormai il tubero è vicino alla maturazione fisiologica, evitare ritorni di
vegetazione che andrebbero sicuramente a scapito della qualità del prodotto.
Indicativamente, si potrà procedere alla distribuzione di quantitativi d’acqua,
variabili in funzione della tipologia di prodotto che vorremo ottenere, per la patata
comune a semina primaverile, nelle regioni mediterranee occorrono almeno 450 m 3
ha - 1 distribuiti durante tutto il periodo di sviluppo.
Lotta antiparassitaria
Un altro aspetto agronomico importante nella coltivazione della patata è la lotta agli
insetti.
Occorre inoltre tenere sotto controllo un coleottero fillofago molto dannoso: la
Dorifora (Leptinotarsa decemlineata), i cui attacchi in massa sono in grado di
defogliare nel giro di pochi giorni interi appezzamenti. Così come bisogna evitare
attacchi di crittogame, in particolare della Peronospora (Phytoftora infestans), la
malattia fungina che distrusse tutte le patate irlandesi a metà del XIX secolo,
procedendo ad eventuali trattamenti specifici qualora si presentassero le condizioni
ambientali favorevoli ad un attacco (elevate temperature e umidità). Occorre tenere
sotto controllo anche le virosi, tramite il contenimento degli afidi e la scelta di
varietà resistenti.
La raccolta
21
La raccolta è in genere praticata quando i primi palchi di foglie iniziano a disseccare.
Risulta comunque difficile parlare di maturazione delle patate, tanto è vero che anche
i tuberi raccolti molto presto (è il caso delle patate primaticcie) sono comunque
commestibili e di buon sapore; questo fenomeno non avviene per nessun altro organo
di piante erbacee che, difatti, deve normalmente raggiungere un livello minimo di
maturazione prima di essere raccolto.
Le rese sono variabili in funzione dell'ambiente di coltivazione e della tipologia di
patata prodotta. Si va da 10-15 t ha nelle zone marginali o per le produzioni
primaticce, a 35-45 t ha nelle zone a coltura intensiva di patata comune. Le medie in
ogni caso sono intorno ai 24 t ha.
La profondità, è facilmente intuibile, influisce sull'abitabilità per le radici delle
piante e sulla quantità d’acqua ed aria disponibili. Il pH influisce sull’attività
biologica e sulle popolazioni animali e microbiologiche del suolo, oltre che sulla
disponibilità di nutrienti per le piante superiori. Si noti che a pH inferiori o intorno a
4, l’alluminio tende a divenire solubile e tossico per la patata, oltre che a dare
probabilmente un certo gusto metallico alla polpa. Lo scheletro può avere sia un
effetto negativo che positivo, quando in quantità moderata favorisce la circolazione
dell’acqua e dell’aria. Più lo scheletro aumenta e meno le patate assumono forme
regolari. In assenza di irrigazione, l’acqua utilizzabile dalle piante, determina
differenze consistenti nella produzione di patata. Un buon drenaggio è importante per
evitare ristagni d’acqua ed il conseguente marciume del tubero.
22
(Triticum aestivum, L.)
Il frumento, originario del Medio Oriente, è oggi diffuso in molte regioni del mondo
con condizioni ambientali assai differenti, grazie alle caratteristiche di adattabilità
della specie e all’impiego di diverse varietà. Gli scopi principali della rotazione nella
coltivazione del frumento sono essenzialmente l’arricchimento d’azoto nel terreno, il
controllo delle malerbe e dei principali patogeni e l’accumulo di riserve idriche nel
terreno. La posizione ottimale nell’avvicendamento è dopo le colture da rinnovo
(mais, patata, girasole, bietola, canapa, ecc.), che lasciano il terreno ripulito dalle
infestanti ed in buone condizioni chimico-fisiche, a causa delle lavorazioni profonde
e delle concimazioni cui sono sottoposte le colture da rinnovo. Le colture foraggere
sono ugualmente buone precessioni colturali per il frumento, anche se la fertilità che
lasciano è meglio sfruttata dalle piante da rinnovo.
Preparazione del terreno
Un’accurata preparazione del terreno è condizione indispensabile per conseguire rese
elevate da una coltura di frumento per due fondamentali motivi: per la possibilità di
eseguire una semina di precisione su un buon letto di semina, in grado di consentire
un investimento ottimale di piante a metro quadro; per ottenere un controllo ottimale
dello sviluppo delle infestanti.
La miglior preparazione del terreno si ottiene non solo con adatte
lavorazioni, ma anche prevedendo un’idonea sistemazione del suolo in grado di
evitare in pianura ristagni d’acqua sommamente nocivi alle piante di frumento, ed in
collina fenomeni d’erosione idrica superficiale e profonda.
Nei terreni in piano deve essere previsto un efficiente sistema d’emungimento delle
acque (scoline, drenaggio). Nel caso di terreni
poco permeabili, il sistema di scoline deve essere completato da una adeguata
baulatura del terreno.
Le lavorazioni del terreno sono diverse per tipo, epoca e profondità,
coltura che precede il frumento, epoca di raccolta della medesima e condizioni
climatiche e pedologiche al momento della lavorazione.
La lavorazione tradizionale principale è l’aratura, per la quale, però, in condizioni
climatiche sfavorevoli per eccessi di umidità del terreno, frequenti quando il
frumento segue una coltura che termina a fine estate, può dar luogo ad un lavoro di
scarsa qualità. La possibilità di trovare più o meno facilmente condizioni di tempera
del terreno, idonee all’esecuzione della lavorazione principale, dipende dalla natura
del terreno; si verifica più facilmente nei terreni sciolti e permeabili e meno
facilmente nei terreni argillosi pesanti.
Per il frumento non sembrano necessarie lavorazioni profonde, specialmente quando è
23
preceduto da una coltura da rinnovo. Quando invece segue un prato risulta necessario
un buon interramento del cotico erboso.
Alla lavorazione principale seguono le lavorazioni complementari, per le quali
s’impiegano diversi tipi d’attrezzi (estirpatori, frangizolle, frese, erpici a dischi,
erpici a denti, ecc.) in funzione delle caratteristiche del terreno. Queste sono
necessarie per la preparazione di un letto di semina ben amminutato e livellato, in cui
il seme possa trovare le migliori condizioni di germinazione.
Anche per il frumento è stata sperimentata la possibilità di eseguire la semina su un
terreno non lavorato (semina su sodo o sod seeding), usando particolari seminatrici e
distruggendo le erbe infestanti con trattamenti diserbanti. Più soddisfacente sembra la
tecnica di semina su lavorazione minima (minimum tillage), sistema che potrebbe
essere particolarmente utile per seminare in terreni difficili, dopo la raccolta di
colture a fine estate-autunno in condizioni di piogge frequenti.
Semina
Il seme da impiegare deve essere sano. Inoltre, deve essere dotato d’elevata purezza e
germinabilità. La semina, nei nostri ambienti, è generalmente autunnale, più precoce
al nord e più tardiva al sud. Anticipare le semine è egualmente importante con
l’aumentare dell’altitudine. Nei Paesi più freddi la semina primaverile prevale su
quella autunnale o la sostituisce completamente.
La quantità di seme da impiegare per unità di superficie dipende dalla densità di
piante che s’intende ottenere, dal peso medio delle cariossidi e dai fattori da cui
dipende la germinabilità in campo. Elevate densità di piante favoriscono alte rese in
condizioni di buona fertilità del terreno e sufficiente disponibilità idrica, mentre in
ambienti aridi si possono determinare condizioni di carenza idrica, soprattutto nella
fase di riempimento delle cariossidi. Inoltre, l’eccessiva densità di piante può
determinare una minore resistenza dei culmi all’allettamento. La densità ottimale di
spighe, in buone condizioni climatiche e pedologiche, è di circa 550-600 piante a
metro quadrato e viene ottenuta con una densità di semina di 400-500 cariossidi a
metro quadrato. La quantità di seme per raggiungere lo scopo varia da 160 kg ha nelle
regioni meridionali a 180 kg ha nelle regioni settentrionali, in buone condizioni di
semina. Si possono raggiungere anche 230-250 kg ha in condizioni di semina difficili
e nelle semine tardive.
Oggi la semina viene quasi generalmente eseguita a file con l’impiego di seminatrici
da grano. Essa può essere attuata a file semplici (15-20 cm tra le file) o a file binate
(distanza tra le file 12-15 cm e tra le bine 25-30 cm). Il seme viene interrato a 3-4 cm
di profondità. La semina viene completata con una leggera rullatura nei terreni soffici
e asciutti, per fare aderire meglio le cariossidi al
terreno e favorire l’assorbimento di acqua necessaria per la germinazione.
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Concimazione
Le asportazioni totali di una coltura di frumento dipendono da molti fattori climatici
e podologici e dalla resa della coltura. Si hanno asportazioni pari a 48 kg ha-1 di
azoto, 16 kg ha di fosforo e 29 kg ha di potassio per produzioni di 2,7 t ha di
granella; 132 kg ha di azoto, kg ha di fosforo e 83 kg ha di potassio per produzioni di
6,0 t ha di granella.
In linea di principio, la coltura di frumento dovrebbe preferibilmente trovare il
fosforo ed il potassio, ed anche una certa quantità d’azoto a lento effetto, inglobati
nella “forza vecchia” del terreno ed in particolare il fosforo ed il potassio,
somministrati alle colture foraggere o alle colture da rinnovo che precedono il grano
nella rotazione, mentre l’azoto a rilascio graduale nel corso della coltura dovrebbe
provenire o dai residui organici della coltura di foraggere leguminose della rotazione,
o dalla concimazione organica attuata in precedenza alle colture da rinnovo. Una
concimazione fosfatica e talora potassica all’impianto del frumento è necessaria in
caso di ringrano, specialmente se ripetuto, e viene calibrata tenuto conto del tenore di
fosforo assimilabile e di potassio scambiabile nel terreno.
Per quanto concerne la concimazione azotata, questa è determinante per le alte rese.
Il maggior fabbisogno d’azoto si ha durante la fase della levata. Il massimo contenuto
nel culmo e nelle foglie si riscontra alla fioritura. La concimazione azotata varia da
caso a caso in funzione di molti fattori: varietà coltivata, quantità d’azoto presente
nel terreno, quota d’azoto utilizzabile in relazione all’intensità di mineralizzazione
della sostanza organica, condizioni climatiche che influenzano l’attività microbica
del terreno, perdita d’azoto per dilavamento, disponibilità di acqua nel terreno alla
levata e alla maturazione delle cariossidi.
Le dosi totali d’azoto generalmente impiegate sono, nell’Italia
settentrionale, 150-180 kg ha-1, ma si può arrivare, per varietà di taglia bassa
resistenti all’allettamento, fino a 200-250 kg ha.
Lotta alle infestanti
Data la semina del frumento a righe ravvicinate, la lotta alle infestanti era in passato
necessariamente attuata mediante scerbatura manuale, oggi improponibile dato
l’elevato costo della manodopera. Attualmente, il controllo delle malerbe nei
seminativi di frumento si può fare in maniera efficace ed affidabile solo con il
diserbo chimico, che non è consentito in agricoltura biologica.
Si attueranno tutti i mezzi indiretti atti a ridurre la gravità delle infestazioni, come
la rotazione colturale, le lavorazioni appropriate, la tecnica della falsa semina,
l’impiego di sementi di qualità aventi un altro grado di purezza e semina a file binate.
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Irrigazione
Data la stagione in cui si svolge il ciclo colturale, il frumento non necessita di
interventi irrigui. Tuttavia, nelle annate caratterizzate da forte carenza di
precipitazioni nel periodo di formazione della spiga e di riempimento delle cariossidi,
ove siano disponibili impianti irrigui può essere opportuno intervenire con qualche
irrigazione di soccorso.
Raccolta e conservazione
La raccolta del frumento, da eseguire dopo la maturazione fisiologica, consiste di due
operazioni fondamentali: taglio delle piante (mietitura) e separazione della granella
dalla paglia e dalla pula (trebbiatura). Oggi, queste operazioni vengono eseguite
contemporaneamente con la mietitrebbiatura, da attuare solo a maturazione piena,
quando la granella ha non più del 13% di acqua, 2-3 settimane dopo la maturazione
fisiologica.
L’umidità mercantile standard è del 14,5%, però la granella può essere immagazzinata
senza problemi con un’umidità non superiore al 13%.
Clima
Pur essendosi adattato alle più diverse condizioni ambientali, il frumento ha rese più
elevate nelle regioni temperate, venendo impiegate varietà primaverili nelle aree più
fredde e varietà autunnali in quelle caldo aride e temperato calde.
Non si adatta bene, invece, ai climi caldo umidi, a causa dell’alta suscettibilità agli
attacchi parassitari. Nell’ambiente mediterraneo, il frumento è soggetto a soffrire
carenze idriche proprio nel momento in cui il fabbisogno è più elevato,
ossia durante l’ingrossamento della cariosside. Il frumento duro, rispetto a quello
tenero, è meno tollerante alle basse temperature e più resistente alla siccità. Esistono
varietà neutrodiurne, in climi con inverni miti, e varietà longidiurne , a latitudini
maggiori.
Il frumento ha buona resistenza alle basse temperature, soprattutto nel periodo che va
dall’emissione delle prime foglie all’inizio della levata (le varietà più resistenti
arrivano a tollerare fino a –20°C). Dal punto di vista delle esigenze idriche, il
frumento ha 4 momenti critici:
• emergenza;
• inizio levata;
• fine spigatura-fioritura;
• fase di riempimento della cariosside.
Il frumento è una coltura asciutta nelle regioni temperate, mentre negli ambienti aridi
e sub-aridi l’irrigazione è molto utile. Il consumo medio d’acqua può andare da 450 a
26
650 mm (Baldoni e Giardini, 1981). Piogge eccessive o troppo frequenti sono dannose
durante la crescita, perché provocano l’allettamento, e durante la raccolta.
Suolo
Il frumento non è particolarmente esigente in termini di caratteristiche del suolo, a
patto che abbia a disposizione un’adeguata quantità di nutrienti e di acqua, anche se
il ristagno idrico è dannoso per la pianta. Si adatta a diversi valori di pH, anche se
trova l’ambiente ottimale intorno alla neutralità (6,5-7,8); tollera bene terreni alcalini
ed è mediamente tollerante alla salinità. In Italia i terreni migliori sono quelli
argillosi ben drenati.
Elementi nutritivi
Il frumento, per la natura del suo apparato radicale (radici embrionali nelle prime fasi
di vita ed avventizie all'accestimento), necessita di principi nutritivi facilmente e
prontamente assimilabili. Il fabbisogno di nutrienti varia in funzione della varietà e
dei livelli produttivi. Sebbene in passato come concimazione del frumento veniva
considerata solo quella azotata, anche il fosforo e il potassio sono essenziali per un
adeguato livello produttivo della pianta ed un normale accestimento. La disponibilità
di fosforo, inoltre, favorisce lo sviluppo radicale, consentendo quindi alla pianta di
resistere meglio alla siccità, soprattutto negli ambienti mediterranei.
Attitudine delle terre alla coltivazione del frumento
Il frumento tenero si adatta soprattutto ai terreni ben dotati di fertilità (forza
vecchia), da medio impasto ad argillosi, mentre dà produzioni scadenti in suoli
sabbiosi, poveri o a reazione acida. Le varietà a semina invernale coltivate in Italia
sopportano bene i freddi invernali e richiedono, a partire dalla levata, temperature
crescenti. In fase di maturazione il frumento si avvantaggia di un
clima caldo e poco piovoso, anche se gli eccessi di temperatura, accompagnati da
vento caldo, possono determinare la formazione di granella striminzita (“stretta”) e
scarse rese. È una pianta con medie esigenze idriche, concentrate soprattutto nel
periodo tra la levata e le prime fasi di maturazione; teme fortemente, specie nei
periodi freddi, il ristagno d’acqua nel terreno a seguito del quale si verificano uno
sviluppo stentato per asfissia radicale e attacchi parassitari; teme, inoltre, i forti
venti ed i temporali primaverili, in quanto causa di allettamento.
Le diverse varietà di frumento tenero, al di là delle comuni esigenze colturali, si
differenziano per le caratteristiche produttive e per il grado di tolleranza alle
avversità ambientali.
27
Relazione minima sulla fitocenosi della zona denominata "Piano di Beverino"
Dal punto di vista orografico, l'area in esame risulta essere un vasto spazio planiziale
di esondazione del fiume Vara ; ciò significa che il substrato essenziale del terreno è
formato da depositi detritici con terreno superficiale di carattere argilloso, avente un
ph vicino ai valori di neutralità, con tendenza alcalina . L'approvvigionamento idrico
del corpo fluviale e dei sui affluenti è di carattere esclusivamente pluviale , quindi a
portata molto variabile in funzione delle stagioni e della quantità di precipitazioni;
questo fattore rende particolarmente difficoltosa l'individuazione di polle di falda ed
inaffidabile l'uso di eventuali sorgive a scopo di alimentazione di impianti irrigui .
A tale scopo è preferibile ricorrere all'uso di pozzi artesiani che raggiungano il
subalveo fluviale, sottolineando comunque che il prelievo idrico va eseguito con
grande oculatezza, onde non creare problemi all'ecosistema fluviale nei momenti di
particolare carenza di portata.
La porzione dei terreni prossima alla strada di collegamento detta "strada dei
tedeschi", presenta una conformazione a terrazzamenti tipica dei coltivi ( i cosiddetti
"poggi" ) abbandonati ; difatti si presume che l'ultimo utilizzo agricolo del terreno
sia stato a vigna (Vitis vinifera), stanti le innumerevoli plantule che ancora si
rinvengono e le tracce residue delle palificazioni di sostegno .
Tra la vegetazione presente e spontanea del luogo e tipica della zona, abbondano vari
rappresentanti delle labiate aromatiche come Origanum majorana e Timus vulgaris
che localmente portano i nomi di "peveèla" e "tremoèo"; la Santoreja montana è
un'altra labiata aromatica spontanea della zona che potrebbe essere coltivata con
successo, assieme alle classiche Melissa officinalis, Salvia officinalis e Rosmarinus
officinalis ; quest'ultimo pare che presenti anche una varietà autoctona da verificare
con la Facoltà di Agraria dell'Università di Pisa presso la quale è depositata una tesi
di laurea sull'argomento . E' interessante notare che l'assenza quasi totale di piante
erbacee nitrofile è un buon indicatore di uno scarso sfruttamento intensivo del terreno
con concimi organici (naturali o di sintesi), nonostante la costruzione originaria ,
oggi ristrutturata come foresteria, presentasse le caratteristiche di una stalla/fienile :
ciò porta ad arguire che l'allevamento in loco era probabilmente di capi ovini e/o
caprini, i quali hanno deiezioni scarsamente nitrificanti, soprattutto a lungo termine.
L'elenco delle erbe officinali rilevate potrebbe essere lunghissimo, ma meritano
menzione I'Hypericum perforatum, la Calendula officinalis, il Melilotus
offrcinalis,l'Achillea millefolium, la Potentilla reptans, la Capsella bursa-pastoris, il
Centrantus ruber, l'Arctium lappa, la Saponaria officinalis, l'immancabile Taraxacum
officinalis.
La grande varietà di piante erbacee, delle quali si fornirà di seguito un elenco più
dettagliato,oltre ad indicare un buon grado di salute dell'ambiente, mostra anche una
28
potenzialità del sito per accogliere svariati progetti di coltivazione biologica o
biodinamica sia per le varietà ortofrutticole che per le specie officinali, stante sul
luogo anche la possibilità di usare il fabbricato presente come luogo di
trasformazione e di estrazione di principi attivi.
Riguardo ai suffrutici, si direbbe che l'arbusto più diffuso della vegetazione pioniera
sia la Rosa canina , assieme ad una popolazione più modesta dell'immancabile
ginestra , rappresentata anche nella sua forma spinosa e dall'endemico ginestrino
(Lotus corniculatus). Naturalmente, nell'area di transizione da prato a bosco, il
cosiddetto forteto, non mancano i classici rappresentanti della macchia mediterranea ,
quali il Mirto (Myrtus communis) ed il Lentisco (Pistacia lentiscus), associati a
rampicanti come il Luppolo (Humulus lupulus), la Salsapariglia (Smilax aspera), il
profumatissimo Caprifoglio (Lonicera caprifolium) ed anche la Vitalba (Clematis
vitalba), che testimonia l'uso del fuoco nelle pratiche agricole, confermato dalla
presenza di rovi (Rubus ssp.) e Felci della specie Polysticum filix max, tutte piante
che possiedono un apparato radicale piuttosto profondo che non viene raggiunto dal
fuoco di pulizia. La ricchezza di acqua in alcuni punti è confermata dalla presenzadi
esemplari di Sambuco nero (Sambucus nigra), da non confondersi con il
velenosissimo Ebbio (Sambucus ebulus), anch'egli presente in quantità e dal
Farfaraccio (Petasystes farfara) dalle foglie gigantesche, che decorano le vallette
ombrose.
Le essenze arboree che circondano l'area prativa, sono rappresentate dalla classica
vegetazione riparia della zona che vede una consociazione alneto-saliceto commista a
sclerofille e latifoglie termofile classiche del piano basale. Un popolamento di Pinus
pinaster ormai risicato e falcidiato dalla cocciniglia sta cedendo il passo ad altre
eliofile tra le quali, purtroppo, si annoverano anche le infestanti Robinie (Robinia
pseudoacacia) ed il pericoloso Ailanto (Ailanthus altissima), che sembra però
confinato in piccole aree e contrastato abbondantemente da Frassini e Carpini e da
graziosi "cerchi" di Noccioli (Corylus avellana)e qualche decorativo Evonimo
(Evonimus europeus) con i suoi fiori rosa a forma di copricapo vescovile.
Pur se affrontata in maniera superficiale, quest'analisi minima sulla fitocenosi della
zona del Piano di Beverino, vuol sottolineare soprattutto che l'area in esame presenta
caratteristiche ottimali dal punto di vista naturalistico, dato che emergono
chiaramente tutti gli elementi caratteristici dell'evoluzione in corso verso lo stadio
climax, sia delle porzioni boschive, che di quelle prative; questo evidenzia anche la
potenzialità del sito a svilupparsi in qualsiasi direzione per quanto riguarda il suo
uso, in particolare per l'agricoltura biologica e/o biodinamica .
Elenco sintetico delle specie erbacee:
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Cariofillacee
Stellaria minima
Spergula arvensis
Silene alba
Silene dioica
Saponaria officinalis
Diantus cartusianorum
Ranuncolacee
Trollius europeus
Ranunculus repens
Ranunculus ficaria
Ranunculus flammula
Anemone nemorosa
Papaveracee
Fumaria officinalis
Papaver rhoeas
Chelidonium majus
Crocifere
Rorippa ssp.
Brassica Rapa (probabilmente residuo di coltivazione)
Cardamine pratensis (nel torrente Graveglia)
Allilaria petiolata
Nasturtium officinale
Cochlearia officinalis
Capsella bursa-pastoris
Thlaspi arvense
Cardaria draba
Reseda lutea
Reseda luteola
Isatis tintoria
Crassulacee
Umbilicus rupestri
Sempevivum tectorum
Sedum acre
30
Sassifragacee
Crysosplenium oppositifolium
Rosacee
Agrimonia eupatoria
Sanguisorba minor
Sanguisorba officinalis
Alchemilla vulgaris
Fragaria vesca
Potentilla reptans
Potentilla tormentilla
Leguminose
Vicia sativa
Lathynrs pratensis
Melilotus officinalis
Melilotus alba
Trifolim pratense
Medicago arabica
Medicago sativa ( residuo di coltivazione)
Trifolium repens
Spartium junceum
Calicotome spinosa
Geraniacee
Geranium robertziana
Euforbiacee
Euphorbia dendroides
Malvacee
Malva Althea
Malva sylvestris
Guttifere
Hypericum perforatum
Violacee
Viola arvensis
31
Ombrellifere
Anthriscus sylvestris
Daucus carota
Pimpinella saxifraga
Heracleum spondylium
Angelica sylvestris
Conium maculatum
Pastinaca sativa
Foeniculum vulgaris
Leodonton autunnalis
Crepis vescicaria
Aracee
Arum italicum
Arum maculafirm
Iridacee
Iris germanica
Naturalmente l'elenco è solamente indicativo e tutte le specie sono state classificate
"a vista", quindi potrebbero esserci degli errori , dato che nello stesso genere,
talvolta, si può fare confusione o addirittura possono ibridarsi specie consimili.
Scrofulariacee
Verbascum thapsum
Verbascum album
Veronica officinalis
Veronica persica
Veronica beccabuga
Rhinanthus minor
Orobanche flava
Plantaginacee
Plantago minor
Plantago lanceolata
Valerianacee
Centranthus ruber
Valeriana oflicinalis
32
Valerianella locusta
Caprifoliacee
Lonicera caprifolium
Dipsacacee
Scabiosa columbaria
Dipsacus fullonum
Campanulacee
Camp anul a rotundifolia
Campanula racemosa (rachelium)
Composite
Bellis perennis
Solidago virgaurea
Matricaria fetida
Tanacetum vulgare
Petasistes farfara
Achillea millefolium
Artemisia vulgaris
33
SCHEDE DI COLTIVAZIONE DI:
CUCURBITA PEPO L.,
OCYMUM BASILICUM L.,
CROCUS SATIVUS L.
MAJORANA HORTENSIS MOENCH..
MENTHAxPIPERITA L.
ORIGANUM OFFICINALIS L.
PETROSELINUM SATIVUM Hoffm.
34
CUCURBITA PEPO L.
(Zucchino)
Foto 1: pianta di zucchino
Descrizione della coltura
Lo zucchino è una specie erbacea annuale appartenente alla famiglia delle Cucurbitacee.
Il suo portamento, a seconda delle cultivar, può essere ad alberello, cespuglioso o strisciante. Le radici
possono approfondirsi fino ad un metro, ma la maggior parte dell’apparato radicale si sviluppa
piuttosto in superficie, soprattutto su terreni fertili che presentano, durante il ciclo, un’umidità sempre
costante.
Il frutto è un peponide e si consuma allo stato erbaceo. Può avere, a seconda delle cultivar, forma
allungata, clavata, tondeggiante, ricurva, appiattita. Lo zucchino è una pianta monoica che presenta
fiori unisessuati molto appariscenti, di colore giallo intenso che, aprendosi di mattina, vengono visitati
da molti insetti. L’impollinazione avviene ad opera di questi ultimi e soprattutto da parte di api e
bombi.
Le foglie sono portate da lunghi piccioli vuoti all’interno; in particolare sulla pagina inferiore e sul
picciolo, esse presentano numerosi peli rigidi.
Esigenze pedo- climatiche
Lo zucchino è una coltura che preferisce dei terreni leggeri, freschi con la sostanza organica ben
umificata. E’ caratterizzato da una crescita rapida, con un notevole sviluppo fogliare.
Lo zucchino è mediamente sensibile agli eccessi di boro ed alla salinità, al contrario teme le carenze di
magnesio e di manganese ed è molto sensibile a quelle di ferro e molibdeno.
Il pH del suolo si colloca tra 5,6 e 7,5: quello ottimale è attorno a 6,5.
Lo zucchino è una pianta ad elevate esigenze termiche, ma fra le altre cucurbitaceae è la meno esigente:
35
predilige ambienti temperati e sono da evitare quegli ambienti caratterizzati da un’elevata ventosità. I
valori ottimali di temperatura sono di 15-18°C la notte e 24-30°C il giorno. La temperatura del terreno,
a livello delle radici, ha un effetto importante sulla crescita dello zucchino, con valori ottimali attorno i
21°C. A 10-13°C la pianta arresta la crescita.
Tecniche colturali
Coltivazione in pieno campo
Lo zucchino viene considerato come una pianta da rinnovo e la sua coltivazione richiede la stessa
precauzione utilizzata per le altre cucurbitaceae: quella di evitare un ritorno troppo ravvicinato sullo
stesso terreno.
Si consiglia una concimazione di base con letame ben maturo, o fertilizzanti organici se non si dispone
di letame, con apporto di fosforo alla preparazione del terreno. Appena dopo l’inizio della raccolta, si
dovranno cominciare le concimazioni azoto-potassiche.
Coltivazione semiforzata in piccoli tunnel
E’ una coltura di pieno campo, con la possibilità di anticipare il trapianto e la produzione.
La coltura semiforzata con piccoli tunnel si avvantaggia notevolmente della pacciamatura, e di
conseguenza l’irrigazione viene fatta con impianti a microirrigazione. La concimazione così, si apporta
facilmente con la fertirrigazione.
E’ possibile utilizzare tecniche di pacciamatura attraverso l’uso di polietilene nero, film a base di amido
di mais o materiale cellulosico, con i seguenti vantaggi/svantaggi (tab. 1).
Vantaggi
Anticipo della cultura
Pulizia
Contenimento infestanti
Svantaggi
Impossibilità di lavorare per interrare
concimi
Impossibilità di lavorare per
rincalzare
Impossibilità di lavorare per rompere
la crosta
Tab. 1 – Vantaggi e svantaggi della pacciamatura
Coltivazione in coltura protetta
Questa coltura è fatta in serre/tunnel medio/grandi, sia in apprestamento freddo che riscaldato.
Per facilitare le cure colturali e la raccolta possono essere applicati dei sostegni per l’allevamento in
verticale.
Per il resto viene applicata la tecnica di coltivazione ordinaria, anche se la coltura forzata richiede più
consistenti apporti di elementi nutritivi. Particolare attenzione dovrà essere posta nell’evitare eccessi di
vigoria e di salinità nel terreno.
Sesto d’impianto
36
Nella coltivazione dello zucchino si utilizza un sesto d’impianto a file semplici con distanze tra le
piante sulla fila di 0,90/1,00 metro e tra le file di 1,20/1,40 metri.
Cure colturali
Le cure colturali più importanti specifiche per la coltivazione dello zucchino sono le seguenti:
•
•
•
•
sfoltire la vegetazione della pianta togliendo le foglia basali ormai esauste, per consentire una
più vigorosa crescita del germoglio apicale;
asportare dopo il trapianto le foglie dicotiledonari e successivamente i primi fiori e frutti, per
consentire un migliore sviluppo della porzione vegetativa della pianta;
eseguire la cimatura di eventuali getti secondari durante il ciclo vegetativo della coltura;
sulle piante coltivate in ambiente confinato è preferibile l’utilizzo di tutori e legature per
l’allevamento verticale delle piante, ottimizzare la densità dell’impianto e facilitare le
operazioni di raccolta.
Fertilizzazione
Lo zucchino ha esigenze nutritive notevoli ed è considerata una coltura potassofila. Il fabbisogno in
fosforo è relativamente costante durante l’accrescimento e nella fase produttiva, ma in misura minore
rispetto all’azoto ed al potassio.
Aumentando la quantità di potassio nel terreno, aumenta lo spessore della buccia dei frutti e ciò rende
gli stessi più resistenti alle lesioni e migliora la qualità del prodotto.
Un eccesso d’azoto nella fase iniziale della crescita può influenzare negativamente l’allegagione.
Essendo una coltura da rinnovo trae vantaggio dall’apporto di letame ben maturo e tra gli oligoelementi si avvantaggia dell’apporto del magnesio.
Prima di fare il piano di concimazione è quindi auspicabile conoscere, mediante un'analisi dettagliata
del terreno, la disponibilità di sostanze nutritive presenti in qualità e quantità.
E' più opportuno concentrare le risorse dell'agricoltore sull'ammendamento organico (concimazione
con stallatico in dosi di 300-400 qli/ha) che rende anche le disponibilità per mineralizzazione dei
nutrienti meglio distribuite nell'arco dell'intero ciclo produttivo, minimizza gli svantaggi dell'eccesso
vegetativo e migliora la dinamica dell' acqua nel suolo
L'apporto di sostanza organica può avvenire anche tramite sovesci, soprattutto interessanti sono quelli
di leguminose e crucifere che possono avere azione nematocida e fungistatica .
Per quanto riguarda la concimazione azotata, occorre prestare attenzione alle concimazioni troppo
elevate alla semina o al trapianto, possono provocare una vegetazione troppo vigorosa ed inibire la
fioritura.
L’eccesso d’azoto come anche la carenza, si traducono in problemi di fioritura e di cascola dei fiori.
Le forme nitriche, se consentite, vanno utilizzate in copertura.
37
Asporti di nutrienti in pieno campo
Asporti medi: valori espressi da diversi
Kg/ha
Autore Prod. (t/ha) N
P2O5
AA.VV 40-60
140-200 70-100
Tesi
45
170
70
Asporti di nutrienti in coltura protetta
AA.VV 60
230
100
AA.VV 50-70
200-280 100-140
autori. Unità di misura
K 2O
CaO MgO
350-500 /
/
390
/
/
540
/
450-600 /
60
/
Irrigazione
Lo zucchino è una pianta con elevate esigenze idriche, le esigenze idriche in pieno campo ed in serra
arrivano fino a 5 mm di acqua al giorno in condizioni di elevata insolazione.
Tuttavia condizioni di umidità elevata e costante si determina un eccesso di vigoria vegetativa a scapito
della produzione.
In generale occorre un volume irriguo stagionale di 3.000-4.000 mc/ha.
L’acqua d’irrigazione non deve avere un indice di salinità superiore a 1,5-2,0 mS/cm.
La carenza idrica nello zucchino agisce negativamente sulla produzione, nei casi più gravi arrestandola,
è pertanto indispensabile prevedere l’apporto frazionato di acqua.
Le tecniche di irrigazione consigliate sono la microirrigazione a manichetta forata e quella in pieno
solco, mentre è da evitarsi l’irrigazione a pioggia, per scongiurare attacchi di parassiti fungini.
Ore di manodopera impiegate per la coltura
Per tale coltura, preso in esame il periodo interessato dal ciclo produttivo (aprile- agosto), si sono
analizzate le operazioni colturali al netto dei tempi necessari all’addetto per raggiungere il sito che
ospita la coltura.
Nella coltivazione dello zucchino si sono conteggiate le operazioni di lavorazione del suolo (comprese
sarchiature e rincalzature), le concimazioni, il trapianto, l’irrigazione, di operazioni colturali particolari
(asportazione foglie basali e tutoraggio) e la raccolta (compreso il confezionamento).
Da tale valutazione è risultato che per la coltivazione di 1000 mq di zucchino sono necessarie da 140 a
160 ore di manodopera.
Tale calcolo è al netto dei tempi di lavoro aggiuntivi derivanti dalla particolare orografia del territorio
terrazzato delle Cinque Terre.
Avversità
Le avversità si dividono in danni dovuti a fenomeni non parassitari, fitopatie e danni da parassiti.
Le due tipologie sono riassunte nelle tabelle sottostanti.
Avversità
Batteriosi
Misure preventive
Lotta diretta
usare seme sano
i sali di rame hanno un effetto di
(Pseudomonas immersione del seme per un certo lasso di contenimento e i trattamenti sono consyringae
tempo (20 - 40 minuti) in acqua calda (50 sigliabili dopo operazioni manuali o
pv. lachrymans,
38
Erwinia
carotovora
subsp.
carotovora)
Virosi
(CMV,
ZYMV,
WMV-2)
meccaniche che possono causare ingenti
- 55 °c),
ferite sulle piante
ampie rotazioni colturali,
adeguata areazione delle serre,
adeguate densità d'impianto,
impiego di varietà tolleranti,
nutrizione azotata equilibrata,
irrigazioni localizzate,
accurato drenaggio.
Utilizzo di varietà resistenti, lotta agli
insetti vettori (afidi principalmente),
evitare la propagazione dell’infezione
attraverso l’uso degli strumenti di
raccolta.
Per il trapianto è importante usare
piantine ottenute in vivai con sicura
protezione dagli afidi.
Oidio
in serra seppure è frequente la presenza di L'orientamento attuale è verso l'utilizzo di
condizioni di umidità relativa superiore al zolfo pulverulento (50 kg/ha) per
70 % tuttavia si toccano frequentemente impolverazioni a cadenza di 10 giorni,
condizioni di temperatura superiori ai integrata magari con l'utilizzo di
35°C che tendono a bloccare almeno permanganato di potassio su attacchi in
atto (1-2 kg/ha) prima di riprendere la
temporaneamente l'infezione.
linea a base di zolfo.
Sicuramente
insoddisfacente la linea basata su prodotti
bagnabili a base di zolfo.
Avversità
Nematodi
Misure preventive
Lotta diretta
varietà resistenti, anche se la resistenza si Azadiractina, miscela di microrganismi.
riduce di molto con temperature del suolo
superiori ai 27-28 °C, innesto su piede
resistente, sovesci con piante biocide,
rotazioni
nutrizione azotata equilibrata, la presenza In presenza di elevata infestazione, e in
di aree marginali ricche di vegetazione assenza di ausiliari spontanei o introdotti,
spontanea aumenta la popolazione di intervenire con trattamenti con insetticidi
ammessi (Azadiractina alla comparsa dei
predatori e parassitoidi.
primi afidi, piretro, in trattamenti
localizzati sui focolai).
impiego di piantine di pomodoro non Interventi preventivi con azadiractina.
infestate.
Lavaggi con saponi.
impiego di reti antinsetto.
Utilizzo di piretro in assenza completa di
impiego di trappole cromotropiche gialle ausiliari.
per il monitoraggio
Impiego dell'ausiliare Encarsia formosa,
eseguire 4-6 lanci di 4-6 pupari/mq a
Afidi
Aleurodidi
39
Nottue
cadenza quindicinale nel periodo primaverile e settimanale nel periodo estivo.
Impiego
dell'ausiliare
Macrolophus
caliginosus, introdurre con 2-3 lanci, 1-3
individui.
trattamenti serali utilizzando
Bacillus
thuringensis
Scelta varietale
La produzione di zucchino biologico, destinata in gran parte alle catene di distribuzione organizzata, è
basata sull’adozione di ibridi F1.
In assenza di specifiche liste di raccomandazione varietale per il biologico, si può fare riferimento a
quelle relative a metodi di produzione integrata, scegliendo preferibilmente cultivar rustiche e tolleranti
fitopatie quali oidio (Erisyphe cichoracearum) e virosi (ZYMV, WMV, CMV).
La coltivazione di ecotipi di zucchino è limitata alle produzioni destinate ai mercati locali. In tal caso si
dà grande importanza a caratteri quali il colore del frutto (verde chiaro, verde scuro, striato, giallo) e la
persistenza del fiore al frutto.
Lo zucchino chiaro è stato inserito nell’Atlante Regionale dei prodotti tipici, perché la tradizione
gastronomica e la cultura materiale della civiltà contadina ha portato ad utilizzare dello zucchino chiaro
non solo il frutto, ma anche il fiore. Infatti nelle zone di produzione le varietà di zucchino coltivate
sono di colore chiaro, con fiori maschili resistenti e femminili molto sviluppati e persistenti sul frutto.
Varietà utilizzate
Zucchino GREYZINI
Ibrido precoce di colore verde chiaro, di lunghezza compresa tra 14 e 16 cm. La pianta è di medio
vigore, adatto sia in produzione in serra che in pieno campo.
Zucchino GENOVESE
Ibrido dal ciclo precoce, presenta frutto cilindrico di colore verde chiaro con marezzature colore crema
e buona tenuta del fiore. La pianta è compatta e ad elevata produttività.
Bibliografia
Tesi R. “Principi di orticoltura e ortaggi d’Italia”. Edagricole.
Turchi A. et al. (1997) “Orticoltura pratica”. Edagricole
Regione Emilia Romagna (2006) “Zucchino”. Disciplinari di produzione integrata 2006
40
Malagoli C. (1999) “Aspetti economici della coltivazione dello zucchino”. L’informatore agrario
n° 18/1999, pg. 51-54.
I.N.E.A. Regione Liguria (2000) “Studio sui tempi delle operazioni colturali delle colture liguri”.
41
OCIMUM BASILICUM L.
(Basilico)
Foto 1: Pianta di basilico
Descrizione della coltura
E’ una pianta aromatica assai apprezzata, di origine erbacea a ciclo annuale, con centro di origine
nell’Asia. La radice è fittonante, con numerose ramificazioni superficiali di colore nerastro; lo stelo è
quadrangolare con ramificazioni ascellari contrapposte, raggiunge un’altezza di 40-70 cm.
Le foglie sono ovali lanceolate con bordo dentato, picciolo corto, lembo liscio o bolloso con nervature
evidenti, di colore verde o violetto.
I fiori sono riuniti in spighe allungate, con fioritura dal basso verso l’alto; hanno calice verde e sono
presenti quattro stami con lunghi filamenti.
La fioritura è scalare da giugno ad ottobre, con impollinazione entomofila; il frutto è un achenio
utilizzato come seme, di forma ovale e colore nero.
Esigenze pedo- climatiche
Il basilico è una pianta da climi caldi, non tollera temperature vicino a 0°C; la temperatura minima per
la germinazione è di 15°C, quella ottimale è compresa tra 20°C e 25°C. per la crescita risultano ottimali
le temperature comprese tra 22°C e 27°C.
E’ una pianta longidiurna che cresce bene in esposizione a pieno sole, anche se un leggero
ombreggiamento è positivo per produrre piantine tenere ad aroma delicato. E’ considerata una specie
esigente anche per quanto riguarda le caratteristiche del suolo, infatti predilige i terreni leggeri, ricchi
di sostanza organica e con buona dotazione di calcio. Il pH ottimale per la sua coltivazione si aggira
intorno al valore di 7.
Indispensabile è anche un buon drenaggio del substrato per evitare i ristagni di umidità, che
determinano problemi connessi con l’asfissia radicale. Richiede inoltre elevate e frequenti disponibilità
idriche.
42
Tecniche colturali
Coltivazione in pieno campo
Il basilico viene coltivato in pieno campo soprattutto per la trasformazione in pesto ed anche per il
consumo fresco. La coltivazione avviene solamente nella stagione primaverile estiva, a volte è
possibile prolungare la raccolta sino all’autunno. Nelle tecniche colturali adottate si trova sia la semina
diretta che il trapianto.
Il prodotto derivante da questo tipo di coltivazione si presenta nettamente diverso da quello raccolto in
ambiente protetto; il colore è verde intenso, le piante hanno foglie carnose e lamina molto espansa.
La preparazione del terreno avviene qualche mese prima dell’impianto con una lavorazione profonda
ed una concimazione organica di fondo. La lavorazione deve portare a sminuzzare finemente il terreno
in superficie, così da far entrare in contatto i semi con lo stesso.
Con la concimazione (con letame o concimi organici ad esso alternativi) e l’eventuale apporto di
ammendanti in terreni compatti o interramento di colture da sovescio, l’erpicatura conclude le
operazioni di preparazione del terreno.
A volte per impianti in pieno campo di moderata estensione si utilizza la pacciamatura che comporta
alcuni vantaggi e svantaggi, come si nota nella sottostante tabella.
Vantaggi
Anticipo della cultura
Pulizia
Contenimento infestanti
Svantaggi
Impossibilità di lavorare per interrare
concimi
Impossibilità di lavorare per
rincalzare
Impossibilità di lavorare per rompere
la crosta
T
ab. 1 – vantaggi
e svantaggi della pacciamatura
Coltivazione in coltura protetta
Questa coltura è fatta in serre/tunnel medio/grandi, sia in apprestamento freddo (estate) che riscaldato
(inverno). Tale tipo di coltivazione prevede la semina diretta a spaglio, ma la tecnica di semina non
prevede l’interramento del seme, pertanto la preparazione del letto di semina deve essere estremamente
accurata.
Il prodotto che ne deriva viene utilizzato per la maggior parte per il mercato del consumo fresco. La
durata del ciclo culturale varia in funzione delle stagioni e delle coltivazione climatiche interne agli
apprestamenti di copertura e varia dai 30 giorni circa del periodo estivo, sino a 60/90 giorni in inverno.
Questo tipologia di coltivazione consente comunque la produzione per 10/11 mesi l’anno.
Sesto d’impianto
Nelle coltivazioni in pieno campo la semina è effettuata in aprile maggio, con una quantità di seme pari
a 2-3 grammi al mq. Il seme viene generalmente distribuito su prose distanti tra loro 25 cm, così da
facilitare il diserbo meccanico dell’interfila, ma può anche essere distribuito a spaglio sulla porzione
interessata dalla larghezza della trattrice impiegata per le operazioni colturali (il terreno interessato
dalla coltura non viene mai calpestato e conserva condizioni ottimali).
Nelle coltivazioni in apprestamento protetto, la semina avviene generalmente a spaglio e la densità di
43
semina è particolarmente abbondante e compresa tra i 10 ed i 30 grammi (1 grammo di seme contiene
circa 800 semi). Questa elevata densità di semina è dovuta, sia all’esigenza di massimizzare la resa per
unità di superficie, che alla necessità di effettuare un unico intervento, al fine di evitare che la crosta
che si forma sul terreno con le irrigazioni, impedisca la radicazione dei semi distribuiti in tempi
successivi.
Spesso, soprattutto negli impianti protetti che coltivano per la raccolta di piantine da destinare al
mercato del consumo fresco, si ricorre a trasemine in prossimità delle prime raccolte della coltura e,
successivamente ogni 20-25 giorni.
Inoltre spesso viene utilizzata la tecnica del trapianto di piantine. In tal caso il sesto d’impianto è così
individuato: le piante sono poste in fila binata ad una distanza di 30-35 cm sulla e di 80- 90 cm tra le
bine.
Cure colturali
Le cure colturali più importanti specifiche per la coltivazione del basilico sono le seguenti:
•
•
•
favorire l’aerazione del terreno, cercando di rompere la crosta che può formarsi a seguito delle
irrigazioni ripetute;
per il basilico utilizzato per la trasformazione è consigliabile lo sfalcio meccanico, si consiglia
di recidere la pianta a circa 20 cm da terra e nelle raccolte successive lo sfalcio viene effettuato
sempre ad un livello superiore rispetto al taglio precedente per non raccogliere parti di pianta;
nelle coltivazioni in ambiente confinato è preferibile la raccolta di tipo scalare, con
apprestamenti divisi in tavole di coltivazione raccolte nello stesso giorno, così da avere tavole
di coltivazione sfasate di un giorno.
Fertilizzazione
Il basilico non ha elevate esigenze nutritive, dato il breve ciclo colturale, tuttavia deve essere molto
curata la concimazione di base. E’ pertanto consigliato letame ben maturo, in quantità variabili tra i 300
ed i 500 q/ha, da interrare al momento della preparazione del terreno. L'apporto di sostanza organica
può avvenire anche tramite sovesci, soprattutto interessanti sono quelli di leguminose e crucifere che
possono avere azione nematocida e fungistatica .
Successivamente sarebbe bene apportare anche una concimazione che preveda apporti mirati di fosforo
e potassio, che sono molto importanti per rinforzare le piantine nei confronti delle avversità e per
ottimizzare il prodotto (spessore delle foglie e qualità organolettiche). Durante la coltivazione, dopo
alcuni sfalci, può essere necessario intervenire con fertirrigazione quindicinali, impiegando concimi
completi alla concentrazione del 2%.
Elemento fertilizzante
Azoto
Fosforo
Potassio
Pieno campo
14,2
5,3
19,4
Serra
13,7
1,2
15,0
Tab.1- Valori medi degli apporti consigliati
Irrigazione
44
Il basilico è una coltura con notevoli esigenze irrigue; infatti nel periodo produttivo sono necessari
interventi di irrigazione solitamente giornalieri. Nelle ore più calde l’adacquamento può avvenire anche
due volte il giorno, evitando, comunque, di irrigare nelle ore centrali della giornata. La tecnica di
irrigazione è generalmente l’aspersione, attraverso l’impiego di ali irriganti di grandi dimensioni, più di
rado l’irrigazione avviene per scorrimento tra le prose.
Dopo il secondo o il terzo sfalcio possono essere effettuati periodici interventi di fertirrigazione,
sempre seguiti da dilavamento delle foglie con sola acqua, al fine di allontanare i residui di concime
dall’apparato fogliare.
Ore di manodopera impiegate per la coltura
Per tale coltura, preso in esame il periodo interessato dal ciclo produttivo (aprile- settembre) in piena
aria, si sono analizzate le operazioni colturali al netto dei tempi necessari all’addetto per raggiungere il
sito che ospita la coltura.
Nella coltivazione del basilico si sono conteggiate le operazioni di lavorazione del suolo (comprese le
sarchiature), le concimazioni, il trapianto, la scerbatura manuale, l’irrigazione e la raccolta (comprese
la cernita ed il confezionamento).
Da tale valutazione è risultato che per la coltivazione di 1000 mq di basilico sono necessarie da 250 a
300 ore di manodopera, in funzione del metodo di raccolta.
Tale calcolo è al netto dei tempi di lavoro aggiuntivi derivanti dalla particolare orografia del territorio
terrazzato delle Cinque Terre.
Avversità
Le avversità sono riassunte nella tabella sottostante.
Avversità
Peronospora
(Peronospora sp.)
Criteri d’intervento
Interventi agronomici:
- ampie rotazioni
- distruggere i residui delle colture ammalate
- favorire il drenaggio del suolo
- distanziare maggiormente le piante
- aerare oculatamente serre e tunnel
- uso di varietà tolleranti
Interventi chimici
- i trattamenti vanno programmati in funzione delle
condizioni
climatiche (piogge frequenti e alta umidità)
predisponenti malattia
Fusariosi
(Fusarium oxysporum
f. sp. basilici)
Interventi agronomici:
z ampi avvicendamenti colturali
z ricorso a varietà tolleranti
z impiego di semi sicuramente sani
Marciume del colletto
(Rhizoctonia solani)
Interventi agronomici:
- ampi avvicendamenti colturali
- impiego di semi o piantine sane
- uso limitato dei fertilizzanti azotati
- accurato drenaggio del terreno
Prodotti utilizzabili
Prodotti rameici
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Batteriosi
(Erwinia spp.)
(Pseudomonas spp.)
Macchia nera
(Colletotrichum
gloeosporioides)
Nottue fogliari
(Spodoptera spp.
Autographa gamma )
(Heliotis armigera)
- ricorso alle irrigazioni solo nei casi indispensabili
Interventi agronomici:
- effettuare avvicendamenti colturali ampi
- evitare di provocare lesioni alle piante
- allontanare e distruggere le piante infette
- effettuare concimazioni azotate equilibrate
- non irrigare per aspersione
- non irrigare con acque provenienti da canali o bacini di
raccolta periodicamente non ripuliti dai residui organici
Interventi chimici:
- intervenire alla comparsa dei sintomi o preventivamente
Soglia:
infestazione larvale diffusa a pieno campo.
Prodotti rameici
Prodotti rameici
Estratto di piretro
Bacillus thuringensis
Tab. 2 – Avversità nella coltivazione del basilico.
Scelta varietale
Per quanto riguarda la commercializzazione del basilico per il mercato fresco e per quello della
trasformazione, sono state individuate molte denominazioni con le quali sono riconosciute alcune delle
cultivar della coltura nel nostro Paese.
ƒ A foglia larga genovese
ƒ Di Genova
ƒ Foglia larga
ƒ Genovese a grandi foglie
ƒ Genovese comune
ƒ Gigante genovese
ƒ S. remo
ƒ Di Genova a foglia profumatissima
ƒ Genovese profumato
ƒ Gran Vert
ƒ Verde di Genova
Spesso con la medesima denominazione sono commercializzati materiali differenti e, viceversa, con
diverse denominazioni è individuata la stessa cultivar.
Varietà utilizzate
Basilico GENOVESE TIPO 1
Basilico principalmente caratterizzato dalla taglia molto alta e dal portamento più espanso; spesso è
definito come “gigante”; “gigante genovese”; “Genovese a grandi foglie”; “A foglia larga genovese”.
Basilico GENOVESE TIPO 2
Generalmente caratterizzato dalla taglia alta, ma inferiore al tipo 1, dalla foglia a lamina convessa ed a
portamento prostrato. La caratteristica forma della foglia a cucchiaio è molto più evidente in serra che
in pieno campo; spesso viene definito “genovese comune”.
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Basilico GENOVESE TIPO LOCALE
Nettamente distinto per le foglie dalle piccole dimensioni ed individuato spesso da denominazioni quali
“a piccole foglie”, “delicato”, “piccolo”.
Basilico GRAN VERT
Si tratta di un caso particolare, un genotipo molto omogeneo, ben distinto che può essere definito come
una varietà. Il Gran Vert è caratterizzato da una taglia della pianta più bassa rispetto agli altri tipi
descritti, un portamento decisamente espanso ed una densità del fogliame superiore.
Bibliografia
Tesi R. “Principi di orticoltura e ortaggi d’Italia”. Edagricole
Regione Liguria, AA.VV. “Le origini del basilico e la sua diffusione”. Quaderni di agricoltura Regione Liguria
Regione Emilia-Romagna (2006) “Basilico”. Disciplinari di produzione integrata 2006.
AA.VV. (1930) “Enciclopedia italiana di scienze, lettere e arti”. Ed. Istituto Giovanni Treccani.
Arzone A. et al. (1996) “Notizie preliminari sugli insetti del basilico in coltivazioni liguri”. Atti
incontri fitoiatrici.
Baker K. et al. (1974) “Biological control of plant pathogens. Freeman W.H. e Co, San Francisco,
USA” pag. 433.
Bremness (1997) “Les plantes aromatiques et medicinales”. Ed. Bordas.
I.N.E.A. Regione Liguria (2000) “Studio sui tempi delle operazioni colturali delle colture liguri”.
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CROCUS SATIVUS L.
(Zafferano)
Foto 1: Pianta di zafferano
Descrizione della pianta
Lo zafferano conosciuto dai georgici greci e latini si ritiene originario dell’Asia minore. Questa
iridacea, pertinente ad un genere ricco di ottanta specie, è stata introdotta nella nostra agricoltura, come
epoca più probabile nel secolo XVI.
Per primo l’Abruzzo accolse la coltivazione di questa specie, poi essa si estese in altre zone dell’Italia
centrale e settentrionale. Ad oggi sono 45 gli ettari di zafferano coltivati in Italia: 35 ha in Sardegna, 7
ha in Abruzzo, 1 ha in Toscana e 2 ha nelle altre regioni. In Oriente lo zafferano è noto da tempo per le
sue proprietà medicinali, oltre per quelle aromatiche e coloranti degli stimmi.
Crocus sativus è pianta vivace e bulbosa; ha bulbi tunicati, foglie lineari, fiori ermafroditi ravvolti da
spate membranose, provvisti di perigonio petaloideo a fauce violacea, di tre stami, ovario pluriovulare
a tre logge di stilo filiforme e tre stimmi.
Ciascuna pianta produce due-cinque fiori, i cui stimmi lobati costituiscono il prodotto tipico della
coltura. Tali stimmi, lunghi 8/9 cm, hanno colore aranciato e profumo acutissimo; sapore amaro e
piccante allo stato secco.
Essi contengono i seguenti principi attivi:
z crocina o zafferanina, sostanza colorante giallo-aranciata di natura glucosidica;
z crocetina;
z amaro di croco.
Esigenze pedoclimatiche
Lo zafferano può sviluppare in climi differentissimi, tuttavia ai fini agronomici sono da preferirsi quelli
temperato-caldi, ad autunno non troppo rigido, in quanto la pianta fiorisce nei mesi di ottobre e
novembre.
Il terreno d’elezione è in genere di medio impasto a struttura humo-argillosa, poiché assicura una buona
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ritenzione idrica, mentre l’elevato contenuto di sabbia conferisce scioltezza ed aerazione.
Il contenuto di calcare attivo e quello di potassio deve essere buono; alta la sostanza organica, infatti il
terreno ideale per la coltura dello zafferano è di tipo calcareo-argilloso-siliceo, va sempre lavorato in
profondità e arricchito con stallatico maturo e deve essere dotato di un buon drenaggio.
Lo zafferano ama il sole perciò stenta nella crescita se viene coltivato in zone umide e nebbiose; non
teme invece il gelo.
Il pH dovrebbe essere neutro o leggermente alcalino.
Tecniche colturali
Preparazione del terreno
Nelle tecniche di preparazione del terreno è importantissima l’aratura in profondità (30 cm) durante la
primavera dell’anno in cui si intende impiantare lo zafferaneto.
Generalmente si procede ad un livellamento del terreno, poi si effettua la lavorazione profonda, seguita
da un intervento di amminutamento, al fine di creare nel terreno un ambiente ideale per la coltura. E’
buona pratica agricola cercare di apportare sostanza organica al terreno in questa fase della
coltivazione, attraverso sovesci o vere e proprie letamazioni.
Lo zafferano succede comunemente ad una sarchiata o ad un erbaio primaverile ed alla coltura segue a
volte il frumento. Lo zafferano torna sugli stessi terreni dopo 8-10 anni.
Impianto
I bulbi si piantano nei mesi estivi ed occorrono 1,1-1,3 Kg/m di bulbi selezionati, poiché essi pesano
circa 20 g/cadauno ne occorrono 45-65 mq. Per 100 mq sono necessari 4.500-6.500 bulbi, pari a 90-130
Kg.
Vengono preparate nelle file dei solchi profondi circa 15 cm, nei quali si piantano i bulbi distanti tra di
loro non più di 2/3 cm; questi sono poi ricoperti delicatamente con la terra.
Sono da preferire i bulbi più grossi, scavati di fresco da uno zafferanaio in rottura.
Ogni tre file di bulbi si lascia una “corsia” che serve per evitare dannosi ristagni di acqua e per
facilitare le successive operazioni colturali. Successivamente si pareggiano con un rastrello i cigli dei
solchetti dove sono i bulbo-tuberi e si approfondiscono le “corsie”.
Cure colturali
Sono di seguito elencate le fasi del ciclo di produzione dello zafferano:
z preparazione del terreno e concimazione;
z raccolta dei bulbi;
z preparazione del letto di semina;
z messa a dimora dei bulbi;
z controllo delle infestazioni;
z fioritura e raccolta;
z essiccazione e conservazione degli stimmi.
Lo zafferano risente molto della competizione con le specie infestanti: devono essere pertanto eseguiti
alcuni interventi di sarchiatura nelle interfile e delle scerbature manuali lungo la fila, soprattutto nel
momento di emergenza dei bulbi.
Utilissime sono le sarchiature, per arieggiare il terreno e rompere la capillarità, in modo particolare nei
terreni argillosi, in quanto lo zafferano soffre molto di asfissia radicale nei casi di ristagno idrico.
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Irrigazione
Nella coltivazione dello zafferano non sono utilizzate tecniche di irrigazione.
Fertilizzazione
Un impianto di zafferano ha una durata variabile di 2/4 anni, l’apporto di sostanza organica è perciò in
funzione della longevità dell’impianto stesso; mediamente si considera necessario l’apporto di 300 q/ha
di letame maturo da interrarsi al momento della lavorazione principale (aratura).
Si procede generalmente con concimazioni annuali da attuare in epoca autunno-invernale, in
corrispondenza di una lavorazione del terreno.
Nelle zone ove sia difficile il reperimento di letame, le esigenze nutritive possono essere soddisfatte
mediante la somministrazione di concimi di diversa natura ammessi nelle coltivazione biologica (ai
sensi del Reg. CEE 2092/91 e successive modifiche).
Infestanti
Per garantire alla coltura una limitata concorrenza da parte di essenze infestanti, si effettuano
generalmente 2-3 interventi di controllo, manuali sulla fila e meccanici (ove possibile) nell’interfila.
Avversità
La coltivazione di zafferano non è generalmente soggetta a particolari avversità, l’unica operazione che
mira a prevenire danni da patogeni è la sanificazione dei bulbi che dovranno costituire nuovi impianti.
Tale operazione si effettua con prodotti a base di Cu.
I principali danni posssono essere recati ad opera di animali (talpe, lepri, topi) che si cibani di foglie e
bulbi.
Raccolta e rese
A partire dalla prima decade di ottobre inizia l’antesi: si procede dunque con la raccolta dei fiori che si
protrae per circa 3 settimane. E’ importante sottolineare che la maggior quantità di fiori (circa il 70%)
si ottiene in 7-10 giorni. La raccolta viene effettuata manualmente durante le prime ore del mattino,
prima che il fiore si apra, poiché i raggi solari alterano i principi attivi presenti negli stimmi, che in
questo caso sono anche più difficilmente separabili dal fiore.
L’operazione nella separazione degli stimmi dal fiore ed è molto laboriosa poiché richiede una certa
esperienza e va completata nello stesso giorno della raccolta.
A questo punto si passa alla tostatura secondo l’antica tradizione: gli stimmi vengono appoggiati sulla
superficie di un setaccio posto a debita distanza dalla brace coperta con la cenere, che fornisce il calore
(a non più di 40-45° C) necessario per la tostatura. Dopo 10-15 minuti gli stimmi sono tostati e pronti
per l’utilizzo.
La conservazione della spezia è molto delicata e sono necessari vasi di vetro scuro e sacchetti di tela
posti in luoghi asciutti, poiché lo zafferano è leggermente igroscopico.
Nelle aree a coltura annuale per 1000 mq di superficie si possono ricavare 120-150.000 fiori del peso di
4/5 quintali (peso a fiore 3,4/3,6 grammi). Gli stimmi freschi pesano 5-7 kg (35-43 mg per fiore).
Ultimata la fioritura, lo zafferano inizia la formazione delle foglie e di nuovi bulbi (uno o più per
ciascuna pianta) e si arresta nell’attività vegetativa soltanto nei periodi invernali più rigidi.
In primavera lo zafferano riprende e continua ad accumulare materiale di riserva nei bulbi sino alla
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soglia dell’estate; poi entra in riposo dopo aver perso foglie e radici.
Tali bulbi servono a costituire nuovi impianti. La raccolta è molto delicata e generalmente si effettua
con l’ausilio della zappa e di un piccone che vengono utilizzati con esperta manualità e pazienza, per
favorire la fuoriuscita dal terreno dei bulbo-tuberi da raccogliere senza rovinarli. Si effettua poi la
cernita del materiale, separando quello idoneo da quello di piccole dimensioni (diametro inferiore a 2,5
cm).
Durante la mondatura si rimuovono le tuniche più esterne e si elimina con cura il materiale difettoso,
specie se si notano sintomi di qualche malattia parassitaria, poiché il materiale per la piantagione dello
zafferano deve essere assolutamente privo di patogeni. I bulbo-tuberi così selezionati sono pronti per
essere piantati.
Bibliografia
Crescini F. (1969) “Piante erbacee coltivate”. REDA, pg. 399-401.
D’Alessandro R. (1915) “La coltivazione dello zafferano”.
Piccioli G. (1932) “La coltura dello zafferano nell’Aquila degli Abruzzi”.
Polpacci G., Maffei L. (1939) “Botanica farmaceutica”. Milano.
51
MAJORANA HORTENSIS MOENCH., SIN. ORIGANUM MAJORANA L.
Maggiorana
Foto 1: Pianta di maggiorana
Aspetti botanici e utilizzazione
La maggiorana, maggiorana dolce o maggiorana dei giardini (Majorana hortensis Moench, sin.
Origanum majorana L.), è un suffrutice alto 40-50 cm, appartenente alla famiglia delle Labiatae.
La radice è fascicolata ed esile. Il fusto è pubescente, quadrangolare, ramificato, qualche volta
ramificato dalla base. Le foglie sono opposte, da tondeggianti ad ovate, piccole, lunghe fino ad
un massimo di 35 mm, e larghe fino a 30 mm, grigiastre e tomentose. I fiori sono raggruppati in
spicastri di forma globosa, ovoidale, lunghi fino a 20 mm e larghi circa 3 mm, posti all'apice dei
rami secondari portati all'ascella delle foglie. Hanno calice e corolla bilabiate; la corolla è bianca
alla fioritura ed in seguito diventa giallastra. Fiorisce in luglio-agosto. Il frutto è un tetrachenio
ed i semi singoli sono sferici, lisci e di colore marrone.
Il peso di 1000 "semi" è di 0,20-0,25 g. La capacità di germinabilità del seme di maggiorana è di
circa 2-3 anni.
Le monografie tedesche riportano che le parti utilizzate sono costituite dalle foglie e dalle
infiorescenze essiccate sotto forma di droga o maggiorana erba (Majoranae herba) e di olio
essenziale o maggiorana essenza (Majoranae aetheroleum) che deve contenere non meno del 1%
di essenza.
La droga è utilizzata soprattutto come condimento nei cibi, in particolare carni, salumi e salse,
mentre, più raramente, è usata come infuso per le sue proprietà digestive, diuretiche, toniche
carminative, sudorifere e antispasmodiche.
L’olio essenziale è utilizzato soprattutto nell’industria alimentare e più raramente nell’industria
cosmetica e farmaceutica.
Nell’industria alimentare: l’olio essenziale e l’oleoresina (o.e. + resine) sono ingredienti
aromatici di bevande alcoliche (vermouth, amari, liquori) e non alcoliche, dessert, canditi, cibi
cotti, gelatine e budini; numerosi sono gli impieghi nelle salse e in drogheria.
Nell’industria cosmetica è una componente fragrante di saponi, creme, lozioni e profumi.
Nell’industria farmaceutica, entra nella composizione dell’alcolato vulnerario e in diverse
specialità ad attività sedativa e antispastica; i derivati galenici della droga, a piccole dosi,
favoriscono la secrezione gastrica e la motilità intestinale (eupeptici e carminativi). Viene usato
anche come aromatizzante e correttivo.
Esigenze pedoclimatiche
La maggiorana è una pianta originaria del Nord-Africa e del Medio Oriente. Secondo Pignatti
(1982), si troverebbe come sub-spontanea, presso gli orti, negli incolti ed ai bordi delle vie, in
tutto il territorio italiano.
Comunemente è coltivata in orti e giardini di pianura e collina ed è coltivata soprattutto in
Francia, Egitto, Grecia, Ungheria, Stati Uniti e in altri paesi dell'area mediterranea.
Preferisce terreni sciolti anche calcarei, ricchi in sostanza organica, e soleggiati.
E’ perenne nel suo areale di origine e nelle regioni calde del Sud Europa, mentre è annuale nelle
zone fredde e nell’Europa centrale.
Per germinare necessita di temperature alte, sebbene i semi iniziano a germinare a 12-15 °C,
l’optimum è 20-25 °C.
Sono necessari circa 600-650 mm di pioggia durante la stagione vegetativa.
Tecnica colturale
Scelta varietale
In Italia non esistono varietà selezionate, ma ci sono ditte sementiere che commercializzano
seme rappresentato da popolazioni. All’estero le varietà più conosciute sono: «Uszodi», di
provenienza ungherese, con prevalente attitudine a produrre steli a fiore; «Francia», di
provenienza ungherese, con prevalente attitudine alla produzione di foglie; «Marcelka», di
provenienza cecoslovacca; «Mirasch», di provenienza polacca.
Preparazione del terreno
La preparazione del terreno si effettua mediante aratura autunnale, seguita da lavorazioni di
amminutamento del terreno primaverili, al fine di ottenere una struttura idonea ad ospitare i semi
o le piantine.
Fertilizzazione
Nell’anno di impianto si distribuiscono 60-70 kg/ha di N e altrettanti di P2O5 e K2O, mentre negli
anni successivi, alla ripresa vegetativa, si aggiungono solo 40-50 kg/ha di N (con concimi
ammessi in coltura biologica ai sensi del Reg. CEE 2092/91 e successive modifiche). In colture
irrigue queste dosi possono essere quadruplicate ed in questo modo si ottiene un analogo
incremento delle rese rispetto a quelle ottenibili in colture asciutte. Da sottolineare comunque
che le rese proposte sono da considerarsi del tutto indicative e devono essere adeguate alla
naturale dotazione del terreno, accertata con opportune analisi chimico-fisiche.
Impianto
A causa delle piccole dimensioni del seme e della lentezza di crescita delle piantine nelle prime
fasi, si fa generalmente per trapianto di piantine provenienti da semenzaio. In genere in
semenzaio si utilizzano 100-150 g di "seme" per 70-80 m2 di superficie, che di solito sono
sufficienti a produrre le piante necessarie ad un ettaro di coltura.
La semina in semenzaio si esegue alla fine di febbraio e il trapianto delle piantine così ottenute,
alte circa 10-12 cm, avviene in aprile-maggio. La semina si esegue a file distanti 30-40 cm, in
modo da avere una densità di circa 30-40 piante per m2, e non minore perché si svilupperebbero
le porzioni legnose della pianta con conseguente diminuzione delle rese.
Irrigazione
Pur essendo la maggiorana una specie mediterranea e quindi resistente alla siccità, è bene irrigare
per favorire lo sviluppo vegetativo della pianta.
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L’irrigazione va effettuata dopo la semina o il trapianto, per favorire la germinazione o
l’attecchimento delle piantine, in primavera e dopo il primo taglio per favorire il ricaccio, e in
altri casi solo come irrigazione di soccorso in periodi siccitosi.
Infestanti
Non potendo fare ricorso al diserbo chimico, nel corso della coltura si devono eseguire 3-4
lavorazioni meccaniche nell’interfila e manuali sulla fila..
Avversità
Tra gli insetti, che danneggiano le foglie, da segnalare le larve di un coleottero (Chrysomela
menthastri Suff.), larve di lepidotteri minatori ed i cicadellidi che, in caso di forte infestazione,
possono essere controllati con insetticidi a base di piretrine o di rotenone.
Tra le patologie principali ci sono le ruggini (Puccinia menthae Pers. e P. rubsaameni Magn.),
per la quale possono essere fatti trattamenti preventivi a base di rame, e la Septoria origanicola
Allesch. var. marjoranae Bres. che provocano delle macchie dal giallastro al rossastro scuro
sulle foglie, mentre l’Alternaria spp. provoca nei semenzai e nelle giovani piantine marciumi
radicali, mentre determina il disseccamento delle piante adulte.
Raccolta, rese e essiccamento
Se il prodotto è destinato all'impiego erboristico (droga essiccata), l'epoca di raccolta corrisponde
all'inizio della fioritura.
Se il prodotto è destinato all'impiego industriale (olio essenziale), l'epoca di raccolta corrisponde
alla piena fioritura.
Si sfalciano le sommità fiorite a circa 10 cm da terra, al fine di raccogliere solo le parti più tenere
e favorire la ripresa vegetativa della pianta.
Sia nel 1° che nel 2° anno si possono effettuare due tagli, il primo in giugno-luglio e il secondo
in settembre-ottobre.
Già nel primo anno di coltivazione si possono eseguire due tagli, la resa per 100 m2 di superficie
è di circa 50-100 kg di prodotto fresco, pianta intera, che corrispondono a 15-33 kg di prodotto
secco.
Nel 2° e 3° anno di coltivazione, la resa sale a circa 100-150 kg (prodotto fresco, pianta intera),
che corrispondono a 33-50 kg di prodotto secco ed a 16-25 kg (sole foglie secche).
La percentuale in olio essenziale oscilla tra lo 0.2% e lo 0.4% sul fresco per la pianta intera e
0.9% per la droga essiccata.
La resa in seme é molto variabile a seconda dell’andamento stagionale e della durata della
fioritura e può oscillare da 150 a 800 kg/ha.
La durata della coltura è di 3-4 anni nei climi temperati, mentre è annuale nel Nord Italia.
Le sommità fiorite si essiccano in locali ben arieggiati e all’ombra, oppure a 35 – 40 °C in stufe
affinché si ottenga una droga di migliore qualità per colore e aroma.
La droga va conservata in contenitori chiusi al riparo dalla luce e dall’umidità.
Bibliografia:
Catizone P., Marotti M., Toderi G., Tétény P. (1986) “Coltivazione delle piante medicinali e
54
aromatiche”. Patron Editore, Bologna, pg. 217-222.
Dachler M., Pelzman H. (1999) “Arznei-und Gewürzpflanzen”. Agrarverlag Wien, pg. 232-235.
Hornok L. (1992) “Cultivation and Processing of Medicinal Plants”. John Wiley & Sons,
pg.213.
Maghami P. (1979) “Culture et cueillette des plantes médicinales”. Hachette Paris Cedex, pg.
104-106.
Pignatti S. (1982) “Flora d’Italia”. Edagricole, Bologna.
Unità divulgativa n° 4 Regione Liguria “Scheda di coltivazione relativa a timo, maggiorana,
origano”.
55
MENTHAxPIPERITA L.
(Menta piperita)
Foto 1: Pianta di menta piperita
Aspetti botanici e utilizzazione
Menta piperita è una erbacea perenne dotata di un fusto eretto a sezione quadrangolare, di colore
variabile dal verde al violetto, alta da 30 a 100 cm e molto ramificata nella parte superiore. E’
munita di un rizoma legnoso e di stoloni sotterranei che le permettono di sopravvivere ai freddi
invernali. Le foglie sono di colore verde scuro, opposte, lanceolate, spicciolate, e ricoperte, su
entrambe le pagine, da peli ghiandolari. I fiori, riuniti in infiorescenze a spicastro, hanno colori
variabili dal bianco al rosa al violetto e risultano quasi sempre sterili. Le varietà più coltivate
sono la M. P. pubescens Camus, detta anche bianca o piemontese, con foglie di colore verde
chiaro e fiori bianchi, e la M. P. rubescens Camus, detta anche menta nera, con fiori rosa-violacei
e foglie di colore verde scuro. Quest’ultima, detta anche Mitcham (dalla zona inglese da cui
proviene) ha un aroma intenso, è ricca di olio essenziale, presenta ottima rusticità e adattabilità a
vari tipi di terreno ma rispetto alla bianca contiene minori percentuali di mentolo.
La menta ha proprietà profumanti, aromatizzanti, digestive, col eretiche, antisettiche,
carminative, antispasmodiche, balsamiche, diuretiche, rinfrescanti. E’ largamente utilizzata
nell’industria cosmetica, farmaceutica, dolciaria e liquoristica. Per uso interno l’infuso di menta
determina un aumento della produzione biliare ed è indicato per gastriti, enteriti acute e
croniche; l’olio essenziale è impiegato anche per uso topico in applicazione su contusioni,
eczemi, foruncolosi, ascessi, ulcere, punture di insetti e per inalazioni in caso di raffreddori e
bronchiti.
Esigenze pedoclimatiche
La m. p. può essere coltivata su tutti i tipi di terreno, anche se predilige quelli freschi, sciolti,
profondi e fertili; da evitare invece sono i suoli eccessivamente argillosi, umidi e freddi durante
l’inverno, e quelli soggetti a ristagni idrici, poiché in questo caso è più frequente la comaparsa di
malattie fungine.
La m. p. si adatta bene a quasi tutti i climi, preferendo comunque temperature miti, non teme le
gelate e le brinate tardive, richiede buona esposizione e non sopporta i venti dominanti. Gli
stoloni sotterranei possono sopportano anche temperature di -17 °C in inverno (in caso di
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copertura nevosa arrivano fino a -30 °C); i germogli si sviluppano già a 2-3 °C, anche se un
ritmo ottimale di crescita si ottiene al di sopra dei 10°C. Temperature oscillanti tra i 18 e i 22 °C
infine, sono favorevoli all’accumulo ottimale di sostanza secca durante il periodo vegetativo.
Tecniche colturali
Posizione nell’avvicendamento e preparazione del terreno
La menta, pur essendo specie perenne, in coltivazione normalmente non dura più di un paio di
anni. Essa può essere considerata pianta da rinnovo e pertanto può seguire un cereale o anche un
prato stabile e dev’essere inserita in rotazioni molto lunghe (si deve evitare di farla tornare sullo
stesso terreno per almeno 6-7 anni).
Richiede un’adeguata preparazione del terreno, il quale deve essere privo di piante infestanti,
soprattutto perenni e rizomatose. Ciò si ottiene mediante una lavorazione abbastanza profonda
(25-30 cm) e successive erpicature per mantenere il terreno perfettamente pulito fino al momento
dell’impianto.
Impianto
La propagazione della menta si fa esclusivamente per via vegetativa, attraverso l’uso di stoloni o
di germogli radicati. Nel primo caso l’impianto si fa in autunno o a fine inverno-inizio
primavera, avendo cura di interrare gli stoloni in piccoli solchi profondi 8-10 cm e disporli in fila
a gruppetti di 2-3. Di norma si preferisce eseguire il trapianto nei mesi autunnali, al fine di avere
una raccolta anticipata, maggiori rese in massa verde e una più alta resistenza a eventuali periodi
siccitosi. Da un mq di menteto si può prelevare materiale per 20 mq di pieno campo.
In alternativa a quanto appena visto, l’impianto può anche essere fatto ricorrendo al trapianto di
piantine alte 8-10 cm e ottenute dalla divisione del cespo. Questa operazione si esegue in
primavera inoltrata e preferibilmente in terreni sciolti e con possibilità di irrigazione.
Il sesto di impianto più comune prevede distanze di 20-30 cm sulla fila e di 40-50 tra le file, per
un investimento di 66000-125000 piante/ha. E’ bene non scendere troppo nella densità della
coltura perché in tal caso le piante tendono a fornire poco olio essenziale.
Irrigazione
Normalmente, in climi caratterizzati da scarsa piovosità estiva, occorre prevedere l’irigazione. I
momenti più critici sono: dopo la ripresa vegetativa (quando i germogli sono lunghi 8-10 cm), la
fase di sviluppo delle gemme laterali, l’inizio della fioritura e subito dopo il primo taglio.
Il volume di adacquamento, necessario per riportare il l’umidità del terreno alla capacità di
campo, varia con la tessitura e la struttura del terreno, le quali, influendo direttamente sulla
permeabilità e sulla porosità dello stesso, ne determinano le caratteristiche ideologiche e la
capacità di immagazzinare riserve idriche utili per le piante.
Fertilizzazione
La menta è un’essenza particolarmente esigente in azoto e predilige terreni ricchi in sostanza
organica. Di norma con la lavorazione profonda è utile interrare una certa dose di letame (300400 q/ha). Dopodiché si procede alla somministrazione, mediante concimi ammessi nella
coltivazione biologica (ai sensi del Reg. CEE 2092/91 e successive modifiche) di elementi
nutritivi in ragione di c.a. 80-120 kg/ha di N (in due epoche, e precisamente 2/3 a inizio
primavera e 1/3 subito dopo il primo taglio), 60-80 kg/ha di P2O5 e 140 kg/ha di K2O ( le dosi
sono da considerarsi comunque indicative e possono essere variate a seconda della dotazione
naturale del terreno, accertate con un’opportuna analisi).
Infestanti e cure colturali
Nell’anno di coltivazione è necessario fare particolare attenzione alle infestanti; particolarmente
dannosi sono il villucchio, il convolvolo che, con il suo arricciamento, provoca l’allettamento dei
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fusti, le linarie, le achillee, la camomilla. Prima di intraprendere la coltivazione sarà bene
verificare quali infestanti sono presenti nel terreno e, comunque, intervenire con tecniche
agronomiche, al fine di ridurne la presenza. Poiché la menta produce molti stoloni, sarà bene
intervenire nella lotta contro le infestanti appena queste compaiono, mediante sarchiature, fino a
quando sarà possibile accedere nelle interfile. Spesso già nel mese di giugno le interfile sono
quasi completamente chiuse, rendendo difficile l’intervento di diserbo meccanico o manuale
senza causare danni alla coltura.
Avversità
Diversi sono i patogeni che possono colpire la menta, tra cui:
z Puccinia menthae Pers. (agente della ruggine della menta): è la malattia più temuta per la
menta. Essa può installarsi soprattutto dal secondo anno e colpisce le foglie; i picnidi ed
ecidi, di colore giallastro, si formano in primavera nelle parti deformate e nei
rigonfiamenti dello stelo, dei piccioli e delle foglie. In segutio compaiono gli uredosori di
colore bruno-rossastro e in autunno i teleutosori scuri. Il microrganismo sverna
sottoforma di micelio nelle piante pluriennali e anche come teleutospora. Lo sviluppo
della ruggine è favorita dall’umidità e dagli sbalzi di temperatura che si possono
verificare in tarda estate. Per la prevenzione sipossono fare trattamenti a base di rame, i
quali non sono vietati. In caso di attacchi si cerca di ovviare attraverso la raccolta
anticipata (lo sviluppo della ruggine si ha in giugno-luglio, quindi raccogliendo prima la
si evita; si avrà minore produzione dal punto di vista quantitativo ma si preserverà la
qualità). Se si ha un attacco dopo la raccolta si ricorre ad un taglio anticipato in agosto,
per poi aspettare i ricacci sani di settembre. Un sistema per impedire il diffondersi
dell’infestazione consiste nel limitare la coltura ad un anno e nel coltivare in file
sufficientemente spaziate e nel razionalizzare al meglio le concimazioni azotate le quali,
se eccessive aumentano la suscettibilità della coltura all’attacco del patogeno. Il sistema
migliore tuttavia è quello di coltivare varietà di menta resistenti;
z Ramularia Solani Kuhn: attacca le foglie causandone avvizzimento e disseccamento (è
frequente nei terreni molto umidi e sottoposti a forti concimazioni organiche);
z Rhizoctonia Solani Kuhn: provoca rallentamenti nello sviluppo e in molti casi anche la
morte delle foglie precedentemente accartocciatesi;
z Macrophomina Phaseoli Ashby: provoca marciume radicale
Tra i parassiti animali potenzialmente dannosi, da ricordare sono alcuni afidi (Aphis Affinis e
Aphis menthae-radicis), alcuni coleotteri (Cassida Viridis L. e Chrysomela Mentastri Suffr.),
alcuni nematodi litofagi (Meloidogyne Hapla e Pratylecoides Laticauda che attacca i rizomi).
Raccolta e rese
La coltivazione della menta può essere destinata alla produzione di olio essenziale o delle foglie.
Per la produzione di olio essenziale la raccolta si esegue in agosto, quando la menta è in
fioritura; la resa è dello 0,3% sulla massa verde appena sfalciata; spesso il primo raccolto viene
destinato alla distillazione in quanto più ricco di essenza, mentre il secondo alla produzione della
foglia. Per la produzione della cimetta il raccolto si può eseguire in luglio, e il secondo sfalcio a
fine estate; in coltura irrigua gli sfalci possono essere addirittura 3. La resa complessiva fra i due
sfalci è di circa 250 q/ha con una resa in secco del 25% e un rapporto di foglie e fusti sul secco di
1:1,5.
Bibliografia:
58
Dachler M., Pelzman H. (1999) “Arznei-und Gewürzpflanzen”. Agrarverlag Wien, pag. 256261.
Catizone P., Marotti M., Toderi G., Tétény P. “1986” “Coltivazione delle piante medicinali e
aromatiche”. Patron Editore, Bologna, pg. 235-244.
Maghami P. (1979) “Culture et cueillette des plantes médicinales”. Hachette, Paris Cedex, pg.
14-118.
Crescini F. “Piante erbacee coltivate” Reda, pg. 401-403.
Tesi R. “Principi di orticoltura e ortaggi d’Italia”. Edagricole, pg. 292-294.
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ORIGANUM VULGARE L.
(Origano)
Foto 1: Pianta di origano
Cultivar più importanti: al riguardo ricordiamo l'Origanum Vulgare Album, che si caratterizza
per il portamento arbustivo, per i fiori tubolari, bilabiali di colore bianco e le brattee di colore
verde che nascono in prossimità dei fiori, e Origanum Majorana, varietà dall'aspetto suffrutice
sempreverde dal portamento eretto che fiorisce per tutta l'estate.
Entrambe le varietà sono ampiamente utilizzate in cucina.
Aspetti botanici e utilizzazione
L’origano, il cui nome deriva dal greco antico oros ganos (gioia della montagna), è un’erbacea
perenne rustica che a maturità diviene semisrbustiva ed è sempreverde nei luoghi caratterizzati
da clima mite.
Da una base legnosa dal portamento prostrato, si sviluppano i tipici fusti a sezione quadrangolare
e di colore verde rossastro, che possono superare il mezzo metro di altezza; alcuni di essi portano
solo foglie mentre altri sostengono l’infiorescenza.
Le foglie sono molto aromatiche e profumano di pepe, sono di forma ovale con l’apice appuntito
e il loro colore è un verde intenso.
I fiori sono di colore rosa o bianchi, appaiono in estate e sono raccolti in pannocchie tondeggianti
poste all’apice degli steli.
L’origano , oltre che in cucina, è utilizzato anche in cosmesi e nelle preparazione di infusi, date
le sue proprietà rilassanti, antidepressive e antinfiammatorie.
Esigenze pedoclimatiche
L’origano è una pianta erbacea perenne, originaria dell’Europa e dell’Asia occidentale, molto
comune in tutti i paesi del Mediterraneo ed anche in Italia , nei luoghi incolti , nei prati, nei
boschi e nelle scarpate; presenta fusti alti fino a mezzo metro, generalmente poco ramificati,
rossastri e con spigoli poco marcati.
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La pianta predilige le posizioni soleggiate e si può coltivare in terreni ben areati, ben drenati, con
reazione da neutra ad alcalina, poveri o leggermente fertili. Tale coltura ama il caldo e soprattutto
l’asciutto, sono da escludere i terreni con ristagni idrici, troppo freddi nei mesi invernali e quelli
esposti a nord, nei quali in inverno viene protetto ed a volte coltivato in serra.
La pianta forma cespi folti e striscianti e le sue foglie sono molto utilizzate in cucina.
Il timo è una pianta molto rustica, che si adatta a diversi tipi di terreno (calcarei, asciutti,
permeabili, sassosi, poveri e soleggiati), purchè ben drenati e con sufficiente dotazione di
sostanza organica. E’ un’essenza che tollera bene condizioni di forte calore e aridità estiva tipica
del clima mediterraneo; al contempo presenta anche buona resistenza al freddo invernale.
La coltura predilige posizioni Il pH ottimale del terreno dev’essere prossimo alla neutralità (tra 6
e 8).soleggiate e ben arieggiate. Un ambiente arido, caldo, soleggiato favorisce l'accumulo dei
principi attivi aromatici, anche se risulta limitante per lo sviluppo vegetativo.
Tecniche colturali
Preparazione del terreno
Generalmente si procede ad un livellamento del terreno, poi si effettua una lavorazione
abbastanza profonda (25-30 cm), seguita da un intervento di amminutamento, al fine di creare
nel terreno un ambiente ideale per l’espansione dell’apparato radicale delle piantine (fittonante
nelle piante ottenute da seme). E’ buona pratica agricola cercare di apportare sostanza organica al
terreno in questa fase della coltivazione, attraverso sovesci o vere e proprie letamazioni.
Impianto
L'origano si può moltiplicare preparando talee in serra ma, soprattutto suddividendo i cespi in
primavera e in autunno e mettendoli subito a dimora. Occorre tenere ben innaffiati i nuovi
impianti finchè non hanno attecchito. Come alternativa può essere seminato in piena terra in
primavera.
Il sesto d’impianto è composto da piante distanti 60-70 cm tra le file e 20-30 cm sulla fila e la
densità ottimale è di 6-8 piante a mq. Le distanze fra le fila dovranno essere rapportate alle
dimensioni dei piccoli macchinari disponibili in azienda e impiegati per le lavorazioni.
Cure colturali
L’origano risente molto della competizione con le specie infestanti: devono essere pertanto
eseguiti alcuni interventi di sarchiatura nelle interfile e delle scerbature manuali lungo la fila.
Utilissime sono le sarchiature, per arieggiare il terreno e rompere la capillarità, in modo
particolare nei terreni argillosi, in quanto l’origano soffre molto di asfissia radicale nei casi di
ristagno idrico. In alcuni paesi esteri vengono eseguiti interventi di diserbo chimico con
l’impiego di Lenacil, somministrato in pre-emergenza. Le esigenze idriche della coltura sono più
forti nella fase di germinazione dei semi e di affrancamento dei semenzali dopo il trapianto.
Utilissimi sono gli apporti di acqua sia con irrigazioni a pioggia che per scorrimento dopo ogni
sfalcio.
L’origano si propaga per seme, per talea, per propaggine e per divisione di cespo. La semina può
essere effettuata in febbraio-marzo in piccoli cassoni o in letti riscaldati in serre; le giovani
piantine verranno poi messe a dimora all’inizio del mese di maggio. La semina può anche essere
eseguita direttamente in campo in aprile, avendo cura di effettuare un intervento di diradamento
delle piantine troppo fitte. Per il trapianto autunnale, le semine si eseguono in giugno-luglio in
contenitori alveolari o in semenzai ombreggiati e un grammo di seme è sufficiente per un mq di
superficie. In aprile-maggio si prelevano talee lunghe 7-8 cm dai germogli basali non fioriferi e
si piantano in cassone, contenente un miscuglio di torba e sabbia in parti uguali; quando queste
hanno radicato si piantano definitivamente a dimora.
La divisione di cespo è una pratica improponibile per una coltivazione a scopo industriale; è
comunque, significativa, perché dà luogo a progenie del tutto identiche alla pianta da cui si è
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prelevato il materiale di propagazione.
Irrigazione
Una buona disponibilità di acqua ed elementi nutritivi favorisce invece la produzione delle parti
verdi, rametti e foglie e ne stimola il ricaccio e lo sviluppo vegetativo. Quando la pianta sia
sottoposta spesso alla raccolta dei giovani rametti verdi, diventa perciò importante intervenire
con modesti, ma frequenti apporti idrici e nutrizionali, in particolare subito dopo la raccolta, ma
non eccessiva o abbondante.
Fertilizzazione
Un impianto di origano ha una durata variabile da un minimo di 3 anni a un massimo di 10 anni.
L’apporto di sostanza organica è perciò in funzione della longevità dell’impianto stesso;
mediamente si considera necessario l’apporto di 300 q/ha di letame maturo da interrarsi al
momento della lavorazione principale (aratura). Nelle coltivazioni non biologiche possono essere
apportate annualmente 100-120 unità di azoto, 80-100 unità di P2O5 e 60-80 unità ad ettaro di
K2O. L’azoto deve essere somministrato alla ripresa vegetativa e dopo ogni sfalcio per stimolare
la crescita della pianta, fosforo e potassio possono essere apportati durante la prima lavorazione
primaverile.
Si procede poi con letamazioni annuali da attuare in epoca autunnale-invernale, in
corrispondenza di una lavorazione del terreno; in alternativa l’apporto di sostanza organica può
essere garantito mediante la coltivazione e il successivo interramento di colture da sovescio
nell’interfila (graminacee, leguminose e crucifere).
Nelle zone ove sia difficile il reperimento di letame o sia sconveniente la tecnica del sovescio (da
considerare in tal senso la bassa redditività della coltura), le esigenze nutritive possono essere
soddisfatte mediante la somministrazione di concimi di diversa natura ammessi nelle
coltivazione biologica (ai sensi del Reg. CEE 2092/91 e successive modifiche).
Infestanti
Per garantire alla coltura una limitata concorrenza da parte di essenze infestanti, si effettuano
generalmente 2-3 interventi di controllo, manuali sulla fila e meccanici (ove possibile)
nell’interfila.
Avversità
Nelle coltivazioni di origano allo stato ottimale, sono solo stati riscontrati, in certe annate,
attacchi di cicaline; la loro intensità non è mai stata tale da dover intervenire con trattamenti
insetticidi. Sono stati riscontrati anche attacchi di fitofagi della famiglia delle Aphidiae (Aphis
origani), afide nero che porta deformazioni fogliari. Generalmente il timo non presenta
eccezionali problemi dovuti ad attacchi parassitari.
Pur amando le posizioni esposte al sole spesso il fogliame può essere danneggiato proprio dalle
scottature causate dai raggi del sole.
Raccolta e rese
Durante il primo anno di coltivazione si ottiene un unico raccolto, mentre, a partire dal secondo
anno, vengono mediamente eseguiti due sfalci, uno in luglio e uno in settembreottobre.L’origano sul finire dell'estate o a prima fioritura, prima che i boccioli si siano schiusi,
può essere tagliato così da formare mazzetti legati da appendere per l'essicazione all'ombra.
La produzione di massa verde al 1°anno è di 20-30 q/ha; al 2° anno entra in piena produzione e
si sono riscontrate rese fino a 120-130 q/ha. Il calo pianta fresca e secca è del 75% circa e su 100
Kg di piante verdi la produzione di foglie e fiori mondi essiccati è di 15 Kg. L’essiccazione deve
essere rapida ed avvenire con l’impiego di essiccatoi moderni o all’ombra, in luoghi ventilati.
La resa in olio essenziale della pianta fresca è dello 0,2-0,3%, e la produzione riferita ad un
62
ettaro può aggirarsi sui 25- 30 kg.
Bibliografia:
Unità divulgativa n° 4 Regione Liguria – Scheda di coltivazione relativa a timo, maggiorana,
origano
Tesi R. “Principi di orticoltura e ortaggi d’Italia” Edagricole, pg. 294-295.
63
PETROSELINUM SATIVUM Hoffm.
(Prezzemolo)
Descrizione della coltura
Il prezzemolo è una pianta erbacea, appartenente alla famiglia delle Ombrellifere, ha fusto eretto
, è alta da 15 a 80 cm. Se coltivata è biennale, se spontanea è perenne. E’ originaria delle zone
mediterranee, le foglie ed i fusti sono le parti utilizzate sia per il consumo fresco, che per la
preparazione di salse.
La radice è fittonante e sostiene un fusto eretto, ramificato, di colore verde scuro, le foglie, di un
bel verde brillante, hanno margini frastagliati e sono di forma vagamente triangolare. Esse sono
molto ricche di vitamine A, B, C e di sali minerali.
I fiori sbocciano solo nel secondo anno di coltivazione, sono riuniti in ombrelle ed il loro colore
è bianco-verdastro. Il frutto è costituito da due parti secche contenenti ciascuno un seme. I semi
del prezzemolo contengono sostanze che possono risultare tossiche.
Esigenze pedo- climatiche
La coltura non ha particolari esigenze di terreno. Sono da evitare i suoli soggetti a ristagni idrici
non ben tollerati dalla coltura. A titolo indicativo, riportiamo nella tabella successiva i parametri
pedologici ottimali per la coltivazione del peperone.
Parametri pedologici valori ottimali
Tessitura: moderatamente grossolana
Drenaggio: buono
Franco di coltivazione: > 30 cm
Calcare totale attivo: < 10%
pH: 6.0 - 7.5
Salinità (CE m S cm -1 dell’estratto di saturazione): < 2
Sostanza organica: predilige terreni con elevato tenore di s. organica
I terreni compatti contenenti un alta percentuale di argilla, in seguito alle irrigazioni, che
provocano l’occlusione degli spazi vuoti del terreno, diventano asfittici per la coltura e causano
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un rallentamento della crescita.
Parametri climatici ( valori)
Temperatura di germinazione
Valore ottimale: 20-26° C.
Valore minimo: 7-8°C.
Valore massimo: 30°C di giorno.
Temperatura minima di sviluppo: non inferiore a 0°C.
Temperatura ottimale di sviluppo: 16-20°C.
Temperatura massima di sviluppo: non superiore a 35°C.
Tecniche colturali
La coltivazione avviene sia in pieno campo che in ambiente protetto.
Si consiglia una sistemazione del terreno molto accurata ed eventualmente una prosatura per
facilitare lo sgrondo delle acque. Le prose è consigliabile abbiano una larghezza variabile da 100
a 120 cm.
Viene generalmente effettuata un’aratura di profondità di 40-50 cm circa, da eseguirsi prima del
periodo invernale, alla quale dovrà seguire un buon affinamento del terreno, che garantisca
l’emergenza uniforme, lo sviluppo omogeneo, e la concentrazione di maturazione che
influenzano la qualità della produzione.
Il livellamento agevola inoltre la raccolta meccanica.
La coltura necessita di lavorazione profonda al fine di permettere un’ottimale espansione
radicale che diminuisca la sensibilità agli stress idrici e nutrizionali ed è consigliabile rendere il
terreno più drenante attraverso lavorazioni e sistemazioni idrauliche, come fossi e baulature, che
consentano di diminuire i rischi legati all’umidità del suolo.
Le lavorazioni generalmente eseguite in agricoltura biologica sono:
una lavorazione di preparazione del terreno con interramento della sostanza organica, con
utilizzo di erpicature ed arature;
una fresatura o erpicatura per l’affinamento del terreno;
un intervento di assolcatura o di baulatura per preparare il trapianto;
la raccolta con cadenza di 20-30 giorni.
Sesto d’impianto
Alle nostre latitudini si consiglia di effettuare la semina del prezzemolo in serra a partire da
Gennaio- Febbraio o in pieno campo da Marzo-Aprile per raccolti estivi, da Maggio a Giugno
per produzioni autunnali e da Settembre-Ottobre per raccolte primaverili (possono essere anche
previste coperture con tunnel di films plastici).
Si consiglia di effettuare la semina a file o a spaglio, utilizzando seme con adeguate garanzie
sanitarie. In presenza di terreni molto soffici si consiglia una rullatura pre–semina. La densità
d’impianto ottimale può variare in funzione della varietà e dell’ambiente di coltivazione.
I sesti e gli investimenti consigliati sono:
Densità delle piante: 250-600.000;
Distanza tra le file: 20-40 cm;
distanza sulla fila: 4-10 cm;
profondità di semina: 1-2 cm
quantità di seme (Kg/ha): 5-20
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Cure colturali
Le cure colturali più importanti specifiche per la coltivazione del prezzemolo sono le seguenti:
- per ridurre l’uso di diserbanti ed avere un prodotto pulito è necessaria un’accurata scerbatura
manuale.
- durante il ciclo colturale, data la fittezza degli investimenti non sono previste lavorazioni
meccaniche ma solo gli sfalci per la raccolta.
Fertilizzazione
La conoscenza della dotazione in nutrienti del terreno è il prerequisito fondamentale per la
definizione di un corretto piano di concimazione. E’ quindi consigliato disporre di precisi dati
analitici riferiti al singolo appezzamento, o all’area omogenea nel quale esso ricade rispetto ai
seguenti parametri:
- tessitura;
- pH;
-calcare attivo;
- sostanza organica;
- macroelementi (N, P2 O5 assimilabile, K2O scambiabile);
- microelementi.
Anche in mancanza di dati analitici, il calcolo del fabbisogno di elementi nutritivi può essere
commisurato alle asportazioni in funzione della quantità di prodotto attesa, alla fertilità del
terreno e alle perdite di elementi fertilizzanti.
I prelievi di elementi nutritivi, per ogni tonnellata di bacche prodotte (kg.t -1 ) si stimano in:
Azoto: 4.8 kg.
Fosforo (P2O5): 1.6 kg.
Potassio (K2O): 4.8 kg.
Irrigazione
Il prezzemolo richiede irrigazioni giornaliere nella fase di germinazione e successivamente
irrigazioni frequenti, ma non abbondanti per accelerare lo sviluppo delle foglie e consentire
sfalci ravvicinati di materiale fresco.
Ore di manodopera impiegate per la coltura
Per tale coltura, preso in esame il periodo interessato dal ciclo produttivo (marzo-settembre), si
sono analizzate le operazioni colturali al netto dei tempi necessari all’addetto per raggiungere il
sito che ospita la coltura.
Nella coltivazione del prezzemolo si sono conteggiate le operazioni di lavorazione del suolo, le
concimazioni, la semina, l’irrigazione e la raccolta (compreso il confezionamento).
Da tale valutazione è risultato che per la coltivazione di 1000 mq di peperone sono necessarie da
50-60 ore di manodopera, se la raccolta è di tipo meccanizzato.
Tale calcolo è al netto dei tempi di lavoro aggiuntivi derivanti dalla particolare orografia del
territorio terrazzato delle Cinque Terre.
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Avversità
Il prezzemolo può essere attaccato da molti insetti, tra i quali ricordiamo i più dannosi: le larve di
Maggiolino e di Oziorrinco, che mangiano le radici sino al colletto. Per eliminare questa
minaccia andrebbe disinfettato il terreno prima della semina, oppure trattare con prodotti a base
di Acefale.
Temibili per il prezzemolo sono anche gli afidi, che si manifestano quando la pianta è già adulta,
facendo arricciare le foglie con le loro punture. Si consigliano trattamenti a base di piretro.
Tra le malattie fungine la più frequente è la cercospora, che si manifesta con delle puntole di
colore ambrato. Si possono utilizzare prodotti a base di rame e zolfo.
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Analisi del terreno relative al sito collinare di Beverino
Il terreno di proprietà dell’Ente Parco in Beverino è stato analizzato dal Laboratorio
Regionale Analisi Terreni e Produzioni Vegetali di Sarzana nel maggio 2008.
Dal triangolo della tessitura la granulometria risulta da suolo francosabbioso con sabbia
72,7%, limo 19,8% e argilla 7,5%; il rapporto C/N (tra carbonio organico e azoto totale contenuti
nel S.O. del suolo) è pari a 10,9 quindi compreso nel range 10-12 equilibrato, che indica un buon
rapporto tra la produzione di humus e la mineralizzazione.
La reazione pH è 6,6 suolo subacido e la capacità di scambio cationico C.S.C. (la capacità
di trattenere i cationi e di conseguenza gli elementi nutritivi) è 15,6 meq/100g.
Le classi di attitudine delle terre a determinate colture si basano sulle caratteristiche
pedologiche del suolo quali: tessitura, pH, S.O., conducibilità.
Il campione in oggetto denota un’alta attitudine ad ospitare sia colture ortive sia di aromatiche
biologiche.
“ Si deve sapere che concimare vuol dire vivificare la terra, in modo che la
pianta non si trovi in un terreno morto e debba contare solo sulla sua vitalità per
trarre ciò che le è necessario per arrivare alla formazione del frutto”.R. Steiner 1924
68
69
70
La gestione
La complessità del progetto pilota non si attaglia ai canoni dell’economia dell’azienda agraria,
non solo per la scelta del parametro economico del bilancio aziendale, ma anche per il fattore
lavoro.
Infatti la determinazione dell’impiego di lavoro è difficile perché l’unità di misura è piuttosto
elastica, in quanto coesistono nell’esercizio dell’attività sia esperti che affiancheranno i disabili
che le persone diversamente abili inserite in un processo continuo (almeno nella fase d’avvio) di
formazione in situazione e terapeutico – riabilitativa.
Nell’ipotesi considerata i dati dell’impiego totale di manodopera derivano da indagini dirette
effettuate in aziende biologiche.
Il parametro economico scelto per rispondere agli obiettivi convenzionali è il prodotto netto.
La differenza tra la produzione lorda vendibile e il totale degli oneri relativi alla reintegrazione
dei capitali fissi e circolanti costituisce il prodotto netto; in simboli:
Plv – (Sp +Q) = Pn
Il prodotto netto, altrimenti denominato reddito sociale corrisponde al complesso delle
retribuzioni spettanti.
Va da sé che nei primi anni di start up occorra un intervento contributivo gestionale atto a
remunerare gli esperti che affiancheranno i disabili nelle operazioni colturali.
Il costo orario di un operaio specializzato agricolo dipendente da cooperativa sociale è pari
16,58€ , il recente contratto collettivo aumenta tale importo di ca. 10%.
Il costo orario di un tecnico è pari a 18,28€.
La formazione in situazione diventa necessaria per l’avvio del progetto pilota: da qui il ruolo
della Provincia o di altri stakeholders attraverso il finanziamento dei progetti formativi contenuti
nella programmazione triennale delle politiche attive del lavoro (operatore agricolo ed
ortoterapeuta).
Alla formazione potrà seguire un periodo d’accompagnamento che vede il luogo – laboratorio
dell’azienda di Beverino quale sito in cui apprendere in situazione.
71
Il bilancio previsionale
Il bilancio previsionale è elaborato ipotizzando la coltivazione di 2000 mq di s.a.u. ad
orto stagionale a ciclo primaverile – estivo (pomodoro, basilico, peperone, melanzana,
radicchio, etc) e piante aromatiche (rosmarino, timo, maggiorana, salvia).
La parte attiva del bilancio è costituita dalla vendita del prodotto fresco direttamente in
azienda o attraverso gruppi di acquisto solidale.
L’organizzazione aziendale prevede il ricorso a contoterzisti per le lavorazioni principali
(aratura e affinamento del suolo).
Le operazioni colturali dalla messa a dimora delle piantine o dalla semina alla raccolta
saranno svolte dai lavoratori oggetto dell’intervento terapeutico con attività manuale.
Le ore di lavoro impiegabili nelle singole colture si possono stimare in 600 nell’arco
dell’anno concentrate nei mesi primaverili-estivi.
Nel passivo del bilancio non compaiono gli ammortamenti delle attrezzature (saranno in
dotazione solamente attrezzi manuali)
né le imposte e le tasse ed imposte a carico del
proprietario del fondo.
Non sono indicati i costi della manodopera in quanto a carico del progetto.
Il risultato Reddito lordo - Spese rappresenta pertanto il PNA (prodotto netto aziendale)
che, teoricamente, dovrebbe remunerare la manodopera e le categorie agricole che
intervengono nel ciclo produttivo: tutto questo a regime.
ELEMENTI ATTIVI
Produzione lorda vendibile
Interessi
RICAVI
COSTI
SEMENTI
CONCIMI
ANTIPARASSITARI
ACQUISTO SERVIZI
QUOTE
Ammortamenti
Capitale fondiario
Assicurazione sulla produzione
IMPOSTE
SALARI
STIPENDI
INTERESSI
COSTO TOTALE
PRODOTTO NETTO
6000
50
6050
6050
800
150
50
1000
0
0
50
0
0
0
0
2050
2050
4000
72
Il piano agronomico complessivo si sviluppa in fasi: lo start up è presso il sito collinare di
Beverino con coltivazioni in piena aria, le schede tecniche elaborate e le tabelle che seguono
definiscono un’ipotesi di conferimento a gruppi di acquisto solidale di piante officinali e basilico
da agricoltura biologica, modello di previsione riproponibile per altre colture.
Non essendo programmato (data l’esiguità della S.A.U. collinare) alcun apprestamento di
copertura atto a condizionare le colture si rende necessario coinvolgere l’Azienda Agricola
Dimostrativa di Sarzana relativamente all’utilizzo da parte dei diversamente abili di una serra
tunnel per la produzione di piantine biologiche da trapiantare nel sito di Beverino, al fine di
estendere ai mesi autunno – invernali l’impiego di manodopera e di ampliare la gamma delle
conoscenze tecniche.
Produzione di officinali
Le piante aromatiche che saranno coltivate dovranno garantire come richiesto, forniture
settimanali lungo tutta la durata dell’anno.
Nella tabella sono riportati i parametri riguardanti le rese, la superficie effettiva da investire ed il
numero indicativo di piante per specie.
Prodotto
Resa Kg/mq. Superficie
Piante/mq.
effettiva*(mq.)
N° piante
Rosmarino
Salvia
Menta
Timo
Totale
0,6
0,4
0,2
0,4
-
200
500
1600
800
-
100
100
100
100
400
2
5
16
8
-
Durata
coltura
(anni)
7/10
3/5
3/4
3/4
-
Tab: - coltivazione aromatiche, valori medi.
•
Il dato è stato maggiorato del 30% rispetto allo spazio effettivamente necessario alla
coltura in terreno pianeggiante, considerato la diminuita efficienza di sfruttamento dello spazio
in terreni terrazzati.
Per questo tipo di intervento si consiglia il trapianto in pieno campo nei mesi primaverili e
l’utilizzo di piantine derivanti al secondo anno di trapianto, fatta eccezione per la Menta (più
precoce).
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Produzione di basilico
La produzione richiesta è di fornitura continua.
Da interviste dirette effettuate a produttori biologici utilizzanti metodi di raccolta (taglio di parti
di pianta) funzionali ai goals è emerso quanto segue:
•
in coltura protetta si opera il trapianto nel mese di aprile e la raccolta a metà ottobre
(circa 5 mesi);
•
in piena aria si opera il trapianto a fine maggio e la raccolta si protrae da fine giugno a
tutto ottobre (circa 4 mesi).
Nella tabella sottostante sono specificate le caratteristiche dell’impianto.
Tecnica
di Resa Kg/mq.
coltivazione
Coltura protetta
3
Piena aria
2,5
Superficie
effettiva mq.
500
1250
Piante/mq.
N° piante
6
6
3000
7500
Tab: Tecniche di coltivazione di Basilico (valori medi).
Il miglior utilizzo della superficie destinata a basilico, riducendo inoltre l’impatto ambientale
derivante dall’apprestamento di copertura, si otterrebbe con un’adeguata combinazione delle due
tecniche di coltivazione sopra riportate.
E’ auspicabile peraltro diminuire il più possibile la coltivazione in superficie protetta, tarandola
in base alle esigenze di conferimento del prodotto per i mesi di aprile, maggio e giugno (periodo
in cui in piena aria non si ha ancora una produzione a pieno regime).
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Considerazioni
Le schede tecniche elaborate a cura dei Dottori Agronomi Antonella Falcinelli e Samuele Lercari
e dal Dott. Luca Baudone sono state proposte per la similitudine con il sito considerato nella fase
di start up e per i contenuti tecnici che si basano su indagini dirette compiute presso aziende
biologiche, utile strumento di previsione soprattutto per quanto attiene l’impiego di manodopera.
Il sito denominato Piano di Beverino rappresenta come, già sostenuto in altre parti della
relazione, una naturale estensione del progetto: un progetto incubatore perché le scelte future che
riguarderanno l’ampliamento della S.A.U. anche attraverso la coltivazione della patata
quarantina, il giardino delle farfalle che incrementerà il turismo naturalistico, l’utilizzo a fini
agrituristici della sede, delineano una multifunzionalità che nel breve periodo potrà portare
risultati positivi di bilancio.
I soggetti capofila e partners che potremmo identificare, qualora attuassimo un bilancio sociale
cogli adattamenti per un’attività agricola, quali stakeholders saranno debitamente coinvolti
attraverso opportune forme di relazione.
Occorre definire compiutamente la missione e il codice identitario dell’Azienda Agricola Sociale
(ad esempio Terra Madre), occorrerà inoltre rinsaldare i legami anche con le associazioni di
volontariato: ognuno per la sua parte è chiamato, attraverso la condivisione degli obbiettivi, ad
esplicitare un ruolo:
•
La Provincia per gli aspetti formativi,
•
Gli Enti locali e le associazioni di volontariato per la messa a disposizione di borse
lavoro.
•
I distretti sociali per accompagnare l’inserimento con la predisposizione del piano
occupazionale dell’utente.
•
L’Azienda Sanitaria Locale N°5, con la quale il Parco ha siglato apposita convenzione
per gli aspetti legati alle patologie dei diversamente abili.
Nei primi anni di attività sarà necessario intervenire con un finanziamento che supporti
economicamente la cooperativa sociale che gestirà il progetto, ad esempio le 600 ore di lavoro
ipotizzate richiedono manodopera opportunamente formata al costo 16,58 € l’ora, pari a
ca.10.000 €; altrettante ore di personale tecnico costeranno 18,29 € l ‘ora, pari a 11.000 €.
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