Gli ultimi cacciatori mesolitici e i primi agricoltori
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Gli ultimi cacciatori mesolitici e i primi agricoltori
GLI ULTIMI GRANDI CACCIATORI MESOLITICI E LE PRIME COMUNITA’ DI AGRICOLTORI ALLEVATORI NEL TERRITORIO BELLUNESE di Piergiorgio Cesco Frare e Carlo Mondini (*) 57 (*) - Associazione degli Amici del Museo di Belluno L’intraprendenza e la versatilità dell’uomo preistorico traspaiono evidenti in età mesolitica, rimarcate da quel particolare fenomeno di sussistenza legato alla pratica della caccia stagionale, la quale indusse gruppi di cacciatori, a raggiungere gli ambienti di alta montagna in un processo che ha investito gran parte dell’area dolomitica bellunese. I cacciatori mesolitici, in un arco temporale compreso fra i 9800 e i 6500 anni fa, indirizzarono in particolare le loro battute di caccia ai grandi erbivori, in quella fascia dolomitica racchiusa fra i 1800 e i 2300 metri di quota, fascia al limite fra bosco e prateria, che permetteva di sfruttare sia gli ambienti aperti di prateria dove vivevano stambecchi e camosci, sia quelli di bosco che ospitavano il cervo e il capriolo. Ricerche di superficie condotte a partire dagli anni 80 dalla sezione archeologica degli Amici del Museo di Belluno, hanno portato alla scoperta di un notevole numero di siti mesolitici di alta montagna, dislocati per lo più a ridosso di forcelle o passi alpini, in posizione di controllo sulle valli sottostanti, in aree umide o presso piccoli bacini lacustri. Lo straordinario ritrovamento poi del sito e della sepoltura di Mondeval, ad opera degli Amici del Museo di Selva di Cadore e del Dipartimento di Geologia dell’Università di Ferrara, ha fornito un punto di riferimento e di comparazione essenziale sul comportamento e l’operato dell’uomo di questo periodo, così da rendere più comprensibile anche la lettura dei meno scientifici, anche se altrettanto importanti ritrovamenti di superficie. Questi poi, in conseguenza della varia ed estesa distribuzione areale che ricoprono, dispongono a esaltare le ampie conoscenze geografiche e morfologiche del territorio bellunese possedute dalle bande dei cacciatori mesolitici, le quali si muovevano in modo sistematico, per effettuare battute di caccia, su una vasta zona montuosa e selvaggia, Fig. 1 - La Spina del Quaternà (Comelico). In questo ambiente costellato di laghetti e nei pressi di una forcella naturale a 2125 metri di quota, si attestarono gruppi di cacciatori mesolitici per battute di caccia stagionali ai grandi erbivori (cervi, stambecchi, camosci, caprioli). 58 che sconfinava dalle Prealpi fino alla più interna fascia dolomitica, con un sistema di nomadismo stagionale che li portò inoltre a gettare le basi, già in tempi preistorici di una discreta rete di piste e percorsi e a creare nello stesso tempo, opportunità di comunicazione, diffusione culturale e scambi di materiali fra genti di aree diverse. Oltre ai già noti siti scoperti negli anni passati, un’attenta attività di prospezione effettuata dal nostro sodalizio, ha consentito, in questo ultimo anno, di arricchire sempre di più la mappa dei ritrovamenti delle antiche frequentazione umane mesolitiche nella nostra provincia. L’aggiornamento interessa soprattutto quel settore nord-orientale del bellunese, finora poco indagato e privo di testimonianze archeologiche preistoriche come il comparto montano del Cadore centrale e del Comelico. Una prima scoperta sui monti della valle di Visdende ha portato al recupero (M. Catello, P. Cesco Frare, A. Villabruna) di alcuni manufatti in selce di color marrone e di tipologia mesolitica, in località Coston della Spina ( comune di San Pietro di Cadore ), a una quota di 2085 metri, presso un’area umida in condizioni di passo e in posizione alta sopra la valle di Visdende ora nereggiante di foreste, ma verosimilmente occupata da ambiente lacustre ai tempi delle frequentazioni mesolitiche. Il sito posto poco sopra al limite superiore del bosco, rappresenta in modo emblematico l’ambiente tradizionalmente sfruttato dai cacciatori mesolitici i quali potevano così diversificare le loro azioni di caccia ad animali di bosco e di prateria. La scoperta in questa nuova area geografica di tracce di frequentazioni mesolitiche, spinse i componenti della nostra associazione ad approfondire le ricerche nei dintorni le quali condussero, sempre nell’estate 2000, al ritrovamento di pochi, ma significativi manufatti litici (P. Bassanello, R.e V. Casanova, M. De Zolt, N e P. Cesco Frare, C. Mondini) sulla vicina Spina del Quaternà (comune di Comelico Superiore). La selce, materia prima per la produzione degli strumenti degli antichi cacciatori preistorici, non è reperibile in area dolomitica e veniva importata da altri luoghi, è dunque scontato che il ritrovamento di qualsiasi reperto di questo tipo, viene ad assumere una particolare valenza di carattere archeologico per noi appassionati ricercatori. L’area dei ritrovamenti, costellata da una quindicina di piccoli laghetti e pozze d’acqua è situata a una quota di 2125 m., nei pressi di una selletta che mette in comunicazione la valle del torrente Padola con un valloncello che scende sull’altro versante verso la valle del Digòn. I due siti comelicani si trovano a poca distanza dal confine austriaco e rappresentano il punto più avanzato della penetrazione mesolitica all’interno del territorio bellunese, essi sembrano collegarsi con quelli non molto distanti, rinvenuti però in area alto-atesina, nei pressi della grande torbiera della malga Nèmes, già negli anni 83-85 dal dott. R. Lunz del museo Archeologico di Bolzano. Ancora nell’estate 2000 nel Cadore centrale, presso il Pian dei Buoi (comune di Lozzo ) si rinveniva (N. e P. Cesco Frare, G. e M. De Zolt) 59 una concentrazione di manufatti di selce su una forcella posta a una quota di 1800 m., dove convergono le testate delle valli Longiarin, Poorse e Campiviéi. Nelle vicinanze della forcella attualmente attorniata da pascoli, compare una zona acquitrinosa, forse residuo di un antico piccolo bacino lacustre. L’industria litica raccolta in superficie comprende un bel nucleo in selce marrone a due piani di preparazione opposti (blocchetto di selce dal quale venivano staccate le schegge con cui produrre gli strumenti), schegge e lame in selce marrone e grigia, varietà e qualità selcifere, verosimilmente importate dalla Val Belluna, dove trovano larga diffusione. I cacciatori mesolitici, appostati sulla selletta che ha come sfondo il magnifico scenario naturale del gruppo delle Marmarole, presumibilmente avvistavano, attendevano e sorprendevano i branchi di ungulati che transitavano attraverso questo passo forzato. Fig. 2 - Immagine del passo Sief situato a 2200 metri di quota dove si sono rinvenuti alcuni manufatti litici mesolitici; sullo sfondo si intravedono le vette permanentemente innevate della Marmolada. Fig. 3 - Manufatti litici mesolitici rinvenuti con la ricerca in superficie nei pressi di passi, forcelle, aree umide, laghetti e crinali dolomitici del territorio bellunese: si notano lame, grattatoi, e le classiche armature come le piccole punte a due dorsi e i geometrici triangolari. 60 L’attività di ricerca si è poi estesa al complesso del monte Pelmo, dove già una decina di anni addietro furono da noi individuati (C. Mondini, A. Villabruna), in località i Lac, 1990 m. slm., numerosi manufatti litici quali: armature, rappresentate da elementi geometrici triangolari, grattatoi, lame e lamelle e nuclei che ben si inseriscono tipologicamente nel mesolitico antico (Sauveterriano, 9800-7800 anni dal presente). A circa due chilometri di distanza da questo sito, in un’ampia sella prativa posta a 1950 metri di quota, nei pressi della malga Rutorto, in ambiente di tipo umido con depressioni e antiche pozze ora intorbate, si raccoglievano in superficie (N. e P. Cesco Frare) altri manufatti in selce che si correlano con quelli già scoperti sul ripiano dei Lac. Il ritrovamento offre ulteriori spunti che vanno a delineare in modo sempre più evidente il quadro della dinamicità di questi cacciatori i quali ponevano i loro accampamenti stagionali alle falde dei grandi gruppi delle Marmarole, del Pelmo e della Civetta, utilizzandoli come base di appoggio da cui partire per le battute di caccia nei dintorni e ad alta quota. E proprio nel gruppo della Civetta, nell’agordino, si segnalano altri due nuovi siti, il primo situato non distante dal rifugio Vazzoler, nel pianoro prativo di Col del Camp a 1840 m. di quota, ha restituito un numero estremamente esiguo di reperti, mentre ben più importante si configura quello scoperto (N. P. Cesco Frare) nel settore sud-occidentale della Civetta a Pian della Lòra (comune di Alleghe), dove a quota 1930 m., sono stati recuperati una ventina di manufatti in selce grigia, marrone e nocciola le cui fonti di approvvigionamento sembrano ricondurre ai soliti litotipi comuni nei giacimenti selciferi della Val Belluna. Fra i reperti si annoverano diverse schegge e lame sia ritoccate che non ritoccate, raccolte in un’area piuttosto limitata, in posizione dominante su un piccolo laghetto dove potevano abbeverarsi, ma anche essere sorpresi, i grossi erbivori. Sempre dall’agordino, in località forcella Cesurette a 1801 m. slm., ci viene segnalato e consegnato un piccolo nucleo di selce le cui caratteristiche di scheggiatura richiamano la tecnica di distacco di piccole lamelle, utilizzata dai gruppi mesolitici; successive e più approfondite ricerche in loco effettuate dagli amici del gruppo archeologico dell’Arca di Agordo hanno portato al recupero di altri manufatti. Non meno proficue le prospezioni effettuate durante l’estate 2001 e tuttora in corso, esse hanno permesso di allargare ulteriormente il mosaico dei ritrovamenti e dei segni della presenza dell’uomo mesolitico in area dolomitica; sempre in Comelico, rari, ma indiscutibili manufatti in selce sono stati recuperati presso casera Coltrondo (comune di Comelico Superiore) sul sentiero della forcella del Ton a quota 1900 m. (N. P. Cesco Frare), mentre un altro gruppo di ritrovamenti è stato effettuato nei pressi di passo Sief (comune di Pieve di Livinallongo) dove in superficie sono affiorate le tracce di quattro diversi siti a quote comprese fra i 2000 e i 2200 m. (N. P. Cesco Frare), forse attinenti a posti di avvistamento o bivacchi di caccia. 61 Fig. 4 - L’area del passo Sief è stata intensamente interessata dalle frequentazioni dei cacciatori mesolitici. Nei suoi dintorni si sono individuate le tracce di ben sei siti dislocati sul passo, lungo i crinali, in luoghi panoramici utilizzati per l’avvistamento della selvaggina e presso laghetti. La zona si pone quasi al centro di un grande bacino di caccia e di frequentazione mesolitica. Dal passo lo sguardo spazia infatti al crinale del Monte Pore, al passo Giau e oltre, alla conca di Mondeval, al Monte Cherz, al passo di Valparola, mentre in lontananza si intravedono i complessi della Civetta e del Monte Pelmo, tutte località che hanno restituito reperti di questo periodo preistorico. Da segnalare infine, l’ultimo ritrovamento in ordine di tempo, sulla dorsale del Cherz, sovrastante il passo di Campolongo, nel Livinallongo, a quota 2035m. (N. P. Cesco Frare), consistente in alcuni manufatti litici le cui caratteristiche qualitative non trovano sicuro riscontro nel bellunese, quanto piuttosto in area trentina. La fine del mesolitico e il passaggio alla nuova cultura neolitica nel bellunese alla luce degli ultimi ritrovamenti. Se il territorio bellunese ha indubbiamente rappresentato in età preistorica un ambiente di grandi risorse e importanza per i gruppi di cacciatori che legavano la loro sussistenza all’attività venatoria e all’approvvigionamento della selce, materia prima per la fabbricazione dei propri strumenti di cui è ricco il Vallone Bellunese, l’arrivo della nuova rivoluzione ideologica neolitica che si esplica con il passaggio da un’economia predatoria a una di produzione, mette in crisi questo sistema logistico che per migliaia di anni aveva indotto gruppi di cacciatori a inoltrarsi nell’area montana per battute di caccia stagionali. Con la fine dell’età mesolitica (Castelnoviano), si perdono le tracce della presenza dell’uomo nel bellunese; in base alle nostre attuali conoscenze archeologiche sembra che egli si ritiri e abbandoni queste zone per oltre un millennio, cioè per tutta la durata del neolitico antico e medio, privilegiando forse in questo momento, i più fertili territori di pianura dove poter esercitare più agevolmente la nuova pratica agricola; il comparto montano, alla luce della nuova ideologia economica, diventa di scarso e trascurabile interesse produttivo. L’uomo riapparirà in queste terre solo alla fine dell’età neolitica, quando un nuovo cambiamento economico e culturale lo spingerà verso attività maggiormente rivolte allo sfruttamento di ambienti naturali come la pratica dell’allevamento, ma soprattutto della pastorizia. Ecco allora che comunità agricolo-pastorali del tardoneolitico si riaffacciano in 62 particolare nella Val Belluna colonizzandola stabilmente, alla ricerca di nuovi terreni agricoli, ma soprattutto di aree da pascolo; le comunità sedentarie compaiono alla fine di quel periodo culturale denominato “ dei vasi a bocca quadrata “ o dei vasi a incisioni e impressioni per le originali tecniche decorative con cui queste genti ornavano il loro vasellame attorno a 5300 – 5000 anni fa, in un momento in cui anche questa cultura iniziava ormai a disgregarsi sotto la spinta dei nuovi influssi della cultura di Lagozza. Ammontano a una quarantina gli insediamenti di superficie tardoneolitici ed eneolitici finora scoperti dall’associazione degli Amici del Museo, perlopiù dislocati nel vallone bellunese, diversi risultano arroccati in posizione d’altura ai piedi dei primi contrafforti alpini sulla destra Piave e paiono gravitare verso i pascoli della media e alta montagna che a loro volta, a testimonianza della diffusione della pratica Fig. 5 - Dall’agosto 1999 è in atto una campagna di scavi effettuati in collaborazione fra Soprintendenza Archeologica del Veneto e Associazione degli Amici del Museo di Belluno, presso il sito tardoneolitico ed eneolitico individuato nella valle dell’Ardo in comune di Belluno. Fig. 6 - L’indagine di scavo nella valle dell’Ardo ha restituito un grande quantitativo di reperti: nell’immagine alcune delle numerose punte di freccia a ogiva, a base concava, a tranciante trasversale e peduncolate. 63 pastorale, hanno in più occasioni, restituito reperti litici di questa età. Lo sviluppo e la comprensione di questo nuovo modello economico sembrano via via disvelarsi attraverso i dati e le informazioni raccolte con una serie di campagne di scavo che l’associazione ha promosso in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica del Veneto nell’insediamento denominato del Col del Buson ( frazione di Bolzano Bellunese, comune di Belluno). Il sito scoperto dagli Amici del Museo di Belluno nell’anno 1998, si è rivelato subito di grande importanza e interesse archeologico, tanto da portare a formulare in breve tempo, un progetto pluriennale di scavi, il quale iniziato con una prima campagna nel 1999, è continuato con ottimi risultati negli anni successivi e si prevede anche per diversi anni a venire. Il progetto è stato elaborato con una formula che si è rivelata estremamente proficua e che si è realizzata attraverso la collaborazione della Soprintendenza con l’associazione, nel rispetto delle relative competenze, attraverso una convenzione che vede il funzionario responsabile di zona, dott.ssa Elodia Bianchin Citton operare come direttore scientifico, affiancata da un operatore archeologo e dai numerosi volontari della nostra associazione che hanno voluto coinvolgere nell’attività anche altri gruppi archeologici limitrofi come l’Arca di Agordo, quello di Vittorio Veneto e di Corbano, creando i presupposti di un comune e fattivo clima operativo, che ha prodotto notevoli risultati. Tre anni di campagne di scavi hanno consentito di portare in luce un grande quantitativo di reperti di cultura materiale quali: manufatti di selce, frammenti di vasellame in terracotta, bronzi, resti ossei di pasto, focolari e strutture artificiali di considerevole qualità e interesse archeologico, e di recuperare dati utili a comprendere quel grande fenomeno culturale ed economico, legato al primo popolamento sedentario del tardoneolitico e dell’eneolitico, in ambito bellunese. Gli ultimi ritrovamenti Nuove e importanti prospettive, determinate dalle prospezioni e dalle ricerche di superficie costantemente esercitate dai componenti della sezione archeologica degli Amici del Museo, si aprono con il ritrovamento di uno straordinario sito preistorico di media montagna, rinvenuto sui crinali prealpini bellunesi, la cui datazione dovrebbe risalire cronologicamente al Paleolitico medio o inferiore (P. Bassanello, M. Barazzuol, N.e P. Cesco Frare, U. Dalla Longa, C. Mondini, F. Tormen). I primi rilevamenti di superficie, hanno permesso di raccogliere alcuni strumenti, ma soprattutto residui di prima lavorazione della selce, schegge corticate e grandi blocchi testati da qualche stacco per verificarne la qualità lavorativa, che sembrano configurare il sito, come un luogo di approvvigionamento di ottima selce, una sorta di miniera a cielo aperto, forse la più antica documentata, o meglio documentabile in ambito Europeo. Segnalata alla relativa Soprintendenza, l’area archeologica dovrebbe 64 essere oggetto di una preliminare indagine di scavo nella prossima primavera 2002, in collaborazione, come già tradizionalmente avvenuto per le campagne del Monte Avena, della Valle del Cismon e del Cansiglio, con il Dipartimento di Scienze Geologiche dell’Università di Ferrara. Bibliografia Bianchin Citton E. !992, Il popolamento umano del bellunese dal Neolitico alla prima età del Ferro, in “ Immagini dal Tempo “ Cornuda (TV). Bianchin Citton E. – Mondini C. 2001, Seconda campagna di scavi nel sito tardoneolitico della Valle dell’Ardo, in “ Archivio Storico di Belluno, Feltre e Cadore “ anno LXXII, Gennaio-Marzo. Broglio A. – Mondini C. – Villabruna A. 1992, La preistoria nel Bellunese, in “ Immagini dal Tempo “, Cornuda (TV). Cesco Frare P. – Mondini C. 2000, I monti della preistoria, dal Peralba alla Civetta sulle tracce dei cacciatori mesolitici, in “ Le Dolomiti Bellunesi “ , Grafiche Antiga s.r.l. , Cornuda (TV). Mondini C. – Villabruna A. 1988, L’uomo preistorico e la montagna bellunese, in ” Le Dolomiti Bellunesi “, Grafiche Antiga s.r.l. , Cornuda (TV).