Benvenuto! - presepe dei Missionari Comboniani di Venegono

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Benvenuto! - presepe dei Missionari Comboniani di Venegono
Benvenuto!
Gesù donato “DÀ VITA” all’accolglienza tra noi
(Presepio 2013)
1. Introduzione
“Ma allora, il Natale è per tutti?”
È con questa domanda che inizia il dialogo tra i personaggi che danno vita alla storia proposta dal
presepio di quest’anno.
La risposta può sembrare scontata, e forse lo è, ma non senza farci riflettere.
Per rispondere a questa domanda siamo invitati a guardare a tante situazione drammatiche in cui
vivono milioni di persone.
La miseria che assilla uomini e donne di qualsiasi età. Il dramma di tanti esseri umani che vivono
come schiavi e sono sfruttati da parte di persone senza scrupoli. La sofferenza di chi deve convivere
tutti i giorni con la violenza, la guerra, la paura.
Eppure, Dio ci ha creati per vivere bene, per condividere le risorse della terra, per favorire la
fraternità e la pace tra tutti gli esseri viventi. Nessuno può sentirsi escluso dalla famiglia umana.
Ecco che allora, ci sono tanti uomini e donne che attraverso la loro vita sanno gettare semi di
speranza e di solidarietà, come vedremo nella rappresentazione. Non ultimo, San Daniele Comboni,
di cui celebriamo i dieci anni della canonizzazione, frutto di un miracolo operato a favore di una
donna sudanese.
Al termine della rappresentazione, continueremo ad approfondire il tema della tratta di esseri
umani, delle nuove schiavitù, del viaggio che molte donne, uomini e bambini fanno alla ricerca di
una vita migliore, speranza questa, molte volte disillusa. Faremo anche noi un viaggio virtuale, che
ci aiuterà a conoscere le rotte dello sfruttamento e a capire la complessità del problema che vede
coinvolte milioni di persone.
Saremo introdotti all’attività che un gruppo di volontari svolge a favore delle ragazze vittime della
tratta della prostituzione. Si tratta del gruppo Mares, con sede a Tradate (VA), al quale destineremo
anche il ricavato delle offerte del nostro presepio.
Se alla fine del percorso scopriamo che il Natale è davvero per tutti, proviamo a pensare a cosa
anche noi possiamo fare affinché la nascita di Gesù sia davvero motivo di gioia per l’intera umanità.
2. Schede di approfondimento
2.1Comboni e la schiavitù
Lo schiavismo faceva parte della società africana tradizionale, era praticato dagli arabi nei confronti
dei neri ma anche dalle tribù negre nei loro reciproci rapporti. E non si può neppure affermare che
fosse una peculiarità dell’Africa islamica. È una pratica che troviamo anche nell’Etiopia cristiana.
Faceva parte insomma della cultura profonda del continente.
Le cause principali della schiavitù erano l’arretratezza della società africana, la rivalità continua fra
le tribù negre, la guerra ininterrotta che le divideva.
Tuttavia, la penetrazione europea, innescando la corsa all’avorio, aveva trasformato lo schiavismo
tradizionale in un'industria della deportazione dai costi umani assolutamente inaccettabili.
I missionari, vivendo stabilmente in mezzo alla gente compresero più e meglio degli altri la
complessità del problema. Inoltre, essendo vietato il proselitismo fra i musulmani, gli schiavi erano
i loro unici, veri interlocutori, il che rafforzava le ragioni di interesse nei loro confronti, anche al di
là dei motivi umanitari. Al Cairo, scrive Carcereri, gli istituti cominciarono ad attuare il Piano di
Comboni, la redenzione dell’Africa per mezzo dell’Africa, prendendosi cura dei neri, cioè degli
schiavi. Naturalmente con mille precauzioni, perché i loro movimenti erano attentamente
sorvegliati. L’opera iniziò con gli ammalati, ai quali nessuno più badava, e con i ragazzi
abbandonati, le uniche categorie di persone che si potevano avvicinare senza destare sospetti,
accreditandosi piuttosto come «uomini giusti e buoni ». Continua Carcereri: «Tutti gli infermi
abbandonati di cui avemmo notizia furono accolti e curati nei nostri istituti. La più parte morirono,
ma qui morendo trovarono quella felicità che essi non avrebbero saputo domandare ».
In questo modo cominciarono a combattere l’opinione generale che vedeva nel nero «poco più che
una bestia, un selvaggio incapace d’istruzione e di educazione, indegno della civiltà e della vita
umana». A combatterla prima di tutto nei neri, convinti anch’essi della loro irrimediabile inferiorità.
Pensare di rigenerare l’Africa con l’Africa voleva dire cambiare la cultura di un intero continente
con un materiale umano interamente da costruire, abituato a rimanere inerte e passivo in qualsiasi
circostanza della vita, fatalisticamente rassegnato al proprio destino, qualunque esso fosse.
In un tale ambiente, essendo impossibile far breccia fra i musulmani e tutta da costruire la
penetrazione nel mondo primitivo, è nel rapporto con gli schiavi che si giocava, in fondo, la
credibilità della missione.
Ma la questione fu sempre tutt’altro che pacifica a causa della resistenza governativa, delle proteste
dei padroni e della scarsa volontà di cooperazione dei consoli, alcuni dei quali erano personalmente
coinvolti nella tratta.
Ne nacquero, scrive Comboni, lamenti dal governo, reclami dai capifamiglia musulmani, e ricorsi
violentissimi, che giunsero fino al trono del kedivé d’Egitto, che era adiratissimo contro la
missione.
2.2 La tratta di esseri umani oggi
Per capire la gravità del fenomeno ci aiutano notizie come questa: Sudan donne e uomini rapiti per
il mercato degli esseri umani (La Repubblica, 31 Gennaio 2013).
Avviene nel campo profughi di Shagarab, uno dei tanti campi profughi a 50 chilometri dal confine
eritreo e 180 dalla capitale del Sudan, Khartoum. Di loro non si sa più nulla. Finite nelle mani dei
trafficanti di esseri umani operativi dai confini settentrionali dell'Eritrea e dell'Etiopia fino al
Sinai. Il loro futuro è segnato. Per liberarli chiedono riscatti di 30-40 mila dollari. Per chi non riesce
a pagare non c'è scampo. Gli uomini sono venduti come braccia per il lavoro forzato a privati o ad
aziende di pochi scrupoli. Per le donne va anche peggio: sono destinate a matrimoni forzati o, molto
più spesso, al giro internazionale della prostituzione. Senza contare il rischio di finire nel mercato
clandestino degli organi per i trapianti, offerti a pazienti di tutto il mondo da parte di cliniche
compiacenti o che comunque non si fanno troppe domande sui "donatori".
Con il moltiplicarsi delle guerre e delle persecuzioni nel Corno d'Africa e nell'Africa sub sahariana
il flusso dei profughi continua a crescere. Si tratta nella stragrande maggioranza di giovani, uomini
e donne, con un buon livello di istruzione e che vedono nel Sudan solo un territorio di transito: il
loro obiettivo è raggiungere l'Europa o comunque l'Occidente, attraversando il Mediterraneo dal
Nord Africa o il deserto del Sinai per passare la frontiera di Israele, considerato un avamposto
europeo.
Quasi tutti sono perseguitati politici oppure, specie gli eritrei, disertori o renitenti alla leva. Ragazzi,
cioè, che vogliono sottrarsi al servizio militare imposto dal dittatore eritreo Isaias Afewerki e che
dura in genere molto più dei 18 mesi previsti: spesso si protrae per anni e anni, fino all'età anziana,
facendone dei coscritti a vita. Ma proprio questa loro ansia di fuga dalla guerra, dalle persecuzioni e
dalla fame verso la libertà, i diritti civili e il futuro migliore che sperano di trovare in Occidente, li
rende facili vittime dei trafficanti.
Ottenere un visto di espatrio dal Sudan è difficilissimo e richiede tempi molto lunghi. Anche nei
casi più evidenti di persecuzione politica e di rischio della vita in caso di rimpatrio. Così, dopo anni
di attesa nei campi di raccolta, si affidano sempre più spesso a "passatori" che promettono di
accompagnarli a pagamento, un ticket che si aggira sui 5 mila dollari, fino in Libia e di lì in Europa
oppure in Israele passando per il Sinai. Ma quelle guide sono in realtà legate a bande di predoni:
prima di arrivare in vista del confine li prendono prigionieri e li cedono ai trafficanti di schiavi.
Negli ultimi tempi, anzi, le organizzazioni criminali non aspettano neanche di essere contattate:
sono i loro emissari ad avvicinare i profughi fin da quando varcano in fuga il confine sudanese
oppure nei dintorni o addirittura all'interno del complesso di Shagarab. E chi non cede alle lusinghe
dei "passatori" spesso viene rapito e preso in ostaggio. Da quel momento inizia un calvario senza
fine. Una sorte che accomuna ormai migliaia di giovani.
Negli ultimi anni c’è stata una presa di posizione da parte di autorità internazionali che hanno
ribadito alcuni principi sul tema della tratta, che si possono riassumere in quattro punti.
Primo: con la tratta siamo davanti a una violazione fondamentale dei diritti della persona. Le
vittime di tratta sono, appunto, delle vittime.
Secondo: queste persone si trovano nelle mani di organizzazioni criminali che gestiscono il traffico
e impediscono un'immigrazione regolare.
Terzo: oltre ai paesi di arrivo, bisogna considerare le problematiche dei paesi di partenza e di quelli
di transito. Il nostro atteggiamento eurocentrico ci porta a pensare che solo noi - poveri noi dobbiamo avere a che fare con gli immigrati clandestini e con le prostitute. Dimentichiamo che i
paesi di provenienza si impoveriscono di risorse umane e intellettuali; dimentichiamo inoltre che
nei paesi di transito si sviluppa un fiorente commercio umano.
Quarto: sono in atto politiche per contrastare la tratta. La società civile attraverso il lavoro sul
territorio di decine di associazioni, è mobilitata per restituire dignità e speranza a migliaia di uomini
e donne. Peccato che se ne parli poco. Le associazioni che svolgono questi servizi hanno prodotto
rapporti sulla sostanziale inutilità di alcune ordinanze di sindaci che mettono al chiuso le prostitute.
Il fenomeno non si elimina così, perché non è prostituzione ma tratta di esseri umani.
Queste associazioni affermano di non venire mai interpellate dalle autorità locali e nazionali quando
occorre emettere provvedimenti. Forse non vengono consultate perché i provvedimenti si ispirano a
logiche demagogiche.
2.3 Il Viaggio e lo sfruttamento
Quando parliamo di tratta dobbiamo pensare a un processo molto lungo nel tempo. È l'analisi che
compie l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), alla quale aderiscono 124 stati tra
cui l'Italia.
Il processo che porta lungo le strade della tratta si compone normalmente di tre momenti chiave: il
reclutamento, il viaggio e l'arrivo nel paese di destinazione, che può essere diverso da quanto
concordato alla partenza. A volte lo sfruttamento, elemento implicito della tratta che lo differenzia
dal favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, può iniziare prima dell'arrivo a destinazione.
Le modalità di reclutamento si realizzano in quattro modi principali: tramite annunci economici e
false offerte in agenzie di lavoro interinale; offerte di lavoro o studio ricevute da amici, conoscenti,
familiari; rapimento e reclutamento coercitivo; vendita da parte dei genitori. Ogni paese, poi,
secondo le analisi compiute dall'Oim, ha sviluppato una propria tipologia che si basa sulle «abilità
persuasive» dei trafficanti e sulle reti da loro sviluppate. In molti paesi dell'Est Europa, ad esempio,
la minaccia della tratta si nasconde dietro annunci economici di agenzie di avviamento al lavoro. A
volte le agenzie sono complici, a volte fasulle, a volte all'oscuro di tutto. Gli annunci sono
assolutamente credibili, attirano le vittime potenziali con promesse di lavoro come cameriera nei
ristoranti, lavorante stagionale nelle località turistiche europee (ma non solo), infermiera,
bambinaia, collaboratrice domestica e così via. La frode si scopre a destinazione, quando è troppo
tardi per tornare indietro.
In altri paesi, come nel caso della Nigeria, il reclutamento avviene di persona, attraverso amici di
famiglia o parenti ed è il caso più comune e più facile visto che nel continente il legame di parentela
è molto esteso. L'inganno si cela dietro un'offerta allettante (studio o lavoro all'estero) e il fatto che
provenga da un familiare tranquillizza tutti, genitori e figli. Non sempre il reclutatore conosce le
condizioni che attendono la vittima potenziale, ma è consapevole dell'inconsistenza dell'offerta. A
volte capita che le persone vengano rapite, ma casi del genere sono rari.
Partire, migrare, andare in cerca di un avvenire migliore per sé, desiderare di contribuire al
miglioramento delle condizioni di vita delle famiglie di origine sono i motori che inducono tante
giovani donne a partire. Sfuggire dalla disperazione è la spinta potente anche per tanti uomini,
provenienti dall' Africa o dall' Asia. Ecco allora che trovarsi segregati, costretti, vittime di tratta,
oltre che di immigrazione clandestina, costituisce un vero e proprio shock umano, individuale,
culturale. In molti casi il progetto di migrare è stato messo a punto in mesi, a volte in anni, ha
coinvolto e sconvolto nuclei familiari stabili, mettendo a dura prova la solidità delle relazioni tra
genitori e figli, tra coniugi, all'interno delle famiglie. L'impatto con un mondo estraneo e spesso
ostile è il momento forse più delicato del progetto migratorio, quando si devono cercare soluzioni a
problemi che spesso non erano stati considerati. E non si tratta solamente di problemi che
riguardano il lavoro o l'alloggio, cioè gli elementi di sopravvivenza quotidiana. Si aggiungono
infatti problematiche esistenziali durissime: la solitudine, le condizioni climatiche, la diffidenza e la
paura, elementi che non potevano essere conosciuti in precedenza e che minacciano il successo di
un progetto migratorio. Due soltanto le soluzioni possibili: o integrarsi o affrontare il fallimento del
proprio progetto.
Per una persona migrante tornare nel paese di origine a mani vuote rappresenta il fallimento, la
delusione, la perdita di stima e di considerazione. Per le donne sfruttate e sbattute sulla strada si
aggiunge lo stigma sociale e la riprovazione che loro stesse provano. Questo spiega perché centinaia
di migliaia di persone resistono per lunghi periodi in condizioni di vita subumane dal punto di vista
abitativo, di sfruttamento da quello lavorativo e deprivante da quello umano.
Le vittime di tratta non sono preparate ad affrontare una situazione completamente diversa da
quanto loro promesso.
Subiscono un trauma grave al quale non sono in grado di reagire. Nonostante l'orribile realtà che si
trovano a vivere, le aspirazioni rimangono e, in mancanza di un piano di emergenza e del coraggio
di arrendersi, tollerano la condizione di sfruttamento. Questo spiega come mai molte donne
rimangono all'estero anche se sfruttate sessualmente o preferiscono far perdere le proprie tracce per
non dover affrontare l'insostenibile confronto con' le proprie famiglie.
Certo non tutti sono d'accordo con questa visione più morbida delle vittime di tratta. Ad esempio
l'Osservatorio Tratta - il portale italiano sulla tratta di esseri umani, in collaborazione con l'Unione
Europea e il Ministero del Lavoro - nota che le modalità di reclutamento spesso avvengono su
iniziativa personale della vittima e che qualificare quest'ultima come soggetto totalmente passivo e
impotente sia uno stereotipo non rispondente alla realtà.
Una posizione diversa è espressa dagli operatori sul territorio che lavorano nell'opera di contrasto
della tratta e che hanno raccolto decine e decine di storie. Anche i rapporti stilati e pubblicati in
ambito europeo che illustrano le rotte, i traffici, le caratteristiche dei commerci, insistono sul ruolo
di vittime delle donne e degli uomini che soggiacciono alla tratta in uno stato di asservimento.
E dietro al commercio prosperano reti criminali.
2.4 La dimensione italiana
Il 18 Ottobre 2013, il giornale “Avvenire” pubblica un articolo dal titolo: Sfruttate per strada, in
casa, nelle stazioni. Ecco la nuova tratta.
Per la prima volta le forme di schiavitù in Italia vengono raccontate da chi le affronta in strada o nel
chiuso di squallidi appartamenti. "Punto a Capo", primo rapporto sulla tratta di Caritas, Cnca,
Gruppo Abele e Associazione on the road presentato a Roma il 18 Ottobre 2013, descrive i volti
delle vittime, quasi tutte donne, e spiega che in 13 anni oltre 65 mila persone sono state contattate
dai 665 progetti di protezione sociale e 21.378, più o meno una su 3, hanno deciso di entrare in un
programma di protezione e assistenza assicurato dalla legge italiana. Altre 3.770 persone, dal 2006
al 2012, hanno beneficiato di 166 progetti in base alla legge sullo sfruttamento sessuale. La tratta in
Italia è gestita da gruppi criminali radicati nei Paesi di destinazione, con collegamenti transnazionali
e notevoli capacità di abbinamento ad attività come traffico di migranti, droga e armi e il riciclaggio
di denaro sporco. Pur rimanendo la prostituzione forzata in strada la tipologia di tratta più visibile e
conosciuta, nel corso dell’ultimo decennio è progressivamente aumentato il numero di casi
identificati di persone trafficate e sfruttate in altri ambiti, tra cui quelli economico-produttivi e, in
particolare, in agricoltura, pastorizia, edilizia, manifattura, lavoro di cura. Per lo sfruttamento
sessuale e lavorativo i principali canali d'ingresso sono l'Europa dell'Est e la rotta Maghreb- Sicilia,
per l’accattonaggio la rotta attraversa l'Europa dell’Est. Le persone cadono vittima di tratta per
sfuggire alla povertà, a discriminazioni di genere ed etniche, a conflitti regionali.
Nella maggior parte dei casi l'espatrio è volontario, ma il debito contratto con il racket è un fattore
di vulnerabilità "decisivo" che riduce in schiavitù. Le persone trafficate vivono infatti in condizioni
misere, fanno uso o abuso di alcool e stupefacenti, sviluppano problemi di salute mentale e
subiscono forme di discriminazione e di violenza molto cresciuta negli ultimi anni. Sono costrette a
subire condizioni di vita e di lavoro disumane con orari di lavoro molto lunghi e senza pause
intermedie, retribuzioni molto inferiori a quelle pattuite o stabilite per legge; quando ci sono. E
vengono illuse rispetto all'ottenimento di permessi di soggiorno, per cui, a volte, sono costrette a
versare del denaro. I luoghi di sfruttamento si sono moltiplicati. Non ci si prostituisce più solo in
strada e nei luoghi al chiuso, ma anche in stazioni e centri commerciali.
E chi mendica lo fa sempre più in prossimità dei centri commerciali e sui mezzi pubblici. Sempre
più rilevante il web come punto di incontro della domanda e offerta di prestazioni sessuali, di lavori
stagionali in agricoltura, di cura o altro. Nel 2012 continuano a essere vittime di prostituzione
soprattutto le giovani tra i 18 e i 25 anni, più del 50%. I paesi di origine delle persone assistite dagli
enti sono Nigeria e Romania, in costante crescita Brasile, Marocco e Cina. Si registra il ritorno
dell'Albania. I clienti sono perlopiù uomini di tutte le età e condizioni sociale e nel 2013 sette su
dieci hanno pagato di più per rapporti non protetti. Con la crisi sono aumentate le violenze a scopo
di estorsione, così come gli atteggiamenti razzisti. Se l'Italia sta contrastando con una peculiare rete
di servizio pubblico e privato lo sfruttamento della prostituzione, oggi sono le vittime di
sfruttamento lavorativo a faticare per trovare protezione. Nel 2012 dei 520 permessi rilasciati come
"Soggiorno per protezione sociale", 440 sono stati concessi per sfruttamento sessuale e solo 80 per
quello lavorativo. “A fronte - commentano Caritas e Cnca – di decine di migliaia di lavoratori
stranieri su tutto il territorio nazionale, gli strumenti di tutela appaiono deboli nonostante la recente
introduzione del reato di caporalato e l’inasprimento del sistema repressivo verso gli sfruttatori”. Si
riparte da qui.
2.5 Informare, prevenire, recuperare
Ci lamentiamo delle donne che si prostituiscono per strada, ma quante forme di prostituzione
vengono normalmente praticate nella nostra società da persone e istituzioni?
Per esempio c'è:
- la donna che posa quasi nuda per calendari o per pubblicizzare prodotti commerciali ...
- il banchiere incravattato che sposta ingenti capitali in Paesi che calpestano i diritti umani…
- nazioni che si dichiarano pacifiste e hanno un traffico di armi con i Paesi poveri…
- governi che entrano in guerra per mantenere vantaggiose alleanze con le superpotenze…
- ragazze che ottengono posti di lavoro in cambio di prestazioni sessuali ...
- la camorra che usa la gente finché gli serve e poi la elimina ...
- giudici che si lasciano comprare da chi paga di più ...
- persone che rinnegano le proprie idee pur di stare dalla parte di chi comanda e per fare carriera
politica ...
- cristiani che tacciono davanti all'ingiustizia ...
- società che accettano gli immigrati solo fin quando servono alle loro necessità ...
Le ragazze della strada non sono forse allora solo l'espressione più visibile di una società prostituita,
il frutto marcio alimentato da una società corrotta?
Perché non ci siano più frutti marci non basta staccarli dall'albero: se l'albero è marcio continuerà a
produrli. Si tratta invece di curare l'albero. Quando smetteremo di comprare i corpi, di usare la
gente, di sfruttare gli esseri umani, di venderli a chi paga di più, scompariranno anche le ragazze
della strada.
Molti forse si sono già chiesti: "Posso fare qualcosa per loro?".
Sappiamo che quello che possiamo fare per loro non è sufficiente a risolvere il problema della
prostituzione coatta.
Ci rendiamo conto che non è solo un problema di repressione, perché la prostituzione è una tragedia
che colpisce tutti e in particolare la donna. È una ferita dell'umanità, della società nelle sue stesse
radici. Porre fine alla tratta delle donne a scopo di prostituzione richiede un profondo cambiamento
umano e culturale. In questo intervento l'opera delle istituzioni è determinante.
Due sono gli aspetti principali sui quali bisogna lavorare per debellare questo fenomeno.
Da una parte ci sono i clienti, quelli che creano la domanda. Si calcola che in Italia ci sono 7
milioni di uomini di tutte le età, di tutte le classi sociali, di cui il 70% è sposato, che comprano sesso
per strada.
Tutti coloro che hanno responsabilità educative, dai genitori alla scuola, dalle parrocchie ai gruppi
di ogni tipo, dalla televisione, al cinema, ai giornali, potrebbero aiutare gli uomini a comprendere la
situazione di queste ragazze e ad affrontare i loro problemi psicosessuali, sentimentali ed
esistenziali in un modo diverso dal fare sesso a pagamento.
Dall' altra parte ci sono le organizzazioni criminali internazionali e le mafie italiane che
aggiungono sfruttamento a sfruttamento.
Come fermarli? È una situazione complessa, fatta di connivenza e corruzioni, che solo le istituzioni,
i governi e le polizie potrebbero affrontare efficacemente. Esistono già leggi che colpiscono coloro
che sfruttano la prostituzione, tuttavia si ha l'impressione che manchi una decisa volontà politica di
fermare la macchina infernale che produce schiavitù e distrugge il futuro di migliaia di ragazze.
- Se le istituzioni investissero maggiormente nell' attività investigativa, impiegando più uomini a
pedinare madams, sfruttatori, camorristi e mafiosi,
- se creassero più legami con le polizie dei Paesi di origine delle ragazze,
- se controllassero i flussi di denaro provenienti dalla prostituzione che escono dall'Italia attraverso
la Western Union e altre agenzie (come è stato fatto in altri campi là dove c'era la volontà politica di
fermare certe espressioni della criminalità), si potrebbe perlomeno rallentare la tratta di donne a
scopo di prostituzione.
Potremo pervenire a questo risultato attraverso una pressione popolare sulle istituzioni.
A questa pressione popolare tutti possiamo collaborare a partire dal luogo in cui siamo impegnati: le
associazioni, i partiti, i sindacati, le Chiese, ogni tipo di gruppi organizzati che credono nella dignità
e parità della donna, i mass-media che mai come oggi giocano un ruolo fondamentale nella
formazione delle coscienze.
Per creare questa nuova cultura e per spingere le autorità a muoversi, ognuno di noi può dare, là
dove vive, il suo contributo per costruire una società in cui tutte le donne possano vivere libere
insieme a uomini degni di questo nome.
2.6 Gruppo Mares
È un gruppo di volontari che svolge attività rivolte alle vittime della tratta della prostituzione. Il
gruppo è nato nell’estate del 2000: dopo un periodo di formazione, è operativo dal 2001. La
presenza del gruppo è nata nell’ambito della Caritas Ambrosiana, ma vuole essere un gruppo che
non si caratterizza né in maniera religiosa, né un maniera politica. L’importante è essere aperti alle
culture che si incontrano attraverso le ragazze. Grande importanza è data alla sensibilizzazione: del
gruppo fanno parte professionisti della comunicazione che prestano la propria professionalità.
L’obiettivo principale di questa attività è quello di creare una relazione positiva e di fiducia con le
ragazze che si incontrano, che le aiuti a trovare un momento di pace in cui essere se stesse. Un
punto di partenza per pensare al loro futuro.
Il gruppo opera al pomeriggio nelle strade di Pianbosco, tra Tradate, Appiano Gentile e Castelnuovo
Bozzente. Di notte nella zona della ASL di Fino-Lomazzo, sulle strade che collegano Oltrona San
Mamette a Turate.
Grazie a una rete di servizi sanitari e legali, il gruppo cerca di aiutare le ragazze, venendo incontro
alle loro esigenze e, al tempo stesso, tentiamo di aumentare la loro consapevolezza dal punto di
vista legale e sanitario. La speranza di tutti è quella di poter costruire per loro e con loro
un’opportunità di vita diversa da quella della strada.