A. FINETTI, i metalli e le monete, p. 193
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A. FINETTI, i metalli e le monete, p. 193
I METALLI E LE MONETE Come tutti sappiamo per moneta si intende, o si intendeva, una quantità pre pesata di metallo che il conio, o sigillo dell'autorità emittente garantiva nel peso e nel titolo. Il suo embrione è già presente nelle società più antiche quando l'uso del metallo giunge ad un alto grado di diffusione e grazie alla sua indeperibilità e riciclabilità mediante la fusione, poteva essere impiegato con successo anche come serbatoio di valore. In età omerica veniva scambiato già lavorato al pari di altri beni mobili, benché pani di bronzo a forma di pelli di bue di peso uniforme e piccoli lingotti d'oro fossero già presenti in età minoica (1); il che fa supporre un flusso regolare dell'approvvigionamento così da attuare un certo equilibrio tra reperibilità e consumo tale da poter attribuire un valore sufficientemente stabile al metallo grezzo. Ciò può avvenire solo in una o più società organizzate che posseggono, o sono in grado di raggiungere regolarmente, le fonti di produzione delle materie prime. Quando poi le grandi aree di traffico a causa di guerre o di invasioni si frantumano o vi si instaurano direttrici diverse, le microaree che ne derivano subiscono uno sconvolgimento anche economico: si rarefanno i generi di importazione e cala la produzione di quelli prima esportati fino al recupero di un ambito di scambi più visto ed equilibrato. Questo è accaduto più volte nel bacino del Mediterraneo e, visto che i giacimenti di metallo non sono né inesauribili né distribuiti in maniera uniforme, il suo valore deve aver subito più volte delle variazioni impedendogli di costituire un bene di scambio sicuro. Una stabilità in questo senso deve essersi verificata solo intorno all'VIII - VII sec. a.C. Le rotte c affacciano sul Mediterraneo entità politicoeconomiche forti e sia Greci che Fenici stabiliscono verso occidente empori commerciali che diventano, in breve, vere e proprie colonie. A quel tempo appaiono già definite due aree di preferenza, una egeo orientale più evoluta che predilige negli scambi i metalli preziosi come l'oro, I'argento e l'elettro; un'altra, occidentale e periferica, il bronzo. Agli inizi l'argento era valutato più dell'oro dato che quest'ultimo era più facilmente reperibile in natura, ma quando si fu in grado di estrarlo dalla galena, data la relativa abbondanza del minerale, il rapporto di valore mutò a vantaggio dell'oro tanto che in età classica si era stabilizzato sul 10 a 1 e tale si mantenne tranne qualche debole variazione sino alla fine del medioevo. I metalli preziosi vennero dunque impiegati negli scambi come moneta naturale di alto pregio e da qui alla creazione di piccoli pezzi pre pesati come espediente pratico per il commercio il passo è breve; la moneta vera e propria nasce quando su questi pezzi viene impresso il segno di chi li preparava a garanzia del peso e del titolo. Dapprima furono, probabilmente, gli stessi mercanti; in seguito il controllo, e quindi il sigillo, divennero una prerogativa dell'autorità collettiva. In questa fase si evolve l'iniziale concetto di metallo grezzo riciclabile in mezzo di scambio da lasciare inalterato, sempre mutuabile con altri beni perché garantito. Il più antico ripostiglio a noi noto è quello di Efeso composto da 93 monete di elettro e sette globetti d'argento databile tra il 640 e il 630 a.C. (2). Osserviamo due degli esemplari più evoluti (Fig. 1): si tratta chiaramente d; gocce informi di metallo che presentano un sigillo ben evidente, protome di leone il primo e protome di leone e di toro ©1990 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale affrontati il secondo. Il quadrato incuso al rovescio è un espediente tecnico: il conio era inciso su di una piccola incudine ed il massello vi era battuto sopra mediante uno o più punzoni che penetrando nel metallo ne agevolavano la distribuzione nella forma sottostante. L'importanza che in breve tempo la moneta viene ad assumere negli scambi ne giustificherà l'evoluzione formale. La Lidia, culla della moneta, era un paese ricco di giacimenti di elettro: le emissioni più antiche dunque scaturiscono dall'abbondanza di metallo reperibile sul posto. Anche Atene dà il via all'emissione dei suoi Tetradrammi grazie alle sue ricchissime miniere d'argento di Laurion; solo in seguito e con il sorgere di nuove zecche spesso lontane dai luoghi di estrazione del metallo l'approvvigionamento dipenderà dalla vivacità e dalla regolarità dei commerci. Nelle aree periferiche e soprattutto in Italia la moneta naturale per eccellenza è il bronzo. Un siffatto impiego testimonia un criterio di scelta del tutto diverso da quello adottato nel vicino oriente. Oto e argento tra il VII e il IV secolo a.C. non mancavano certo in Italia e se ne conosceva anche l'alto valore, tuttavia le popolazioni della penisola, Etruschi compresi, preferirono a lungo quel genere altamente utilitario poiché già di per sé costituiva un semilavorato, una lega pronta per qualsiasi altro impiego. Esso era scambiato semplicemente a peso; veniva fuso in grossi pani che erano spezzati a colpi di martello. I più antichi esemplari a noi noti di “ Aes Rude ” (è questo il nome tramandatoci da Plinio) sono informi, di notevoli dimensioni e dovevano essere impiegati interi per scambi di una certa entità, in seguito dovette accentuarsi la funzione più prettamente monetale poiché se ne rinvengono di più piccoli con pesi che vanno da 4-5 a 40 grammi. A fig. 2 vediamo un pane di bronzo dal peso di 1470 grammi che mantiene la forma del croginolo in cui è stato fuso; il secondo (Fig. 3) pesa invece 2354 grammi ed è ritenuto dal Sydenham frutto di una "emissione", se così si può dire, mercantile di provenienza orientale del VI-V secolo a.C. (3). Tale deduzione, basata sullo stile della figurazione, nasce dall'ipotesi, in verità bene accettata dai più, secondo la quale gran parte del bronzo sia stato importato in Italia dal Mediterraneo orientale. Le nostre regioni infatti non hanno mai posseduto giacimenti di rame e di cassiterite tali da giustificare una presenza così massiccia di bronzo documentata sia dall'archeologia sia dalla scelta di moneta naturale perché, non dimentichiamolo, un bene di scambio ordinario diventa tale solo quando la sua reperibilità è sufficiente ad assicurargli un valore stabile. Il flusso, almeno il più importante, di questo metallo, doveva dunque essere assicurato dall'Oriente. L'etimologia stessa degli antichi vocaboli ci viene in aiuto: “ cuprum ”, il rame, accenna indubbiamente all'isola di Cipro dove sappiamo esservi stati grandi giacimenti; “ aes ”, bronzo, è considerata una voce mediterranea mentre “ stagnum ” sembra invece doversi ricollegare all'area linguistica della Gallia, mediatrice di un prodotto la cui fonte principale era situata nell'arcipelago britannico: le isole Cassiteriti (4). La fase di collegamento tra il bronzo come moneta naturale e moneta di bronzo vera e propria si ha con l'“ Aes Signatum x ” (i cosiddetti Quadrilateri), quindi con le emissioni “ librali ”, tutte ottenute con la tecnica della fusione in stampi. Si tratta di pezzi dalle dimensioni che li rendevano tutt'altro che maneggevoli, ma la loro grandezza è da mettere in relazione sia al peso base (la libbra), sia al valore relativamente basso del metallo. Nella lega di questi tipi, a differenza dell'“ Aes Rude ” e dell'“ Aes Signatum ” composti essenzialmente di rame (93%) e stagno (6%), si trova un tenore di piombo che raggiunge il 25% (5). Un siffatto composto, realizzato probabilmente per rendere il metallo fuso più facilmente colabile nelle forme, escludeva (o almeno limitava di molto) la ©1990 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale possibilità di un reimpiego pratico a causa della sua morbidezza. Anche i Greci nelle loro colonie dell'Italia meridionale avevano emesso moneta di bronzo dapprima, probabilmente, per facilitare gli scambi con le popolazioni locali poi, grazie al capillarizzarsi dell'economia monetaria, per fornire il pubblico dei frazionali più minuti. L'emissione delle serie fuse del mondo romano-italico dovette costituire una grande riconversione di moneta naturale in moneta vera e propria, intrapresa in un'area economica di rispettabili dimensioni e resa più efficace dall'energico espansionismo della potenza romana nel III secolo a.C. La supremazia del bronzo in Italia, concorrente dell'argento orientale, non durò tuttavia a lungo. Il contatto con il sistema commerciale greco ne determinò il declino nell'arco di pochi decenni. Le città etrusche della costa si erano già inserite nel sistema argenteo con coniazioni sporadiche sostenute probabilmente dai giacimenti dei loro territori ma fu Roma che, dopo aver coniato tipi ricalcati sulla metrologia magnogreca, dette il via ad emissioni regolari ed abbondanti di una moneta del tutto originale in quanto multiplo dell'Asse di bronzo: il Denario. Esistono tuttora notevoli discordanze sulla datazione dei primi esemplari. Secondo Plinio Roma conia la sua prima moneta d'argento nell'anno 485 a.U.c., ossia nel 269 a.C., sotto il consolato di Q. Ogulio e C. Fabio, cinque anni prima della I guerra punica. Livio ricollega l'avvenimento alla deduzione delle colonie di Ariminium e di Beneventum; vale a dire nel 268 a.C., il che porta ad un solo anno di differenza dalla prima fonte. Il maggiore contatto operato in tal modo con le città greche dell'Italia meridionale potrebbe spiegare il bisogno di possedere un numerario d'argento che, come si è detto, viene dapprima modellato sul sistema in vigore in quell'area. Viene coniata anche una serie aurea ma in quantità ridotta che non deve aver giocato un ruolo di rilievo in questa fase. La teoria ribassistica di Mattingly e Robinson poneva invece le prime emissioni del Denario, interpretando le date indicate dalle fonti come riferibili ai soli Stateri romano-campani, addirittura al 187 a.C., teoria che è stata poi scartata in seguito al recente rinvenimento del ripostiglio di Morgantina dove, in un contesto stratigrafico databile intorno al 211 a.C. o comunque verso la fine del III sec. a.C., sono stati rinvenuti insieme ad alcuni tipi sicelioti, denari romani delle prime emissioni con i loro frazionali (6). In seguito a questo il Thomsen ed il Crowford hanno suggerito come ipotesi di compromesso il periodo che va dal 217 al 211 a.C. (7). Per questa prima fase non abbiamo notizie sulle fonti di approvvigionamento dell'argento a sostegno di emissioni che tutto fa pensare essere state notevoli, tuttavia è ipotizzabile, oltre allo sfruttamento delle miniere sarde, intrapreso subito dopo la prima Guerra Punica, l'impiego del metallo derivante dai bottini e dai tributi provenienti da aree a sistema argenteo vale a dire la Magna Grecia peninsulare le cui città tra la seconda metà del IV e la prima metà del III sec. a.C. producevano una quantità ingente di Stateri con il metallo proveniente, con ogni evidenza, dal commercio con la madrepatria. Una testimonianza sulla natura dei tributi che i Romani esigevano dai vinti ci viene da Polibio quando riferisce le condizioni che Scipione impose ai Cartaginesi. Questi chiese 10.000 talenti d'argento in 50 rate annuali; il peso del talento romano corrispondeva a kg. 27,300 quindi la richiesta era di complessive 273 tonnellate di metallo ripartite in 5460 chilogrammi l'anno. Da questi ultimi si potevano ricavare ben 1.400.000 denari (il peso del denaro era di g. 3,90); una cifra da capogiro per le possibilità di allora se pensiamo che le miniere di Cartagena, gestite da una società di Equites romani resero dal 179 a.C. al 140 un milione di denari l'anno. Successivamente le stesse miniere arrivarono a renderne ben nove milioni (8) e con una produzione di questo tipo si può ben dire che Roma era più che garantita per le sue emissioni di moneta d'argento ©1990 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale che in età repubblicana furono enormi ma che sarebbe stato pressoché impossibile attuare senza il controllo delle miniere dell'Europa occidentale. Roma fu a lungo poco propensa alla creazione di un multiplo in oro del suo Denaro. Le emissioni in questo metallo divennero regolari con Cesare e si intensificarono durante le guerre che seguirono la sua morte. Come in precedenti occasioni esse paiono legate più al pagamento delle truppe che ad esigenze di carattere puramente commerciale. Considerando che i soldati in guerra erano in continuo movimento e che tenevano con sè quanto via via riscuotevano, era molto più agevole trasportare poche monete d'oro che molte d'argento. 1000 denari nella seconda metà del I secolo avevano lo stesso valore di 40 aurei (1 = 25). Un grande ripostiglio di aurei occultato verso il 38 a.C., cioè in piena guerra civile, e rinvenuto nel XVIII secolo a Brescello, ci dà un'idea dei movimenti di capitali che situazioni di quel genere provocano. Recenti studi condotti sulle fonti relative alla scoperta del tesoro ne hanno indicato una consistenza stimabile intorno alle 80.000 monete per un peso complessivo di circa sei quintali (9). I1 “ Denarius Aurcus x ”, tuttavia, comincia ad esercitare un ruolo importante nella circolazione in età imperiale ed è rappresentativo delle enormi ricchezze accumulate dalle classi equestri e patrizie. L'Asse di bronzo, poco dopo l'introduzione dell'argento, diventa una moneta sussidiaria e, tranne qualche breve emissione nel periodo cesariano, con l'Impero cambia di metallo e tipo. Per l'Asse viene adottato il rame, per il Dupondio ed il Sesterzio l'oricalco, lega simile al nostro ottone, che ai tempi di Plinio proveniva dalla Spagna (10). Per essere monete sussidiarie il loro costo di produzione doveva risultare rilevante perché con gli Antonini si tornò al semplice bronzo per tutti e tre i nominali ed in seguito, quando nel III secolo la crisi economica investì l'Impero, i divisionali di bronzo scompaiono in concomitanza con il degrado, praticamente totale, del contenuto argenteo del Denario. Nel grafico a fig. 4 (11) possiamo seguire lo scadimento del contenuto argenteo del Denario e dell'Antoniano (doppio Denario) da Augusto a Diocleziano. Esso comincia con Claudio, si accentua nei periodi difficili caratterizzati dai regni di GalLa, Ottone e Vitellio, riprende leggermente con Vespasiano e risale sopra i 900 millesimi con Tito. Il trend è accettabile fino all'età traianea quando scende fino agli 840 millesimi e cala molto lentamente fino agli Antonini. Con i Severi l'abbassamento del titolo si fa pesante e scende al di sotto del 50%; si attenua ancora per un po' fino a precipitare con Valeriano e Gallieno all'l%. C'è una leggera ripresa (non visibile nel grafico) con la riforma voluta da Aureliano, che peraltro dovette domare una sanguinosa rivolta dei monetieri, ed il ritorno alla situazione d'origine con la riforma di Diocleziano del 294. In tutto questo lasso di tempo le monete, nonostante il modestissimo intrinseco, mantennero un aspetto argenteo grazie ad un processo di imbiancatura prima e di argentatura vera e propria poi ottenute con tecniche che prevedevano una profonda conoscenza della metallurgica e delle quali ci parlerà fra poco il Prof. Russo. Una conseguenza di questo scadimento della moneta argentea fu, comprensibilmente, il continuo mutamento di rapporto con la moneta d'oro che viene coniata in quantità sempre minore e mentre è possibile osservare tra gli aurei di I e II secolo giunti fino a noi un gran numero di esemplari di conservazione abbastanza modesta perché consunti dalla circolazione, i rari esemplari di pieno III secolo sono, tranne rare eccezioni, molto ben conservati; indizio di una circolazione assai scarsa quindi del loro impiego prevalente come bene rifugio. L'oro torna a far parte della circolazione effettiva dopo la riforma di Costantino del ©1990 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 312 che fa del “ Solidus Aurens ” il pilastro valutario dell'Impero e ciò nonostante la grande crisi che investe tutto il mondo mediterraneo. Tra il IV e il V secolo la produzione mineraria è in crisi e gran parte dell'oro è esportato verso l'Oriente per gli scambi con beni di lusso, tuttavia questa moneta non subisce scadimenti di intrinseco e tutti gli imperatori d'Oriente ne coniano quantità rispettabili grazie ai gettiti delle imposte che fornivano più oro che bronzo. Infatti oltre all'“ Aurum Coronarium ” e all'“ Aureum Oblaticium ” erano pagati in oro i proventi dei capitali artigianali e commerciali, inoltre le prestazioni obbligatorie allo Stato in beni e servizi erano spesso, e talvolta forzosamente, commutati in versamenti in metallo prezioso (12). La forza delle emissioni auree in questo periodo risiede dunque in massima parte nel riciclaggio delle riserve accumulate nei secoli precedenti. Dal V secolo viene via via a mancare la moneta d'argento mentre quella di bronzo si riduce a dimensioni piccolissime dato che ora è su di essa che gravano i processi inflattivi ed oltretutto continua a rarefarsi quale segno ulteriore di una economia in disfacimento in cui il commercio al minuto lascia sempre più il posto ad un regime di autosufficienza. Con la riforma di Anastasio (498-518) si torna alla coniazione dei grandi moduli, ma questa volta di rame, probabilmente per la presenza di miniere nei territori orientali dell'Impero. In Italia con gli Ostrogoti riprendono le emissioni di moneta sussidiaria secondo la nuova metrologia di Bisanzio, ma di peso e modulo molto inferiore e per la stragrande maggioranza realizzata non in rame ma in bronzo di cattiva qualità presentando un metallo poroso e male amalgamato, caratteristiche queste che si accentuano con le emissioni bizantine dopo la riconquista di Giustiniano. Potrebbe trattarsi in gran parte del prodotto della liquefazione delle vestigia enee del passato. Con il VII e l'VIII secolo l'Occidente vede solo, oltre allo scarso bronzo coniato nei territori ancora bizantini, rare emissioni in oro, ormai preziosissimo ed impiegato quasi unicamente negli scambi di notevole entità e come serbatoio di valore. La riforma di Carlo Magno, posta in essere alla fine dell'VIII secolo e che istituisce come unica moneta il Denaro d'argento, costituisce una implicita ammissione che l'oro disponibile in Occidente era troppo poco e quindi troppo prezioso per assicurare una monetazione accettabile in una economia di scambio che cominciava a dare segni di ripresa. L'essersi rivolti all'argento indica una certa disponibilità di questo metallo che da lungo tempo non veniva monetato, ma una tale risoluzione può aver contribuito, per ottenerlo, a spostare altrove una buona parte dell'oro ancora in Occidente. Una situazione sociale più tranquilla deve aver favorito la ricerca di nuove miniere ed incrementato lo sfruttamento delle vecchie e così, nei secoli successivi, in seguito alla vigorosa espansione dell'economia monetaria, sappiamo essere in piena attività (per parlare solo di quelle che ebbero una particolare incidenza nelle emissioni italiane) le miniere di Freisach, della Sardegna e della Toscana. Le zecche italiane del XII e XIII secolo per le loro robuste emissioni vennero alimentate, più che dal periodico riciclaggio delle vecchie specie, dal metallo fresco proveniente dallo sfruttamento dei giacimenti locali. La concentrazione in Toscana di ben sette zecche che emettevano regolarmente ed abbondantemente i massimi nominali d'argento non può non essere messa in relazione con la possibilità che queste avevano di reperire il metallo necessario. Pisa già dal 1131 sfruttava le miniere sarde e controllava quelle dell'Elba e di Massa Marittima, Siena usufruiva dei giacimenti di Montieri; Volterra dei giacimenti di Montieri e di Gerfalco (13). Con la ripresa delle coniazioni dell'oro in Occidente, avviate nel 1252 da Genova e ©1990 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Firenze, si accentua la domanda di questo metallo che perviene in Italia da località diverse grazie al volume dei traffici che si intrecciano tra il Mediterraneo, l'Oriente e l'Europa continentale per cui cercare di tracciarne le linee in questa sede anche per sommi capi richiederebbe spazi non previsti. Ci limiteremo a ricordare tra i maggiori fornitori d'oro delle nostre zecche, almeno fino alla seconda metà del XIV secolo, il Regno d'Ungheria. In età moderna l'affinarsi delle tecniche estrattive e lo sfruttamento dei giacimenti delle Americhe, che fanno aumentare sensibilmente l'offerta di argento, e l'ampliarsi degli orizzonti commerciali che portano come conseguenza una sempre maggiore domanda d'oro, cominciano ad alterare l'antico rapporto di cambio tra i due metalli. Osserviamo nei grafici riprodotti a fig. 5 (14) come a partire dal 1500 il prezzo dell'oro inizi la sua ascesa, lenta fino al 1600, poi sempre più accentuata fino al 1700 quando il rapporto di valore si stabilizza per cinquanta anni circa sull'1 = 14,9014,93. Fino al 1860 circa la crescita si mantiene all'interno di un punto per scendere a 15,20 tra il 1860 e il 1865 e risalire di nuovo fino al 19,50 nel 1880. Nel frattempo, per arginare gli inconvenienti che l'imprevista instabilità del valore dell'oro provocava nella circolazione, Belgio, Francia, Regno d'Italia, Stato Pontificio, Svizzera e Grecia avevano stipulato una lega monetaria per l'emissione dei tipi d'oro e d'argento con un rapporto di valore fissato a 15,50 (15). Pertanto, nonostante l'aumento del prezzo dell'oro negli anni successivi, il peso ed il titolo delle pezzature in quel metallo rimase stabile anche se, comprensibilmente, se ne diminuirono le emissioni con la conseguente diffusione della moneta cartacea. ANGELO FINETTI (1) A. EVANS, Minoan Weigts and mediums of currency from Crete, Mycene and Cyprus, in Corolla Numismatica. Essayes in Honour of Barclay V, Head, Londra 1906, pp. 263 ss. Per i premonetal1 cfr. E. BABELON, Le origini della moneta considerate da un punto di vista economico e storico (1987), in Biblioteca di Storia Economica, III, Milano 1915, pp. 143-349; L. BREGLIA, Numismatica Antica—Storia e metodologia, Milano 1964, pp. 173205; e F. HEINCHELHEIM, Storia economica del mondo antico, Bari 1972, con le relative ricche bibliografie. (2) L. BREGLIA, Numismatica antica, cit., pp. 198-199. (3) E. A. SYDENHAM, Aes Grave—a Study of the Cast Coinages of Rome and Central Italy, Londra 1926 p. 135, T. A 1. (4) G. DEVOTO, Avviamento alla etimologia Italiana—Dizionario etimologico, pp. 55, 347 e 410. (5) E. A. SYDENHAM, Aes Grave, Cit., p. 1l C J. MARECHAE, Europe, Metaux et alliages, in Dictionnaire Archeologique des Tecniques, II, Parigi 1964, P. 671. (ó) T. V. BUTTREY, The Morganhna excavations and the date of the Roman denarius, in Atti del Conv. Inter. di Num., II; ROma 1961, PP. 261-267. (7) M. H. CRAWFORD, La moneta in Grecia e a Roma, Bari 1982, P. 86. (8) R. J. FORBES, Studies in Ancient Technology, VII, Leida 1963, P. 151. (9) M. CALZOLARI, Il tesoro di Aurei romani scoperto nel territorio di Brescello “ R.I.N. ”, LXXXIX (1987), PP. 43-68. ©1990 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale (10) Cfr. E. R. CALEY, Orichalcum and Related Ancient Alloys, New York 1964. (11) Il grafico è stato tratto da: G. C. BOON, La necessità di spiccioli determinò una diffusa falsificazione di monete romane trasformandola in un lucroso "seroizio sociale", “ Gazzettino Numismatico ”, 1, 1976, P. 61. (12) Cfr. R. S. LOPEZ, Moneta e monetieri nell'ltalia barbarica, in Moneta e Cambi nell'Alto Medioevo, (21-27 Aprile 1960); Spoleto 1961, pp. 57-88. (13) D. HERL1HY, Pisan Coinage and the Monetary History of Tuscany, in Le Zecche minori toscane fino alXIVsecolo, Atti del III Convegno Internazionale di Studi, (1619 settembre 1967), Pistoia 1974, p. 188. (14) I grafici sono basati sui dati desunti dagli Atti delle Conferenze monetarie di Parigi e presentati da E. MARTINORI, La Moneta—Vocabolario Generale, Roma 1915, p. 419. (15) La Lega monetaria Latina venne istituita nella Convenzione di Parigi del 1865. ©1990 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale