L`OSSERVATORE ROMANO
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L`OSSERVATORE ROMANO
Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLVI n. 84 (47.219) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano mercoledì 13 aprile 2016 . Nuovo appello del Papa per l’abolizione della pena di morte e la cancellazione del debito dei Paesi poveri L’esortazione apostolica La non violenza arma di pace Concretezza affettuosa Bisogna rimuovere il muro dell’indifferenza divenuto oggi una triste realtà di PIERANGELO SEQUERI apertura al definitivo, iscritta nella natura stessa del rapporto coniugale, attraversa i flussi della vita, con la loro combinazione «di gioie e di fatiche, di tensioni e di riposo, di sofferenze e di liberazioni, di soddisfazioni e di ricerche, di fastidi e di piaceri» (Amoris laetitia, n. 126). In altre parole, questa alleanza per la vita, che iscrive il definitivo nel quotidiano della condizione familiare umana, segna la storia e dalla storia è segnata. La prima felice sorpresa dell’esortazione apostolica è proprio il tono sapienziale e avvolgente, penetrante e affettuoso, con il quale la realtà coniugale e familiare è abbracciata ed esplorata in tutta la sua ampiezza. E posta sotto lo sguardo di Dio in ognuna delle pieghe della sua storia, liete o dolorose che siano. Una tale concretezza manifesta già di per sé un profondo cambio di passo e di stile, per la Chiesa stessa. La famiglia esiste. Questa famiglia, che butta il cuore oltre l’ostacolo, e non cede all’usura del tempo, esiste. Il tema della sollecitudine della Chiesa — qui appare, ormai, in modo definitivamente chiaro — non è un ideale metafisico che non conosce la fatica e gli incerti della storia, in cui la famiglia si cerca e si costruisce, può perdersi e deve ritrovarsi. Farsi carico della famiglia, della sua vita e delle sue vicissitudini, rendendo evidente l’alleanza tra Chiesa e famiglia, non è un gesto di condiscendenza. È una storia di passione, non solo di compassione. L’ La «testimonianza attiva della non violenza come “arma” per conseguire la pace» è stata rilanciata da Papa Francesco nel messaggio inviato lunedì pomeriggio, 11 aprile, ai partecipanti a una conferenza promossa dal Pontificio Consiglio della giustizia e della pace e dal movimento Pax Christi. Nel testo — letto dal cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del dicastero organizzatore, durante la sessione inaugurale dell’incontro, che si conclude mercoledì 13 — il Pontefice richiama la necessità di favorire «l’incontro fra persone concrete e la riconciliazione fra popoli e gruppi» per «cercare vie di soluzione alla singolare e terribile “guerra mondiale a pezzi” che, ai nostri giorni, gran parte dell’umanità sta vivendo in modo diretto o indiretto». A questo fine France- sco ribadisce che «il percorso della non violenza, e in specie della non violenza attiva, costituisce un necessario e positivo contributo». Il messaggio insiste su alcuni punti che «stanno particolarmente a cuore» al Papa. Anzitutto riafferma la «premessa fondamentale» che «lo scopo ultimo e più degno della persona umana e della comunità è l’abolizione della guerra». Poi ricorda che «il conflitto non può essere ignorato o dissimulato», perché è proprio attraverso la sua accettazione che «lo si può risolvere e trasformare». Inoltre avverte che «solamente considerando i nostri simili come fratelli e sorelle potremo superare guerre e conflittualità». «Come cristiani, sappiamo che il grande ostacolo da rimuovere perché ciò avvenga è quello eretto dal muro dell’indifferenza» constata Francesco, precisando in proposito che non si tratta di «un linguaggio figurato» ma «della triste realtà». Un compito «grande» e «arduo» attende allora «coloro che operano per la pace vivendo l’esperienza della non violenza»: compito che consiste nel «conseguire il disarmo integrale “smontando gli spiriti”, creando ponti, combattendo la paura e portando avanti il dialogo aperto e sincero». In conclusione il nuovo appello del Papa, che invita a sostenere le due richieste avanzate in occasione del giubileo: abolire la pena di morte e cancellare il debito dei Paesi poveri. PAGINA 8 Bruxelles e l’Italia contestano la decisione austriaca di erigere una barriera al Brennero contro l’arrivo dei profughi y(7HA3J1*QSSKKM( +.!z!&!#!@! False soluzioni ROMA, 12. «Costruire barriere fra Stati di Schengen, e ora in particolare quella fra Austria e Italia, non è la soluzione giusta». Sono parole chiare e incisive quelle pronunciate oggi dal commissario Ue per l’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, intervenendo al Parlamento di Strasburgo riunito in sessione plenaria. «Credo nella costruzione di ponti, non di muri — ha osservato — serve una politica dell’immigrazione che non conduca a chiudere i confini interni mettendo a rischio Schengen, e questa politica va attuata». Il commissario critica dunque senza appello la recente decisione austriaca di erigere una barriera anti-profughi al confine con l’Italia al Brennero. Ma non solo: c’è anche la tragedia di Idomeni, il campo al confine tra Grecia ed ex Repubblica jugoslava di Macedonia, dove pochi giorni fa la polizia ha usato i lacrimogeni per disperdere la folla dei migranti. «Dobbiamo evitare di giocare con gli stereotipi e di lottare contro di loro. Le immagini vergognose di Idomeni non onorano la storia europea e i nostri valori. Dobbiamo trattare queste persone con rispetto ma dobbiamo anche pianificare una politica e dargli attuazione» ha sottolineato Avramopoulos. Vienna, tuttavia, non sembra al momento intenzionata a fare marcia indietro. «Un rafforzamento dei controlli al Brennero e le nuove misure legislative sul diritto d’asilo non sono auspicabili, ma necessari e giusti» ha spiegato il cancelliere austriaco, Werner Faymann, oggi, subito dopo il consiglio dei ministri a Vienna. Secondo Faymann, «è asso- Malasanità africana PAGINA 2 lutamente fuori discussione» non fare niente e accogliere persone senza limiti e senza controlli. E dei controlli «me ne assumo la responsabilità» ha aggiunto il cancelliere. L’Austria ha iniziato ieri i lavori per la costruzione di una barriera al Brennero per limitare, in caso di necessità, l’accesso di migranti provenienti dall’Italia. La struttura — ha detto il capo della polizia tirolese Helmut Tomac — avrà una lunghezza di 250 metri e riguarderà l’autostrada e la strada statale. Intanto — riferiscono testimoni sul posto — al valico italo-austriaco sono già stati smontati i guardrail; in una prima fase di lavori sarà anche modificata la segnaletica stradale. Il terreno per la costruzione della barriera è già in fase di preparazione. I controlli del traffico leggero e pesante saranno effettuati in un parcheggio a nord del confine. Nei prossimi giorni sarà anche allestito un centro di registrazione. Secondo il ministro della Difesa Hans Peter Doskozil, i controlli partiranno dal primo giugno. Ma i tempi dipendono sia dal reale numero di migranti in arrivo che dallo stato dei lavori. La decisione di Vienna si spiega con le nuove stime circa il flusso di arrivi dopo la chiusura della rotta balcanica. In effetti, pochi giorni fa le autorità austriache avevano comunicato che nei prossimi mesi arriveranno in Italia almeno 300.000 profughi. Nel corso del recente vertice a Roma, lo scorso 8 aprile, il ministro degli Interni austriaco, Johanna Mikl-Leitner, aveva assicurato che il suo Paese avrebbe «fatto il possibile per evitare la chiusura del Brennero», inevitabile però se l’Italia non avesse assicurato una rigida procedura di controllo dei migranti. Le reazioni all’annuncio di Vienna non sono mancate. Ieri il Governo italiano, per bocca del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Sandro Gozi, ha bocciato l’ipotesi della costruzione di una barriera alla frontiera, definendola «un grave errore che viola le regole europee». Parole in linea con quanto dichiarato anche da Domenico Manzione, sottosegretario degli Interni: «Con la chiusura del Brennero ci saranno danni consistenti». La decisione di ripristinare i controlli «avrebbe implicazioni economiche tutt’altro che trascurabili. Sarebbe una perdita secca consistente, per questo abbiamo insistito che l’area restasse aperta». L’Austria «ha elezioni politiche importanti alle porte» (il prossimo 24 aprile i cittadini sono chiamati a scegliere il nuovo presidente della Repubblica). Un’eventuale decisione di chiusura totale, ha proseguito il sottosegretario, «avrebbe anche ricadute dal punto di vista umano, potrebbe implicare situazioni come quelle che vediamo purtroppo in Grecia». La chiusura del Brennero non piace neppure alla Germania, dato che questo passaggio rappresenta un punto nevralgico per il traffico pas- seggeri e merci tra nord e sud Europa. Oggi i ministri degli Esteri e della Difesa austriaci si recheranno a Berlino per discutere della crisi. Critiche anche dai vescovi. L’annuncio austriaco «è un’altra grave ferita a Schengen, alla Ue, alla solidarietà europea. È un’altra risposta sbagliata al drammatico problema dei richiedenti asilo e dei rifugiati, una decisione che contraddice il messaggio forte che tra pochi giorni il Papa darà dall’isola di Lesbo» ha sottolineato Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes della Conferenza episcopale italiana. Una dura reazione alla decisione austriaca è stata espressa anche dalle organizzazioni in prima linea nella gestione dell’emergenza. «L’Austria — si legge in una nota di Amnesty International — ha deciso di erigere una barriera fisica, un ostacolo insuperabile che creerà sul versante italiano della frontiera una situazione simile a quella che troviamo a Idomeni e nelle isole greche: ci ritroveremo campi improvvisati e auto-allestiti, una situazione di crisi umanitaria simile a quelle delle zone dei Grandi Laghi africani o come fu nell’ex Jugoslavia». È di oggi intanto, la denuncia di Medici senza frontiere secondo cui negli scontri di due giorni fa a Idomeni «si è sparato ad altezza di bambino». Lo ha detto Loris De Filippi, presidente di Medici senza frontiere, a margine di una conferenza stampa a Roma. «Almeno tre bambini sono rimasti feriti da questi proiettili». Raccolti in un libro testi di Montini Un uomo come voi Il cantiere per la costruzione della barriera sull’autostrada del Brennero (Reuters) PAGINE 4 E 5 La Chiesa non è un’élite di ideologi, è un popolo di credenti. Quando interpreta la parola di Dio per la famiglia, e ne sollecita l’ascolto fiducioso e generoso, la Chiesa non si limita a definire procedure di legittimità e regole d’uso che devono sbrigare la pratica. Allo sguardo della Chiesa — insiste il Papa — la famiglia non è un fascio di problemi, ma un’opportunità umana e sociale di portata globale. In questo appassionato racconto di Francesco, che non elude i problemi, è restituita alla condizione familiare l’ammirazione dovuta al coraggio della sua dedizione, e il rispetto che tutti devono avere per la dignità della sua missione. Il fatto che si tratti di una condizione comune non deve oscurare l’altezza della sua vocazione. La fedeltà all’irrevocabile legame personale della reciprocità affettiva dell’uomo e della donna — alla quale Dio stesso ha donato la gioia indivisa dell’intimità sessuale e della responsabilità generativa — ha il compito di presidiare e di far crescere «lietamente» la qualità spirituale della vita del mondo. In questo legame, infatti, è l’intera storia dell’alleanza (o del conflitto) dell’uomo e della donna a essere in gioco. Quando le cose vanno male, fra uomo e donna, tutte le altre vanno male. Quando la complicità affettuosa e la reciprocità feconda dell’uomo e della donna non hanno peso nell’educazione dei giovani e nella città dell’uomo, la vita del pianeta (dell’ambiente, del lavoro, della giustizia, della cultura) è esposta al degrado. Il filo del magistero di Francesco — che unisce «la gioia del Vangelo» e la «letizia dell’amore», passando attraverso l’appassionata perorazione per la cura dell’ecologia umana e cristiana del pianeta (Laudato si’) — apre una strada inedita anche per la riconciliazione dell’amicizia di uomo e donna con il destino della terra. Il resto è dottrina del sacramento cristiano, che annuncia la serietà della testimonianza e la sostiene oltre l’umana debolezza. E poi — dottrina cattolica ben nota anche questa — pastorale dell’amore comunitario, che non sottrae nessuno all’onere e all’onore evangelico di portare gli uni i pesi degli altri: «Così adempirete la legge di Cristo», chiosa san Paolo nella lettera ai Galati (6, 2). Non per caso, ma del tutto a sorpresa rispetto all’abitudine ecclesiale più corrente, Papa Francesco illustra la profondità dell’amore coniugale, commentando nel quarto capitolo, parola per parola, l’inno alla carità della prima lettera ai Corinzi, non il Cantico dei cantici. L’eros coniugale, per custodire la sua letizia e la sua benedizione, deve apprendere l’audace sapienza dell’agape di Dio: senza di essa, i nostri carismi e le nostre qualità migliori non sono niente. La fedeltà e il perdono, fanno parte entrambi del comandamento dell’amore. E dei suoi doni. Gesù proponeva un ideale esigente, ma «non perdeva mai la vicinanza compassionevole alle persone fragili» (n. 38). La norma indica la strada, ma è la prossimità che deve percorrerla. Il discernimento delle coscienze e l’intercessione della Chiesa, che incoraggiano la prossimità e non abbandonano nella prova, sono la parte più bella del comandamento dell’amore. NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico negli Stati Uniti d’America Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Christophe Pierre, Arcivescovo titolare di Gunela, finora Nunzio Apostolico in Messico. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 mercoledì 13 aprile 2016 Il presidente brasiliano Dilma Rousseff (Ansa) Una persona su sette manca di cure mediche adeguate Malasanità africana Dilaga la corruzione per accedere ai trattamenti ACCRA, 12. In Africa il 14 per cento della popolazione è costretta a ricorrere a tangenti e corruzione per avere accesso al sistema sanitario. È questo soltanto uno dei tanti dati allarmanti contenuti nel rapporto del gruppo di ricerca Afrobarometer, che traccia un bilancio della sanità nel continente nero. Il documento evidenzia come un cittadino africano su sette viva senza le cure mediche adeguate: gli intervistati — provenienti da numerosi Paesi — «mettono l’assistenza sanitaria al primo posto nella classifica dei problemi del territorio e tra le priorità governative a cui è necessario destinare investimenti pubblici aggiuntivi». Nonostante alcuni isolati progressi, «l’assistenza sanitaria rimane quindi in cima alla lista delle priorità» precisa il testo di Afrobarometer, istituto di ricerca che studia le tendenze sociali, politiche ed economiche in più di trenta Paesi africani. I dati, resi pubblici ieri, mostrano come i finanziamenti dei Governi locali nel settore sanitario abbiano conosciuto un trend negativo nel corso degli ultimi dieci anni. E questo ha gravemente inciso sulle persone e sugli stili di vita. In effetti «quasi la metà della popolazione — si legge ancora nel documento — si definisce, infatti, abbastanza o profondamente insoddisfatta dell’assistenza medica del proprio Paese». Tra gli Stati presi in considerazione, diciotto su trentasei mostrano, dal 2005 ad oggi, un incremento del 13 per cento delle valutazioni negative da parte degli intervistati. Campagna di vaccinazioni in Somalia (Afp) MO GADISCIO, 12. Ancora violenza nella tormentata terra somala. Almeno sette persone sono morte ieri a Mogadiscio, capitale della Somalia, per l’esplosione di un’autobomba. La vettura, informa la polizia, era stata lasciata in sosta tra l’ingresso di un edificio appartenente all’amministrazione governativa e quello di un hotel adiacente. La deflagrazione, indicano testimoni sul posto, è stata molto potente. L’hotel è frequentato abitualmente da funzionari del Governo. Secondo le autorità, le vittime sono tutti civili, tra cui due bambini che stavano andando a scuola. L’attentato non è stato ancora rivendicato, ma presenta le tipiche caratteristiche dell’operato dei terroristi del gruppo fondamentalista islamico di Al Shabaab, testa di ponte di Al Qaeda nel Corno d’Africa. GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va BRASILIA, 12. Con 38 voti a favore e 27 contrari la commissione speciale della Camera dei deputati brasiliana ha detto sì all’avvio della procedura di impeachment nei confronti del presidente Dilma Rousseff. Il procedimento passerà ora al vaglio della sessione plenaria della Camera, che entro domenica prossima dovrà decidere, a maggioranza dei due terzi (342 voti su 513), se convalidare o meno la messa in stato di accusa della massima Missione italiana per la pace libica Cameron risponde alle accuse contro tra Tsipras e Costa ha avuto luogo mentre si trova ad Atene una delegazione di creditori della Banca centrale europea, del Fondo monetario internazionale, del Meccanismo europeo di stabilità e della Commissione europea. Obiettivo della trattativa è trovare un accordo sulle misure che Atene dovrà adottare per risparmiare 5,4 miliardi di euro e ottenere così il versamento di una nuova tranche del prestito di 86 miliardi di euro, concordato la scorsa estate nell’ambito del terzo salvataggio della Grecia. POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Dilma alla prova dell’impeachment Ai Comuni annuncia misure antievasione Tsipras esorta l’Europa a superare l’austerità L’OSSERVATORE ROMANO Autorizzato il procedimento di messa in stato di accusa Il ministro degli Esteri in visita a Tripoli TRIPOLI, 12. Il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, è arrivato oggi a Tripoli, per una visita-lampo e non preannunciata. Il capo della diplomazia italiana, primo alto responsabile occidentale ad arrivare a Tripoli dall’insediamento del Governo di unità nazionale, è giunto all’aeroporto di Mitiga, dove è stato accolto dal vice-premier, Ahmad Meitig. Il convoglio, con entrambe le bandiere libica e italiana, è poi subito ripartito. Gentiloni ha incontrato il premier designato, Fayez Al Sarraj, nella base navale di Bu Setta, dove il premier si è stabilito dal suo arrivo nella capitale libica. Gentiloni si è detto «felice» di essere a Tripoli, per portare l’aiuto della cooperazione italiana e per «sostenere il Governo di unità nazionale di Al Sarraj». «Con l’Italia c’è un rapporto molto radicato e che intendiamo rafforzare», sul fronte della lotta all’immigrazione clandestina e al terrorismo. Lo ha detto Al Sarraj. L’Italia ha fatto arrivare oggi in Libia aiuti umanitari con un C130. Tra gli aiuti, kit medici destinati all’ospedale di Tripoli. Altri aiuti — ha detto Gentiloni — saranno inviati presto a Bengasi. Nel frattempo, secondo l’inviato speciale dell’Onu per la Libia, Martin Kobler — intervistato da Sette morti per un attentato dinamitardo a Mogadiscio ATENE, 12. «Riteniamo che l’Europa debba lasciarsi alle spalle le politiche di austerity». Ad affermarlo è stato ieri il primo ministro greco, Alexis Tsipras, in occasione del suo incontro ad Atene con l’omologo portoghese, il socialista António Costa, salito al Governo dopo che gli elettori hanno bocciato la politica economica sostenuta dal precedente Esecutivo. «Con la crescita di povertà e disuguaglianza sociale, i nostri Paesi e l’Europa dovranno affrontare un lungo periodo di stagnazione» hanno dichiarato. L’in- In media gli inviati della «Afrobarometer» hanno rilevato che il 62 per cento delle cliniche sanitarie presenti nel territorio africano sono concentrate nelle zone urbane, a scapito delle aree rurali più povere. Circa la metà degli intervistati ha dichiarato poi di essersi trovati, o in prima persona o in famiglia, spesso in assenza di farmaci o di cure necessarie, e di essere stato costretto a ricorrere al mercato nero per procurarsi i medicinali. Inoltre, tra quelli che hanno avuto accesso alla sanità pubblica nello stesso anno, quattro su dieci hanno definito «complesso» o «estremamente complesso» ricevere le cure di cui avevano bisogno, e questo a causa di strutture carenti o di personale non competente. E a ciò si aggiunge, come detto, la piaga della corruzione: la maggior parte dei pazienti nei Paesi esaminati è stata letteralmente costretta a pagare tangenti o a corrompere i funzionari per ottenere il trattamento sanitario necessario. GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio «La Stampa» — il cosiddetto Stato islamico (Is) «lo batteranno prima di tutto i libici». Kobler ritiene che è ancora presto per parlare di un intervento militare internazionale: «Un passo alla volta — afferma — La minaccia dell’Is è seria. Distruggere l’Is in Libia è il nostro primo obiettivo. Ma prima dobbiamo avere un Governo pienamente in carica. Sarà questo Esecutivo a guidare la lotta all’Is, con la collaborazione di tutti, comprese le milizie che saranno integrate nelle forze di sicurezza libica». «Se poi il Governo libico chiederà assistenza, la comunità internazionale è pronta». Alla domanda se sarà l’Italia a guidare la missione internazionale, l’inviato dell’Onu ha affermato: «L’Italia sta svolgendo un ruolo molto importante, ha già un ruolo di leadership nella missione civile di assistenza. Quanto a una futura missione militare, ripeto: un passo alla volta. Prima facciamo in modo che il processo istituzionale si completi». Kobler ha auspicato un voto di fiducia da parte del Parlamento di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale. «Ci sono stati incontri importanti al Cairo, anche alla Lega araba. Sono segnali che inducono all’ottimismo». Morto Casaleggio fondatore dei 5 Stelle Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va «volevo evitare un conflitto di interessi» ha spiegato il leader tory. Cameron deteneva azioni che vendette prima di arrivare a Downing street nel 2010, ricavandone un utile sul quale pagò le tasse. Il premier ha difeso soprattutto il diritto dei suoi concittadini di «fare soldi rispettando la legge» e la contromossa è stata l’annuncio di misure contro l’evasione. Ha poi chiesto ai membri del suo Governo di rendere noti i propri redditi come ha fatto lui. Per le presidenziali peruviane Kuczynski e Fujimori al ballottaggio Cameron durante l’intervento alla Camera dei Comuni (Afp) Poroshenko sollecita un nuovo Governo ucraino ROMA, 12. È morto oggi a Milano Gianroberto Casaleggio, fondatore e “mente” del Movimento 5 Stelle. Imprenditore, 61 anni, iniziò a lavorare giovanissimo come progettista di software di base per l’Olivetti, a Ivrea. Tra i primi in Italia a intuire le potenzialità del web, era presidente della Casaleggio Associati, società informatica ed editoriale. Cordoglio è stato espresso da tutte le forze politiche italiane. Servizio vaticano: [email protected] LONDRA, 12. «Offensive, profondamente false». Così il premier britannico David Cameron ha definito le accuse contro di lui in merito alle rivelazioni contenute nei Panama Papers, i file diffusi dalla stampa internazionale che hanno rivelato una fitta rete di società offshore usate da potenti, politici, capi di Stato e di Governo, attori, sportivi, faccendieri e criminali. «Ho venduto le quote del fondo Blairmore prima di diventare primo ministro» perché carica dello Stato. In caso positivo, l’iter proseguirà al Senato. Il voto della commissione formata da 65 deputati è arrivato al termine di undici sedute durante le quali sono state esaminate tutte le accuse mosse al presidente, relative in particolare a violazioni della normativa fiscale compiute tra il 2014 e il 2015 dalla sua amministrazione per mascherare problemi di bilancio. Come riferisce la stampa, durante il dibattito ci sono stati momenti di forte scontro. Secondo i politologi, comunque vadano le votazioni al Congresso (il Governo non ha ancora la maggioranza garantita, ma nemmeno le opposizioni possono già cantare vittoria anticipata) i componenti della maggioranza e dei partiti alleati stanno iniziando a considerare seriamente l’ipotesi di indire elezioni anticipate. Nel Paese la tensione è alta. Nelle maggiori città ci sono state manifestazioni dell’opposizione e dei sostenitori del Governo, con un notevole dispiegamento delle forze di polizia. Oltre allo scandalo delle tangenti legate al colosso petrolifero statale Petrobras e alle accuse al Governo, il Brasile deve fronteggiare anche una pesate crisi economica. Quest’anno — secondo le previsioni — quella che fino a qualche anno fa era considerata una delle maggiori economie del mondo dovrà fare i conti con un crollo del pil (prodotto interno lordo) pari al meno 3,5 per cento. KIEV, 12. Il presidente ucraino, Petro Poroshenko, minaccia lo scioglimento della Verkhovna Rada (Parlamento) se entro questa settimana non sarà nominato un nuovo Governo, riformista e impegnato nel contrasto della corruzione, e definita la coalizione in suo sostegno. A farsi portavoce dell’istanza di Poroshenko è stato il suo inviato al Parlamento, Stepan Kubiv, in un incontro con i capigruppo, dopo che ieri il premier Arseni Yatsenyuk ha annunciato le sue dimissioni. Nei giorni scorsi era naufragato mala- Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale mente un tentativo di formare una nuova coalizione di Governo fra il Blocco Poroshenko, il Fronte Popolare di Yatsenyuk e Patria di Yulia Tymoshenko, con Volodymyr Hroysman come premier. Questi era stato indicato ieri da Yatsenyuk come la nuova scelta di Poroshenko, ma avrebbe rifiutato l’incarico. Facevano parte della coalizione in sostegno dell’Esecutivo uscente anche i radicali, la forza populista di Oleh Lyashko e i riformisti di Samopomich. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 LIMA, 12. Sarà il ballottaggio, previsto per il 5 luglio, a stabilire il prossimo presidente del Perú. Al secondo turno si sfideranno i due conservatori Pedro Pablo Kuczynski, economista liberale del movimento Peruviani per il cambiamento, e Keiko Fujimori del partito di centro-destra Forza popolare. Si tratta tuttavia di uno scrutinio ancora parziale. Fujimori, come avevano previsto i sondaggi, è stata la candidata più votata al primo turno, mentre Kuczynski ha smentito gli exit poll di ieri che prevedevano un sostanziale pareggio tra lui e la parlamentare di sinistra Verónika Mendoza. La figlia dell’ex presidente Alberto Fujimori, che ha governato il Perú tra il 1990 e il 2000, gode di grande consenso nelle aree rurali, che rappresentano il 22 per cento dell’elettorato peruviano, e ha presentato una programma elettorale incentrato sulla lotta alla criminalità, promettendo di investire anche in progetti di infrastrutture capaci di garantire servizi basici alle aree più povere. Dal canto suo Kuczynski può contare su una lunga carriera politica: dal 2005 al 2007 è stato presidente del Consiglio dei ministri. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 13 aprile 2016 pagina 3 Le forze regolari irachene durante operazioni intorno alla città irachena di Kirkuk (Ansa) Non si appianano i contrasti tra le autorità di Kabul BAGHDAD, 12. I jihadisti del cosiddeto Stato islamico (Is) perdono terreno in Iraq. L’esercito iracheno ha conquistato ieri la città di Hit, nella provincia occidentale di Al Anbar. A darne conferma è stato il portavoce delle forze anti-terrorismo, Sabah Al Numan, attraverso una nota. Proseguono comunque i combattimenti nel resto della provincia, a maggioranza sunnita, di Al Anbar, dove si registrano vittime civili negli scontri tra i militari iracheni e le milizie dell’Is. Secondo «Al Jazeera», i bombardamenti sulle zone residenziali di Fallujah hanno causato la morte di almeno sei civili e il ferimento di altri dodici. A Hit invece l’esercito è riuscito a conquistare la maggior parte dei quartieri dopo una massiccia offensiva lanciata nei giorni scorsi. La città è situata in una posizione strategica. È attraversata dal fiume Eufrate e dista pochi chilometri dalla base aerea di Ain Al Asad, dove centinaia di militari statunitensi stanno addestrando le forze irachene impegnate nelle operazioni contro l’Is. Secondo gli analisti, il consolidamento delle posizioni delle forze di Baghdad spingerà l’Is a ripiegare sempre più a ovest, verso la Siria, e consentirà di tagliare i collegamenti fra la città settentrionale di Samarra e Fallujah, che a oggi resta l’unica I talebani lanciano l’offensiva di primavera Le forze di Baghdad riconquistano la città strategica di Hit Is perde terreno in Iraq roccaforte dei jihadisti vicino alla capitale irachena Baghdad, che dista solo 50 chilometri. Intanto, dalla Siria giungono notizie che disegnano un quadro sempre più complesso. Secondo lo Stato maggiore russo, il Fronte Al Nusra — il braccio siriano di Al Qaeda — «ha ammassato circa diecimila mili- tanti nelle zone limitrofe ad Aleppo» e si prepara «a lanciare una grande offensiva». L’azione militare avrebbe come obiettivo quello di «tagliare la strada» che collega Aleppo a Damasco. A riprova delle previsioni di Mosca, ieri dieci persone sono rimaste ferite da almeno cinque colpi di mortaio lanciati da miliziani su Kilis, città meridionale turca al confine con la Siria, a pochi chilometri da Damasco. Cinque dei feriti sono stati portati in ospedale. Uno dei mortai ha colpito una casa. Episodi analoghi sono avvenuti nelle scorse settimane. KABUL, 12. Nonostante i tentativi portati avanti da Afghanistan, Pakistan, Stati Uniti e Cina per riportare al tavolo dei negoziati i talebani, questi ultimi hanno fatto scattare una nuova offensiva di primavera. Lo ha annunciato ieri una nota firmata dal consiglio direttivo del gruppo di ribelli. La nuova offensiva, si legge nel comunicato, si terrà in onore del mullah Omar, il defunto leader talebano, sotto la cui leadership, hanno sottolineato gli insorti «venne pacificato il 95 per cento del territorio della nostra nazione da malvagità, corruzione e oppressione». L’obiettivo dei talebani è la «sconfitta incondizionata e il ritiro degli invasori stranieri e dei loro servitori interni» dall’Afghanistan. La nuova offensiva annuale dei talebani — hanno sostenuto gli insorti — vedrà «attacchi su larga scala contro le posizioni dei nemici nel Paese», ma anche operazioni suicide e omicidi dei «comandanti nemici nei centri urbani». Lo scopo è «far impantanare il nemico in una guerra di attrito che abbassi il In Cisgiordania Secondo l’Onu regge la tregua anche se si registrano scontri tra lealisti e ribelli huthi L’Onu condanna le demolizioni Nuova strage di Al Qaeda nella città yemenita di Aden NEW YORK, 12. «Il drammatico aumento delle demolizioni di case palestinesi in Cisgiordania» sta minando sempre di più la possibilità di raggiungere la soluzione dei due Stati per due popoli. Questo l’allarme lanciato ieri da Robert Piper, l’inviato dell’Onu per gli Affari umanitari nei Territori palestinesi, durante un incontro con la stampa internazionale. Secondo Piper, che si trova a Bruxelles per porre la questione all’attenzione dell’Unione europea, nei mesi iniziali del 2016 è stato superato il numero totale di demolizioni effettuate nel 2015. Questo stato di cose — ha sottolineato l’inviato delle Nazioni Unite — sta facendo crescere la tensione, già alta, in tutta la Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Piper ha chiesto dunque ai palestinesi di abbandonare la violenza contro gli israeliani, interrompendo le aggressioni, e agli israeliani di favorire una ripresa del dialogo in vista della convivenza pacifica. In tal senso, Piper ha esortato l’Unione europea a far pressione affinché questo stato di cose cambi «sul piano politico, finanziario e culturale». Secondo un rapporto dell’O nu pubblicato nel novembre scorso, dal giugno 2014 al novembre 2015 Israele ha demolito o reso inutilizzabili 16 edifici di proprietà palestinese la- Renzi incontra a Teheran Rohani TEHERAN, 12. La fine delle sanzioni all’Iran «è un passaggio storico non solo per il Paese ma per l’Europa e per tutta la regione: siamo impegnati perché lo sforzo della comunità internazionale sia accompagnato da un messaggio di fiducia che finalmente qualcosa di nuovo si è mosso». A sottolinearlo è stato oggi a Teheran il presidente del Consiglio dei ministri italiano, Matteo Renzi, alla fine del lungo colloquio, circa un’ora e mezza, con il presidente iraniano, Hassan Rohani. Dal canto suo, Rohani ha espresso la speranza che l’Italia possa tornare a essere il primo partner commerciale europeo dell’Iran. «Abbiamo firmato — ha ricordato — 36 memorandum di intesa e vogliamo che essi diventino operativi». sciando senza casa almeno novanta persone, e danneggiato altri dodici edifici vicini a quelli demoliti. Secondo il «Washington Post», che si è occupato della questione in un recente articolo, da ottobre a oggi sono stati demoliti almeno altri sette edifici in cui abitavano persone sospettate di terrorismo o di complicità col terrorismo, gli ultimi dei quali nella prima settimana di gennaio. Numerose ong attive sul campo chiedono da tempo di interrompere queste pratiche. Il Governo israeliano si giustifica affermando che si tratta dell’unico metodo efficace per stroncare nuovi attacchi terroristici e nuove violenze. Di fatto, il clima nella regione è tornato da diversi mesi a farsi rovente. Le aggressioni palestinesi a civili o militari israeliani sono all’ordine del giorno, soprattutto nella parte orientale di Gerusalemme. Ma non sono solo i palestinesi a colpire. Due coloni ebrei sono stati arrestati la scorsa notte in Cisgiordania da agenti dei servizi di sicurezza israeliani, nel contesto di un’inchiesta nel corso della quale sono già stati arrestati altri tre estremisti ebrei. Tutti sono sospettati di aver partecipato ad attacchi contro palestinesi: ma le loro identità e gli episodi in cui potrebbero essere stati coinvolti non sono stati per ora divulgati. SANA’A, 12. Un attentatore suicida si è fatto esplodere questa mattina vicino allo stadio «22 maggio» nella città di Aden, nel sud dello Yemen, dove erano in coda giovani che si volevano arruolare nell’esercito. Almeno cinque i morti. L’attacco è stato rivendicato dai fondamentalisti di Al Qaeda nella penisola arabica (Aqpa). Le azioni terroristiche, rivendicate o attribuite a gruppi fondamentalisti — nello Yemen oltre ad Al Qaeda sono molto attivi i miliziani del cosiddetto Stato islamico (Is) — contro le forze governative si sono moltiplicate in questi ultimi mesi nel sud del Paese, che l’esercito fedele al presidente Abd Rabbo Mansour Hadi ha strappato al controllo dei ribelli huthi, i quali nel 2014 avevano conquistato oltre il 75 per cento del territorio. Il nuovo attentato arriva all’indomani dell’entrata in vigore nel Paese arabo del cessate il fuoco tra le forze filogovernative fedeli al legittimo presidente e sostenute da una coalizione guidata dall’Arabia Saudita e i ribelli huthi in vista della ripresa dei colloqui di pace mediati dalle Nazioni Unite in programma lunedì 18 in Kuwait. E nonostante alcuni combattimenti tra le parti in conflitto in certe regioni del Paese, secondo il portavoce dell’Onu, Stéphane Du- Forze lealiste controllano il centro di Aden (Afp) jarrić, il cessate il fuoco «sembra globalmente tenere». Gli scontri più rilevanti sono stati registrati a Sarwah, nella provincia del Marib, a est della capitale Sana’a conquistata nel settembre del 2014 dagli huthi. Sette soldati dell’esercito sono stati uccisi dai ribelli che sono riusciti a riprendere delle postazioni che erano in mano ai lealisti. Nel frattempo, i membri della commissione — formata dai rappre- sentanti dei due schieramenti per supervisionare la tregua — si sono incontrati ieri sera per fare il punto della situazione sul terreno e discutere delle misure da prendere «in consultazione con i delegati delle Nazioni Unite». L’obiettivo è quello di cercare di far giungere gli aiuti umanitari alla popolazione stremata dal lungo e sanguinoso conflitto soprattutto nelle zone più colpite dalla guerra. morale degli invasori stranieri e delle loro milizie armate». Al di là della retorica, gli insorti proseguono le loro azioni militari che causano numerose vittime civili e ingenti danni materiali. Ed è per questo che il presidente statunitense, Barack Obama, è stato costretto a fare un passo indietro e fermare il ritiro completo delle truppe americane dall’Afghanistan. Ed è di almeno 13 morti e 38 feriti il bilancio di un nuovo attentato suicida: un terrorista ha attaccato un pullman di reclute dell’esercito regolare in prossimità di Jalalabad, capoluogo della provincia orientale di Nangarhar, tra i principali capisaldi residui dei talebani. Secondo il governatore provinciale, Attaullah Khogyani, l’attentatore si è avvicinato al veicolo a bordo di un risciò a motore sul quale era nascosta la carica esplosiva, e si è fatto saltare in aria. Tra i sopravvissuti molti versano in condizioni critiche. Poche ore prima a Kabul una bomba nascosta lungo il ciglio della strada era scoppiata al passaggio di un furgone con a bordo dipendenti del ministero per la Pubblica Istruzione: due erano rimasti uccisi, altri nove avevano riportato lesioni. E prima di recarsi a Hirsihma per il vertice ministeriale del G7 il segretario di Stato americano, John Kerry, ha avuto una serie di colloqui proprio a Kabul. «Gli Stati Uniti — ha poi detto Kerry — hanno a cuore la sovranità dell’Afghanistan» e il buon funzionamento delle sue istituzioni. L’attuale Governo di unità nazionale, nato con la mediazione di Kerry dopo la vittoria alle presidenziali di Ashraf Ghani, vive un momento di difficoltà per i contrasti fra il capo dello Stato e il chief executive Abdullah Abdullah. Nel corso di una sessione della Commissione bilaterale tra Stati Uniti e Afghanistan, Kerry ha quindi ribadito che in questi anni «l’Afghanistan ha fatto progressi significativi» grazie anche al Governo di unità nazionale. Il capo della diplomazia statunitense ha reso noto di aver avuto colloqui con il presidente Ghani e con il coordinatore del Governo Abdullah anche sul delicato tema della riforma elettorale, assicurando che «entrambi si sono impegnati a portarla avanti». Questa riforma — ha sottolineato — «è della massima importanza per un buon Governo» in Afghanistan. «Il massimo sforzo deve essere fatto dalle autorità afghane, ha concluso, prima del prossimo vertice della Nato di luglio a Varsavia, perchè in quella sede a Kabul saranno chiesti ulteriori sacrifici per il bene del Paese». Da settimane il braccio di ferro virtuale fra Ghani e Abdullah ha portato alle dimissioni del presidente della Commissione elettorale indipendente (Iec), Ahmed Yousuf Nuristani, e alla mancata nomina di ministri e alti funzionari governativi. Cinque dirigenti del tempio indiano distrutto dalle fiamme si consegnano alla polizia Alto ufficiale nordcoreano chiede asilo politico a Seoul Indagini a tutto campo in Kerala Fuga da Pyongyang I parenti di una delle vittime del crollo del tempio di Puttingal (Ap) NEW DELHI, 12. Cinque massimi responsabili del tempio di Puttingal, nello Stato indiano meridionale del Kerala, teatro domenica di uno spettacolo pirotecnico trasformatosi in tragedia — nel rogo sono morte 112 persone — si sono consegnati ieri alle forze dell’ordine. Latitanti subito dopo l’incidente, i cinque (il presidente del comitato di gestione del tempio, il segretario generale, il tesoriere e altri due alti responsabili) hanno deciso di consegnarsi alle autorità del Kerala, riconoscendo le proprie responsabilità. Si aggiungono ad altri cinque dipendenti del tempio che erano stati arrestati dagli agenti. Lo spettacolo di fuochi d’artificio, organizzato in occasione di una manifestazione religiosa, alla quale prendevano parte decine di migliaia di persone, era stato vietato per ragioni di sicurezza. SEOUL, 12. È destinata a crescere ulteriormente la tensione tra le due Coree. Un alto funzionario militare del Reconnaissance General Bureau, l’agenzia di intelligence nordcoreana, ha disertato e ha chiesto rifugio a Seoul. Moon Sang Gyun, portavoce del ministero della Difesa di Seoul, ha confermato l’operazione che ha coinvolto un ufficiale con il rango di “colonnello senior” e che è stata completata nel 2015, senza fornire altri elementi sulla vicenda. Una settimana fa aveva fatto il giro del mondo la notizia di un gruppo dei tredici dipendenti di un ristorante di Pyongyang che, grazie all'aiuto di Seoul, erano riusciti a espatriare, suscitando il notevole imbarazzo del Governo nordcoreano. Il Reconnaissance General Bureau è noto per l’attività di spionaggio mirata contro la Corea del Sud e i suoi alleati, oltre ad avere le unità speciali su spionaggio e attacchi informatici. «L’ufficiale è il più alto in grado ad aver mai varcato il confine verso la Corea del Sud e può essere considerato parte dell’élite tra i nordcoreani che hanno disertato», ha spiegato una fonte vicina al dossier. Secondo il ministero sudcoreano dell’Unificazione, l'uomo potrebbe anche essere un elemento importante, di valore strategico, e ciò sulla base di una considerazione molto semplice: da fine 2011, dalla presa del potere di Kim Jong Un, oltre 70 funzionari senior tra civili e militari sono stati giustiziati negli sforzi per consolidare le posizioni al vertice del regime comunista di Pyongyang. E un numero rilevante di funzionari di medio livello distaccati all’estero hanno chiesto asilo, in base alle relazioni dell’intelligence di Seoul. pagina 4 L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 13 aprile 2016 mercoledì 13 aprile 2016 pagina 5 Raccolti in un libro testi di Giovanni Battista Montini scritti tra il 1914 e il 1978 Nella storia del Novecento Lello Scorzelli «Paolo VI alle Nazioni Unite» S’intitola da un’espressione del discorso alle Nazioni unite la raccolta di scritti di Montini Un uomo come voi. Testi scelti (1914-1978), curata da Giovanni Maria Vian (Genova, Marietti, 2016, pagine 198, euro 16). Il 14 aprile alle 17.30, in occasione della pubblicazione, avrà luogo a Concesio (Brescia) nella sede dell’Istituto Paolo VI (via Marconi 15) una tavola rotonda su Montini nella storia del Novecento. Interverranno don Angelo Maffeis, presidente dell’istituto, Ferruccio de Bortoli, editorialista del Corriere della Sera, Giacomo Scanzi, direttore editoriale del Giornale di Brescia, e il direttore dell’Osservatore Romano. Pubblichiamo l’introduzione del curatore e due testi di Montini. Un uomo come voi el Palazzo di Vetro di New York il Papa aveva appena cominciato a parlare. Davanti a lui i rappresentanti di mezzo mondo lo seguivano con curiosità e attenzione mentre in francese leggeva un testo lungo e appassionato. Lo aveva scritto personalmente parola per parola in italiano, e personalmente aveva rivisto la traduzione in quella che era un po’ la sua seconda lingua, come lo era stata per sua madre, morta all’improvviso mentre meditava sulle pagine di Bossuet. Aveva studiato il francese da ragazzo e poi l’aveva perfezionato a Parigi, giovane prete, in un’estate ormai lontana e, soprattutto, l’aveva sempre praticato. Leggendo con avidità autori sempre amati e usandone spesso la lingua in innumerevoli incontri durante il trentennio trascorso nella segreteria di Stato vaticana, con responsabilità sempre crescenti, fino ai vertici. «Voi avete davanti un uomo come voi; egli è vostro fratello» disse Montini, che subito dopo alzando per un momento gli occhi dal testo aggiunse: «Oh! voi sapete chi siamo; e, qualunque sia l’opinione che voi avete sul Pontefice di Roma, voi conoscete la nostra mis- N sione; siamo portatori d’un messaggio per tutta l’umanità». Anzi — continuò con un’immagine suggestiva — «siamo come il messaggero che, dopo lungo cammino, arriva a recapitare la lettera che gli è stata affidata»; adempiendo «un voto, che noi portiamo nel cuore da quasi venti secoli. Sì, voi ricordate: è da molto tempo che siamo in cammino, e portiamo con noi una lunga storia; noi celebriamo qui l’epilogo d’un faticoso pellegrinaggio in cerca d’un colloquio con il mondo intero, da quando ci è stato comandato: Andate e portate la buona novella a tutte le genti». Più di mezzo secolo è trascorso da quel giorno, e nell’incalzare sempre più convulso del tempo la visita davvero storica di Paolo VI alla sede delle Nazioni Unite è quasi dimenticata. Come i contorni del suo pontificato e della sua figura sembrano lontanissimi e sbiaditi, stretti tra quelli, meno dimenticati, del predecessore Roncalli — l’amico di sempre, che appena eletto in conclave lo aveva scelto come suo primo cardinale, risarcendolo così dell’esilio da Roma — e soprattutto del successore Wojtyła e del suo lunghissimo regno, dopo la brevissima e misteriosa parentesi di Luciani. Un pontificato, quello di Montini, e il suo protagonista dunque ormai lontani nella memoria pubblica, ma che Papa Bergoglio, più ancora della causa di canonizzazione, sta richiamando ai nostri giorni dimentichi. In quelle parole del discorso all’Onu c’è tutto l’uomo e il cristiano divenuto successore dell’apostolo Pietro, così come l’immagine che più lo rappresenta è semplice e immediata: una mano che si protende. Un servizio giornalistico della televisione italiana di quegli anni lo documenta, mostrando il Pontefice che, da pari a pari, uomo istintivamente moderno, più incisiva del cristianesimo delle origini? Un uomo e un cristiano, appunto, che ha attraversato gran parte del Novecento appassionato e pienamente partecipe del suo tempo. Nato il 26 settembre 1897 a Concesio, piccolo paese alle porte di Brescia, si spense infatti quasi all’improvviso, non ancora ottantunenne, la sera del 6 agosto 1978, festa della Trasfigurazione, nella calura soffocante della residenza pontificia di Castel Gandolfo. Il padre Giorgio, avvocato e giornalista, poi deNel discorso all’Onu sottolineava putato popolare, era stato tra gli esponenti del che la missione del Pontefice di Roma cattolicesimo più aperto è quella di essere portatore e responsabile. Dolce e d’un messaggio per tutta l’umanità rigorosa al tempo stesso, la madre Giuditta Alghisi aveva saputo trasmettere ai tre figli maschi una spiritualità profonda ed esigente. stringeva con semplicità le mani che Così, affascinato giovanissimo dalla lo cercavano, certo non rifuggendo preghiera di un gruppo di monaci da quanti baciavano la sua, ma senfrancesi esiliati nella campagna breza cercare omaggi che avvertiva desciana, il secondogenito Battista avsueti. E a evocare il simbolo della vertì presto la vocazione religiosa, mano che si apre, celebrando nel maturata nell’ambiente aperto dei duomo di München una mespreti oratoriani di Brescia. Ordinato sa per il Papa appena morsacerdote nel 1920, per completare to, fu poi anche Ratzingli studi si trasferì nell’autunno di ger — il teologo che quell’anno a Roma, dove rimase sino era cardinale da appealla fine del 1954, quasi senza interna un anno, creato ruzioni. Nel 1924 entrò infatti nel nell’ultimo concistoro servizio diplomatico della Santa Sedi Paolo VI — in de e trascorse un trentennio in Seun’omelia che allora greteria di Stato, con ruoli di responsabilità crescente — come stretto collaboratore di Pacelli, prima segretario di Stato e poi Pontefice — fino a raggiungerne i vertici (come sostituto dagli ultimi giorni del 1937 e come pro-segretario di Stato dalla fine del 1952). Da Roma fu allontanato con la nomina, tanto prestigiosa quanto impegnativa, ad arcivescovo di Milano. Ma l’esilio milanese si rivelò decisivo: creato cardinale dal nuovo Papa, l’amico Roncalli, alla morte del Pontefice venne eletto come suo successore la mattina del 21 giugno 1963, mentre il primo sole Lello Scorzelli, d’estate inondava di una luce acceBusto di Paolo VI cante piazza San Pietro. «Il mondo dal monumento del duomo mi osserva, mi assale. Devo imparare di Brescia ad amarlo veramente. La Chiesa, qual è. Il mondo qual è» annota il giorno dell’elezione, a notte inoltrata, nell’appartamento pontificio, che gli causa «impressione profonda, di passò del tutto inosservata. Il testo è disagio e di confidenza insieme». E invece una rilettura essenziale della nella stessa piazza dove per la prima figura di Montini e in alcuni tratti volta si era affacciato dalla loggia anticipa in modo impressionante il della basilica vaticana, e dove era destino che lo stesso Ratzinger stato incoronato in una cerimonia avrebbe vissuto trentacinque anni d’altri tempi che non si sarebbe mai più tardi. più ripetuta, la sera del 12 agosto «In cerca d’un colloquio con il 1978 vennero celebrati i semplici fumondo intero»: l’espressione usata nerali del Pontefice, mentre il vento dal Papa a New York racchiude il sfogliava le pagine di un vangelo suo itinerario biografico, in apparenaperto sulla sua bara deposta per za scarno, e il quindicennio di un terra. pontificato drammatico e decisivo. Tutto era mutato nel quindicennio «Forse la nostra vita non ha altra trascorso tra quelle due estati: il più chiara nota che la definizione mondo non era più quello ottimista dell’amore al nostro tempo, al nostro e impaziente di uscire dalla guerra mondo, a quante anime abbiamo fredda e dal colonialismo, entrato potuto avvicinare e avvicineremo: com’era nella transizione difficile, e ma nella lealtà e nella convinzione per tanti aspetti oscura, verso il nuoche Cristo è necessario e vero» anvo secolo. Appena eletto, Montini notava infatti il Papa in un appunto non aveva voluto chiamarsi né Pio (che risale probabilmente a qualche né Giovanni, come i Pontefici che mese prima del discorso all’Onu) sul aveva servito con intelligenza e lealpredecessore Roncalli, con il quale tà, ma aveva preso il nome dell’apogià veniva contrapposto ideologicastolo missionario per eccellenza, fimente. Abituato a riflettere su se gura decisiva per la religione di Cristesso, Montini scrisse sempre molsto, quel san Paolo le cui idee e lettissimo: appunti personali, lettere, tere aveva studiato a fondo da gioarticoli, discorsi, in una grafia sorvevane. E come Paolo viaggiò per angliata e chiara, con pochi ripensanunciare il Vangelo sino ai confini menti. È poi il Papa stesso — caso della terra. Con scelte essenziali, tornon frequente — a scrivere personalnando innanzi tutto nei luoghi di mente buona parte dei testi pubblici Cristo, come mai era accaduto a un del pontificato, spesso bellissimi e successore di Pietro. Poi in India, che impressionano per la coerenza, nelle Americhe e fino alle Samoa nel anche stilistica, con quelli degli anni Pacifico, toccando tutti e cinque i precedenti, fin giovanili. continenti, primo Papa a recarsi in Ma chi era questo Papa che scelse tutto il mondo. Lo avrebbero seguiper sé il nome di san Paolo, la figura to i suoi successori, ma nessuno nel modo scarno e semplice di Montini: nove viaggi internazionali in sette anni, tanto rapidi quanto eloquenti. Il conclave era stato piuttosto breve — in tutto, una quarantina di ore — ma l’andamento certo non fu facile. L’eletto, erede di fatto indicato di Papa Giovanni, raccolse consensi probabilmente appena più larghi della maggioranza richiesta di due terzi più uno, comunque considerevole e certo più ampia dell’ala riformatrice del collegio cardinalizio. Unico candidato realmente eleggibile in grado di poter assicurare la continuità con Roncalli, il nuovo Papa riconvocò infatti il Vaticano II, sospeso secondo le norme canoniche alla morte del predecessore. E ne decise la ripresa subito dopo l’elezione in conclave, lui che per rinnovare il volto della Chiesa con ogni probabilità mai avrebbe pensato a un concilio, preferendo piuttosto l’esercizio ordinario e responsabile dell’autorità papale. «Non devo avere paura, non devo cercare appoggio esteriore, che mi esoneri dal mio dovere, ch’è quello di volere, di decidere, di assumere ogni responsabilità, di guidare gli altri, anche se ciò sembra illogico e forse assurdo» scrive durante i primi esercizi spirituali un mese e mezzo più tardi, nella solitudine di Castel Gandolfo. Di questa autorità il Papa si servì per condurre la maggiore assemblea di vescovi mai convocata verso l’“aggiornamento” desiderato da Roncalli e ormai maturo, alternando pazienti mediazioni a interventi decisi, che scontentarono le ali estreme dello schieramento conciliare, ma riuscirono a ottenere un consenso quasi plebiscitario al rinnovamento disegnato nei documenti del Vaticano II e perseguito con coraggio durante l’intero pontificato. Decisioni personali furono per esempio, prima della conclusione del concilio, l’avocazione alla responsabilità papale della decisione su due questioni dibattute come il celibato dei sacerdoti e il controllo delle nascite, oggetto poi di due encicliche controverse, l’istituzione del sinodo dei vescovi — organismo rappresentativo e consultivo dell’episcopato mondiale che di fatto, tra luci e ombre, ha favorito lo sviluppo della collegialità episcopale — e la riforma del Sant’Uffizio. All’interiorità e alla vicenda esteriore dell’uomo e del cristiano vuole introdurre questa scelta di scritti, inevitabilmente ristretta e dalla quale restano esclusi testi anche molto importanti e personali — come l’enciclica programmatica Ecclesiam suam, interamente scritta dal Papa — che però sarebbe stato necessario presentare solo in parte. Sono dunque testi personali di Montini, tutti pubblicati nella loro integralità e nella forma originale, che si estendono con un’impressionante coerenza, anche stilistica, per oltre un sessantennio. Fino all’ultima omelia per la festa dei santi Pietro e Paolo, bilancio solenne e commovente del pontificato tracciato dal Papa ormai presago della morte alla quale, nel trascorrere inesorabile del tempo, da anni si era preparato. (g.m.v.) Tenue lume Nel giugno 1953, da circa sei mesi prosegretario di Stato per gli affari ordinari, scrive una prefazione, rimasta inedita per quasi mezzo secolo, su una singolare e moderna forma di vita religiosa: quella dei Piccoli Fratelli di Gesù ispirati dall’esperienza di Charles de Foucauld. Pietro e la barca Morto Pio XII il 9 ottobre 1958, il giorno dopo ne dà l’annuncio alla diocesi con un messaggio, e per il discorso tenuto il 12 durante l’ufficio funebre nel duomo di Milano prepara un testo poi non usato. Ma così pregando non facciamo torto alla sua virtù, quasi fosse incompleta ed avesse bisogno della misericordia di Dio? Che Egli fosse Uomo buono, tutti sappiamo. Aveva ricevuto doni naturali copiosissimi, custoditi in sembianze fisiche esili e deboli, ma resistenti e protette da una sobrietà e da una regolarità di vita semplice ed austera, quasi claustrale, che ben si addiceva all’innocenza e alla mitezza del suo animo; un animo fine, gentile, sensibilissimo, ma non emotivo; dotato di grandissima versatilità, pronta e inesauribile; di memoria prodigiosa, fotograficamente fedele, al servizio d’un temperamento equilibrato e sereno, e penetrato da pietà abituale e composta. Poi un’educazione sana e imbevuta di spirito romano, un po’ aristocratico e classicheggiante, ma ricco altresì di buon senso e di buon umore di popolo, e forte d’un vigilante senso del dovere, testuale e preciso, che si palesava in uno sforzo continuo di perfezione formale e morale, presente nelle piccole cose — la puntualità, la calligrafia, la purezza della lingua, il ricordo dei particolari... — e nelle grandi cose — i suoi discorsi, la sua arte diplomatica, la coscienza della sua missione, la sua visione del mondo. Poi un’esperienza unica. Quella della vita romana, quella della fede cattolica, quella del servizio alla Santa Sede. Come, non ricordare, ad esempio, che per le sue mani, in quattordici anni d’incessante lavoro, passò tutta la legislazione della Chiesa nella formulazione di quella sintesi di secoli di letteratura giuridica, che è il Codice di Diritto Canonico? e come non ricordare che dalle sue mani uscirono non pochi di quei Concordati con gli Stati dell’Europa superstite dopo la prima guerra mondiale, che collaudano il Diritto pubblico della Chiesa ad amichevole contatto con il Diritto delle Nazioni moderne? Poi un Pontificato unico. Voi lo conoscete. Fra i più lunghi che la storia dei Papi registri. Fra i più delicati e più duri insieme. La posizione della Chiesa è quella che tutti sanno: si regge ora per sole forze spirituali, come società religiosa, ma visibile e organizzata in questo mondo; in un mondo che generalmente e ufficialmente si dice laico, o agnostico, o addirittura ateo, cioè non considera, — per non dire: non riconosce e non tollera – quelle medesime forze spirituali di cui vive la Chiesa. Il suo equilibrio è quello d’una nave sopra un mare agitato. La barca di Pietro è investi- ta da questa mobilità, da questa avversità dell’elemento in cui svolge il suo corso. Avete mai riflesso alla contrarietà di questi due simboli: la barca e la Pietra? Vacillante l’immagine del primo simbolo e vacillante la realtà ch’esso delinea; immobile l’immagine del secondo, come immobile la realtà che pur esso esprime; ed insieme vanno, nei secoli, Pietro e la barca a significare due opposte, ma vitalmente complementari prerogative della Chiesa, la sua relatività alla storia e alla condizione umana e la sua trascendente fermezza Francesco Messina, «Monumento funebre a Pio XII» (1963) al disegno e alla virtù divina che reca con sé. Ebbene, questa strana sintesi assurge nel Pontificato di Pio XII a grado mai visto. Nessun Pontificato forse ha tanto subito la violenza e l’insidia delle trasformazioni del mondo; pensate alla guerra gigantesca che tutta si è svolta nel suo periodo, pensate all’evoluzione economica, scientifica, sociale e politica della vita contemporanea, che sembra scuotere ogni cardine di pensiero e di legge morale e religiosa. E nessun Pontificato forse è stato vicino alla vita umana come quello che con la morte di Pio XII ora si è chiuso. Crediamo sia questa la caratteristica saliente della sua ventennale opera apostolica: l’accostamento al mondo moderno. È stato voce principalmente. Ricordo che nella prima Udienza che Pio XII, appena eletto Papa, concesse a S. Ecc. Mons. Tardini ed a me, che eravamo rimasti, sempre alle sue dipendenze, alla direzione degli uffici della Segreteria di Stato, ebbe a dire, quasi sgomento dell’immane dovere che Gli cadeva su le spalle: «Ora dovrò parlare; chi sa quanto parlare!». E parlò. Lo sappiamo. Ma dobbiamo notare come la Sua parola di Vicario di Cristo non solo fece eco, come doveva, alla voce della rivelazione divina, ma risuonò, continua e potente, come voce della coscienza umana. I diritti del Vangelo apparvero coincidenti con quelli dell’uomo. L’umanità ebbe in Pio XII il suo interprete, il suo araldo, in ore di confusione ostinata e di tragici errori. E spesso ancor più che Dottore, apparve l’Amico del nostro tempo. Le grandi tesi della civiltà moderna ebbero in Lui l’assertore più informato e più coerente: i temi della giustizia, della pace, del diritto e del dovere, della libertà, della persona umana, del lavoro, della democrazia, della scienza, dell’economia, dell’arte, e dite pure della medicina, dell’arte, del cinema, dello sport, e innumerevoli altri, ascoltammo trattati e pervasi da una Verità e da un Amore, che ben scopriva il credente, intuiva l’incredulo, ammiravano tutti. Egli pensò, Egli studiò, Egli conobbe, Egli sofferse, e finalmente Egli espresse questa nostra vita umana, nei suoi principii sacri e profondi, nelle sue manifestazioni più evidenti e più recondite, più comuni e più singolari. La Sua versatilità lo rese enciclopedico; amò anzi moltiplicare i suoi interventi, valendosi delle sue mirabili virtù poliglotte, nei campi più remoti e più impervii, e sempre con tocco di competenza scientifica, e con colpo d’ala spirituale volante alle somme cause. Parlò di tutto. Parlò con tutti. Divenne suo programma: instaurare omnia in Christo; tutto bisogna ricondurre a Cristo. Oh, non nuovo programma! Pio X e Pio XI non lo ebbero pure? Ma Pio XII lo svolse in un’amplissima ed accuratissima opera oratoria, che arricchisce il patrimonio della letteratura ecclesiastica e che tramanderà nel tempo il nome di tanto Maestro. E alla voce si unì l’opera. Questa fu naturalmente contenuta nei perimetri concreti delle limitate possibilità della Sede Apostolica, ma tale essa parimente fu, da dare al mondo il senso e la speranza, la prova spesso d’una carità dappertutto vigile ed operante. Ma oltre la misura di quest’opera, bisogna osservarne le direzioni. E prima direzione, la più evidente, la più seguita, fu quella della pace. Era la sua divisa: opus justitiae pax. Fu il suo impegno. L’arte Sua di trattare con gli uomini responsabili non cessò mai d’esplicarsi in questo senso, tanto umano e tanto cristiano. Quegli avversari, che per partito preso accusaro- Pio XII è stato voce principalmente La sua parola di Vicario di Cristo non solo fece eco alla voce della rivelazione divina ma risuonò potente anche come voce della coscienza umana no ed accusano il Papa d’aver favorito la guerra, dovrebbero cercare per i loro tristi scopi un’accusa più intelligente e meno clamorosamente smentita, non solo dai fatti e dall’universale testimonianza degli onesti, ma dagli stessi amici di tali avversari. Ricordo la meraviglia prodotta dalla lettera rivolta alla Santa Sede dallo scienziato Curie, nella quale egli stesso candidamente riconosceva che il Papa aveva sempre cercato di promuovere la pace fra le nazioni. E premio quasi di questa Sua azione audace e tenace di pacificazione durante la guerra più distruttrice che la storia ricordi, strappò agli uomini, o meglio ottenne dalla Provvidenza, di preservare Roma dalla rovina. Così ogni altra direzione dell’opera Sua è rivolta a fare del cristianesimo la grande beneficenza intellettuale, morale e sociale del mondo, un’incessante manifestazione di verità, di bontà e di carità. Ma non è possibile ora descrivere, anche in minima parte, quest’opera immensa. Ci piace accennarvi così, per ritornare al nostro dolore d’aver perduto un Uomo così buono e così grande, e ancora per chiederci perché dobbiamo pregare per Lui. Per comprendere queste pagine bisognerà avere qualche conoscenza della singolare figura di asceta e di mistico da cui traggono ispirazione, di Carlo de Foucauld, o, come ormai è chiamato dai suoi seguaci, Carlo di Gesù. Eremita missionario era divenuto dopo essere stato ufficiale dell’esercito coloniale francese, e dopo essersi convertito a fervore di vita cristiana, ammaestrato e affascinato dal misterioso incanto del deserto africano; poi pellegrino in Terra Santa, si fa trappista, vagante dall’Armenia a Roma, lascia l’ordine per ritornare in Palestina, e di là ripassare in Francia, donde, ordinato Sacerdote, ritorna in Africa, ormai sua patria spirituale, e vi consuma anni di poverissima vita, assistendo, nomade lui stesso, le tribù musulmane; si stabilisce poi nell’oasi di Tamanrasset, nello Hoggar, per terminare l’anelante sua carriera terrena assassinato, su la porta del suo eremitaggio, da quegli stessi ai quali aveva portato, pieno e benefico, l’umile dono della sua amicizia: questo fu il primo dicembre del 1916. Una vita così varia e tormentata, così vagabonda e insieme così tranquilla, solitaria ed avida d’incontri spirituali, agitata da molteplici esperienze e strane avventure e resa da esse ognor più semplice e raccolta, così gradatamente spoglia di tutto e insieme progressivamente ricca di bontà e di amore, sconcertante e avvincente, spunta come un tenue lume fra le mille luci fatue del nostro secolo, e a mano a mano ch’essa si allontana nel tempo diviene un faro, e segna un cammino. Questo cammino è ora percorso dal Padre Renato Voillaume, Priore Generale dei Piccoli Fratelli di Gesù, che esorta con questi scritti spirituali le sue umili comunità, le “fraternità”, che dallo spirito di Carlo di Gesù derivano recente origine. Nasce così un volume di spiritualità che viene ad arricchire la letteratura religiosa d’un notevolissimo contributo. Più che un trattato, più che un libro questa collezione di scritti occasionali è un documento di vita religiosa scaturita dall’esempio coraggioso e meraviglioso dell’asceta del Sahara, e sta a provare la perenne capacità della Chiesa cattolica a generare autentici seguaci di Cristo, creando stupore e gaudio per la singolarità del fenomeno religioso ch’esso descrive, suscitando inquietudine e fascino per la profondità e la semplicità spirituale ch’esso richiama, e offrendo un codice di ascesi evangelica, spinta da un lato ad espressioni primitive e genuine della tradizione monastica, innestata dall’altro nelle più elementari condizioni d’esistenza e d’attività di umili classi sociali. L’opera tratta una quantità di questioni riguardanti la perfezione religiosa, le virtù che le sono proprie, la povertà e la carità specialmente, la santificazione alimentata dalla celebrazione delle feste liturgiche, i grandi temi dell’ascetica e della mistica, l’analisi dell’anima umana assetata d’unione con Dio, e guidata dalle lezioni evangeliche al servizio e all’amore del prossimo, all’abnegazione di sé, alla visione del mondo e della vita nel grande e lucido quadro della sapienza del Maestro divino: il lavoro e la preghiera, il silenzio e la parola, la solitudine e la socialità, il nascondimento e l’amicizia, il valore del tempo e quello dell’eternità, la libertà di spirito e l’obbedienza facile e spontanea, la conoscenza delle miserie umane e la stima dell’uomo, la tranquillità e il coraggio, l’arte di soffrire e insieme di godere, l’indi- pendenza dal mondo e l’ansia di salvarlo, il distacco dalle creature e la capacità di gustarne il linguaggio e la bellezza, e tanti altri temi, diversi e ricondotti ad armonia interiore, ricorrono in queste pagine e dimostrano quella larga informazione dottrinale e quella personale esperienza che danno ad un libro credito e interesse non comune. Su tante cose potranno i dotti discutere e gli esperti commentare; non vogliamo qui dare un giudizio. Bastino intanto a raccomandare il volume all’attenzione dei lettori italiani alcune circostanze che possono aprirgli la via ad una favorevole accoglienza. La povertà innanzitutto della maggior parte del Clero italiano: essa ha bisogno di provvidenze, di cui ora non è qui dato discorrere; ma essa è di per sé tale veste, che altra migliore non potrebbe essergli riconosciuta per qualificare ammirabile il suo quotidiano disinteresse e per disporlo all’esercizio del suo ministero nella forma più propizia a renderlo convincente e a dargli dignità e merito d’autenticità evangelica. Essa può quindi, così considerata, fare della più umile e spoglia vita ecclesiastica un esercizio di santità, che facilmente troverà nelle pagine del libro confortanti analogie, interpretazioni appropriate, esempi calzanti. E il beneficio d’una simile esortazione alla santità attinta dalla povertà sarà anche maggiore, se un’intenzione, altrettanto moderna che urgente, di evangelizzazione del popolo s’aggiunga a quella del distacco dai beni materiali; l’intenzione cioè che apre gli occhi sullo stato d’abbandono spirituale di larghissimi strati di popolazioni sia urbane che rurali, e che spinge nei suburbi religiosamente più desolati, nei centri di lavoro e di traffico più profani, nelle campagne più remote dal campanile l’apostolo della società presente, non più imperniata sul tempio e su Dio, ma su l’utilizzazione del mondo e su l’uomo. Anche per questa avventurosa penetrazione pastorale, che fa del prete e del laico desiderosi della salvezza del prossimo degli autentici missionari, la scuola delle Fraternità di Carlo de Foucauld offre magnifiche lezioni di coraggio, di saggezza, di carità. E mostra in esempi, che hanno il paradossale aspetto dell’eroismo abituale, come all’evangelizzazione della dottrina e della grazia debba essere previa, o concomitante l’evangelizzazione della vita di chi predica e personifica Cristo. Davanti al lettore esterefatto passano visioni lontane, troppo spesso confinate nel campo della reminiscenza e della fantasia: sono gli apostoli, mandati da Gesù, al loro primo esperimento annunciatore del regno di Dio, sine pera, sine calceamentis; sono le strane figure dei primi eremiti, esuli volontari nel deserto, precursori del futuro cenobio e del futuro villaggio cristiano; sono i fraticelli medioevali che vanno ornati di povertà e di letizia a ristorare nel mondo la speranza dell’era cristiana; sono i pellegrini ardimentosi che traversano continenti ed oceani per recare la buona novella ai lidi più lontani; e oggi sono finalmente i piccoli fratelli di Gesù, che vanno vagando ai margini delle opere già organizzate, delle città già costruite, della civiltà già stabilita, per farsi silenziosi e modesti pionieri dell’amore cristiano. Questo istinto della più umile evangelizzazione oggi è diventato ideale, e dona ai seguaci di Carlo di Gesù il loro talento religioso: escono dalle abitudini comuni per conservare la tradizione evangelica; dimettono la veste dignitosa per assumere quella della fatica misera e dura; lasciano le comunità bene organizzate in collegi impersonali per creare piccoli nuclei di amici che lavorano, pregano, vivono insieme; ripudiano La vita di Carlo de Foucauld così vagabonda e insieme così tranquilla sconcertante e avvincente spunta fra le mille luci fatue del nostro secolo ogni distinzione esteriore per assimilarsi agli umili ceti sociali, ove hanno scelto di vivere; fanno della rinuncia, dell’abbassamento, della pazienza uno strumento di predicazione silenziosa, una possibilità di amicizia e di apostolato; ma conservano soprattutto nell’intimo del cuore e nel rifugio delle poverissime abitazioni un’assidua, un’ardente pietà di contemplativi e di adoratori, e ne Charles de Foucauld traggono la difesa dalla volgarità circostante, la capacità di diffondervi l’ineffabile profumo di Cristo. Quanti sacerdoti, quanti Religiosi e Religiose quanti buoni fedeli, in un paese così povero di ricchezze economiche come l’Italia, e così ricco di patrimonio spirituale trascorrono la loro vita, e per generosa elezione e per forza di cose, in condizioni presso che analoghe a quelle che l’ardita vocazione dei piccoli Fratelli preferisce per lo sviluppo della propria spiritualità; quante anime perciò che anelano alla sequela del Maestro troveranno nelle pagine di Padre Voillaume la propria lezione di santità. E perché ciò sia, mentre della miseria, della sofferenza, dell’abbiezione sociale si arma la negazione di Dio, il materialismo rivoluzionario, l’anticlericalismo politico, queste pagine sono offerte al pubblico cattolico italiano, come scuola come esempio di ben diversa trasfigurazione cristiana dell’umana fatica, in segno di coraggio e di speranza. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 mercoledì 13 aprile 2016 La cattedrale dell’Immacolata Concezione a Mosca Progetto di collaborazione tra patriarcato di Mosca e Chiesa cattolica Insieme per la Siria MOSCA, 12. Il patriarcato ortodosso di Mosca e la Chiesa cattolica uniranno gli sforzi per sostenere il restauro delle chiese cristiane in Siria gravemente danneggiate, quando non completamente distrutte, dalla furia delle milizie fondamentaliste del cosiddetto Stato islamico. È quanto rende noto un comunicato del Dipartimento per le relazioni esterne della Chiesa ortodossa russa a seguito di una visita di due giorni — il 6 e 7 aprile scorsi — che una delegazione delle due Chiese ha compiuto in Siria e in Libano per coordinare gli aiuti umanitari e concordare una serie Ortodossi greci e grande concilio ATENE, 12. L’assemblea dei vescovi della Chiesa ortodossa di Grecia si riunirà in sessione straordinaria dal 24 al 25 maggio per discutere e sottomettere ad approvazione tutti i temi del prossimo concilio panortodosso, in programma a Creta dal 16 al 27 giugno. A riferirlo è il sito in rete Orthodoxie.com citando l’agenzia Romfea. L’obiettivo del sinodo permanente è quello di dare alla delegazione che rappresenterà la Chiesa di Grecia «pieni poteri» per ratificare i testi finali e le decisioni del concilio, su alcuni dei quali non sarebbe stata ancora trovata unanime intesa. di iniziative. «La necessità di redigere un elenco dettagliato dei luoghi cristiani distrutti e danneggiati durante la guerra in Siria e il rafforzamento della comune testimonianza cristiana della tragedia siriana sono stati riconosciuti come una delle priorità a breve termine», si legge nel comunicato, in cui si evidenzia proprio come «la tragedia in corso in Medio oriente», di cui sono vittime rappresentanti delle diverse confessioni cristiane e di altri gruppi etnici e religiosi, e «la necessità di un’azione urgente per migliorare tale situazione», sono state al centro dello storico colloquio avvenuto il 12 febbraio scorso all’Avana tra il patriarca di Mosca Cirillo e Papa Francesco. Della delegazione hanno fatto parte lo ieromonaco Stefan (Igumnov), segretario per le relazioni inter-cristiane del Dipartimento per le relazioni esterne del patriarcato, l’arcivescovo della Madre di Dio a Mosca, monsignor Paolo Pezzi, e rappresentanti della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre. Numerosi e importanti gli incontri che la delegazione ha avuto prima in Libano e poi in Siria. A Beirut si è tenuta una riunione con il cardinale Bechara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti, e il nunzio apostolico Gabriele Giordano Caccia. Alla riunione ha partecipato anche l’igumeno Arsenij (Sokolov), rappresentante del patriarca di Mosca presso il patriarca di Antio- chia. Successivamente la delegazione ha visitato la città di Zahle, il più grande centro abitato della Valle della Beqā, dove si trovano circa duecentocinquantamila profughi dalla Siria. In particolare, i rappresentanti della Chiesa ortodossa russa e della Chiesa cattolica hanno visitato i campi di soggiorno temporaneo, dove hanno trovato rifugio cristiani e musulmani, e hanno incontrato i capi delle più grandi comunità cristiane di questa regione del Libano: il metropolita Anthony di Zahleh e Baalbek, della Chiesa ortodossa di Antiochia, e l’arcivescovo di Zahleh e Furzol dei greco-melchiti, Issam Jouhanna Darwich. La delegazione ha anche fatto visita a una delle mense approntate dalle Chiese locali per la distribuzione di pasti giornalieri ai rifugiati e ai poveri. A Zahle si è tenuto anche un seminario, durante il quale i rappresentanti della Chiesa ortodossa antiochena e della Chiesa greco-melchita hanno riferito in dettaglio circa la situazione umanitaria nella regione della Beqā, e degli sforzi compiuti dalle Chiese locali per l’assistenza ai rifugiati provenienti dalla Siria. Il giorno seguente la delegazione si è recata a Damasco, dove ha visitato la cattedrale della Chiesa ortodossa di Antiochia, incontrandosi con un gruppo di presuli, tra cui Efraim di Seleucia, segretario del santo sinodo. Durante la discussione, lo ieromonaco Stefan (Igumnov) ha messo in rilievo il ruolo determinante, per quanto riguarda il coordinamento degli interventi umanitari in Siria, della Chiesa ortodossa antiochena, in quanto la più numerosa e di più antica tradizione. Successivamente la delegazione è stata ricevuta dal patriarca della Chiesa siro-ortodossa, Ignazio Efrem II, il quale ha sottolineato l’importanza dell’iniziativa intrapresa dal patriarcato di Mosca e dalla Chiesa cattolica, e ha parlato degli ultimi sviluppi della situazione in Siria, tra cui la recente liberazione della città di AlKaryateyn. Sempre a Damasco si è svolta la seconda sessione del seminario, dedicata alla situazione umanitaria che si è creata a seguito della crisi siriana. All’incontro, che si è tenuto nella sede del patriarcato greco-melchita, hanno partecipato rappresentanti delle diverse confessioni cristiane siriane, che hanno parlato della situazione attuale nelle regioni più colpite dagli attacchi terroristici, e dell’esperienza di lavoro umanitario con i sopravvissuti di questa tragedia. È stato sottolineato, in particolare, come gli aiuti forniti dalle Chiese vengano distribuiti tra la popolazione siriana in difficoltà a prescindere dall’appartenenza religiosa, e dunque non solo ai cristiani ma anche ai musulmani. Nel corso dell’incontro si è convenuto sulla necessità di rafforzare la presenza cristiana nella regione. Di qui anche l’obiettivo di procedere al restauro di chiese e monasteri. Il 13 aprile 1991 la riorganizzazione delle diocesi latine Doppio giubileo per i fedeli in Russia MOSCA, 12. Per la Chiesa cattolica di rito latino in Russia l’anno giubilare della misericordia coincide con un altro importante giubileo: il venticinquesimo anniversario della sua prima riorganizzazione nelle Repubbliche sovietiche di Bielorussia, Russia e Kazakhstan. Era infatti il 13 aprile 1991 (quindi più di otto mesi prima dello scioglimento ufficiale dell’Unione Sovietica), quando fu possibile offrire in questo modo «una nuova vita alla Chiesa cattolica in Russia e in Asia I Focolari tra i promotori di un’iniziativa per la Giornata mondiale della Terra Lettera dei vescovi in vista delle elezioni Un posto migliore A pieno titolo nel futuro della Scozia ROMA, 12. Dal 22 al 25 aprile si svolgerà nel cuore verde di Roma, a Villa Borghese, presso il Galoppatoio, una manifestazione dal titolo «Villaggio per la Terra. Vivere insieme la città. Roma in Mariapoli». L’evento è promosso da Earth Day Italia e dal Movimento dei Focolari di Roma. Si aprirà con la celebrazione della 46ª edizione della Giornata mondiale della Terra, che que- che promuove la Giornata mondiale della Terra dell’O nu. «Alla luce dell’enciclica Laudato si’ — spiegano i Focolari in un comunicato — nella quale Papa Francesco ha invitato tutti alla cura della casa comune, e nella cornice del giubileo della misericordia, “Il Villaggio per la Terra – Roma in Mariapoli” vuole far riscoprire la specifica vocazione di Roma alla fraterni- st’anno assume una rilevanza ancora maggiore per la scelta, da parte del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, del 22 aprile come primo giorno utile per la sottoscrizione dello storico accordo di Parigi sul clima (Cop21), al quale sono chiamati tutti gli Stati del mondo. Earth Day Italia è la sede italiana dell’Earth Day Network di Washington, ong internazionale tà universale che la rende città unica al mondo». L’evento vuole essere un villaggio temporaneo dentro la città e vedrà il coinvolgimento di numerose realtà che operano quotidianamente a vario titolo sul territorio per rendere la Capitale «un posto migliore in cui abitare, dove ogni cittadino o turista (di ogni età, ceto sociale o cultura) può sperimentare il proprio insostituibile con- tributo alla vita della città. Obiettivo della manifestazione è creare ponti di dialogo tra le diversità — centro e periferia, giovani e adulti, romani e cittadini “in transito” — mostrando «tutto il bello che c’è a Roma perché incontrarsi nella diversità è possibile, e la solidarietà è un valore universale». “Vivere insieme la città” si snoderà in quattro giorni di attività (workshop, laboratori, seminari, scambio di buone pratiche, performance artistiche, dibattiti, momenti di gioco, approfondimenti o la semplice condivisione del tempo e delle esperienze) volti ad accrescere la conoscenza reciproca e l’accoglienza. La formula scelta per l’evento è quella della Mariapoli, ispirata alle parole del Vangelo: «Che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi» (cfr. Giovanni, 13, 34). Si tratta di un’esperienza rivolta a ogni età, ceto sociale, provenienza, cultura e fede e nata nel 1949, sui monti del Trentino, quando Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, cominciò a trascorrere dei periodi di vacanza insieme alla giovane comunità. Oggi, questo originale laboratorio di fraternità tra culture e popoli diversi si ripete in 182 Paesi del mondo. Nell’anno del giubileo della misericordia, «Roma in Mariapoli» vuole offrire a quanti parteciperanno la possibilità di condividere un’esperienza di Vangelo vissuto, nella prospettiva delle sfide culturali e sociali. Giunto alla sua terza edizione, il Villaggio per la Terra sarà ricco di appuntamenti e importanti novità. Oltre ai temi classici della tutela ambientale, saranno affrontate questioni strettamente legate al tema della sostenibilità, come la legalità, l’immigrazione e la partecipazione civica. La manifestazione è frutto di una collaborazione con i ministeri dell’Ambiente e dell’Istruzione e Roma Capitale, tutti coinvolti in numerosi progetti di educazione ambientale. EDIMBURGO, 12. In una lettera che sarà letta sabato e domenica prossima in tutte le cinquecento parrocchie cattoliche della Scozia, gli otto vescovi del Paese esortano la comunità cattolica a «partecipare attivamente alla costruzione di una società migliore» e a non essere «semplici spettatori passivi» del processo politico in vista delle prossime elezioni che si svolgeranno in Scozia il prossimo 5 maggio. Il messaggio dei vescovi agli elettori cattolici è: «Solo se si usa il tuo voto si può fare la differenza e influenzare i nostri leader politici». È dovere di ogni cattolico — scrivono i vescovi — cercare di influenzare la società in meglio. I presuli vi chiedono, quindi, di esercitare questo diritto democratico e responsabilità andando a votare alle prossime elezioni parlamentari scozzesi. L’episcopato invita inoltre a riflettere sul fatto che «il Parlamento scozzese ha ora più poteri rispetto a prima e ha una maggiore voce, di conseguenza, nel determinare il benessere della società». In particolare — osservano i vescovi — al Parlamento è stato dato «un maggiore controllo dell’economia» e avrà anche maggiori responsabi- lità sulla legislazione in materia di aborto in Scozia. L’invito dei vescovi è quello di far conoscere i propri punti di vista a candidati e partiti. E visto che nel sistema elettorale scozzese i voti sono due, i vescovi esortano i cattolici a valutare — nel voto al candidato — chi si sceglie perché sia «la persona più compatibile» con le proprie visioni; e nel voto al partito di controllare chi dei candidati è stato messo tra i primi nomi della lista. «Portate in queste elezioni i benefici della visione della fede cristiana» è l’esortazione finale contenuta nella lettera: i vescovi fanno riferimento alla «dignità di ogni persona, in particolare i più deboli e più vulnerabili»; al «valore di ogni vita umana dal concepimento fino alla morte naturale»; alla «famiglia come unità fondamentale della nostra società»; alla «giustizia sociale ed economica per tutti» e alla «cura della casa comune in cui viviamo. Per promuovere questi valori — concludono i presuli scozzesi — si potrebbe anche prendere in considerazione la pena di aderire ad un partito politico. Non lasciamo che siano gli altri a determinare il futuro della Scozia». centrale dopo settant’anni di illegalità». A scriverlo — in una lettera pastorale in occasione dell’anno giubilare della misericordia ripresa dall’agenzia Sir — sono i vescovi, i quali invitano a volgere lo sguardo a quell’evento, ringraziano Dio «per tutti i suoi benefici in questi venticinque anni» ed esortano tutti i fedeli a pregare con una novena di ringraziamento, affinché «la gioia e la gratitudine non lascino i nostri cuori». Nel documento i presuli ripercorrono la storia dolorosa del secolo scorso, risalendo al 1917 quando iniziò una vera e propria via crucis lunga settant’anni durante i quali vi furono persecuzioni violentissime e vennero «distrutte le strutture esterne della Chiesa», dai luoghi di culto ai seminari. «Sono pagine tragiche — scrivono i vescovi — e nello stesso tempo gloriose della storia della nostra Chiesa. Noi fedeli del 2000 dobbiamo custodire con premura la memoria dei martiri e confessori della fede del ventesimo secolo». Il 1° dicembre 1989, poche settimane dopo la caduta del muro di Berlino, vi fu lo lo storico incontro in Vaticano tra Giovanni Paolo II e Mikhail Gorbachev, che rese possibile già nei primi mesi del 1990 l’arrivo a Mosca di un rappresentante della Santa Sede, l’arcivescovo Francesco Colasuonno (1925-2003) che poi, nel 1998, venne creato cardinale. Così, il 13 aprile di venticinque anni fa — ricordano i presuli — «la Chiesa cattolica in Russia e nelle repubbliche dell’Asia centrale, dopo settant’anni di clandestinità, trovò una nuova vita». Oggi, con spirito di gratitudine, i vescovi invitano le comunità cattoliche in Russia a vivere il giubileo della misericordia: «Proviamo ad aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, ai feriti, ai disprezzati. In questo giubileo ancora di più la Chiesa è chiamata a curare queste ferite, a lenirle con l’olio della consolazione, fasciarle con la misericordia e curarle con la solidarietà e l’attenzione dovuta». Nella Federazione russa si contano l’arcidiocesi della Madre di Dio a Mosca, guidata da monsignor Paolo Pezzi, la diocesi di San Clemente a Saratov, con a capo monsignor Clemens Pickel, la diocesi della Trasfigurazione a Novosibirsk, affidata a monsignor Joseph Werth, e la diocesi di San Giuseppe a Irkutsk (che si estende fino al confine estremo con la Cina), sotto la responsabilità di monsignor Cyryl Klimowicz. L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 13 aprile 2016 TANGERI, 12. I migranti e la loro accoglienza: questo il tema centrale dell’assemblea della Conferenza dei vescovi della regione nord dell’Africa (Conference Episcopale Régionale du Nord de l’Afrique, Cerna) svoltasi nei giorni scorsi a Tangeri, in Marocco. Nel comunicato finale diffuso al termine dei lavori e siglato da monsignor Paul Desfarges, presidente dell’organismo e vescovo di Costantine, viene innanzitutto scattata un’istantanea delle singole Chiese: in Tunisia, si sottolinea come la Chiesa cattolica guardi «con fiducia al cammino del Paese dopo la rivoluzione del 2011», nonostante «le difficoltà e le prove» affrontate, come l’attentato al museo nazionale del Bardo, avvenuto a marzo 2015. In particolare, la Chiesa in Tunisia prosegue il suo lavoro nei settori dell’educazione e della carità, in solidarietà con i migranti che arrivano nel Paese. La Chiesa in Marocco, invece, guarda al dialogo interreligioso e punta su iniziative pastorali rivolte ai giovani e sui servizi per le persone in difficoltà, senza dimenticare che «la comunità cristiana locale si evolve anche con la nuova presenza dei migranti». Quanto all’Algeria, la Conferenza dei vescovi della regione nord dell’Africa ha ricordato le difficoltà del Paese di fronte al crollo del prezzo del petrolio, nonché i preparativi della Chiesa per il centenario della morte di Charles de Foucauld, che ricorrerà il 1° dicembre prossimo, e il ventennale della morte dei monaci di Tibhirine, scomparsi nel marzo 1996. Per quanto riguarda la Libia, dove si sta lavorando con difficoltà a un Governo di unità nazionale, la Cerna sottolinea che proprio a causa della crisi del Paese, nessun presule è potuto intervenire all’assemblea di Tangeri. Tuttavia, tramite corrispondenza, i vescovi nordafricani sono stati informati sulle problematiche che sta vivendo la Chiesa in Libia «in questo tempo di crisi, con la partenza di molti lavoratori espatriati e la situazione precaria Conclusa a Tangeri l’assemblea della Conferenza dei vescovi della regione nord dell’Africa La carità non passa mai che vivono i migranti. Qualche comunità religiosa prosegue coraggiosamente il suo servizio — si legge nel comunicato — sperando che le parti in causa arrivino a restaurare la pace e la stabilità e che per il Paese e la Chiesa locale sia possibile un nuovo corso». Segnali positivi arrivano, invece, dalla Mauritania, dove la diocesi di Nouakchott si appresta a celebrare il cinquantesimo anniversario di fondazione e la comunità cristiana è in crescita. Da ricordare che all’incontro di Tangeri ha preso parte anche monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, il quale ha informato i presenti sul lavoro delle istituzioni ecclesiali italiane riguardo all’accoglienza dei migranti e ha presentato «uno sguardo critico sull’accordo tra l’Unione europea e la Turchia», che prevede, come è noto, l’espulsione dalla Grecia verso la Turchia di tutti i migranti irregolari arrivati dopo il 20 marzo passando attraverso il confine turco. Critiche alle quali si unisce la Conferenza dei vescovi della regione nord dell’Africa, che ha espresso «indignazione davanti alle gravissime conseguenze di questa politica sui nostri Paesi e, soprattutto, sulla vita dei migranti». In generale, poi, le Chiese nordafricane hanno sottolineato che, «in termini statistici, i nostri numeri sono insignificanti e i battesimi e i matrimoni sono poco numerosi». Tuttavia, le testimonianze di vita cristiana, gli incontri e i servizi portati avanti «insieme agli amici musulmani» dimostrano che «il Regno di Dio è all’opera». Riguardo, quindi, alle situazioni politiche “complicate” che si vivono nella regione, i presuli hanno sottolineato che la missione della Chiesa «non è di prendere posizioni di principio, ma di porsi accanto a coloro che soffrono, che cercano aiuto per vivere in modo degno», in spirito di fraternità. «La vocazione della Chiesa — ha spiegato ancora la Cerna — non è incentrata unicamente sul sostegno spirituale dei suoi membri, ma vuole anche testi- In Ecuador l’episcopato lancia un appello alla leale cooperazione Crisi sociale nemico da combattere QUITO, 12. È la crisi socio-economica in cui versa il Paese la principale preoccupazione dei vescovi in Ecuador che, al termine dell’assemblea plenaria svoltasi nei giorni scorsi a Quito, hanno lanciato un appello al dialogo e alla «leale cooperazione». Nel messaggio finale viene ribadita la necessità di affrontare «in modo efficace e con senso di responsabilità» la difficile si- tuazione, in particolare nel settore sociale ed economico. «Siamo preoccupati per l’impatto che tale situazione potrà avere sulla vita della popolazione, soprattutto sui giovani colpiti dalla droga, sulle donne e i bambini vittime del traffico di esseri umani e su tutte le persone vulnerabili a causa dell’insicurezza e della disoccupazione», scrive la Conferenza episcopale. I presuli messicani al termine della plenaria Insieme senza egoismo CITTÀ DEL MESSICO, 12. «Mettercela tutta. Rassegnarsi mai»: è il titolo del messaggio dei vescovi messicani presentato nei giorni scorsi a conclusione dell’assemblea plenaria. Due mesi dopo la visita di Papa Francesco nel Paese, i presuli hanno sottolineato che «il messaggio del Pontefice è calato nel profondo e ci ha lasciato delle sfide che dovremmo affrontare», ribadendo poi il loro impegno ad andare avanti con coraggio di fronte alle difficoltà che «oscurano, deprimono e distruggono» la nazione. La risposta dei vescovi è un invito a non sprecare il grande patrimonio culturale e la pagina 7 diversità di risorse del Paese e di lavorare insieme «senza egoismo in un progetto comune». Secondo i presuli, «il Messico deve essere costruito come una famiglia dove nessuno è di troppo». Al riguardo l’episcopato ha esortato tutti a lavorare e ad impegnarsi insieme, in comunione di fede. «Non possiamo costruire muri tra di noi, né per altri. Siamo un popolo — si legge nel testo — che sa darsi una mano a vicenda e costruire ponti al di là delle differenze: riconoscerle e parlarne faccia a faccia ci fa crescere nella verità e nell’unità». E guardando alle elezioni presidenziali in programma nel 2017, i presuli mettono in guardia da una campagna elettorale caratterizzata dall’esasperazione degli scontri politici e, esortando al dialogo, ribadiscono la missione della Chiesa: «Essere una testimonianza viva di verità e libertà, di pace e giustizia, affinché la popolazione sia incoraggiata da una nuova speranza». Durante i lavori non poteva mancare un approfondimento sullo stato dei cristiani perseguitati nel mondo: «Condividiamo il profondo dolore per le tribolazioni e la drammatica situazione dei nostri fratelli nella fede in varie parti del mondo. Li teniamo sempre presenti nella mente e nel cuore e invochiamo il Signore affinché conceda loro la forza necessaria e la consolazione della fraterna e concreta sollecitudine di tutta la Chiesa», in modo che la loro testimonianza «rafforzi la fedeltà di tutti i battezzati». Ma forza e sostegno nella fede l’episcopato invita a ritrovarli anche nei frutti maturati dopo il viaggio apostolico compiuto da Papa Francesco in Ecuador nel luglio 2015: «Vi esortiamo a rivedere e a far fruttare la ricchezza del messaggio che il Santo Padre ci ha lasciato. Ciò ci rafforzerà nella fede, rinnoverà le nostre famiglie e farà crescere la nostra società nella solidarietà, nella gratuità e nella sussidiarietà». I vescovi esprimono gratitudine a Francesco anche per l’indizione del giubileo della misericordia, definito un’«iniziativa provvidenziale», e ricordano l’importanza di impegnarsi nelle opere di carità, nella «generosa attenzione al sacramento della riconciliazione» e nello «sviluppo di un atteggiamento più accogliente in tutto il popolo cristiano». Servirà invece a «riscoprire la bellezza del piano di Dio sul matrimonio» l’esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia, nella quale — sottolinea la Conferenza episcopale — il Pontefice esalta «il dono della famiglia per la società» e «la promozione di molteplici iniziative per la cura dei nuclei familiari nel contesto dei problemi attuali». moniare la carità di Cristo per tutti ed entrare in relazione con i nostri fratelli e sorelle musulmani. E non è facile, a causa di pregiudizi e di un certo razzismo. Se, dunque, «le migrazioni interpellano e comportano rischi e sofferenze», allo stesso tempo i vescovi nordafricani hanno evidenziato «l’importanza spirituale della mobilità per mettersi all’ascolto dell’altro e di Dio stesso ed aprirsi alla fraternità». Quindi, la Cerna ha ricordato che l’Europa non è l’unica meta di arrivo delle migrazioni, perché «non c’è un Paese africano che non accolga, a sua volta, sfollati, rifugiati ed immigrati». Di fronte, poi, ai timori di chi pensa all’«islamizzazione» dell’Europa, la Conferenza dei vescovi della regione nord dell’Africa si domanda: «Vivere come una cittadella assediata è davvero il modo migliore di reagire?». O piuttosto, “forti della fede”, bisogna «accogliere in maniera dinamica il nuovo mondo che viene», perché «tutto passa, ma la carità non passa mai?». Nel comunicato si rende noto che la prossima assemblea della Cerna si terrà in Senegal alla fine del gennaio 2017. Inizio della missione del nunzio apostolico in Gibuti Il 12 febbraio, monsignor Luigi Bianco, arcivescovo titolare di Falerone, è arrivato all’aeroporto Djibouti-Ambouli, dove è stato ricevuto da un funzionario dell’ufficio del Protocollo e dal vescovo di Gibuti, monsignor Giorgio Bertin O.F.M. Il 14 febbraio, nella sede del ministero degli Affari esteri, il rappresentante pontificio ha presentato copia delle lettere credenziali al ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Mahmoud Ali Youssouf. Nel cordiale incontro, il ministro ha rilevato l’apprezzato contributo della Chiesa cattolica allo sviluppo del Paese, attraverso le sue istituzioni educative e caritative. Nel Palazzo presidenziale, il 15 febbraio, ha avuto luogo la solenne cerimonia di presentazione delle lettere credenziali al presidente della Repubblica, Ismail Omar Guelleh. Il capo dello Stato ha espresso ammirazione per l’attività di Papa Francesco nell’esercizio della sua alta missione. Nel successivo colloquio il rappresentante pontificio ha portato il saluto, la benedizio- ne del Santo Padre per il popolo di Gibuti e ha rilevato le buone relazioni esistenti tra la Santa Sede e la Repubblica di Gibuti. Il 16 febbraio, il nunzio apostolico ha incontrato il primo ministro, Abdoulkader Kamil Mohamed, il quale ha evidenziato il grande valore che rappresenta la presenza della Chiesa cattolica nel Paese. In precedenza il rappresentante pontificio aveva presieduto la messa nella cattedrale di Gibuti, concelebrata da monsignor Bertin, a cui, in precedenza, aveva consegnato la lettera di presentazione del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin. Nell’omelia il nunzio ha potuto rivolgere un saluto alla comunità cattolica locale, manifestando la gioia di incontrarla. Durante la permanenza a Gibuti, monsignor Bianco ha avuto la possibilità di incontrare oltre ai membri del corpo diplomatico, i sacerdoti e le comunità religiose e di visitare le scuole cattoliche e il centro della Caritas. I mezzi di comunicazione sociale hanno riferito circa gli incontri del nunzio apostolico con le autorità civili. Lutto nell’episcopato Monsignor Thomas Kwaku Mensah, arcivescovo emerito di Kumasi, in Ghana, è morto domenica 10 aprile. Era nato il 2 febbraio 1935 ad Assamang, nell’arcidiocesi di Kumasi, ed era stato ordinato sacerdote il 3 giugno 1973. Nominato vescovo di Obuasi il 3 marzo 1995, aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il 28 maggio successivo. Il 26 marzo 2008 era divenuto arcivescovo di Kumasi. Il 15 maggio 2012 aveva rinunciato al governo pastorale della diocesi. Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice Domenica 17 aprile 2016 IV di Pasqua Ordinazione presbiterale nella basilica vaticana INDICAZIONI Il 17 aprile 2016, IV Domenica di Pasqua, alle ore 9.15, il Santo Padre Francesco celebrerà la Santa Messa nella Basilica Vaticana e conferirà l’Ordinazione presbiterale ad alcuni Diaconi. Per la circostanza, l’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice comunica quanto segue: 1) Gli Ordinandi dovranno trovarsi per le ore 8.15 alla Cappella di San Sebastiano, nella Basilica Vaticana, per indossare le vesti sacre. 2) Concelebreranno con il Santo Padre: — l’Em.mo Cardinale Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, il Vicegerente, gli Ecc.mi Vescovi Ausiliari, i Superiori dei Seminari interessati e i Parroci degli Ordinandi. Essi, muniti di biglietto rilasciato da questo Ufficio, sono pregati di trovarsi nella Cappella di San Sebastiano per le ore 8.15 dove indosseranno le vesti sacre per la celebrazione; — gli altri Presbiteri, muniti anch’essi di apposito biglietto di questo Ufficio, vorranno trovarsi per le ore 8.00 nel Braccio di Costantino, portando con sé amitto, camice, cingolo e stola bianca. Città del Vaticano, 12 aprile 2016. Mons. GUID O MARINI Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 mercoledì 13 aprile 2016 Nuovo appello del Papa per l’abolizione della pena di morte e la cancellazione del debito dei Paesi poveri La non violenza arma di pace Bisogna rimuovere il muro dell’indifferenza divenuto oggi una triste realtà La «testimonianza attiva della non violenza come “arma” per conseguire la pace» è stata rilanciata da Francesco nel messaggio inviato lunedì pomeriggio, 11 aprile, ai partecipanti a una conferenza promossa dal Pontificio Consiglio della giustizia e della pace e dal movimento Pax Christi. Di seguito il testo italiano del messaggio papale. Signor Cardinale, sono lieto di far pervenire il mio cordiale saluto a Vostra Eminenza e a tutti i partecipanti alla Conferenza che si tiene a Roma dall’11 al 13 aprile 2016 sul tema: «Nonviolence and Just Peace: Contributing to the Catholic Understanding of and Commitment to Nonviolence». Questo incontro, organizzato congiuntamente dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e dal Movimento Pax Christi, assume un carattere ed un valore del tutto particolari nell’Anno Giubilare della Misericordia. La misericordia, infatti, è «fonte di gioia, di serenità e di pace»1, una pace prima di tutto interiore, che nasce dalla riconciliazione con il Signore2 . È innegabile, però, che anche le circostanze, il momento storico, in cui tale Conferenza si svolge, da una parte la carichino di aspettative e, dall’altra, non possano non essere tenute in conto nelle riflessioni dei partecipanti. Per cercare vie di soluzione alla singolare e terribile “guerra mondiale a pezzi” che, ai nostri giorni, gran parte dell’umanità sta vivendo in modo diretto o indiretto, è necessario riscoprire le ragioni che spinsero nel secolo scorso i figli di una civiltà in grande parte ancora cristiana a dare vita al Movimento Pax Christi e al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. È necessario, cioè, operare per una pace vera tramite l’incontro fra persone concrete e la riconciliazione fra popoli e gruppi che si affrontano da posizioni ideologiche contrapposte e impegnarsi per realizzare quella giustizia cui le persone, le famiglie, i popoli e le nazioni sentono di aver diritto, sul piano sociale, politico ed economico per compiere la loro parte nel mondo3. Infatti, accanto al «sapiente sforzo di quella superiore fantasia creativa, che chiamiamo diplomazia»4 che va continuamente alimentato, e alla promozione, nel mondo globalizzato, della giustizia, che è «ordine nella libertà e nel dovere cosciente»5, è necessario rinnovare tutti gli strumenti più adatti a concretizzare l’aspirazione alla giustizia e alla pace degli uomini e delle donne di oggi. Così, anche la riflessione per rilanciare il percorso della non violenza, e in specie della non violenza attiva, costituisce un necessario e positivo contributo. È quanto si propongono di fare i partecipanti alla Conferenza di Roma, ai quali vorrei, in questo mio messaggio, ricordare alcuni punti che mi stanno particolarmente a cuore. La premessa fondamentale è che lo scopo ultimo e più degno della persona umana e della comunità è l’abolizione della guerra6. Del resto, come è risaputo, l’unica condanna espressa dal Concilio Vaticano II fu proprio quella della guerra7, pur nella consapevolezza che, non essendo questa estirpata dalla condizione umana, «una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa»8. Altro punto fermo: la constatazione che «il conflitto non può essere ignorato o dissimulato. Deve essere accettato»9 per non rimanervi intrappolati perdendo la prospettiva generale e il senso dell’unità profonda della realtà10. Infatti, solo accettando il conflitto, lo si può risolvere e trasformare in un anello di collegamento di quel nuovo processo che gli «operatori di pace» mettono in atto11. Inoltre, da cristiani, sappiamo che solamente considerando i nostri simili come fratelli e sorelle potremo superare guerre e conflittualità. La Chiesa non si stanca di ripetere che ciò vale non solo a livello individuale ma anche a livello dei popoli e delle nazioni, tanto che essa considera Comunità internazionale come la “Famiglia delle Nazioni”. Per tale motivo, anche nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno ho rivolto un appello ai responsabili degli Stati perché rinnovino «le loro relazioni con gli altri popoli, permettendo a tutti una effettiva partecipazione e inclusione alla vita della comunità internazionale, affinché si realizzi la fraternità anche all’interno della famiglia delle nazioni»12. Come cristiani, sappiamo anche che il grande ostacolo da rimuovere perché ciò avvenga è quello eretto dal muro dell’indifferenza. La cronaca dei tempi recenti ci dimostra che se parlo di muro non è solo per usare un linguaggio figurato, ma perché si tratta della triste realtà. Una realtà, quella dell’indifferenza, che investe non solo gli esseri umani, ma anche l’ambiente naturale con conseguenze spesso nefaste in termini di sicurezza e di pace sociale13. L’impegno a superare l’indifferenza avrà successo, però, solo se, ad imitazione del Padre, saremo capaci di usare misericordia. Quella misericordia che trova nella solidarietà la sua espressione, per così dire, “politica” poiché la solidarietà costituisce l’atteggiamento morale e sociale che meglio risponde alla presa di coscienza delle piaghe del nostro tempo e dell’inter-dipendenza tra la vita del singolo e della comunità familiare, locale o globale14. Grande è, allora, nel nostro mondo complesso e violento, il compito che attende coloro che operano per la pace vivendo l’esperienza della non violenza! Conseguire il disarmo integrale «smontando gli spiriti»15, creando ponti, combattendo la paura e portando avanti il dialogo aperto e sincero, è veramente arduo. Dialogare, infatti, è difficile, bisogna essere pronti a dare e anche a ricevere, a non partire dal presupposto che l’altro sbaglia ma, a partire dalle nostre differenze, cercare, senza negoziare, il bene di tutti e, trovato infine un accordo, mantenerlo fermamente16. Del resto, differenze culturali e di esperienze di vita caratterizzano anche i partecipanti alla Conferenza di Roma, ma esse non faranno altro che arricchire gli scambi e contribuire al rinnovamento della testimonianza attiva della non violenza come “arma” per conseguire la pace. Vorrei, infine, invitare tutti i presenti a sostenere due delle richieste che ho rivolto ai responsabili degli Stati, in questo Anno Giubilare: l’abolizione della pena di morte, là dove essa è ancora in vigore, insieme alla possibilità di un’amnistia, e la cancellazione o la gestione sostenibile del debito internazionale degli Stati più poveri17. Mentre auguro cordialmente a Vostra Eminenza e ai partecipanti un proficuo e fruttuoso lavoro, a tutti impartisco la mia apostolica benedizione. FRANCESCO 1. Misericordiae vultus, n. 2. 2. Ibid., n. 17. 3. Cfr. Gaudium et spes, n. 9. 4. Paolo VI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1976, Le vere armi della pace. 5. Ibid. 6. Discorso al IV Corso di formazione dei Cappellani Militari al Diritto internazionale umanitario, 26 ottobre 2015. 7. Cfr. Gaudium et spes, n. da 77 a 82. 8. Gaudium et spes, n. 79. 9. Evangelii gaudium, n. 226. 10. Ibid. 11. Ibid., n. 227. 12. Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2016, Vinci l’indifferenza e conquista la pace, n. 8. 13. Cfr. ibid., n. 4. 14. Cfr. Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2016, Vinci l’indifferenza e conquista la pace, n. 5. 15. San Giovanni XXIII, Pacem in terris, n. 61. 16. Discorso ai Rappresentanti della Società civile, Asunción, 11 luglio 2015. 17. Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2016, Vinci l’indifferenza e conquista la pace, n. 8. Il fondamento è la giustizia Togliere spazi alla violenza aumentando quelli della giustizia, della compassione e del dialogo. È l’invito lanciato dal cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, in apertura del convegno «Nonviolence and Just Peace: Contributing to the Catholic Understanding of and Commitment to Nonviolence», in corso a Roma, presso l’hotel The Church Village, dall’11 al 13 aprile. Commentando il messaggio di Francesco, il porporato ha messo in evidenza due aspetti. Innanzitutto occorre distinguere tra «tensione e violenza»: la lotta contro le ingiustizie, infatti, non deve portare a giustificare «ogni sorta di sconvolgimento sociale», ma essere occasione per creare maggiore fraternità fra gli uomini. In secondo luogo va tenuta presente la primaria importanza «della dignità umana e del bene comune», che non possono essere sottomessi al raggiungimento di pacificazioni diplomatiche solo transitorie: «il fondamento della pace è la giustizia». Guardando alle tensioni e ai conflitti che attraversano il mondo contemporaneo e al contributo che istituzioni come il dicastero vaticano e il movimento Pax Christi — promotori dell’incontro — possono dare nella ricerca di soluzioni, il cardinale Turkson ha affrontato il tema della “guerra giusta” e ha sottolineato l’importanza di un coinvolgimento ampio delle nazioni nel fronteggiare le «aggressioni ingiuste». Infine ha messo in guardia dal rischio di «identificare il messaggio evangelico con questo o quel programma politico»: occorre piuttosto impegnarsi nell’individuare singole azioni concrete e capire che «il coinvolgimento di un cristiano nella promozione della pace presuppone un dialogo fra tutti». Messa a Santa Marta Sono due le persecuzioni contro i cristiani: c’è quella «esplicita» — e il ricordo del Papa è andato ai martiri uccisi a Pasqua in Pakistan — e c’è quella «educata, travestita di cultura, modernità e progresso» che finisce per togliere all’uomo la libertà, anche all’obiezione di coscienza. Ma proprio nelle sofferenze delle persecuzioni il cristiano sa di avere sempre accanto il Signore, ha ricordato Francesco durante la messa celebrata martedì mattina 12 aprile nella cappella della Casa Santa Marta. Per la sua meditazione il Pontefice ha preso le mosse dalla prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli (7, 518, 1). «Abbiamo ascoltato — ha spiegato — il martirio di Stefano: la tradizione della Chiesa lo chiama il protomartire, il primo martire della comunità cristiana». Ma «prima di lui c’erano stati i piccoli martiri che, senza parlare ma con la vita, sono stati perseguitati da Erode». E «da quel tempo a oggi ci sono martiri nella Chiesa, ci sono stati e ci sono». Sono «uomini e donne perseguitati soltanto per confessare e per dire che Gesù Cristo è il Signore: ma questo è vietato!». Anzi, questa confessione Due persecuzioni «Noi quando facciamo un po’ di turismo per Roma, e andiamo al Colosseo, pensiamo che i martiri erano quelli uccisi con i leoni» ha proseguito il Pontefice. Però «i martiri non sono stati solo quelli lì». In realtà i martiri «sono uomini e donne di tutti i giorni: oggi, il giorno di Pasqua, appena tre settimane fa». Il pensiero di Francesco è andato a «quei cristiani che festeggiavano la Pasqua nel Pakistan: sono stati martirizzati proprio per festeggiare il Cristo risorto». E «così la storia della Chiesa va avanti con i suoi martiri». Perché «la Chiesa è la comunità dei credenti, la comunità dei confessori, di quelli che confessano che Gesù è Cristo: è la comunità dei martiri». «La persecuzione — ha fatto notare il Papa — è una delle caratteristiche, dei tratti nella Chiesa, pervade tutta la sua storia». E «la persecuzione è crudele, come questa di Stefano, come quella dei nostri fratelli pachistani tre settimane fa». È crudele «come quella che faceva Saulo, che era presente alla morte di Stefano, del martire Stefano: andava, entrava nelle case, prendeva i cristiani e li portava via per essere giudicati». C’è però, ha messo in guardia Francesco, anche «un’altra persecuzione della quale non si parla tanto». La prima forma di persecuzione «si deve al confessare il nome di Cristo» ed è dunque «una persecuzione esplicita, chiara». Ma l’altra persecuzione «si presenta travestita come cultura, travestita di cultura, travestita di modernità, travestita di progresso: è una persecuzione — io direi un po’ ironicamente — educata». Si riconosce «quando viene perseguitato l’uomo non per confessare il nome di Cristo, ma per voler avere e manifestare i valori di figlio di Dio». È perciò «una persecuzione contro Dio Creatore nella persona dei suoi figli». E così «vediamo tutti i giorni che le potenze fanno leggi che obJosé Clemente Orozco, «Il martirio di santo Stefano» (1944) bligano ad andare su questa strada e una nazione che non segue que«provoca — in alcuni tempi, in alcuni posti — la persecu- ste leggi moderne, colte, o almeno che non vuole averle zione». nella sua legislazione, viene accusata, viene perseguitata «È quanto appare chiaramente — ha affermato il Papa educatamente». È «la persecuzione che toglie all’uomo — nel brano degli Atti degli apostoli che leggeremo do- la libertà, anche della obiezione di coscienza! Dio ci ha mani: dopo il martirio di Stefano scoppiò una grande fatti liberi, ma questa persecuzione ti toglie la libertà! E persecuzione in Gerusalemme». Allora «tutti i cristiani se tu non fai questo, tu sarai punito: perderai il lavoro e sono scappati via, sono solo rimasti gli apostoli». Ecco tante cose o sarai messo da parte». che, ha aggiunto, «la persecuzione — io direi — è il pane «Questa è la persecuzione del mondo» ha insistito il quotidiano della Chiesa: d’altronde lo ha detto Gesù». Pontefice. E «questa persecuzione ha anche un capo». Nella persecuzione di Stefano «i capi erano i dottori delle lettere, i dottori della legge, i sommi sacerdoti». Invece «il capo della persecuzione educata, Gesù lo ha nominato: il principe di questo mondo». Lo si vede «quando le potenze vogliono imporre atteggiamenti, leggi contro la dignità del figlio di Dio, perseguitano questi e vanno contro il Dio creatore: è la grande apostasia». Così «la vita dei cristiani va avanti con queste due persecuzioni». Ma anche con la certezza che «il Signore ci ha promesso di non allontanarsi da noi: “State attenti, state attenti! Non cadere nello spirito del mondo. State attenti! Ma andate avanti, Io sarò con voi”». In conclusione, Francesco ha chiesto al Signore, nella preghiera, «la grazia di capire che la strada del cristiano sempre va avanti nel mezzo di due persecuzioni: il cristiano è un martire, cioè un testimone, uno che deve dare testimonianza del Cristo che ci ha salvato». Si tratta di «dare testimonianza di Dio Padre, che ci ha creato, nel cammino della vita». Su questa strada il cristiano «tante volte deve soffrire: tante sofferenze questo porta». Ma «così è la nostra vita: sempre Gesù accanto a noi, con la consolazione dello Spirito Santo». E «quella è la nostra forza». Nomina episcopale La nomina di oggi riguarda la nunziatura negli Stati Uniti d’America. Christophe Pierre nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America Nato a Rennes, in Francia, il 30 gennaio 1946, è stato ordinato sacerdote il 5 aprile 1970 a Saint-Malo. Ha compiuto gli studi dapprima in Madagascar, in Francia e in Marocco; poi ha completato la sua formazione nel seminario maggiore arcidiocesano di Rennes (1963-1969), presso la Pontificia università Lateranense a Roma e nella Pontificia accademia ecclesiastica (1973-1977). Ha inoltre conseguito un master in sacra teologia all’Istituto cattolico di Parigi (1969-1971) e un dottorato in diritto canonico a Roma. Dal 1970 al 1973 è stato anche vicario parrocchiale nella parrocchia di San Pedro y San Pablo, a Colombes, in diocesi di Nanterre. Conclusi gli studi alla Pontificia accademia ecclesiastica, ha prestato il servizio diplomatico presso le rappresentanze pontificie in Nuova Zelanda e nelle isole del sud del Pacifico, in Mozambico, in Zimbabwe, a Cuba, in Brasile e presso l’ufficio delle Nazioni Unite e istituzioni specializzate a Ginevra. Il 12 luglio 1995 è stato nominato arcivescovo titolare di Gunela e nunzio apostolico ad Haiti. Il 24 settembre dello stesso anno ha ricevuto l’ordinazione episcopale a Saint-Malo. Il 10 maggio 1999 è divenuto nunzio apostolico in Uganda e il 22 marzo 2007 nunzio apostolico in Messico.