Applicazione dei processi di multitasking all`ambito didattico
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Applicazione dei processi di multitasking all`ambito didattico
Applicazioni dei processi di multitasking all’ambito didattico Maria Luisa Iavarone ([email protected]) Dipartimento di Studi delle Istituzioni e dei Sistemi Territoriali Università degli studi “Parthenope” Napoli, Via Medina, 40 Jane Valletta ([email protected]) Dipartimento di Scienze Relazionali Napoli, Via Porta di Massa, 1 Ciro Vitiello ([email protected]) Università degli studi “Parthenope” Napoli, Via Medina, 40 Teresa Iavarone ([email protected]) Facoltà di Medicina Seconda Università degli Studi di Napoli Napoli, Via S. Maria di Costantinopoli Sommario L’articolo analizza le procedure di multitasking a ridosso della letteratura sulla working memory e sul dual-task. Con il presente contributo si sostiene l’utilità dell’indagine sulle procedure di multitasking come strategia metodologica per l’ideazione, la progettazione e la realizzazione di ambienti di apprendimento qualitativamente efficaci nell’ambito delle scienze formative e didattiche. Summary The article analyzes the procedures of multitasking in reference to the literature on the working memory and the dual-task.With the present contribution the usefullness of surveying is supported on the procedures of multitasking like methodological strategy for the idealization, planning and realization of learning environment qualitatively effective within formative and didactic sciences. Cos’è il multitasking ed ipotesi applicativa Il termine multitasking coniato in ambito informatico per indicare una funzione tipica di alcuni elaboratori programmati per svolgere operazioni di calcolo parallelo (parallel computing) (van der Steen, 2002) [Fig.1] è stato recentemente utilizzato nelle scienze cognitive per descrivere la capacità della mente di eseguire compiti multipli, rispondendo a stimolazioni e ad input diversi contemporaneamente, come recentemente verificato da Watter, Logan (2006). Abstract Lo studio, a partire dall’analisi della letteratura di settore, focalizza l’attenzione sull’impiego delle procedure di multitasking nell’ambito delle scienze formative; in particolare, offre utili indicazioni per la costruzione e modulazione dello stimolo apprenditivo in sede didattica. Un primo livello di attenzione riguarda, infatti, la natura ovvero la tipologia dell’input quale fattore implicato nella performance individuale. Risulta pertanto importante, in sede didattica, avvalersi di stimoli diversi o affini, continui o discontinui, compatibili o incompatibili con lo stato del soggetto in quel determinato momento. Un secondo livello di attenzione riguarda la dimensione metacognitiva per quanto concerne il potenziamento nei soggetti di tutte quelle abilità legate alla capacità di scelta, di valutazione, di decisione e di controllo nella selezione degli input. In sintesi, lo studio di tali procedure rivela la sua efficacia in sede di didattica sperimentale nella predisposizione di ambienti didatticamente strutturati per consentire la gestione autonoma del processo di conoscenza e il controllo delle strategie apprenditive. Fig.1 Esempio di architettura di calcolatore parallelo Tale funzione è una delle tante procedure che attiene alla gestione dei processi di apprendimento che ciascun individuo attua nell’interazione adattiva ed esplorativa con l’ambiente e costituisce una delle tante modalità elaborative peculiari del soggetto, alternativa al modello operativo sequenziale tradizionale. Il presente articolo intende dimostrare come lo studio delle procedure di multitasking, soprattutto a partire da alcuni processi implicati nella “working memory” e nell’ “attenzione” 1 (Konig, Buhner, & Murling, 2005) possa contribuire, in maniera assai significativa, a migliorare la qualità della didattica. L’ipotesi di tale studio è che il multitasking possa fornire significative implicazioni sul piano metodologicodidattico per la progettazione di ambienti di formazione, che sviluppino tutte quelle abilità legate all’interazione adattiva con stimoli multipli, multivariati e multimodulati (Iavarone & Santoianni, 2003). Come funziona la mente nei processi di multitasking Gli attuali contributi della letteratura sull’analisi delle procedure di multitasking pongono in evidenza come lo svolgimento contemporaneo di compiti multipli sia reso possibile dal “sistema di supervisione attenzionale” (Rubinstein, Meyer, & Evans, 2001), e dallo slave mechanisms (Norman & Shallice, 1986; Baddeley, 1986, 2000). Evidenze a supporto di tale interpretazione sono rese da una serie di studi sul dual-task, nel frame teorico della Working Memory, (Cocchini, Logie, Della Sala et al, 2002) che sostengono come due attività automatiche possono essere svolte contemporaneamente senza che ci sia eccessiva interferenza; quando, però, le attività entrano in conflitto è necessario decidere a quale delle due dare priorità. Il mantenimento di informazioni visuo-spaziali è interrotto da una simultanea operazione visuo-spaziale piuttosto che da operazioni (tasks) verbali secondarie (Cocchini, Logie, Della Sala et al, 2002). Questa decisione è presa sulla base di un catalogo delle decisioni che definisce le regole relative all'importanza delle varie attività. Evidenze scientifiche dimostrano come il nostro cervello sia naturalmente predisposto al comportamento multitasking (Koechlin, Basso, Pietrini et al, 1999) riconducibile ad un’area della corteccia pre-frontale anteriore. I risultati di tali studi indicano come la corteccia pre-frontale anteriore medi l’abilità di deviare temporaneamente da un’operazione principale per esplorare operazioni (tasks) alternative, prima di ritornare all’operazione principale. Ogni parte della corteccia possiede, d’altra parte, neuroni coinvolti in operazioni multiple secondo un principio fondamentale dell’organizzazione della mente (Yu, Farley, Jin et al, 2005). La working memory, nel modello proposto da Baddeley e Hitch (1974), costituisce il sistema mnemonico coinvolto durante l’esecuzione di differenti compiti cognitivi (Baddeley, 1986). Questi studiosi, analizzando i risultati sperimentali del paradigma del dual-task, hanno concluso che la performance di due compiti eseguiti simultaneamente, richiedono l’attivazione di due distinti domini percettivi (compiti visivi e verbali) e che tale performance risulta efficiente come quella dei compiti eseguiti singolarmente. Quando un soggetto prova ad effettuare simultaneamente due mansioni che usano lo stesso dominio percettivo, le prestazioni sono meno efficienti che quando effettua le mansioni individualmente. Ulteriori esempi a sostegno di tale principio riguardano i campi percettivi visivo ed uditivo. Secondo i classici modelli dell’attenzione, queste sfere sensoriali sono, infatti, limitati da una comune sorgente di attenzione; questo significa che la prestazione (task) visiva dovrebbe essere influenzata da una contemporanea prestazione uditiva, e viceversa. I risultati di un recente studio indicano, invece, che almeno per le mansioni (task) a basso livello, quali la discriminazione della distanza, ogni modalità sensoriale dipende dal controllo dell’attenzione, piuttosto che essere limitata dall’attenzione sopramodale (Alais, Morrone, & Burr, 2006). Si deduce, quindi, che sia l’udito che l’ascolto hanno una sorgente di attenzione indipendente. Gli autori hanno, in definitiva, dimostrato che con una adeguata pratica di dual-task, i soggetti esaminati (studenti) possono eseguire due operazioni cognitive simultanee in working memory (Oberauer & Kliegl, 2004). In altre parole, l’affinità dei compiti farebbe scadere la prestazione mentre mansioni tipologicamente diverse, perché coinvolgenti domini e/o emisferi cerebrali differenti, non desterebbero particolari problemi nell’esecuzione simultanea. Appare evidente, quindi, come il fattore “allenamento”, come familiarità o anche come abitudine al compito, insieme al fattore "complessità" costituiscono due variabili strategiche per l’efficienza e l’efficacia della prestazione multipla: la difficoltà del compito rappresenta, infatti, il primo ostacolo oggettivo in grado di “rallentare” in maniera significativa il processo esecutivo da parte del soggetto, la familiarità costituisce, poi, un aspetto altrettanto strategico in quanto l’abitudine e l’allenamento a svolgere un determinato compito svolgono un’azione positiva sulla performance1, quest’ultima ha a sua volta ha un significativo riflesso sullo stesso fattore complessità. In sintesi, l’efficienza nelle procedure di multitasking, dipenderebbe essenzialmente a) dal basso livello di interferenza strutturale e b) dall’allenamento specifico a quel determinato compito multiplo. Applicazioni del multitasking alla didattica ed efficacia del modello Una prima possibile applicazione di tipo cognitivo, degli studi sul multitasking all’ambito didattico, consiste proprio nella riflessione sulla natura (qualità) dello stimolo come d’altra parte avvalorato dai già citati studi sulle procedure di dual-task. Si è visto, infatti, come nel processo esecutivo di controllo (Meyer, 1997, 1999), sia appunto la qualità dello stimolo a far scattare il “sistema di sorveglianza attenzionale” che è poi responsabile dell’attribuzione di priorità ad un input sull’altro. Alcuni autori ritengono, ad esempio, che le procedure di multitasking siano migliorate dai videogiochi che avrebbero positivi effetti sulla mente potenziando la memoria, velocizzando l'attività logica e prevenendo il deterioramento cognitivo in età senile (Bialystok, 2006). La sperimentazione di tale studio prevedeva che ad un gruppo di giocatori-esperti venisse chiesto di leggere la parola “azzurro” scritta con inchiostro verde: i nongiocatori sceglievano “l’impulso dominante” leggendo “Azzurro!” benché il colore fosse verde; i giocatori-esperti, invece, difficilmente venivano fuorviati. Se è vero, quindi, che è la diversa natura dello stimolo ed il livello di allenamento al compito a fare la differenza, modificando sostanzialmente la performance individuale, ne consegue la necessità di avvalersi, in sede didattica, di stimoli diversi o affini, continui o discontinui, compatibili o incompatibili con lo stato del soggetto in quel determinato momento (Iavarone & Santoianni, 2003). Gli elementi di diversitàaffinità e di continuità-discontinuità, relativi ai compiti richiesti, interferiscono, infatti, non solo nella dimensione cognitiva del processo ma anche in quella emozionale, non tralasciando, ovviamente, anche le variabili di carattere 1 La prova che l’allenamento al compito costituisce fattore determinante per la prestazione multipla è stata ribadita da uno studio tedesco che ha dimostrato che imparare per tre mesi giochi di destrezza produce un aumento dell’attività di due aree cerebrali implicate nell’attività visiva e in quella motoria; tuttavia, quando i neogiocolieri smettono di allenarsi, queste regioni regrediscono alle dimensioni iniziali. 2 sociale e culturale. A tale proposito, infatti, gli studi sul conflitto socio-cognitivo costituiscono un’ulteriore sponda di riflessione sulla modulazione dello stimolo di cui fare uso in didattica. Un secondo aspetto in cui verificare l’utilità del modello in sede formativa e didattica riguarda l’ambito metacognitivo, ovvero utilizzando il multitasking quale occasione per potenziare nei soggetti tutte quelle abilità legate alla capacità di scelta, di valutazione, di decisione e di controllo nella selezione degli input. In altre parole, può risultare estremamente significativo consentire al soggetto la supervisione delle proprie scelte attraverso una sorta di learning governance (Iavarone, 2006) che consenta a ciascun soggetto di adottare, nella selezione delle informazioni, procedure cognitive ritenute, progressivamente, sempre più rilevanti ed efficaci ai fini dell’apprendimento, laddove non sia tanto importante effettuare “scelte corrette” quanto, piuttosto, attribuire un significato alle singole decisioni e trarre da esse conseguenze interpretative ed operative (Cunti, Lo Presti, & Sabatano, 2005). Tale approccio deve istruire anche la predisposizione degli ambienti didattici da organizzare in maniera fortemente strutturata per consentire la gestione autonoma del processo di conoscenza all’interno dei quali sperimentare procedure didattiche orientate al controllo delle strategie apprenditive. Così, il materiale didattico deve essere estremamente strutturato e, anche quando consta di un semplice testo, va organizzato, ad esempio, per macro contents in modo tale che al soggetto che apprende non sfugga mai il focal point del suo processo, sia in termini di contenuti sia di procedure. D’altra parte, recenti contributi didattici hanno segnalato come l’efficacia dell’azione formativa risieda nella capacità dei soggetti di riflettere sulla complessità dei propri processi di apprendimento e nella possibilità di dotare di senso il processo di costruzione della conoscenza come processo attivo e consapevolmente orientato. Ringraziamenti Si ringrazia la prof.ssa Tina Iachini del Dipartimento di Psicologia della Seconda Università degli Studi di Napoli per la cortese consulenza offerta. Bibliografia Alais, D., Morrone, C., & Burr, D. (2006). Separate attentional resources for vision and audition. Proceedings Biological sciences, 7, 1339-45. Baddeley, A. D., & Hitch, G. (1974). Working memory. In G. H. Bower (Ed.), The psychology of learning and motivation (pp. 47-90). New York: Academic Press. Baddeley, A. D. (1986). Working memory. New York: Oxford University Press. Baddeley, A.D. (2000). The episodic buffer: a new component of working memory? In Trends in Cognitive Sciences, 4, 417-423. Bialystok, E. (2006). Effect of bilingualism and computer video game experience on the Simon task. Canadian journal of experimental psychology, 60, 68-79. Cocchini, G., Logie, H., Della Sala, S., MacPherson, S.E., & Baddeley, A.D. (2002). 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