ad angelo - Giuseppe Limone
Transcript
ad angelo - Giuseppe Limone
AD ANGELO, CHE PARTE PER IL MAX PLANCK DI MONACO DI BAVIERA Angelo, l’amore assomiglia a una metafora. Traduce un mondo in un altro. Riparte sempre daccapo per dare a una frantumata congerie un’unità. Ma la chiave di questa metafora è segreta. Perché è in ognuno di noi sigillata. E perché è in questa chiave sigillata l’amore. Una memoria è un seme: non vive al passato, ma al futuro. Una memoria è una presente radice: un viaggio verso l’oltre, immerso nel sogno d’un passato che dura. «La quantità ammette un solo pensiero: sbriciolarsi» (Karl Kraus). Ti accompagnavo bambino alla stazione dei treni come al mare a vedere gli scambi dei binari, quelli vivi insieme a quelli morti, e tu guardavi il cielo, mentre mi tenevi la mano, e col piccolo dito indicando lo stormo degli uccelli, «oh! l’acqua frizzantina!» dicevi. E tu eri l’amore. Il mio nido d’aquila, il mio fuoco invisibile, il mio pulcino di bandiera. Ti ricordo seduto sopra il tetto dell’auto, bellissimo e tranquillo in pantaloni bianchi, come un piccolo Buddha buono nel verde alto: dòmini Assisi. Sei il bagno d’un diamante nella luce. Ora i nostri cieli sembrano divisi come recisi lungo un tagliacarte. Io qualche volta vado ancora al treno senza la tua piccola mano, tu guardi ancora il cielo per studiare le stelle al Max Planck di Monaco in Baviera, e sei alto come un pino. E abbiamo studiato, ahinoi!, Filosofia e Fisica, come il dottore di Goethe, due scienze ultime, che si congiungono nei capi come l’alfa e l’omega, come il nastro di Möbius. Io aspetto ancora alla stazione che mi si rappezzi uno scambio, che mi resusciti un treno. Qualche volta perdo il sole, tu voli: forse ci raccontiamo a distanza due momenti del Piccolo principe. Imparai un tempo a entrare nello specchio, a ripescare il passato al presente, pesce vivo. E il tuo piccolo dito è ancora qua come un anello al mio dito. Mi ìndica un frizzare di qualcosa oltre la notte: un amore mai è perduto e nessuna speranza è senza scampo se hai saldato il conto col dolore. Un ricordo trabocca da ogni tempo ed è segno d’aurora, e l’anima è lo stelo che ti attraversa tutto ed è l’impenetrabile del fiore. Ora che una miseria di mondo ci ha sgravati fra nani e ballerine che governano tutto, il tuo dito è il mistero che mi guida. Io lo seguo come un piccolo dio, a lui orientato come un girasole. Forse l’anima è l’altolà del sogno al calcolo mentre lo svela nella miseria della sua superbia che lo svilisce nell’incomprensione di sé per una crisi del pudore. Filosofia e Fisica non credono alle fiabe, ma unica è la fiaba che le tiene in pugno. Spaccano in quattro ogni capello del cielo e non trovano il dettaglio in cui il CERN cerca Dio: il dettaglio che tutti li contiene, grande come la lettera di Poe. Tutto il mondo lo tiene insieme il cuore di un folle nazareno e di Pascal. Alla fine sappiamo di non sapere, ma solo perché dimenticammo che bambini non sapevamo di sapere. Chi ci disse che per scienza sappiamo più della fede di Agostino d’Ippona e più d'uno sciamano del sud? Un taciturno viennese, matematico e logico, da tempo ce lo chiede e sulla croce del suo punto di domanda c’inchioda. Siamo sotto il ramo d’oro della Sibilla, tu alto come un pino e io piccino che ti seguo a memoria, nel colmo d’un tramonto ad attendere l’alba. Tu guardi in alto, mi tieni ancora la mano, e col piccolo dito: «Oh! l’acqua frizzantina!», mi dici e io ora so che è vero. Napoli – Monaco, 8 gennaio 2010