Cristiani e voodoo, una sola preghiera

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Cristiani e voodoo, una sola preghiera
Cristiani e voodoo, una sola preghiera
Il predicatore Robertson: il sisma? Colpa del patto col diavolo fatto per liberarsi dai
francesi. La Casa Bianca: senza parole
Di Michele Brambilla, La Stampa 15 gennaio 2010
Sconvolto dal devastante terremoto dell’anno precedente, nel 1756 Voltaire scrisse il «Poema sul
disastro di Lisbona», violenta requisitoria non tanto contro Dio, quanto contro l’idea di un DioProvvidenza.
Avversario sia delle religioni rivelate sia di ogni ateismo, fino a quel momento il filosofo francese
aveva creduto che il «Grande Architetto dell’Universo» non si fosse limitato alla creazione, ma
avesse garantito una sorta di ordine, di rispetto delle leggi naturali. Non il Dio cristiano, insomma,
ma comunque un Creatore non del tutto indifferente alle vicende umane. Dopo il terremoto di
Lisbona, però, il deismo di Voltaire perde gran parte del suo pur moderato ottimismo. Se Dio esiste,
perché permette tanto dolore? E soprattutto, perché tanto dolore innocente? È un’obiezione che nei
secoli si è fatta via via strada nella coscienza di un mondo sempre più secolarizzato, fino a diventare
forse l’«obiezione numero uno» fra quelle che vengono contrapposte ai credenti. Ieri uno dei più
noti telepredicatori statunitensi, il reverendo evangelico Pat Robertson, sulla «Christian
Broadcasting Network» ha dato una sua personale risposta a questo mistero del male.
Ha detto che l’apocalisse di Haiti è una conseguenza del «patto» che gli haitiani hanno sottoscritto
all’inizio dell’Ottocento «con il diavolo» per liberarsi dal giogo francese. «Ottenuta l’indipendenza
- ha detto Robertson - gli abitanti di Haiti sono passati da un disastro all’altro». Robertson - un
personaggio influente nella destra evangelica americana: nel 1988 cercò l’elezione alla Casa Bianca
- non è nuovo a «uscite» del genere. Aveva sostenuto la necessità di assassinare il presidente
venezuelano Hugo Chavez e di sganciare una bomba atomica sul Dipartimento di Stato; e anche
l’11 settembre, secondo lui, fu la conseguenza di una punizione divina. Ieri il consigliere del
presidente Barack Obama Valerie Jarrett ha subito stigmatizzato questa ennesima sparata: «Sono
senza parole», ha detto.
Robertson, che pure è un personaggio estremo, esprime comunque una vecchia idea, sempre
purtroppo sottotraccia, secondo la quale il male può essere una punizione divina, o un conto
presentato dal Maligno ai suoi adepti. Bizzarro che un cristiano possa pensare che il suo Dio
permetta che in un tale regolamento di conti vengano coinvolti tanti innocenti come le vittime di un
terremoto. Una riflessione molto più interessante di quella di Robertson, piuttosto, ce l’ha regalata
una delle prime immagini che ci ha riportato il nostro inviato Maurizio Molinari.
L’immagine di una Port-au-Prince popolata, nella prima notte tragica, da cristiani e seguaci dei riti
voodoo accomunati in uno straziante canto rivolto verso il cielo. Per chiedere aiuto, per cercare un
contatto con i propri cari morti sotto le macerie, per farsi coraggio, per tentare di scorgere una
speranza che non si vede e non si tocca, ma alla quale non si vuole e probabilmente non si può
rinunciare. Anche qui un terremoto: forse ancor più grave di quello del 1755 a Lisbona. Ma di
fronte alle stesse scene di devastazione e di morte, il popolo - o almeno, tanta parte di un popolo dà una risposta diversa da quella di Voltaire. Il sangue e il lutto, e ancor di più il senso di
impotenza, in questo caso portano non a negare l’esistenza di un Interlocutore, o a ritenerlo crudele
e colpevole: bensì a chiedergli soccorso.
Colpisce noi occidentali l’immagine di cristiani e voodoo uniti in una sola, corale preghiera.
Colpisce tanto più se ci arriva in un’epoca in cui è frequente il voler rimarcare le differenze.
Ad Haiti ci sono i cattolici, i protestanti, i Testimoni di Geova. E ci sono i voodoo, un mondo a noi
quasi del tutto ignoto, o meglio tramandatoci dalla letteratura, dai film e perfino dai fumetti come
un qualcosa a metà fra il folclore e l’horror. «Voodoo» evoca in noi riti magici, morti che
camminano, zombie, spilloni. «In realtà - ci spiega lo studioso delle religioni Massimo Introvigne,
torinese - ci sono due livelli di voodoo. Uno è appunto quello che più conosciamo noi, fatto di
pratiche popolari, di maghi a pagamento, truffatori.
È il voodoo dei cadaveri che escono dalle tombe e di Baron Samedì», il signore dei cimiteri di cui
l’ex dittatore di Haiti François “Papa Doc” Duvalier affermò di essere l’incarnazione. «Ma c’è
anche un altro voodoo - continua Introvigne - affermatosi ad Haiti e a New Orleans nel XX secolo
come una vera e propria religione organizzata, con edifici di culto e reverendi. È un voodoo che ha
tentato di entrare in dialogo con il cattolicesimo. La sua è una teologia sincretistica, che attinge alle
antiche religioni afro-americane e allo stesso cristianesimo. È importante distinguere bene fra due
questi due tipi di voodoo, molto diversi fra loro, uno serio e uno cialtrone».
Distinzioni doverose, ma probabilmente irrilevanti di fronte alla gigantesca preghiera collettiva
nelle strade violentate di Haiti. Dove prima ancora che cattolici, protestanti, voodoo e Testimoni di
Geova, c’erano, più semplicemente, degli uomini. La notte di canti e preghiere di Haiti ci dice
questo: ci dice che di fronte al vuoto e alle grandi domande sull’esistenza le differenze si fanno
piccole fino a scomparire, per far posto a esigenze che sono eguali per tutti. Ma questi canti e queste
preghiere ci dicono anche un’altra cosa. E cioè quanto sia difficile estirpare un senso religioso che è
nato agli albori dell’umanità dallo stupore nel percepire la dipendenza da un Mistero, quale che esso
sia.
Non c’è politica o economia che possa dare fino in fondo risposte esaurienti alla domanda che nasce
dal cuore di chi è ferito. Ha scritto Eugène Ionesco: «La donna che nessuno ama, l’uomo cui
diagnosticano un cancro, il pensionato sulla panchina, l’anonimo o l’illustre che si fa la barba e,
guardandosi allo specchio, si chiede che ci fa lì: tutti costoro non furono né mai saranno consolati
da alcuna politica». I canti e le preghiere di cristiani e voodoo nella notte di Port-au-Prince sono
l’urlo di ciascuno di noi di fronte alla morte; l’urlo di un’umanità che - per quanto si illuda - non
può che prendere atto, infine, di non poter bastare a se stessa.