corpo femminile e pubblicita

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corpo femminile e pubblicita
CORPO FEMMINILE E PUBBLICITA’
Premessa
Il questionario su “corpo femminile e pubblicità” è conseguenza di
un’iniziativa condotta, nei primi mesi del 2011, dalla Commissione Pari
Opportunità della Provincia di Arezzo, con l’intento di far cessare
l’affissione di manifesti ritenuti gravemente offensivi per la dignità della
donna, comparsi a più riprese in zone diverse del territorio provinciale.
I manifesti, di grande formato, proposti al pubblico periodicamente,
pressoché a cadenza mensile, in zone urbane ed extraurbane a vocazione
commerciale caratterizzate da intenso traffico di persone e veicoli, esibivano
corpi femminili seminudi di donne “vere”, offerte al pubblico come “merce”
da consumarsi in un locale a prevalente attività notturna, evidentemente in
aggiunta alla somministrazione di alimenti e bevande.
La Commissione, acquisite le necessarie informazioni, nell’aprile 2011 ha
inoltrato un esposto all’IAP (Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria),
ottenendo risposta positiva sotto il profilo del merito: le rappresentazioni
utilizzate per quella forma di pubblicità in effetti sono da considerarsi
volgari e lesive della dignità della persona.
Ma da questo pur favorevole parere non ha potuto derivare l’ingiunzione a
defiggere i manifesti. L’obbligo riguarda soltanto i soggetti (imprese
economiche, agenzie di settore, altri soggetti operanti nella produzione,
vendita e distribuzione di immagini pubblicitarie) che aderiscono allo stesso
Istituto, pertanto riconoscono ed applicano il Codice di autodisciplina
promosso dall’IAP.
L’esposto e il parere ottenuto dall’Istituto sono stati comunque utilizzati
dalla Commissione. Inoltrati a tutti i sindaci dell’ambito provinciale, hanno
motivato e sostenuto la specifica richiesta di dotarsi, in ogni Comune, di un
regolamento per le affissioni pubblicitarie che, senza alcun intento di
censura preventiva, consenta di impedire la diffusione di messaggi
pubblicitari visivi nei quali le immagini degli individui – bambini, donne,
uomini: la dignità di ogni genere deve essere tutelata, pur partendo dal
presupposto che prevalentemente, se non addirittura massicciamente, si
utilizzano in pubblicità le immagini del corpo femminile – siano il supporto
di una volgare mercificazione, che nessun intento di libera intrapresa può
giustificare.
La questione “corpo femminile–pubblicità” è entrata nell’agenda dei lavori
della Commissione attraverso questo esordio, subito apparso suscettibile di
approfondimento e successivo sviluppo.
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L’idea del questionario
Durante il dibattito che ha accompagnato l’iniziativa, è stato necessario porsi
alcuni quesiti: se e in quale misura è diffusa, nella collettività, la
convinzione (o quanto meno la sensazione) che il corpo femminile sia
impropriamente rappresentato ed usato a scopo pubblicitario.
E soprattutto: giovani donne e giovani uomini (soggetti cresciuti in un
mondo dominato dai messaggi pubblicitari, la cui pervasività è divenuta
multicanale attraverso una gamma vasta e articolata di supporti mediatici)
hanno maturato – o meglio: possono maturare – la percezione di un uso
distorto delle icone femminili, per finalità di mero profitto economico?
E’ una domanda che ne richiama altre, inevitabilmente: quanto incidono le
immagini femminili veicolate attraverso la pubblicità sulla percezione di sé
delle giovani donne; quanto lo stereotipo femminile pubblicitario – bella,
magra, sostanzialmente perfetta secondo canoni estetici divenuti imperanti –
condiziona le relazioni di genere; se la bellezza è divenuta, anche attraverso
questo percorso, un requisito privilegiato per ottenere successo personale e
professionale.
L’idea del questionario è dunque sorta e si è sviluppata, in seno alla
Commissione, con l’intento di misurare il livello di percezione del fenomeno
presso soggetti molto giovani, limitando la ricerca tra coloro che
potenzialmente si orienteranno, al termine del corso di studi secondari, verso
attività professionali nell’ambito delle arti figurative.
Per costruire la griglia dei quesiti da inserire nel questionario è stato
costituito un gruppo di lavoro, composto da alcune commissarie, che ha
operato durante l’estate 2011 attraverso un intenso dibattito, partendo da
posizioni anche divergenti e incontrando qualche difficoltà di selezione
circa gli aspetti da focalizzare: in effetti l’offerta “al pubblico” di immagini
aventi ad oggetto il corpo femminile è ormai così elevata e potenziata dalle
attuali risorse tecnologiche, le implicazioni che ne derivano sono così
complesse, da rendere non facile la formulazione e la scelta delle domande
da porre e correlare al tema.
Il questionario dunque non è soltanto un “prodotto” destinato all’esterno
della Commissione.
E’ piuttosto la sintesi di un percorso interno di cognizione e confronto,
realizzato con massimo scrupolo ma senza pretese di scientificità
demoscopica, con l’obiettivo prevalente di dare un contributo al tema
dell’uso (e abuso) del corpo femminile, osservato sotto il profilo virtuale
della sua rappresentazione per i fini più disparati.
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Hanno partecipato al gruppo di lavoro le commissarie:
• Laura Bernardini
• Maria Pia Berti
• Luigina Bidini
• Alessandra Bursi
• Gabriella Cecchi
• Iolanda Cherubini
• Gabriella Ercolani
• Raffaella Landucci
• Andreina Solazzi
• Monica Tavanti
• Annalisa Testa
Il campione, il questionario
Nel settembre 2011 la griglia dei quesiti è stata infine composta, portando a
sintesi i principali e più condivisi aspetti emersi dal lavoro di gruppo, sotto
forma di questionario articolato in 27 domande, suddivise in tre sezioni:
parte prima: Pubblicità e rappresentazione della donna
parte seconda: La pubblicità volgare o lesiva dell’immagine femminile
parte terza: Le tue sensazioni, le tue idee.
Il campo di osservazione è stato limitato all’Istituto di Istruzione Superiore
“Piero della Francesca” di Arezzo e al Liceo artistico “Giovagnoli”, sedi di
Sansepolcro e Anghiari. In effetti sono queste le scuole di secondo grado
che, nell’ambito provinciale, si pongono l’obiettivo di formare gli studenti
per attività professionali specificamente collegate alla rappresentazione e
alla produzione iconografica.
Il campione dei “rispondenti” è stato costituito dagli studenti, di genere
femminile e maschile, frequentanti le classi 4° e 5° dei tre Istituti, pertanto
con età anagrafica compresa tra i 17 e i 19 anni.
Complessivamente nel campione sono rientrati 166 soggetti, di cui 117
femmine e 49 maschi.
La presidente della Commissione ha tenuto i rapporti con le singole direzioni
degli Istituti, presentando il questionario e chiedendo la disponibilità di
almeno un’ora per distribuire i questionari e ottenere le risposte dagli
studenti campionati, durante il normale orario delle lezioni.
Ottenuto l’assenso da parte dei dirigenti scolastici e degli insegnanti, il
questionario è stato distribuito e compilato nelle tre sedi degli Istituti nel
periodo ottobre-novembre 2011.
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E’ mancata la possibilità di incontrare preventivamente gli studenti
interessati, per illustrare in modo specifico le attività e le finalità della
Commissione per le Pari Opportunità e il contesto nel quale il questionario è
stato costruito e proposto.
D’alto canto può costituire un aspetto positivo l’aver colto senza
preavviso – pertanto in assenza di condizionamento da parte della
Commissione o dei docenti – l’opinione e le percezioni dei giovani
campionati.
Come si può constatare leggendo il testo, per formulare il questionario è
stato intenzionalmente utilizzato un linguaggio piano, in assenza di termini e
di contenuti specialistici, con l’intento di consentire il massimo livello di
risposta nel breve tempo reso disponibile per la compilazione, da parte di
soggetti “non addetti ai lavori”, di cui si ignorava il grado di
sensibilizzazione circa gli argomenti proposti.
Alcune commissarie – Luigina Bidini, Alessandra Bursi, Gabriella
Ercolani, Andreina Solazzi, Monica Tavanti – hanno provveduto alla
raccolta degli elaborati presso gli istituti prescelti, al controllo delle risposte
date, alla suddivisione del campione per una migliore lettura dei risultati, al
conteggio delle risposte, secondo le diverse opzioni e formulazioni
contenute nel questionario.
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L’analisi dei dati
Le risposte sono state analizzate e trasformate in valori percentuali
considerando separatamente le rispondenti femmine e i rispondenti
maschi.
In tal modo si ritiene che emergano con maggior chiarezza le convergenze e
le divergenze delle percezioni tra i due generi, rispetto al tema indagato.
Altresì sembra emergere un diverso approccio riguardo agli aspetti più
“sensibili” della relazione corpo femminile-pubblicità che peraltro sarebbe
interessante poter indagare ulteriormente, attraverso successive ricerche.
La prima parte del questionario – “pubblicità e rappresentazione della
donna” – è stata articolata per misurare quanto sia percepita l’influenza
della pubblicità, relazionata all’immagine della donna, in termini di fisicità e
ruolo svolto nel contesto sociale.
Il primo quesito [“ritieni che la pubblicità, nelle sue manifestazioni multicanale
(attraverso giornali, televisione, manifesti, internet, ecc..), sia in grado di imporre,
all’interno della società, una particolare rappresentazione della donna?] ottiene dal
campione una risposta positiva univoca, da parte dei rispondenti femminili e
maschili, convinti pertanto che la pubblicità abbia conquistato questo potere
di condizionamento.
Si deve evidenziare che la risposta è netta da parte delle ragazze, che
rispondono positivamente in misura superiore all’83% , contro il 69,4%
degli studenti maschi.
Il genere principalmente chiamato in causa – la parte femminile del
campione – rivela qui e in successivi quesiti una diffusa consapevolezza
sulla potenza del messaggio pubblicitario di cui sono sia protagoniste (come
genere), sia destinatarie.
Può apparire incongrua la risposta al secondo quesito [ritieni di essere
personalmente influenzato dalla pubblicità, per quanto riguarda la rappresentazione
delle immagini femminili?] , al quale, con identiche percentuali per entrambi i
generi, i soggetti negano che la pubblicità svolga un condizionamento nei
loro confronti: come se il problema di essere influenzati riguardasse il resto
del mondo, ma non il soggetto rispondente.
A nostro parere la risposta può leggersi come intento (peraltro apprezzabile)
di affermare il libero arbitrio individuale, un modo di dire: “sì, è un mezzo
potente la pubblicità, gli altri ne sono condizionati, ma io riesco a starne
fuori, a mantenere la mia capacità di giudizio.”
E’ questo un aspetto da tenere in evidenza, che emerge anche in altre parti
del questionario, sia pure in modo discontinuo.
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Le risposte al terzo quesito [qual è il modello di donna che secondo te viene
maggiormente proposto, a livello pubblicitario? madre di famiglia, oggetto sessuale,
oggetto di bellezza, competente e professionale] riceve risposte articolate e di non
facile interpretazione.
Ragazze e ragazzi rispondono in modo omogeneo per quanto riguarda il
modello pubblicitario “donna-madre di famiglia”: poco o niente veicolato
dalla pubblicità.
Convergono anche le risposte, maschili e femminili, riguardo al modello
“donna-oggetto sessuale”. L’84% dei ragazzi afferma che il modello è
utilizzato abbastanza/molto. Le risposte abbastanza/molto da parte delle
ragazze sono ancora più rilevanti e coprono oltre il 95% del campione
femminile.
Diverge notevolmente, tra ragazze e ragazzi, la risposta sul modello “donnaoggetto di bellezza”. Mentre oltre il 90% del campione maschile risponde
positivamente (abbastanza/molto) sull’utilizzo pubblicitario di questo
modello, la risposta femminile è diversa: il 69,5% risponde che il modello è
proposto “abbastanza”, ma nessuna ritiene che il modello sia proposto
“molto”. Il 27% delle femmine afferma che il modello è “poco” proposto
(contro il 6,5% degli studenti maschi).
Sarebbe interessante poter approfondire le motivazioni di questa risposta da
parte delle ragazze e conoscere, con maggiori elementi di valutazione, se il
dato corrisponda ad un rifiuto consapevole del trinomio “pubblicità-modello
femminile-bellezza” rivelando conseguentemente l’affermazione di sé, del
proprio esistere, dell’accettarsi individualmente fuori dal modello
prevalente, come veicolato attraverso i messaggi pubblicitari.
Convergono infine le risposte attinenti l’uso del modello “donna competente
e professionale”: prevale in entrambi i generi la risposta “niente/poco”,
anche se il dato percentuale è molto più marcato sul versante femminile.
La domanda n. 4 [ritieni che l’immagine femminile, così come proposta dalla
pubblicità, possa generare la convinzione che la donna sia un soggetto inferiore, nel
significato di “usabile” per ogni scopo, rispetto al genere maschile?] ottiene risposte
divergenti. Il campione maschile risponde in maggioranza negativamente, a
fronte di una netta risposta positiva da parte delle ragazze (oltre il 65%).
Alla domanda n. 5 [La pubblicità utilizza diffusamente immagini di corpi femminili (o
parti di essi) che corrispondono a perfezione e bellezza. A tuo parere, ciò può causare
nelle donne senso di insoddisfazione e non accettazione?] arriva risposta
convergente e positiva da entrambi i generi, ma il dato femminile è molto
più pesante (94%). Ed è interessante anche la risposta al quesito n. 6, per il
quale entrambi i versanti del campione rispondono che sono maggiormente
influenzate le giovani donne: ma le ragazze, attraverso le percentuali delle
loro risposte, tendono a rappresentare una situazione in cui tutte le donne
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subiscono l’influenza pubblicitaria, anche se le più giovani ne sono
maggiormente colpite.
Ne consegue logicamente un’ampia risposta positiva al quesito n. 7
[l’affermazione pubblicitaria del corpo femminile longilineo (snello, tonico,
proporzionalmente perfetto), a tuo parere può provocare un bisogno o un desiderio di
emulazione presso adolescenti e giovani donne?]. Anche in questo caso le ragazze
percepiscono decisamente il condizionamento pubblicitario (96,5% del
campione femminile).
Altrettanto rilevante è la correlata risposta al quesito n. 8 [in caso affermativo, a
tuo parere può stabilirsi un collegamento tra questa tipologia di pubblicità e
l’incremento dei così detti “disturbi alimentari”, tra cui l’anoressia?] : il 93% delle
ragazze (a fronte dell’80% dei maschi) sostiene l’esistenza di una relazione
tra lo stereotipo femminile imposto dalla pubblicità e il diffondersi di
situazioni soggettive che, oltre il grave danno arrecato alla salute, denotano
il radicarsi di profonde fragilità psicologiche, derivate dalla non accettazione
del proprio corpo e del proprio ego, percepiti come contenitori
irrimediabilmente imperfetti, perciò auto-puniti.
Le risposte al quesito n. 9 [a tuo parere quanto incide l’aspetto fisico, attraente e
sessualmente provocante, per avere successo?] sono articolate e meritano di essere
esaminate in dettaglio, tenendo in evidenza che la domanda non faceva
esclusivo riferimento al corpo femminile.
Quasi il 43% dei maschi afferma che nei rapporti d’amicizia la fisicità, come
descritta nel quesito, incide poco; quasi il 37% afferma che incide
abbastanza.
Diverge l’opinione femminile: quasi l’82% delle ragazze risponde che la
fisicità contribuisce poco o niente nelle relazioni amicali.
Per quanto attiene la vita professionale, la risposta più pesante per entrambi i
versanti del campione (78,3% delle femmine, 71,4% dei maschi) riguarda i
valori “abbastanza/molto”, a significare la diffusa opinione che un aspetto
fisico attraente-provocante faciliti le relazioni professionali: opinione,
questa, che trova ampia conferma attraverso le risposte al quesito n. 10.
Per quanto concerne i rapporti affettivi, entrambi i gruppi rispondono in
prevalenza che l’aspetto fisico incide “abbastanza” (il 32,7% dei maschi, il
48,7% delle femmine). E’ da evidenziare che il 28,6% dei maschi risponde
che incide “molto”, contro il 12,2% delle femmine.
Convergenti sono le risposte attinenti la quotidianità, dove il valore
“abbastanza” prevale nettamente sulle altre (44,9% dei maschi, il 50,4%
delle femmine).
Pesando complessivamente le risposte a questo articolato quesito, emerge
una diffusa convinzione che la bellezza, unita al sex-appeal,
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indipendentemente dall’essere uomini o donne, sorregge le relazioni
quotidiane, quelle professionali, persino i rapporti affettivi. Soltanto i
rapporti di amicizia sembrano rimanere estranei a questo profilo delle
fisicità. L’amicizia, soprattutto nella percezione femminile, ne esce
rappresentata come ambito neutro, dove possono prevalere pregi individuali
alternativi.
Oltre l’83% del campione maschile e femminile risponde affermativamente
al quesito n. 10 [Un’indagine statistica, recentemente pubblicata, condotta
dall’economista americano Daniel Hamermesch (docente presso l’università di Austin,
Texas, USA) afferma che “le persone oggettivamente belle fanno carriera più
facilmente e guadagnano di più: il 4% gli uomini, addirittura l’8% le donne”. Ritieni
che i risultati di questa ricerca corrispondano alla realtà?]. La risposta positiva
pone in evidenza il convincimento che la bellezza, nelle donne come negli
uomini, costituisca un “valore aggiunto” nel percorso verso il successo
individuale anche negli ambienti lavorativi: una sorta di viatico per una
carriera professionale più veloce, più facile, più redditizia.
A ciò si collegano le risposte, ugualmente positive, al quesito n. 11 [In caso
affermativo, ritieni che la comunicazione pubblicitaria, utilizzando prevalentemente
immagini di donne giovani e molto belle, sia nel volto sia nel corpo, talvolta sensuali,
possa incrementare e/o consolidare questa forma di disparità professionale ed
economica?]. In questo caso si è cercato di tornare al tema principale del
questionario, la pubblicità e il condizionamento che ne deriva. Le risposte
positive ottenute – in percentuale rilevante dalle femmine (83,5%) e dal 69%
dei maschi – ripropongono il convincimento circa l’influenza esercitata dalla
comunicazione pubblicitaria, non soltanto nei confronti di singoli soggetti o
gruppi di soggetti, ma anche (e soprattutto) nella costruzione di
comportamenti collettivi capaci di produrre conseguenze economiche e
sociali.
L’ambito professionale sarebbe, sotto questo profilo, da indagare in modo
specifico e meriterebbe successive e più approfondite ricerche. E’ noto
quanto sia complessa la questione della donna nel mondo del lavoro (la
disparità di trattamento professionale, il minor livello di reddito riconosciuto
a fronte di uguali o migliori prestazioni rispetto a quelle maschili, la
discriminazione derivante da scelte individuali quale il matrimonio e la
maternità, la carenza di azioni positive a sostegno della lavoratrice madre:
soltanto per citare gli aspetti di maggior emergenza). Rispetto a queste gravi
tematiche determinate dalle logiche del sistema economico, la fisicità
femminile – pur determinata da casualità genetica (essere bella o brutta, o
qualificata tale) – sembra emergere come ulteriore problematica della
condizione femminile e come fattore aggravante della stessa condizione, a
livello soggettivo, sotto il profilo psicologico.
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Divergono con risultati inattesi le risposte femminile e maschili al quesito n.
12 [Chiamato a svolgere la professione pubblicitaria, ritieni che vorrai utilizzare
immagini femminili corrispondenti a canoni estetici di ordinarietà (ovvero senza tenere
conto dei requisiti di bellezza, gioventù, sex appeal, ecc…)?] . Sarebbe da supporre,
viste le risposte date ai precedenti quesiti, che le ragazze siano orientate a
recuperare un’immagine della donna “normale” (non necessariamente bella,
giovane e sensuale). Invece la maggioranza delle ragazze (65,5%) ritiene di
non voler utilizzare immagini caratterizzate da ordinarietà estetica, nel caso
(non troppo ipotetico, per la verità, considerato il corso di studi intrapreso)
di attività di lavoro nell’ambito pubblicitario. Contrario il parere degli
studenti maschi che, sia pure in maggioranza ristretta (53,1%), dichiara la
propria disponibilità in tal senso.
Comunque entrambi i versanti del campione sembrano incerti su cosa la
committenza, in sostanza il mondo del lavoro, consentirà o imporrà loro, nel
caso di attività professionale nell’ambito pubblicitario. La risposta “non so”
prevale infatti (58,4% delle femmine, 44,5% dei maschi) nel quesito n. 13
[In caso affermativo, ritieni che il committente (colui che richiede il messaggio
pubblicitario) te lo consentirà?].
Nella seconda parte del questionario – “la pubblicità volgare o lesiva
dell’immagine femminile” – le domande sono orientate a circostanziare le
percezioni del campione sulla tipologia di pubblicità che più pesantemente
impiega e veicola l’immagine femminile allo scopo di affermare e vendere i
più disparati prodotti.
Infatti i quesiti tendono ad evidenziare che, allo stato attuale, a differenza di
quanto accaduto in passato, la fisicità femminile non è proposta per vendere
ciò che interessa tradizionalmente e tendenzialmente alle donne, giovani o
meno giovani (abiti, accessori, biancheria intima, cosmetici, prodotti
alimentari dietetici, ecc…), ma anche come strumento privilegiato per
promuovere qualsiasi tipo di merce. La fisicità femminile è dunque divenuta
il supporto pubblicitario per eccellenza, per captare l’attenzione, per
alimentare l’immaginario collettivo (maschile): in buona sostanza, un
oggetto di ampio consumo sociale.
Il 78,8% dei ragazzi e l’86,3% delle ragazze – percentuali molto elevate,
dunque – rispondono “no” al quesito n. 14 [E’ diffuso lo slogan “la pubblicità è
l'anima del commercio”. A tuo parere ciò giustifica l’utilizzo di ogni tipo di immagine?]:
una maggioranza significativa che sembra rifiutare la relazione tra uso
spregiudicato delle immagini pubblicitarie e profitto commerciale.
Coloro che hanno risposto positivamente al quesito n. 14, danno una risposta
di non facile lettura al quesito n. 15 [In caso affermativo, ciò giustifica anche
l'utilizzo di rappresentazioni che vengono percepite come improprie, volgari o
offensive?] . Il 75% delle ragazze infatti coerentemente afferma che si può
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giustificare l’utilizzo di qualsiasi rappresentazione. Al contrario, il 73,3%
dei ragazzi che tale utilizzo non sia giustificato.
La larga maggioranza del campione, maschi e femmine, non conosce l’IAP,
Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria (quesito n. 16). Per contro in
maggioranza dichiara di conoscere il Codice di autodisciplina pubblicitaria
di cui lo stesso Istituto si è dotato, relativamente ad un assunto fondamentale
dello stesso Codice: “la comunicazione pubblicitaria …. deve rispettare la
dignità della persona in tutte le sue forme ed espressioni e deve evitare
ogni forma di discriminazione”. Non si esclude che questa affermazione di
conoscenza, da parte del campione, derivi da un intervento informativo
promosso dal corpo insegnante, prima della distribuzione del questionario.
La maggioranza del campione, con notevole preponderanza della parte
femminile (82,6%) su quella maschile (56,2%), “non” ritiene eccessivo
l’intervento dell’IAP laddove, sanzionando molteplici messaggi pubblicitari
in cui il corpo femminile è utilizzato impropriamente per la promozione
pubblicitaria, ne intima la rimozione/cessazione (quesito n. 17).
Sul concetto dell’utilizzo improprio dell’immagine femminile si muovono
più specificamente le domande successive.
Il quesito n. 18 è stato proposto da una commissaria, durante il lavoro di
gruppo, che aveva notato e riferito questo messaggio “ …e godervi le nostre
ragazze che vi faranno assaporare il gusto di un’estate che si preannuncia
bollente…”, all’interno di una pubblicità riguardante un negozio di abiti.
Al campione è stato chiesto a quale tipologia di attività tale messaggio fosse
riferito, ponendo 4 opzioni: un locale per soli adulti, una discoteca, un
supermercato, un negozio di abbigliamento.
E’ significativo che il campione, in mancanza di indizi, abbia ritenuto, in
maggioranza (55% delle ragazze, 54,3% dei ragazzi), che il messaggio fosse
compatibile con la pubblicità di un locale per adulti (tipo night club, privé,
sexy bar). Un numero inferiore di rispondenti (35,8% della ragazze, 26% dei
ragazzi) ha optato per la discoteca. L’opzione “supermercato” è scelta dal
minor numero di soggetti: 0,9% del campione femminile e dall’8,7% di
quello maschile. Una minoranza (8,3% delle femmine, il 10,9% dei maschi)
individua il vero referente – il negozio di abbigliamento – a dimostrazione
del legame davvero “lasco” tra la tipologia di attività pubblicizzata e
l’oggetto del messaggio promozionale: ragazze ambiguamente presentate
come oggetto di godimento, gusto da assaporare, stagionale promessa di
ardenti bollori.
Molto articolata è la risposta al quesito n. 19 [“Camminami sopra”: è lo slogan
che pubblicizza una ditta di pavimenti. Al posto del pavimento c’è una donna. A tuo
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parere: è un messaggio pubblicitario di grande impatto promozionale; è un messaggio
pubblicitario efficace, anche se eccessivo; è un messaggio che offende la dignità della
donna; è un messaggio pubblicitario che trasforma la donna in oggetto] . In
maggioranza il campione risponde che questa pubblicità trasforma la donna
in oggetto, ma la percentuale senz’altro più elevata proviene dalla parte
femminile (53% delle ragazze a fronte del 35,5% dei ragazzi).
La parte femminile prevale su quella maschile (35,7% contro 26,7%) anche
nella risposta che afferma l’offesa della dignità della donna.
I ragazzi risultano più possibilisti circa l’impatto elevato del messaggio o la
sua efficacia sia pure eccessiva (complessivamente, per i due aspetti, il
37,7%).
Opzioni, queste, accolte soltanto da un’esigua minoranza delle ragazze
(complessivamente l’11,2%).
La maggioranza dei ragazzi (59,2%) non considera offensiva, per la dignità
della donna, la pubblicità descritta nel quesito n. 20: si tratta di uno dei
messaggi pubblicitari sottoposti all’esame dell’IAP nel corso del 2011,
raffigurante una donna in lingerie di pizzo nero e calze autoreggenti,
provocantemente sdraiata sul cofano di un’auto, con lo sguardo rivolto
verso il lettore, destinato a promuovere il commercio di impianti a gas per
auto. Al contrario, la larga maggioranza delle ragazze (77,6%) afferma che il
messaggio è da ritenersi offensivo.
Rispetto a queste percentuali di risposta, appare incongruo il risultato
ottenuto dal quesito n. 21, poiché il 58,3% dei ragazzi non considera
eccessivo che l’IAP abbia sanzionato questo messaggio pubblicitario (quindi
sostanzialmente condivide l’azione sanzionatoria), mentre il 60,3% delle
ragazze lo considera eccessivo. Nell’impossibilità di una lettura dei dati
assieme ai rispondenti, l’incongruenza non può essere facilmente spiegata.
Al quesito n. 22 [La commissione pari opportunità della Provincia ha promosso una
contestazione, per pubblicità lesiva nei confronti della dignità femminile, contro i
manifesti di grande formato, diffusi su tutto il territorio aretino, che utilizzano immagini
femminili seminude e provocanti, per pubblicizzare una catena di “sexy bar”] la
maggior parte dei ragazzi (47,9%) risponde che l’iniziativa è da considerare
inopportuna, soltanto il 35,4% la giudica opportuna. Le ragazze affermano in
maggioranza, al 54,4%, l’opportunità dell’iniziativa, ma appare significativo
che il 21,9% di queste la consideri inutile e il 23,7% inopportuna.
Riguardo al quesito n. 23, si rileva che quella tipologia di immagini,
contestate dalla Commissione provinciale, sono considerate idonee per il
loro scopo commerciale, anche se volgari, da una parte maggioritaria del
campione maschile (complessivamente il 75% dei rispondenti). La
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maggioranza delle ragazze (43%) risponde che tali immagini sono offensive
allo sguardo delle donne, ma il 33,7% le ritiene idonee, anche se volgari.
Colpisce che soltanto una stretta minoranza (il 4,2% dei maschi, il 9,3%
delle femmine) considera questa pubblicità “offensiva per tutti gli eventuali
osservatori”.
La terza parte del questionario è stata finalizzata a raccogliere sensazioni più
personali da parte del campione considerato.
I ragazzi hanno scelto in maggioranza, con percentuale notevole (59,6%), la
risposta “è un piacere guardare” al quesito n. 24 [Cosa provi quando vedi belle e
giovani donne in tv che mostrano in modo sessualmente provocante il proprio corpo?] .
Le ragazze, in misura prevalente (41,3%), rispondono di provare fastidio per
la costante esibizione del corpo femminile, il 34,9% dichiara la propria
indifferenza, il 21% afferma la propria desiderio di emulazione (“vorrei
essere come lei”).
Rispetto alle 4 opzioni riferite al quesito n. 25 [Perché viene molto esposto, a tuo
parere, il corpo seminudo della donna in tv?] il campione risponde in maggioranza
(93% delle ragazze, 71,4% dei ragazzi) che l’esibizione del corpo femminile
attraverso la televisione (la cui pervasività sociale è da considerarsi ancora
insuperata da altri mass media) è uno strumento per vendere meglio,
qualsiasi sia il prodotto in vendita.
Tra le altre opzioni, in particolare si evidenzia che il 14,3% dei maschi
considera del tutto naturale l’esposizione del corpo seminudo delle donne
nella programmazione televisiva, contro un esiguo 0,9% delle femmine.
Il quesito n. 26 pone a confronto la fisicità maschile con quella femminile [è
evidente che la pubblicità utilizza quasi esclusivamente corpi femminili nudi o seminudi e
non corpi maschili. A tuo parere ciò è motivato dal fatto che: il corpo femminile è più
bello; il corpo maschile e i suoi attributi sessuali costituiscono un tabù sociale, non
ancora superato; il corpo femminile è stato mercificato, il corpo maschile non ancora] .
Le risposte date segnano notevoli divergenze di opinioni: forse le più
rilevanti, nel contesto complessivo del questionario. I ragazzi rispondono in
modo articolato: il 46,8% individua il motivo nella maggior bellezza del
corpo femminile; il 25,5% ritiene che il maschio e i suoi attributi sessuali
siano ancora considerati un tabù; il 27,7% che la mercificazione abbia finora
colpito il corpo femminile, ma non ancora quello maschile.
Le ragazze forniscono risposte nettamente diverse, poiché una larga
maggioranza (77,9%) individua nella mercificazione del corpo femminile la
causa principale del diffuso utilizzo per scopi pubblicitari, rendendo
residuali le altre opzioni.
L’ultimo quesito, n. 27, distingue nettamente i due generi. Alla domanda se
esiste una relazione tra corpo femminile, esibito nella pubblicità o negli
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spettacoli diffusi attraverso i media, e richiamo sessuale, i ragazzi, in modo
netto (83,3%), rispondono negativamente. Il 93% delle ragazze esprime
parere opposto, evidenziando la decisa, preponderante convinzione che la
sessualità sia condizionata dall’esibizione mediatica e pubblicitaria della
fisicità femminile.
Una vicenda recente, a margine del questionario
“Facile averla. Chiedimi come: un badge appuntato sul petto di 80 ragazze che per
tutto il giorno interagiscono coi clienti e spesso si trovano a far fronte alle battute e ai
doppi sensi sollecitati da quella frase. Accade alla Rinascente di Firenze. In verità,
accade in tutti i punti Rinascente d’Italia perché le commesse la indossano ovunque, ma
a Firenze, si sa, la battuta di spirito e lo scherzo sono di casa e forse per questo la carta
di fidelizzazione dei clienti rischia di diventare un po’ troppo pesante per le ragazze che
lavorano nel negozio.
La spilla viene appuntata sul petto e l’occhio dei clienti, spesso maschi, cade soprattutto
lì. I più galanti fanno un sorriso e vanno via, i più volgari vanno meno per il sottile.
Molte ragazze raccontano che non si tratta solo di scherzi, perché la battuta spesso
scade in toni sopra le righe. Una di loro si ribella e decide di non indossare più la spilla
[...]. La responsabile marketing, milanese, della nota catena di negozi La Rinascente si
dice stupita di aver ricevuto tali proteste e per giunta solo da parte dei magazzini di
Firenze […].” 1
Dopo pochi giorni l’edizione regionale di un altro quotidiano disegna il
contesto dell’iniziativa promozionale:
“[Le commesse] raccontano che la miscela diventa esplosiva nei giorni delle ‘coccole’ al
cliente, quando accanto alla prima spilla devono indossarne un’altra color fucsia con su
scritto tvtb (sms con cui gli adolescenti abbreviano’ti voglio tanto bene’). E per di più
abbinata a tacchi alti, gonna corta, capelli tirati su e foulard fucsia.” 2
Una commessa, Francesca, racconta: “Sono i giorni in cui diamo consulenze su
trucco, immagine, nodo alla cravatta. Siccome puntiamo a un target di lusso, oltre a
vendere dobbiamo anche offrire servizi e fin qui va bene. Ma il modo, la strizzatina
d’occhio con cui viene fatto fare e che dimostra come il badge non sia casuale, veicola il
messaggio che tutto è comprabile e che dalle cose si passa alle persone[…].3
Un’altra riferisce: “Dovete essere come geishe, ci ha detto la direttrice.” 4
La vicenda, recentissima, dimostra l’attualità e la pertinenza delle
domande che il nostro questionario ha proposto ai giovani studenti degli
Istituti artistici del territorio aretino.
1
Cfr: Corriere Fiorentino, 16 aprile 2012
Articolo di Ilaria Ciuti, La Repubblica, ed. Firenze, 18 aprile 2012.
3
Ivi
4
Dal sito web Jumpinshark, aprile 2012 (“Averla è facile. Chiedimi come” e il pronome
sessualizzato)
2
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L’intento promozionale del gruppo La Rinascente si appropria del corpo
femminile – e non si tratta, in questo caso, di un’appropriazione virtuale –
giocando sull’ambiguità, sul doppio senso “offerta commerciale-offerta
sessuale”: il veicolo pubblicitario sono vere donne, in carne e ossa,
commesse molto giovani probabilmente, che lavorano attraverso contratti a
termine, probabilmente.
Non hanno partecipato ad una selezione per stare “in vetrina” – e significa
molte cose diverse e spiacevoli, in questi anni, di questi tempi – attraverso
icone pubblicitarie o format televisivi. Sono donne che semplicemente
lavorano in un grande magazzino. Considerando la dolorosa precarietà che
connota il lavoro odierno, il gesto della commessa che per prima ha rifiutato
di esibire il badge – reparto profumeria, per quanto è dato di sapere – si
riveste di particolare coraggio.
La notizia è arrivata ai quotidiani locali, è entrata nel web, è stata
commentata nei telegiornali regionali, ha suscitato reazioni sindacali e
politiche.5
Non sappiamo con certezza se e come la vicenda abbia avuto conclusione.
Indipendentemente da ciò, alcuni dettagli meritano di essere evidenziati.
Chi ha scelto e approvato il badge è una donna, che qualche giornale ha
definito responsabile della “comunicazione”, altri del “marketing”:
comunque una manager di Milano che si è dichiarata stupita, definendo
“pretestuosa” la contestazione arrivata dalle lavoratrici di Firenze.
E’ una donna anche la direttrice della sede di Firenze, quella che suggerisce
alle dipendenti il ruolo e il comportamento avvolgente (e sottomesso, si deve
supporre) della “geisha” di fronte al cliente. Il kimono è stato sostituito da
gonne corte e tacchi a spillo, ma il risultato è identico.
“Come mai tutte le donne d’Italia non scendono in piazza per protestare
contro come veniamo rappresentate?” 6 chiedeva qualche anno fa la voce
fuori campo in un famoso documentario sul corpo femminile: esibito,
spogliato, alterato – quasi plastificato – dalla pretesa di un’eterna
giovinezza, usato per svolgere ruoli subalterni e umilianti, sottoposto allo
sguardo di milioni di spettatori attraverso le proposte televisive, in ogni
fascia di ascolto.
La risposta al quesito sta proprio nel grado di assuefazione (e nella
conseguente rassegnazione) rispetto a modelli comportamentali e a stereotipi
5
Tra le prime, hanno protestato la presidente della Commissione pari opportunità di
Firenze, Maria Federica Giuliani (PD); Ornella de Zordo e Francesca Conti del gruppo
consiliare “Unaltracittà”; Bianca Maria Giocoli, responsabile regionale per le pari
opportunità di FLI. Ha proposto di boicottare la Rinascente il comitato fiorentino del
movimento “Se non ora quando?”. Il segretario nazionale della CISL Bonanni ha parlato
di volgare iniziativa de La Rinascente. Susanna Camusso, segretaria nazionale CGIL, ha
tenuto un’assemblea a Firenze, con queste dipendenti, nel mese di maggio.
6
Lorella Zanardo, Il corpo delle donne, 2009
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femminili, ossessivamente proposti attraverso molteplici canali di
rappresentazione e di comunicazione, a cui le donne stesse faticano a
sottrarsi.
In conclusione
La costruzione del questionario, la sua diffusione, la raccolta dei dati, la
successiva elaborazione e analisi, nel complesso possono considerarsi un
percorso di ricerca positivo e suscettibile di ulteriori sviluppi, costruendo
altri campioni, formulando nuove domande.
E’ dunque un contributo al processo, già in atto da molte parti per iniziativa
di gruppi di donne e specialisti di settore, finalizzato a costruire, a livello
collettivo, una “coscienza alternativa”, capace di leggere criticamente il
mondo delle immagini.
Non vuole essere, questa, un’asserzione autoreferenziale: è piuttosto una
valutazione che considera un risultato ottenuto in assenza di mediatori
scientifici e di spese significative, dunque realizzato attraverso uno sforzo
condiviso, in seno alla Commissione provinciale per le pari opportunità,
utilizzando le risorse culturali e tecniche rese disponibili, a costo zero, dalle
stesse commissarie.
Pur costruito fuori dagli ambienti accademici o comunque specialistici, il
questionario trasferisce dati interessanti, dai quali emerge la diffusa
consapevolezza che il corpo femminile è oggetto per così dire “privilegiato”
della pubblicità: una sorta di strumento attraverso il quale – in modo diretto
o subliminale – vengono inviati messaggi di ogni genere all’osservatorefruitore-acquirente.
I giovani facenti parte del campione hanno dimostrato, rispetto al tema,
opinioni e idee che riflettono consapevolezze, insicurezze e, per taluni
aspetti, anche accettazione e assuefazione. Del resto non si può supporre o
pretendere che una generazione cresciuta all’ombra della più intensa attività
mediatica (e pubblicitaria) che la storia umana ricordi, possa produrre da sé,
in età così giovane, tutti gli anticorpi occorrenti per resistere alle violenze
sociali, soprattutto laddove queste si manifestano in assenza di atti fisici,
bensì attraverso il simbolismo e la virtualità delle immagini.
Gabriella Cecchi
Commissione provinciale Pari Opportunità - Arezzo
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