D`Annunzio il poeta guerriero:
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D`Annunzio il poeta guerriero:
D’Annunzio il poeta guerriero: affinità, divergenze tra l’epopea dannunziana e le gesta degli eroi Introduzione Si è soliti proporre, nella trattazione sulla vita di D’Annunzio, prevalentemente la sua immagine di dandy e scrittore decadente mostrando la sua opera come una tra le massime espressioni del decadentismo europeo, titolo per altro discutibile giacché le sue opere sono difficilmente paragonabili ad altre del filone decadente quali quelle di Arthur Rimbaud e soprattutto di Charles Baudelaire. Così facendo si trascura, tuttavia, una parte fondamentale della sua esistenza, in altre parole, la sua parte guerriera e “eroica”. Dunque in questo lavoro si vuole mostrare come nella figura di poeta votato alla guerra D’Annunzio possa essere paragonato, in maniera più o meno originale e con i dovuti distinguo, agli eroi della letteratura epica. Egli, infatti, dalla scoperta del superuomo in poi inizia un percorso fondamentale della sua carriera. Nella sua cieca ambizione di non essere mai dimenticato si propone come guida nello sviluppo di una nuova morale a sostituzione dell’etica borghese percepita come portatrice di una decadenza che sta decomponendo l’uomo occidentale. Con l’avvento del XX secolo egli indossa la maschera del guerriero, propriamente inteso dall'Occidente, spronando il governo affinché intervenga nella Grande Guerra; perciò D’Annunzio inizia una campagna mediatica di matrice interventista, per poter dimostrare il suo “valore” tramite combattimenti aerei, lontano dalle trincee, e con azioni ardite come il celeberrimo volo su Vienna. Si conclude l’ardore guerriero dannunziano con l’impresa di Fiume, che annetterà la suddetta città rendendo D’Annunzio, anche se solo per breve tempo, personaggio cardine del regime fascista. Tuttavia, in seguito, la dittatura lo escluderà dalla scena politica, dopo la conquista del potere. Egli, infatti, sarà temuto da Mussolini a causa della sua personalità esuberante ed indipendente, fino all'isolamento presso la sua villa a Gardone Riviera. 1 “O rinnovarsi o morire”: Omero e l’insegnamento della nuova morale E Patroclo si lanciò con grida terribili per tre volte sui Troiani simile ad Ares, e per tre volte uccise nove uomini. Ma quando hai tentato il quarto assalto - e sembravi un dio - allora, Patroclo, hai segnato la fine della tua vita! (Omero,“Iliade”, libro XVI, vv. 783-788, traduzione a cura di S. Quasimodo) Omero canta le gesta di Patroclo rendendolo simbolo della forza guerriera che avrebbe dovuto essere l’esempio per tutta la cultura greca successiva. Patroclo s’irradia di una forza che rasenta il divino rendendo se stesso arma invincibile atta ad annientare l’avversario e a non temere nulla; nemmeno la morte. Nella tradizione omerica non v’è nulla di più importante del valore personale; l’individuo ha la possibilità, per non dire il dovere, di rendere se stesso superiore anche agli dei. Verso la fine del XIX secolo, nell’opera Le vergini delle rocce, Gabriele D’Annunzio inizia a profetizzare l’immagine dell’essere che avrà il compito di imporre se stesso dissipando la decadente società borghese. Quest’idea proviene dalla deturpazione dell'Űbermensch (oltreuomo) nietzschiano. Nietzsche, soprattutto nell’opera Also sprach Zarathustra (Così parlò Zarathustra), propone un nuovo tipo di uomo che ha come scopo il superamento dei comuni valori della società occidentale tramite una via di rinnovamento spirituale. L’oltreuomo in D'Annunzio subisce una trasformazione da nuovo profeta della vita materiale, che ama l'umanità cercando di portare al maggior numero di persone possibili la necessità di accettare il "tramonto" dell’uomo per permettere la nascita dell’oltreuomo, a dittatore che ha come scopo la distruzione dei principi democratici dello stato post-risorgimentale e la creazione di una nuova elite di uomini a lui simili, che schiacceranno e domineranno i diversi tramite la violenta energia vitalistica, il gusto dell’azione eroica e del predominio. Si può dunque osservare una certa somiglianza tra i valori dell’eroe omerico e quelli del superuomo dannunziano. In ambedue i casi è di centrale importanza l’individuo con il suo valore e il desiderio di superare i propri limiti e di affermare la propria superiorità ed invincibilità. D’altra parte ci si accorge di una grande e fondamentale differenza tra questi due uomini: l’eroe greco è figlio di una società monarchica e pre-democratica, dove egli è obbligato, dalla paura dei potenti e dal caos dell’esistenza di una vita non civilmente regolata, a sviluppare abilità guerriere per potersi difendere e per poter sopravvivere con le sue sole forze. Il superuomo dannunziano, invece, nasce dopo l’avvento della democrazia; egli è l’uomo che, guardandosi allo specchio, si ritiene erroneamente superiore agli altri. Inizia così un viaggio che lo porterà, prima, alla separazione dagli altri e poi alla formazione di stati di matrice totalitaria formati da uomini a lui 2 uguali, che s’impegneranno in una campagna il cui fine è l’abbattimento delle strutture democratiche e l’assoggettamento e l’uccisione dei deboli e degli indifesi. 3 “Compagni, non è più tempo di parlare ma di fare”: Lucifero parla agli angeli caduti “È questa la regione, è questo il suolo e il “[…] Italiani […] nati dell'unica madre, […] clima,” disse allora L’Arcangelo perduto, “è fratelli; […] ultimi della sacra schiera questa sede che abbiamo guadagnato contro il sopravviventi in terra, o forse riapparsi oggi cielo, questo dolente buio contro la luce dalla profondità della gloria per testimoniare celestiale? Ebbene, sia pure così se ora colui […] come veramente un giorno respirasse in che è sovrano può dire e decidere che cosa sia bocche mortali e moltiplicasse la forza delle il giusto; e più lontani siamo da lui e meglio è, ossa caduche quell'anima stessa che qui gira e da lui che ci uguagliava per ragione e che la solleva il bronzo durevole[…]. Tutti, dalla forza ha ormai reso supremo sopra i suoi maestà del Re all'operaio rude, noi ci sentiamo uguali. Addio, campi felici, dove la gioia regna tremare d'amore come un'anima sola. […] eternamente! E a voi salute, orrori, mondo […] È ingente e potente come il flutto infernale; e tu, profondissimo inferno, ricevi il decumano, o marinai, come quell'onda che nuovo possidente: uno che tempi o luoghi mai sorge con più d'impeto dopo le nove che son per potranno mutare la sua mente. La mente è il seguirla: onda maggiore, che porta e chiama il proprio luogo, e può in sé fare un cielo coraggio. I resuscitanti eroi sollevano con uno dell’inferno, un inferno del cielo. Che importa sforzo titanico la gravezza della morte perché il dove, se rimango me stesso; e che altro dovrei loro creatore in piedi li foggi in immortalità. In essere allora se non tutto, e inferiore soltanto a piedi è il creatore, fisso a quella bellezza che lui che il tuono ha reso più potente? Qui almeno sola visse nelle pupille dei nostri martiri e restò saremo liberi; poiché l’Altissimo non ha suggellata sotto le loro palpebre esangui. edificato questo luogo per poi dovercelo anche […] Risorgono gli eroi dalle loro tombe. […] invidiare, non ne saremo cacciati: vi regneremo Dai grandi omeri sprigiona le penne della sicuri, e a mio giudizio regnare è degna Vittoria. Delle loro bende funebri noi rifaremo il ambizione, anche sopra l’inferno: meglio bianco delle nostre bandiere. […] regnare all’inferno che servire in cielo. Quindi Gli Italiani hanno riacceso il fuoco su l'ara perché lasciare gli amici fedeli, gli alleati e i d'Italia. […] partecipi di questa nostra perdita, giacere così Il fratello guardava il fratello, talvolta per attoniti sull’acque immemoriali, e non leggere nel fondo degli occhi la certa risposta chiamarli con noi a condividere la loro sorte in alla muta domanda. […] questa dimora infelice, o a tentare con noi Accesa è tuttavia l'immensa chiusa fornace,[…] nuovamente, riprese le armi, ciò che ancora può che il fuoco fatichi finché tutto il metallo si essere riconquistato in cielo, o ciò che ancora strugga, finché la colata sia pronta, finché l'urto di più può essere perduto nell’inferno?” del ferro apra il varco al sangue rovente della (passaggio tratto da Paradiso Perduto, libro I, resurrezione. 4 John Milton, traduzione a cura di R. Senesi) Già da tutte le fenditure, già da tutti i forami biancheggia e rosseggia l'ardore. Già il metallo si comincia a muovere. Il fuoco cresce, e non basta. Chiede d'esser nutrito, tutto chiede, tutto vuole. Voluto aveva il duce di genti un rogo su la sua roccia, […] e non gli fu acceso. Non catasta d'acacia né di lentisco né di mirto ma di maschie anime egli oggi domanda, o Italiani. Non altro più vuole. E lo spirito di sacrificio, che è il suo spirito stesso, che è lo spirito di colui il quale tutto diede e nulla ebbe, domani griderà sul tumulto del sacro incendio:”Tutto ciò che siete, tutto ciò che avete, e voi datelo alla fiammeggiante Italia!. […]” (tratto dal discorso di Quarto, G. D’Annunzio) Lucifero è scacciato dal Paradiso. Lui e le sue legioni di angeli ribelli sono scagliati sulla Terra, dove si crea una voragine gigantesca solcata da mari e fiumi di lava incandescente. Tutto sembra perduto per l’arcangelo caduto che tuttavia, volando su un isolotto sul mare su cui giacciono i compagni della sua tanto temeraria quanto altrettanto rovinosa impresa, riesce, dando fondo a tutta la sua abilità oratoria e al suo sprezzante orgoglio, a trasformare la loro dolorosa caduta in una vittoria che ha concesso loro un reame libero dalla volontà e dai comandamenti divini. Qui, afferma Lucifero, potranno “regnare sicuri” e potranno, non di meno, pianificare una nuova strategia per mettere in ginocchio Dio stesso, le legioni di angeli a lui fedeli e la creatura prediletta di tutto il creato; l’uomo. Il 4 maggio 1915 Gabriele D’Annunzio, nella sua roboante campagna atta a far entrare l’Italia in guerra, a Quarto, pronuncia il più importante discorso della sua carriera politico-militare. Qui egli sprona tutti i suoi concittadini, “dalla maestà del Re all'operaio rude”, a unirsi tutti assieme in questa possibilità di unificare definitivamente l’Italia e di far risorgere dalle ceneri l’antica gloria dell’impero romano. Nel discorso alle truppe Satana si fa espressione dell’idea che l’io, se resta immutato, può compiere l’impossibile; “fare un cielo dell’inferno, un inferno del cielo”. D’altra parte in quest’affermazione di invincibilità Lucifero chiama a sé i suoi uomini affinché possano regnare sovrani nella loro 5 “dimora infelice” e soprattutto possano riprendere le armi contro il loro divino oppressore che non si aspetta un nuovo scontro contro i suoi caduti figli celesti. Nel discorso dannunziano possiamo riscontrare un linguaggio altamente ricercato, pieno di immagini evocative quali; la fiamma accesa sull’ara (altare) d’Italia, la risurrezione degli antichi eroi italici e il bronzo che funge da amalgama per il popolo. Tali immagini sono utilissime per infiammare gli animi e smuovere le masse alla battaglia sacra contro lo straniero che è ora impegnato a combattere a est lungo le fredde steppe galiziane e non si aspetta un attacco dalla sua ex-alleata. È quindi un’occasione propizia per l’Italia di conquistare le regioni di lingua italica sottomesse all’Austria. Queste arringhe di grande effetto hanno conseguenze gigantesche. Nel primo caso tutte le legioni degli angeli caduti si risollevano dalla sconfitta iniziale, si riordinano prima costruendo il più grande e ricco palazzo del mondo Pandemonium e successivamente, riunendosi in consiglio, predispongono una strategia che porterà il loro capo, Lucifero, a penetrare nel giardino dell’Eden e a condannare l’umanità alla cacciata dal paradiso terrestre per aver ascoltato il demonio e per aver mangiato il frutto dell’albero della conoscenza che fu loro vietato da Dio. Il secondo discorso porta con sé conseguenze immani. Difatti quest’affermazione di volontà interventista, che altri non è che un tentativo di D’Annunzio di partecipare alla guerra per potersi distinguere come eroe e essere, come ha cercato di fare per tutta la sua vita, ricordato, causa, assieme alle dichiarazioni di altri interventisti che spingono il governo a combattere contro l’Austria, l’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale che si concluderà sì con l’ultimazione del processo di unificazione ma, cosa più importante, causerà 654.000 morti al fronte, 240.000 condannati alla pena capitale, 60.000 dispersi e 451.645 invalidi e mutilati. Altre conseguenze furono l’indebitamento da parte dell’Italia di 157 miliardi di lire che sarà superato solo nel secondo dopoguerra a seguito del piano Marshall e del boom economico. Ma soprattutto l’insoddisfazione delle masse per la vittoria che causerà lo sviluppo della più grande bestia che la storia ricordi; il fascismo, che ritrovò proprio in D’Annunzio uno dei suoi fondatori, e che condannerà il popolo italiano a venti lunghi anni di dittatura oppressiva e brutale. 6 “Memento Audere Sempre”: Enea negli inferi A seguito dell’entrata in guerra dell’Italia, D’Annunzio indossa la maschera del soldato arruolandosi non in fanteria, poiché nelle trincee non c’era la possibilità di dimostrare il proprio valore in ambito militare, ma in aviazione, che rappresentava l’avanguardia tecnica della tecnologia bellica dell’epoca. Con questa scelta egli riesce a compiere svariate imprese, guadagnandosi da un lato l’ammirazione dei suoi uomini e il riconoscimento di altrettante onorificenze dall’altro. Come narra Virgilio, nel libro VI dell’”Eneide”, Enea, prima di poter giungere nel Lazio, compirà un gesto che va oltre l’umano potere, ovvero la discesa nell’Ade. Il 9 agosto 1918, con undici compagni, D’Annunzio compie l’impresa più importante della sua carriera durante la Prima Guerra Mondiale, il Volo su Vienna. Durante il viaggio negli inferi, l’eroe troiano deve superare gli ostacoli rappresentati dai guardiani dei morti, Caronte, lo psicopompo, e Cerbero. Equamente gli 11 aerei partiti alle 5.50 del mattino furono costretti ad affrontare le avverse condizioni atmosferiche e il pericolo rappresentato dall’attraversamento di 800 km di territorio nemico. Nonostante il Vate abbia perso tre compagni a causa di problemi tecnici, egli e la sua compagnia giunsero, alle ore 9.20, sopra il cielo di Vienna e sganciarono un consistente numero di volantini, composti da Ugo Ojetti, su cui era scritto: “VIENNESI! Imparate a conoscere gli italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà. Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne. Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco testardo crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d'odio e d'illusioni. VIENNESI! Voi avete fama di essere intelligenti. Ma perché vi siete messi l'uniforme prussiana? Ormai, lo vedete, tutto il mondo s'è volto contro di voi. Volete continuare la guerra? Continuatela, è il vostro suicidio. Che sperate? La vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani? La loro vittoria decisiva è come il pane dell'Ucraina: si muore aspettandola. POPOLO DI VIENNA, pensa ai tuoi casi. Svegliati! VIVA LA LIBERTÀ! VIVA L'ITALIA! VIVA L'INTESA!” In seguito, entrambe queste imprese hanno avuto grandi risvolti. Grazie all’attraversamento dell’Ade da parte del loro capostipite i discendenti di Enea daranno origine alla città di Roma, la 7 quale diverrà, per quasi un millennio, la dominatrice del mondo conosciuto. Il Volo su Vienna avrà come conseguenze l’aumento dell’apprezzamento pubblico di D’Annunzio e farà aumentare il malcontento dei Viennesi riguardo la guerra. 8 "Vivere ardendo e non bruciarsi mai": Ulisse nel cavallo di Troia Di nascosto, nel fianco oscuro del cavallo fanno entrare sceltissimi guerrieri, tratti a sorte, riempiendo di una squadra in armi la profonda cavità del suo ventre. […] E già l'armata greca avanzava da Tenedo nell'amico silenzio della tacita luna in ordine perfetto, avviandosi ai lidi ben noti, e già la nave ammiraglia levava la fiamma d'un segnale luminoso: Sinone, protetto dagli ostili disegni degli Dei, furtivamente allora libera i Greci chiusi nel ventre del cavallo, aprendo gli sportelli di pino. Spalancata la macchina fa uscire all'aperto i guerrieri: si calano con una fune, lieti di abbandonare quella stiva, Tessandro e Stenelo, il feroce Ulisse ed Acamante, Toante e Neottolemo Pelide, Macaone il grande e Menelao[…]. Invadono la città sepolta nel sonno e nel vino: massacrano i guardiani, spalancano le porte e fanno entrare come d'accordo i compagni, riunendosi con essi. (Virgilio, “Eneide”, libro II, vv. 18-20, 254-264, 265-267, traduzione a cura di M. Ramous) Finisce così la guerra di Troia; i Troiani, accecati dal vino e dal miraggio di una pace tanto sofferta e attesa per dieci lunghi anni, vengono massacrati dall’esercito greco che, grazie all’inganno dell’astuto Ulisse, supera le impenetrabili mura della città radendola al suolo. Il 12 settembre 1919 la città di Fiume, nell’attuale Croazia, venne conquistata da circa 2600 militari ribelli del Regio Esercito capitanati da Gabriele D’Annunzio. 492 giorni dopo lui e il suo esercito vengono scacciati dalla città dall’esercito regolare italiano; Fiume verrà poi annessa all’Italia nel 1924 grazie a un trattato tra Mussolini e lo stato jugoslavo. Le conquiste di queste due città hanno un intrinseco valore simbolico; nel primo caso l’eterna rivale dei Greci viene definitivamente conquistata dopo un assedio decennale e la perdita di molti soldati ed eroi da ambo le parti. Nel secondo c’è l’esplosione del nazionalismo italiano che, non soddisfatto dei territori ottenuti con la pace di Versailles, si arma per occupare con la forza territori aventi 9 popolazione di lingua italica visti come altre regioni da strappare dalle grinfie dello straniero. In quest’ottica assumono ruoli cruciali due personaggi d’un certo spessore, buono o cattivo che sia: Ulisse e D’Annunzio. L’aspetto che, tuttavia, accomuna i due uomini non è la somiglianza delle qualità quanto piuttosto la centrale importanza nelle conquiste delle città. Il primo è il più intelligente soldato e stratega dell’esercito di Agamennone, caratteristica spesso inesistente o quantomeno non così preponderante in altri eroi quali Achille. Proprio grazie a quest’abilità Ulisse riesce in una notte a soggiogare Priamo e tutta la sua gente che per molti anni erano invece riusciti a sopravvivere alle ondate dei brutali guerrieri greci. L’altro è, invece, più un politico d’assalto; un uomo che con la sua personalità riesce ad attirare sostenitori anche per le imprese più ardite. D’Annunzio conduce, quindi, alla vittoria le sue truppe consegnando al nazionalismo italico uno tra i più celebrati territori della vittoria mutilata. Questo è il momento più alto della parabola dannunziana; da questa vittoria, passando per il Natale di Sangue, fino ad arrivare alla conquista del potere del fascismo, egli riuscirà a fare di sé stesso un eroe di guerra come aveva costantemente sognato. Proprio con la vittoria di Mussolini (1925) e del suo movimento, molto vicino a D'Annunzio, il poeta si vedrà sempre più escluso dalla vita politica e relegato nella sua villa a Gardone Riviera, il Vittoriale, dove, spiato da agenti del regime, troverà la morte una sera di Marzo del 1938. 10 "Io ho quel che ho donato": l’Achille dimenticato Mia madre Teti, la dea dai piedi d'argento, mi dice che al termine della morte due destini mi portano: se resto qui a combattere attorno alla città dei Troiani, è perduto per me il ritorno, ma avrò gloria immortale: se invece torno a casa, alla mia patria, è perduta per me la nobile gloria, ma la mia vita durerà a lungo e la morte non mi colpirà così presto. (Omero,“Iliade”, libro IX, vv. 410-416, traduzione a cura di G. Paduano). Achille ricorda la profezia che segnò irrimediabilmente la sua esistenza. Scegliendo di scendere in guerra, compirà azioni ardite, tra le quali l'uccisione di Ettore. La sua vita si concluderà quando Paride scaglierà una freccia avvelenata che gli colpirà il tallone, unica parte vulnerabile del suo corpo. Tutte queste vicende faranno sì che, come voleva la profezia, Achille venga ricordato per sempre. D'Annunzio, a differenza dell'eroe omerico, pur compiendo gesta dall'alto valore eroico e simbolico, come il già citato Volo su Vienna o la conquista della città di Fiume, verrà sempre più escluso dalla politica e relegato nella sua villa, dove egli cadrà nell'oblio, oscurato dalla più dirompente personalità di Mussolini. Quest'ultimo, infatti, vedrà nel poeta uno scomodo rivale e una minaccia per i valori fascisti, a causa dei suoi costumi estranei alla società borghese. Potremmo vedere in questo esilio forzato uno scherzo del destino che, punendo D'Annunzio per i crimini di cui si è macchiato, tra i quali il maggiore è, certamente, quello di aver trascinato l'Italia nella Grande Guerra, lo porterà a divenire una sorta di anti-Achille dimenticato dai suoi ex-compagni. Tutto ciò avrà come conseguenza sul poeta lo scivolamento nella depressione, che lo ucciderà nella notte tra l'1 e il 2 Marzo 1938. 11 Conclusione Durante il corso di questo lavoro, nel quale sono state indagate le affinità e le divergenze tra la vita politico-militare di D’Annunzio e le gesta degli eroi epici, non si sono potute tralasciare le responsabilità di tale scrittore. Infatti, il suo modo d’essere fu una spiccata affermazione di egocentrismo e superbia, che lo rese l’antieroe per eccellenza. Queste caratteristiche sono all’antitesi dei valori degli eroi epici. Sta di fatto che anche i guerrieri più individualisti, come Achille e Lucifero, combattono per un ideale condiviso dai molti, mentre il poeta ha soltanto mascherato le sue gesta per azioni votate al bene della patria, quando in realtà esse furono compiute per soddisfare il suo ego. Si può, dunque, affermare che D’Annunzio avrebbe dovuto imparare una virtù distintiva presente in grandi personalità della letteratura classica, quali Ulisse ed Enea; ovvero l’amore declinato nella famiglia e nella terra d’origine. Non stupisce il fatto che la figura guerriera del Vate viene, in questi tempi in cui è, finalmente, presente un’importante impronta pacifista, denigrata a causa delle conseguenze che essa ha portato; infatti, Gabriele D’Annunzio ha indubbiamente avuto un gran peso nell’entrata in guerra dell’Italia e nell’avvento del fascismo. Ciò ha enormemente influito sull’eredità dello scrittore rendendolo una personalità molto complessa e contraddittoria. Bibliografia Gabriele D’Annunzio, “Le Vergini delle Rocce” Gabriele D’Annunzio, “Discorso di Quarto” John Milton, “Paradiso Perduto”, traduzione di R. Senesi Friedrich Nietzsche, “Così parlò Zarathustra” Ugo Ojetti, Volantino bellico del Volo su Vienna Omero, “Iliade”, traduzione di S. Quasimodo Omero, “Iliade” traduzione di G. Paduano Publio Virgilio Marone, “Eneide”, traduzione di M. Ramous 12