Gli ultimi cacciatori mesolitici e i primi agricoltori

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Gli ultimi cacciatori mesolitici e i primi agricoltori
GLI ULTIMI GRANDI CACCIATORI MESOLITICI E LE PRIME
COMUNITA’ DI AGRICOLTORI ALLEVATORI NEL TERRITORIO
BELLUNESE
di Piergiorgio Cesco Frare e Carlo Mondini
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(*) - Associazione degli Amici del Museo di
Belluno
L’intraprendenza e la versatilità dell’uomo preistorico traspaiono evidenti in età mesolitica, rimarcate da quel particolare fenomeno di sussistenza legato alla pratica della caccia stagionale, la quale indusse gruppi
di cacciatori, a raggiungere gli ambienti di alta montagna in un processo
che ha investito gran parte dell’area dolomitica bellunese.
I cacciatori mesolitici, in un arco temporale compreso fra i 9800 e i
6500 anni fa, indirizzarono in particolare le loro battute di caccia ai
grandi erbivori, in quella fascia dolomitica racchiusa fra i 1800 e i 2300
metri di quota, fascia al limite fra bosco e prateria, che permetteva di
sfruttare sia gli ambienti aperti di prateria dove vivevano stambecchi e
camosci, sia quelli di bosco che ospitavano il cervo e il capriolo.
Ricerche di superficie condotte a partire dagli anni 80 dalla sezione
archeologica degli Amici del Museo di Belluno, hanno portato alla scoperta di un notevole numero di siti mesolitici di alta montagna, dislocati
per lo più a ridosso di forcelle o passi alpini, in posizione di controllo
sulle valli sottostanti, in aree umide o presso piccoli bacini lacustri.
Lo straordinario ritrovamento poi del sito e della sepoltura di
Mondeval, ad opera degli Amici del Museo di Selva di Cadore e del Dipartimento di Geologia dell’Università di Ferrara, ha fornito un punto di
riferimento e di comparazione essenziale sul comportamento e l’operato
dell’uomo di questo periodo, così da rendere più comprensibile anche la
lettura dei meno scientifici, anche se altrettanto importanti ritrovamenti
di superficie. Questi poi, in conseguenza della varia ed estesa distribuzione areale che ricoprono, dispongono a esaltare le ampie conoscenze geografiche e morfologiche del territorio bellunese possedute dalle bande dei
cacciatori mesolitici, le quali si muovevano in modo sistematico, per effettuare battute di caccia, su una vasta zona montuosa e selvaggia,
Fig. 1 - La Spina del Quaternà (Comelico). In
questo ambiente costellato di laghetti e nei
pressi di una forcella naturale a 2125 metri di
quota, si attestarono gruppi di cacciatori
mesolitici per battute di caccia stagionali ai
grandi erbivori (cervi, stambecchi, camosci,
caprioli).
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che sconfinava dalle Prealpi fino alla più interna fascia dolomitica, con
un sistema di nomadismo stagionale che li portò inoltre a gettare le basi,
già in tempi preistorici di una discreta rete di piste e percorsi e a creare
nello stesso tempo, opportunità di comunicazione, diffusione culturale e
scambi di materiali fra genti di aree diverse.
Oltre ai già noti siti scoperti negli anni passati, un’attenta attività di
prospezione effettuata dal nostro sodalizio, ha consentito, in questo ultimo anno, di arricchire sempre di più la mappa dei ritrovamenti delle antiche frequentazione umane mesolitiche nella nostra provincia.
L’aggiornamento interessa soprattutto quel settore nord-orientale del
bellunese, finora poco indagato e privo di testimonianze archeologiche
preistoriche come il comparto montano del Cadore centrale e del
Comelico.
Una prima scoperta sui monti della valle di Visdende ha portato al
recupero (M. Catello, P. Cesco Frare, A. Villabruna) di alcuni manufatti
in selce di color marrone e di tipologia mesolitica, in località Coston della
Spina ( comune di San Pietro di Cadore ), a una quota di 2085 metri,
presso un’area umida in condizioni di passo e in posizione alta sopra la
valle di Visdende ora nereggiante di foreste, ma verosimilmente occupata
da ambiente lacustre ai tempi delle frequentazioni mesolitiche. Il sito posto poco sopra al limite superiore del bosco, rappresenta in modo
emblematico l’ambiente tradizionalmente sfruttato dai cacciatori
mesolitici i quali potevano così diversificare le loro azioni di caccia ad
animali di bosco e di prateria.
La scoperta in questa nuova area geografica di tracce di frequentazioni
mesolitiche, spinse i componenti della nostra associazione ad approfondire le ricerche nei dintorni le quali condussero, sempre nell’estate 2000, al
ritrovamento di pochi, ma significativi manufatti litici (P. Bassanello, R.e
V. Casanova, M. De Zolt, N e P. Cesco Frare, C. Mondini) sulla vicina
Spina del Quaternà (comune di Comelico Superiore).
La selce, materia prima per la produzione degli strumenti degli antichi
cacciatori preistorici, non è reperibile in area dolomitica e veniva importata da altri luoghi, è dunque scontato che il ritrovamento di qualsiasi reperto di questo tipo, viene ad assumere una particolare valenza di carattere archeologico per noi appassionati ricercatori. L’area dei ritrovamenti,
costellata da una quindicina di piccoli laghetti e pozze d’acqua è situata a
una quota di 2125 m., nei pressi di una selletta che mette in comunicazione la valle del torrente Padola con un valloncello che scende sull’altro
versante verso la valle del Digòn.
I due siti comelicani si trovano a poca distanza dal confine austriaco e
rappresentano il punto più avanzato della penetrazione mesolitica all’interno del territorio bellunese, essi sembrano collegarsi con quelli non
molto distanti, rinvenuti però in area alto-atesina, nei pressi della grande
torbiera della malga Nèmes, già negli anni 83-85 dal dott. R. Lunz del
museo Archeologico di Bolzano.
Ancora nell’estate 2000 nel Cadore centrale, presso il Pian dei Buoi
(comune di Lozzo ) si rinveniva (N. e P. Cesco Frare, G. e M. De Zolt)
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una concentrazione di manufatti di selce su una forcella posta a una quota di 1800 m., dove convergono le testate delle valli Longiarin, Poorse e
Campiviéi. Nelle vicinanze della forcella attualmente attorniata da pascoli, compare una zona acquitrinosa, forse residuo di un antico piccolo
bacino lacustre. L’industria litica raccolta in superficie comprende un
bel nucleo in selce marrone a due piani di preparazione opposti
(blocchetto di selce dal quale venivano staccate le schegge con cui produrre gli strumenti), schegge e lame in selce marrone e grigia, varietà e
qualità selcifere, verosimilmente importate dalla Val Belluna, dove trovano larga diffusione.
I cacciatori mesolitici, appostati sulla selletta che ha come sfondo il
magnifico scenario naturale del gruppo delle Marmarole,
presumibilmente avvistavano, attendevano e sorprendevano i branchi di
ungulati che transitavano attraverso questo passo forzato.
Fig. 2 - Immagine del passo Sief situato a 2200
metri di quota dove si sono rinvenuti alcuni
manufatti litici mesolitici; sullo sfondo si intravedono le vette permanentemente innevate della
Marmolada.
Fig. 3 - Manufatti litici mesolitici rinvenuti con la
ricerca in superficie nei pressi di passi, forcelle,
aree umide, laghetti e crinali dolomitici del
territorio bellunese: si notano lame, grattatoi, e le
classiche armature come le piccole punte a due
dorsi e i geometrici triangolari.
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L’attività di ricerca si è poi estesa al complesso del monte Pelmo, dove
già una decina di anni addietro furono da noi individuati (C. Mondini, A.
Villabruna), in località i Lac, 1990 m. slm., numerosi manufatti litici
quali: armature, rappresentate da elementi geometrici triangolari,
grattatoi, lame e lamelle e nuclei che ben si inseriscono tipologicamente
nel mesolitico antico (Sauveterriano, 9800-7800 anni dal presente). A
circa due chilometri di distanza da questo sito, in un’ampia sella prativa
posta a 1950 metri di quota, nei pressi della malga Rutorto, in ambiente
di tipo umido con depressioni e antiche pozze ora intorbate, si raccoglievano in superficie (N. e P. Cesco Frare) altri manufatti in selce che si
correlano con quelli già scoperti sul ripiano dei Lac. Il ritrovamento offre ulteriori spunti che vanno a delineare in modo sempre più evidente il
quadro della dinamicità di questi cacciatori i quali ponevano i loro accampamenti stagionali alle falde dei grandi gruppi delle Marmarole, del
Pelmo e della Civetta, utilizzandoli come base di appoggio da cui partire
per le battute di caccia nei dintorni e ad alta quota.
E proprio nel gruppo della Civetta, nell’agordino, si segnalano altri due
nuovi siti, il primo situato non distante dal rifugio Vazzoler, nel pianoro
prativo di Col del Camp a 1840 m. di quota, ha restituito un numero
estremamente esiguo di reperti, mentre ben più importante si configura
quello scoperto (N. P. Cesco Frare) nel settore sud-occidentale della Civetta a Pian della Lòra (comune di Alleghe), dove a quota 1930 m., sono
stati recuperati una ventina di manufatti in selce grigia, marrone e nocciola le cui fonti di approvvigionamento sembrano ricondurre ai soliti
litotipi comuni nei giacimenti selciferi della Val Belluna. Fra i reperti si
annoverano diverse schegge e lame sia ritoccate che non ritoccate, raccolte in un’area piuttosto limitata, in posizione dominante su un piccolo
laghetto dove potevano abbeverarsi, ma anche essere sorpresi, i grossi
erbivori.
Sempre dall’agordino, in località forcella Cesurette a 1801 m. slm., ci
viene segnalato e consegnato un piccolo nucleo di selce le cui caratteristiche di scheggiatura richiamano la tecnica di distacco di piccole lamelle,
utilizzata dai gruppi mesolitici; successive e più approfondite ricerche in
loco effettuate dagli amici del gruppo archeologico dell’Arca di Agordo
hanno portato al recupero di altri manufatti.
Non meno proficue le prospezioni effettuate durante l’estate 2001 e tuttora in corso, esse hanno permesso di allargare ulteriormente il mosaico
dei ritrovamenti e dei segni della presenza dell’uomo mesolitico in area
dolomitica; sempre in Comelico, rari, ma indiscutibili manufatti in selce
sono stati recuperati presso casera Coltrondo (comune di Comelico Superiore) sul sentiero della forcella del Ton a quota 1900 m. (N. P. Cesco
Frare), mentre un altro gruppo di ritrovamenti è stato effettuato nei pressi di passo Sief (comune di Pieve di Livinallongo) dove in superficie sono
affiorate le tracce di quattro diversi siti a quote comprese fra i 2000 e i
2200 m. (N. P. Cesco Frare), forse attinenti a posti di avvistamento o bivacchi di caccia.
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Fig. 4 - L’area del passo Sief è stata intensamente interessata dalle frequentazioni dei
cacciatori mesolitici. Nei suoi dintorni si sono
individuate le tracce di ben sei siti dislocati sul
passo, lungo i crinali, in luoghi panoramici
utilizzati per l’avvistamento della selvaggina e
presso laghetti. La zona si pone quasi al centro
di un grande bacino di caccia e di
frequentazione mesolitica. Dal passo lo sguardo
spazia infatti al crinale del Monte Pore, al passo
Giau e oltre, alla conca di Mondeval, al Monte
Cherz, al passo di Valparola, mentre in lontananza si intravedono i complessi della Civetta e del
Monte Pelmo, tutte località che hanno restituito
reperti di questo periodo preistorico.
Da segnalare infine, l’ultimo ritrovamento in ordine di tempo, sulla
dorsale del Cherz, sovrastante il passo di Campolongo, nel Livinallongo,
a quota 2035m. (N. P. Cesco Frare), consistente in alcuni manufatti litici
le cui caratteristiche qualitative non trovano sicuro riscontro nel
bellunese, quanto piuttosto in area trentina.
La fine del mesolitico e il passaggio alla nuova cultura neolitica nel
bellunese alla luce degli ultimi ritrovamenti.
Se il territorio bellunese ha indubbiamente rappresentato in età preistorica un ambiente di grandi risorse e importanza per i gruppi di cacciatori
che legavano la loro sussistenza all’attività venatoria e all’approvvigionamento della selce, materia prima per la fabbricazione dei propri strumenti di cui è ricco il Vallone Bellunese, l’arrivo della nuova rivoluzione
ideologica neolitica che si esplica con il passaggio da un’economia
predatoria a una di produzione, mette in crisi questo sistema logistico
che per migliaia di anni aveva indotto gruppi di cacciatori a inoltrarsi
nell’area montana per battute di caccia stagionali.
Con la fine dell’età mesolitica (Castelnoviano), si perdono le tracce della presenza dell’uomo nel bellunese; in base alle nostre attuali conoscenze archeologiche sembra che egli si ritiri e abbandoni queste zone per oltre un millennio, cioè per tutta la durata del neolitico antico e medio, privilegiando forse in questo momento, i più fertili territori di pianura dove
poter esercitare più agevolmente la nuova pratica agricola; il comparto
montano, alla luce della nuova ideologia economica, diventa di scarso e
trascurabile interesse produttivo.
L’uomo riapparirà in queste terre solo alla fine dell’età neolitica, quando un nuovo cambiamento economico e culturale lo spingerà verso attività maggiormente rivolte allo sfruttamento di ambienti naturali come la
pratica dell’allevamento, ma soprattutto della pastorizia. Ecco allora
che comunità agricolo-pastorali del tardoneolitico si riaffacciano in
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particolare nella Val Belluna colonizzandola stabilmente, alla ricerca di
nuovi terreni agricoli, ma soprattutto di aree da pascolo; le comunità sedentarie compaiono alla fine di quel periodo culturale denominato “ dei
vasi a bocca quadrata “ o dei vasi a incisioni e impressioni per le originali tecniche decorative con cui queste genti ornavano il loro vasellame attorno a 5300 – 5000 anni fa, in un momento in cui anche questa cultura
iniziava ormai a disgregarsi sotto la spinta dei nuovi influssi della cultura
di Lagozza.
Ammontano a una quarantina gli insediamenti di superficie
tardoneolitici ed eneolitici finora scoperti dall’associazione degli Amici
del Museo, perlopiù dislocati nel vallone bellunese, diversi risultano
arroccati in posizione d’altura ai piedi dei primi contrafforti alpini sulla
destra Piave e paiono gravitare verso i pascoli della media e alta montagna che a loro volta, a testimonianza della diffusione della pratica
Fig. 5 - Dall’agosto 1999 è in atto una campagna
di scavi effettuati in collaborazione fra Soprintendenza Archeologica del Veneto e Associazione
degli Amici del Museo di Belluno, presso il sito
tardoneolitico ed eneolitico individuato nella valle
dell’Ardo in comune di Belluno.
Fig. 6 - L’indagine di scavo nella valle dell’Ardo
ha restituito un grande quantitativo di reperti:
nell’immagine alcune delle numerose punte di
freccia a ogiva, a base concava, a tranciante
trasversale e peduncolate.
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pastorale, hanno in più occasioni, restituito reperti litici di questa età.
Lo sviluppo e la comprensione di questo nuovo modello economico
sembrano via via disvelarsi attraverso i dati e le informazioni raccolte
con una serie di campagne di scavo che l’associazione ha promosso in
collaborazione con la Soprintendenza Archeologica del Veneto nell’insediamento denominato del Col del Buson ( frazione di Bolzano
Bellunese, comune di Belluno). Il sito scoperto dagli Amici del Museo
di Belluno nell’anno 1998, si è rivelato subito di grande importanza e
interesse archeologico, tanto da portare a formulare in breve tempo, un
progetto pluriennale di scavi, il quale iniziato con una prima campagna
nel 1999, è continuato con ottimi risultati negli anni successivi e si prevede anche per diversi anni a venire. Il progetto è stato elaborato con
una formula che si è rivelata estremamente proficua e che si è realizzata attraverso la collaborazione della Soprintendenza con l’associazione,
nel rispetto delle relative competenze, attraverso una convenzione che
vede il funzionario responsabile di zona, dott.ssa Elodia Bianchin
Citton operare come direttore scientifico, affiancata da un operatore archeologo e dai numerosi volontari della nostra associazione che hanno
voluto coinvolgere nell’attività anche altri gruppi archeologici limitrofi
come l’Arca di Agordo, quello di Vittorio Veneto e di Corbano, creando
i presupposti di un comune e fattivo clima operativo, che ha prodotto
notevoli risultati.
Tre anni di campagne di scavi hanno consentito di portare in luce un
grande quantitativo di reperti di cultura materiale quali: manufatti di
selce, frammenti di vasellame in terracotta, bronzi, resti ossei di pasto,
focolari e strutture artificiali di considerevole qualità e interesse archeologico, e di recuperare dati utili a comprendere quel grande fenomeno culturale ed economico, legato al primo popolamento sedentario
del tardoneolitico e dell’eneolitico, in ambito bellunese.
Gli ultimi ritrovamenti
Nuove e importanti prospettive, determinate dalle prospezioni e dalle
ricerche di superficie costantemente esercitate dai componenti della sezione archeologica degli Amici del Museo, si aprono con il ritrovamento di uno straordinario sito preistorico di media montagna, rinvenuto
sui crinali prealpini bellunesi, la cui datazione dovrebbe risalire
cronologicamente al Paleolitico medio o inferiore (P. Bassanello, M.
Barazzuol, N.e P. Cesco Frare, U. Dalla Longa, C. Mondini, F.
Tormen).
I primi rilevamenti di superficie, hanno permesso di raccogliere alcuni
strumenti, ma soprattutto residui di prima lavorazione della selce,
schegge corticate e grandi blocchi testati da qualche stacco per verificarne la qualità lavorativa, che sembrano configurare il sito, come un
luogo di approvvigionamento di ottima selce, una sorta di miniera a
cielo aperto, forse la più antica documentata, o meglio documentabile
in ambito Europeo.
Segnalata alla relativa Soprintendenza, l’area archeologica dovrebbe
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essere oggetto di una preliminare indagine di scavo nella prossima primavera 2002, in collaborazione, come già tradizionalmente avvenuto per le
campagne del Monte Avena, della Valle del Cismon e del Cansiglio, con il
Dipartimento di Scienze Geologiche dell’Università di Ferrara.
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