L`OSSERVATORE ROMANO

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L`OSSERVATORE ROMANO
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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLVI n. 84 (47.219)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
mercoledì 13 aprile 2016
.
Nuovo appello del Papa per l’abolizione della pena di morte e la cancellazione del debito dei Paesi poveri
L’esortazione apostolica
La non violenza arma di pace
Concretezza
affettuosa
Bisogna rimuovere il muro dell’indifferenza divenuto oggi una triste realtà
di PIERANGELO SEQUERI
apertura
al
definitivo,
iscritta nella natura stessa
del rapporto coniugale, attraversa i flussi della vita, con la loro combinazione «di gioie e di fatiche, di tensioni e di riposo, di sofferenze e di liberazioni, di soddisfazioni e di ricerche, di fastidi e di
piaceri» (Amoris laetitia, n. 126). In
altre parole, questa alleanza per la
vita, che iscrive il definitivo nel
quotidiano della condizione familiare umana, segna la storia e dalla
storia è segnata.
La prima felice sorpresa dell’esortazione apostolica è proprio il
tono sapienziale e avvolgente, penetrante e affettuoso, con il quale
la realtà coniugale e familiare è abbracciata ed esplorata in tutta la
sua ampiezza. E posta sotto lo
sguardo di Dio in ognuna delle
pieghe della sua storia, liete o dolorose che siano. Una tale concretezza manifesta già di per sé un
profondo cambio di passo e di stile, per la Chiesa stessa. La famiglia
esiste. Questa famiglia, che butta il
cuore oltre l’ostacolo, e non cede
all’usura del tempo, esiste.
Il tema della sollecitudine della
Chiesa — qui appare, ormai, in modo definitivamente chiaro — non è
un ideale metafisico che non conosce la fatica e gli incerti della storia,
in cui la famiglia si cerca e si costruisce, può perdersi e deve ritrovarsi. Farsi carico della famiglia,
della sua vita e delle sue vicissitudini, rendendo evidente l’alleanza tra
Chiesa e famiglia, non è un gesto
di condiscendenza. È una storia di
passione, non solo di compassione.
L’
La «testimonianza attiva della non violenza come
“arma” per conseguire la pace» è stata rilanciata
da Papa Francesco nel messaggio inviato lunedì
pomeriggio, 11 aprile, ai partecipanti a una conferenza promossa dal Pontificio Consiglio della giustizia e della pace e dal movimento Pax Christi.
Nel testo — letto dal cardinale Peter Kodwo
Appiah Turkson, presidente del dicastero organizzatore, durante la sessione inaugurale dell’incontro, che si conclude mercoledì 13 — il Pontefice richiama la necessità di favorire «l’incontro fra persone concrete e la riconciliazione fra popoli e
gruppi» per «cercare vie di soluzione alla singolare e terribile “guerra mondiale a pezzi” che, ai nostri giorni, gran parte dell’umanità sta vivendo in
modo diretto o indiretto». A questo fine France-
sco ribadisce che «il percorso della non violenza,
e in specie della non violenza attiva, costituisce
un necessario e positivo contributo».
Il messaggio insiste su alcuni punti che «stanno
particolarmente a cuore» al Papa. Anzitutto riafferma la «premessa fondamentale» che «lo scopo
ultimo e più degno della persona umana e della
comunità è l’abolizione della guerra». Poi ricorda
che «il conflitto non può essere ignorato o dissimulato», perché è proprio attraverso la sua accettazione che «lo si può risolvere e trasformare».
Inoltre avverte che «solamente considerando i nostri simili come fratelli e sorelle potremo superare
guerre e conflittualità».
«Come cristiani, sappiamo che il grande ostacolo da rimuovere perché ciò avvenga è quello
eretto dal muro dell’indifferenza» constata Francesco, precisando in proposito che non si tratta di
«un linguaggio figurato» ma «della triste realtà».
Un compito «grande» e «arduo» attende allora
«coloro che operano per la pace vivendo l’esperienza della non violenza»: compito che consiste
nel «conseguire il disarmo integrale “smontando
gli spiriti”, creando ponti, combattendo la paura e
portando avanti il dialogo aperto e sincero». In
conclusione il nuovo appello del Papa, che invita
a sostenere le due richieste avanzate in occasione
del giubileo: abolire la pena di morte e cancellare
il debito dei Paesi poveri.
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Bruxelles e l’Italia contestano la decisione austriaca di erigere una barriera al Brennero contro l’arrivo dei profughi
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False soluzioni
ROMA, 12. «Costruire barriere fra
Stati di Schengen, e ora in particolare quella fra Austria e Italia, non è
la soluzione giusta». Sono parole
chiare e incisive quelle pronunciate
oggi dal commissario Ue per l’immigrazione, Dimitris Avramopoulos,
intervenendo al Parlamento di Strasburgo riunito in sessione plenaria.
«Credo nella costruzione di ponti,
non di muri — ha osservato — serve
una politica dell’immigrazione che
non conduca a chiudere i confini interni mettendo a rischio Schengen, e
questa politica va attuata».
Il commissario critica dunque
senza appello la recente decisione
austriaca di erigere una barriera anti-profughi al confine con l’Italia al
Brennero. Ma non solo: c’è anche la
tragedia di Idomeni, il campo al
confine tra Grecia ed ex Repubblica
jugoslava di Macedonia, dove pochi
giorni fa la polizia ha usato i lacrimogeni per disperdere la folla dei
migranti. «Dobbiamo evitare di giocare con gli stereotipi e di lottare
contro di loro. Le immagini vergognose di Idomeni non onorano la
storia europea e i nostri valori. Dobbiamo trattare queste persone con
rispetto ma dobbiamo anche pianificare una politica e dargli attuazione» ha sottolineato Avramopoulos.
Vienna, tuttavia, non sembra al
momento intenzionata a fare marcia
indietro. «Un rafforzamento dei
controlli al Brennero e le nuove misure legislative sul diritto d’asilo
non sono auspicabili, ma necessari e
giusti» ha spiegato il cancelliere austriaco, Werner Faymann, oggi, subito dopo il consiglio dei ministri a
Vienna. Secondo Faymann, «è asso-
Malasanità
africana
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lutamente fuori discussione» non fare niente e accogliere persone senza
limiti e senza controlli. E dei controlli «me ne assumo la responsabilità» ha aggiunto il cancelliere.
L’Austria ha iniziato ieri i lavori
per la costruzione di una barriera al
Brennero per limitare, in caso di necessità, l’accesso di migranti provenienti dall’Italia. La struttura — ha
detto il capo della polizia tirolese
Helmut Tomac — avrà una lunghezza di 250 metri e riguarderà l’autostrada e la strada statale. Intanto —
riferiscono testimoni sul posto — al
valico italo-austriaco sono già stati
smontati i guardrail; in una prima
fase di lavori sarà anche modificata
la segnaletica stradale. Il terreno per
la costruzione della barriera è già in
fase di preparazione. I controlli del
traffico leggero e pesante saranno
effettuati in un parcheggio a nord
del confine. Nei prossimi giorni sarà
anche allestito un centro di registrazione. Secondo il ministro della Difesa Hans Peter Doskozil, i controlli
partiranno dal primo giugno. Ma i
tempi dipendono sia dal reale numero di migranti in arrivo che dallo
stato dei lavori.
La decisione di Vienna si spiega
con le nuove stime circa il flusso di
arrivi dopo la chiusura della rotta
balcanica. In effetti, pochi giorni fa
le autorità austriache avevano comunicato che nei prossimi mesi arriveranno in Italia almeno 300.000 profughi. Nel corso del recente vertice
a Roma, lo scorso 8 aprile, il ministro degli Interni austriaco, Johanna
Mikl-Leitner, aveva assicurato che il
suo Paese avrebbe «fatto il possibile
per evitare la chiusura del Brennero», inevitabile però se l’Italia non
avesse assicurato una rigida procedura di controllo dei migranti.
Le reazioni all’annuncio di Vienna
non sono mancate. Ieri il Governo
italiano, per bocca del sottosegretario alla presidenza del Consiglio,
Sandro Gozi, ha bocciato l’ipotesi
della costruzione di una barriera alla
frontiera, definendola «un grave errore che viola le regole europee».
Parole in linea con quanto dichiarato anche da Domenico Manzione,
sottosegretario degli Interni: «Con
la chiusura del Brennero ci saranno
danni consistenti». La decisione di
ripristinare i controlli «avrebbe implicazioni economiche tutt’altro che
trascurabili. Sarebbe una perdita
secca consistente, per questo abbiamo insistito che l’area restasse aperta». L’Austria «ha elezioni politiche
importanti alle porte» (il prossimo
24 aprile i cittadini sono chiamati a
scegliere il nuovo presidente della
Repubblica). Un’eventuale decisione
di chiusura totale, ha proseguito il
sottosegretario, «avrebbe anche ricadute dal punto di vista umano, potrebbe implicare situazioni come
quelle che vediamo purtroppo in
Grecia».
La chiusura del Brennero non
piace neppure alla Germania, dato
che questo passaggio rappresenta un
punto nevralgico per il traffico pas-
seggeri e merci tra nord e sud Europa. Oggi i ministri degli Esteri e
della Difesa austriaci si recheranno a
Berlino per discutere della crisi.
Critiche anche dai vescovi. L’annuncio austriaco «è un’altra grave
ferita a Schengen, alla Ue, alla solidarietà europea. È un’altra risposta
sbagliata al drammatico problema
dei richiedenti asilo e dei rifugiati,
una decisione che contraddice il
messaggio forte che tra pochi giorni
il Papa darà dall’isola di Lesbo» ha
sottolineato Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes della Conferenza episcopale
italiana.
Una dura reazione alla decisione
austriaca è stata espressa anche dalle
organizzazioni in prima linea nella
gestione dell’emergenza. «L’Austria
— si legge in una nota di Amnesty
International — ha deciso di erigere
una barriera fisica, un ostacolo insuperabile che creerà sul versante italiano della frontiera una situazione
simile a quella che troviamo a Idomeni e nelle isole greche: ci ritroveremo campi improvvisati e auto-allestiti, una situazione di crisi umanitaria simile a quelle delle zone dei
Grandi Laghi africani o come fu
nell’ex Jugoslavia».
È di oggi intanto, la denuncia di
Medici senza frontiere secondo cui
negli scontri di due giorni fa a Idomeni «si è sparato ad altezza di
bambino». Lo ha detto Loris De Filippi, presidente di Medici senza
frontiere, a margine di una conferenza stampa a Roma. «Almeno tre
bambini sono rimasti feriti da questi
proiettili».
Raccolti in un libro testi di Montini
Un uomo come voi
Il cantiere per la costruzione della barriera sull’autostrada del Brennero (Reuters)
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E
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La Chiesa non è un’élite di ideologi, è un popolo di credenti.
Quando interpreta la parola di Dio
per la famiglia, e ne sollecita
l’ascolto fiducioso e generoso, la
Chiesa non si limita a definire procedure di legittimità e regole d’uso
che devono sbrigare la pratica. Allo
sguardo della Chiesa — insiste il
Papa — la famiglia non è un fascio
di problemi, ma un’opportunità
umana e sociale di portata globale.
In questo appassionato racconto
di Francesco, che non elude i problemi, è restituita alla condizione
familiare l’ammirazione dovuta al
coraggio della sua dedizione, e il rispetto che tutti devono avere per la
dignità della sua missione. Il fatto
che si tratti di una condizione comune non deve oscurare l’altezza
della sua vocazione. La fedeltà
all’irrevocabile legame personale
della reciprocità affettiva dell’uomo
e della donna — alla quale Dio stesso ha donato la gioia indivisa
dell’intimità sessuale e della responsabilità generativa — ha il compito
di presidiare e di far crescere «lietamente» la qualità spirituale della
vita del mondo. In questo legame,
infatti, è l’intera storia dell’alleanza
(o del conflitto) dell’uomo e della
donna a essere in gioco.
Quando le cose vanno male, fra
uomo e donna, tutte le altre vanno
male. Quando la complicità affettuosa e la reciprocità feconda
dell’uomo e della donna non hanno
peso nell’educazione dei giovani e
nella città dell’uomo, la vita del
pianeta (dell’ambiente, del lavoro,
della giustizia, della cultura) è
esposta al degrado. Il filo del magistero di Francesco — che unisce «la
gioia del Vangelo» e la «letizia
dell’amore», passando attraverso
l’appassionata perorazione per la
cura dell’ecologia umana e cristiana
del pianeta (Laudato si’) — apre
una strada inedita anche per la riconciliazione dell’amicizia di uomo
e donna con il destino della terra.
Il resto è dottrina del sacramento cristiano, che annuncia la serietà
della testimonianza e la sostiene oltre l’umana debolezza. E poi —
dottrina cattolica ben nota anche
questa — pastorale dell’amore comunitario, che non sottrae nessuno
all’onere e all’onore evangelico di
portare gli uni i pesi degli altri:
«Così adempirete la legge di Cristo», chiosa san Paolo nella lettera
ai Galati (6, 2).
Non per caso, ma del tutto a
sorpresa rispetto all’abitudine ecclesiale più corrente, Papa Francesco illustra la profondità dell’amore
coniugale, commentando nel quarto capitolo, parola per parola, l’inno alla carità della prima lettera ai
Corinzi, non il Cantico dei cantici.
L’eros coniugale, per custodire la
sua letizia e la sua benedizione, deve apprendere l’audace sapienza
dell’agape di Dio: senza di essa, i
nostri carismi e le nostre qualità
migliori non sono niente. La fedeltà e il perdono, fanno parte entrambi del comandamento dell’amore. E dei suoi doni.
Gesù proponeva un ideale esigente, ma «non perdeva mai la vicinanza compassionevole alle persone
fragili» (n. 38). La norma indica la
strada, ma è la prossimità che deve
percorrerla. Il discernimento delle
coscienze e l’intercessione della
Chiesa, che incoraggiano la prossimità e non abbandonano nella prova, sono la parte più bella del comandamento dell’amore.
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha nominato
Nunzio Apostolico negli Stati
Uniti d’America Sua Eccellenza
Reverendissima
Monsignor
Christophe Pierre, Arcivescovo
titolare di Gunela, finora Nunzio Apostolico in Messico.
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mercoledì 13 aprile 2016
Il presidente brasiliano
Dilma Rousseff (Ansa)
Una persona su sette manca di cure mediche adeguate
Malasanità africana
Dilaga la corruzione per accedere ai trattamenti
ACCRA, 12. In Africa il 14 per cento
della popolazione è costretta a ricorrere a tangenti e corruzione per avere accesso al sistema sanitario. È
questo soltanto uno dei tanti dati allarmanti contenuti nel rapporto del
gruppo di ricerca Afrobarometer, che
traccia un bilancio della sanità nel
continente nero. Il documento evidenzia come un cittadino africano su
sette viva senza le cure mediche adeguate: gli intervistati — provenienti
da numerosi Paesi — «mettono l’assistenza sanitaria al primo posto nella
classifica dei problemi del territorio
e tra le priorità governative a cui è
necessario destinare investimenti
pubblici aggiuntivi». Nonostante alcuni isolati progressi, «l’assistenza
sanitaria rimane quindi in cima alla
lista delle priorità» precisa il testo di
Afrobarometer, istituto di ricerca che
studia le tendenze sociali, politiche
ed economiche in più di trenta Paesi
africani.
I dati, resi pubblici ieri, mostrano
come i finanziamenti dei Governi locali nel settore sanitario abbiano conosciuto un trend negativo nel corso
degli ultimi dieci anni. E questo ha
gravemente inciso sulle persone e
sugli stili di vita. In effetti «quasi la
metà della popolazione — si legge
ancora nel documento — si definisce,
infatti, abbastanza o profondamente
insoddisfatta dell’assistenza medica
del proprio Paese». Tra gli Stati presi in considerazione, diciotto su trentasei mostrano, dal 2005 ad oggi, un
incremento del 13 per cento delle valutazioni negative da parte degli intervistati.
Campagna di vaccinazioni in Somalia (Afp)
MO GADISCIO, 12. Ancora violenza
nella tormentata terra somala. Almeno sette persone sono morte ieri a
Mogadiscio, capitale della Somalia,
per l’esplosione di un’autobomba.
La vettura, informa la polizia, era
stata lasciata in sosta tra l’ingresso di
un edificio appartenente all’amministrazione governativa e quello di un
hotel adiacente. La deflagrazione,
indicano testimoni sul posto, è stata
molto potente. L’hotel è frequentato
abitualmente da funzionari del Governo. Secondo le autorità, le vittime
sono tutti civili, tra cui due bambini
che stavano andando a scuola. L’attentato non è stato ancora rivendicato, ma presenta le tipiche caratteristiche dell’operato dei terroristi del
gruppo fondamentalista islamico di
Al Shabaab, testa di ponte di Al
Qaeda nel Corno d’Africa.
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BRASILIA, 12. Con 38 voti a favore
e 27 contrari la commissione speciale della Camera dei deputati
brasiliana ha detto sì all’avvio della
procedura di impeachment nei
confronti del presidente Dilma
Rousseff. Il procedimento passerà
ora al vaglio della sessione plenaria
della Camera, che entro domenica
prossima dovrà decidere, a maggioranza dei due terzi (342 voti su
513), se convalidare o meno la messa in stato di accusa della massima
Missione italiana
per la pace libica
Cameron
risponde alle accuse
contro tra Tsipras e Costa ha avuto
luogo mentre si trova ad Atene una
delegazione di creditori della Banca centrale europea, del Fondo monetario internazionale, del Meccanismo europeo di stabilità e della
Commissione europea. Obiettivo
della trattativa è trovare un accordo
sulle misure che Atene dovrà adottare per risparmiare 5,4 miliardi di
euro e ottenere così il versamento
di una nuova tranche del prestito
di 86 miliardi di euro, concordato
la scorsa estate nell’ambito del terzo salvataggio della Grecia.
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Dilma alla prova
dell’impeachment
Ai Comuni annuncia misure antievasione
Tsipras esorta l’Europa
a superare l’austerità
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Autorizzato il procedimento di messa in stato di accusa
Il ministro degli Esteri in visita a Tripoli
TRIPOLI, 12. Il ministro degli
Esteri italiano, Paolo Gentiloni, è
arrivato oggi a Tripoli, per una
visita-lampo e non preannunciata.
Il capo della diplomazia italiana,
primo alto responsabile occidentale ad arrivare a Tripoli dall’insediamento del Governo di unità
nazionale, è giunto all’aeroporto
di Mitiga, dove è stato accolto
dal vice-premier, Ahmad Meitig.
Il convoglio, con entrambe le
bandiere libica e italiana, è poi
subito ripartito. Gentiloni ha incontrato il premier designato, Fayez Al Sarraj, nella base navale di
Bu Setta, dove il premier si è stabilito dal suo arrivo nella capitale
libica. Gentiloni si è detto «felice» di essere a Tripoli, per portare l’aiuto della cooperazione italiana e per «sostenere il Governo
di unità nazionale di Al Sarraj».
«Con l’Italia c’è un rapporto
molto radicato e che intendiamo
rafforzare», sul fronte della lotta
all’immigrazione clandestina e al
terrorismo. Lo ha detto Al Sarraj.
L’Italia ha fatto arrivare oggi in
Libia aiuti umanitari con un
C130. Tra gli aiuti, kit medici destinati all’ospedale di Tripoli. Altri aiuti — ha detto Gentiloni —
saranno inviati presto a Bengasi.
Nel frattempo, secondo l’inviato speciale dell’Onu per la Libia,
Martin Kobler — intervistato da
Sette morti
per un attentato
dinamitardo
a Mogadiscio
ATENE, 12. «Riteniamo che l’Europa debba lasciarsi alle spalle le politiche di austerity». Ad affermarlo
è stato ieri il primo ministro greco,
Alexis Tsipras, in occasione del suo
incontro ad Atene con l’omologo
portoghese, il socialista António
Costa, salito al Governo dopo che
gli elettori hanno bocciato la politica economica sostenuta dal precedente Esecutivo. «Con la crescita
di povertà e disuguaglianza sociale,
i nostri Paesi e l’Europa dovranno
affrontare un lungo periodo di stagnazione» hanno dichiarato. L’in-
In media gli inviati della «Afrobarometer» hanno rilevato che il 62
per cento delle cliniche sanitarie presenti nel territorio africano sono
concentrate nelle zone urbane, a scapito delle aree rurali più povere. Circa la metà degli intervistati ha dichiarato poi di essersi trovati, o in
prima persona o in famiglia, spesso
in assenza di farmaci o di cure necessarie, e di essere stato costretto a
ricorrere al mercato nero per procurarsi i medicinali. Inoltre, tra quelli
che hanno avuto accesso alla sanità
pubblica nello stesso anno, quattro
su dieci hanno definito «complesso»
o «estremamente complesso» ricevere le cure di cui avevano bisogno, e
questo a causa di strutture carenti o
di personale non competente.
E a ciò si aggiunge, come detto,
la piaga della corruzione: la maggior
parte dei pazienti nei Paesi esaminati
è stata letteralmente costretta a pagare tangenti o a corrompere i funzionari per ottenere il trattamento
sanitario necessario.
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
«La Stampa» — il cosiddetto Stato islamico (Is) «lo batteranno
prima di tutto i libici». Kobler ritiene che è ancora presto per parlare di un intervento militare internazionale: «Un passo alla volta
— afferma — La minaccia dell’Is è
seria. Distruggere l’Is in Libia è il
nostro primo obiettivo. Ma prima
dobbiamo avere un Governo pienamente in carica. Sarà questo
Esecutivo a guidare la lotta all’Is,
con la collaborazione di tutti,
comprese le milizie che saranno
integrate nelle forze di sicurezza
libica». «Se poi il Governo libico
chiederà assistenza, la comunità
internazionale è pronta».
Alla domanda se sarà l’Italia a
guidare la missione internazionale, l’inviato dell’Onu ha affermato: «L’Italia sta svolgendo un
ruolo molto importante, ha già
un ruolo di leadership nella missione civile di assistenza. Quanto
a una futura missione militare, ripeto: un passo alla volta. Prima
facciamo in modo che il processo
istituzionale si completi». Kobler
ha auspicato un voto di fiducia
da parte del Parlamento di Tobruk, riconosciuto dalla comunità
internazionale. «Ci sono stati incontri importanti al Cairo, anche
alla Lega araba. Sono segnali che
inducono all’ottimismo».
Morto Casaleggio
fondatore
dei 5 Stelle
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Gaetano Vallini
segretario di redazione
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«volevo evitare un conflitto di interessi» ha spiegato il leader tory. Cameron deteneva azioni che vendette
prima di arrivare a Downing street
nel 2010, ricavandone un utile sul
quale pagò le tasse. Il premier ha
difeso soprattutto il diritto dei suoi
concittadini di «fare soldi rispettando la legge» e la contromossa è stata l’annuncio di misure contro l’evasione. Ha poi chiesto ai membri del
suo Governo di rendere noti i propri redditi come ha fatto lui.
Per le presidenziali peruviane
Kuczynski
e Fujimori
al ballottaggio
Cameron durante l’intervento alla Camera dei Comuni (Afp)
Poroshenko sollecita
un nuovo Governo ucraino
ROMA, 12. È morto oggi a Milano
Gianroberto Casaleggio, fondatore e “mente” del Movimento 5
Stelle. Imprenditore, 61 anni, iniziò a lavorare giovanissimo come
progettista di software di base per
l’Olivetti, a Ivrea. Tra i primi in
Italia a intuire le potenzialità del
web, era presidente della Casaleggio Associati, società informatica
ed editoriale. Cordoglio è stato
espresso da tutte le forze politiche italiane.
Servizio vaticano: [email protected]
LONDRA, 12. «Offensive, profondamente false». Così il premier britannico David Cameron ha definito le
accuse contro di lui in merito alle
rivelazioni contenute nei Panama
Papers, i file diffusi dalla stampa internazionale che hanno rivelato una
fitta rete di società offshore usate
da potenti, politici, capi di Stato e
di Governo, attori, sportivi, faccendieri e criminali. «Ho venduto le
quote del fondo Blairmore prima di
diventare primo ministro» perché
carica dello Stato. In caso positivo,
l’iter proseguirà al Senato.
Il voto della commissione formata da 65 deputati è arrivato al termine di undici sedute durante le
quali sono state esaminate tutte le
accuse mosse al presidente, relative
in particolare a violazioni della
normativa fiscale compiute tra il
2014 e il 2015 dalla sua amministrazione per mascherare problemi di
bilancio. Come riferisce la stampa,
durante il dibattito ci sono stati
momenti di forte scontro.
Secondo i politologi, comunque
vadano le votazioni al Congresso
(il Governo non ha ancora la maggioranza garantita, ma nemmeno le
opposizioni possono già cantare
vittoria anticipata) i componenti
della maggioranza e dei partiti alleati stanno iniziando a considerare
seriamente l’ipotesi di indire elezioni anticipate.
Nel Paese la tensione è alta. Nelle maggiori città ci sono state manifestazioni dell’opposizione e dei
sostenitori del Governo, con un
notevole dispiegamento delle forze
di polizia. Oltre allo scandalo delle
tangenti legate al colosso petrolifero statale Petrobras e alle accuse al
Governo, il Brasile deve fronteggiare anche una pesate crisi economica. Quest’anno — secondo le
previsioni — quella che fino a qualche anno fa era considerata una
delle maggiori economie del mondo dovrà fare i conti con un crollo
del pil (prodotto interno lordo) pari al meno 3,5 per cento.
KIEV, 12. Il presidente ucraino, Petro Poroshenko, minaccia lo scioglimento della Verkhovna Rada (Parlamento) se entro questa settimana
non sarà nominato un nuovo Governo, riformista e impegnato nel
contrasto della corruzione, e definita la coalizione in suo sostegno. A
farsi portavoce dell’istanza di Poroshenko è stato il suo inviato al Parlamento, Stepan Kubiv, in un incontro con i capigruppo, dopo che
ieri il premier Arseni Yatsenyuk ha
annunciato le sue dimissioni. Nei
giorni scorsi era naufragato mala-
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
mente un tentativo di formare una
nuova coalizione di Governo fra il
Blocco Poroshenko, il Fronte Popolare di Yatsenyuk e Patria di Yulia
Tymoshenko, con Volodymyr Hroysman come premier. Questi era
stato indicato ieri da Yatsenyuk come la nuova scelta di Poroshenko,
ma avrebbe rifiutato l’incarico. Facevano parte della coalizione in sostegno dell’Esecutivo uscente anche
i radicali, la forza populista di Oleh
Lyashko e i riformisti di Samopomich.
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Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
LIMA, 12. Sarà il ballottaggio, previsto per il 5 luglio, a stabilire il
prossimo presidente del Perú. Al
secondo turno si sfideranno i due
conservatori Pedro Pablo Kuczynski, economista liberale del movimento Peruviani per il cambiamento, e Keiko Fujimori del partito di
centro-destra Forza popolare. Si
tratta tuttavia di uno scrutinio ancora parziale. Fujimori, come avevano previsto i sondaggi, è stata la
candidata più votata al primo turno, mentre Kuczynski ha smentito
gli exit poll di ieri che prevedevano
un sostanziale pareggio tra lui e la
parlamentare di sinistra Verónika
Mendoza.
La figlia dell’ex presidente Alberto Fujimori, che ha governato il
Perú tra il 1990 e il 2000, gode di
grande consenso nelle aree rurali,
che rappresentano il 22 per cento
dell’elettorato peruviano, e ha presentato una programma elettorale
incentrato sulla lotta alla criminalità, promettendo di investire anche
in progetti di infrastrutture capaci
di garantire servizi basici alle aree
più povere. Dal canto suo Kuczynski può contare su una lunga carriera politica: dal 2005 al 2007 è
stato presidente del Consiglio dei
ministri.
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mercoledì 13 aprile 2016
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Le forze regolari irachene
durante operazioni
intorno alla città irachena di Kirkuk (Ansa)
Non si appianano i contrasti tra le autorità di Kabul
BAGHDAD, 12. I jihadisti del cosiddeto Stato islamico (Is) perdono terreno in Iraq. L’esercito iracheno ha
conquistato ieri la città di Hit, nella
provincia occidentale di Al Anbar. A
darne conferma è stato il portavoce
delle forze anti-terrorismo, Sabah Al
Numan, attraverso una nota.
Proseguono comunque i combattimenti nel resto della provincia, a
maggioranza sunnita, di Al Anbar,
dove si registrano vittime civili negli
scontri tra i militari iracheni e le milizie dell’Is. Secondo «Al Jazeera», i
bombardamenti sulle zone residenziali di Fallujah hanno causato la
morte di almeno sei civili e il ferimento di altri dodici.
A Hit invece l’esercito è riuscito a
conquistare la maggior parte dei
quartieri dopo una massiccia offensiva lanciata nei giorni scorsi. La città
è situata in una posizione strategica.
È attraversata dal fiume Eufrate e
dista pochi chilometri dalla base aerea di Ain Al Asad, dove centinaia
di militari statunitensi stanno addestrando le forze irachene impegnate
nelle operazioni contro l’Is.
Secondo gli analisti, il consolidamento delle posizioni delle forze di
Baghdad spingerà l’Is a ripiegare
sempre più a ovest, verso la Siria, e
consentirà di tagliare i collegamenti
fra la città settentrionale di Samarra
e Fallujah, che a oggi resta l’unica
I talebani lanciano
l’offensiva di primavera
Le forze di Baghdad riconquistano la città strategica di Hit
Is perde terreno in Iraq
roccaforte dei jihadisti vicino alla capitale irachena Baghdad, che dista
solo 50 chilometri.
Intanto, dalla Siria giungono notizie che disegnano un quadro sempre
più complesso. Secondo lo Stato
maggiore russo, il Fronte Al Nusra
— il braccio siriano di Al Qaeda —
«ha ammassato circa diecimila mili-
tanti nelle zone limitrofe ad Aleppo» e si prepara «a lanciare una
grande offensiva». L’azione militare
avrebbe come obiettivo quello di
«tagliare la strada» che collega
Aleppo a Damasco.
A riprova delle previsioni di Mosca, ieri dieci persone sono rimaste
ferite da almeno cinque colpi di
mortaio lanciati da miliziani su Kilis, città meridionale turca al confine
con la Siria, a pochi chilometri da
Damasco. Cinque dei feriti sono stati portati in ospedale. Uno dei mortai ha colpito una casa. Episodi analoghi sono avvenuti nelle scorse settimane.
KABUL, 12. Nonostante i tentativi
portati avanti da Afghanistan, Pakistan, Stati Uniti e Cina per riportare al tavolo dei negoziati i talebani, questi ultimi hanno fatto scattare una nuova offensiva di primavera. Lo ha annunciato ieri una nota
firmata dal consiglio direttivo del
gruppo di ribelli.
La nuova offensiva, si legge nel
comunicato, si terrà in onore del
mullah Omar, il defunto leader talebano, sotto la cui leadership,
hanno sottolineato gli insorti «venne pacificato il 95 per cento del
territorio della nostra nazione da
malvagità, corruzione e oppressione». L’obiettivo dei talebani è la
«sconfitta incondizionata e il ritiro
degli invasori stranieri e dei loro
servitori interni» dall’Afghanistan.
La nuova offensiva annuale dei
talebani — hanno sostenuto gli insorti — vedrà «attacchi su larga scala contro le posizioni dei nemici
nel Paese», ma anche operazioni
suicide e omicidi dei «comandanti
nemici nei centri urbani». Lo scopo è «far impantanare il nemico in
una guerra di attrito che abbassi il
In Cisgiordania
Secondo l’Onu regge la tregua anche se si registrano scontri tra lealisti e ribelli huthi
L’Onu condanna
le demolizioni
Nuova strage di Al Qaeda
nella città yemenita di Aden
NEW YORK, 12. «Il drammatico aumento delle demolizioni di case palestinesi in Cisgiordania» sta minando sempre di più la possibilità di
raggiungere la soluzione dei due
Stati per due popoli. Questo l’allarme lanciato ieri da Robert Piper,
l’inviato dell’Onu per gli Affari
umanitari nei Territori palestinesi,
durante un incontro con la stampa
internazionale.
Secondo Piper, che si trova a Bruxelles per porre la questione all’attenzione dell’Unione europea, nei
mesi iniziali del 2016 è stato superato il numero totale di demolizioni
effettuate nel 2015. Questo stato di
cose — ha sottolineato l’inviato delle
Nazioni Unite — sta facendo crescere la tensione, già alta, in tutta la
Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Piper ha chiesto dunque ai palestinesi di abbandonare la violenza
contro gli israeliani, interrompendo
le aggressioni, e agli israeliani di favorire una ripresa del dialogo in vista della convivenza pacifica. In tal
senso, Piper ha esortato l’Unione
europea a far pressione affinché questo stato di cose cambi «sul piano
politico, finanziario e culturale».
Secondo un rapporto dell’O nu
pubblicato nel novembre scorso, dal
giugno 2014 al novembre 2015 Israele ha demolito o reso inutilizzabili 16
edifici di proprietà palestinese la-
Renzi
incontra a Teheran
Rohani
TEHERAN, 12. La fine delle sanzioni all’Iran «è un passaggio storico non solo per il Paese ma per
l’Europa e per tutta la regione:
siamo impegnati perché lo sforzo
della comunità internazionale sia
accompagnato da un messaggio
di fiducia che finalmente qualcosa
di nuovo si è mosso». A sottolinearlo è stato oggi a Teheran il
presidente del Consiglio dei ministri italiano, Matteo Renzi, alla fine del lungo colloquio, circa
un’ora e mezza, con il presidente
iraniano, Hassan Rohani. Dal
canto suo, Rohani ha espresso la
speranza che l’Italia possa tornare
a essere il primo partner commerciale europeo dell’Iran. «Abbiamo firmato — ha ricordato — 36
memorandum di intesa e vogliamo che essi diventino operativi».
sciando senza casa almeno novanta
persone, e danneggiato altri dodici
edifici vicini a quelli demoliti. Secondo il «Washington Post», che si
è occupato della questione in un recente articolo, da ottobre a oggi sono stati demoliti almeno altri sette
edifici in cui abitavano persone sospettate di terrorismo o di complicità col terrorismo, gli ultimi dei quali
nella prima settimana di gennaio.
Numerose ong attive sul campo
chiedono da tempo di interrompere
queste pratiche. Il Governo israeliano si giustifica affermando che si
tratta dell’unico metodo efficace per
stroncare nuovi attacchi terroristici e
nuove violenze.
Di fatto, il clima nella regione è
tornato da diversi mesi a farsi rovente. Le aggressioni palestinesi a civili
o militari israeliani sono all’ordine
del giorno, soprattutto nella parte
orientale di Gerusalemme. Ma non
sono solo i palestinesi a colpire. Due
coloni ebrei sono stati arrestati la
scorsa notte in Cisgiordania da
agenti dei servizi di sicurezza israeliani, nel contesto di un’inchiesta nel
corso della quale sono già stati arrestati altri tre estremisti ebrei. Tutti
sono sospettati di aver partecipato
ad attacchi contro palestinesi: ma le
loro identità e gli episodi in cui potrebbero essere stati coinvolti non
sono stati per ora divulgati.
SANA’A, 12. Un attentatore suicida
si è fatto esplodere questa mattina
vicino allo stadio «22 maggio» nella città di Aden, nel sud dello Yemen, dove erano in coda giovani
che si volevano arruolare nell’esercito. Almeno cinque i morti. L’attacco è stato rivendicato dai fondamentalisti di Al Qaeda nella penisola arabica (Aqpa).
Le azioni terroristiche, rivendicate o attribuite a gruppi fondamentalisti — nello Yemen oltre ad Al
Qaeda sono molto attivi i miliziani
del cosiddetto Stato islamico (Is) —
contro le forze governative si sono
moltiplicate in questi ultimi mesi
nel sud del Paese, che l’esercito fedele al presidente Abd Rabbo
Mansour Hadi ha strappato al controllo dei ribelli huthi, i quali nel
2014 avevano conquistato oltre il 75
per cento del territorio.
Il nuovo attentato arriva all’indomani dell’entrata in vigore nel
Paese arabo del cessate il fuoco tra
le forze filogovernative fedeli al legittimo presidente e sostenute da
una coalizione guidata dall’Arabia
Saudita e i ribelli huthi in vista
della ripresa dei colloqui di pace
mediati dalle Nazioni Unite in programma lunedì 18 in Kuwait.
E nonostante alcuni combattimenti tra le parti in conflitto in
certe regioni del Paese, secondo il
portavoce dell’Onu, Stéphane Du-
Forze lealiste controllano il centro di Aden (Afp)
jarrić, il cessate il fuoco «sembra
globalmente tenere». Gli scontri
più rilevanti sono stati registrati a
Sarwah, nella provincia del Marib,
a est della capitale Sana’a conquistata nel settembre del 2014 dagli
huthi. Sette soldati dell’esercito sono stati uccisi dai ribelli che sono
riusciti a riprendere delle postazioni che erano in mano ai lealisti.
Nel frattempo, i membri della
commissione — formata dai rappre-
sentanti dei due schieramenti per
supervisionare la tregua — si sono
incontrati ieri sera per fare il punto
della situazione sul terreno e discutere delle misure da prendere «in
consultazione con i delegati delle
Nazioni Unite». L’obiettivo è quello di cercare di far giungere gli aiuti umanitari alla popolazione stremata dal lungo e sanguinoso conflitto soprattutto nelle zone più
colpite dalla guerra.
morale degli invasori stranieri e
delle loro milizie armate».
Al di là della retorica, gli insorti
proseguono le loro azioni militari
che causano numerose vittime civili
e ingenti danni materiali. Ed è per
questo che il presidente statunitense, Barack Obama, è stato costretto
a fare un passo indietro e fermare
il ritiro completo delle truppe americane dall’Afghanistan.
Ed è di almeno 13 morti e 38 feriti il bilancio di un nuovo attentato suicida: un terrorista ha attaccato un pullman di reclute dell’esercito regolare in prossimità di Jalalabad, capoluogo della provincia
orientale di Nangarhar, tra i principali capisaldi residui dei talebani.
Secondo il governatore provinciale,
Attaullah Khogyani, l’attentatore si
è avvicinato al veicolo a bordo di
un risciò a motore sul quale era nascosta la carica esplosiva, e si è fatto saltare in aria. Tra i sopravvissuti molti versano in condizioni critiche. Poche ore prima a Kabul una
bomba nascosta lungo il ciglio della strada era scoppiata al passaggio
di un furgone con a bordo dipendenti del ministero per la Pubblica
Istruzione: due erano rimasti uccisi, altri nove avevano riportato lesioni.
E prima di recarsi a Hirsihma
per il vertice ministeriale del G7 il
segretario di Stato americano, John
Kerry, ha avuto una serie di colloqui proprio a Kabul. «Gli Stati
Uniti — ha poi detto Kerry — hanno a cuore la sovranità dell’Afghanistan» e il buon funzionamento
delle sue istituzioni. L’attuale Governo di unità nazionale, nato con
la mediazione di Kerry dopo la vittoria alle presidenziali di Ashraf
Ghani, vive un momento di difficoltà per i contrasti fra il capo dello Stato e il chief executive Abdullah Abdullah.
Nel corso di una sessione della
Commissione bilaterale tra Stati
Uniti e Afghanistan, Kerry ha
quindi ribadito che in questi anni
«l’Afghanistan ha fatto progressi significativi» grazie anche al Governo di unità nazionale. Il capo della
diplomazia statunitense ha reso noto di aver avuto colloqui con il
presidente Ghani e con il coordinatore del Governo Abdullah anche
sul delicato tema della riforma elettorale, assicurando che «entrambi
si sono impegnati a portarla avanti». Questa riforma — ha sottolineato — «è della massima importanza per un buon Governo» in
Afghanistan. «Il massimo sforzo
deve essere fatto dalle autorità afghane, ha concluso, prima del
prossimo vertice della Nato di luglio a Varsavia, perchè in quella sede a Kabul saranno chiesti ulteriori
sacrifici per il bene del Paese». Da
settimane il braccio di ferro virtuale fra Ghani e Abdullah ha portato
alle dimissioni del presidente della
Commissione elettorale indipendente (Iec), Ahmed Yousuf Nuristani, e alla mancata nomina di ministri e alti funzionari governativi.
Cinque dirigenti del tempio indiano distrutto dalle fiamme si consegnano alla polizia
Alto ufficiale nordcoreano chiede asilo politico a Seoul
Indagini a tutto campo in Kerala
Fuga da Pyongyang
I parenti di una delle vittime del crollo del tempio di Puttingal (Ap)
NEW DELHI, 12. Cinque massimi responsabili del tempio di Puttingal,
nello Stato indiano meridionale del
Kerala, teatro domenica di uno spettacolo pirotecnico trasformatosi in
tragedia — nel rogo sono morte 112
persone — si sono consegnati ieri alle forze dell’ordine. Latitanti subito
dopo l’incidente, i cinque (il presidente del comitato di gestione del
tempio, il segretario generale, il tesoriere e altri due alti responsabili)
hanno deciso di consegnarsi alle autorità del Kerala, riconoscendo le
proprie responsabilità. Si aggiungono ad altri cinque dipendenti del
tempio che erano stati arrestati dagli
agenti. Lo spettacolo di fuochi d’artificio, organizzato in occasione di
una manifestazione religiosa, alla
quale prendevano parte decine di
migliaia di persone, era stato vietato
per ragioni di sicurezza.
SEOUL, 12. È destinata a crescere ulteriormente la tensione tra le due
Coree. Un alto funzionario militare
del Reconnaissance General Bureau,
l’agenzia di intelligence nordcoreana, ha disertato e ha chiesto rifugio
a Seoul. Moon Sang Gyun, portavoce del ministero della Difesa di
Seoul, ha confermato l’operazione
che ha coinvolto un ufficiale con il
rango di “colonnello senior” e che è
stata completata nel 2015, senza fornire altri elementi sulla vicenda.
Una settimana fa aveva fatto il giro del mondo la notizia di un gruppo dei tredici dipendenti di un ristorante di Pyongyang che, grazie
all'aiuto di Seoul, erano riusciti a
espatriare, suscitando il notevole imbarazzo del Governo nordcoreano.
Il Reconnaissance General Bureau è noto per l’attività di spionaggio
mirata contro la Corea del Sud e i
suoi alleati, oltre ad avere le unità
speciali su spionaggio e attacchi informatici. «L’ufficiale è il più alto in
grado ad aver mai varcato il confine
verso la Corea del Sud e può essere
considerato parte dell’élite tra i nordcoreani che hanno disertato», ha
spiegato una fonte vicina al dossier.
Secondo il ministero sudcoreano
dell’Unificazione, l'uomo potrebbe
anche essere un elemento importante, di valore strategico, e ciò sulla
base di una considerazione molto
semplice: da fine 2011, dalla presa
del potere di Kim Jong Un, oltre 70
funzionari senior tra civili e militari
sono stati giustiziati negli sforzi per
consolidare le posizioni al vertice
del regime comunista di Pyongyang.
E un numero rilevante di funzionari
di medio livello distaccati all’estero
hanno chiesto asilo, in base alle relazioni dell’intelligence di Seoul.
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L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 13 aprile 2016
mercoledì 13 aprile 2016
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Raccolti in un libro testi di Giovanni Battista Montini scritti tra il 1914 e il 1978
Nella storia del Novecento
Lello Scorzelli
«Paolo VI alle Nazioni Unite»
S’intitola da un’espressione del discorso alle Nazioni unite la raccolta
di scritti di Montini Un uomo come voi. Testi scelti (1914-1978), curata
da Giovanni Maria Vian (Genova, Marietti, 2016, pagine 198, euro 16).
Il 14 aprile alle 17.30, in occasione della pubblicazione, avrà luogo a
Concesio (Brescia) nella sede dell’Istituto Paolo VI (via Marconi 15)
una tavola rotonda su Montini nella storia del Novecento.
Interverranno don Angelo Maffeis, presidente dell’istituto, Ferruccio
de Bortoli, editorialista del Corriere della Sera, Giacomo Scanzi,
direttore editoriale del Giornale di Brescia, e il direttore
dell’Osservatore Romano. Pubblichiamo l’introduzione del curatore e
due testi di Montini.
Un uomo come voi
el Palazzo di Vetro di
New York il Papa aveva appena cominciato
a parlare. Davanti a lui
i
rappresentanti
di
mezzo mondo lo seguivano con curiosità e attenzione mentre in francese leggeva un testo lungo e appassionato. Lo aveva scritto personalmente parola per parola in italiano,
e personalmente aveva rivisto la traduzione in quella che era un po’ la
sua seconda lingua, come lo era stata per sua madre, morta all’improvviso mentre meditava sulle pagine di
Bossuet. Aveva studiato il francese
da ragazzo e poi l’aveva perfezionato a Parigi, giovane prete, in un’estate ormai lontana e, soprattutto, l’aveva sempre praticato. Leggendo con
avidità autori sempre amati e usandone spesso la lingua in innumerevoli incontri durante il trentennio
trascorso nella segreteria di Stato vaticana, con responsabilità sempre
crescenti, fino ai vertici.
«Voi avete davanti un uomo come
voi; egli è vostro fratello» disse
Montini, che subito dopo alzando
per un momento gli occhi
dal
testo
aggiunse:
«Oh! voi sapete chi
siamo; e, qualunque
sia l’opinione che
voi
avete
sul
Pontefice di Roma, voi conoscete la nostra mis-
N
sione; siamo portatori d’un messaggio per tutta l’umanità». Anzi —
continuò con un’immagine suggestiva — «siamo come il messaggero
che, dopo lungo cammino, arriva a
recapitare la lettera che gli è stata affidata»; adempiendo «un voto, che
noi portiamo nel cuore da quasi venti secoli. Sì, voi ricordate: è da molto tempo che siamo in cammino, e
portiamo con noi una lunga storia;
noi celebriamo qui l’epilogo d’un faticoso pellegrinaggio in cerca d’un
colloquio con il mondo intero, da
quando ci è stato comandato: Andate e portate la buona novella a tutte
le genti».
Più di mezzo secolo è trascorso da
quel giorno, e nell’incalzare sempre
più convulso del tempo la visita
davvero storica di Paolo VI alla sede
delle Nazioni Unite è quasi dimenticata. Come i contorni del suo pontificato e della sua figura sembrano
lontanissimi e sbiaditi, stretti tra
quelli, meno dimenticati, del predecessore Roncalli — l’amico di sempre, che appena eletto in conclave lo
aveva scelto come suo primo cardinale, risarcendolo così dell’esilio da
Roma — e soprattutto del successore
Wojtyła e del suo lunghissimo regno, dopo la brevissima e misteriosa
parentesi di Luciani. Un pontificato,
quello di Montini, e il suo protagonista dunque ormai lontani nella
memoria pubblica, ma che Papa
Bergoglio, più ancora della causa di
canonizzazione, sta richiamando ai
nostri giorni dimentichi.
In quelle parole del discorso
all’Onu c’è tutto l’uomo e il cristiano divenuto successore dell’apostolo
Pietro, così come l’immagine che più
lo rappresenta è semplice e immediata: una mano che si protende. Un
servizio giornalistico della televisione
italiana di quegli anni lo documenta,
mostrando il Pontefice che, da pari a
pari, uomo istintivamente moderno,
più incisiva del cristianesimo delle
origini? Un uomo e un cristiano, appunto, che ha attraversato gran parte
del Novecento appassionato e pienamente partecipe del suo tempo. Nato il 26 settembre 1897 a Concesio,
piccolo paese alle porte di Brescia, si
spense infatti quasi all’improvviso,
non ancora ottantunenne, la sera del
6 agosto 1978, festa della Trasfigurazione, nella calura soffocante della
residenza pontificia di Castel Gandolfo.
Il padre Giorgio, avvocato e giornalista, poi deNel discorso all’Onu sottolineava
putato popolare, era stato tra gli esponenti del
che la missione del Pontefice di Roma
cattolicesimo più aperto
è quella di essere portatore
e responsabile. Dolce e
d’un messaggio per tutta l’umanità
rigorosa al tempo stesso,
la madre Giuditta Alghisi
aveva saputo trasmettere
ai tre figli maschi una
spiritualità profonda ed esigente.
stringeva con semplicità le mani che
Così, affascinato giovanissimo dalla
lo cercavano, certo non rifuggendo
preghiera di un gruppo di monaci
da quanti baciavano la sua, ma senfrancesi esiliati nella campagna breza cercare omaggi che avvertiva desciana, il secondogenito Battista avsueti. E a evocare il simbolo della
vertì presto la vocazione religiosa,
mano che si apre, celebrando nel
maturata nell’ambiente aperto dei
duomo di München una mespreti oratoriani di Brescia. Ordinato
sa per il Papa appena morsacerdote nel 1920, per completare
to, fu poi anche Ratzingli studi si trasferì nell’autunno di
ger — il teologo che
quell’anno a Roma, dove rimase sino
era cardinale da appealla fine del 1954, quasi senza interna un anno, creato
ruzioni. Nel 1924 entrò infatti nel
nell’ultimo concistoro
servizio diplomatico della Santa Sedi Paolo VI — in
de e trascorse un trentennio in Seun’omelia che allora
greteria di Stato, con ruoli di responsabilità crescente — come stretto
collaboratore di Pacelli, prima segretario di Stato e poi Pontefice — fino
a raggiungerne i vertici (come sostituto dagli ultimi giorni del 1937 e
come pro-segretario di Stato dalla fine del 1952). Da Roma fu allontanato con la nomina, tanto prestigiosa
quanto impegnativa, ad arcivescovo
di Milano. Ma l’esilio milanese si rivelò decisivo: creato cardinale dal
nuovo Papa, l’amico Roncalli, alla
morte del Pontefice venne eletto come suo successore la mattina del 21
giugno 1963, mentre il primo sole
Lello Scorzelli,
d’estate inondava di una luce acceBusto di Paolo VI
cante piazza San Pietro. «Il mondo
dal monumento del duomo
mi osserva, mi assale. Devo imparare
di Brescia
ad amarlo veramente. La Chiesa,
qual è. Il mondo qual è» annota il
giorno dell’elezione, a notte inoltrata, nell’appartamento pontificio, che
gli causa «impressione profonda, di
passò del tutto inosservata. Il testo è
disagio e di confidenza insieme». E
invece una rilettura essenziale della
nella stessa piazza dove per la prima
figura di Montini e in alcuni tratti
volta si era affacciato dalla loggia
anticipa in modo impressionante il
della basilica vaticana, e dove era
destino che lo stesso Ratzinger
stato incoronato in una cerimonia
avrebbe vissuto trentacinque anni
d’altri tempi che non si sarebbe mai
più tardi.
più ripetuta, la sera del 12 agosto
«In cerca d’un colloquio con il
1978 vennero celebrati i semplici fumondo intero»: l’espressione usata
nerali del Pontefice, mentre il vento
dal Papa a New York racchiude il
sfogliava le pagine di un vangelo
suo itinerario biografico, in apparenaperto sulla sua bara deposta per
za scarno, e il quindicennio di un
terra.
pontificato drammatico e decisivo.
Tutto era mutato nel quindicennio
«Forse la nostra vita non ha altra
trascorso tra quelle due estati: il
più chiara nota che la definizione
mondo non era più quello ottimista
dell’amore al nostro tempo, al nostro
e impaziente di uscire dalla guerra
mondo, a quante anime abbiamo
fredda e dal colonialismo, entrato
potuto avvicinare e avvicineremo:
com’era nella transizione difficile, e
ma nella lealtà e nella convinzione
per tanti aspetti oscura, verso il nuoche Cristo è necessario e vero» anvo secolo. Appena eletto, Montini
notava infatti il Papa in un appunto
non aveva voluto chiamarsi né Pio
(che risale probabilmente a qualche
né Giovanni, come i Pontefici che
mese prima del discorso all’Onu) sul
aveva servito con intelligenza e lealpredecessore Roncalli, con il quale
tà, ma aveva preso il nome dell’apogià veniva contrapposto ideologicastolo missionario per eccellenza, fimente. Abituato a riflettere su se
gura decisiva per la religione di Cristesso, Montini scrisse sempre molsto, quel san Paolo le cui idee e lettissimo: appunti personali, lettere,
tere aveva studiato a fondo da gioarticoli, discorsi, in una grafia sorvevane. E come Paolo viaggiò per angliata e chiara, con pochi ripensanunciare il Vangelo sino ai confini
menti. È poi il Papa stesso — caso
della terra. Con scelte essenziali, tornon frequente — a scrivere personalnando innanzi tutto nei luoghi di
mente buona parte dei testi pubblici
Cristo, come mai era accaduto a un
del pontificato, spesso bellissimi e
successore di Pietro. Poi in India,
che impressionano per la coerenza,
nelle Americhe e fino alle Samoa nel
anche stilistica, con quelli degli anni
Pacifico, toccando tutti e cinque i
precedenti, fin giovanili.
continenti, primo Papa a recarsi in
Ma chi era questo Papa che scelse
tutto il mondo. Lo avrebbero seguiper sé il nome di san Paolo, la figura
to i suoi successori, ma nessuno nel
modo scarno e semplice di Montini:
nove viaggi internazionali in sette
anni, tanto rapidi quanto eloquenti.
Il conclave era stato piuttosto breve — in tutto, una quarantina di ore
— ma l’andamento certo non fu facile. L’eletto, erede di fatto indicato di
Papa Giovanni, raccolse consensi
probabilmente appena più larghi
della maggioranza richiesta di due
terzi più uno, comunque considerevole e certo più ampia dell’ala riformatrice del collegio cardinalizio.
Unico candidato realmente eleggibile in grado di poter assicurare la
continuità con Roncalli, il nuovo Papa riconvocò infatti il Vaticano II,
sospeso secondo le norme canoniche
alla morte del predecessore.
E ne decise la ripresa subito dopo
l’elezione in conclave, lui che per
rinnovare il volto della Chiesa con
ogni probabilità mai avrebbe pensato a un concilio, preferendo piuttosto l’esercizio ordinario e responsabile dell’autorità papale. «Non devo
avere paura, non devo cercare appoggio esteriore, che mi esoneri dal
mio dovere, ch’è quello di volere, di
decidere, di assumere ogni responsabilità, di guidare gli altri, anche se
ciò sembra illogico e forse assurdo»
scrive durante i primi esercizi spirituali un mese e mezzo più tardi, nella solitudine di Castel Gandolfo.
Di questa autorità il Papa si servì
per condurre la maggiore assemblea
di vescovi mai convocata verso l’“aggiornamento” desiderato da Roncalli
e ormai maturo, alternando pazienti
mediazioni a interventi decisi, che
scontentarono le ali estreme dello
schieramento conciliare, ma riuscirono a ottenere un consenso quasi plebiscitario al rinnovamento disegnato
nei documenti del Vaticano II e perseguito con coraggio durante l’intero
pontificato. Decisioni personali furono per esempio, prima della conclusione del concilio, l’avocazione alla
responsabilità papale della decisione
su due questioni dibattute come il
celibato dei sacerdoti e il controllo
delle nascite, oggetto poi di due encicliche controverse, l’istituzione del
sinodo dei vescovi — organismo rappresentativo e consultivo dell’episcopato mondiale che di fatto, tra luci e
ombre, ha favorito lo sviluppo della
collegialità episcopale — e la riforma
del Sant’Uffizio.
All’interiorità e alla vicenda esteriore dell’uomo e del cristiano vuole
introdurre questa scelta di scritti,
inevitabilmente ristretta e dalla quale
restano esclusi testi anche molto importanti e personali — come l’enciclica programmatica Ecclesiam suam,
interamente scritta dal Papa — che
però sarebbe stato necessario presentare solo in parte. Sono dunque testi
personali di Montini, tutti pubblicati
nella loro integralità e nella forma
originale, che si estendono con
un’impressionante coerenza, anche
stilistica, per oltre un sessantennio.
Fino all’ultima omelia per la festa
dei santi Pietro e Paolo, bilancio solenne e commovente del pontificato
tracciato dal Papa ormai presago
della morte alla quale, nel trascorrere inesorabile del tempo, da anni si
era preparato. (g.m.v.)
Tenue lume
Nel giugno 1953, da circa sei mesi prosegretario di Stato per gli affari ordinari, scrive una prefazione, rimasta
inedita per quasi mezzo secolo, su una
singolare e moderna forma di vita religiosa: quella dei Piccoli Fratelli di Gesù ispirati dall’esperienza di Charles de
Foucauld.
Pietro e la barca
Morto Pio XII il 9 ottobre 1958, il giorno dopo ne
dà l’annuncio alla diocesi con un messaggio, e per il
discorso tenuto il 12 durante l’ufficio funebre nel duomo di Milano prepara un testo poi non usato.
Ma così pregando non facciamo torto alla sua
virtù, quasi fosse incompleta ed avesse bisogno
della misericordia di Dio?
Che Egli fosse Uomo buono, tutti sappiamo.
Aveva ricevuto doni naturali copiosissimi, custoditi in sembianze fisiche esili e deboli, ma resistenti e protette da una sobrietà e da una regolarità di vita semplice ed austera, quasi claustrale,
che ben si addiceva all’innocenza e alla mitezza
del suo animo; un animo fine, gentile, sensibilissimo, ma non emotivo; dotato di grandissima
versatilità, pronta e inesauribile; di memoria prodigiosa, fotograficamente fedele, al servizio d’un
temperamento equilibrato e sereno, e penetrato
da pietà abituale e composta. Poi un’educazione
sana e imbevuta di spirito romano, un po’ aristocratico e classicheggiante, ma ricco altresì di
buon senso e di buon umore di popolo, e forte
d’un vigilante senso del dovere, testuale e preciso, che si palesava in uno sforzo continuo di perfezione formale e morale, presente nelle piccole
cose — la puntualità, la calligrafia, la purezza della lingua, il ricordo dei particolari... — e nelle
grandi cose — i suoi discorsi, la sua arte diplomatica, la coscienza della sua missione, la sua visione del mondo.
Poi un’esperienza unica. Quella della vita romana, quella della fede cattolica, quella del servizio alla Santa Sede. Come, non ricordare, ad
esempio, che per le sue mani, in quattordici anni
d’incessante lavoro, passò tutta la legislazione
della Chiesa nella formulazione di quella sintesi
di secoli di letteratura giuridica, che è il Codice
di Diritto Canonico? e come non ricordare che
dalle sue mani uscirono non pochi di quei Concordati con gli Stati dell’Europa superstite dopo
la prima guerra mondiale, che collaudano il Diritto pubblico della Chiesa ad amichevole contatto con il Diritto delle Nazioni moderne?
Poi un Pontificato unico. Voi lo conoscete. Fra
i più lunghi che la storia dei Papi registri. Fra i
più delicati e più duri insieme. La posizione della
Chiesa è quella che tutti sanno: si regge ora per
sole forze spirituali, come società religiosa, ma visibile e organizzata in questo mondo; in un mondo che generalmente e ufficialmente si dice laico,
o agnostico, o addirittura ateo, cioè non considera, — per non dire: non riconosce e non tollera –
quelle medesime forze spirituali di cui vive la
Chiesa. Il suo equilibrio è quello d’una nave sopra un mare agitato. La barca di Pietro è investi-
ta da questa mobilità, da questa avversità dell’elemento in cui svolge il suo corso. Avete mai riflesso alla contrarietà di questi due simboli: la barca
e la Pietra? Vacillante l’immagine del primo simbolo e vacillante la realtà ch’esso delinea; immobile l’immagine del secondo, come immobile la
realtà che pur esso esprime; ed insieme vanno,
nei secoli, Pietro e la barca a significare due opposte, ma vitalmente complementari prerogative
della Chiesa, la sua relatività alla storia e alla
condizione umana e la sua trascendente fermezza
Francesco Messina, «Monumento funebre a Pio
XII»
(1963)
al disegno e alla virtù divina che reca con sé. Ebbene, questa strana sintesi assurge nel Pontificato
di Pio XII a grado mai visto. Nessun Pontificato
forse ha tanto subito la violenza e l’insidia delle
trasformazioni del mondo; pensate alla guerra gigantesca che tutta si è svolta nel suo periodo,
pensate all’evoluzione economica, scientifica, sociale e politica della vita contemporanea, che
sembra scuotere ogni cardine di pensiero e di legge morale e religiosa. E nessun Pontificato forse
è stato vicino alla vita umana come quello che
con la morte di Pio XII ora si è chiuso. Crediamo
sia questa la caratteristica saliente della sua ventennale opera apostolica: l’accostamento al mondo moderno.
È stato voce principalmente. Ricordo che nella
prima Udienza che Pio XII, appena eletto Papa,
concesse a S. Ecc. Mons. Tardini ed a me, che
eravamo rimasti, sempre alle sue dipendenze, alla
direzione degli uffici della Segreteria di Stato, ebbe a dire, quasi sgomento dell’immane dovere
che Gli cadeva su le spalle: «Ora dovrò parlare;
chi sa quanto parlare!». E parlò. Lo sappiamo.
Ma dobbiamo notare come la Sua parola di Vicario di Cristo non solo fece eco, come doveva, alla
voce della rivelazione divina, ma risuonò, continua e potente, come voce della coscienza umana.
I diritti del Vangelo apparvero coincidenti con
quelli dell’uomo. L’umanità ebbe in Pio XII il suo
interprete, il suo araldo, in ore di confusione ostinata e di tragici errori. E spesso ancor più che
Dottore, apparve l’Amico del nostro tempo. Le
grandi tesi della civiltà moderna ebbero in Lui
l’assertore più informato e più coerente: i temi
della giustizia, della pace, del diritto e del dovere, della libertà, della persona umana, del lavoro,
della democrazia, della scienza, dell’economia,
dell’arte, e dite pure della medicina, dell’arte, del
cinema, dello sport, e innumerevoli altri, ascoltammo trattati e pervasi da una Verità e da un
Amore, che ben scopriva il credente, intuiva l’incredulo, ammiravano tutti. Egli pensò, Egli studiò, Egli conobbe, Egli sofferse, e finalmente
Egli espresse questa nostra vita umana, nei suoi
principii sacri e profondi, nelle sue manifestazioni
più evidenti e più recondite, più comuni e più
singolari. La Sua versatilità lo rese enciclopedico;
amò anzi moltiplicare i suoi interventi, valendosi
delle sue mirabili virtù poliglotte, nei campi più
remoti e più impervii, e sempre con tocco di
competenza scientifica, e con colpo d’ala spirituale volante alle somme cause. Parlò di tutto. Parlò
con tutti. Divenne suo programma: instaurare
omnia in Christo; tutto bisogna ricondurre a Cristo. Oh, non nuovo programma! Pio X e Pio XI
non lo ebbero pure? Ma Pio XII lo svolse in
un’amplissima ed accuratissima opera oratoria,
che arricchisce il patrimonio della letteratura ecclesiastica e che tramanderà nel tempo il nome di
tanto Maestro.
E alla voce si unì l’opera. Questa fu naturalmente contenuta nei perimetri concreti delle limitate possibilità della Sede Apostolica, ma tale essa parimente fu, da dare al mondo il senso e la
speranza, la prova spesso d’una carità dappertutto vigile ed operante. Ma oltre la misura di quest’opera, bisogna osservarne le direzioni. E prima
direzione, la più evidente, la più seguita, fu quella della pace. Era la sua divisa: opus justitiae pax.
Fu il suo impegno. L’arte Sua di trattare con gli
uomini responsabili non cessò mai d’esplicarsi in
questo senso, tanto umano e tanto cristiano.
Quegli avversari, che per partito preso accusaro-
Pio XII è stato voce principalmente
La sua parola di Vicario di Cristo
non solo fece eco alla voce
della rivelazione divina ma risuonò potente
anche come voce della coscienza umana
no ed accusano il Papa d’aver favorito la guerra,
dovrebbero cercare per i loro tristi scopi un’accusa più intelligente e meno clamorosamente smentita, non solo dai fatti e dall’universale testimonianza degli onesti, ma dagli stessi amici di tali
avversari. Ricordo la meraviglia prodotta dalla
lettera rivolta alla Santa Sede dallo scienziato
Curie, nella quale egli stesso candidamente riconosceva che il Papa aveva sempre cercato di promuovere la pace fra le nazioni. E premio quasi di
questa Sua azione audace e tenace di pacificazione durante la guerra più distruttrice che la storia
ricordi, strappò agli uomini, o meglio ottenne
dalla Provvidenza, di preservare Roma dalla rovina.
Così ogni altra direzione dell’opera Sua è rivolta a fare del cristianesimo la grande beneficenza intellettuale, morale e sociale del mondo,
un’incessante manifestazione di verità, di bontà e
di carità.
Ma non è possibile ora descrivere, anche in minima parte, quest’opera immensa. Ci piace accennarvi così, per ritornare al nostro dolore d’aver
perduto un Uomo così buono e così grande, e
ancora per chiederci perché dobbiamo pregare
per Lui.
Per comprendere queste pagine bisognerà avere qualche conoscenza della singolare figura di asceta e di mistico da cui traggono ispirazione, di
Carlo de Foucauld, o, come ormai è
chiamato dai suoi seguaci, Carlo di
Gesù. Eremita missionario era divenuto dopo essere stato ufficiale
dell’esercito coloniale francese, e dopo essersi convertito a fervore di vita
cristiana, ammaestrato e affascinato
dal misterioso incanto del deserto
africano; poi pellegrino in Terra
Santa, si fa trappista, vagante
dall’Armenia a Roma, lascia l’ordine
per ritornare in Palestina, e di là ripassare in Francia, donde, ordinato
Sacerdote, ritorna in Africa, ormai
sua patria spirituale, e vi consuma
anni di poverissima vita, assistendo,
nomade lui stesso, le tribù musulmane; si stabilisce poi nell’oasi di Tamanrasset, nello Hoggar, per terminare l’anelante sua carriera terrena
assassinato, su la porta del suo eremitaggio, da quegli stessi ai quali
aveva portato, pieno e benefico,
l’umile dono della sua amicizia: questo fu il primo dicembre del 1916.
Una vita così varia e tormentata,
così vagabonda e insieme così tranquilla, solitaria ed avida d’incontri
spirituali, agitata da molteplici esperienze e strane avventure e resa da
esse ognor più semplice e raccolta,
così gradatamente spoglia di tutto e
insieme progressivamente ricca di
bontà e di amore, sconcertante e avvincente, spunta come un tenue lume fra le mille luci fatue del nostro
secolo, e a mano a mano ch’essa si
allontana nel tempo diviene un faro,
e segna un cammino.
Questo cammino è ora percorso
dal Padre Renato Voillaume, Priore
Generale dei Piccoli Fratelli di Gesù, che esorta con questi scritti spirituali le sue umili comunità, le “fraternità”, che dallo spirito di Carlo di
Gesù derivano recente origine. Nasce così un volume di spiritualità che
viene ad arricchire la letteratura religiosa d’un notevolissimo contributo.
Più che un trattato, più che un libro
questa collezione di scritti occasionali è un documento di vita religiosa
scaturita dall’esempio coraggioso e
meraviglioso dell’asceta del Sahara, e
sta a provare la perenne capacità
della Chiesa cattolica a generare
autentici seguaci di Cristo, creando
stupore e gaudio per la singolarità
del fenomeno religioso ch’esso descrive, suscitando inquietudine e fascino per la profondità e la semplicità spirituale ch’esso richiama, e
offrendo un codice di ascesi
evangelica, spinta da un lato ad
espressioni primitive e genuine della
tradizione
monastica,
innestata
dall’altro nelle più elementari condizioni d’esistenza e d’attività di umili
classi sociali.
L’opera tratta una quantità di
questioni riguardanti la perfezione
religiosa, le virtù che le sono proprie, la povertà e la carità specialmente, la santificazione alimentata
dalla celebrazione delle feste liturgiche, i grandi temi dell’ascetica e della mistica, l’analisi dell’anima umana
assetata d’unione con Dio, e guidata
dalle lezioni evangeliche al servizio e
all’amore del prossimo, all’abnegazione di sé, alla visione del mondo e
della vita nel grande e lucido quadro
della sapienza del Maestro divino: il
lavoro e la preghiera, il silenzio e la
parola, la solitudine e la socialità, il
nascondimento e l’amicizia, il valore
del tempo e quello dell’eternità, la
libertà di spirito e l’obbedienza facile e spontanea, la conoscenza delle
miserie umane e la stima dell’uomo,
la tranquillità e il coraggio, l’arte di
soffrire e insieme di godere, l’indi-
pendenza dal mondo e l’ansia di salvarlo, il distacco dalle creature e la
capacità di gustarne il linguaggio e
la bellezza, e tanti altri temi, diversi
e ricondotti ad armonia interiore, ricorrono in queste pagine e dimostrano quella larga informazione dottrinale e quella personale esperienza
che danno ad un libro credito e interesse non comune.
Su tante cose potranno i dotti discutere e gli esperti commentare;
non vogliamo qui dare un giudizio.
Bastino intanto a raccomandare il
volume all’attenzione dei lettori italiani alcune circostanze che possono
aprirgli la via ad una favorevole accoglienza. La povertà innanzitutto
della maggior parte del Clero italiano: essa ha bisogno di provvidenze,
di cui ora non è qui dato discorrere;
ma essa è di per sé tale veste, che altra migliore non potrebbe essergli riconosciuta per qualificare ammirabile il suo quotidiano disinteresse e
per disporlo all’esercizio del suo ministero nella forma più propizia a
renderlo convincente e a dargli dignità e merito d’autenticità evangelica. Essa può quindi, così considerata, fare della più umile e spoglia vita
ecclesiastica un esercizio di santità,
che facilmente troverà nelle pagine
del libro confortanti analogie, interpretazioni appropriate, esempi calzanti.
E il beneficio d’una simile esortazione alla santità attinta dalla povertà sarà anche maggiore, se un’intenzione, altrettanto moderna che urgente, di evangelizzazione del popolo s’aggiunga a quella del distacco
dai beni materiali; l’intenzione cioè
che apre gli occhi sullo stato d’abbandono spirituale di larghissimi
strati di popolazioni sia urbane che
rurali, e che spinge nei suburbi religiosamente più desolati, nei centri di
lavoro e di traffico più profani,
nelle campagne più remote dal
campanile l’apostolo della
società presente, non più
imperniata sul tempio e
su Dio, ma su l’utilizzazione del mondo e
su l’uomo. Anche
per questa avventurosa penetrazione pastorale, che fa del
prete e del laico desiderosi della salvezza
del prossimo degli autentici missionari, la
scuola delle Fraternità di Carlo de Foucauld offre magnifiche lezioni di coraggio, di saggezza, di carità.
E mostra in
esempi, che hanno il paradossale
aspetto dell’eroismo abituale, come all’evangelizzazione della dottrina e della grazia debba essere previa, o concomitante l’evangelizzazione della vita di
chi predica e personifica Cristo. Davanti al lettore esterefatto passano
visioni lontane, troppo spesso confinate nel campo della reminiscenza e
della fantasia: sono gli apostoli,
mandati da Gesù, al loro primo
esperimento annunciatore del regno
di Dio, sine pera, sine calceamentis;
sono le strane figure dei primi eremiti, esuli volontari nel deserto, precursori del futuro cenobio e del futuro villaggio cristiano; sono i fraticelli medioevali che vanno ornati di
povertà e di letizia a ristorare nel
mondo la speranza dell’era cristiana;
sono i pellegrini ardimentosi che traversano continenti ed oceani per recare la buona novella ai lidi più lontani; e oggi sono finalmente i piccoli
fratelli di Gesù, che vanno vagando
ai margini delle opere già organizzate, delle città già costruite, della civiltà già stabilita, per farsi silenziosi
e modesti pionieri dell’amore cristiano. Questo istinto della più umile
evangelizzazione oggi è diventato
ideale, e dona ai seguaci di Carlo di
Gesù il loro talento religioso: escono
dalle abitudini comuni per conservare la tradizione evangelica; dimettono la veste dignitosa per assumere
quella della fatica misera e dura; lasciano le comunità bene organizzate
in collegi impersonali per creare piccoli nuclei di amici che lavorano,
pregano, vivono insieme; ripudiano
La vita di Carlo de Foucauld
così vagabonda e insieme così tranquilla
sconcertante e avvincente
spunta fra le mille luci fatue
del nostro secolo
ogni distinzione esteriore per assimilarsi agli umili ceti sociali, ove hanno scelto di vivere; fanno della rinuncia, dell’abbassamento, della pazienza uno strumento di predicazione silenziosa, una possibilità di amicizia e di apostolato; ma conservano
soprattutto nell’intimo del cuore e
nel rifugio delle poverissime abitazioni un’assidua, un’ardente pietà di
contemplativi e di adoratori, e ne
Charles de Foucauld
traggono la difesa dalla volgarità circostante, la capacità di diffondervi
l’ineffabile profumo di Cristo.
Quanti sacerdoti, quanti Religiosi
e Religiose quanti buoni fedeli, in
un paese così povero di ricchezze
economiche come l’Italia, e così ricco di patrimonio spirituale trascorrono la loro vita, e per generosa elezione e per forza di cose, in condizioni presso che analoghe a quelle
che l’ardita vocazione dei piccoli
Fratelli preferisce per lo sviluppo
della propria spiritualità; quante anime perciò che anelano alla sequela
del Maestro troveranno nelle pagine
di Padre Voillaume la propria lezione di santità.
E perché ciò sia, mentre della miseria, della sofferenza, dell’abbiezione sociale si arma la negazione di
Dio, il materialismo rivoluzionario,
l’anticlericalismo politico, queste pagine sono offerte al pubblico cattolico italiano, come scuola come esempio di ben diversa trasfigurazione
cristiana dell’umana fatica, in segno
di coraggio e di speranza.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
mercoledì 13 aprile 2016
La cattedrale
dell’Immacolata Concezione a Mosca
Progetto di collaborazione tra patriarcato di Mosca e Chiesa cattolica
Insieme per la Siria
MOSCA, 12. Il patriarcato ortodosso di Mosca e la Chiesa cattolica uniranno gli sforzi per sostenere il restauro delle chiese cristiane in Siria gravemente danneggiate, quando non completamente distrutte, dalla furia delle
milizie fondamentaliste del cosiddetto Stato islamico. È quanto
rende noto un comunicato del
Dipartimento per le relazioni
esterne della Chiesa ortodossa
russa a seguito di una visita di
due giorni — il 6 e 7 aprile scorsi
— che una delegazione delle due
Chiese ha compiuto in Siria e in
Libano per coordinare gli aiuti
umanitari e concordare una serie
Ortodossi greci
e grande concilio
ATENE, 12. L’assemblea dei vescovi della
Chiesa ortodossa di Grecia si riunirà in
sessione straordinaria dal 24 al 25 maggio
per discutere e sottomettere ad approvazione tutti i temi del prossimo concilio
panortodosso, in programma a Creta dal
16 al 27 giugno. A riferirlo è il sito in rete
Orthodoxie.com
citando
l’agenzia
Romfea. L’obiettivo del sinodo permanente è quello di dare alla delegazione che
rappresenterà la Chiesa di Grecia «pieni
poteri» per ratificare i testi finali e le
decisioni del concilio, su alcuni dei quali
non sarebbe stata ancora trovata unanime
intesa.
di iniziative. «La necessità di redigere un elenco dettagliato dei
luoghi cristiani distrutti e danneggiati durante la guerra in Siria
e il rafforzamento della comune
testimonianza cristiana della tragedia siriana sono stati riconosciuti come una delle priorità a
breve termine», si legge nel comunicato, in cui si evidenzia proprio come «la tragedia in corso in
Medio oriente», di cui sono vittime rappresentanti delle diverse
confessioni cristiane e di altri
gruppi etnici e religiosi, e «la necessità di un’azione urgente per
migliorare tale situazione», sono
state al centro dello storico colloquio avvenuto il 12 febbraio scorso all’Avana tra il patriarca di
Mosca Cirillo e Papa Francesco.
Della delegazione hanno fatto
parte lo ieromonaco Stefan
(Igumnov), segretario per le relazioni inter-cristiane del Dipartimento per le relazioni esterne del
patriarcato, l’arcivescovo della
Madre di Dio a Mosca, monsignor Paolo Pezzi, e rappresentanti della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre.
Numerosi e importanti gli incontri che la delegazione ha avuto prima in Libano e poi in Siria.
A Beirut si è tenuta una riunione
con il cardinale Bechara Boutros
Raï, patriarca di Antiochia dei
Maroniti, e il nunzio apostolico
Gabriele Giordano Caccia. Alla
riunione ha partecipato anche
l’igumeno Arsenij (Sokolov), rappresentante del patriarca di Mosca presso il patriarca di Antio-
chia. Successivamente la delegazione ha visitato la città di Zahle,
il più grande centro abitato della
Valle della Beqā, dove si trovano
circa duecentocinquantamila profughi dalla Siria. In particolare, i
rappresentanti della Chiesa ortodossa russa e della Chiesa cattolica hanno visitato i campi di soggiorno temporaneo, dove hanno
trovato rifugio cristiani e musulmani, e hanno incontrato i capi
delle più grandi comunità cristiane di questa regione del Libano:
il metropolita Anthony di Zahleh
e Baalbek, della Chiesa ortodossa
di Antiochia, e l’arcivescovo di
Zahleh e Furzol dei greco-melchiti, Issam Jouhanna Darwich. La
delegazione ha anche fatto visita
a una delle mense approntate dalle Chiese locali per la distribuzione di pasti giornalieri ai rifugiati
e ai poveri. A Zahle si è tenuto
anche un seminario, durante il
quale i rappresentanti della Chiesa ortodossa antiochena e della
Chiesa greco-melchita hanno riferito in dettaglio circa la situazione umanitaria nella regione della
Beqā, e degli sforzi compiuti dalle Chiese locali per l’assistenza ai
rifugiati provenienti dalla Siria.
Il giorno seguente la delegazione si è recata a Damasco, dove ha
visitato la cattedrale della Chiesa
ortodossa di Antiochia, incontrandosi con un gruppo di presuli, tra cui Efraim di Seleucia, segretario del santo sinodo. Durante la discussione, lo ieromonaco
Stefan (Igumnov) ha messo in rilievo il ruolo determinante, per
quanto riguarda il coordinamento
degli interventi umanitari in Siria,
della Chiesa ortodossa antiochena, in quanto la più numerosa e
di più antica tradizione.
Successivamente la delegazione
è stata ricevuta dal patriarca della
Chiesa siro-ortodossa, Ignazio
Efrem II, il quale ha sottolineato
l’importanza dell’iniziativa intrapresa dal patriarcato di Mosca e
dalla Chiesa cattolica, e ha parlato degli ultimi sviluppi della situazione in Siria, tra cui la recente liberazione della città di AlKaryateyn. Sempre a Damasco si
è svolta la seconda sessione del
seminario, dedicata alla situazione umanitaria che si è creata a seguito della crisi siriana. All’incontro, che si è tenuto nella sede del
patriarcato greco-melchita, hanno
partecipato rappresentanti delle
diverse confessioni cristiane siriane, che hanno parlato della situazione attuale nelle regioni più
colpite dagli attacchi terroristici,
e dell’esperienza di lavoro umanitario con i sopravvissuti di questa
tragedia. È stato sottolineato, in
particolare, come gli aiuti forniti
dalle Chiese vengano distribuiti
tra la popolazione siriana in difficoltà a prescindere dall’appartenenza religiosa, e dunque non solo ai cristiani ma anche ai musulmani. Nel corso dell’incontro si è
convenuto sulla necessità di rafforzare la presenza cristiana nella
regione. Di qui anche l’obiettivo
di procedere al restauro di chiese
e monasteri.
Il 13 aprile 1991 la riorganizzazione delle diocesi latine
Doppio giubileo
per i fedeli in Russia
MOSCA, 12. Per la Chiesa cattolica
di rito latino in Russia l’anno giubilare della misericordia coincide
con un altro importante giubileo: il
venticinquesimo anniversario della
sua prima riorganizzazione nelle
Repubbliche sovietiche di Bielorussia, Russia e Kazakhstan. Era infatti il 13 aprile 1991 (quindi più di otto mesi prima dello scioglimento
ufficiale dell’Unione Sovietica),
quando fu possibile offrire in questo modo «una nuova vita alla
Chiesa cattolica in Russia e in Asia
I Focolari tra i promotori di un’iniziativa per la Giornata mondiale della Terra
Lettera dei vescovi in vista delle elezioni
Un posto migliore
A pieno titolo
nel futuro della Scozia
ROMA, 12. Dal 22 al 25 aprile si
svolgerà nel cuore verde di Roma, a Villa Borghese, presso il
Galoppatoio, una manifestazione
dal titolo «Villaggio per la Terra.
Vivere insieme la città. Roma in
Mariapoli». L’evento è promosso da Earth Day Italia e dal
Movimento dei Focolari di Roma. Si aprirà con la celebrazione
della 46ª edizione della Giornata
mondiale della Terra, che que-
che promuove la Giornata mondiale della Terra dell’O nu.
«Alla luce dell’enciclica Laudato si’ — spiegano i Focolari in
un comunicato — nella quale Papa Francesco ha invitato tutti alla cura della casa comune, e nella cornice del giubileo della misericordia, “Il Villaggio per la
Terra – Roma in Mariapoli”
vuole far riscoprire la specifica
vocazione di Roma alla fraterni-
st’anno assume una rilevanza ancora maggiore per la scelta, da
parte del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon,
del 22 aprile come primo giorno
utile per la sottoscrizione dello
storico accordo di Parigi sul clima (Cop21), al quale sono chiamati tutti gli Stati del mondo.
Earth Day Italia è la sede italiana dell’Earth Day Network di
Washington, ong internazionale
tà universale che la rende città
unica al mondo». L’evento vuole
essere un villaggio temporaneo
dentro la città e vedrà il coinvolgimento di numerose realtà che
operano quotidianamente a vario titolo sul territorio per rendere la Capitale «un posto migliore in cui abitare, dove ogni cittadino o turista (di ogni età, ceto
sociale o cultura) può sperimentare il proprio insostituibile con-
tributo alla vita della città.
Obiettivo della manifestazione è
creare ponti di dialogo tra le diversità — centro e periferia, giovani e adulti, romani e cittadini
“in transito” — mostrando «tutto
il bello che c’è a Roma perché
incontrarsi nella diversità è possibile, e la solidarietà è un valore
universale».
“Vivere insieme la città” si
snoderà in quattro giorni di attività (workshop, laboratori, seminari, scambio di buone pratiche,
performance artistiche, dibattiti,
momenti di gioco, approfondimenti o la semplice condivisione
del tempo e delle esperienze)
volti ad accrescere la conoscenza
reciproca e l’accoglienza.
La formula scelta per l’evento
è quella della Mariapoli, ispirata
alle parole del Vangelo: «Che vi
amiate gli uni gli altri, come io
ho amato voi» (cfr. Giovanni, 13,
34). Si tratta di un’esperienza rivolta a ogni età, ceto sociale,
provenienza, cultura e fede e nata nel 1949, sui monti del Trentino, quando Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, cominciò a trascorrere dei
periodi di vacanza insieme alla
giovane comunità. Oggi, questo
originale laboratorio di fraternità
tra culture e popoli diversi si ripete in 182 Paesi del mondo.
Nell’anno del giubileo della misericordia, «Roma in Mariapoli»
vuole offrire a quanti parteciperanno la possibilità di condividere un’esperienza di Vangelo vissuto, nella prospettiva delle sfide
culturali e sociali.
Giunto alla sua terza edizione,
il Villaggio per la Terra sarà ricco di appuntamenti e importanti
novità. Oltre ai temi classici della tutela ambientale, saranno affrontate questioni strettamente
legate al tema della sostenibilità,
come la legalità, l’immigrazione
e la partecipazione civica. La
manifestazione è frutto di una
collaborazione con i ministeri
dell’Ambiente e dell’Istruzione e
Roma Capitale, tutti coinvolti in
numerosi progetti di educazione
ambientale.
EDIMBURGO, 12. In una lettera che
sarà letta sabato e domenica prossima in tutte le cinquecento parrocchie cattoliche della Scozia, gli
otto vescovi del Paese esortano la
comunità cattolica a «partecipare
attivamente alla costruzione di una
società migliore» e a non essere
«semplici spettatori passivi» del
processo politico in vista delle
prossime elezioni che si svolgeranno in Scozia il prossimo 5 maggio.
Il messaggio dei vescovi agli elettori cattolici è: «Solo se si usa il
tuo voto si può fare la differenza e
influenzare i nostri leader politici».
È dovere di ogni cattolico —
scrivono i vescovi — cercare di influenzare la società in meglio. I
presuli vi chiedono, quindi, di
esercitare questo diritto democratico e responsabilità andando a votare alle prossime elezioni parlamentari scozzesi.
L’episcopato invita inoltre a riflettere sul fatto che «il Parlamento scozzese ha ora più poteri rispetto a prima e ha una maggiore
voce, di conseguenza, nel determinare il benessere della società». In
particolare — osservano i vescovi —
al Parlamento è stato dato «un
maggiore controllo dell’economia»
e avrà anche maggiori responsabi-
lità sulla legislazione in materia di
aborto in Scozia.
L’invito dei vescovi è quello di
far conoscere i propri punti di vista a candidati e partiti. E visto
che nel sistema elettorale scozzese
i voti sono due, i vescovi esortano
i cattolici a valutare — nel voto al
candidato — chi si sceglie perché
sia «la persona più compatibile»
con le proprie visioni; e nel voto al
partito di controllare chi dei candidati è stato messo tra i primi nomi della lista. «Portate in queste
elezioni i benefici della visione
della fede cristiana» è l’esortazione
finale contenuta nella lettera: i vescovi fanno riferimento alla «dignità di ogni persona, in particolare i più deboli e più vulnerabili»;
al «valore di ogni vita umana dal
concepimento fino alla morte naturale»; alla «famiglia come unità
fondamentale della nostra società»; alla «giustizia sociale ed economica per tutti» e alla «cura della casa comune in cui viviamo. Per
promuovere questi valori — concludono i presuli scozzesi — si potrebbe anche prendere in considerazione la pena di aderire ad un
partito politico. Non lasciamo che
siano gli altri a determinare il futuro della Scozia».
centrale dopo settant’anni di illegalità». A scriverlo — in una lettera
pastorale in occasione dell’anno
giubilare della misericordia ripresa
dall’agenzia Sir — sono i vescovi, i
quali invitano a volgere lo sguardo
a quell’evento, ringraziano Dio
«per tutti i suoi benefici in questi
venticinque anni» ed esortano tutti
i fedeli a pregare con una novena
di ringraziamento, affinché «la
gioia e la gratitudine non lascino i
nostri cuori».
Nel documento i presuli ripercorrono la storia dolorosa del secolo
scorso, risalendo al 1917 quando iniziò una vera e propria via crucis
lunga settant’anni durante i quali vi
furono persecuzioni violentissime e
vennero «distrutte le strutture esterne della Chiesa», dai luoghi di culto ai seminari. «Sono pagine tragiche — scrivono i vescovi — e nello
stesso tempo gloriose della storia
della nostra Chiesa. Noi fedeli del
2000 dobbiamo custodire con premura la memoria dei martiri e confessori della fede del ventesimo secolo».
Il 1° dicembre 1989, poche settimane dopo la caduta del muro di
Berlino, vi fu lo lo storico incontro
in Vaticano tra Giovanni Paolo II e
Mikhail Gorbachev, che rese possibile già nei primi mesi del 1990 l’arrivo a Mosca di un rappresentante
della Santa Sede, l’arcivescovo
Francesco Colasuonno (1925-2003)
che poi, nel 1998, venne creato cardinale. Così, il 13 aprile di venticinque anni fa — ricordano i presuli —
«la Chiesa cattolica in Russia e nelle repubbliche dell’Asia centrale,
dopo settant’anni di clandestinità,
trovò una nuova vita».
Oggi, con spirito di gratitudine, i
vescovi invitano le comunità cattoliche in Russia a vivere il giubileo
della misericordia: «Proviamo ad
aprire il cuore a quanti vivono nelle
più disparate periferie esistenziali,
ai feriti, ai disprezzati. In questo
giubileo ancora di più la Chiesa è
chiamata a curare queste ferite, a lenirle con l’olio della consolazione,
fasciarle con la misericordia e curarle con la solidarietà e l’attenzione
dovuta».
Nella Federazione russa si contano l’arcidiocesi della Madre di Dio
a Mosca, guidata da monsignor
Paolo Pezzi, la diocesi di San Clemente a Saratov, con a capo monsignor Clemens Pickel, la diocesi della Trasfigurazione a Novosibirsk,
affidata a monsignor Joseph Werth,
e la diocesi di San Giuseppe a Irkutsk (che si estende fino al confine
estremo con la Cina), sotto la responsabilità di monsignor Cyryl
Klimowicz.
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 13 aprile 2016
TANGERI, 12. I migranti e la loro accoglienza: questo il tema centrale dell’assemblea della Conferenza dei vescovi della regione nord dell’Africa (Conference Episcopale Régionale du Nord de l’Afrique,
Cerna) svoltasi nei giorni scorsi a Tangeri,
in Marocco. Nel comunicato finale diffuso
al termine dei lavori e siglato da monsignor Paul Desfarges, presidente dell’organismo e vescovo di Costantine, viene innanzitutto scattata un’istantanea delle singole Chiese: in Tunisia, si sottolinea come
la Chiesa cattolica guardi «con fiducia al
cammino del Paese dopo la rivoluzione
del 2011», nonostante «le difficoltà e le
prove» affrontate, come l’attentato al museo nazionale del Bardo, avvenuto a marzo 2015. In particolare, la Chiesa in Tunisia prosegue il suo lavoro nei settori
dell’educazione e della carità, in solidarietà con i migranti che arrivano nel Paese.
La Chiesa in Marocco, invece, guarda
al dialogo interreligioso e punta su iniziative pastorali rivolte ai giovani e sui servizi
per le persone in difficoltà, senza dimenticare che «la comunità cristiana locale si
evolve anche con la nuova presenza dei
migranti».
Quanto all’Algeria, la Conferenza dei
vescovi della regione nord dell’Africa ha
ricordato le difficoltà del Paese di fronte
al crollo del prezzo del petrolio, nonché i
preparativi della Chiesa per il centenario
della morte di Charles de Foucauld, che
ricorrerà il 1° dicembre prossimo, e il ventennale della morte dei monaci di Tibhirine, scomparsi nel marzo 1996.
Per quanto riguarda la Libia, dove si sta
lavorando con difficoltà a un Governo di
unità nazionale, la Cerna sottolinea che
proprio a causa della crisi del Paese, nessun presule è potuto intervenire all’assemblea di Tangeri. Tuttavia, tramite corrispondenza, i vescovi nordafricani sono
stati informati sulle problematiche che sta
vivendo la Chiesa in Libia «in questo
tempo di crisi, con la partenza di molti lavoratori espatriati e la situazione precaria
Conclusa a Tangeri l’assemblea della Conferenza dei vescovi della regione nord dell’Africa
La carità non passa mai
che vivono i migranti. Qualche comunità
religiosa prosegue coraggiosamente il suo
servizio — si legge nel comunicato — sperando che le parti in causa arrivino a restaurare la pace e la stabilità e che per il
Paese e la Chiesa locale sia possibile un
nuovo corso».
Segnali positivi arrivano, invece, dalla
Mauritania, dove la diocesi di Nouakchott
si appresta a celebrare il cinquantesimo
anniversario di fondazione e la comunità
cristiana è in crescita. Da ricordare che
all’incontro di Tangeri ha preso parte anche monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, il quale ha informato i presenti sul lavoro delle istituzioni ecclesiali italiane riguardo all’accoglienza dei migranti e ha presentato «uno
sguardo critico sull’accordo tra l’Unione
europea e la Turchia», che prevede, come
è noto, l’espulsione dalla Grecia verso la
Turchia di tutti i migranti irregolari arrivati dopo il 20 marzo passando attraverso il
confine turco. Critiche alle quali si unisce
la Conferenza dei vescovi della regione
nord dell’Africa, che ha espresso «indignazione davanti alle gravissime conseguenze
di questa politica sui nostri Paesi e, soprattutto, sulla vita dei migranti».
In generale, poi, le Chiese nordafricane
hanno sottolineato che, «in termini statistici, i nostri numeri sono insignificanti e i
battesimi e i matrimoni sono poco numerosi». Tuttavia, le testimonianze di vita
cristiana, gli incontri e i servizi portati
avanti «insieme agli amici musulmani» dimostrano che «il Regno di Dio è all’opera». Riguardo, quindi, alle situazioni politiche “complicate” che si vivono nella regione, i presuli hanno sottolineato che la
missione della Chiesa «non è di prendere
posizioni di principio, ma di porsi accanto
a coloro che soffrono, che cercano aiuto
per vivere in modo degno», in spirito di
fraternità. «La vocazione della Chiesa —
ha spiegato ancora la Cerna — non è incentrata unicamente sul sostegno spirituale dei suoi membri, ma vuole anche testi-
In Ecuador l’episcopato lancia un appello alla leale cooperazione
Crisi sociale nemico da combattere
QUITO, 12. È la crisi socio-economica
in cui versa il Paese la principale
preoccupazione dei vescovi in Ecuador
che, al termine dell’assemblea plenaria
svoltasi nei giorni scorsi a Quito, hanno lanciato un appello al dialogo e alla «leale cooperazione». Nel messaggio finale viene ribadita la necessità di
affrontare «in modo efficace e con
senso di responsabilità» la difficile si-
tuazione, in particolare nel settore sociale ed economico. «Siamo preoccupati per l’impatto che tale situazione
potrà avere sulla vita della popolazione, soprattutto sui giovani colpiti dalla
droga, sulle donne e i bambini vittime
del traffico di esseri umani e su tutte
le persone vulnerabili a causa dell’insicurezza e della disoccupazione», scrive
la Conferenza episcopale.
I presuli messicani al termine della plenaria
Insieme senza egoismo
CITTÀ DEL MESSICO, 12. «Mettercela tutta.
Rassegnarsi mai»: è il titolo del messaggio
dei vescovi messicani presentato nei giorni
scorsi a conclusione dell’assemblea plenaria. Due mesi dopo la visita di Papa Francesco nel Paese, i presuli hanno sottolineato che «il messaggio del Pontefice è calato
nel profondo e ci ha lasciato delle sfide
che dovremmo affrontare», ribadendo poi
il loro impegno ad andare avanti con coraggio di fronte alle difficoltà che «oscurano, deprimono e distruggono» la nazione.
La risposta dei vescovi è un invito a non
sprecare il grande patrimonio culturale e la
pagina 7
diversità di risorse del Paese e di lavorare
insieme «senza egoismo in un progetto comune».
Secondo i presuli, «il Messico deve essere costruito come una famiglia dove nessuno è di troppo». Al riguardo l’episcopato
ha esortato tutti a lavorare e ad impegnarsi
insieme, in comunione di fede. «Non possiamo costruire muri tra di noi, né per altri. Siamo un popolo — si legge nel testo —
che sa darsi una mano a vicenda e costruire ponti al di là delle differenze: riconoscerle e parlarne faccia a faccia ci fa crescere nella verità e nell’unità».
E guardando alle elezioni presidenziali in programma nel 2017, i presuli
mettono in guardia da una campagna
elettorale caratterizzata dall’esasperazione degli scontri politici e, esortando al dialogo, ribadiscono la missione
della Chiesa: «Essere una testimonianza viva di verità e libertà, di pace e
giustizia, affinché la popolazione sia
incoraggiata da una nuova speranza».
Durante i lavori non poteva mancare un approfondimento sullo stato dei
cristiani perseguitati nel mondo:
«Condividiamo il profondo dolore per
le tribolazioni e la drammatica situazione dei nostri fratelli nella fede in
varie parti del mondo. Li teniamo
sempre presenti nella mente e nel cuore e invochiamo il Signore affinché
conceda loro la forza necessaria e la
consolazione della fraterna e concreta
sollecitudine di tutta la Chiesa», in
modo che la loro testimonianza «rafforzi la fedeltà di tutti i battezzati».
Ma forza e sostegno nella fede l’episcopato invita a ritrovarli anche nei
frutti maturati dopo il viaggio apostolico compiuto da Papa Francesco in
Ecuador nel luglio 2015: «Vi esortiamo
a rivedere e a far fruttare la ricchezza
del messaggio che il Santo Padre ci ha
lasciato. Ciò ci rafforzerà nella fede,
rinnoverà le nostre famiglie e farà crescere la nostra società nella solidarietà,
nella gratuità e nella sussidiarietà».
I vescovi esprimono gratitudine a
Francesco anche per l’indizione del
giubileo della misericordia, definito
un’«iniziativa provvidenziale», e ricordano l’importanza di impegnarsi nelle
opere di carità, nella «generosa attenzione al sacramento della riconciliazione» e nello «sviluppo di un atteggiamento più accogliente in tutto il popolo cristiano». Servirà invece a «riscoprire la bellezza del piano di Dio
sul matrimonio» l’esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia, nella
quale — sottolinea la Conferenza episcopale — il Pontefice esalta «il dono
della famiglia per la società» e «la
promozione di molteplici iniziative per
la cura dei nuclei familiari nel contesto
dei problemi attuali».
moniare la carità di Cristo per tutti ed entrare in relazione con i nostri fratelli e sorelle musulmani. E non è facile, a causa di
pregiudizi e di un certo razzismo. Se,
dunque, «le migrazioni interpellano e
comportano rischi e sofferenze», allo stesso tempo i vescovi nordafricani hanno evidenziato «l’importanza spirituale della
mobilità per mettersi all’ascolto dell’altro e
di Dio stesso ed aprirsi alla fraternità».
Quindi, la Cerna ha ricordato che l’Europa non è l’unica meta di arrivo delle migrazioni, perché «non c’è un Paese africano che non accolga, a sua volta, sfollati,
rifugiati ed immigrati». Di fronte, poi, ai
timori di chi pensa all’«islamizzazione»
dell’Europa, la Conferenza dei vescovi
della regione nord dell’Africa si domanda:
«Vivere come una cittadella assediata è
davvero il modo migliore di reagire?». O
piuttosto, “forti della fede”, bisogna «accogliere in maniera dinamica il nuovo
mondo che viene», perché «tutto passa,
ma la carità non passa mai?». Nel comunicato si rende noto che la prossima assemblea della Cerna si terrà in Senegal alla fine del gennaio 2017.
Inizio della missione
del nunzio apostolico in Gibuti
Il 12 febbraio, monsignor Luigi Bianco, arcivescovo titolare
di Falerone, è arrivato all’aeroporto
Djibouti-Ambouli,
dove è stato ricevuto da un
funzionario dell’ufficio del
Protocollo e dal vescovo di
Gibuti, monsignor Giorgio
Bertin O.F.M. Il 14 febbraio,
nella sede del ministero degli
Affari esteri, il rappresentante
pontificio ha presentato copia
delle lettere credenziali al ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Mahmoud Ali Youssouf.
Nel cordiale incontro, il ministro ha rilevato l’apprezzato
contributo della Chiesa cattolica allo sviluppo del Paese,
attraverso le sue istituzioni
educative e caritative.
Nel Palazzo presidenziale,
il 15 febbraio, ha avuto luogo
la solenne cerimonia di presentazione delle lettere credenziali al presidente della
Repubblica, Ismail Omar
Guelleh. Il capo dello Stato
ha espresso ammirazione per
l’attività di Papa Francesco
nell’esercizio della sua alta
missione.
Nel successivo colloquio il
rappresentante pontificio ha
portato il saluto, la benedizio-
ne del Santo Padre per il
popolo di Gibuti e ha rilevato
le buone relazioni esistenti tra
la Santa Sede e la Repubblica
di Gibuti. Il 16 febbraio, il
nunzio apostolico ha incontrato il primo ministro, Abdoulkader Kamil Mohamed,
il quale ha evidenziato il
grande valore che rappresenta
la presenza della Chiesa cattolica nel Paese.
In precedenza il rappresentante pontificio aveva presieduto la messa nella cattedrale
di Gibuti, concelebrata da
monsignor Bertin, a cui, in
precedenza, aveva consegnato
la lettera di presentazione del
cardinale segretario di Stato,
Pietro Parolin. Nell’omelia il
nunzio ha potuto rivolgere un
saluto alla comunità cattolica
locale, manifestando la gioia
di incontrarla. Durante la permanenza a Gibuti, monsignor
Bianco ha avuto la possibilità
di incontrare oltre ai membri
del corpo diplomatico, i sacerdoti e le comunità religiose
e di visitare le scuole cattoliche e il centro della Caritas.
I mezzi di comunicazione
sociale hanno riferito circa gli
incontri del nunzio apostolico
con le autorità civili.
Lutto nell’episcopato
Monsignor Thomas Kwaku Mensah, arcivescovo
emerito di Kumasi, in Ghana, è morto domenica
10 aprile. Era nato il 2 febbraio 1935 ad Assamang, nell’arcidiocesi di Kumasi, ed era stato ordinato sacerdote il 3 giugno 1973. Nominato vescovo di Obuasi il 3 marzo 1995, aveva ricevuto
l’ordinazione episcopale il 28 maggio successivo.
Il 26 marzo 2008 era divenuto arcivescovo di
Kumasi. Il 15 maggio 2012 aveva rinunciato al
governo pastorale della diocesi.
Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice
Domenica 17 aprile 2016
IV di Pasqua
Ordinazione presbiterale nella basilica vaticana
INDICAZIONI
Il 17 aprile 2016, IV Domenica di Pasqua, alle
ore 9.15, il Santo Padre Francesco celebrerà la
Santa Messa nella Basilica Vaticana e conferirà
l’Ordinazione presbiterale ad alcuni Diaconi.
Per la circostanza, l’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice comunica
quanto segue:
1) Gli Ordinandi dovranno trovarsi per le
ore 8.15 alla Cappella di San Sebastiano, nella
Basilica Vaticana, per indossare le vesti sacre.
2) Concelebreranno con il Santo Padre:
— l’Em.mo Cardinale Vicario Generale di
Sua Santità per la Diocesi di Roma, il Vicegerente, gli Ecc.mi Vescovi Ausiliari, i Superiori
dei Seminari interessati e i Parroci degli Ordinandi. Essi, muniti di biglietto rilasciato da
questo Ufficio, sono pregati di trovarsi nella
Cappella di San Sebastiano per le ore 8.15 dove indosseranno le vesti sacre per la celebrazione;
— gli altri Presbiteri, muniti anch’essi di apposito biglietto di questo Ufficio, vorranno
trovarsi per le ore 8.00 nel Braccio di Costantino, portando con sé amitto, camice, cingolo
e stola bianca.
Città del Vaticano, 12 aprile 2016.
Mons. GUID O MARINI
Maestro
delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
mercoledì 13 aprile 2016
Nuovo appello del Papa per l’abolizione della pena di morte e la cancellazione del debito dei Paesi poveri
La non violenza arma di pace
Bisogna rimuovere il muro dell’indifferenza divenuto oggi una triste realtà
La «testimonianza attiva della non
violenza come “arma” per conseguire la
pace» è stata rilanciata da Francesco
nel messaggio inviato lunedì
pomeriggio, 11 aprile, ai partecipanti a
una conferenza promossa dal Pontificio
Consiglio della giustizia e della pace e
dal movimento Pax Christi. Di seguito
il testo italiano del messaggio papale.
Signor Cardinale,
sono lieto di far pervenire il mio
cordiale saluto a Vostra Eminenza e
a tutti i partecipanti alla Conferenza
che si tiene a Roma dall’11 al 13 aprile 2016 sul tema: «Nonviolence and
Just Peace: Contributing to the Catholic Understanding of and Commitment to Nonviolence».
Questo incontro, organizzato congiuntamente dal Pontificio Consiglio
della Giustizia e della Pace e dal
Movimento Pax Christi, assume un
carattere ed un valore del tutto particolari nell’Anno Giubilare della
Misericordia. La misericordia, infatti, è «fonte di gioia, di serenità e di
pace»1, una pace prima di tutto interiore, che nasce dalla riconciliazione
con il Signore2 . È innegabile, però,
che anche le circostanze, il momento
storico, in cui tale Conferenza si
svolge, da una parte la carichino di
aspettative e, dall’altra, non possano
non essere tenute in conto nelle riflessioni dei partecipanti.
Per cercare vie di soluzione alla
singolare e terribile “guerra mondiale a pezzi” che, ai nostri giorni, gran
parte dell’umanità sta vivendo in
modo diretto o indiretto, è necessario riscoprire le ragioni che spinsero
nel secolo scorso i figli di una civiltà
in grande parte ancora cristiana a
dare vita al Movimento Pax Christi
e al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. È necessario,
cioè, operare per una pace vera tramite l’incontro fra persone concrete
e la riconciliazione fra popoli e
gruppi che si affrontano da posizioni
ideologiche contrapposte e impegnarsi per realizzare quella giustizia
cui le persone, le famiglie, i popoli e
le nazioni sentono di aver diritto, sul
piano sociale, politico ed economico
per compiere la loro parte nel mondo3. Infatti, accanto al «sapiente
sforzo di quella superiore fantasia
creativa, che chiamiamo diplomazia»4 che va continuamente alimentato, e alla promozione, nel mondo
globalizzato, della giustizia, che è
«ordine nella libertà e nel dovere cosciente»5, è necessario rinnovare tutti
gli strumenti più adatti a concretizzare l’aspirazione alla giustizia e alla
pace degli uomini e delle donne di
oggi. Così, anche la riflessione per
rilanciare il percorso della non violenza, e in specie della non violenza
attiva, costituisce un necessario e positivo contributo. È quanto si propongono di fare i partecipanti alla
Conferenza di Roma, ai quali vorrei,
in questo mio messaggio, ricordare
alcuni punti che mi stanno particolarmente a cuore.
La premessa fondamentale è che
lo scopo ultimo e più degno della
persona umana e della comunità è
l’abolizione della guerra6. Del resto,
come è risaputo, l’unica condanna
espressa dal Concilio Vaticano II fu
proprio quella della guerra7, pur nella consapevolezza che, non essendo
questa estirpata dalla condizione
umana, «una volta esaurite tutte le
possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa»8.
Altro punto fermo: la constatazione che «il conflitto non può essere
ignorato o dissimulato. Deve essere
accettato»9 per non rimanervi intrappolati perdendo la prospettiva generale e il senso dell’unità profonda
della realtà10. Infatti, solo accettando
il conflitto, lo si può risolvere e
trasformare in un anello di collegamento di quel nuovo processo che
gli «operatori di pace» mettono in
atto11.
Inoltre, da cristiani, sappiamo che
solamente considerando i nostri simili come fratelli e sorelle potremo
superare guerre e conflittualità. La
Chiesa non si stanca di ripetere che
ciò vale non solo a livello individuale ma anche a livello dei popoli e
delle nazioni, tanto che essa considera Comunità internazionale come la
“Famiglia delle Nazioni”. Per tale
motivo, anche nel Messaggio per la
Giornata Mondiale della Pace di
quest’anno ho rivolto un appello ai
responsabili degli Stati perché rinnovino «le loro relazioni con gli altri
popoli, permettendo a tutti una effettiva partecipazione e inclusione
alla vita della comunità internazionale, affinché si realizzi la fraternità
anche all’interno della famiglia delle
nazioni»12.
Come cristiani, sappiamo anche
che il grande ostacolo da rimuovere
perché ciò avvenga è quello eretto
dal muro dell’indifferenza. La cronaca dei tempi recenti ci dimostra che
se parlo di muro non è solo per usare un linguaggio figurato, ma perché
si tratta della triste realtà. Una realtà, quella dell’indifferenza, che investe non solo gli esseri umani, ma anche l’ambiente naturale con conseguenze spesso nefaste in termini di
sicurezza e di pace sociale13.
L’impegno a superare l’indifferenza avrà successo, però, solo se, ad
imitazione del Padre, saremo capaci
di usare misericordia. Quella misericordia che trova nella solidarietà la
sua espressione, per così dire, “politica” poiché la solidarietà costituisce
l’atteggiamento morale e sociale che
meglio risponde alla presa di coscienza delle piaghe del nostro tempo e dell’inter-dipendenza tra la vita
del singolo e della comunità familiare, locale o globale14.
Grande è, allora, nel nostro mondo complesso e violento, il compito
che attende coloro che operano per
la pace vivendo l’esperienza della
non violenza! Conseguire il disarmo
integrale «smontando gli spiriti»15,
creando ponti, combattendo la paura e portando avanti il dialogo aperto e sincero, è veramente arduo.
Dialogare, infatti, è difficile, bisogna
essere pronti a dare e anche a ricevere, a non partire dal presupposto che
l’altro sbaglia ma, a partire dalle nostre differenze, cercare, senza negoziare, il bene di tutti e, trovato infine un accordo, mantenerlo fermamente16.
Del resto, differenze culturali e di
esperienze di vita caratterizzano anche i partecipanti alla Conferenza di
Roma, ma esse non faranno altro
che arricchire gli scambi e contribuire al rinnovamento della testimonianza attiva della non violenza come “arma” per conseguire la pace.
Vorrei, infine, invitare tutti i presenti a sostenere due delle richieste
che ho rivolto ai responsabili degli
Stati, in questo Anno Giubilare:
l’abolizione della pena di morte, là
dove essa è ancora in vigore, insieme
alla possibilità di un’amnistia, e la
cancellazione o la gestione sostenibile del debito internazionale degli
Stati più poveri17.
Mentre auguro cordialmente a Vostra Eminenza e ai partecipanti un
proficuo e fruttuoso lavoro, a tutti
impartisco la mia apostolica benedizione.
FRANCESCO
1. Misericordiae vultus, n. 2.
2. Ibid., n. 17.
3. Cfr. Gaudium et spes, n. 9.
4. Paolo VI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1976, Le
vere armi della pace.
5. Ibid.
6. Discorso al IV Corso di formazione
dei Cappellani Militari al Diritto internazionale umanitario, 26 ottobre
2015.
7. Cfr. Gaudium et spes, n. da 77 a
82.
8. Gaudium et spes, n. 79.
9. Evangelii gaudium, n. 226.
10. Ibid.
11. Ibid., n. 227.
12. Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2016, Vinci l’indifferenza e conquista la pace, n. 8.
13. Cfr. ibid., n. 4.
14. Cfr. Messaggio per la Giornata
Mondiale della Pace 2016, Vinci l’indifferenza e conquista la pace, n. 5.
15. San Giovanni XXIII, Pacem in terris, n. 61.
16. Discorso ai Rappresentanti della
Società civile, Asunción, 11 luglio
2015.
17. Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2016, Vinci l’indifferenza e conquista la pace, n. 8.
Il fondamento è la giustizia
Togliere spazi alla violenza aumentando quelli della
giustizia, della compassione e del dialogo. È l’invito
lanciato dal cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson,
presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, in apertura del convegno «Nonviolence and
Just Peace: Contributing to the Catholic Understanding of and Commitment to Nonviolence», in corso a
Roma, presso l’hotel The Church Village, dall’11 al 13
aprile.
Commentando il messaggio di Francesco, il porporato ha messo in evidenza due aspetti. Innanzitutto occorre distinguere tra «tensione e violenza»: la lotta
contro le ingiustizie, infatti, non deve portare a giustificare «ogni sorta di sconvolgimento sociale», ma essere
occasione per creare maggiore fraternità fra gli uomini.
In secondo luogo va tenuta presente la primaria importanza «della dignità umana e del bene comune», che
non possono essere sottomessi al raggiungimento di
pacificazioni diplomatiche solo transitorie: «il fondamento della pace è la giustizia».
Guardando alle tensioni e ai conflitti che attraversano il mondo contemporaneo e al contributo che istituzioni come il dicastero vaticano e il movimento Pax
Christi — promotori dell’incontro — possono dare nella
ricerca di soluzioni, il cardinale Turkson ha affrontato
il tema della “guerra giusta” e ha sottolineato l’importanza di un coinvolgimento ampio delle nazioni nel
fronteggiare le «aggressioni ingiuste». Infine ha messo
in guardia dal rischio di «identificare il messaggio
evangelico con questo o quel programma politico»: occorre piuttosto impegnarsi nell’individuare singole
azioni concrete e capire che «il coinvolgimento di un
cristiano nella promozione della pace presuppone un
dialogo fra tutti».
Messa a Santa Marta
Sono due le persecuzioni contro i cristiani: c’è quella
«esplicita» — e il ricordo del Papa è andato ai martiri
uccisi a Pasqua in Pakistan — e c’è quella «educata, travestita di cultura, modernità e progresso» che finisce per
togliere all’uomo la libertà, anche all’obiezione di coscienza. Ma proprio nelle sofferenze delle persecuzioni il
cristiano sa di avere sempre accanto il Signore, ha ricordato Francesco durante la messa celebrata martedì mattina 12 aprile nella cappella della Casa Santa Marta.
Per la sua meditazione il Pontefice ha preso le mosse
dalla prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli (7, 518, 1). «Abbiamo ascoltato — ha spiegato — il martirio di
Stefano: la tradizione della Chiesa lo chiama il protomartire, il primo martire della comunità cristiana». Ma
«prima di lui c’erano stati i piccoli martiri che, senza
parlare ma con la vita, sono stati perseguitati da Erode».
E «da quel tempo a oggi ci sono martiri nella Chiesa, ci
sono stati e ci sono». Sono «uomini e donne perseguitati soltanto per confessare e per dire che Gesù Cristo è il
Signore: ma questo è vietato!». Anzi, questa confessione
Due persecuzioni
«Noi quando facciamo un po’ di turismo per Roma, e
andiamo al Colosseo, pensiamo che i martiri erano quelli uccisi con i leoni» ha proseguito il Pontefice. Però «i
martiri non sono stati solo quelli lì». In realtà i martiri
«sono uomini e donne di tutti i giorni: oggi, il giorno di
Pasqua, appena tre settimane fa». Il pensiero di Francesco è andato a «quei cristiani che festeggiavano la Pasqua nel Pakistan: sono stati martirizzati proprio per festeggiare il Cristo risorto». E «così la storia della Chiesa
va avanti con i suoi martiri». Perché «la Chiesa è la comunità dei credenti, la comunità dei confessori, di quelli
che confessano che Gesù è Cristo: è la comunità dei
martiri».
«La persecuzione — ha fatto notare il Papa — è una
delle caratteristiche, dei tratti nella Chiesa, pervade tutta
la sua storia». E «la persecuzione è crudele, come questa
di Stefano, come quella dei nostri fratelli pachistani tre
settimane fa». È crudele «come
quella che faceva Saulo, che era
presente alla morte di Stefano, del
martire Stefano: andava, entrava
nelle case, prendeva i cristiani e li
portava via per essere giudicati».
C’è però, ha messo in guardia
Francesco, anche «un’altra persecuzione della quale non si parla
tanto». La prima forma di persecuzione «si deve al confessare il
nome di Cristo» ed è dunque
«una persecuzione esplicita, chiara». Ma l’altra persecuzione «si
presenta travestita come cultura,
travestita di cultura, travestita di
modernità, travestita di progresso:
è una persecuzione — io direi un
po’ ironicamente — educata». Si
riconosce «quando viene perseguitato l’uomo non per confessare il
nome di Cristo, ma per voler avere
e manifestare i valori di figlio di
Dio». È perciò «una persecuzione
contro Dio Creatore nella persona
dei suoi figli».
E così «vediamo tutti i giorni
che le potenze fanno leggi che obJosé Clemente Orozco, «Il martirio di santo Stefano» (1944)
bligano ad andare su questa strada
e una nazione che non segue que«provoca — in alcuni tempi, in alcuni posti — la persecu- ste leggi moderne, colte, o almeno che non vuole averle
zione».
nella sua legislazione, viene accusata, viene perseguitata
«È quanto appare chiaramente — ha affermato il Papa educatamente». È «la persecuzione che toglie all’uomo
— nel brano degli Atti degli apostoli che leggeremo do- la libertà, anche della obiezione di coscienza! Dio ci ha
mani: dopo il martirio di Stefano scoppiò una grande fatti liberi, ma questa persecuzione ti toglie la libertà! E
persecuzione in Gerusalemme». Allora «tutti i cristiani se tu non fai questo, tu sarai punito: perderai il lavoro e
sono scappati via, sono solo rimasti gli apostoli». Ecco tante cose o sarai messo da parte».
che, ha aggiunto, «la persecuzione — io direi — è il pane
«Questa è la persecuzione del mondo» ha insistito il
quotidiano della Chiesa: d’altronde lo ha detto Gesù».
Pontefice. E «questa persecuzione ha anche un capo».
Nella persecuzione di Stefano «i capi erano i dottori
delle lettere, i dottori della legge, i sommi sacerdoti».
Invece «il capo della persecuzione educata, Gesù lo ha
nominato: il principe di questo mondo». Lo si vede
«quando le potenze vogliono imporre atteggiamenti,
leggi contro la dignità del figlio di Dio, perseguitano
questi e vanno contro il Dio creatore: è la grande apostasia». Così «la vita dei cristiani va avanti con queste
due persecuzioni». Ma anche con la certezza che «il Signore ci ha promesso di non allontanarsi da noi: “State
attenti, state attenti! Non cadere nello spirito del mondo. State attenti! Ma andate avanti, Io sarò con voi”».
In conclusione, Francesco ha chiesto al Signore, nella
preghiera, «la grazia di capire che la strada del cristiano
sempre va avanti nel mezzo di due persecuzioni: il cristiano è un martire, cioè un testimone, uno che deve dare testimonianza del Cristo che ci ha salvato». Si tratta
di «dare testimonianza di Dio Padre, che ci ha creato,
nel cammino della vita». Su questa strada il cristiano
«tante volte deve soffrire: tante sofferenze questo porta». Ma «così è la nostra vita: sempre Gesù accanto a
noi, con la consolazione dello Spirito Santo». E «quella
è la nostra forza».
Nomina episcopale
La nomina di oggi riguarda la nunziatura negli Stati Uniti
d’America.
Christophe Pierre
nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America
Nato a Rennes, in Francia, il 30 gennaio 1946, è stato ordinato
sacerdote il 5 aprile 1970 a Saint-Malo. Ha compiuto gli studi
dapprima in Madagascar, in Francia e in Marocco; poi ha completato la sua formazione nel seminario maggiore arcidiocesano
di Rennes (1963-1969), presso la Pontificia università Lateranense
a Roma e nella Pontificia accademia ecclesiastica (1973-1977). Ha
inoltre conseguito un master in sacra teologia all’Istituto cattolico di Parigi (1969-1971) e un dottorato in diritto canonico a Roma. Dal 1970 al 1973 è stato anche vicario parrocchiale nella parrocchia di San Pedro y San Pablo, a Colombes, in diocesi di
Nanterre. Conclusi gli studi alla Pontificia accademia ecclesiastica, ha prestato il servizio diplomatico presso le rappresentanze
pontificie in Nuova Zelanda e nelle isole del sud del Pacifico, in
Mozambico, in Zimbabwe, a Cuba, in Brasile e presso l’ufficio
delle Nazioni Unite e istituzioni specializzate a Ginevra. Il 12 luglio 1995 è stato nominato arcivescovo titolare di Gunela e nunzio apostolico ad Haiti. Il 24 settembre dello stesso anno ha ricevuto l’ordinazione episcopale a Saint-Malo. Il 10 maggio 1999 è
divenuto nunzio apostolico in Uganda e il 22 marzo 2007 nunzio
apostolico in Messico.