In crisi la funzione cerniera delle istituzioni tra politica e società
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In crisi la funzione cerniera delle istituzioni tra politica e società
Anno 108 - n. 1 - Gennaio 2017 H E A B A R T H 50° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese In crisi la funzione cerniera delle istituzioni tra politica e società Intervista con Pippo Pollina Un anno dopo o giù di lì P E R F O R M A N C E A B A R T H D I S C O V E R I S 12 4 M O R E A T I N T H E S P I D E R A B A R T H . C H A I R . La Rivista Anno 108 - n.1 - Gennaio 2017 T EDITORIALE Da ormai 50 anni è un appuntamento annuale. Ne possiamo tranquillamente prescindere. La maggior parte di noi la fa e, come generalmente ci dice: campa lo stesso. Eppure, attraversarlo, lungo la pista delle sue considerazioni generali e delle sue sintesi, può essere utile: per interpretare i fenomeni socio-economici più significati del Paese Italia; per trarne qualche elemento di riflessione che ci aiuti a comprendere quella che oggi è d’obbligo chiamare la narrazione del nostro quotidiano. Che, puntualmente, esperti a vario titolo, politici e mass media ci raccontano e che noi naturalmente, giorno dopo giorno, viviamo. È il Rapporto Censis, giunto alla 50a edizione, che quest’anno ci segnala che siamo entrati in una “seconda era del sommerso”; non più pre-industriale (fine anni 60): “che nel ventennio successivo fece da battistrada all’imprenditoria molecolare e all’industrializzazione di massa”, ma post-terziario: “dove vive un magma di interessi e comportamenti, un’onda profonda di soggetti e di scelte. In esso si intrecciano (senza saldarsi) la accentuata diversificazione delle attività di lavoro, la moltiplicazione delle fonti di reddito, la sperimentazione di nuovi percorsi imprenditoriali”. È di fatto un “sommerso di ricerca di più redditi”, l’intreccio di interessi e comportamenti orientati a “fare soldi” che lo rende un fenomeno sostanziale e non marginale, strutturale e non congiunturale. In questo scenario (alla cui comprensione può contribuire quanto scritto alle pagine 16-19 della Rivista - ndr) emerge un’Italia, definita rentier, “che si limita a utilizzare le risorse di cui dispone senza proiezione sul futuro, con il rischio di svendere pezzo a pezzo l’argenteria di famiglia”. L’immobilità sociale genera insicurezza: dall’inizio della crisi (2008) sono stati accantonati 114 miliardi di euro di liquidità aggiuntiva (più del Pil dell’Ungheria). Si registra quello che viene definito un Ko economico dei giovani: rispetto alla media, redditi più bassi del 15% (e del 26,5% rispetto ai loro coetanei di venticinque anni fa) e ricchezza inferiore del 41%. Sembra tornare l’occupazione, ma a bassa produttività. Il 2016 è stato l’anno dei flussi: export, turismo, digitale, immigrati. Ma si è rotta la cerniera tra potere politico e corpo sociale, certificato dal crollo di fiducia per tutti i soggetti intermedi tradizionali: solo l’1,5% degli italiani ha fiducia nelle banche, l’1,6% nei partiti politici, il 6,6% nei sindacati. Infine, il Rapporto, coinvolgendo la Storia, ci ricorda che la società italiana è stata pensata all’inizio e compiuta nel tempo dal faticoso quotidiano operare dell’apparato istituzionale, statale e periferico. Forse è tempo per il mondo politico e il corpo sociale di ricambiare un po’ di quella carica di futuro, provvedendo con coraggio a dare un nuovo ruolo al troppo mortificato mondo delle istituzioni. Altrimenti quest’anno e i prossimi tempi rimarranno, come scriverebbe Rilke, sospesi da qualche parte nell’incompiuto. Editore Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Direttore - GIANGI CRETTI Collaboratori C. BIANCHI PORRO, G. CANTONI, M. CARACCIOLO DI BRIENZA, V. CESARI LUSSO, M. CIPOLLONE, P. COMUZZI, D. COSENTINO, A. CROSTI, L. D’ALESSANDRO, F. DOZIO, M. FORMENTI, F. FRANCESCHINI, P. FUSO, T. GAUDIMONTE, R. GEISER, T. GATANI, G. GUERRA, M. LENTO, R. LETTIERI, F. MACRÌ, G. MERZ, A. ORSI, V. PANSA, C. RINALDI, G. SORGE, N. TANZI, I. WEDEL La Rivista Redazione e Pubblicità Vittorio BIANCHI, Andrea LOTTI Seestrasse 123 Cas. post. 1836 8027 Zurigo Tel. ++41(0)44 289 23 19 Fax ++41(0)44 201 53 57 e-mail: [email protected], [email protected] www.ccis.ch Abbonamento annuo Fr. 60.- Estero: 50 euro Gratuito per i soci CCIS Le opinioni espresse negli articoli non impegnano la CCIS. La riproduzione degli articoli è consentita con la citazione della fonte. Periodico iscritto all’USPI (Unione Stampa Periodica Italiana). Aderente alla FUSIE (Federazione Unitaria Stampa Italiana all’Estero) Appare 11 volte l’anno. 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Sommario 1 4 Editoriale Sommario PRIMO PIANO 16 In crisi la funzione delle istituzioni come cerniera tra mondo politico e corpo sociale La cosiddetta tassazione globale 50° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2016 INCONTRI 21 Non solo hotel e centri fitness: anche case private A colloquio con Cristiano Zemella, Division manager Wellness & Spa Starpool Switzerland 22 24 STARPOOL – wellness concept 26 A Zurigo la seconda edizione della Serata Italiana La gente ci apprezza le alte gerarchie fanno fatica Donne in carriera: Maria Josè Falcicchia CULTURA 41 Luci e ombre dell’Elvezia “una e indivisibile” (Come il Fricktal divenne svizzero) Dalla Svizzera degli Stati a quella federale 50 La donna del secolo A duecento anni dalla morte di Madame de Staël 52 «Idee della Svizzera» e «du – dal 1941» Idee che incarnano l’identità della Svizzera Al Museo nazionale di Zurigo fino al 17 marzo 2017 53 Francesco Jodice – Panorama Al Museo fotografico Winterthur dal 11 febbraio al 7 maggio 2017 54 Lo sguardo Senza Confini di Steve McCurry A Napoli, al Pan di via dei Mille, fino al 12 febbraio 2017 56 Le donne protagoniste A Zurigo la seconda edizione dello Human Rights Film Festival 59 Un anno dopo o giù di lì Intervista con Pippo Pollina 22 59 64 82 Sommario DOLCE VITA 64 68 IL MONDO IN CAMERA Wine2Wine – Il forum sul business del vino Vini d’Italia Tour 2016/2017 Zurigo – 28. Novembre 2016 Consegnati a Zurigo i diplomi di sommelier 70 A Tavola al Museo Quando il piatto sposa l’opera d’arte 78 Renault Megane Grandtour GT Proporzioni equilibrate e un design dalla personalità spiccata 82 84 85 86 Swisstech & Prodex ‘16 A Zurigo l’aperitivo natalizio in Camera Wine Christmas, Cocktail di CCIS al Ristorante Ciani di Lugano Contatti Commerciali Benvenuto ai nuovi soci 88 Servizi Camerali Mercedes Classe V 250 4M Exclusive Van a 6 posti extra lusso - Prezioso in condizioni stradali difficili – Il calendario Pirelli 2017 80 Fiat 500X MY2017 - Paradigma nel segmento La 100millesima Maserati è una Quattroporte GranSport MY17 Le Rubriche 70 74 77 7 In breve 37 L’elefante invisibile 9 Italiche 39 Benchmark 11 Elvetiche 40 Per chi suona il campanello 13 Europee 49 Scaffale 15 Internazionali 58 Sequenze 20 Cultura d’impresa 63 Diapason 30 Burocratiche 70 Convivio 32 Angolo Fiscale 73 La dieta rivista 33 Angolo legale Svizzera 74 Starbene 34 Convenzioni Internazionali 77 Motori In copertina: La società continua a funzionare nel quotidiano, rumina e metabolizza gli input esterni, cicatrizza le ferite più profonde (50° Rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese) In Breve Mendrisio-Varese, operativa dal 10 dicembre 2017 Voci, illazioni e date ufficiali in realtà solo presunte si rincorrevano da settimane in Italia, tanto che qualcuno si era di recente spinto sino ad indicare il 10 dicembre dell’anno prossimo come giorno scelto per l’inaugurazione della ferrovia Mendrisio-Varese (FMV) oltreconfine. Ebbene, l’agognata apertura del collegamento sull’intero percorso, dopo il servizio sul territorio svizzero, ossia fino a Stabio, è già operativo dal 14 dicembre del 2014, avverrà il 10 dicembre dell’anno prossimo. «La linea sarà attivata al servizio commerciale con il cambio orario di dicembre 2017» fa sapere il reparto Relazioni con i Media e Attività redazionali di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A., al quale il è stato chiesto di fare chiarezza sul balletto di date orchestrato da alcune testate giornalistiche. Su richiesta specifica arriva la conferma delle FS che con il cambio orario di dicembre 2017, precisamente il 10 del mese la FMV, finalmente completata, garantirà l’effettivo collegamento. 6 - La Rivista gennaio 2017 Export agroalimentare made in Italy da record Secondo un rapporto appena pubblicato dalla Camera di Commercio di Milano, su dati Istat, l’agroalimentare italiano nel mondo nel 2015 (questi gli ultimi dati disponibili) valeva 36,7 miliardi di euro all’anno. A titolo di paragone si consideri che 19,9 sono i miliardi dell’export del settore degli autoveicoli. Germania, Francia, Stati Uniti, Regno Unito e Svizzera intercettano la metà dell’export del settore, ma tutte le principali destinazioni sono in crescita. La Germania, la Francia e la Svizzera sono fra i primi acquirenti per quasi tutti i prodotti, mentre gli Stati Uniti importano soprattutto vini, acque minerali e olio, la Spagna pesce fresco, la Grecia e le Filippine alimenti per animali. In forte crescita Cina per latte, amidi, tè, caffè e vini, Arabia Saudita per frutti e prodotti da forno, Australia per pasta e piatti pronti, Turchia per cioccolato, Ungheria per carne lavorata e conservata, Polonia per pesce conservato, gelati e condimenti e Belgio per acque minerali. Fra i prodotti “made in Italy” più esportati, i vini che raggiungono i 5,4 miliardi di euro, vengono poi pane, pasta e farinacei con 3,6 miliardi di euro ma anche frutta e ortaggi lavorati e conservati con 3,4 miliardi di euro. Gli aumenti più consistenti si registrano per acque minerali (+21,1%), alimenti per animali (+20%), prodotti non lavorati da colture non permanenti tra cui cereali, riso, ortaggi (+15,5%), tè e caffè (+11,2%). Svizzera: novità in vigore dal 1° gennaio 2017 Prodotti svizzeri ancora più svizzeri. In base alla nuova legislazione “Swissness”, per i prodotti naturali quali piante o carne, così come per il latte e suoi derivati, è ora richiesto un tasso del 100% di “svizzerità”. Per le altre derrate alimentari è necessario un minimo dell’80% di materia prima elvetica. Eccezioni sono previste per prodotti non disponibili sul territorio della Confederazione: birre, cioccolato e caffè potranno avvalersi del marchio rossocrociato anche se la materia prima viene dall’estero. Per i prodotti industriali il tasso è fissato al 60%. Per quanto riguarda i trasporti, le categorie dell’etichetta Energia per le automobili (che vanno dalla A alla G) devono sostare a criteri più severi: soltanto un settimo di tutti i nuovi modelli saranno inclusi nella categoria A della migliore efficienza dal profilo del consumo di carburante e delle emissioni nocive per l’ambiente. La tassa sul traffico pesante ammonta in media 298 franchi, invece di 271, garantendo complessivamente 190 milioni di franchi di introiti in più. Sul fronte fiscale, accorciati i termini di prescrizione: chi omette di dichiarare redditi imponibili potrà essere perseguito soltanto per un periodo di 10 anni invece di 20. Dal canto loro, le banche svizzere dovranno cominciare a raccogliere le informazioni sui loro clienti che risiedono all’estero in modo che l’amministrazio- ne fiscale possa procedere allo scambio automatico di informazioni con i partner esteri a partire dal 2018. Altra novità in vigore da gennaio: per motivi di protezione dei dati e di scarsa rilevanza pubblica, i cantoni non potranno più pubblicare fatti di stato civile (nascite, morti, matrimoni e unioni domestiche registrate). Eccezioni sono previste per gli avvisi mortuari. Inoltre per l’accertamento dello stato civile non sarà più necessario pagare una tassa di 30 franchi. L’italiano ed il cigno nero di Popper Partendo da qualche caso particolare (scuola o cantone), è stata diffusa la notizia che nei licei svizzeri l’italiano è poco scelto dagli allievi. Si afferma quindi che «tutti i cigni sono bianchi». Ma il pensatore Karl Popper, che trascorse alcuni anni in Nuova Zelanda dove scrisse tra l’altro “La società aperta e i suoi nemici” (1945), ci mette in guardia dalle generalizzazioni e ci insegna che dal fatto che dei cigni sono bianchi non si può concludere che «tutti i cigni sono bianchi». Se un attento controllo porta alla scoperta di uno o più cigni neri, questa scoperta falsifica la tesi che «tutti i cigni sono bianchi». Se poi l’eco di un cigno nero giunge proprio da una scuola che ha sbandierato ai quattro venti che «tutti i cigni sono bianchi», allora c’è da supporre che quella tesi non possa che essere il frutto di un abbaglio – ed un motivo d’oro deve pur esserci… Lunga vita ai cigni neri: per trasformarli in capri espiatori non bastano formule magiche. Per approfondire la tematica, si veda: D. Sperduto, L’italiano nelle scuole svizzere è più vivo che mai, “La Rivista”, ottobre 2016, p. 46; Dai descrittori linguistici e letterari alla retorica, “Babylonia”, 2016/3, p. 96; L’assemblea plenaria dell’ASPI, “La Rivista”, gennaio 2015, p. 50; Quanta retorica contro l’italiano! “Babylonia”, 2014/1, p. 93. Dr. Donato Sperduto, Presidente dell’ASPI-VSI e docente di italiano e francese alla Kantonsschule Sursee gennaio 2017 La Rivista - 7 CENA IN FAMIGLIA? BRAVO A TE! Italiche di Corrado Bianchi Porro Eventi inaspettati Ci sono stati tre avvenimenti inaspettati nel corso del 2016. Il primo è stata in giugno la votazione su Brexit, il referendum inglese che ha sancito l’uscita della Gran Bretagna dall’UE, un avvenimento che sarà ufficializzato entro il marzo del 2017 secondo le intenzioni del premier britannico Theresa May, ma le cui trattative dureranno mesi. La seconda sorpresa è stata l’ascesa alla presidenza degli Stati Uniti di Donald Trump, il candidato repubblicano che non rientrava nei radar delle previsioni dei principali commentatori e nemmeno nei pronostici del suo stesso partito. La terza sorpresa riguarda invece l’esito del referendum costituzionale in Italia. Qui l’effetto di sorpresa non è stato determinato dall’esito del voto né tanto meno dal fatto che il referendum sia stato bocciato con una vittoria plebiscitaria dell’elettorato contro l’azione del Governo in una proporzione del 59,1%, a fronte di un tasso di partecipazione molto elevato (68,5%), ma dalla constatazione che, nonostante le previsioni indicassero in caso di rigetto una difficoltà della borsa italiana ed un progressivo ampliarsi degli spread, si è in realtà verificato l’esatto contrario. Infatti, i titoli bancari italiani hanno guidato la ripresa del listino milanese e lo spread – anche grazie agli acquisti della BCE – si è ricompattato, tornando al di sotto dei livelli precedenti. Buona parte di questo esito mite è dovuto al fatto che se il governo di Matteo Renzi non è riuscito a passare il Rubicone delle riforme costituzionali, il suo ultimo atto è stata l’approvazione parlamentare dell’atto politico per eccellenza: la legge di stabilità, mentre la crisi successiva con le dimissioni del premier si è risolta nel giro di poche ore, pur con una compagine governativa che ricalca in massima parte quella precedente. Ciò non significa che il listino italiano sia vaccinato dalla volatilità. Secondo Euler Hermes, leader mondiale delle soluzioni di assicurazioni per gli scambi commerciali, il “no” italiano al referendum costituzionale determinerà tuttavia conseguenze economiche. L’esito non impatterà le banche o il mercato obbligazionario in un primo tempo, ma costerà un peggioramento dello 0,3% alla crescita del Pil. Le conseguenze economiche saranno certo meno marcate di quelle di Brexit, spiega Ludovic Subran, capo economista di Euler Hermes. Dunque, secondo tali previsioni, il Pil italiano dovrebbe crescere nel 2017 dello 0,6%, accrescendo così il divario rispetto alle altre economie dell’Europa. Si tratterebbe dunque di una cattiva notizia non solo per le imprese italiane, ma anche per i loro partner commerciali come la Svizzera, osserva Stefan Ruf, Ceo di Euler Hermes Suisse. Vi è poi da sperare che si esca presto dal circolo vizioso dei crediti incagliati non performanti (NPL) che deprimono il settore bancario dato che l’economia italiana soffre da anni di una crescita debole, di un forte indebitamento e mancanza di produttività e competitività, oltre che di una disoccupazione elevata. Egli aggiunge nella diagnosi anche dei “costi del personale eccessivi”, un’osservazione che tuttavia non ci sentiamo di sottoscrivere, perché il salario netto che rimane nelle tasche delle famiglie non è affatto tra i più elevati d’Europa. Stefan Rut aggiunge che la debole produttività e i costi salariali elevati (a motivo di eccessive trattenute) appesantiscono la competitività delle imprese italiane nel raffronto internazionale. L’Italia, in effetti, si trova oggi dietro Spagna, Irlanda e ovviamente la Germania. Per questo motivo il futuro governo che uscirà dalle elezioni quando venga approvata una nuova legge elettorale che consenta di ottenere una maggioranza stabile in entrambe le Camere, dovrà ripercorrere il cammino delle riforme. Ricordando tuttavia come l’Italia presenti oggi, nonostante le persistenti debolezze strutturali, una bilancia commerciale eccedentaria, mentre il 65% del debito è detenuto da investitori italiani, con scadenze temporali non ancorate al breve periodo. gennaio 2017 La Rivista - 9 Elvetiche di Fabio Dozio Bilaterali sì o no Il 2017 regalerà forse e finalmente un chiarimento alla Svizzera: il popolo potrebbe esprimersi sugli accordi bilaterali con l’Unione Europea. La vicenda dell’iniziativa “Contro l’immigrazione di massa”, votata nel febbraio del 2014, è intrisa di ipocrisie. Perché fin da subito si sapeva che l’iniziativa era inapplicabile, a meno di far saltare gli accordi bilaterali tra Svizzera e Unione europea, e anche perché la legge di applicazione, votata a metà dicembre scorso dal Parlamento elvetico, non rispetta il dettato costituzionale. Tre anni fa il popolo svizzero, con una risicata maggioranza, 50,3% - 19 mila voti di differenza su un totale di 2,9 milioni di votanti – approva la proposta dell’UDC “Contro l’immigrazione di massa”, che introduce nella Costituzione l’art.121a che prescrive alla Svizzera di gestire “autonomamente l’immigrazione di stranieri” reintroducendo “tetti massimi e contingenti annuali”. Un tranello politico, perché è evidente (ma probabilmente molti cittadini votanti non l’hanno capito) che imporre un contingentamento degli stranieri significa contraddire il principio della libera circolazione delle persone, uno dei capisaldi degli accordi bilaterali sottoscritti dalla Svizzera con l’Unione europea. Christoph Blocher ha cercato di imbrogliare le carte, dicendo e ripetendo che l’UE avrebbe potuto accettare la via svizzera, perché siamo un Paese importante per l’Europa. Una favoletta sconfessata più volte in questi tre anni dalle autorità di Bruxelles, che ripetono a iosa che mettere in discussione la libera circolazione significa far cadere tutti gli accordi bilaterali. Ma non solo: da subito Bruxelles decide ritorsioni nei confronti di Berna, e blocca gli scambi di studenti Erasmus+ e il programma di ricerca e innovazione Horizon 2020. Per tre anni il governo svizzero si confronta con questo dilemma insolubile: cercare di far rispettare la Costituzione, ovvero l’articolo che prevede freno all’immigrazione e contingenti, proponendo una legge di applicazione che non contraddica i principi della libera circolazione. Operazione impervia: la modifica della legge sugli stranieri votata dal Parlamento a dicembre interviene solo sul mercato del lavoro interno, non sull’immigrazione, prescrivendo un meccanismo per far scattare la preferenza all’assunzione di disoccupati quando il tasso di senza lavoro fosse al di sopra della media. I datori di lavoro che necessitano di manodopera devono richiederla agli Uffici regionali di collocamento. Ma a questi Uffici, piccolo dettaglio, possono iscriversi anche gli stranieri e i frontalieri. Una misura che, verosimilmente, non permetterà di diminuire significativamente l’immigrazione. L’Europa è soddisfatta, il Consiglio federale pure, così come i liberali radicali e i socialisti, promotori della riforma. L’UDC grida invece allo scandalo e alla Camera inscena un teatrino esibendo cartelli che lamentano il tradimento della Costituzione. Il PPD si astiene, perché ritiene che questa soluzione non metta in atto la volontà popolare: avrebbe preferito una legge più severa che, verosimilmente, avrebbe cozzato (ancora!) contro la libera circolazione. Cosa ci vuole a capire che prima di aver risolto Brexit l’UE non apre nessuno spiraglio alla Svizzera? Liberali e socialisti ripetono che la volontà popolare si è espressa cinque volte a favore dei bilaterali e solo una volta contro l’immigrazione, quindi il compromesso è accettabile. D’altra parte, è bene ricordare che il Tribunale federale ha sentenziato lo scorso anno che, in caso di contraddizione tra una legge nazionale e l’accordo bilaterale, sarà quest’ultimo a prevalere. Morale della storia: per uscire da questo pasticcio e per superare le ipocrisie incrociate, l’UDC dovrà rassegnarsi a chiedere al popolo se intende rimettere in discussione gli accordi bilaterali. L’Associazione per una Svizzera neutrale e indipendente ha già deciso in questo senso. È questa la domanda cruciale e prossimamente conosceremo la risposta. Forse… gennaio 2017 La Rivista - 11 VIA NASSA 5 - 6900 LUGANO TEL: 0041 91 910 27 50 INFO@SEALCONSULTTI T NG.CH WWW.SEALCONSULLTTIN T G.CH Il Gruppo SEAL opera a Lugano dal 2005 ed offre servizi integrati sia a privati che ad imprese, attraverso le seguenti società: –SEAL Consulting SA, attiva nella consulenza fiscale / societaria / contabile, sia domestica che internazionale, oltre che nel "Corporate Services Management" (costituzione di società, governance, regulatory and tax reporting). –SDB Financial Solutions SA, gestore patrimoniale indipendente Svizzero che fornisce servizi di Multi-Family Office in completa "open architecture" (strutturazione di prodotti tailor made di ogni natura, asset consolidation, risk monitoring). Collabora sulla piazza con le più importanti istituzioni bancarie locali ed internazionali ed è autorizzata FINMA alla distribuzione di fondi di investimento. –Interacta Advisory SA, una società di consulenza di diritto svizzero che opera in ambito tributario domestico ed internazionale con servizi di compliance fiscale dedicati alle persone fisiche e alle società. In particolare nella sfera della consulenza privata può assistere i propri clienti nella corretta organizzazione del patrimonio familiare attraverso istituti giuridici dedicati per scopo e tipologia d’investimento. Oltre che a Lugano, il Gruppo SEAL opera con proprie strutture a Zurigo, Singapore e Dubai. Tramite partnerships, il Gruppo opera anche a Malta, Nuova Zelanda, Lussemburgo, Italia e Spagna. NEWS GENNAIO 2017 Con l’approvazione del D.L. 22 ottobre 2016 n. 193, sono stati riaperti i termini di accesso alla voluntary disclosure. Per effetto della riapertura sarà quindi possibile regolarizzare gli investimenti illecitamente detenuti all’estero e le violazioni tributarie commesse fino al 30 settembre 2016. Gli elementi salienti della riapertura sono i seguenti: - è consentito presentare istanza per la VD-bis ent ro il prossimo 31 luglio 2017 (salvo ulteriori proroghe); - l’integrazione delle istanze, dei documenti e delle informazioni che verranno forniti all’Agenzia delle Entrate potrà avvenire fino al 30 settembre 2017 (salvo ulteriori proroghe); - è stata introdotta la possibilità di provvedere spontaneamente al versamento di quanto dovuto fino al 30 settembre 2017 o in tre rate mensili di pari importo con pagamento della prima rata comunque entro il 30 settembre 2017. Chiaramente in questa ipotesi vi saranno maggiori oneri per il professionista incaricato in quanto sarà tenuto a perfezionare nel miglior modo possibile i conteggi; - accogliendo alcune indicazioni degli ordini professionali è stato previsto l’esonero dalla presentazione del quadro RW/2017 per le attività oggetto di VD, semplificando gli adempimenti per i contribuenti; - è stato, infine, stabilito l’ampliamento fino al 31 dicembre 2018 dei termini di accertamento e di irrogazione delle sanzioni ordinariamente previsti per le sole attività oggetto della VD-bis, limitatamente agli imponibili, alle imposte, alle ritenute, ai contributi, alle sanzioni e agli interessi, e per tutte le annualità e le violazioni oggetto della procedura stessa. L’Agenzia delle Entrate ha specificato che è possibile aderire alla procedura già a partire dal 25 ottobre 2016. IN PARTNERSHIP CON: I consulenti di SEAL Consulting SA sono a disposizione per assistere coloro i quali fossero interessati ad aderire alla procedura di voluntary disclosure. Europee di Viviana Pansa I pericoli dell’isolamento europeo Arriva il nuovo anno e l’Europa si appresta a fare i conti con il ricambio dei governi dei più importanti Paesi membri, e a verificare il peso dei populismi su cruciali bacini elettorali. Prima in Francia, dove gli effetti della crisi economica si coniugano pericolosamente con l’estremismo islamico in una fase storica di grande impatto dei flussi migratori. Poi in Germania, che potrebbe confermarsi il solo Paese europeo la cui leadership supererà con successo questi anni complessi con la rielezione per la quarta volta consecutiva della cancelliera Angela Merkel. Ma anche l’Olanda si appresta a breve a nuove elezioni, mentre il governo italiano, dopo lo shock dell’esito del referendum sulle riforme costituzionali targate Matteo Renzi, garantisce un esecutivo in apparente continuità, sotto la guida di Paolo Gentiloni, il cui mandato dovrebbe essere comunque limitato all’elaborazione da parte del Parlamento di una nuova legge elettorale. Sarà anche per questo clima di incertezza che l’ultimo Consiglio europeo del 2016 si è chiuso senza la tradizionale “foto di famiglia” e, nonostante le delicate questioni all’ordine del giorno, sia proceduto piuttosto velocemente. Oltre all’atteso ricambio dei vertici, hanno contato probabilmente anche le rispettive campagne elettorali, e nessuno è apparso troppo interessato ad associare il proprio volto all’ennesimo summit dal quale, da 6 anni a questa parte, non escono soluzioni definitive a nessuna delle grandi questioni che interessano il continente. Al centro dell’incontro, ancora una volta, la gestione dei flussi migratori, con l’annuncio della firma di un accordo tra Italia, Germania, Francia e Niger per frenare il transito verso la Libia dei migranti, un’intesa che Gentiloni ha precisato di ritenere “un piccolo passo, ma significativo” “nel contesto di una politica che deve fare molti passi avanti”, riferendosi in particolare alla tanto discussa riforma del Trattato di Dublino, che determina lo Stato competente all’esame della domanda di asilo degli ingressi in Ue. Al riguardo la proposta dell’attuale presidenza slovacca sarebbe una redistribuzione degli arrivi su base volontaria, ipotesi che non soddisfa l’Italia e il cui esito facilmente prevedibile è l’adesione riscontrata al programma di redistribuzione dei profughi giunti in Italia e Grecia faticosamente sottoscritto l’anno scorso. Sul fronte economico, torna a far discutere la Grecia, per via della decisione del premier Alexis Tsipras di aumentare la spesa pensionistica e non procedere con l’aumento del’Iva nelle isole più colpite dagli sbarchi nel corso dell’estate, deliberazione non concordata con l’Europa e che ha determinato la sospensione delle misure di sostegno al debito di Atene. Da parte italiana si conferma invece il rifiuto di dare il via libera del bilancio a medio termine dell’Unione e un imminente confronto su dati di bilancio e legge di stabilità su cui Bruxelles aveva soprasseduto in novembre in attesa dell’esito della consultazione referendaria. Ancor più alla luce dei tragici avvenimenti succedutisi alle vigilia di Natale – l’uccisione dell’ambasciatore russo in Turchia, Andrei Karlov, la sparatoria in una moschea a Zurigo, l’attentato al mercatino di Berlino, - appare necessario che l’Europa dimostri più coraggio e coerenza, ed esca dal proprio pericoloso isolamento. Non vi è riuscita davanti al problematico impatto dei flussi migratori, alla deriva autoritaria imboccata dalla Turchia, al massacro di Aleppo. All’interno stesso dell’Ue, poi, la Polonia discute ora la limitazione dell’accesso al Parlamento dei giornalisti e il leader neoconservatore Jaroslaw Kaczynski auspica una “controrivoluzione” all’Europa insieme all’ungherese Viktor Orban. Con l’avvio ufficiale della presidenza americana di Donald Trump le cose non potranno che farsi più complesse, sia sul piano internazionale, vista la volontà del tycoon di intervenire il meno possibile sul fronte mediorientale, lasciando semmai campo libero a Vladimir Putin, sia su quello economico, se l’annunciato intento protezionistico dovesse diventare realtà. gennaio 2017 La Rivista - 13 Come posso avere il quadro completo della situazione? Guardando oltre l’ovvio. Solo così si svela il vero valore delle cose. Insieme possiamo costruire una relazione di fiducia, solida e duratura. Che vi offra le nostre competenze e le risorse di un approccio globale davvero integrato. Per darle quello che chiede: un quadro di insieme chiaro e nitido. Di fronte ad alcune domande che la vita pone, non siete soli. Insieme possiamo trovare una risposta. ab Questo documento e le informazioni in esso contenute sono fornite esclusivamente a scopi informativi. © UBS 2017. Tutti i diritti riservati. Internazionali di Michele Caracciolo di Brienza Tutte le bugie del presidente Frasi fatte, dati inventati, la pancia degli americani e una bizzarra affinità elettiva con Vladimir Putin sono i primi elementi di un Trump presidente che si sta rivelando particolarmente grottesco. Quest’uomo è un bugiardo. Com’è possibile che in un paese come gli Stati Uniti, così attento al culto della verità da parte di un politico, si tollerino le sue panzane continue? Facciamo alcuni esempi recenti altrimenti la lista sarebbe troppo lunga: il 17 novembre Donald Trump ha tuittato sul suo conto ufficiale Twitter: “I worked hard with Bill Ford (Ford president) to keep the Lincoln plant in Kentucky” – “Ho lavorato duro con Bill Ford (amministratore delegato della Ford) per mantenere in Kentucky lo stabilimento di Lincoln” – il tweet continua: “I owed it to the great State of Kentucky for their confidence in me” – “Lo devo al grande Stato del Kentucky per la loro fiducia in me”. C’è solo un problema: il fabbricante d’auto non ha e non aveva alcuna intenzione al momento della pubblicazione del tweet di chiudere lo stabilimento di Louisville (Kentucky). La Ford sposterà la produzione del Lincoln MKC in Messico ma aumenterà la produzione di un altro modello, il Ford Escape, in Kentucky. È arrivata la rettifica ufficiale della Ford il giorno dopo. Un altro caso riguarda l’ennesimo tweet uscito questa volta il 6 dicembre sempre dal conto ufficiale: “Boeing is building a brand new 747 Air Force One for future presidents, but costs are out of control, more than $4 billion. Cancel order!” – “Boing sta costruendo un 747 Air Force One nuovo di zecca per i futuri presidenti, ma i costi sono fuori controlli, oltre 4 miliardi di dollari. Cancellare l’ordine!”. Il Wall Street Journal del 6 dicembre riporta che il Pentagono ha previsto un budget di 2,7 miliardi dal 2017 al 2021 per sviluppare la nuova flotta presidenziale. Si tratta di 2,7 e non di 4 miliardi di dollari. Un terzo ed ultimo tweet esagerato, gonfiato e da bar è datato 12 dicembre: “The F-35 program and cost is out of control. Billions of dollars can and will be saved on military (and other) purchases after January 20th.” Il 20 gennaio è il giorno dell’insediamento di Trump nel ruolo di presidente degli Stati Uniti d’America. Chi scrive non entra nel merito della bontà o meno degli F-35 della Lockheed Martin, ma nell’opportunità di parlarne in termini così approssimativi. 140 caratteri pubblicati dal conto ufficiale di Trump hanno un effetto dirompente sull’andamento del titolo azionario di aziende come Lockheed Martin appunto. Le sue azioni sono scese del 4.4% subito dopo il tweet sugli F-35. C’è forse una volontà di lucrare sui mercati sapendo in anticipo le panzane che questo imperatore biondo un po’ viziato e un po’ bullo pubblica urbi et orbi? Il conto Twitter di Trump è controllato e gestito dal suo staff e il sospetto sorge spontaneo. Si tratta comunque solo di un sospetto. Resta il fatto che, ogniqualvolta Trump says… Trump dice… o tuitta un pensierino, serpeggia il terrore tra gli executives americani. L’11 dicembre scorso l’opinionista politico, Carl Bernstein, ha criticato duramente Donald Trump alla CNN. Bernstein ha dichiarato: “Trump vive e gozzoviglia in un ambiente esente dai fatti”. “Nessun presidente, incluso Richard Nixon, è stato così ignorante dei fatti e li disprezza nel modo in cui il presidente eletto lo fa.” - ha aggiunto Bernstein, il cui lavoro investigativo negli anni Settanta con Bon Woodward al Washington Post fece scoppiare lo scandalo Watergate che portò alle dimissioni di Nixon. “[…] e ha qualcosa a che fare con il crescente senso di autoritarismo che lui [Trump] e la sua presidenza stanno proiettando”. “Il pericolo di tutto ciò è ovvio e sta cercando di rendere il comportamento della stampa un problema, non la sua propria condotta”. “Non affronta un dibattito fondandolo sui fatti. Egli imposta un dibattito sulle emozioni” ha concluso Bernstein. “Ciò che abbiamo visto durante tutta la campagna elettorale è un disprezzo patologico per la verità, una sorta di bugia e l’essere a proprio agio con la menzogna. Non si era mai visto prima”. Ricorda qualcuno? [email protected] gennaio 2017 La Rivista - 15 50° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2016 Le istituzioni non riescono più a «fare cerniera» tra dinamica politica e dinamica sociale In crisi la funzione delle istituzioni come cerniera tra mondo politico corpo sociale e La società continua a funzionare nel quotidiano, rumina e metabolizza gli input esterni, cicatrizza le ferite più profonde. Intanto siamo entrati in una seconda era del sommerso: non più pre-industriale, ma post-terziario. È una «macchina molecolare» senza un sistemico orientamento di sviluppo, in cui proliferano figure lavorative labili e provvisorie. Nel parallelo «rintanamento chez soi» di politica e società cresce il populismo Nel «silenzioso andare del tempo», sono tre i processi principali della società italiana. In primo luogo, la società continua a funzionare nel quotidiano. Non come scettica passività dell’abitudine, ma come primato dell’impegno quotidiano dei soggetti economici e sociali. Le imprese continuano a operare nelle dinamiche di filiera (basti ricordare la filiera enogastronomica, quella del lusso e del made in Italy, quella della progettazione, fabbricazione e manutenzione dei macchinari); le famiglie continuano a coltivare i loro risparmi e i loro patrimoni; il sistema di welfare continua la sua lucida e spesso dura quadratura in modo da non perdere il suo ruolo cardine nella soddisfazione dei bisogni sociali; il territorio continua a essere un fondamentale fattore dello sviluppo (si pensi al recupero delle città come sedi di localizzazione manifatturiera); gli incrementali arrivi turistici continuano a confermare una prosperante attrattività del nostro Paese; e anche il Mezzogiorno non ha mostrato cedimenti da sommare a cedimenti del passato. In secondo luogo, la società rumina 16 - La Rivista gennaio 2017 Si consolida il processo di digitalizzazione (che mette in crisi l’intermediazione burocratica del ceto impiegatizio, che su tale prassi aveva costruito potere e identità) e metabolizza gli input esterni, volta per volta rimuovendoli o assimilandoli. Vale per il flusso crescente di migranti e la loro faticosa integrazione; per il processo di digitalizzazione (che mette in crisi l’intermediazione burocratica del ceto impiegatizio che su tale prassi aveva costruito potere e identità); per la faticosa affermazione legislativa e giurisprudenziale dei diritti individuali. In terzo luogo, la società cicatrizza le ferite più profonde: la Brexit, che appare come una crisi radicale sulla strada di una compatta identità europea, con il rischio per noi di perdere un riferimento essenziale (non solo linguistico) per sviluppare una cultura poliglotta; la dura ferita degli eventi sismici degli ultimi mesi, con il rischio di una contrazione dell’economia delle aree interne e la perdita di attrattività dei borghi e dei centri minori; la pericolosa faglia che si va instaurando tra mondo del potere politico e corpo sociale, che vanno ognuno per proprio conto, con reciproci processi di rancorosa delegittimazione. La seconda era del sommerso post-terziario. Intanto siamo entrati in una «seconda era del sommerso»: non più un sommerso pre-industriale, come quello che il Censis scoprì nei primi anni ‘70 e che nel ventennio successivo fece da battistrada all’imprenditoria molecolare e all’industrializzazione di massa, ma un sommerso post-terziario. Non un «sommerso di lavoro» (nelle brulicanti opportunità di quel periodo) e un «sommerso di impresa» (nella diffusa propensione al lavoro indipendente e all’avventura aziendale di quegli anni), ma un «sommerso di redditi», che prolifera nella gestione del risparmio cash («per non andare in banca»), nelle strategie di valorizzazione del patrimonio immobiliare (casolari rurali, appartamenti urbani, attici panoramici trasformati in case per vacanza, bed and breakfast o location per eventi), nel settore dei servizi alla persona (dalle badanti alle babysitter, alle lezioni private), nei servizi di «mobilità condivisa» e di recapito, e altro ancora. E proliferano così figure lavorative labili e provvisorie, soprattutto tra i giovani che vivono nella frontiera paludosa tra formazione e lavoro. Mentre il sommerso pre-industriale apriva a una saga di sviluppo imprenditoriale e industriale, l’attuale sommerso è più statico che evolutivo, senza un sistemico orientamento di sviluppo. È un magma di soggetti, interessi e comportamenti, una «macchina molecolare», una esplosione di molteplicità monadiche. Il corpo sociale finisce così per assicurarsi la sua primordiale funzione, quella di «reggersi», anche senza disporre di strutture portanti politiche o istituzionali. Il grande distacco tra potere politico e popolo Il corpo sociale si sente rancorosamente vittima di un sistema di casta. Il mondo politico si arrocca sulla necessità di un rilancio dell’etica e della moralità pubblica (passando dal contrasto alla corruzione dei pubblici uffici all’imposizione di valori di onestà e trasparenza delle decisioni). Le istituzioni (per crisi della propria consistenza, anche valoriale) non riescono più a «fare cerniera» tra dinamica politica e dinamica sociale, di conseguenza vanno verso un progressivo rinserramento. Delle tre componenti di una società moderna (corpo sociale, istituzioni, potere politico) sono proprio le istituzioni a essere oggi più profondamente in crisi. Per tutta la nostra storia (nel periodo risorgimentale, nella fase pre-fascista, nel ventennio fascista, nell’immediato dopoguerra) è stata la potenza e l’alta qualità delle istituzioni a fare la sostanza unitaria del Paese. Ma oggi le istituzioni sono inermi (perché vuote o occupate da altri poteri), incapaci di svolgere il loro ruolo di cerniera. Si afferma così un inedito parallelo «rintanamento chez soi»: il mondo politico e il corpo sociale coltivano ambizioni solo rimirandosi in sé stessi. La politica riafferma orgogliosamente il suo primato progettuale e decisionale, mentre il corpo sociale rafforza la sua orgogliosa autonomia nel «reggersi». Sono destinati così a una congiunta alimentazione del populismo. È tempo per il mondo politico e il corpo sociale di dare con coraggio un nuovo ruolo alle troppo mortificate istituzioni. L’Italia rentier che non investe sul futuro Le aspettative degli italiani continuano a essere negative o piatte. Il 61,4% è convinto che il proprio reddito non aumenterà nei prossimi anni, il 57% ritiene che i figli e i nipoti non vivranno meglio di loro (e lo pensa anche il 60,2% dei benestanti, impauriti dal downsizing generazionale atteso). Il 63,7% crede che, dopo anni di consumi contratti e accumulo di nuovo risparmio cautelativo, l’esito inevitabile sarà una riduzione del tenore di vita. Fare investimenti di lungo periodo è una opzione per una quota di persone (il 22,1%) molto inferiore a quella di chi vuole potenziare i propri risparmi (il 56,7%) e tagliare ancora le spese ordinarie per la casa e l’alimentazione (il 51,7%). L’immobilità sociale genera insicurezza, che spiega l’incremento dei flussi di cash. Rispetto al 2007, dall’inizio della crisi gli italiani hanno accumulato liquidità aggiuntiva per 114,3 miliardi di euro, un valore superiore al Pil di un Paese intero come l’Ungheria. La liquidità totale di cui dispongono in contanti o depositi non vincolati (818,4 miliardi di euro al secondo trimestre del 2016) è pari al valore di una economia che si collocherebbe al quinto posto nella graduatoria del Pil dei Paesi Ue post-Brexit, dopo la Germania, la Francia, la stessa Italia e la Spagna. Quasi il 36% degli italiani tiene regolarmente contante in casa per le emergenze o per sentirsi più sicuro e, se potessero disporre di risorse aggiuntive, il 34,2% degli italiani le terrebbe ferme sui conti correnti o nelle cassette di sicurezza. Così, con una incidenza degli investimenti sul Pil pari al 16,6% nel 2015, l’Italia si colloca non solo a grande distanza dalla media europea (19,5%), da Francia (21,5%), Germania (19,9%), Spagna (19,7%) e Regno Unito (16,9%), ma è tornata ai livelli minimi dal dopoguerra. Emerge una Italia rentier, che si limita a utilizzare le risorse di cui dispone senza proiezione sul futuro, con il rischio di svendere pezzo a pezzo l’argenteria di famiglia. Figli più poveri dei nonni: il ko economico dei giovani Sono evidenti gli esiti di un inedito e perverso gioco intertemporale di trasferimento di risorse che ha letteralmente messo ko economicamente i millennial. Rispetto alla media della popolazione, oggi le famiglie dei giovani con meno di 35 anni hanno un reddito più basso del 15,1% e una ricchezza inferiore del 41,1%. Nel confronto con venticinque anni fa, i giovani di oggi hanno un reddito del 26,5% più basso di quello dei loro coetanei di allora, mentre per gli over 65 anni è invece aumentato del 24,3%. La ricchezza degli attuali millennial è inferiore del 4,3% rispetto a quella dei loro coetanei del 1991, mentre per gli italiani nell’insieme il valore attuale è maggiore del 32,3% rispetto ad allora gennaio 2017 La Rivista - 17 a 16.812 euro (II trimestre 2016). Se la produttività fosse rimasta costante, nell’ultimo anno e mezzo il Pil sarebbe cresciuto complessivamente dell’1,8% e non solo dello 0,9% come invece abbiamo registrato. La fine del lavoro che erode identità e potere del ceto medio All’interno del mercato del lavoro è anche avvenuta una ricomposizione tra le diverse categorie professionali, che ha portato a una crescita del peso delle professioni non qualificate (+9,6% nel periodo 20112015) e degli addetti alle vendite e ai servizi personali (+7,5%), a uno svuotamento di figure intermedie esecutive, attive principalmente in ambito impiegatizio (-5,1%), a una drastica riduzione della comLa ricchezza degli attuali millennial è inferiore del 4,3% ponente operaia, degli artigiani e rispetto a quella dei loro coetanei del 1991 degli agricoltori (-14,2%). La struttura sociale ha subito non solo un dimagrimento delle fonti di reddito, ma si è anche allungata, e per gli anziani è maggiore addirittura dell’84,7%. Il divario tra i giovani e il resto degli italiani si è ampliato nel corso del tempo, perdendo parte della sua consistenza proprio nella porzione centrale della classe media. perché venticinque anni fa i redditi dei giovani erano superiori alla media della popolazione del 5,9% (mentre oggi sono inferiori del 15,1%) e la ricchezza era inferiore alla media solo del 18,5% La manifattura rinnovata ritorna negli spazi urbani (mentre oggi lo è del 41,1%). È suonato troppo in fretta il de profundis per la produzione manifatturiera dentro i perimetri urbani. Nei comuni capoluogo opera il 25,4% delle aziende, con circa un milione di addetti (il 26,6% del La bolla dell’occupazione a bassa produttività totale). Le 12 più grandi città italiane raccolgono il 37,3% delle Tra il 2013 e il 2015 c’è stato il recupero di 274.000 occupati. Nel start-up innovative (e il 23,8% di quelle inquadrabili nel manifatprimo semestre del 2016 l’andamento dell’occupazione è ancoturiero), il 45% degli incubatori d’impresa, il 43,5% degli spin-off ra positivo, con una variazione pari a +1,5% rispetto allo stesso universitari e il 21,1% dei fablab dove si applicano i talenti dei semestre del 2015. Nel periodo gennaio-agosto 2016, inoltre, il nuovi «artigiani digitali» protagonisti della rivoluzione dell’inducontratto a tempo indeterminato è stato utilizzato nel 21,3% dei rapporti di lavoro attivati (nel 2015 la quota era molto più alta: stria 4.0. 32,4%). I contratti a termine sono il 63,1% del totale. L’innovazioLa potenza dell’export delle filiere produttive ne normativa (decontribuzione e Jobs Act con i contratti a tutele globalizzate crescenti) ha quindi fatto fibrillare il mercato del lavoro. Boom L’Italia resta al 10° posto nella graduatoria mondiale degli dei voucher: 277 milioni di contratti stipulati tra il 2008 e il 2015 esportatori con una quota di mercato del 2,8%. Nel 2015 il (1.380.000 lavoratori coinvolti, con una media di 83 contratti per nostro Paese ha superato il 5% dell’export mondiale in ben persona nel 2015) e 70 milioni di nuovi voucher emessi nei primi 28 categorie di attività economica, tra cui alcune produzioni sei mesi del 2016. È il segnale che la forte domanda di flessibilità del made in Italy come i materiali da costruzione in terracotta e l’abbattimento dei costi stanno alimentando l’area delle pro(19,8%), i prodotti da forno e i farinacei (12,8%), le produzioni fessioni non qualificate e del mercato dei «lavoretti». Alla nuova occupazione creata ha infatti corrisposto una bassa crescita ecoin cuoio (12,3%), le pietre tagliate (10%). Il saldo commerciale nomica. I nuovi occupati dall’inizio del 2015 sono associati a una del made in Italy è stato di 98,6 miliardi di euro: più del maproduzione di ricchezza di soli 9.100 euro pro-capite. La produtnifatturiero nell’insieme (93,6 miliardi) e dell’export di merci complessivo (45,1 miliardi). È un settore in forte e costante tività si è ridotta da 16.949 euro per occupato (I trimestre 2015) 18 - La Rivista gennaio 2017 crescita sui mercati internazionali grazie all’applicazione del paradigma del «bello e ben fatto», sia nelle produzioni fortemente «brandizzate» (l’alimentare, la moda, il design), sia in quelle dove il brand aziendale conta meno, ma che nel tempo hanno conquistato il segno distintivo di qualità e affidabilità (la meccanica di precisione). L’export dell’industria alimentare ha segnato variazioni percentuali più che doppie rispetto all’export complessivo: +83,9% in termini nominali nell’ultimo decennio rispetto al +37,5%. I movimenti turistici polarizzati tra lusso e low cost Tra il 2008 e il 2015 gli arrivi di turisti stranieri in Italia sono aumentati del 31,2% e sono cresciute del 18,8% anche le presenze, ovvero i giorni di permanenza. Nell’ospitalità alberghiera va bene l’alta gamma: +50,3% di arrivi dal 2008 a oggi negli hotel a cinque stelle e +38,2% in quelli a quattro stelle, mentre crollano gli arrivi negli alberghi a una o due stelle (rispettivamente, -33,1% e -22,4%). Il vero boom ha riguardato gli esercizi extralberghieri, con arrivi aumentati nello stesso periodo del 32,5%: alloggi in affitto +58,6%, bed and breakfast +31,8%, agriturismi +48,1%. Nel caso degli stranieri, le opzioni per l’ospitalità alberghiera di lusso (alberghi a cinque stelle +71,4%, a quattro stelle +40,9%) e per quella extralberghiera (alloggi in affitto +79,7%, bed and breakfast +70,5%, agriturismi +74,5%) sono cresciute a ritmi simili. Nel caso degli italiani, sale l’extralberghiero (alloggi in affitto +37,3%, bed and breakfast +44,5%, agriturismi +32,2%) molto più dell’alberghiero (alberghi a cinque stelle +13,2%, a quattro stelle +24,9%). A fronte di un incremento tra il 2008 e il 2015 dei posti letto negli alberghi del 2,2%, esclusivamente concentrato nelle fasce di offerta superiori, si riscontra un aumento di posti letto nel settore extralberghiero del 7,4%, spinto da un ampliamento dell’ospitalità di bed and breakfast (+67,7%) e agriturismi (+31,4%). Opportunità e zone grigie della sharing economy Nel biennio 2014-2015 c’è stato un lieve recupero dei consumi (+2,1%) dopo la forte contrazione del periodo di crisi (-7,6% negli anni 2008-2013). Ma sono 26 milioni gli italiani che ancora oggi indicano come prioritario il contenimento delle spese quotidiane. Profonde sono le disuguaglianze sociali: tra le famiglie a basso reddito il 58% indica la priorità di comprimere le spese e il 28% vorrebbe spendere qualche soldo in più sui consumi per il proprio benessere, mentre tra le famiglie benestanti le percentuali sono pari rispettivamente al 34% e al 46%. In questi anni c’è stato però un «welfare dei consumi» riferibile all’operato dei player della distribuzione moderna organizzata, grazie alla leva dei prezzi e alle promozioni, che si è materializzato nella concreta possibilità per le famiglie di comporre un carrello della spesa articolato e modulato sulla propria capacità economica. Appaiono poi sempre più concreti i rivolgimenti riconducibili alla sharing economy. Ma le nuove pratiche che si stanno diffondendo sollevano polemiche su due fronti: il rispetto delle regole concorrenziali rispetto ai servizi preesistenti e gli effetti indiretti sui «lavoretti» on demand. Nell’ospitalità alberghiera va bene l’alta gamma (hotel a 4 o 5 stelle), mentre crollano gli arrivi negli alberghi a una o due stelle gennaio 2017 La Rivista - 19 Cultura d’impresa di Enrico Perversi La ricetta per un team efficace Persone quanto basta, obiettivi ben maturati, molta comunicazione, un pizzico di motivazione… mescolare bene e dare tempo! Mi chiama un amico per raccontarmi che stanno ristrutturando l’azienda, tra le altre cose verrà creata una nuova squadra per gestire l’area d’affari più importante dal punto di vista del fatturato ma soprattutto del profitto. “Stiamo definendo le persone, ne abbiamo molte di valore, a cosa devo stare attento per avere un team che garantisca prestazioni adeguate?” Domanda molto intrigante nel tempo delle connessioni e delle interdipendenze, direi che la prima cosa a cui pensare è il numero di componenti, non c’è una regola fissa ma dieci sembra essere davvero un limite invalicabile, meglio fermarsi prima per non avere spettatori anziché protagonisti. Poi non devono essere uguali, competenze complementari arricchiscono e la diversità in generale consente di avere punti di vista e approcci differenziati, tutti noi tendiamo a riunirci coi nostri simili quindi questo è un ingrediente da introdurre con attenzione ma anche con determinazione. L’impegno verso uno scopo comune è il cuore della squadra, impegno è molto di più di un desiderio o di un accordo, richiede un ruolo attivo e consapevole e non vale solo per sé stessi ma per il collettivo. Lo scopo comune è la ragione di esistere del team ed è qualcosa che non può essere raggiunto da individui che operino separatamente, la sua definizione è una sorta di atto costitutivo, deve essere chiaro ed è la base della motivazione di tutti. Uno scopo che non si traduca in obiettivi comuni specifici, misurabili e realizzabili non esiste, rimane una aspirazione astratta, quindi vanno definiti con cura, ma non basta, devono essere qualcosa di più e di diverso dalla somma di obiettivi individuali, devono poter essere raggiunti dalla squadra che lavora insieme. Una distinzione decisiva è quella tra obiettivi comuni ed obiettivi in comune: avere tutti lo stesso obiettivo individuale non significa avere un obiettivo comune o “di squadra”, l’esistenza del team si misura davvero quando un membro è chiamato a rinunciare ad un proprio risultato in favore del bene collettivo. Scopo ed obiettivi comuni tuttavia non sono sufficienti, bisogna anche decidere come lavorare insieme, l’approccio deve essere condiviso ed include principi, processi e protocolli con una responsabilità reciprocamente condivisa tra tutti. Ognuno deve farsi carico di svolgere i propri compiti ma anche di chiedere conto ai colleghi dei loro, il quieto vivere distrugge i team. “Enrico mi sembra tutto chiaro fin qui cos’altro serve?” In una squadra ci sono anche l’energia e le emozioni, servono quindi riunioni efficaci e una comunicazione attenta. Buone decisioni tengono alto il morale, la condivisione facilita l’allineamento di tutti ed il benessere, direi anche il buonumore nell’affrontare insieme le sfide dentro e fuori dal team. Ogni membro, infatti, lo rappresenta in tutti gli ambiti in cui opera, comitati, associazioni di categoria, partner dell’azienda e le relazioni con tutti questi stakeholder sono decisive per il successo. Un membro è importante anche quando rappresenta la squadra in altri ambiti. Infine, l’elemento a volte trascurato, lo sviluppo e l’apprendimento. I team che funzionano generano crescita sia degli individui, sia delle capacità collettive, ma sono anche un potente collante ed elemento di motivazione, si genera un buon clima che innesta una spirale virtuosa risultati-apprendimento-soddisfazione. “Mi hai fornito addirittura un decalogo Enrico, però mi sembra che non ci basterà nominare le persone, fare un ordine di servizio ed annunciare la nuova struttura. Dovremo lavorare con il team per farlo diventare tale, ci vorrà tempo e dovremo anche creare le condizioni di contesto favorevoli”. Il mio amico, manager di successo in un’azienda di successo, ha ragione e non lo dico solo io ma anche il professor Peter Hawkings che ha dedicato alla ricerca molti anni della sua attività racchiusa nel libro Leadership Team Coaching una vera e propria bibbia per chi desidera costruire team ad alte prestazioni. [email protected] 20 - La Rivista gennaio 2017 A colloquio con Cristiano Zemella, Division manager Wellness & Spa Starpool Switzerland Cristiano Zemella (a destra), con Andrea Matteucci presidente del Cda di Fimex Distribution Ag Non solo hotel e centri fitness: anche case private Abbiamo incontrato Cristiano Zemella, mentre con Starpool Swiztzerland, azienda leader in Italia nella realizzazione di centri benessere, è alle prese con un grosso investimento: l’apertura di uno showroom a Volketswil a pochi km da Zurigo. comunità italiana in Svizzera è molto radicata. Devo anche dire che la Svizzera non si discosta molto dalla mia terra natale, si parla tedesco, le città sono circondate dalle montagne, l’ordine e la pulizia sono il leitmotiv. Buongiorno, cominciamo con uno sguardo al passato. La Svizzera è sicuramente un paese piccolo geograficamente, in confronto ai paesi confinanti, ma molto articolato e capillare, con lingue, usi, costumi e mentalità molto diverse tra loro a pochi km di distanza. Le scelte dei clienti sono dettate non solo dal prezzo o dalla bellezza del prodotto ma soprattutto dalla fiducia che ripongono sul marchio. Quest’ultima deve essere conquistata, col tempo, attraverso la presenza costante, sia sulle riviste di settore, sia acquisendo referenze qualificate. Buongiorno a voi. Ho 40 anni e vengo da Bolzano. Ho iniziato a lavorare come maestro di sci ormai 20 anni fa, in Val Gardena, dove ho avuto la mia prima esperienza commerciale, dove in vendita mettevo semplicemente “me stesso”. Un periodo divertente, che ricordo sempre con un sorriso. Sono poi entrato a far parte di una società che distribuiva attrezzature per lo sci agonistico e per gli atleti di Coppa del Mondo. In quel periodo ho fatto la vera gavetta di backoffice e ho iniziato a fare qualche viaggio di lavoro oltre i confini nazionali. Poi il salto: 4 anni dopo sono stato assunto per gestire l’ufficio export di un’azienda specializzata in forniture alberghiere. Questa è stata la mia prima esperienza nella gestione di progetti “contract” e l’inizio della mia carriera da Export Manager. È il trampolino che mi ha lanciato e fatto atterrare in Starpool nel 2009, azienda leader in Italia nella realizzazione di centri benessere. Iniziai in quell’anno con 5 Distributori in Europa e 6 anni dopo mi ritrovai a gestire ben 22 partner tra EU e Asia, con un fatturato decuplicato. Questa è stata la mia ultima esperienza in Italia, la più performante che mi ha poi portato al trasferimento in Svizzera. E veniamo all’oggi: come avviene il tuo trasferimento in Svizzera? Il mio trasferimento è stato veloce e indolore, non ci ho messo molto a convincere mia moglie, e ai figli ovviamente non ho dato scelta, ma d’altronde l’opportunità di farli crescere in un paese multilingue come la Svizzera era un’opportunità ineguagliabile pensando al loro futuro. Dopo i primi 2 mesi di “assestamento”, tutto poi è diventato più normale. Ci è sembrato di vivere qui da sempre, anche perché la Che caratteristiche hai trovato nei clienti locali? Quali sono le vostre? Tra tutte, quelle potremmo elencare finora e che sono degne di nota mi limito ad alcune: • Clinique La Prairie di Montreux • Migros Fitness Park Malley di Losanna • Hotel Dom di SaasFee • Indigo Fitness a Zurigo, Lucerna e Basilea Oggi Starpool è presente in Svizzera, con una filiale commerciale con sede a Lyss nel cantone Berna. All’interno della FIMEX DISTRIBUTION AG, distributore storico del famoso marchio Technogym, colosso italiano del wellness. In previsione avete un grosso investimento. Infatti, stiamo affrontando un grosso investimento nella realizzazione del nuovo showroom monobrand Starpool, che aprirà all’inizio del 2017 a Zurigo. Tale investimento è stato pensato soprattutto per attrarre clienti privati che sono il nuovo target-client di Starpool. Le soluzioni compatte che l’azienda ha sviluppato negli ultimi anni trovano grande sbocco nel settore delle “Private Spa”, quindi non solo nelle camere degli Hotel, ma anche nelle case private. Mi auguro quindi che verrete a visitarci nel nuovo Showroom Starpool presso la BAUARENA di Volketswil. gennaio 2017 La Rivista - 21 STARPOOL wellness concept Dal cuore verde delle Dolomiti – la Val di Fiemme – Starpool pensa e realizza con successo sistemi SPA all’avanguardia per realtà professionali come hotel, centri fitness, day SPA, ma anche per abitazioni private. Attraverso un team di progettisti, designer e ingegneri propone soluzioni su misura che ottimizzano al massimo gli spazi, creando percorsi di trattamento completi. Presente da oltre 40 anni sul mercato, Starpool interpreta bisogni e necessità dei clienti di oggi, fornendo ad ogni esigenza la risposta adeguata. La sede di Ziano di Fiemme racchiude nella sua stessa organiz- La nuova SAVUSAUNA, l’unica sauna totalmente BLACK 22 - La Rivista gennaio 2017 zazione e architettura tutta la filosofia Starpool: spazi a misura d’uomo, funzionalità legata indissolubilmente all’armonia delle forme, ambienti aperti per condividere spazi e idee. Concetti che sul mercato si sono tradotti in affidabilità, creatività, eccellenza tecnica e design del prodotto, permettendo a Starpool di affermarsi in tutta Europa, sino a raggiungere il Medio Oriente e Asia. Detentore per ben 3 volte del prestigioso RED DOT DESIGN AWARD, Starpool è una delle poche aziende del benessere che negl’ultimi 10 anni porta sul mercato nuove tecnologie e soluzioni creando prodotti unici nel suo genere. il nuovissimo concetto wellness per la mente “ZEROBODY”, il primo dry floating experience Basti pensare alla nuova SAVUSAUNA, l’unica sauna totalmente BLACK, che riprende un concetto del passato (la SavuSauna era una sauna scaldata con il fuoco all’interno, quindi le pareti diventavano nere a causa della fulligine) e la ripropone in chiave moderna. O al sistema integrato SWEET SPA e SWEET SAUNA, una Spa completa in uno spazio molto ridotto E il nuovissimo concetto wellness per la mente “ZEROBODY”, il primo dry floating experience che permette al corpo e alla mente di fluttuare nell’acqua calda, come nel liquido amiotico, ma senza la necessità di spogliarsi, per trovare con facilità relax e benessere. Oggi Starpool è presente anche in Svizzera, attraverso una filiale commerciale con sede a Lyss nel cantone Berna. All’interno della Fimex Distribution AG, distributore storico del famoso marchio Technogym, colosso italiano del wellness. Technogym, share holder del gruppo Starpool, ha dato l’avvio a questa fusione anche sul mercato elvetico, permettendo alla Fimex Distribution AG di offrire una completa gamma di prodotti per il wellness. Il connubio tra specialisti del settore e la precisione svizzera hanno dato forma ad una struttura capace di PROGETTARE, SVILUPPARE e COSTRUIRE centri Spa e Wellness su tutto il territorio, sia nel mondo dell’hotellerie sia nel mondo del privato, dove il wellness sta prendendo sempre più spazio. Starpool Switzerland FIMEX DISTRIBUTION AG Werkstrasse 36 3250 Lyss (BE) tel: +41 32 387 0505 fax: +41 32 387 0515 web: www.starpool.com Email [email protected] SWEET SPA e SWEET SAUNA, una Spa completa in uno spazio molto ridotto gennaio 2017 La Rivista - 23 Donne in carriera: Maria Josè Falcicchia La gente ci apprezza le alte gerarchie fanno fatica di Ingeborg Wedel Il nostro Sud ci ha nuovamente regalato una donna veramente speciale: Maria Josè è nata a Oria in quel di Brindisi, nel nostro bellissimo Salento 48 anni orsono, metà dei quali passati a Milano. Più di che lavoro, quello che svolge alla Questura di Milano riteniamo possa definirsi una missione contro tutto ciò che non è legale! È sicuramente il suo “fiuto” di investigatrice a guidarla nelle indagini e permetterle di imboccare la giusta direzione, servendosi poi dei mezzi più moderni e sofisticati per debellare la criminalità. Ringraziamo Maria Josè per averci descritto dettagliatamente la sua attività che ha fatto conoscere ed apprezzare dal grande pubblico quanto è importante il contributo femminile anche in questo campo così singolare e – diciamolo – pure molto pericoloso! Prima delle risposte alle nostre consuete domande lasciamo che sia il Colonnello ad introdurci nel suo mondo. “Sin da piccola ho desiderato fortemente fare un lavoro che avesse una rilevanza sociale, anche a scuola non ero mai dalla parte dei più forti e dei più numerosi, ma di quelle persone e quelle idee che maggiormente mi sembravano da proteggere, perché più giuste più scomode più originali. L’idea di entrare in Polizia è nata per caso al termine del Liceo, ho partecipato ad un concorso conosciuto tramite miei compagni di scuola per essere ammessa ad una sorta di Accademia, dove si frequentava un corso di 4 anni e nove mesi ed al termine si conseguiva la laurea in Giurisprudenza e la qualifica di Vice Commissario di Polizia. Ora sono primo dirigente, per capirci: un colonnello, e Dirigo l’Ufficio Prevenzione Generale, circa 700 uomini addetti alla prevenzione tra cui: le volanti, le pattuglie dei motociclisti, le unità antiterrorismo, i bikers, i cavalieri, le unità cinofile, gli artificieri, i tiratori scelti. Gran parte della mia attività l’ho svolta alla squadra mobile, dirigendo per 10 anni la sezione antirapine e dopo la sezione di contrasto alla criminalità organizzata, prima donna in Italia. L’esperienza è terminata facendo il capo della sezione criminalità organizzata ed il vice dirigente. 24 - La Rivista gennaio 2017 In casa sono stata la prima ad intraprendere questa carriera, poi mio fratello, dopo di me, ha vinto la selezione per un’altra forza di Polizia, la Finanza, dove tutt’ora lavora in un settore operativo. Non so se si è ispirato o è stato un caso, certo è che oggi siamo entrambi appartenenti alle Forze dell’Ordine. Al contrario i nostri genitori hanno preferito attività meno rischiose, seppur l’impegno sociale caratterizzi anche l’impegno di mia madre. Non so se è stata determinazione, fortuna o bravura o un mix di tutte e tre le cose, ma ho svolto la mia attività in settori investigativi di primissimo piano, occupandomi di casi che avevano rilevanza nazionale. Oltre all’arresto di un terrorista dei NAR considerato imprendibile e latitante da 20 anni, catturato da me in Spagna insieme alle forza speciali di quel paese, la risoluzione di rapine e omicidi, l’aver lavorato nel contrasto al crimine organizzato, inseguito per mezzo mondo trafficanti di droga e soggetti ricercati, ho anche fatto parte del gruppo investigativo creato dopo l’uccisione del noto professore di Diritto del lavoro Marco Biagi ad opera delle nuove Brigate Rosse e per un breve periodo mi sono anche occupata di frode nel mondo dello sport nella indagine nota in Italia come “Calciopoli”.Tutto questo mi ha permesso di ottenere numerosissimi premi e riconoscimenti di diversi tipi, molta visibilità, anche ringraziamenti sa da semplici cittadini che dalle massime autorità politiche della nazione, ma molti miei colleghi uomini ne hanno ottenuti altrettanti, facendo la metà di ciò che ho fatto io….quindi non so se da uomo avrei ottenuto anche di più….! Una donna ancora non viene accettata completamente per il suo impegno, il suo talento, se a decidere sono solo uomini con una mentalità poco moderna e poco aperta. Sicuramente questi risultati sono frutto di grande impegno e questo ha un costo in termini di vita privata. Non sono sposata ma nella vita mai dire mai…” L’abbiamo già capito: per lei non è facile essere donna e fare carriera Per me essere in carriera significa solo avere tante responsabilità. Il potere ha senso solo se lo usiamo per gli altri, per migliorare la società. Per fare questo, servono supporti che spesso non si hanno, sopperiamo alla mancanza di strumenti con la dedizione e la fantasia. Essere donna non è un problema all’esterno: i cittadini, la gente, le persone oggi hanno imparato ad andare oltre le apparenze, a soppesare e stimare i fatti. Poi essere donna è un vantaggio, perché in genere siamo maggiormente flessibili, multitasking, intraprendenti, fantasiose, responsabili e anche più intelligenti. È invece uno svantaggio all’interno con alcuni colleghi, con alcuni capi… Quanto le ci è voluto per sentirsi apprezzata, in un mondo come quello militare militare, dove ci pare di capire vige ancora una certa forma di maschilismo? Molto tempo, molta pazienza, molta tenacia, molta bravura: tutto doppio rispetto a quello che serve ad un uomo! Quali sono le difficoltà principali che ha dovuto superare? Gli uomini con cui si lavora, dopo qualche pregiudizio si conquistano con le scelte chiare, le iniziative azzeccate, l’assunzione di responsabilità, la capacità di premiarli e se del caso difenderli…Nei confronti dei superiori in grado è diverso: molto difficile scardinare vecchi sistemi, le donne vanno bene quando non aspirano a posti centrali, decisionali, a quel punto vengono ritenute non adatte. A percepito diffidenza in quanto donna? All’esterno non c’è alcuna diffidenza, piuttosto ammirazione, all’interno vale quello che ho detto prima. Quali sono gli ostacoli principali che incontra? quelle brave fanno segnare i gol come fanno i numeri 10 delle squadre di calcio, quei gol che sbloccano un risultato e fanno vincere la partita… Nel suo mondo per la carriera che ruolo gioca la seduzione? Anche inconsciamente? Conta nei limiti in cui la usiamo per convincere qualcuno della bontà della nostra scelta, della nostra idea. Ma la scelta e l’idea devono essere davvero buone… La soddisfazione maggiore che le dà la sua carriera? Avere un gruppo, una squadra, un team, che si fida di te ciecamente e non guarda a chi sei, inteso uomo o donna, ma punta sulla bravura e sulla capacità di risoluzione dei problemi. E poi la capacità di portare dalla propria parte i più riottosi e tutto senza mai dimenticare di mettere una dose di bellezza in tutto ciò che si fa… luoghi, cura della persona, sono tutti valori aggiunti molto femminili. Che atteggiamento assume nei confronti delle sottoposte donne? Di collaborazione e solidarietà: atteggiamento che adotto nei confronti di tutti. Poi, come ho detto, una donna brava è una risorsa straordinaria e va valorizzata, ma non si può preferire qualcuno solo perché uomo o donna, alla base ci sono sempre le capacità personali… Io sono una investigatrice, la mia è una guerra contro i crimini non contro altre persone. I veri ostacoli sono quelli che rendono difficile la soluzione dei casi. Sulalbase dei casi risolti venimao valutati. Per quanto riguarda la carriera l’ostacolo maggiore, ma già l’ho detto, consiste nel raggiungere quel grado di responsabilità che troppi uomini ritengono ancora debba essere di lro esclusivo monopolio. A cosa la costringe a rinunciare la carriera? Pertanto, nel suo lavoro l’essere donna non comporta privilegi? Per forza. È d’obbligo: per mantenere una mente aperta ed uno sguardo chiaro bisogna alimentare tutte quelle parti della nostra anima e della nostra mente che ci rendono comunque persone migliori. Nessun privilegio, al contrario…. Eppure si ritiene che le donne abbiano dote di intuito superiori. Vero. Se le donne sono brave, sono bravissime. Altrimenti meglio un uomo mediamente dotato. Le donne mediocri nelle squadre creano zizzania, gli uomini no, ma Soprattutto ad un pezzo della mia vita privata. Tempo per praticare qualche hobby lo trova? gennaio 2017 La Rivista - 25 Serata Italiana a Zurigo Camera di Commercio Italiana per la Svizzera e Fiat Chrysler Automobiles Switzerland insieme per un evento di gala all’insegna dell’Italianità Lo scorso 3 dicembre FCA, Maserati e FCA Capital Suisse, con la Camera di Commercio Italiana per la Svizzera (CCIS), hanno organizzato una serata di gala molto particolare, allietata da performance artistiche di indiscutibile caratura. Oltre 300 gli ospiti intervenuti al Kongresshaus di Zurigo, fra questi esponenti del mondo imprenditoriale, istituzionale e dei media. Un’occasione per ribadire l’importanza delle relazioni fra Svizzera e Italia che si declinano quotidianamente non solo dal punto di vista commerciale, ma anche da consolidati rapporti sociali e culturali. Al contempo, anche un’opportunità per un primo contatto con i nuovi modelli del gruppo automobilistico, fra gli ultimi nati di casa Alfa Romeo e Maserati: la mitica e potentissima Giulia la possente e pur indiscutibilmente elegante Levante. Allietati da un catering concepito con esclusiva concessione alla gastronomia italiana – in felice abbinamento, secondo ponderata sequenza, con gli ottimi vini (Plozza Franciacorta Brut DOCG, Chardonnay – Whiteedition IGT 2015, Sforzato di Valtellina – Blackedition DOCG 2009, Plozza Franciacorta Millesimato DOCG 2011) offerti dall’azienda Plozza Vini di Brusio – gli ospiti hanno assistito ad una serie di siparietti, in cui, attraverso giochi di luce, danze, musiche e animazioni, la compagnia Adarte Eventi di Roma, ha fornito una personalissima e riuscitissima interpretazione dell’Italia della tradizione, della cultura e dell’innovazione. 26 - La Rivista gennaio 2017 La serata ha voluto dare concreta dimensione alla solidarietà nei confronti delle comunità dell’Italia centrale investite dal terremoto. Grazie ad una sottoscrizione a premi - sostenuta oltre che dal gruppo FCA, anche da Natuzzi,Technogym, Forte Village e Acqua di Parma - è stato possibile raccogliere più di 12.000 CHF da destinare ad una specifica iniziativa nelle zone colpite dal sisma. Il Presidente della CCIS, Vincenzo Di Pierri, la Direttrice Generale di FCA Svizzera, Maria Grazia Davino, Piergiorgio Cecco, Managing Director di Maserati Svizzera e il Direttore Generale di FCA Capital Suisse Federico Berra si sono detti molto soddisfatti della serata e disponibili a far sì che diventi un imperdibile appuntamento annuale. gennaio 2017 La Rivista - 27 28 - La Rivista gennaio 2017 gennaio 2017 La Rivista - 29 Burocratiche di Manuela Cipollone Le novità in Gazzetta Ufficiale Fine anno tumultuoso quello vissuto dalla politica italiana. La riforma costituzionale bocciata dai cittadini, le dimissioni di Renzi, il nuovo Governo Gentiloni. Nel mezzo una campagna referendaria che ha bloccato per un bel po’ i lavori parlamentari, salvo poi accelerare sulla Legge di Bilancio, e i voti di fiducia all’esecutivo che hanno monopolizzato le due Camere alla vigilia della pausa natalizia. 30 - La Rivista gennaio 2017 Un importante provvedimento, però, è entrato in vigore con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale Si tratta della legge di conversione del decreto 193/2016 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili), che prevede – tra le altre cose – la soppressione di Equitalia e la riapertura dei termini per la voluntary disclosure. La soppressione di Equitalia Ma andiamo con ordine. Il decreto prevede, all’articolo 1, lo scioglimento di Equitalia dal 1° luglio 2017 (ad esclusione di Equitalia Giustizia) e la contemporanea istituzione dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, che sarà un ente pubblico economico sottoposto all’indirizzo e alla vigilanza del Ministro dell’Economia e delle Finanze. Sarà la nuova agenzia a riscuotere le entrate tributarie e patrimoniali di comuni, province e società partecipate. Nei rapporti coi contribuenti, il nuovo ente deve conformarsi ai principi dello “Statuto del contribuente”, tra cui quelli della trasparenza, della leale collaborazione e della tutela di affidamento e buona fede, nonché agli obiettivi di cooperazione rafforzata tra fisco e contribuente previsti dalla legge di delega fiscale. L’ente dovrà aprire uno sportello telematico per assistenza ed erogazione dei servizi e preparare una relazione annuale sui risultati conseguiti nella riscossione. Riapertura dei termini per la voluntary disclosure La legge riapre i termini per la procedura di voluntary disclosure fino al 31 luglio 2017 sia per l’emersione di attività estere, sia per le violazioni dichiarative relative a imposte erariali. Le violazioni sanabili sono quelle commesse fino al 30 settembre 2016. Analogamente alle norme varate nel 2014, le disposizioni prevedono lo slittamento dei termini di decadenza per l’accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA, nonché di contestazione delle sanzioni. Per le attività e gli investimenti esteri oggetto della nuova procedura è possibile usufruire di un esonero dagli obblighi dichiarativi, limitatamente al 2016 e per la frazione del periodo d’imposta antecedente la data di presentazione dell’istanza di collaborazione volontaria, purché tali informazioni siano analiticamente illustrate nella relazione di accompagnamento all’istanza di voluntary disclosure e purché si versi in unica soluzione (entro il 30 settembre 2017) quanto dovuto a titolo di imposte, interessi e sanzioni. Si chiarisce la non punibilità delle condotte di autoriciclaggio se commesse in relazione a specifici delitti tributari fino al versamento delle somme dovute per accedere alla procedura. Rispetto alla voluntary disclosure disciplinata nel 2014, si prevede una diversa procedura: il contribuente provvede spontaneamente a versare in unica soluzione (entro il 30 settembre 2017) o in un massimo di tre rate (di cui la prima entro il 30 settembre 2017), il quantum dovuto a titolo di imposte, ritenute, contributi, interessi e sanzioni. Nel corso dell’esame parlamentare è stata ammessa l’istanza, limitatamente alle violazioni dichiarative per le attività detenute all’estero, anche se, in precedenza, è stata presentata domanda, entro il 30 novembre 2015, per le attività detenute in Italia. Analogamente, si prevede la possibilità di presentare istanza per la collaborazione volontaria nazionale anche se in precedenza ci si è avvalsi della voluntary disclosure limitatamente ai profili internazionali. Nel caso in cui la collabo- razione volontaria riguardi i contanti o valori al portatore si presume, salvo prova contraria, che essi siano derivati da redditi conseguiti, in quote costanti, a seguito di violazione degli obblighi di dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive, dell’IRAP e dell’IVA, nonché di violazioni relative alla dichiarazione dei sostituti di imposta, commesse nell’anno 2015 e nei quattro periodi d’imposta precedenti. Per i contribuenti che si sono avvalsi della voluntary disclosure non si applicano le sanzioni in caso di omissione delle dichiarazioni per gli investimenti all’estero e le attività estere di natura finanziaria (da indicare nel quadro RW) per i periodi d’imposta successivi a quelli per i quali si sono perfezionati gli adempimenti connessi alla dichiarazione volontaria, a condizione che gli adempimenti siano adottati entro sessanta giorni dalla entrata in vigore della legge (2 dicembre). Potenziate le attività di accertamento fiscale da parte degli enti locali Sono infine introdotte disposizioni in tema di potenziamento dell’attività di accertamento fiscale da parte degli enti locali: in particolare si pongono a carico dei comuni specifici obblighi informativi nei confronti dell’Agenzia delle entrate, con riferimento alle richieste di iscrizione all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, al fine della formazione di liste selettive per i controlli relativi ad attività finanziarie e investimenti patrimoniali esteri non dichiarati. Tra le disposizioni previste anche l’abolizione - dal 1° gennaio di quest’anno - della comunicazione dell’elenco clienti e fornitori (spesometro) per i soggetti passivi IVA. Al suo posto sono introdotti due nuovi adempimenti da effettuare in via telematica ogni tre mesi: la comunicazione analitica dei dati delle fatture emesse e ricevute e la comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche IVA. Si anticipa di un anno la soppressione dell’adempimento relativo alla comunicazione delle operazioni intercorse con operatori economici situati in Paesi cosiddetti black list. La legge disciplina anche l’emissione elettronica delle fatture per il tax free shopping, modifica il Testo unico sulle accise, estende la possibilità per il contribuente di presentare la dichiarazione integrativa a favore (Irpef, Irap, sostituti d’imposta) anche oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo. Aboliti gli studi di settore Ancora in materia di accise e di IVA, l’articolo 5-bis della nuova legge autorizza l’Agenzia delle Dogane a definire con transazioni, entro il 30 settembre 2017, le liti fiscali pendenti, che hanno per oggetto il recupero dell’accisa su prodotti energetici, alcol e bevande alcoliche. E ancora, la legge abolisce gli studi di settore, contiene un pacchetto di “semplificazioni fiscali”, prevede agevolazioni IRPEF per i lavoratori trasferisti e contiene diverse misure di finanziamento, dal fondo per l’occupazione all’operazione “Ippocrate” per l’assistenza sanitaria in Libia, passando per i trasporti regionali e le pmi nel settore agroalimentare fino al tax credit per il cinema e l’audiovisivo. Segnaliamo infine l’entrata in vigore del Testo Unico del vino che, come spiegato dal Ministro Martina, “in 90 articoli riassume tutta la normativa precedente” in una “operazione di semplificazione attesa da anni, che consente di tagliare burocrazia, migliorare il sistema dei controlli, dare informazioni più trasparenti ai consumatori”. gennaio 2017 La Rivista - 31 Angolo Fiscale di Tiziana Marenco La terza riforma della tassazione delle imprese e la nuova black list UE (seconda parte) Qui di seguito dapprima i tre criteri di scrutinio (trasparenza fiscale, fair taxation e attuazione del piano anti-BEPS) per andare ad esaminare se l’esito della votazione sulla terza riforma delle imprese sia essenziale per soddisfare il criterio della fair taxation. Riguardo al primo criterio della trasparenza fiscale, l’UE richiede che il paese scrutinato si sia impegnato ad introdurre e abbia già iniziato il processo di attuazione dei nuovi standard di scambio di informazioni automatico (Common Reporting Standard) in vista di effettuare un primo scambio al più tardi nel 2018, e che entro la fine del 2017 abbia concluso gli accordi necessari a scambiare informazioni con tutti gli Stati Membri UE attraverso l’Accordo Multilaterale (MCCA) oppure attraverso accordi bilaterali. In futuro, cioè a partire dal 2018 l’UE si riserva di verificare che lo stato scrutinato abbia ricevuto dall’istituzione Global Forum almeno un rating di “largamente conforme” (largely compliant). Inoltre il paese scrutinato dovrà meritare lo stesso rating (largely compliant) in materia di scambio di informazioni su richiesta e dimostrare di aver ratificato il MCCA (che comprende lo scambio di informazioni automatico e su richiesta ma anche quello spontaneo) o accordi equivalenti. Fin qui la Svizzera dovrebbe essere preparata. Per il secondo punto della fair taxation, che attualmente si dovrebbe tradurre con “sistema tributario politicamente corretto”, si richiede la verifica che il paese scrutinato non abbia introdotto regimi preferenziali dannosi ai sensi dei criteri del “Code of conduct for business taxation” UE (OJ C 2, 6 January 1998, p. 2) e che non faciliti l’impiego di strutture offshore o di altre strutture o schemi con i quali ci si prefigge di attrarre profitti che non corrispondono a reale attività economica nella giurisdizione scrutinata. Ed è proprio questo punto che ci porta direttamente alla votazione sulla riforma della tassazione delle imprese per una discussione di carattere generale sulla necessità e opportunità dell’abolizione dei privilegi fiscali cantonali ma anche su quali potrebbero essere le conseguenze di un mancato avallo nella votazione popolare del 12 febbraio p.v. I privilegi cantonali come pure la tassazione di società principal e finance branch sono concettualmente modalità di tassazione applicate non d’ufficio ma solo su richiesta del contribuente e non sono quindi immanenti al sistema fiscale svizzero. Da questo punto di vista non è il sistema fiscale svizzero che può ricadere nel campo d’applicazione della black list, ma solo il contribuente che sceglie liberamente di chiedere il privilegio per uno specifico anno fiscale. La stessa conclusione vale anche per la nuova Direttiva UE sull’assistenza amministrativa emendata anch’essa sulla base del progetto BEPS e che prevede l’introduzione obbligatoria in tutti gli Stati Membri dell’UE di norme atte a eliminare le problematiche identificate dal progetto BEPS. Anche qui, indipendentemente da quale misura sarà introdotta nei confronti di un contribuente con sede in Svizzera, dovrà essere esaminata la questione se nel caso specifico l’imposizione del contribuente per uno specifico esercizio e anno fiscale ha raggiunto una soglia minima di onere fiscale richiesto da un paese UE, per esempio quello della società madre che ritiene applicabili norme CFC ma forse, ipotizziamo, anche quello di una controllata che ritiene di non dover concedere uno sgravio alla fonte alla capogruppo per un dividendo che potrebbe essere esentasse in Svizzera in virtù del privilegio holding. Se coerentemente si applica il punto di vista soggettivo dell’onere fiscale concreto del contribuente l’esito della votazione è assolutamente indifferente, potremmo infatti lasciare al contribuente la decisione se continuare a richiedere il privilegio perdendo così diritti a livello internazionale oppure rinunciarvi in vista di uno statuto fiscale più globale. Se così fosse, in realtà non avremmo nemmeno bisogno di andare a votare. (continua) 32 - La Rivista gennaio 2017 Angolo legale Svizzera di Riccardo Geiser Il contratto con sé stesso Nella sua quotidianità economica, l’imprenditore firma un’innumerevole quantità di documenti, sia quale membro del consiglio d’amministrazione (CdA), sia quale direttore, o in qualsiasi altra funzione aziendale. Qualche volta, nel corso della battaglia burocratica, sorgono dei documenti particolari: contratti firmati dalla stessa persona per entrambe le parti contrattuali. Contratti di questo genere non vi hanno mai fatto arricciare il naso? Il diritto svizzero conosce due forme del cosiddetto contratto con sé stesso: l’autocontratto (il contratto con sé stesso stricto sensu) da una parte, e la doppia rappresentanza dall’altra. Qualora una persona stipuli un contratto agendo contemporaneamente in proprio e quale rappresentante di un’altra persona, si parla di un autocontratto – il contratto è concluso tra il rappresentato (di regola un’azienda) e il rappresentante. Una doppia rappresentanza, invece, si ha nel caso in cui una persona agisca quale rappresentante di entrambe le parti – il contratto è quindi concluso tra le due persone rappresentate dallo stesso rappresentante. L’elemento che accomuna le due forme è il rischio di un conflitto d’interessi, che diventa palese pensando, a titolo d’esempio, al direttore che aumenta il proprio salario, quale dipendente della società (autocontratto), oppure al membro del CdA che stipula un contratto per l’acquisto di software con un’altra società rappresentata da sé stesso, in qualità di unico amministratore (doppia rappresentanza). Per l’autocontratto tra una società anonima svizzera (SA) e il suo rappresentante, il codice delle obbligazioni svizzero (CO) prescrive la forma scritta, altrimenti il contratto è nullo. Esclusi da quest’obbligo di forma sono i contratti ‘quotidiani’, purché la prestazione della SA non superi CHF 1.000. Oltre a questa regola specifica e a differenza per esempio del diritto italiano, tedesco e francese il CO non stabilisce alcuna regola in merito al contratto con sé stesso. Pertanto, la giurisprudenza svizzera ha colmato questa lacuna della legge con un divieto di contrarre con sé stessi. Più precisamente, il Tribunale federale svizzero ha creato la presunzione secondo la quale una procura non comprende la facoltà di contrarre con sé stessi. Questa presunzione può essere smentita dimostrando o che (i) la natura dell’atto negoziale esclude il pericolo di uno svantaggio per il rappresentato, come nel caso di un atto che non comporta nessun obbligo per il rappresentato (un regalo), oppure se una lesione del rappresentato è sostanzialmente esclusa sulla base di criteri oggettivi (merce venduta al prezzo di mercato), o che (ii) il rappresentato ha esplicitamente autorizzato il rappresentante a concludere il negozio in questione o lo ha approvato successivamente. L’autorizzazione o l’approvazione deve essere ottenuta dall’organo societario competente, che può essere dello stesso livello gerarchico (il plenum del CdA autorizza un atto di uno dei suoi membri) o di un livello superiore. Per esempio, il CdA di una SA che delibera sull’ammontare della retribuzione per i suoi membri deve ottenere o l’autorizzazione o l’approvazione dell’assemblea generale (per SA quotate in borsa vigono regole specifiche in merito a retribuzioni del CdA). Se, invece, la presunzione negativa non può essere smentita, il contratto è contestabile. Nel gergo giuridico si parla di ‘inefficacia sospesa’, ossia il contratto resta inefficace finché esso non sia approvato. Va detto che tale approvazione in pratica, soprattutto all’interno di gruppi societari, può risultare da un comportamento concludente dell’organo competente (approvazione tacita). In sintesi, l’imprenditore diligente prima di contrarre con sé stesso si munisce preventivamente dell’autorizzazione necessaria per evitare il rischio dell’inefficacia dell’atto negoziale. [email protected] gennaio 2017 La Rivista - 33 Convenzioni Internazionali di Paolo Comuzzi La locazione di azienda sita in Italia da parte di una società estera Nulla vieta ad una società estera1, dotata di una stabile organizzazione in Italia, di procedere alla locazione dell’azienda (unica azienda si ipotizza) detenuta e condotta dalla stabile organizzazione stessa ad una società italiana (o anche estera). Siccome non risultano grandi trattazioni in materia è interessante vedere le implicazioni sistematiche ed anche pratiche di questa decisione. Commenti Tassazione del soggetto estero In primo luogo deve essere chiaro che una società estera produce reddito di impresa solo se è dotata in Italia di una stabile organizzazione2; se questa non esiste allora il soggetto non residente produce reddito in Italia ma si applica il principio del trattamento isolato del reddito (che quindi può essere reddito fondiario o di capitale o diverso ma non può essere reddito di impresa3). Cosa accade con la locazione di azienda Nel momento in cui la stabile organizzazione in Italia procede a concedere in locazione la unica azienda che la stessa conduce possono prodursi due situazioni: • La prima situazione è quella per cui resta in vita la stabile organizzazione (certamente vuota) e quindi il reddito da locazione di azienda resta un reddito che viene attribuito alla stabile organizzazione stessa con la conseguente debenza di IRES e IRAP (e con tutti gli aspetti connessi alla locazione di azienda tra entità italiane)4; • La seconda situazione è quella per cui “muore” la stabile organizzazione e quindi il reddito da locazione della unica azienda viene imputato alla società estera in modo diretto ed in questo caso nasce il problema che andiamo a sviscerare nel prosieguo del presente documento5 (in sostanza la somma pagata dal locatario – chiunque esso sia – viene portata al conto economico del soggetto estero e non al conto economico della stabile organizzazione in Italia del soggetto estero). Come si tratta la seconda situazione La seconda situazione deve essere trattata nei suoi aspetti fiscali secondo i seguenti step logici e non eludibili: 1.Verifica circa la esistenza di una norma nazionale che preveda la tassazione in Italia del reddito che nasce dalla locazione della unica azienda detenuta da una stabile organizzazione di un soggetto estero (se questa norma non dovesse esistere il problema si chiude immediatamente); 2.Verifica della esistenza di una norma di carattere “convenzionale” che deroghi (in tutto o in parte)6 a quanto sopra e qui ovviamente la situazione deve tenere conto delle singole previsioni ovvero delle singole convenzioni contro le doppie imposizioni. In merito al primo punto si deve dire che tale norma potrebbe (forse) rintracciarsi in quella che prevede la tassazione in Italia dei redditi che nascono da beni che si trovano nel territorio stesso (l’azienda locata7 si trova in Italia) ma il tema dovrebbe essere compiutamente approfondito prima di raggiungere una conclusione che possa dirsi definitiva. In merito al secondo punto si potrebbe forse trovare un punto di appoggio (non del 34 - La Rivista gennaio 2017 tutto derogatorio) nella norma convenzionale che fa riferimento alle royalties (e che pare includere anche la locazione)8. Se quanto sopra è vero allora, allo scomparire della stabile organizzazione, insorge il trattamento isolato dei redditi con tassazione sulla base di quella che è aliquota portata nella norma convenzionale in tema di royalties (si pensi che nella convenzione Italia – Svizzera parliamo di una aliquota del 5%). In caso diverso (norma che deroga in modo totale) sorge un problema in quanto: 1) ove il reddito da locazione non fosse inquadrabile nell’articolo 23 del TUIR si ha una immediata esenzione dello stesso e quindi una completa non tassazione in Italia di questa componente9; 2) ove la convenzione non inquadrasse questo reddito nell’articolo 12 (royalties) ma in altre norme (per le quali magari prevede la tassazione nel solo stato di residenza del percettore) si avrebbe una sostanziale esenzione del reddito da locazione di azienda (in ragione del fatto che la norma convenzionale prevale sulla norma interna). Sul piano interpretativo ufficiale non risultano allo scrivente documenti di prassi e sentenze che abbiano trattato del tema in modo specifico e mi pare che silente sulla materia sia anche la documentazione ufficiale in materia. Questo comporta che esiste su questa materia una forte incertezza circa il trattamento del reddito10 che viene erogato dal locatario e che merita una soluzione. Conclusione Siamo in presenza di una fattispecie incerta che non trova una compiuta trattazione né in dottrina né in giurisprudenza con la conseguenza che la stessa comporta una difficoltà per gli operatori che vogliono porla in essere (si pone quindi il tema di un interpello) e per questa tale fattispecie merita una considerazione in questa sede. Non esistono norme di diritto civile che possano considerarsi un divieto ad una simile operazione. Questa affermazione non può essere posta in discussione. Posizione ribadita anche dall’Agenzia delle Entrate. 4 In sostanza qui la situazione non cambia. 5 In questa situazione si ha una mutazione radicale. 6 La norma convenzionale può solo derogare in meglio. 7 L’azienda potrebbe considerarsi un bene mobile. 8 Questa norma deroga in modo parziale in quanto consente di tassare nello Stato della fonte ma con aliquota ridotta. 9 Non serve guardare la convenzione. 10 Resta anche da definire come si tassa questo reddito ovvero se mediante ritenuta alla fonte o mediante redazione di una dichiarazione dei redditi da parte del soggetto non residente ed il punto non è da poco. 1 2 © Inter IKEA Systems B.V. 2017 3 Differenziare è facile Le pattumiere intelligenti e salvaspazio, per la raccolta differenziata di tutti i tipi di rifiuti, ti semplificano la vita. Risparmio di tempo e fatica per te e anche meno spazzatura per l’inceneritore. SORTERA contenitore rifiuti con coperchio 14.95/pz. gennaio 2017 La Rivista - 35 La Svizzera prima della Svizzera Non si può parlare di Storia della Svizzera senza conoscere gli avvenimenti che precedettero la formazione del primo nucleo della Confederazione Elvetica, nel lontano 1291. Bisogna, infatti, avere un quadro, anche se solo per sommi capi, di quei fatti che furono all’origine del lungo e difficile percorso che, dopo oltre cinque secoli, avrebbe portato all’unità geografica e politica di questo Paese nei suoi confini attuali. Storia molto complessa e ancora più affascinante, se si considera che il suo territorio non ha costituito «mai un’unità né politica né linguistica», né «culturale o economica». C’è dunque una Storia della Svizzera prima della Svizzera, che bisogna conoscere per capire a fondo gli avvenimenti che hanno portato poi alla formazione e al duraturo mantenimento, nei secoli, della Confederazione Elvetica. Tindaro Gatani, nostro prezioso collaboratore, ricercatore e appassionato studioso dei rapporti italo-svizzeri, ha raccolto l’invito di realizzare una sintesi della storia di questo Paese dalle origini alla fondazione della Confederazione. Il risultato di questo lavoro sono le 13 puntate apparse sulla Rivista da gennaio 2012 a febbraio 2014, che, dopo un’attenta revisione, rispondendo anche alla richiesta di molti lettori, vedono la luce sotto forma di un volume. Chi fosse interessato può richiedere copia del volume al prezzo di CHF 25.— (+ costi di spedizione) inviando una mail a: [email protected] oppure telefonando allo 044 289 23 19 La Svizzera: da Morgarten (1315) a Marignano (1515) Le puntate apparse su «La Rivista», dal marzo 2014 a settembre 2015, sono state adesso raccolte in un volume curato dallo stesso autore, Tindaro Gatani, con il titolo La Svizzera: da Morgarten (1315) a Marignano (1515), nel quale si narrano gli avvenimenti di quei duecento anni che videro la Nazione elvetica diventare la più grande potenza militare europea. La pubblicazione si aggiunge al primo volume La Svizzera prima della Svizzera, edito sempre dalla Camera di Commercio Italiana di Zurigo. Chi fosse interessato può richiedere copia del volume al prezzo di Fr. 25.— (+ costi di spedizione) inviando una mail a: [email protected] oppure telefonando allo 044 28923 19 Giacomo Casanova in Svizzera Il nostro collaboratore Tindaro Gatani ha pubblicato un interessante volume sulle avventure amorose di Giacomo Casanova in Svizzera, la prima opera in italiano che tratta delle gesta del grande libertino e avventuriero veneziano in Terra elvetica. Nella premessa, tra l’altro, l’autore scrive: «Tutte le pubblicazioni sulle avventure di Giacomo Casanova sono coronate da successo, non sempre, però, per merito dei vari curatori ma, piuttosto, per il brillante racconto che, nella sua Storia della mia vita o Memorie, ne fa lo stesso avventuriero veneziano, che ha saputo unire l’arte di grande amatore con quella di consumato affabulatore. Per non appropriarmi della sua forza narrativa ho voluto che fosse lui stesso, con il suo racconto, a condurre i lettori attraverso la Svizzera del suo tempo. Per questo mi sono limitato solo a riassumere, a chiosare, a soffermarmi su alcune alte personalità dell’Ancien Régime elvetico, il periodo storico che precedette la Rivoluzione francese e la bufera napoleonica che avrebbe, poi, investito, sovvertendola, la vecchia Confederazione. (…) Da parte mia ho seguito le sue gesta servendomi dell’aiuto di quanti mi hanno preceduto sulle sue orme nello stesso itinerario e, soprattutto, della guida esperta di Pierre Grellet (1881-1957) che, con Les aventures de Casanova en Suisse, pubblicate a Losanna nel 1919, ha saputo tracciare con maestria un quadro puntuale e fedele delle sue imprese in Terra elvetica. (…)». Chi fosse interessato può richiedere copia del volume al prezzo di Fr. 25.— (+ costi di spedizione) inviando una mail a: [email protected] oppure telefonando allo 044 28923 19 L’elefante Invisibile1 di Vittoria Cesari Lusso I presuntuosi… Una vecchia leggenda indiana narra di un elefante che pur muovendosi tra la folla con al sua imponente mole passava comunque inosservato. Come se fosse invisibile… 1 “Si questo lo so già…”, “Ho già capito tutto”, “Non ho bisogno di aiuto”, sono frasi che sento non di rado pronunciare da mio nipotino di 15 anni (si fa per dire, nipotino, ormai misura 175 cm). Come molti nati nel nuovo millennio possiede conoscenze e competenze in campo informatico che superano largamente quelle di padri e madri, nonni e nonne. Questo gli basta per alimentare un certo sentimento di onniscienza e sopravvalutazione delle proprie capacità in tutti i campi. Noi adulti di famiglia cerchiamo ripetutamente di inculcargli la quintessenza del pensiero socratico: “sapere vuol dire essere coscienti di non sapere”, senza troppo successo per il momento. Cerchiamo altresì di mostrargli che non temiamo di ammettere la nostra ignoranza in un’infinità di campi e di avere un costante bisogno di imparare, verificare, ecc… Per ora i nostri sforzi scorrono come acqua su una roccia, ma confidiamo che crescendo pian piano la presunzione di sapere si possa ridurre entro confini ragionevoli. Per ora è un adolescente. E l’adolescenza serve probabilmente anche a godersi il lusso della presunzione, in attesa di futuri implacabili ridimensionamenti. Il problema diventa inquietante quando gli atteggiamenti presuntuosi costituiscono un tratto stabile della personalità della persona adulta con responsabilità familiari e professionali. Cos’è infatti la presunzione? La maggior parte delle definizioni fa riferimento al sentimento di fiducia sproporzionata nelle proprie capacità e all’alta ed esagerata opinione di sé, accompagnata dalla pretesa di saper fare tutto meglio degli altri. I sinonimi di presuntuoso sono molti e tutti servono a dipingere con pennellate critiche il prototipo dell’individuo antipatico e sgradevole. I principali sono: borioso, tracotante, arrogante, spocchioso, superbo, saccente, vanaglorioso. La saggezza secolare ci fornisce non pochi aforismi e proverbi che efficacemente ci mettono in guardia dal peccato di presunzione. Eccone alcuni. Più piccola è la mente più grande è la presunzione (Esopo) Fino all’anno scorso avevo un solo difetto. Ero presuntuoso (Woody Allen) La presunzione può gonfiare l’uomo, ma non lo farà mai volare (John Ruskin) Era come un gallo che pensava che il sole sorgesse per sentirlo cantare (Georges Eliot) Presunzione, arroganza, protagonismo, questi sono i difetti da cui occorre guardarsi (Plutarco). La presunzione di avere grandi capacità è sempre negativa? In campo politico ci si può chiedere se chi detiene (o aspira a detenere) posizioni di comando ne possa veramente fare a meno, rinunciando alla convinzione di essere capace di risolvere problemi enormi meglio di altri. Se ci pensiamo bene, un po’ di presunzione è praticamente indispensabile per condurre una campagna elettorale, per governare processi complessi, per osare proporre riforme importanti, per combattere gli avversari, per non farsi bloccare e per perseverare. Un po’ di incosciente e smisurata fiducia nelle proprie capacità alimenta il coraggio di buttarsi nella mischia, di lottare per i propri ideali e di immaginare progetti ambiziosi per il proprio paese. Tuttavia, tale sovradimensionata fiducia per essere al servizio dell’interesse collettivo deve accompagnarsi in parallelo ad altre tre altre condizioni: solide esperienze e capacità nel solcare il mare agitato degli attuali problemi economici e sociali; serietà e trasparenza in materia di programmi e priorità; intelligente umiltà e grande lucidità nell’utilizzare al meglio le risorse umane e materiali a disposizione, prestando orecchio alle indispensabili voci critiche. In assenza di tali condizioni, il politico presuntuoso, di qualsiasi età esso sia, finisce per comportarsi come un adolescente impaziente e spocchioso, che scava profondi fossati tra il suo dire e il suo fare, disperdendo speranze e consensi anteriormente suscitati. Certo, ciò non esclude che in certi momenti ci siano magari molti elettori disposti a votarlo. Anche gli elettori delle moderne democrazie possono peccare di presunzione in materia di facoltà di discernimento… gennaio 2017 La Rivista - 37 di Vittorio Bianchi La disinformazione di massa I social media hanno rivoluzionato, nel bene e nel male, il modo di fare informazione. Interattività, accessibilità ed immediatezza sono diventate le parole chiave del Web 2.0. Malgrado ciò, come spesso accade per ogni nuovo prodotto, un manuale d’uso potrebbe rivelarsi necessario. Il presidente uscente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, nel suo ultimo incontro con la cancelliera Angela Merkel, ha dichiarato che il livello di disinformazione, facilitato dallo spaventoso sviluppo dei nuovi media, ha raggiunto livelli di diffusione tale, da mettere a repentaglio la stabilità dei nostri sistemi democratici.i Chiama in causa addirittura il CEO di Facebook, Mark Zuckenberg, affermando che il recente risultato delle elezioni americane, che ha visto uscire vincitore il tycoon Donald Trump, sia dovuto in parte a quelle “bogus new stories”, storie false, inventate, che, però, sono state postate e condivise sui social media in maniera sempre crescente, soprattutto negli ultimi mesi di campagna elettorale. Se, nella tappa più significativa del suo ultimo viaggio in Europa da presidente, Obama ha voluto mettere l’accento sul tema della disinformazione, richiamando, dunque, i professionisti del settore al rispetto del proprio codice deontologico, la faccenda è seria. Effettivamente, riflettendoci, chi di noi, in una fascia d’età compresa fra i 15 e i 30 anni, non utilizza Facebook o Twitter come principale bacino di informazione? L’immediatezza di questi nuovi canali brucia sul tempo i farraginosi media tradizionali, troppo analitici e sconnessi da un pubblico che si muove a ritmo di tweet. Che si tratti di un attentato terroristico a Bruxelles, di un terremoto in centro Italia o dell’ultima sparata di Trump, le foto e le notizie arrivano nel giro di qualche secondo sul nostro cellulare, in maniera immediata, senza bisogno di controparte o contestualizzazione. Se poi si tiene conto dell’ormai dilagante sfiducia delle persone nei confronti dei media tradizionali, percepiti come strutture schierate con l’establishment, ecco che il gioco è fatto. Certo, l’immediatezza dell’informazione, così come la possibilità di improvvisarsi giornalista o opinion maker, può essere un vantaggio. Si pensi alla nascita di movimenti politici che hanno intercettato i bisogni di coloro, che non si sentivano più rappresentati dai partiti politici tradizionali. Si pensi al ruolo dei social media nelle primavere arabe che, indipendentemente dal risultato finale, hanno generato mobilitazioni sociali, riuscendo 38 - La Rivista gennaio 2017 a rovesciare radicati governi dittatoriali. Tuttavia, questo nuovo modo di fare informazione può diventare una lama a doppio taglio, se il fruitore finale non è in grado di discernere la notizia reale da quella fittizia, costruita, in alcuni casi, ad hoc, per promuovere controinformazione. Uno studio recente dell’università di Standford, basato su un campione di 8.000 studenti, ha riscontrato che i teenager e gli studenti universitari, per antonomasia più avvezzi all’utilizzo delle nuove tecnologie, rischiano di essere uno dei target più sensibili. “Molte persone pensano che, poiché i giovani sanno usare i social media, sono egualmente bravi a giudicare quello che c’è scritto - afferma Sam Wineburg, l’autore principale - ma il nostro lavoro mostra che la realtà è opposta”. L’82% del bacino degli intervistati non è per esempio stato in grado di discernere fra notizia fondate da quelle a contenuto sponsorizzato, mentre, fra gli altri inghippi, circa un quarto non è stato in grado di distinguere un profilo fake di Fox News rispetto a quello ufficiale. L’informazione plasma in maniera consistente la nostra comprensione della realtà. Questa tendenza, dunque, rischia di avere soprattutto ripercussioni negative sullo sviluppo delle nuove generazioni. La polarizzazione sociale emergente ne è testimone. Se è vero che il progresso non può essere arrestato, è anche vero che per sfruttarne il potenziale sarebbe opportuno promuovere percorsi di responsabilizzazione che mirino allo sviluppo di maggiori capacità critiche e analitiche nei confronti di quello che leggiamo. Questo toccherebbe in prima persona il settore educativo e i suoi promotori, non ultime le famiglie. Tecnicamente parlando, invece, l’algoritmo che regola i meccanismi di funzionamento di Facebook, secondo cui vengono proposte sulle nostre bacheche solo quelle opinioni combacianti al meglio con la nostra linea di pensiero o con i nostri interessi, dovrebbe essere messo in discussione. In ultima analisi, anche i giornalisti dovrebbero mettere in campo nuove strategie di comunicazione. La diffidenza dilagante nei confronti dei media tradizionali, fattore rilevante che ha mosso ampi strati della popolazione verso i cosiddetti “voti di protesta”, dovrebbe far riflettere. Un certo tipo di informazione, più equilibrata, più reale, meno urlata, meno intellettualoide e più in linea con le istanze popolari potrebbe rappresentare, forse, una via d’uscita. Benchmark di Nico Tanzi Fallimenti epici e leoni da tastiera, ovvero: i fatti e le opinioni nell’era dei social network L’espressione “epic fail”, che indica un fallimento di dimensioni colossali, è sempre esistita ma nell’era dei social network ha acquisito un senso più immediato. Chi inserisce “epic fail” in Google troverà un catalogo di situazioni in cui quella che doveva essere un’impresa, un momento importante, una performance di alto livello si trasforma in una figuraccia. Da riderci su, di solito: sposi che finiscono in acqua al momento del “sì”, corridori che perdono la gara a un passo dal traguardo sbagliando direzione, scivolate tragicomiche. Spesso con conseguenze disastrose per i protagonisti, come nella serie infinita delle acrobazie finite male di skaters, ciclisti e tuffatori. Un catalogo sterminato di stupidità umane. Ma non ci sono solo bulletti e sfigati fra i protagonisti di epic fail. Provate a chiedere alla Volkswagen, che sta pagando a caro prezzo il trucchetto che i suoi tecnici avevano escogitato per imbrogliare sul rilevamento delle emissioni inquinanti. Di dimensioni meno planetarie ma di un certo interesse l’epic fail di cui si è resa protagonista l’edizione italiana di Vanity Fair. E che potrebbe diventare un caso da manuale, anche per la rapidità con cui un post non abbastanza meditato ha suscitato una valanga di reazioni tale da costringere in poche ore alle pubbliche scuse. I fatti. La sera del 21 dicembre scorso sulla pagina Facebook del settimanale si legge: “Vi chiediamo di scegliere tra una tragica immagine della fuga da Aleppo e uno splendido scatto del monte Cervino. Quale pensate sia la fotografia più giusta per accompagnarci nella settimana di Natale 2016? Ditecelo con un LIKE (sic) sull’immagine che preferite”. In pochi minuti la redazione “social” di Vanity Fair viene sommersa di insulti. “Ignoranti”; “quesito agghiacciante”; “gaffe inaccettabile”; “avete il cervello collegato quando postate cose simili?”; “L’ideatore di questo post dovrebbe vergognarsi”. “Non vi acquisterò mai più”. A far crollare la diga è Selvaggia Lucarelli, blogger dal largo seguito, con un commento sarcastico: “Quindi Martina Dell’Ombra è la nuova social media manager di Vanity Fair. Bene” (questa non la capiranno tutti ma sarebbe lungo spiegarla: magari lo faremo in un prossimo numero della Rivista - ndr). Inevitabili le scuse, pubblicate la mattina dopo. Lunghe e dettagliate, così come i tentativi di spiegazione. Non molto convincenti, ma sinceri. “Mi sono sentito un idiota”, ammette il photo editor che aveva proposto le foto in competizione, “un imbecille che ha messo alla berlina il lavoro di un’intera redazione per un post fatto con leggerezza”. “Un mio vecchio maestro di scuola di giornalismo - scrive fra l’altro il direttore Luca Dini - mi diceva che noi cronisti dobbiamo girare il mondo con una «toga invisibile». Cioè sempre consapevoli del nostro ruolo, della nostra responsabilità, delle conseguenze che le nostre parole hanno su chi le leggerà. In questa era digitale dove tutti sono giornalisti, credo possa servire una riflessione sull’effetto che certe reazioni e certi commenti – e l’abitudine di stare lì in agguato, in attesa che qualcuno cada in uno scivolone per metterlo alla gogna – possono avere su una persona che, al di là del suo lavoro, è un essere umano come tutti”. Un “essere umano come tutti” contro cui si è levato in una notte infernale un esercito di “leoni da tastiera” a chiedere, senza mezzi termini, come la Regina di cuori di Alice, la testa del colpevole. Di fronte a tanti con la verità in tasca, evito i giudizi e mi limito ad un paio di constatazioni. Uno: sui social il senso della misura è un’entità ignota. Al di là di torti e ragioni, si spara a zero con la stessa sicumera e prosopopea, e con la stessa intensità, su Renzi, su Belen o sull’ultimo poveraccio che passa di là; la gerarchia dei fatti è del tutto irrilevante. Due: con i social la democrazia ha uno strumento (di controllo del potere e di espressione delle opinioni) in più; ma a volte sembra di intravvedere, inquietante, la democrazia come la intendeva Platone: guidata dagli istinti (gli appetiti) delle masse più che dalla ragione. La “pancia” al potere, e che Dio ce la mandi buona. gennaio 2017 La Rivista - 39 Per chi suona il campanello di Mirko Formenti Due o tre cose su: I samurai “La Via del samurai va cercata nella morte”: e nella morte, con queste parole, Yamamoto Tsunetomo individuava il segreto dell’invincibilità del samurai. 40 - La Rivista gennaio 2017 Il samurai è, stando al significato letterale, colui che serve, che obbedisce, che osserva le regole, e, nella fattispecie, che serve combattendo: è il guerriero, il bushi. Il codice morale al quale si attiene con ferrea disciplina è il bushido, la “via del guerriero”, e le ragioni del bushido sono da cercare nella morte. La figura del samurai è caratterizzata da un profondissimo spessore spirituale e filosofico che lo rende del tutto estraneo a quella del “cavaliere” europeo, alla quale viene spesso impropriamente paragonato; la sua dottrina è impregnata di buddismo zen, e prevede che il samurai mediti incessantemente sulla morte e sulla sua inevitabilità. La sapienza del samurai è quella dei koan, i proverbi paradossali, non si raggiunge con la ragione ma con il suo superamento, con l’intuizione slegata dalla logica: il samurai attraverso la meditazione zen accetta il nonsenso, porge il fianco al paradosso, si libera dal peso della paura e raggiunge la pace dei sensi, l’imperturbabilità, il controllo di sé. Il samurai non è un omaccione che agita la spada con urla belluine: è un filosofo che ha accettato l’impermanenza della vita, acquistando il potere di sbarazzarsi della paura di morire: egli è un placido, disciplinato guerriero ed è invincibile perché nella sua impassibilità esistenziale non conosce sconfitta, in quanto la morte è prevista come termine e culmine della vita, ed è quindi un evento glorioso, a patto che vi si giunga in modo onorevole, coerentemente alle dottrine del bushido. Da qui la nota propensione del samurai per il suicidio rituale (seppuku o, in un gergo più impreciso, harakiri) piuttosto di una vita disonorevole: in questo senso, l’unica vera sconfitta è la resa, proprio perché tradisce la paura della morte. In altre parole, lo scopo ultimo della vita del samurai è quello di prepararsi al meglio alla morte. Ma il samurai ama la vita: il samurai vive semplicemente nel presente, è un concentrato di presente, di vitalità estrema ed invincibile – non è un caso che, oltre ad essere un guerriero, il samurai era quasi sempre un artista: compositore di fini liriche, musiche, dipinti, o attento cultore della cerimonia del thé. Attributo fondamentale del samurai – nonché, si potrebbe dire, vero e proprio status symbol formalizzato – sono le spade: una lunga (katana), che in genere veniva portata solo in combattimento, e una breve (wakizashi) che invece non abbandonava mai il corpo del samurai, pendendogli davanti all’addome, che si riteneva fosse la sede dello spirito (ed ecco perché nel seppuku era proprio quella zona a venire trafitta e squarciata). Nel 1876, in seguito alla Restaurazione attuata dall’imperatore Meiji, venne emanata una legge che proibiva a chiunque non fosse un soldato del nuovo esercito statale di stampo occidentale di girare armato, costringendo di fatto i samurai a separarsi dalla spada: la privazione del loro emblema sancisce convenzionalmente la fine della loro epoca. Ma i samurai sono sopravvissuti: attraverso il Novecento troviamo numerosi fenomeni da ricondurre direttamente alla dottrina del bushido: basti pensare agli attacchi suicidi dei kamikaze (nome che evoca quel “vento divino” che nel lontano 1281 spazzò via la flotta mongola che si accingeva ad invadere il Giappone), al seppuku di molti ufficiali che nel ’45 rifiutarono la resa, ai molti “soldati fantasma” che pur di non arrendersi si diedero alla macchia, sopravvivendo – a volte per decenni! – in capanne e cunicoli nella foresta o al suicidio rituale dello scrittore Yukio Mishima, l’ultimo seppuku di cui si abbia notizia. Ecco, queste erano due o tre cose sui samurai; le riassumo con le parole di Yamaoka Tesshu, che non vanno capite bensì ascoltate: “Usare il pensiero per analizzare la realtà è un’illusione. Se ci si preoccupa per la vittoria o la sconfitta si perderà tutto. Il segreto dell’arte della spada? Il fulmine taglia il vento di primavera”. Dalla Svizzera degli Stati a quella federale Napoleone in un ritratto del 1797 di Jacques-Louis David (1748-1825) Luci e ombre dell’Elvezia “una e indivisibile” di Tindaro Gatani (Come il Fricktal divenne svizzero) Dopo il terrore del Novantatré, narrato anche nell’omonimo romanzo (Quatrevingt-treize) di Victor Hugo, la Francia, sconvolta dai massacri e minacciata dalla Prima coalizione delle Monarchie europee contro la Rivoluzione, era stata costretta a mettere al bando il Comitato di Salute Pubblica e a condannare a morte i suoi capi, Georges Jacques Danton e Maximilien de Robespierre, e altri loro seguaci, mandati al patibolo il 28 luglio del 1794. La nascita di un nuovo governo sotto un Direttorio, composto da cinque membri della vecchia borghesia, portò alla pace con la Prussia, la Spagna e l’Olanda, ma non con l’Inghilterra, l’Austria e il Piemonte, che restavano sul piede di guerra e sempre pronti a marciare su Parigi. La prima Campagna d’Italia Tra la fine del 1795 e l’inizio del 1796, di fronte alla minaccia di un’invasione austro-piemontese, Lazzaro Carnot (1753-1823), capo del Direttorio, promosse un’operazione a tenaglia con tre armate, di cui due, le più potenti, avrebbero dovuto puntare su Vienna dal nord attraverso la Germania, alla terza fu assegnato, invece, il modesto compito di tenere impegnati i nemici nella Pianura Padana. Il comando dell’Armata d’Italia fu affidato a Napoleone Bonaparte, nato ad Ajaccio nel 1769, poco tempo dopo che la Corsica era passata dal dominio di Genova a quello della Francia. Il giovane ufficiale si era già distinto, nel 1793, come comandante militare per aver liberato Tolone dall’occupazione inglese. La spettacolare vittoria gli valse la promozione da Il 20 di febbraio 1802, il Fricktal, con Rheinfelden e Laufenburg, entra a far parte della Svizzera capitano a generale, a soli 24 anni. Caduto in disgrazia dopo la morte di Robespierre, al cui partito aveva aderito, era, quindi, tornato alla ribalta, alla grande, per aver stroncato a cannonate l’attacco monarchico alla Convezione repubblicana. Il matrimonio con Giuseppina Tascher de la Pagerie (1763-1814), la bella e influente vedova del generale Alessandro di Beauharnais (17601794), gli avrebbe spianato, poi, la strada per nuovi e sempre più importanti incarichi. Appena assunto il comando dell’Armata d’Italia, ridotta a «un’accozzaglia di straccioni», che, per sopravvivere, erano dediti ai furti e ai piccoli saccheggi, Napoleone dovette affrontare il difficile compito di vestire, calzare e imporre la disciplina militare a quella massa di soldati quasi allo sbando. Nessuno, in Francia, pensava che, con quegli uomini gennaio 2017 La Rivista - 41 Heinrich Pestalozzi (1746-1827) si prende cura degli orfani di guerra a Stans. Dipinto a olio del 1879 di Konrad Grob (Kunstmuseum Basilea) indisciplinati e scarsamente equipaggiati, egli potesse andare oltre qualche azione di disturbo. Nel giro di poche settimane, con la sua determinazione e ricorrendo persino alle fucilazioni con processi sommari, egli riuscì, però, a imporre la più ferrea disciplina e a motivare i suoi soldati sulla loro missione patriottica. Alla fine di marzo, alla testa di 36.000 uomini, partì per la sua prima Campagna d’Italia (1796-1797). Mentre le due armate francesi ben organizzate, che avrebbero dovuto assalire l’Austria dal nord, erano rimaste inattive, Napoleone, passate le Alpi Marittime, il 10 aprile 1796, entrò in Liguria, dove, in cinque giorni, sbaragliò gli austro-piemontesi a Cairo Montenotte (11 e 12 aprile), a Millesimo (13 e 14 aprile) e a Dego (14 e 15 aprile), tre borghi contigui della provincia di Savona. Di fronte a tanta furia, il Re di Sardegna Vittorio Amedeo III di Savoia si vide costretto a firmare, il 28 aprile, l’armistizio di Cherasco e, in base alla successiva pace di Parigi, dovette cedere alla Francia la città di Nizza, la Savoia e il diritto di transito delle sue truppe attraverso il Piemonte. Dopo aver messo fuori combattimento i Piemontesi e aver sconfitto nuovamente gli Austriaci 42 - La Rivista gennaio 2017 a Lodi (10 maggio), Napoleone entrò da trionfatore in Milano (il 15 maggio) e proseguì quindi la sua marcia, occupando buona parte dell’Italia settentrionale. La pace di Campoformio Il 16 ottobre, i rappresentanti del Ducato di Modena e Reggio e delle due Legazioni dello Stato della Chiesa di Ferrara e di Bologna, decisero di aderire alla Rivoluzione costituendo, sul modello di quella francese, la Repubblica Cispadana, proclamata, poi, ufficialmente il 23 dicembre a Reggio Emilia. Il 17 gennaio 1797, in un nuovo congresso tenuto sempre a Reggio, fu adottata, per la prima volta, la bandiera tricolore a strisce orizzontali (rosso, bianco e verde) con, al centro, all’interno di una corona di alloro, una faretra con quattro frecce a simboleggiare la vittoria delle quattro province. La Cispadana e la Transpadana, costituita già a Milano, il 29 giungo 1797, si fusero, allargando i loro confini, nella Repubblica Cisalpina. Del nuovo Stato facevano così parte il vecchio Ducato di Milano, il Ducato di Modena e Reggio, Bologna, Ferrara e Ravenna, il Ducato di Massa Carrara, i territori di Mantova e quelli veneti tra l’Adda e l’Adige, Verona compresa, e in più la zona di Rovigo e tettorato di Berna, e l’altra si diresse su Losanna, dove tutta la Valtellina, tolta ai Grigioni. Anche la Cisalpina, a qualche giorno prima era stata issata la bandiera verde imitazione di quella francese, adottò la bandiera tricodella Repubblica Lemanica. Solo allora scoppiarono lore a strisce orizzontali. L’Austria, per non subire altre e piccoli tumulti locali: il 28 gennaio a Saint Maurice, nel più pesanti perdite, fu, a sua volta, costretta a chiedere Vallese; il 31 a Lucerna; il 4 febbraio nel Toggenburgo; un armistizio, firmato il 17 ottobre 1797 a Campoformio il 5 a Basilea; il 6 a Sciaffusa e nella Turgovia; il 21 a (oggi Campoformido), in provincia di Udine. Il trattato di Zurigo. Era, però, una rivolta contro i privilegi e per l’uquella pace segnava la fine della millenaria Serenisguaglianza, cioè per migliorare le condizioni dentro la sima Repubblica veneta, il cui Stato, insieme all’Istria Svizzera e non contro di essa. e alla Dalmazia, era ceduto all’Arciducato d’Austria, in cambio del riconoscimento della Repubblica Cisalpina. Dai Cantoni all’Elvetica Dopo aver occupato Losanna, le truppe francesi, proAlla Francia andavano i vecchi possedimenti veneziani venienti da nord e da sud, il 2 marzo 1798 presero delle isole Ionie con Corfù, Zante e Cefalonia e i territori Friburgo e Soletta e quindi marciarono su Berna, ocaustriaci sulla sinistra del Reno, tra cui c’era anche il cupandola il 5 marzo. L’opposizione all’invasione era Fricktal, che l’Austria era costretta a cedere dopo cirstata troppo debole: i Bernesi, rimasti soli a fronteggiaca 400 anni di ininterrotto dominio asburgico. Napore quelle potenti armate, dopo aver conseguito la vitleone, tornato a Parigi da trionfatore e soddisfatto del toria a Neuenegg, furono ricco bottino fatto in Itasconfitti a Fraubrunnen e lia, dove, in cambio della al Grauholz. La caduta di promessa della libertà e Berna segnò la fine della dell’uguaglianza, si era Confederazione dei XIII impadronito delle casse Cantoni, perché gli invapubbliche e private e di sori imposero al Paese, inestimabili opere d’arte, conquistato con le armi, progettò le sue prossime una costituzione unitaria, mosse per imporre la sua redatta a Parigi, il 28 maregemonia in tutta Europa. zo 1798, sul modello di Per portare avanti il suo quella francese. «La Redisegno, non bastandogli pubblica Elvetica è una e il transito del Piemonte, indivisibile... Non ci sono decise di impadronirsi supiù frontiere fra i Cantobito di tutti i valichi alpini ni e i paesi soggetti, né della Confederazione, per da Cantone a Cantone». avere la massima libertà Il tricolore della Repubblica Cisalpina Così recitava il primo di movimento delle sue articolo e, per rimarcare truppe. Sollecitò allora degli incontri con gli Svizzeri amici della Rivoluzione. l’unità, aggiungeva ancora: «... eravamo deboli per la nostra debolezza individuale, saremo forti per la forza Con la scusa ufficiale della cessione del Fricktal, che sarebbe passato così direttamente dall’Austria a Basilea, di tutti». Il successivo 12 aprile, Peter Ochs, dal balcone del Municipio di Aarau (Aarauer Rathauses), proclamò Napoleone chiamò a Parigi Peter Ochs. Nei loro colloqui la nascita della Repubblica Elvetica. Persino ai delegati dell’8 dicembre 1797, i due non parlarono, però, della alla nuova Dieta federale fu imposto l’obbligo di vestifutura appartenenza del Fricktal, con Rheinfelden e Laure un’uniforme unitaria, che ricalcava quella rivoluziofenburg, ma concordarono, invece, modi e tempi della naria dei membri del Parlamento parigino. Invece di prossima invasione francese della Svizzera. Secondo una Confederazione libera e indipendente, la Svizzera, i loro piani, l’intervento sarebbe dovuto avvenire su rinonostante le buone intenzioni di Peter Ochs e di tutti chiesta dei vari comitati rivoluzionari locali. Dopo che la gli altri grandi patrioti, era stata improvvisamente trapretesa sollevazione si limitò a sporadici atti simbolici e sformata in un paese vassallo della Francia, che si era tutti i tentativi di provocare una rivolta generale interna affrettata ad annettersi Ginevra, Mulhouse, Bienne e le erano falliti, i Francesi furono costretti a provocare un vallate del Giura. L’anticlericalismo giacobino, importapiccolo incidente di frontiera per trovare la scusa di entrare in Svizzera. Si mossero allora con due armate, che, to insieme alla rivoluzione, provocò la rivolta popolare delle forze conservatrici cattoliche della Svizzera cenagli ordini del generale Guillaume Brune, tra il 13 e il trale. I Cantoni di Uri, di Svitto e di Glarona entrarono 14 febbraio 1798, una invase il Giura, posto sotto il pro- gennaio 2017 La Rivista - 43 a far parte dell’Elvetica solo per evitare la repressione Tra Cisalpina ed Elvetica delle truppe francesi. Il Nidvaldo resistette, invece, per Dei territori dell’odierna Svizzera, soltanto Ginevra, qualche tempo ancora, ma poi dovette cedere alla forl’ex principato vescovile di Basilea e il principato prusza delle armi, dopo che il 9 settembre 1798, il caposiano di Neuchâtel non fecero mai parte dell’Elvetiluogo Stans fu occupato e dato alle fiamme. Circa 400 ca. Particolare discorso, come vedremo, merita, poi, persone, tra cui molte donne persero la vita. Secondo il Vallese. I provvedimenti più importanti dell’Elvetica alcune fonti le truppe francesi avrebbero agito sotto furono la proclamazione dell’uguaglianza dei cittadiil comando del generale Giuseppe Antonio Mainoni ni di fronte alla legge; la parità linguistica, la libertà (1754-1807), nativo di Mantova ma con la cittadinandi pensiero e di opinione; la creazione della cittadiza di Strasburgo e di Lugano (BERTOLIATTI Francesco, nanza svizzera; la separazione dei poteri; la soppresFu il luganese Mainoni veramente ‘il boia di Stans?’, sione delle barriere doganali interne e l’unificazione in «Rivista militare della Svizzera italiana», n. 3, anno dei sistemi di pesi e di misure; la riforma del diritto 23, 1951). Per i molti bambini, rimasti senza genitori, civile e penale e l’autorizzazione dei matrimoni misti; fu allora fondato un orfanotrofio in un vecchio convenla soppressione della tortura; l’incentivo all’istruzione to di Stans, la cui cura e l’impulso alle opere fu affidata a Johann pubbliche; l’abolizioHeinrich Pestalozzi ne degli oneri feudali (1746-1827), il futuro di natura personale padre dell’istruzione (4 maggio 1798); la popolare in Svizzera. soppressione del preIn un primo tempo, i levamento delle deciFrancesi volevano dime e di altri oneri revidere la Svizzera, per ali (10 novembre). La meglio controllarla, in Repubblica Elvetica tre repubbliche indiebbe, ancora prima di nascere, un difficile e pendenti l’una dall’altravagliato contrasto tra: la Rodania (Vaud, con la Cisalpina, che, Vallese e Ticino), la con la pretesa di unire Tellgovia (la Svizzera tutti gli italofoni, dopo primitiva) e l’Elvezia l’annessione della comprendente la parte Valtellina, voleva, a restante. Dopo fu diviogni costo, avere nei sa, invece, in 17 Cansuoi confini anche il toni: Waldstätten (Uri, Ticino. Alle notizie dei Svitto ed Unterwaldo), rivolgimenti francesi Linth (Glarona e parte anche in diverse locadi San Gallo), SäntIl tricolore della Repubblica Elvetica lità ticinesi erano sorti is (Appenzello ed il alcuni Club giacobini. resto di San Gallo), Baden, Lugano, Bellinzona, Berna, Argovia, Oberland, Il Rossi e il Pometta raggruppano le opinioni «dei più Lemano (Vaud), Basilea, Friburgo, Lucerna, Sciaffusa, avanzati e illuminati cittadini» ticinesi in tre partiti: «Uno di tendenza nettamente giacobina», che anelaSoletta, Turgovia e Zurigo. Con l’adesione del Canton va alla «indipendenza assoluta in una ConfederazioRezia (Grigioni), avvenuta il 21 aprile 1799, i cantoni ne totalmente riformata... od anche in uno Stato del dell’Elvetica divennero in tutto 18. Un discorso a partutto indipendente»; un altro, più moderato, che volete riguarda il Fricktal che, dopo averlo occupato nel va «l’indipendenza dei Baliaggi, ma ottenuta con il 1799, i Francesi lo elevarono prima a Cantone sotto il minimo rivolgimento», restando «nel seno della Lega loro protettorato (febbraio 1802), poi lo incorporarono Elvetica»; il terzo partito, tuttavia minoritario, che, teall’Elvetica (agosto 1802) e infine, nel 1803, lo suddinendo conto delle affinità linguistiche e culturali, mivisero tra i Cantoni di Basilea e di Argovia. L’Elvetica, in rava, invece, all’unione con la Cisalpina. Gli Svizzeri, quegli anni di quasi anarchia, fino all’Atto di Mediazioche non volevano perdere il Ticino, promossero allora ne, imposto poi da Napoleone, era in continua evolula costituzione di una Guardia Nazionale, con sede zione, cambiando più volte i nomi e i confini dei suoi in Lugano, il cosiddetto Corpo bianco o dei Volontari componenti a la stessa sua Costituzione. 44 - La Rivista gennaio 2017 del Borgo, formato da esponenti della borghesia, di sentimenti riformisti ma avversi a qualsiasi ingerenza dei cisalpini. Primi comandanti di questo Corpo, che cominciò a funzionare dal 2 aprile 1797, furono Ambrogio Luvini e l’amministratore delle poste zurigane Pietro Rossi. Accanto al «Corpo bianco», i Cantoni sovrani sostennero anche la creazione di un Corpo rosso al servizio del distretto di Lugano e i cui comandanti furono prima il conte Raffaele Riva e poi l’ingegnere Giulio Pocobelli. Il grande animatore dell’opposizione alla Cisalpina fu, però, soprattutto Pietro Rossi, che trasformò «il suo ufficio delle poste zurigane», con privilegio del servizio a Milano e a Bergamo, in un’efficiente rete spionistica al servizio dei Cantoni. Egli non era, infatti, solo un «gran faccendiere politico e nemicissimo dei giacobini», ma raccoglieva anche informazioni riservate per conto di tutti i nemici di Napoleone, Austria compresa. L’ufficio postale di Lugano era diventato, infatti, il centro della controrivoluzione in stretto contatto anche con i movimenti antifrancesi della Leventina, del Vallese e della Svizzera centrale. Le cose si complicarono quando alcuni Luganesi, che si erano «portati» nello Stato cisalpino, «con l’aiuto di altri fanatici di quella Repubblica, concertarono un piano per suscitare la rivoluzione in Lugano e fare che questi paesi si ribellassero alla Svizzera e si unissero allo Stato milanese» (dalla «Cronaca» di Antonio Maria Laghi, citata da Rossi e Pometta). All’alba del 15 febbraio 1798, si arrivò all’attacco armato a Lugano di 240 «dei cisalpini e altra gentaglia», che portavano il berretto rosso della rivoluzione. Il colpo di mano fu respinto dai Volontari del corpo bianco, con il copricapo di Tell, guidati da Pietro Rossi che, dopo aver fatto erigere delle barricate «in riva al lago, quasi davanti al suo ufficio di posta zurigana», riuscì a «risospingere gli attaccanti». Il Ticino sceglie la Svizzera Fu quello un periodo particolarmente turbolento contrassegnato dall’uccisione, sotto «l’albero della libertà», di alcuni dei «patrioti» più in vista di Lugano, a opera della «turba forsennata». Tra il 28 e il 29 aprile I Cisalpini si scontrano con i Volontari del Borgo di Lugano (mattina del 16 febbraio 1798). Disegno a inchiostro e acquerello di Rocco Torricelli (Lugano 1744-1832) gennaio 2017 La Rivista - 45 Saccheggio della Casa Agnelli di Lugano (29 aprile 1799). Disegno a inchiostro e acquerello di Rocco Torricelli (Lugano 1744-1832) del 1799, l’odio contro i filocisalpini sarebbe poi sfociato in alcuni tumulti. A Lugano si aprì la caccia ai giacobini e bande di contadini inferociti saccheggiarono la tipografia Agnelli e uccisero alcuni sostenitori della Cisalpina, tra i quali l’abate Giuseppe Vanelli, che era stato uno dei più fervidi sostenitori delle nuove idee con i suoi scritti apparsi sulla «Gazzetta di Lugano». Il pittore luganese Rocco Torricelli (17521811 ca.), ci ha lasciato cinque disegni a inchiostro e acquerello, conservati al Museo civico di belle arti di Lugano, che illustrano i momenti più drammatici di quegli avvenimenti di cui fu testimone oculare. La scelta dei Luganesi fece capire che non solo i cittadini dei Cantoni sovrani, ma anche quelli dei baliaggi si ribellavano solo per avere maggiori diritti e pari dignità in seno alla Confederazione, senza debordare cioè dalla loro appartenenza alla stessa. Il comportamento mantenuto in quei frangenti dai territori sottomessi ai Cantoni sovrani e del Ticino in particolare è così spiegato da Rossi e Pometta: «Gli abitanti dei Baliaggi italiani godevano la libertà e l’eguaglianza da secoli, 46 - La Rivista gennaio 2017 sia pure limitatamente all’ambito dei Borghi e delle Vicinanze, in forza di istituzioni e di statuti che erano stati rispettati da tutti i dominanti». Le città ed i borghi ticinesi non vantavano, infatti, diritti preminenti sulle campagne, né la piccola nobiltà locale godeva di privilegi feudali. La proprietà terriera non era in mano a latifondisti, ma distribuita tra tanti piccoli agricoltori. Nonostante le ricorrenti proteste dei sudditi a causa della natura, a volte, vessatoria dei dominanti, la situazione ticinese non era insomma tale da giustificare da sola un capovolgimento violento dell’assetto politico (ROSSI Giulio - POMETTA Eligio, Storia del Cantone Ticino, Locarno 1980, pp. 167-170). Pietro Rossi svolse ancora un ruolo molto importante al momento del passaggio per il Ticino delle truppe austro-russe comandante dal generale Alessandro Suwaroff (vedi il prossimo n. di «La Rivista»). La vendetta dei cisalpinizzanti si sarebbe compiuta a distanza di qualche anno, quando, dopo aver proclamato la seconda Repubblica Cisalpina ( 5 giugno 1800) e vinto gli austriaci a Marengo (14 giugno 1800), Napoleone ritornò a essere l’arbitro dei destini della Confederazione. Pietro Rossi fu allora accusato di favoreggiamento dei nemici austro-russi-inglesi e condannato dal tribunale di guerra di Milano alla pena di morte, insieme al suo collega titolare dell’ufficio postale svizzero di Bergamo, che era un certo Majoli o Mojoli, discendente di una famiglia, che aveva dato altri agenti delle poste zurighesi a Bergamo. A cadere sotto il piombo del plotone di esecuzione, in una mattina d’estate del 1800, sugli spalti del castello di Milano, fu tuttavia solo il Majoli. «Ma nella stessa mattina — nota Francesco Bertoliatti — si compieva la macabra commedia del pupazzo che presentava in effigie Pietro Rossi, cadente lardellato di piombo per la gloria del vincitore di Marengo e per l’avvenire del futuro landamano del Ticino» (BERTOLIATTI Francesco, Il privilegio di posta degli Svizzeri in Lombardia e a Bergamo, in «Rivista delle poste», n. 4, Berna 1946, pp. 124-125). L’ultima allusione riguarda Giovanni Battista Quadri dei Vigotti di Magliaso (1777-1839), il discusso esponente del partito cisalpino, che, insieme a Giacomo Barca di Bioggio, aveva denunciato il Rossi al generale Giuseppe Antonio Mainoni (1754-1807), lo stesso che aveva soffocato nel sangue la rivolta antifrancese di Stans. Successivamente, in data 4 dicembre 1800, Pietro Rossi fu assolto dal tribunale di Lugano dalle accuse mossegli, per «non probata reità». Un regime odioso Il 29 febbraio del 1804, un anno dopo che il Ticino era diventato libero e svizzero anche per merito suo, Pietro Rossi ricevette le credenziali delle Poste di Zurigo per andare a trattare con la Cisalpina la stipulazione di una nuova convenzione e ottenere la proroga del privilegio. Al suo arrivo al Dipartimento delle Poste di Milano, il 10 giugno 1804, fu sollecitato a lasciar subito la città: la sua condanna a morte non era ancora caduta in prescrizione e l’ordine di catturarlo vivo o morto era ancora in vigore. Finiva così il privilegio di posta degli svizzeri in Lombardia. Pietro Rossi, tornato in patria, sarà, poi, il primo direttore delle poste del Ticino. Morto 1’11 dicembre 1838 fu sepolto a Calprino (Pambio) sua patria di origine (Ibidem). Dell’importanza generale del servizio postale svizzero nelle relazioni italo-svizzere ce ne occuperemo in un prossimo capitolo. L’abolizione degli oneri feudali di natura personale e la soppressione del prelevamento delle decime, del tributo e di altri oneri reali aveva fatto aumentare, intanto, il prezzo dei terreni in tutta l’Elvetica, arricchendo da una parte i vecchi proprietari e, allontanando dall’altra, la possibilità per i contadini di poter acquisire degli appezzamenti per le necessità delle loro famiglie. Quei provvedimen- ti, che dovevano costituire la grande conquista della Rivoluzione, ebbero, invece, come nota il Martin, «un quadruplice effetto negativo: mandò in rovina lo Stato, disorganizzò l’assistenza pubblica e il bilancio dei Comuni, scontentò i beneficiari, che la trovavano insufficiente, irritò i proprietari spodestati, sia nobili feudatari sia capitalisti cittadini e infine sollevò contro il governo tanto i contadini dei Cantoni montani quanto gli agricoltori dell’altipiano». Per la Repubblica Elvetica, quella legge, che, nelle intenzioni doveva essere generosa, ebbe, invece, il merito di scontentare proprio tutti, «fu un disastro che decise il suo destino» (MARTIN William, op. cit., p. 165). Perché, ben presto, come fa notare anche il Gilliard, il nuovo regime che «rompeva brutalmente con il passato e non si riallacciava a nessuna tradizione del paese... era diventato odioso a tutta la popolazione» (GILLIARD Charles, op. cit., p. 62). Il governo dell’Elvetica era, dunque, fallito sulla riforma più qualificante di tutta la Rivoluzione. Nonostante gli eccessi e gli insuccessi, la Rivoluzione non era stata tuttavia inutile, anzi alcuni provvedimenti presi dal Parlamento della Repubblica Elvetica segnano i primi importanti e decisivi passi per la creazione di uno Stato moderno e democratico. Gli Svizzeri, come fu sancito dal Contratto di alleanza del 1798, appartenenti delle tante, troppe, realtà politiche della vecchia Confederazione, erano finalmente cittadini della stessa Nazione, senza distinzione di lingua, di fede, di condizione sociale, tutti con gli stessi diritti e con gli stessi doveri. Tanti germi caduti improvvisamente dall’alto non potevano, tuttavia, trovare un terreno fertile su cui sbocciare, fiorire e dare frutti rigogliosi. Gli abitanti della vecchia Confederazione non potevano essere trasformati, nel breve tempo di qualche anno, da conservatori estremi a rivoluzionari. Loro non avevano chiesto l’unité, la fraternité e la liberté, perché come dice Emilio R. Papa, concordando con William Martin, «il discorso è molto semplice: quanto all’unità non la volevano affatto; quanto alla fraternità, da popolo pratico, non ci credevano; quanto alla libertà, già ce l’avevano o credevano di averla» (PAPA Emilio Raffaele, op. cit. , p. 133). L’introduzione di tante novità e l’abolizione di tanti privilegi e imposizioni non si potevano realizzare «senza esperienza, senza apparato amministrativo, senza personale, senza denaro per reclutarne e, fatto ancor più notevole, senza spargimento di sangue» (MARTIN, p. 163). La Rivoluzione, frutto di una tremenda e sanguinosa guerra civile, nata in Francia, dove esisteva già un vero e proprio apparato statale centralizzato, non poteva essere, sic et simpliciter, importata in Svizzera e imposta ai suoi abitanti tanto diversi per lingua, religione, usi e costumi. gennaio 2017 La Rivista - 47 Sensazionale la squadra svizzera vince il titolo europeo! Alla quinta edizione delle EuroSkills Göteborg 2016, i campionati europei delle professioni, la squadra svizzera ha fornito prestazioni eccezionali. Le due donne e i sette uomini della squadra delle SwissSkills con una media di 529 punti hanno ottenuto la sensazionale prima posizione nella classifica delle nazionali, aggiundicandosi il titolo europeo! Due ori, due argenti, due bronzi e tre diplomi: questo il bilancio straordinario. Con un inizio imponente per la cerimonia di chiusura delle EuroSkills nella Scandivian Arena è cresciuta la curiosità nello Swiss Team per conoscere i risultati dei nove concorrenti. Non meno di sei componenti del team sono stati chiamati poi sul palco per ricevere una medaglia. Con due campioni europei, due vice campioni europei, due terzi posti e tre Medaillons of Excellence alla fine il team svizzero è riuscito ad imporsi come campione europeo nella classifica delle nazioni. «Sono molto soddisfatto. La classifica delle nazioni (1° Svizzera; 2° Austria; 3° Germania, red.) dimostra che i paesi con un sistema di formazione professionale duale sono assolutamente al top», ha affermato Rico Cioccarelli, Delegato tecnico di SwissSkills, subito dopo la cerimonia di chiusura. Anche la Delegata ufficiale di SwissSkills, Christine Davatz, era assolutamente entusiasta. «Sono terribilmente fiera, ancora una volta ce l’abbiamo fatta. La vittoria si deve assaporare: siamo i migliori in Europa, nove concorrenti e tutti portano a casa qualcosa. È semplicemente grandioso.» Elevate aspettative e tutte soddisfatte Gli stessi vincitori delle medaglie non potevano crederci. L’installatore elettricista Yvan Fässler inizialmente con molta modestia aveva detto di essere contento della sua prestazione. Ora può affermarlo con piena convinzione poiché il ventiduenne di Zurigo non solo è il nuovo campione europeo ma con i suoi eccezionali 562 punti anche il «Best of Nation», ed è riuscito così a 48 - La Rivista gennaio 2017 conquistare una seconda medaglia. Quasi non ci poteva credere, quando è stato chiamato, e ha sottolineato: «Sono state fantastiche le emozioni provate in questi momenti. Per una simile esperienza, vale la pena ogni secondo investito.» Anche per il muratore ventiduenne vallese Bruno Pravato prima della gara c’era un’unica aspettativa, la medaglia d’oro. Alla cerimonia finale per l’eccitazione ha sprofondato il viso in una bandiera svizzera e vallese, prima di precipitarsi urlando sul palco per ritirare la sua meritata medaglia d’oro. «È incredibile che io sia diventato campione europeo», anche dopo la premiazione non è riuscito a dire altro. Per di più ha ricevuto un abbraccio dal suo esperto René Engetschwiler. «Sono felicissimo, soprattutto per Bruno. È stato semplicemente grandioso quello che ha fatto.» Dare tutto e ottenere qualcosa Ma tutti nel team hanno dato veramente tutto, ha affermato il lattoniere Reto Reifler: «Abbiamo lavorato a pieno ritmo e questo è il risultato, sono molto soddisfatto.» Per la pittrice decoratrice Charlotte Martin le EuroSkills sono state un’«esperienza indescrivibile». Appenderà la sua medaglia nella sua stanza, «affinché possa vederla sempre». Il posatore di parquet Fabian Streule non riusciva nemmeno a descrivere il momento, quando è stato chiamato sul palco per ricevere la medaglia di bronzo. «È stato il meglio che mi sia potuto succedere», ha affermato entusiasta: «Un’esperienza grandiosa, che tutti dovrebbero fare, se ne avessero l’opportunità.» Lukas Berger, vincitore della medaglia di bronzo per la categoria Gessatura e Costruzioni a secco, si è espresso chiaramente dietro al palco: «Forte, semplicemente forte. Ce l’abbiamo fatta, abbiamo dato tutto e abbiamo ottenuto qualcosa.» Nessuna delusione, ma gioia per il team Tre membri dello Swiss Team hanno mancato il podio per poco. Ciononostante l’estetista Carla Calderari non è per nulla delusa: «Al contrario, sono super felice del mio quarto posto. È stata una grande esperienza e sono contentissima per tutta la squadra.» Il meccanico di macchine agricole Maurice Häner si è accorto già durante la gara di aver perso dei punti: «Nel mio profondo sapevo che non sarebbero stati sufficienti. Ma sono molto contento che gli altri membri della squadra abbiano vinto tante medaglie, questo mi ha molto toccato.» Anche il piastrellista ticinese Davide Donati ha mancato di poco un posto sul podio. Porta tuttavia con sé a casa un Medaillon of Excellence per le sue buone prestazioni. Paolo Gallo Pietrangelo Buttafuoco Francesco Sabatini (Rizzoli Etas - pp. 271, € 20) (Gesta erotiche di Agostino Tassi, pittore Skira - pp. 112, € 13,00) (Mondadori - pp. 224; € 18,50) La bussola del successo Il titolo del libro può far pensare che si tratti di un manuale denso di yuppismo del genere “Come diventare Donald Trump in sette passi”. Non è nulla di tutto ciò. E’ un libro tra l’altro scritto sorprendentemente bene da un manager che non è uno scrittore professionista. Poi è un libro profondamente sensibile. Paolo Gallo, capo del personale del World Economic Forum di Ginevra, condivide con il lettore degli aneddoti delicati di vita lavorativa e privata, le difficoltà affrontate e come ne è venuto a capo. Allora non si tratta di un manuale di risposte ma, come tutti i coach seri, Paolo Gallo aiuta a porsi le giuste domande. Alla fine che piaccia o meno le aziende o le organizzazioni in genere sono realtà umane complesse e difficili. Imparare a “lavorare insieme”, a collaborare è un percorso arduo. Ci troviamo tutti i giorni gomito a gomito con persone, con colleghi, con superiori o collaboratori o con clienti che hanno un’educazione diversa dalla nostra, personalità diverse, culture diverse, formazioni diverse. Questo libro dà degli spunti utili su come far bene stando nel bene, cioè su come avanzare e lavorare bene senza essere sopraffatti dalla prepotenza e dalla scorrettezza altrui e senza cadere nella frustrazione. Senza essere ricattabili. C’è un capitolo intitolato “Come fare carriera restando persone perbene”. Il massimo sarebbe far carriera da persone perbene e trasformare chi ci incontra. La notte tu mi fai impazzire “È un cinghiale, Agostino. La lussuria lo rende sfrontato. Non è proprio roseo per essere un maiale ed è, infatti, scuro, barbuto, vigoroso. Non è bello, ma accende le femmine. Ha dita di farfalla nella sua meticolosità pittorica. E così nelle manovre sui capezzoli delle tante donne a lui prone. Nelle manovre di carne è altrettanto puntiglioso come sulla tela con i colori. E le strapazza tutte, le femmine: maneggiandole, impastandole, mescolandone gli umori nella tavolozza dell’osceno più che compiuto”. Pittore già affermato, nel 1611 Agostino Tassi inizia con l’amico Orazio Gentileschi a decorare il Casino delle Muse a Roma. Un anno dopo Orazio gli intenta un processo per avere abusato di sua figlia Artemisia, anch’essa pittrice di talento. Il processo si trasforma in uno dei più clamorosi eventi dell’epoca, suscitando innumerevoli dicerie che diffamano di volta in volta Artemisia, Agostino e lo stesso Orazio. Ma chi era davvero Agostino Tassi, il celebre “stupratore” di Artemisia Gentileschi? Con il suo stile lirico e appassionato, Pietrangelo Buttafuoco ci accompagna nei vicoli fetidi e violenti di Tassi, “nel cui sguardo vive il ricordo di galere e di fughe dalla Toscana, attraverso la Roma degli assassini, dei ladri e degli impostori… Non ha ancora sulla coscienza un morto ma di ogni nefandezza, come tradire la fiducia dell’amico forzandone la figlia, ne fa blasone… I piedi sporchi dei santi ritratti dai suoi coevi in lui si trasfigurano in rughe inquietanti scavate sul respiro della notte”. Lezioni di italiano «Leggere e interpretare testi di vario tipo; capire che cos’è, precisamente, una “frase” e cioè incontrare faccia a faccia la grammatica; regolarsi nella varietà di “stili” dell’italiano; fronteggiare l’azione dei media, che in vari modi spesso ci alienano dalla nostra lingua; liberarsi da alcune preoccupazioni eccessive nell’uso normalmente comunicativo di essa; distinguere tra errore e divergenza stilistica.» Tutti usiamo la lingua, ma pochi lo fanno con consapevolezza. Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca, ci insegna a farlo in questa appassionante e innovativa Lezione di italiano. Svolta in dieci Dialoghi e dieci Inviti rivolti al lettore, condotti coniugando precisione e leggerezza, scientificità e praticità di tipo didattico. Il nocciolo della seconda parte dell’opera affronta i due temi cardine: l’indispensabile conoscenza riflessa del meccanismo della lingua, il trattamento che di questo meccanismo si fa producendo i testi, da quelli giuridici a quelli scientifici, saggistici, giornalistici, narrativi e poetici. E ancora: i temi della “prolissità italica”, dell’eccessiva cedevolezza all’anglolatinismo banale, dell’inefficace studio tradizionale del latino, del rispetto, ma non riproponibilità funzionale, dei dialetti, dell’ipersensibilità nei confronti di una lingua più comunicativa (le dispute sul congiuntivo!). Il tutto sullo sfondo della vita del nostro Paese, colta in un’efficace raffigurazione socioculturale finale, dove ciascuno può ritrovarsi, collocarsi e guardarsi allo specchio, “tirando fuori” la sua lingua. gennaio 2017 La Rivista - 49 La donna del secolo di Giuseppe Muscardini A duecento anni dalla morte di Madame de Staël Sull’onda del Gran Tour, che tra Sette e Ottocento formò il gusto estetico di molti giovani, Madame de Staël percorse tra il 1804 e il 1805 le strade d’Italia con occhio vigile,ricavandone gli spunti per Corinne ou l’Italie.A seguito della pubblicazione di un articolo intitolato Sulla maniera e la utilità delle Traduzioni, uscito nel gennaio 1816 sul periodico letterario milanese «Biblioteca italiana», Madame de Staël è considerata come l’iniziatrice del movimento romantico in Italia. L’Italia di Corinna Era figlia del ginevrino Jacques Necker, uomo politico ed economista che fu ministro delle Finanze per ben tre volte alla Corte di Luigi XVI a partire dal 1776.La madre era la vodese Suzanne Curchod, appassionata di letteratura, nel cui salotto approdarono Buffon, Diderot e d’Alembert. Avrebbe potuto Anne-Louise Germaine Necker, baronessa di Staël-Holstein, non ereditare dai genitori le forti passioni che guidarono la sua esistenza? E avrebbe potuto non scontrarsi più tardi con Napoleone Bonaparte, che le impose l’obbligo di tenersi distante almeno quaranta leghe da Parigi per aver lodato la letteratura tedesca dalle pagine di De l’Allemagne, dove aveva coraggiosamente riconosciuto alla Germania il primato spirituale dell’innovazione letteraria che all’epoca era in atto in Europa? Trasferitasi nel Castello di Coppet, sontuosa residenza di famiglia a venti chilometri da Ginevra, la nuova condizione di esiliata non le impedì tuttavia di viaggiare e di riunire nel proprio salotto sul Lemano, al pari della madre, intellettuali ed artisti. Un viaggio in Italia intrapreso tra il 1804 e il 1805, le permise di concepire il romanzo dal taglio autobiografico intitolato Corinne 50 - La Rivista gennaio 2017 ou l’Italie, conferendo alle sue pagine peculiarità che ne fecero un’opera apprezzata da quanti sostenevano la necessità di un accorpamento politico degli Stati europei, ideale abbozzo di un’aspirazione attuata solo in tempi più vicini a noi.Visitando il bel Paese in compagnia dell’economista ginevrino Jean-Charles-Léonard Sismonde de Sismondi, Madame de Staël indugiò su bellezze storiche e artistiche,su struggenti paesaggi e luoghi incantevoli, su ombre lanciate dalla fievole luce delle lanterne, come accadde nella Gipsoteca di Antonio Canova a Possagno. Ma nel contempo si soffermò sulle contraddizioni di un Paese dove agli inizi dell’Ottocento le nostalgie per il passato e le malversazioni depauperavano le risorse intellettuali, e dove la mancanza di un’intellighenzia capace di avvicinare gli italiani alla compagine europea era drammaticamente sentita da chi proveniva da fuori. Dietro la finalità letteraria, il valore morale dell’opera La protagonista è una giovane artista animata dal desiderio di viaggiare e di conoscere, nella quale si ipotizza la personificazione della pittrice grigionese Angelica Kauffmann. Ma va anche detto che nella finzione letteraria il personaggio di Corinna Edgermont, nata da padre inglese e da madre italiana, trae ispirazione dall’esistenza di Maria Maddalena Morelli, scrittrice di Pistoia conosciuta in Arcadia con lo pseudonimo di Corilla Olimpica. L’ammirazione che gli uomini di cultura italiani e stranieri manifestarono per la Morelli, attratti dal suo talento di verseggiatrice capace di improvvisare rime con grande facilità, fecero di lei una donna celebre, tanto che l’imperatore Francesco I ne richiese la presenza presso la Corte di Vienna nel 1765 per conferirle l’incarico di poetessa laureata.Vi rimase sei anni, trasferendosi poi a Roma dove artisti di fama come Christopher Hewetson e Pietro Labruzzi, facevano a gara per poterla ritrarre, nel tentativo di immortalare le sembianze di una donna dotata di straordinarie capacità. Comprensibile dunque, anche per le affinità biografiche con Madame de Staël, che Maria Maddalena Morelli fosse presa a modello per incarnare Corinna. L’Italia di Madame de Staël: un paese solare dal passato illustre La traduzione in lingua italiana di Corinne ou l’Italie uscì nel 1808 dai torchi tipografici di Guglielmo Piatti di Firenze con il titolo di La Corinna ossia l’Italia della Signora Staël-Holstein, a tutt’oggi considerata l’opera più celebre della scrittrice. Dello stesso anno è la traduzione in lingua inglese, pubblicata in due volumi a Philadelphia da Hopkins & Earle con il titolo di Corinne, or Italy, che reca nel frontespizio i versi petrarcheschi Udrallo il bel paese, ch’Appennin parte, o ‘l mar circonda, e l’Alpe, tratti dal Canzoniere e contenuti nel sonetto O d’ardente vertute ornata et calda. Vorremmo non farlo, ma l’associazione di idee è talmente istintiva che non possiamo prescindere da una riflessione storico-letteraria scaturita dalla rilettura di Corinna a distanza di duecento anni dalla scomparsa della sua celebre autrice. Ci rifaremo qui alle riflessioni tutt’altro che politiche, rese in anni “non sospetti” da Giulio Ferroni nella sua encomiabile Storia della letteratura italiana: l’Italia visitata da Madame de Sael e descritta nel romanzo è un’Italia “solare” che al tempo stesso ha qualcosa di malinconico e mortale, quasi schiacciata dal peso del suo illustre passato e abbandonata ai margini dello sviluppo europeo: un’Italia in cui si sente soprattutto la mancanza di gruppi intellettuali capaci di attirare abitudini sociali positive, valori civili, un’opinione pubblica efficace e produttiva. La comparazione è spontanea e l’attualità emerge decisa. Lo spunto ideologico sviluppato in Corinna seppe dilatarsi quando la stessa Madame de Staël pubblicò nel gennaio 1816 sul primo numero del periodico milanese «Biblioteca François Pascal Simon Gérard, Ritratto di Madame de Staël olio su tela, 1810 circa, Castello di Coppet, Salone dei ritratti italiana» un articolo dal titolo Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni, indirizzato agli intellettuali italiani che venivano accusati di essere troppo legati al passato, senza per questo avvedersi dei balzi in avanti compiuti dalla letteratura europea. Un intento polemico caratterizzava quell’articolo, segnatamente nella parte in cui l’autrice asseriva che gli italiani da secoli continuavano a rimestare nella cenere gioielli ormai trovati, riferendosi alle nostre più accreditate glorie letterarie, Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso. Occorreva a suo dire saper intravvedere orizzonti diversi, allargare gli ambiti, se si voleva competere con l’affermarsi delle culture d’oltralpe. Da qui si aprì il dibattito serrato fra classicisti e romantici, iniziato con Pietro Giordani che di lì a poco, in risposta all’articolo della De Staël, sostenne la sua posizione dalle stesse colonne della «Biblioteca italiana». Giordani mediò: se da una parte riconosceva che la cultura italiana ristagnava nel passato privilegiando un sentire classico, dall’altro difendeva ciò che era nostro, orientato da secoli verso un’idea estetica della letteratura, aliena al nuovo perché il bello era una categoria dello spirito a cui proprio gli antichi, latini e greci per intenderci, erano già approdati. Il movimento romantico tuttavia sgomitava, accogliendo per buone le idee della De Staël e convincendo della loro validità la nutrita schiera di letterati e poeti italiani che si dibattevano fra vecchio e nuovo.Tra questi Vincenzo Monti, che le attribuì il nome di donna del secolo, in ragione della sua comprovata perseveranza e onestà intellettuale. gennaio 2017 La Rivista - 51 Al Museo nazionale di Zurigo fino al 17 marzo 2017 La mostra allestita al Museo nazionale presenta quattro scritti di autori che con le loro idee contribuirono a plasmare l’identità dell’odierna Svizzera: Henri Dunant, Jean-Jacques Rousseau, Giovanni Calvino e Petermann Etterlin. © Museo nazionale svizzero «Idee della Svizzera» e «du – dal 1941» Idee che incarnano l’identità della Svizzera Cosa rende la Svizzera ciò che è o che appare oggi? L’instalginale di Rousseau accanto a documenti autografi di Calvino lazione «Idee della Svizzera», collocata nella zona all’ingrese Dunant. A raccogliere il testimone di questa eredità ideale, so del nuovo Museo nazionale, cerca di rispondere a questa sviscerandone le tante possibili implicazioni, interviene, di voldomanda. Attraverso gli scritti di Etterlin, Calvino, Rousseau e ta in volta, una mostra temporanea. Inaugura il ciclo un’icona Dunant, affiancati dalla Carta Dufour e dal plastico del Gottartra le pubblicazioni del XX secolo: la rivista «du». do, invita a scoprire e decifrare le idee che «fanno» la Svizzera. Di volta in volta, il tema cardine dell’installazione sarà svolto «du», monumento del giornalismo culturale e approfondito da una mostra temporanea. Ad aprire il ciclo «du» è una delle poche riviste che il tempo non trasforma in è una vera e propria icona pubblicistica del nostro passato carta straccia, ma a cui anzi conferisce un valore collezionirecente: la rivista «du», con i suoi 75 anni di storia. Con la mostico. Lanciata nel 1941 da Arnold Kübler, la pubblicazione stra «du – dal 1941» il Museo nazionale propone per la prima ha avuto una storia movimentata. Con i suoi importanti artivolta una panoramica delle annate coli di taglio socio-politico e le immagini della rivista nel corso del XX secolo. dall’intensa carica emotiva, ha saputo La zona all’ingresso del nuovo edificonquistare un pubblico di lettori che va cio del Museo nazionale funge idealben oltre la ribalta elvetica. A metà degli mente da «ouverture» che introduce anni Cinquanta la sua tiratura era già sue accompagna il visitatore alla sucperiore ai 30 000 esemplari. Quando, nel cessiva mostra: la nuova installazio1958, Manuel Gasser subentrò ad Arnold ne «Idee della Svizzera» presenta le Kübler quale caporedattore, l’attenzione storie che raccontiamo e quelle che si concentrò in modo ancor più spiccato narrano di noi, storie che contribuisulle tematiche artistiche. Ogni cambio scono a plasmare la nostra identità della guardia alla testa della redazione collettiva. In quest’ottica, quattro ha significato, con poche eccezioni, una scritti rivestono una particolare vabrusca virata nell’organizzazione e nella lenza rappresentativa: la «Kronica» di concezione della rivista. Petermann Etterlin, l’«Institutio ChriDal 1941 sono stati dati alle stampe stianae Religionis» di Calvino, il trattacentinaia di numeri di «du». Per la prima to di Jean-Jacques Rousseau sull’evolta, il Museo nazionale Zurigo propoducazione naturale e «Un Souvenir ne una panoramica della pubblicazione de Solférino» di Jean-Henri Dunant. dagli esordi nel 1941 fino alla sua cesSfogliando queste opere in modalità sione da parte dell’allora proprietaria, la interattiva, i visitatori colgono quanto Tamedia SA, all’inizio del XXI secolo. AtFrontespizio del primo numero di questi testi influenzino ancora oggi traverso un’accurata selezione di uscite «du», marzo 1941. l’idea che si ha della Svizzera. Il plae documenti quasi del tutto sconosciuti © Du Kulturmedien AG stico del Gottardo, realizzato per Expo al grande pubblico, la mostra racconta il 2015, e la Carta Dufour, capolavoro lavoro compiuto dai vari caporedattori e dai loro fotografi per della cartografia, invitano, attraverso un ricco corredo di conpubblicare una rivista intrisa dello spirito dell’epoca. I visitatori tenuti virtuali, ad esplorare la Confederazione da un punto di hanno modo di sfogliare esemplari di «du» risalenti a diversi vista geografico, demografico e socio-economico. Ma l’instaldecenni. L’esposizione non è solo un omaggio a un grande lazione non si limita alla sfera multimediale: grazie alla Biprodotto della stampa, bensì anche una testimonianza del bliothèque de Genève è possibile ammirare il manoscritto origiornalismo culturale. 52 - La Rivista gennaio 2017 Al Museo fotografico Winterthur dal 11 febbraio al 7 maggio 2017 What We Want, Hong Kong, T46, 2006 Francesco Jodice - Panorama Panorama è la prima retrospettiva internazionale del fotografo e film-maker italiano Francesco Jodice (1967), che racconta il suo percorso artistico degli ultimi vent’anni. In Panorama storie, luoghi e epoche storiche si intersecano, sottoponendo interrogativi di natura sociologica al mondo urbanizzato. Ma non solo. L’esposizione, oltre a mettere in mostra libri, interviste, ritagli di articoli di giornale e carte geografiche, illustra come l’autore, nella realizzazione delle sue opere, traduca in pratica la riflessione teorica. Panorama è un mosaico eclettico che descrive un presente in divenire e offre un’analisi geopolitica della realtà. Nell’universo di Jodice, la fase di ideazione e di creazione dell’opera è importante tanto quanto la forma finale dell’opera stessa. Panorama mostra dunque le componenti nascoste, spirituali, che influenzano la metodica e la ricerca stessa dell’autore. L’esposizione invita a seguire le tracce artistiche di Jodice e la loro relazione con le tendenze sociologiche e filosofiche dei nostri giorni. Ciò riguarda sia il suo approccio artistico interdisciplinare, le tecniche adottate e il sistema in cui opera, sia i diversi gruppi di pubblico ai quali si indirizza. Di tutto l’insieme delle opere di Jodice vengono presentati 6 progetti. Questi rendono intellegibile un mondo lontano e vicino allo stesso tempo, decostruendolo in concetti quali “partecipazione”, “ricerca” e “racconto artistico”. Questi concetti si rivolgono direttamente all’essere umano. Nell’atlante fotografico iniziato da Jodice nel 1996, “What we want”, viene rappresentata l’evoluzione territoriale di 150 metropoli e luoghi pe- riferici. Qui è interessante notare come le loro affinità siano più numerose rispetto alle differenze. Lo stesso avviene per “The secret traces” (1996-2007) o “Citytellers” Un’immagine da Dubai Citytellers, Film Still, HD Film, 57 Min., 2010 (200-2010) – a Dubai, San Paolo e al Lago d’Aral - in cui l’autore segue, come un detective privato, i suoi soggetti per ricerche in campo cinematografico e artistico. Per la prima volta, invece, al centro dell’opera “The Room” (2009-) non stanno più le fotografie, bensì frammenti di giornale, che Jodice ricopre quasi completamente di colore nero. “Solid Sea” viene realizzato grazie ad una fruttuosa cooperazione con il Collettivo Multiplicity. Mostrato per la prima volta all’esposizione documenta11, in questa installazione il Mar Mediterraneo assume una forma solida e minacciosa: alla stregua di un ipotetico aggregato, sottolinea un elemento di costanza in tempi in cui le società e gli stati nazionali tendono, invece, alla rapida disintegrazione Francesco Jodice vive a Milano, dove lavora come professore di Antropologia Urbana Visiva all’Accademia Artistica NABA e come docente presso la Fondazione Forma per la Fotografia. Le sue opere sono state esposte a documenta 11, alla Biennale di Venezia e San Paolo, alla Tate Modern, al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía e al Castello di Rivoli. Panorama è organizzata in collaborazione con CAMERA-Centro italiano per la Fotografia (Torino) a cura di Francesco Zanot e Thomas Seelig. L’esposizione si avvale del sostegno di Monterosa Group e dalla Fondazione Walter Haefner. Il catalogo che accompagna la mostra, pubblicato dalla casa editrice Spector, propone una visione d’insieme dell’universo di Francesco Jodice. Concepito come antologia decostruttiva, arte, politica, filosofia, antropologia, pianificazione urbana e geografia sono ambiti affrontati in stretta interrelazione. Parallelamente a questa esposizione, il Cinema Cameo di Winterthur ha in programma per febbraio/marzo 2017 una rassegna di film su Francesco Jodice. gennaio 2017 La Rivista - 53 A Napoli, al Pan di via dei Mille, fino al 12 febbraio 2017 di Augusto Orsi Lo sguardo Senza Confini di Steve McCurry Senza confini è il titolo della stupenda ed avvincente esposizione di Steve McCurry, foto reporter statunitense che dal 1979 ad oggi è stato presente sui campi di battaglia di tutto il mondo a testimoniare, con i suoi scatti diretti ed essenziali, le atrocità dei conflitti bellici, ma soprattutto per ritrarre con grande partecipazione umana i volti delle vittime e gli aspetti della vita quotidiana di chi soffre. Steve McCurry con la sua celebre foto della ragazza afgana Sharbat Gula Sono foto capaci di restituire gli stati d’animo delle persone in particolare attraverso gli sguardi. Paradossalmente, sarebbe bastata la foto che il fotoreporter di Filadelfia aveva scattato a Sharbat Kuba, la ragazza afgana nel campo profughi pakistano Peshawar nel 1979, per dirci la sua grandezza di ritrattista e la sua capacità di immortalare personaggi che parlano la lingua universale dei sentimenti e delle emozioni. L’immagine era diventata un’icona universale di desiderio di pace e di speranza per un mondo migliore. Con tenacia e determinazione professionale McCurry aveva ricercato per 17 anni l’enigmatica ragazza. Ritrovatala ne aveva realizzato due ritratti, in mostra, che dicono la trasformazione del personaggio e narrano la fine di un sogno che nella prima foto abitava nei suoi grandi occhi espressivi. In lei la speranza sembra essersi spenta, ma la si ritrova in altri personaggi della pregnante ed emozionante rassegna del Pan di Napoli. 54 - La Rivista gennaio 2017 Qua, la fotografia, fattasi arte della narrazione, ha come fil rouge il tema della partecipazione, senza confini, alla condizione umana, presente anche in immagini di vita che McCurry ha scattato in luoghi che non sono di guerra. Il grande fotoreporter piazza sovente con grande maestria il suo obiettivo non direttamente sulla guerra ma sugli effetti nefasti che questa produce sugli uomini, gli animali e le cose. Nei luoghi del mondo dove spesso la vita è più difficile, Steve McCurry ha saputo cogliere immagini di grande poesia, ma anche documentare le atrocità, di cui purtroppo l’umanità si è resa protagonista, dalle Torri gemelle alla guerra del Golfo, dal conflitto in Afghanistan al Giappone dopo lo tsunami, dai bambini soldato al dolore degli ospedali, immagini dure che ci mostrano un McCurry attento e partecipe osservatore di realtà dolorose. Il progetto espositivo realizzato magistralmente da Bibi Giacchetti è un viaggio nel mondo di McCurry, dall’ Afghanistan all’India, dal Medio Oriente al Sudest asiatico, dall’Africa a Cuba, dagli Stati Uniti all’Italia, attraverso il suo vasto e affascinante repertorio di immagini, in cui la presenza umana è sempre protagonista, anche se sola evocata. Nel suggestivo e indovinato allestimento di Peter Bottazzi, questa umanità ci viene incontro con i suoi sguardi in una sorte di caleidoscopio dove si mescolano paesi, volti, culture ed etnie colti da McCurry con straordinaria intensità. Molto valida l’audioguida proposta ai visitatori in cui McCurry racconta in prima persona, in modo sintetico ed efficace, i suoi scatti, aiutandoci a capire meglio il suo modo di fotografare, ma soprattutto la sua voglia di prossimità con la sofferenza e la speranza. Promossa dal Comune di Napoli, assessorato alla Cultura e al Turismo e dal Pan-Palazzo Arti Napoli, allestita al Pan di via dei Mille, la mostra, organizzata da Civita Mostre in collaborazione con SudEst57, si conclude il 12 febbraio 2017. Steve McCurry Da circa 30 anni, Steve McCurry è considerato una delle voci più autorevoli della fotografia contemporanea. La sua maestria nell’uso del colore, l’empatia e l’umanità delle sue foto fanno sì che le sue immagini siano indimenticabili. Ha ottenuto copertine di libri e di riviste, ha pubblicato svariati libri e moltissime sono le sue mostre aperte in tutto il mondo. Nato nei sobborghi di Philadelphia, McCurry studia cinema e storia alla Pennsylvania State University prima di andare a lavorare in un giornale locale. Dopo molti anni come freelance, compie un viaggio in India, il primo di una lunga serie. Con poco più di uno zaino per i vestiti e un altro per i rullini, si apre la strada nel subcontinente, esplorando il paese con la sua macchina fotografica. Dopo molti mesi di viaggio, si ritrova a passare il confine con il Pakistan. Là, incontra un gruppo di rifugiati dell’Afghanistan, che gli permettono di entrare clandestinamente nel loro paese, proprio quando l’invasione russa chiudeva i confini a tutti i giornalisti occidentali. Riemergendo con i vestiti tradizionali e una folta barba, McCurry trascorre settimane tra i Mujahidin, così da mostrare al mondo le prime immagini del conflitto in Afghanistan, dando finalmente un volto umano ad ogni titolo di giornale. Da allora, McCurry ha continuato a scattare fotografie mozzafiato in tutti i sei continenti. I suoi lavori raccontano di conflitti, di culture che stanno scomparendo, di tradizioni antiche e di culture contemporanee, ma sempre mantenendo al centro l’elemento umano che ha fatto sì che la sua immagine più famosa, la ragazza afgana, fosse una foto così potente. McCurry ha pubblicato molti libri, tra cui The Imperial Way (1985), Monsoon (1988), Portraits (1999), A Journey Along the Coffee Trail (2015), and India (2015). gennaio 2017 La Rivista - 55 A Zurigo la seconda edizione dello Human Rights Film Festival Le donne protagoniste di Giovanni Sorge Parlare di diritti umani, oggi, fa riflettere su quanto spesso i principi la statuiti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 10 dicembre 1948 vengano calpestati in tanti, troppi paesi. Costringe a misurarsi con gli aspetti più disumani della natura umana, ma permette anche di conoscere la forza e l’abnegazione di uomini e donne che, nei fatti, perseguono quanto afferma il Libro dei Mutamenti o I Ching:“il miglior modo di combattere il male è proseguire risoluti nel bene“. Sono state certamente le donne, le protagoniste del recente Human Rights Film Festival di Zurigo (7-11 dicembre): un grande omaggio alla donna, al suo coraggio e alla capacità di sognare. Non a caso il trailer ufficiale di questa seconda edizione zurighese del festival era una scena di Divines, il primo, straordinario lungometraggio della franco-marocchina Houda Benyamina, che racconta di due adolescenti – e straordinarie interpreti – alle prese con la ricerca di un’identità nella pesante, violenta realtà di una banlieu parigina. “Bisogna sognare, e sognare con forza, per mettere a fuoco, chiarire ciò che é evanescente e modificare la percezione delle cose. Può sembrare naif pensare di cambiare il mondo con film e dibattiti, essi tuttavia ci aiutano ad immergerci in altre realtà e acuiscono il nostro sguardo”. Ne é convinta Sasha Bleuler, direttrice del festival. Un festival che cerca,“per quanto possibile, di contrastare le avversità e le bruttezze del mondo attraverso la forza del cinema”. Circa 3000 spettatori hanno assistito alle venti proiezoni – tra fiction e documentari – provenienti dalla Siria a Israele, dall’Indoesia al Sudamerica, senza dimenticare Cina, Corea del Nord, ma anche dall’Europa. Opere di denuncia, riflessione, sensibilizzazione, 56 - La Rivista gennaio 2017 spesso frutto di anni e anni di lavoro. E a pressoché ogni pellicola sono seguite tavole rotonde e dibattiti con la partecipazione di esperti e operatori (da Human Rights Watch a Medici Senza frontere e molti altri). Per ragioni di spazio mi limito a segnalare tre lavori estremamente significativi. Jerusalem dell’israelo-statunitense Danae Elon é un documentario atipico. É la sua storia, quella di una donna nata a Gerusalemme e cresciuta a New York che decide di tornare ‘alle origini’ con la famiglia, tre bambini e il marito. È alla ricerca delle sue radici, vuole ritrovare un’identità, forse anche riallacciarsi al padre, dopo la sua scomparsa, lo scrittore Amos Elon. E magari scavare nei di lui silenzi sull’occupazione israeliana dei territori palestinesi. Eppure, creare una nuova vita in Israele risulta tutt’altro che facile quando non si voglia accettare una certa intransigenza politico-religiosa. Il film descrive questa fase di trasformazione, in una sorta di joyciano flusso di coscienza, attraverso una telecamera che sonda e scava nelle pieghe del quotidiano, facendosi strumento di investigazione e scavo nei territori psichici, più che geografici, della propria famiglia. “Per me – ha dichiarato la regista – questo non é un film politico, sono però convinta che la politica passi attraverso la dimensione personale”. L’innocenza dei figli che crescono, avulsa dalle partigianerie della vita adulta, li rende i veri protagonisti della storia. Perché forse proprio in loro Elon ha riposto le speranze di arrivare a conciliarsi con la propria ricerca, di un’identità consapevole delle proprie origini, ma altresì basata sul rispetto e la convivenza fra Arabi e Israliani. Una storia delicate e forte, ma dal finale amaro. Il documentario Jihad, a Story of the Others della norvegese Deeya Khan – visibile anche su www.itv.com –scava nelle pieghe dell’altro par excellence che ormai domina l’immaginario collettivo: il “terrorista islamico”. E lo fa attraverso una sequela di interviste raccolte, nel corso di due anni, soprattutto in Gran Bretagna, con fondamentalisti, ex terroristi, ma anche madri e parenti delle vittime. L’idea di fondo è capire che cosa spinga giovani nati e cresciuti in Europa ad abbracciare un’ideologia di morte. Ne deriva un quadro variegato ed inquietante: c’è chi – uomini, ma anche donne – scappa da situazioni insostenibili o prive di prospettiva, chi genuinamente crede a una sorta di utopia rigeneratrice o si lascia sedurre da modelli di eroismo o scenari apocalittici; e chi, votatosi all’idea di combattere per una giusta causa, finisce per cozzare con tutt’altra realtà e realizza, spesso ma non sempre, che imbracciare l’odio con l’aiuto di Dio e del kalashinkov non basta a dare una risposta al vuoto esistenziale. Emerge spesso una povertà emotiva e immaginativa agghiacciante (a conferma dell’attualità de La banalità del male della grande Hannah Arendt): d’altronde mica bisogna essere dei mostri, anche se poi, nei fatti, lo si diventa – né bisogna esser cresciuti con le armi come compagni di gioco. Ed è sul bisogno di modelli, di eroismo e, in ultima analisi, di senso che spesso, purtroppo, l’Isis fa presa, calamitando molti di coloro che – a prescindere da età, sesso o etnia – non hanno avuto possibilità di crearsi uno spazio, un progetto e sono bramosi di trovare qualcosa o qualcuno disposto ad occuparsi incondizionatamente di loro, tutti insieme contro il nemico comune. Questo documentario lo mostra molto bene, tuttavia mantenendo una sospensione del giudizio. Kahn non lo ha concepito, dice, come un film sull’Islam, “ma sulla natura umana, per capire che cosa porti a rendere accettabile ai giovani questo messaggio di violenza. E alla fine ho capito che la motivazione non è diversa da quella che porta i giovani a diventare skinheads, o membri di una gang”. Va infine menzionato What tomorrow brings dell’americana Beth Murphy, uno dei film più toccanti del festival. In Afganistan, ove l’istruzione è facoltativa e l’educazione femminile largamente osteggata, esiste dal 2008 il Zabuli Education Center, una scuola privata fem- minile a 30 miglia da Kabul finanziata da donatori statunitensi, ove studiano 550 studentesse tra i 4 e i 22 anni. Murphy per anni ha raccolto storie, seguito diversi momenti, è andata a trovare insegnanti ed alunne, descrivendo un’istituzione che é modello di civiltà ee, al contempo, di coraggio: perché gestire una scuola femminile significa fronteggiare la continua l’ostilità di larga parte della popolazione, conquistare il rispetto la fiducia in un mondo in cui il solo fatto di insegnare è un atto rivoluzionario. In una scena, semplice quanto agghiacciante, vediamo Razia Jan, la direttrice e fondatrice dell’istituto, compiere un atto quotidiano. Quale? Testare l’acqua prima dell’arrivo delle studentesse:“perché se è stata avvelenata, io sono una sola persona. Ma se si tratta di 400 bambine we have a problem”. Razia Jan ricorda come prima della salita al potere dei talebani in Afganistan, nessuno parlava di burka e altre simili ingerenze radicaliste nella vita civile. Purtroppo, lascia capire, la situazione sta peggiorando: l’ostilità di certe comunità locali, gli episodi di intolleranza, addirittura gli sfregi con l’acido a ragazze semplicemente colpevoli di voler studiare. Eppure il documentario di Beth Murphy ha il grande pregio di esprimere ottimismo, se non altro aattarverso le figure della direttrice, delle insegnanti, e di molte delle studentesse. Vi è la storia di una ragazza destinata, ancora minorenne, a un matrimonio con un uomo che potrebbe essere suo nonno, scompare da scuola per sei mesi: e quando ritorna, lo fa da vincitrice: perché è riuscita o far accettare alla famiglia della sua volontà di studiare. M’è capitato di vedere pochi lavori come questo capaci di intercettare, con una freschezza e al contempo discrezione straordinarie, senza infiorettare nulla ma semplicemente descrivendo e raccontando, quanto questa scuola, ma anche la scuola in sé come istituzione sia luogo di civiltà e valorizzazione dell’individuo. In chiusura segnalo che il 10 dicembre è stato fondato a Zurigo il Mercurius Prize, un premio cinematografico dedicato a film di eccellenza nell’ambito della psicologia junghiana e dei diritti umani (http://mercuriusprize.com). Una scena di Divines, è stata utilizzata per il trailer ufficiale della seconda edizione zurighese del festival gennaio 2017 La Rivista - 57 Sequenze di Jean de la Mulière Allied La La Land Divines Nel Marocco del 1942, Max Vatan (Brad Pitt), agente dell’intelligence americana, e Marianne Beauséjour (Marion Cottillard) membro della Resistenza francese, si ritrovano complici in una missione: entrambi sono incaricati di uccidere un generale tedesco. Inevitabilmente, s’innamorano e Marianne accetta di sposare Max e andare a vivere con lui a Londra. Qualche tempo dopo, quando l’unione è già coronata dalla nascita di una bambina, il colpo di scena che dovrebbe sconvolgere la storia: il comando avvisa Max che Marianne potrebbe essere una spia tedesca. Il cuore non accetta. Dove sarà la verità? Il film si sviluppa sulle piste di un thriller romantico, piuttosto nostalgico, preoccupato più di rendere omaggio al glamour della vecchia Hollywood (d’obbligo, perché scontato l’accostamento con Casablanca), anziché sviluppare la narrazione di una storia amore che può diventare (letteralmente) un vero campo di battaglia dal quale, però, i protagonisti sembrano volersi estraniare, lasciando che scorra piatta e priva di colore. La pulizia del racconto e la costruzione elementare, ma proficua della suspense, ben calibrata nel copione sono la base di un racconto di genere come questo. Allied, a tratti teso e coinvolgente, però, - pur avvalendosi della riconosciuta perizia del regista che però non può conferirvi quella magia tecnologica che solitamente costituisce il suo marchio di fabbrica e pur in una generale sontuosità - non riesce a trovare un tono consistente, saltando continuamente da spy story avventurosa a film di guerra stilizzato a trattato sul matrimonio. Los Angeles. Mia sogna di poter recitare, ma intanto, mentre passa da un provino all’altro, serve caffè e cappuccini alle star. Sebastian è un musicista jazz che si guadagna da vivere suonando nei piano bar in cui nessuno si interessa a ciò che propone. I due si scontrano, si incontrano, si amano e si sostengono decisi a realizzare le loro aspirazioni, anche a costo di consumare un amore, di alimentare il rimpianto per il passato. La La Land racconta una storia d’amore, una storia di sogni e delusioni, di follia e di crescita; una storia che, ambisce a raccontare due personaggi, una città, l’amore per la musica, il cinema, l’Arte, l’Immaginario. E, ovviamente, la nostalgia. Ryan Gosling & Emma Stone: alla loro terza collaborazione, belli, simpatici, affiatati, teneramente goffi nella danza e nel canto. Forse perché per girare un musical, oggi, hai bisogno delle star, o forse perché Damien Chazelle sapeva che era proprio di quella goffaggine che aveva bisogno per raccontare la sua storia. Ma in La La Land sono tantissime le cose che s’intracciano: perché se di nostalgia si parla, si parla di quella per una musica (che però proprio morta proprio non è), per un modo di fare e vedere cinema, per quelle vite che abbiamo abbandonato lungo gli incroci della vita e che potevano essere le nostre. La nostalgia di La La Land, insomma, è quella per un romanticismo privo di ogni cinismo o sarcasmo. Perché alla fine nostalgia e romanticismo sono senza tempo. Capaci di far entrare lo spettatore nella storia e di immaginarne anche gli sviluppi. Presentato con successo alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes il film racconta la storia di Dounia, un’adolescente tenace, anche se ingenua, che sogna di arricchirsi, non importa in che modo. Per chi vive in un ghetto vicino a Parigi, dove la droga e la religione regnano sovrane, conquistare potere e successo è un desiderio che equivale a una via d’uscita. Così, con l’aiuto della sua migliore amica, Dounia prende come modello di riferimento uno spacciatore rispettato, ma quando incontra una giovane e sensuale ballerina, la sua vita cambia in maniera sorprendente. Dopo un’apertura musicale la cui intensità dà il là al resto del film (l’intreccio è accompagnato da una colonna sonora formidabile), i primi momenti di Divines, che mostrano le due inseparabili amiche mentre fanno il diavolo a quattro, ci rendono queste due ragazze follemente coinvolgenti, e la loro vitalità e il loro entusiasmo irresistibilmente comunicativi. L’intensità frenetica delle prime scene fa gradatamente spazio a qualcosa di più viscerale e duro. Il film narra le vicende delle due adolescenti con un ritmo incalzante, senza alcun buonismo ma comunque con vari momenti comici, propri della leggerezza dell’adolescenza. Dai tratti decisamente femministi e politici per i temi che affronta quando tratta della distanza tra città e banlieue, Divines si spinge anche oltre, tra gli accampamenti Rom. Non diremo di più sull’orizzonte che sceglierà di “visualizzare”, ma è sullo sfondo di questo confronto costante tra abbandono e controllo che si giocherà il destino della protagonista galvanizzata e galvanizzante. di Robert Zemeckis 58 - La Rivista gennaio 2017 di Damien Chazelle di Houda Benyamina Intervista con Pippo Pollina di Giangi Cretti Un anno dopo o giù di lì Incontro Pippo Pollina a Zurigo, mentre si prepara a tornare sul palco (il 13 gennaio al Volkshaus di Zurigo e poi via per altre 169 date in giro per l’Europa), quando è ormai agli sgoccioli l’anno sabbatico che si è preso per “vivere e guardarsi attorno”, per trovare nuova linfa creativa, che ha subito convogliato in un nuovo disco, Il sole che verrà, (in uscita il 12 febbraio) in cui, con ancor maggior forza, ci richiama alla speranza e al ruolo che ciascuno di noi deve avere nella società. Una rinnovata assunzione di responsabilità che, in uno scenario in cui politica e religione sembrano aver abdicato in favore dell’economia, primo fra tutti, l’artista deve fare propria. Come sempre, con lui il discorso fluisce spontaneo e diretto. Per prima cosa dicci cos’hai fatto. Ho fatto un disco Ci hai impiegato un anno? Ah che cosa ho fatto in quest’anno? Non ho mantenuto la promessa di venire a cena da te (ride), ma ho girato tanto. Sono stato in diciotto Paesi, di cui cinque nuovi, dove mai avevo messo piede e quindi ho visto cose nuove e ho tratto ispirazione per scrivere di nuovo. Mi sono goduto il tempo. Ho sistemato casa nuova. Mi sono guardato dentro e attorno. Ho vissuto. Mi è piaciuto tanto. Lo rifarei. E poi hai fatto un disco. E poi ho fatto un disco. Dopo tre anni avevo voglia di fare un disco nuovo. Le cose cambiano. Alcuni dei progetti che ci hanno accompagnato per una vita diventano obsoleti e vengono sostituiti da altri. Il significato che un oggetto ha, ciascuno di noi li vede in maniera personale, però hanno anche un significato oggettivo. Il libro è un oggetto che contiene informazioni, riflessioni, analisi che ci portano nel leggerlo al raccoglimento. Raccoglimento interiore, ossia siamo lì in tranquillità a riflettere su quello che leggiamo. È un oggetto di un certo tipo, che premia, mette in evidenza alcuni aspetti del nostro modo di essere, del nostro modo di vivere. Questi oggetti oggi giorno sono stati sostituiti da altri oggetti, che invece esaltano altre modalità di vivere. E quindi io ho fatto un disco nuovo, perché penso sia importante offrire momenti di riflessione alla vita, stare seduti ascoltando ponendo attenzione a qualche cosa per un’oretta. Il disco secondo me ha anche questa funzione. Il disco, o la musica e le tue canzoni? Intendo: il disco come supporto fisico della musica e delle canzoni? Entrambi. Sai perché? Il supporto è la rappresentazione materiale di una cosa che materiale non è, ossia la musica. È come appunto un libro, questo tipo di supporto che hai nella libreria… gennaio 2017 La Rivista - 59 C’è la sua fisicità. Esatto, c’è la sua fisicità. Occupa uno spazio: in materiale e quindi mentale, perché tu lo vedi e ti induce a pensare: “Quel disco mi è piaciuto. Ora lo rimetto. Lo sento anche mentre faccio i piatti. Magari la prima volta mi seggo, apro il libretto, leggo i testi. Io, per esempio, li leggo sempre in contemporanea alla musica. A me piace molto pensare che ci siano ancora tante persone come me che fanno così e apprezzano quello che succede mentre si ascolta un disco. Non è la stessa cosa che avere tutto digitalizzato. A parte l’effetto acustico, mi piace l’idea che i ricordi, come il passato, come le parole, possano avere una loro fisicità. Il tempo non è soltanto aria che tira e se ne va, ma è un qualcosa che ha una sua materialità, che si accumula. Il tempo che impieghiamo per riflettere, per scrivere un libro, poi si materializza in qualcosa di concreto che tu puoi prendere in mano e che quando tu lo poni su uno scaffale, riverbera quelle parole, quei ricordi. E tu guardando pensi… ah sì, quel libro, mi ricordo, parla di questo… Così continua il rapporto con i temi e le emozioni che hai incrociato leggendo. Per questo mi piace ancora fare dischi. Il tuo nuovo album si intitola Il Sole che verrà. Annunciandolo hai dichiarato senza mezzi termini che la speranza, da sempre sotto traccia nei tuoi lavori, è il filo conduttore dell’intero album e che gli artisti hanno una specifica funzione sociale. Tu stesso, chiacchierando prima, cosa mi hai detto? Con una metafora mi hai detto che la politica, ma io aggiungo anche la religione, non è più in grado di esprimere quel repertorio di valori, di cui una società ha bisogno per funzionare bene. Non soltanto nei suoi meccanismi, ma per far star bene le persone che la compongono. La politica, la religione hanno fallito, perché hanno ceduto totalmente al loro ragion d’essere all’economia. L’economia ha sostituto la politica ed anche la religione, occupando tutto il territorio. Con la caduta del muro di Berlino, progressivamente, le società capitalistiche hanno occupato tutti gli spazi possibili, anche quelli che non sono loro proprie. Il Natale oggi è mero consumo, un business enorme per vendere, comprare, fare regali, organizzare vacanze. In tutto ciò, Gesù Cristo si rivolta nella tomba, a prescindere se uno ci crede o meno, ma si rivolta. Ma non è un assurdo? Non se ne può più. La politica non ha più il primato che aveva. L’economia ha prevalso nettamente su tutti i fronti, tutto si fa valutando vantaggi e benefici materiali. Èd qui che tu rivendichi il ruolo dell’artista. Certo. Se la politica e la religione sono fuori gioco, bisogna restituire all’umanità quelle due, tre cose che sono andate perdute. Noi abbiamo il dovere di prenderci delle responsabilità e di riportare certi temi all’interno della società, all’interno delle famiglie, all’interno delle scuole. Dobbiamo “mischiarci”. 60 - La Rivista gennaio 2017 In qualche modo, senza scomodare il passato, riproponi una visione gramsciana. Sul ruolo dell’intellettuale e della cultura. Non a caso Gramsci elaborò queste idee in un periodo in cui si affermava la dittatura, in un contesto sociale che avrebbe poi portato alla guerra. Noi viviamo in un tempo in cui l’umanità è consapevole che il clima e il pianeta si stanno surriscaldando e che la politica deve intervenire, altrimenti fallirà tutto un giorno. Ma siccome conta sola il tornaconto del presente, i potenti del mondo non si interessano a quanto potrà accadere fra 50 anni, tanto loro non ci saranno più. Ma che storia. Questa è pazzia. Oggi, più che mai, la tecnologia ci dice che abbiamo bisogno di saggezza, di ricondurre l’uomo a cose più normali, altrimenti io non so come andrà a finire. I segnali non sono buoni. Per esempio, il popolo americano che elegge Trump, Putin continua a fare ciò che vuole, Erdogan si attrezza per poter essere ancora più dittatore di quanto già non lo sia, l’Europa vende le armi sotto banco all’Isis, che è considerato il pericolo pubblico numero 1. Ma dove stiamo andando? Il mondo occidentale guarda alla Siria come se si trattasse di un film. Centinaia di migliaia di persone sono morte, muoiono, moriranno, solo perché hanno avuto la sfortuna di nascere lì. Quel territorio è diventato una specie di palestra, il laboratorio della guerra, dove il buon senso non ha albergo. Eppure noi siamo qui e brindiamo. In che modo, la musica, le canzoni, i testi possono ricondurre l’individuo a riappropriarsi di quel senso di responsabilità che oggi manca. In qualche modo siamo tutti responsabili di fronte a quanto accade o accadrà. Con nuova consapevolezza. Durante il nazismo in Germania, in modo clandestino si è sviluppato era il teatro alternativo che sviluppava una forma di opposizione al nazismo. Dopo la guerra, la Germania capì che dovevano partire dalla grande cultura tedesca per riposizionarsi all’interno del panorama europeo. E pensa cosa successe in Italia alla fine della Seconda Guerra Mondiale. La rinascita. Lo sviluppo dei talenti. La letteratura italiana del dopoguerra ha trovato il suo momento culminante. Lo stesso vale per il cinema con il Neorealismo.Tutto nacque dalla distruzione. Non dico che bisogna aspettare la distruzione, per capire che c’è necessità di ricostruire. Ma anche qui ormai si sta degenerando: persino il terremoto è un grande affare, cosi come dicono i politici e politicanti incerte telefonate. In questo scenario che senso ha un disco sulla speranza? Ha senso, perché è un modo per schiaffeggiarsi, svegliamoci, perché se abbiamo una chance ce la dobbiamo giocare. Altrimenti ahimè… intanto che vivo, ai nostri figli e ai loro amici, dico “ragazzi c’è speranza, datevi una mossa, perché il futuro è vostro, pero siete voi che dovete cambiare le cose”. E questo è possibile malgrado tutto? In fin dei conti, c’è una forma di consumismo esagerato anche nel modo in cui fruiamo dell’informazione, della cultura, del divertimento, della convivialità. Certo, implica uno sforzo, una disciplina personale. Anche soltanto per cercare di orientarci fra le notizie, distinguendo la bufala dalla verità. Noi italiani, abbiamo un esempio davanti a noi, ossia il referendum. Io ho votato no con convinzione. Non perché sono contro le riforme, non sono a favore di questa. Vorrei ci fossero delle riforme, ma di un altro tipo.Ti ricordi cosa scrivevano i giornali italiani ed europei prima del voto? Che se l’Italia votava no, sarebbe avvenute disastri inenarrabili. Un terrorismo mediatico incomprensibile. Ma di cosa stiamo parlando. Perché dire che l’Italia esce fuori dall’Unione Europea? Non era questo il quesito del referendum. Poneva una questione di politica interna italiana ed ognuno poteva essere a favore o contro. Infatti che è successo dopo? Niente, niente con la N maiuscola. L’Italia è rimasta la medesima. Cosa doveva succedere? È caduto il Governo, il giorno dopo ce n’era un altro uguale: non c’era più Renzi, c’è Gentiloni, i ministri sono praticamente gli stessi, e, secondo prassi non sempre comprensibile, si sono scambiati le poltrone. Ma anche questo è una spia che ci fa capire in che Paese viviamo. La cultura del potere distrugge tutti i giorni il Paese reale, anzi l’ha già distrutto. Ha raschiato il fondo barile. Peccato, l’Italia potrebbe essere l’eccellenza del mondo. Veniamo al tuo disco, per le brevi anticipazioni che ho avuto modo di ascoltare e senza la competenza dell’esperto, ho avuto l’impressione di un disco più maturo sia dal punto di vista musicale, sia da quello delle scelte e delle collaborazioni. Si percepisce un coinvolgimento più ampio di diversi generi musicali. C’è anche, e questo l’hai già dichiarato tu stesso, la scelta precisa di esperienze musicali e ca nore completamente diverse dalle tue. Concordo. Quando faccio un disco (ne ha fatti 22 – ndr) lo faccio non perché devo combattere la noia. Io ho una pretesa intellettuale di proporre una cosa, un elemento di studio, di sviluppo autentico. Come l’incontro con altri artisti: per esempio con una jazzista norvegese, una cantante di tango argentino di Buenos Aires, una cantante mezzo soprano dello Staattsoper di Monaco.Tre generi di interpretazione musicale diversi, provenienti da territori diversi, che però convergono un’energia alla forma canzone.A me interessa rientrare in questo modo di concepire la forma canzone, che io amo e sulla quale io lavoro, con artisti, con altri elementi, con altri progetti, espressione di altre esperienze e di altri territori in direzione della canzone. Noi ci incontriamo sempre nel territorio della canzone. Questa fusione ci fa capire che la musica è un terreno fertile, versatile, in cui tutto è possibile. È possibile mischiare, mantenendo fermo un comunque filo conduttore. Prendi ad esempio, la canzone con Laggiù le lampare in cui, con Rebekka Bakken, raccontiamo del mare: io come siciliano, lei come norvegese. Il mare dei fiordi e il mare del Mediterraneo sono due mari diversi. Si pensa sia uguale, ma non è così. Il mare porta storie diverse. Per i norvegesi il mare non è un cimitero come lo è invece il Mediterraneo, che racconta delle storie drammatiche. Ecco che diventano le metafore che servono a raccontare le storie di oggi. Io ho la pretesa, un dovere, la responsabilità culturale di dare il meglio di me, come canzoniere, di incidere e creare un pezzo di cultura, come un libro. Non qualcosa che si consuma e basta, ma come qualcosa che rimane lì per chi vuole ascoltare. Nel disco c’è anche tua figlia Lei canta con me in quattro, cinque pezzi fa i cori. Avevo bisogno di un coro ed è venuta lei con il suo ragazzo, che canta anche molto bene. Sono stati bravi. Qui batte il cuore di padre? Certo. Puoi immaginare. Nel tuo disco, che uscirà il 12 gennaio, c’è una canzone dedicata a Muhammad Ali. Se tu mi dici che ti sei alzato di notte a veder il suo combattimento con Foreman, lo puoi capire. Quando ha Ali smesso di combattere, ho smesso di seguire la boxe. Queste sono le persone che cambiano la vita e che cambiano la visione di uno sport. La boxe è morta oggi giorno. È finita, non conta più. A me della boxe non fregava niente, anzi non è mai piaciuto come sport, ma quando c’era lui era tutta un’altra cosa. Vedevi questo che danzava sul ring e tu pensavi: ma che sta facendo li nell’angolo? Perché? Poi lui combatteva a mani basse. Ma come mai? gennaio 2017 La Rivista - 61 Ma è pazzo? Ma lui voleva comunicare una cosa precisa. Nel combattimento, nella boxe non conta la forza bruta, ma conta il colpo al momento giusto. Allora io vinco schivando i colleghi avversari, li faccio stancare e poi ne basta uno al momento giusto e ciao. Io ricordo benissimo quando ci fu l’incontro con Foreman nel ‘74. Ricordo mio padre che era un grande fan e quindi ancora bambino avevo il permesso di alzarmi alle 4 di notte per vedere la boxe e Muhammad Ali. Quando lui passò 6-7 riprese, a fare ammattire l’avversario, rinchiudendosi nell’angolo, lo fece stancare e sferrò il cazzotto e lo fece andare KO. Ci fu un momento in cui Foreman barcollò, stava per dargli un pugno e poi si fermò. Poteva dargliene altri e invece non infierì. Fece la mossa ma si fermò. E chi era Ali? Era uno che non esitò a rifiutare di andare in guerra in Vietnam e questo rifiuto espresso pubblicamente in conferenza stampa gli costò quattro anni di squalifica e due di carcere. Per questo oggi il mondo è quello che è. Ma vogliamo mettere uno come Cassius Clay accanto a uno come Bobo Vieri, o come Cristiano Ronaldo. Quali sono gli sportivi che oggi sarebbero pronti a mettere a repentaglio la loro libertà personale e la loro onorabilità professionale, per prendere una posizione forte come l’ha presa lui nel 1964? Cinquant’anni fa. Io mi tolgo il cappello. Sto dicendo quelle cose che pensi anche tu. Se escludiamo alcune prestigiose collaborazioni e duetti, tu canti in italiano per un pubblico che, per la maggior parte, italofono non è. Un pubblico numeroso che ti segue, non è un caso che l’anno scorso nel tuo ultimo concerto prima dell’anno sabbatico hai riempito l’Hallenstadion di Zurigo, come solo i grandi della musica sanno fare. Come ti spieghi che il tuo pubblico non sia italofono? Eppure tu sei un messaggero della lingua italiana. In questo ruolo sei stato invitato anche in università americane. Si, anche a Parigi, ad Amsterdam. Come me lo spiego? Eh… Ci sono tanti motivi probabilmente. Io non vivo più di Italia da tanti anni. Secondo me per essere considerato espressione della musica italiana, non in modo astratto, devi esserti affermato lì professionalmente; devi essere in contatto con mass media locali, con quel modo di pensare, con quel modo d’agire. Sempre lo scorso anno hai riempito l’Arena di Verona Vero ma la cosa stridente è che su dieci mila persone che c’erano, nove mila erano stranieri e mille italiani. Non è che non ci sono, c’erano. Ma ormai la canzone d’autore italiana è un’arte vive un momento di stasi. Poi in Italia in Italia se non sondi il terreno, non ti conosce nessuno, a meno che non fai tutte ‘ste trasmissioni, come X-Factor. In Italia ormai, la canzone d’autore non interessa più, da ormai da trent’anni è uscita dalla programmazione radiofonica. Ma tu senti mai una canzone di Guccini che passa in radio? Come possono le nuove generazioni conoscere questa forma artistica se non ne conoscono l’esistenza. Ci sono nel panorama musicale italiano tantissimi cantautori, e pure bravi, che nessuno conosce. 62 - La Rivista gennaio 2017 Perché gli stranieri invece li apprezzano? Ti apprezzano? Se io avessi vissuto in Italia, probabilmente mi avrebbero conosciuto. Ma forse non mi avrebbero conosciuto qui, e io preferisco così. In Italia avrei dovuto fare tanti di quei compromessi che non sono capace di fare: blandire i giornalisti, diventare un ragazzo di quella rassegna, partecipare ai salotti, avere qualche amico politico. Ma cosa c’entra? In Italia, se sei donna, la devi dare a chiunque. Non lo dico io, ma i tanti colleghi e colleghe con cui parlo. Ma siamo nel 2017? Ma il risultato quale è? Umberto Eco, Dario Fo muoiono e ci rimangono Sgarbi e Andrea De Carlo. Vogliamo fare un confronto? Ciò che muore è la cultura italiana. E per colpa di una cultura del potere che per nutrire sé stessa è disposta ad uccidere la migliore parte della propria cultura, perché altrimenti quella sarebbe critica nei suoi confronti. Si valorizza e si assegnano posti migliori a coloro che sono ossequiosi. Il risultato quale è? Che i migliori se ne vanno: non solo gli artisti, anche i migliori ricercatori se ne vanno. Che si vuole? Allora noi rappresentiamo l’Italia fuori dai confini a nostro modo. Accanto alla tua attività, quest’anno hai improvvisato quello che possiamo definire il primo tentativo di realizzare a Zurigo un mini festival della canzone d’autore italiana. Un’esperienza, da un punto di punto della partecipazione di pubblico, soddisfacente, anche se quelli che sono venuti sono soprattutto quelli che sapevano che eri tu il direttore artistico della manifestazione. Non demordi e l’anno prossimo ci sarà un bis. Sì e lo facciamo insieme. Io un tentativo lo voglia fare, poi se fallirà, si vedrà. Adesso c’è un anno di tempo, dobbiamo trovare dei partner che possano essere sensibili alla cosa e far partire questa esperienza. Sperando possa diventare un giorno una cosa che non si fa più ala Miller’s Studio ma che si fa in un posto più prestigioso e che coinvolga la stampa nazionale svizzera e magari anche quella italiana. Da cosa nasce cosa. Il 12 gennaio uscirà il tuo disco. 13 gennaio sarai al Volkshaus di Zurigo e poi via in una lunga tournée. Quanti concerti sono previsti nel 2017? 170 concerti in otto paesi, in Francia, Olanda, Germania, Austria, Svizzera, Italia, per la prima volta in Ucraina. In Italia, in teatro, a Roma, Torino, Firenze, Misano Adriatico, Mantova, e Milano. Poi, il 9 giugno, a Palermo al Teatro Massimo. Torni sul luogo del delitto. Dei delitti. Ce n’è più d’uno Tutte le informazioni sulle date dei concerti di Pippo Pollina su: www.pippopollina.com Diapason di Luca D’Alessandro Litfiba Il Volo A quattro anni di distanza dall’album Grande Nazione, lo scorso 11 novembre Piero Pelù e Ghigo Renzulli, in arte Litfiba, hanno proposto il loro undicesimo album dal titolo Eutòpia, un disco che - non poteva essere diversamente - si presenta in abito rock particolarmente “litfibesco”. Dopo una decina di anni in separazione, terminata nel 2010 con il lancio dell’album Stato Libero, il duo fiorentino oggi fa risuonare i vecchi tempi, gli anni ottanta e novanta, ovvero i tempi di Pirata, Sogno Ribelle e Spirito. Eutòpia è un disco potente, con dei testi che puntano il dito sulla classe dirigente, dando una voce a coloro che nella vita non sempre hanno incrociato la fortuna. Un disco dalla parte dei più deboli - da un punto di vista social-economico - come dimostra in modo evidente il brano L’Impossibile. I vincitori del 65esimo Festival di Sanremo, Piero Barone, Ignazio Boschetto e Gianluca Ginoble de Il Volo, hanno lanciato un best of di arie classiche e canzoni provenienti dalla tradizione napoletana. Per citare qualche esempio: Turandot: Nessun dorma di Giacomo Puccini, Granada di Agustin Lara, Torna a Surriento di Ernesto e Giambattista De Curtis, oppure ‘O sole mio di Giovanni Capurro. Un concept disc dedicato ai Tre Tenori, una formazione composta da Luciano Pavarotti, Plácido Domingo e José Carreras che negli anni novanta e nei primi anni 2000 ha tenuto concerti in tutto il mondo. Dirige l’orchestra niente meno che Plácido Domingo, che a tratti contribuisce anche con la sua voce, mentre dietro le quinte agisce il noto manager musicale e produttore Michele Torpedine. Giuseppe Milici Massimo Guerra Xtet Il compositore e fisarmonicista palermitano, Giuseppe Milici, è diventato famoso con le sue presenze in diversi spettacoli televisivi, in particolare Fantastico, Uno su cento, Festival di Sanremo, oppure I Fatti Vostri. Il suo album The Look Of Love comprende le colonne sonore e canzoni che lo hanno accompagnato e ispirato negli ultimi decenni di presenza davanti al grande pubblico. Ad esempio: Singin’ In The Rain di Arthur Freed e Nacio Herb Brown, nel presente caso registrato in stretta collaborazione con il chitarrista Moreno Viglione, oppure il jazz standard Estate di Bruno Martino e Bruno Brighetti, reinterpretato dal trombettista Fabrizio Bosso. Giuseppe Milici per la produzione dell’intero disco si è avvalso della collaborazione del compositore romano Nerio “Papik” Poggi e l’arrangiatore Fabrizio Foggia. Massimo Guerra, trombettista jazz romano, presenta il suo primo progetto come solista, nel quale riunisce tutto ciò che nei decenni passati ha vissuto in varie formazioni sui palcoscenici internazionali. Tra le più importanti per il suo percorso professionale possiamo citare la collaborazione con il gruppo latinoamericano Mercadonegro, e la tournée con la “grande dame de la salsa” Celia Cruz, agli inizi di questo secolo. In quell’ambiente Guerra ha potuto sviluppare il suo approccio ai ritmi e alle armonie afrocubani. Un’altra svolta nella carriera è stata segnata nella collaborazione con i Mediterranean Jazz Six di Tullio De Piscopo. Tutto sommato, dunque, un album d’esordio con otto brani inediti, ricco di esperienza e abilità di un vero genio del jazz. Eutòpia (Sony) The Look Of Love (Irma) A Tribute To The Three Tenors (Sony) Jazz Mine (Irma) gennaio 2017 La Rivista - 63 Wine People – X factor per il successo nel mondo del vino di Rocco Lettieri Wine2Wine - Il forum sul business del vino Si è svolto nei giorni 6 e 7 dicembre 2016, presso il Centro Congressi VeronaFiere, il terzo Forum sul business del vino, ideato e organizzato da Veronafiere-Vinitaly, in collaborazione con Unione Italiana Vini, Federvini, Ice, OperaWine, VinitalyWineClub e Vinitaly International Academy (VIA), con presenza significativa di Business Strategies e WineMeridian. 100 relatori, 40 Workshop, 6 Aree tematiche per momenti di incontri esclusivi focalizzando i temi delle 4 “I”: Internalizzazione, Innovazione, Investimenti e Informazione. Tra i top speaker Hermann Pilz (Germania), direttore di Weinwirtschaft, chiamato a fare il punto sul secondo mercato per l’export delle cantine italiane; Jonas H. Röjerman (Svezia), capo del controllo qualità di Systembolaget, azienda pubblica che detiene in Svezia il monopolio della vendita di bevande; Felicity Carter, redattore capo della Meininger Wine Business International, rivista di taglio internazionale in lingua inglese sul business del vino che focalizza l’attenzione sullo “storytelling”, l’importanza di raccontarsi on line e gli effetti che questa attività può regalare alle aziende che ne sanno fare buon uso. Tra gli altri importanti relatori stranieri: Juliana e Gino Colangelo, Rebecca Hopkins, Cathy Huyghe, Lan Liu, Chery Cheng Peng, Steve Raye, Paul Truszkoski e Alison Napjus, che degusta vini provenienti dalle regioni di tutta Italia per Wine Spectator ed è anche lead taster di vini provenienti dalle 64 - La Rivista gennaio 2017 regioni Champagne e Alsazia della Francia. È possibile seguire Alison Napjus su Twitter all’indirizzo http://twitter.com/ napjuswine. Per l’Italia presenze significative sia di produttori (Rallo, Boscaini, Allegrini, Argiolas, Bisol, Cinelli Colombini, Angiolino Maule, Emilio Pedron, Carlotta Pasqua, Enrico Zanoni per Cavit, per citarne alcuni) che di personaggi Accademici della Vite e del Vino (Tomasi, Calò, Costacurta, Di Lorenzo, Pizzi, tra gli altri). Inoltre vanno ricordati: Silvana Ballotta di Business Strategies, Ian D’Agata (VIA), Lavinia Furlani, Andrea Pozzan e Fabio Piccoli di Wine Meridian, Silvia Zucconi di Nomisma e Stevie Kim, Managing Director di Vinitaly International che ha ideato ed ha lavorato duramente per realizzare la manifestazione. A capo del braccio strategico internazionale di Vinitaly, Stevie è impegnata ad utilizzare i canali innovativi per comunicare e celebrare “il vino italiano” all’estero - con un’enfasi creativa sui social media sempre con un occhio di attenzione per aiutare i produttori italiani a vendere di più di una semplice bottiglia di vino. I Convegni Impossibile seguire tutti i convegni in programma nei due giorni. Farsi un’agenda oraria era indispensabile. Qui propongo quelli che più ho ritenuto interessanti anche per i lettori de La Rivista (ci scusiamo con i relatori di cui non abbiamo potuto parlare). Il primo convegno è stato affidato al tedesco Hermann Pilz, direttore di Weinwirtschaft il quale ha toccato i diversi tasti della distribuzione dei vini italiani in Germania. Le sue considerazioni:“Il mercato del vino tedesco non conosce confini. Oggi come oggi qualsiasi tipo di fornitore di vino ha la possibilità di vendere i suoi prodotti in Germania. Il mercato tedesco rispecchia quindi la domanda da parte dei consumatori e la gamma dei prodotti disponibile a livello internazionale. I produttori di vino in Germania si sentono disorientati per quanto riguarda il mercato. Questo disorientamento fa emergere molte domande alle quali si cerca di trovare delle spiegazioni che da una parte danno sollievo, dall’altra parte provocano anche preoccupazioni. Secondo gli esperti del settore il mercato è ottimo oppure desolato, il punto di vista dipende da quale categoria di produzione e a quale canale di vendita appartengono gli interlocutori. La questione dei perché è quindi spesso il punto focale nei ragionamenti. Potendo indicare solamente i 3 mercati più importanti per la propria azienda, il 48% delle cantine include la Germania sul podio, seconda solamente agli USA”. Questo è quanto emerge dal VI Osservatorio wine2wine, che nei mesi di febbraio e marzo ha intervistato oltre 180 aziende vitivinicole italiane. Quello tedesco sembra essere un mercato top per l’export delle cantine italiane, particolarmente importante per le realtà con fatturati oltre i 2 milioni di € (56,5%) ed inferiori ai 500.000€ (53,6%). Discriminando sulla base del numero di bottiglie prodotte, sono ben 2 su 3 le cantine con una produzione superiore al milione di bottiglie/anno che includono la Germania nella Top3. Il Sud Italia guida la classifica (63%), mentre prendendo come indicatore il grado di internazionalizzazione (numero di mercati verso i quali si esporta attualmente), si assiste ad una polarizzazione molto forte: sono infatti particolarmente attive sul mercato tedesco le cantine che esportano in meno di 5 Paesi e quelle presenti in oltre 20 mercati (59% in entrambi i casi). Per quanto riguarda i 3 mercati verso i quali si punta maggiormente nell’anno in corso, di nuovo la Germania è al secondo posto, indicata dal 47,3% degli intervistati. Sono particolarmente focalizzate a questo mercato le cantine con fatturati oltre i 2 milioni di € (54,3%) e con produzioni superiori al milione di bottiglie/anno (57,1%). Centro e Sud Italia guidano la classifica dal punto di vista territoriale (rispettivamente 53,6% e 55,6%), mentre prendendo come indicatore il grado di internazionalizzazione (numero di mercati verso i quali si esporta attualmente), sono soprattutto quelle presenti in oltre 20 mercati a puntare for- temente sulla Germania (63,0%). Questi dati confermano come il mercato tedesco continui a rappresentare uno dei più importanti Paesi di destinazione per l’export vitivinicolo italiano. Il mercato del vino in Cina: quali sviluppi Come sta cambiando il mercato del vino in Cina? Quali sono le opportunità e le sfide per l’export del prodotto made in Italy? Qual è la percezione del vino italiano sui mass media cinesi? Ne hanno parlato Silvana Ballotta, di Business Strategies e due personalità chiave del mondo enologico cinese: Zuming Wang, vicesegretario generale dell’Associazione Cinese per gli alcolici e segretario generale dell’Associazione cinese del vino che lavora dal 2005 per l’Alcohol Bureau e Tao Weng, capo della Shanghai Dawen Information Development Ltd. e collaboratore del direttore generale di Shanghai Morning Post (Shanghai United Media) che si occupa della diffusione della cultura cinese del vino nel mondo e organizza importanti eventi di degustazione. Sono stati moderati dal giornalista di Radio24 Sebastiano Barisoni. Per Silvana Ballotta: ”Con una Il mercato del vino in Cina: quali sviluppi nano-quota di mercato pari al 5,6%, l’Italia è ferma al quinto posto tra i top exporter di vino in Cina, anche se i primi sette mesi del 2016 hanno registrato una buona performance. Secondo le elaborazioni del nostro Osservatorio Paesi Terzi – prosegue Ballotta – le vendite made in Italy sono aumentate del 28,1% (68,7mln di euro) sullo stesso periodo del 2015, meglio di Francia (+26,3%), Australia (+26%) e Cile (+20,1%). Per continuare in questa progressione dobbiamo potenziare la conoscenza delle specificità e peculiarità di questo mercato”. “Chi arriva prima si mangia la torta”. È un detto cinese ma anche la sintesi delle difficoltà del vino italiano in Cina spiegate da Zuming Wang. Il funzionario ha analizzato le ragioni che pesano sul posizionamento del prodotto made gennaio 2017 La Rivista - 65 in Italy nel mercato cinese, al quinto posto dopo Francia,Australia, Cile e Spagna, con una micro-quota pari a un ottavo di quella dei concorrenti d’oltralpe (5,6% contro il 43,3%): “I vini italiani sono poco promossi e poco conosciuti – ha dichiarato Wang – ed io stesso conosco solo Barolo e Prosecco. I vostri competitor sono arrivati prima, hanno capito il mercato e ora ne detengono le fette maggiori. Il margine di sviluppo è però ancora molto ampio e la torta non è completa – ha proseguito – per questo anche per l’Italia le possibilità ci sono”. Ma la varietà delle denominazioni, la lunghezza e la complessità dei nomi rendono i vini italiani di difficile comprensione per i consumatori cinesi. Su questo tema è intervenuto anche Tao Weng:“I francesi hanno saputo adattare il loro prodotto al mercato, cambiando i nomi in parole cinesi dal significato evocativo, semplici e facili da ricordare, come lo Chardonnay che viene chiamato ‘perla al tramonto’. Una strategia che i produttori italiani potrebbero adottare, ma non sufficiente. La cucina cinese porta in tavola molte portate diverse contemporaneamente – ha continuato Weng –, una tradizione che rende difficoltosi gli abbinamenti enogastronomici e che impedisce alla ristorazione di diventare un canale di penetrazione efficace e capillare. Per la sua vocazione internazionale, la quantità di ristoranti e la capacità di intercettare i trend, forse è Shanghai la piazza più interessante in questa direzione”. Wine People – X factor per il successo nel mondo del vino Le persone al centro di tutto. Non poteva che essere una sala gremita di persone, appunto, ad accogliere la presentazione del nuovo ed innovativo libro sulle risorse umane nel mondo del vino Wine People, X-factor per il successo nel mondo del vino, scritto a quattro mani da Lavinia Furlani, direttore editoriale di Wine Meridian, e Andrea Pozzan, responsabile divisione Risorse Umane di Competenze in Rete. Il volume, che vuole essere un vademecum per tutti gli operatori del settore, per i produttori, per chi è già export manager e per chi vorrebbe diventarlo, è stato presentato dagli autori, da Fabio Piccoli, direttore di Wine Meridian, e Vitaliano Tiritto, export manager del gruppo Terre Moretti. Perché Wine People? “Perché per far fronte ai numerosi cambiamenti legati all’internazionalizzazione, servono professionisti competenti e motivati, pronti ad affrontare i mercati. Per questo al centro di tutto si trovano sempre le persone. Ed è per questo che il tema delle Risorse Umane è importante che assuma sempre maggiore rilevanza non solo a parole, ma anche nei fatti: se riteniamo veramente che le persone, donne e uomini, siano la chiave fondamentale nella competitività e sviluppo delle imprese, vi deve essere un conseguente e coerente investimento in esse”. I dati del mercato parlano chiaro: l’Italia ha la possibilità di conquistare e rafforzare una posizione egemonica in tutti 66 - La Rivista gennaio 2017 Lavinia Furlani e Andrea Pozzan con il loro volume i principali mercati mondiali, a condizione che le aziende del comparto vogliano intraprendere un percorso evolutivo che - oltre al focus sulla qualità in vigneto e in cantina - metta in campo una specifica attenzione alle persone (“people”) e alla capacità di individuare e raccontare un’identità forte e distintiva. Il messaggio è forte e chiaro: è ora che il mondo del vino apra le porte alle professionalità “top” provenienti da altri settori e anche gli insider devono cambiare approccio, perché la struttura del mercato è in costante evoluzione: non ci sono più gli stessi buyer, non ci sono più gli stessi ristoratori, non ci sono più gli stessi consumatori. “Per affrontare le sfide del mercato è ora di mettere le persone al centro del gioco: questa è la nostra Mission come preparatori di uomini – ha affermato Lavinia Furlani -. Ed è per questo che il tema delle Risorse Umane è importante che assuma sempre maggiore rilevanza non solo a parole, ma anche nei fatti”. La via italiana al vino: L’importanza dei territori e delle tecniche colturali Genotipo, ambiente e tecnica colturale sono i tre fattori che, interagendo tra loro, determinano il risultato produttivo. Ne hanno parlato 4 personaggi di spessore: Antonio Calò, Angelo Costacurta, Diego Tomasi e Rosario Di Lorenzo. Moderatore Ian D’Agata. Nell’intervento è stato messo in risalto la specificità nella gestione del vigneto, in relazione ai diversi obiettivi produttivi e ai differenti territori viticoli Italiani. Si è parlato inoltre dell’importanza dell’utilizzo di nuove strategie colturali, che si basano su tecniche di “precision farming”. È stata evidenziata, infine, l’importanza della tecnica colturale quale mezzo per rispondere, in modo efficace e rapido, alle sempre più attuali e pressanti richieste di sostenibilità dei sistemi vigneto e di mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici. Antonio Calò, che per chi opera nel campo del vino non ha bisogno di presentazioni, ci ha lasciato alcuni stralci della sua “coltural presentation”:“… All’Esposizione di Vienna del 1873, per esempio, Ernesto di Sambuy annotava: “Il Barolo merita di venir confrontato coi migliori vini rossi del mondo per la pienezza del sapore e per il gradevole aroma e può con successo concorrere coi vini francesi...”. Infatti, nelle critiche accennate ritornava spesso la meraviglia della situazione dell’Italia “con tutti i suoi vantaggi naturali”. E non dimentichiamo che proprio Julien scriveva:“a tutta prima si potrebbe credere che esso (paese) produca i migliori vini d’Europa.”. Una previsione? Una scommessa? Una sfida? Nella stessa direzione andava la famosa inchiesta del Senatore Jacini (1877-1885): un Paese che doveva scuotersi per ritrovare il posto che gli competeva nel settore. Cominciava quindi da lì un cammino importantissimo verso il raggiungimento di un traguardo bene identificato: rendere i vini italiani degni di affrontare i mercati nazionali ed internazionali. Oggi questo concetto è chiaramente percepibile; si sono realizzati progressi concreti; si è amplificato ed indagato il valore (mai messo in dubbio) delle zone di produzione; si è studiato e si stanno studiando i valori dei vitigni e le loro interazioni ambientali…”. Wine Spectator ha annunciato gli OperaWine Producers 2017 Torna sabato 8 aprile 2017 la sesta edizione di OperaWine “Finest Italian Wines: 100 Great Producers”, evento première di Vinitaly che si terrà a Verona, nel Palazzo della Gran Guardia. Organizzato da Vinitaly International in collaborazione con la rivista Wine Spectator, il Grand Tasting offrirà agli operatori specializzati di tutto il mondo la possibilità di conoscere i 100 produttori italiani selezionati dalla prestigiosa pubblicazione americana (per la verità saranno 104). In chiusura di serata, l’annuncio ufficiale della costituita Veronafiere spa da parte del presidente di Veronafiere spa Maurizio Danese:“Consolidare la leadership fieristica del settore dotando il vino made in Italy di strumenti nuovi e decisivi per fare il salto di qualità nei Paesi terzi. Questo l’obiettivo del piano industriale dedicato alla fiLa via italiana al vino: L’importanza dei territori e delle tecniche colturali Il nostro collaboratore Rocco Lettieri con Pietro Mastroberardino liera wine della neonata Veronafiere spa e anche la funzione, per quanto riguarda soprattutto i mercati asiatici di Italian Wine Channel (IWC), del nuovo strumento costituito da Mise, Mipaaf, Ice e Vinitaly per rappresentare in maniera unitaria l’enologia italiana, specie nei Paesi asiatici, dove paghiamo un ritardo storico nei confronti del nostri principali competitor e dove accordi bilaterali hanno notevolmente favorito la crescita di Australia e Cile”. “L’analisi evidenzia una considerevole frammentarietà del vino italiano in Cina che ha penalizzato o ridotto, in termini di esito, gli sforzi compiuti” - ha spiegato Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere spa - intervenendo all’incontro a cui hanno preso parte anche Sandro Boscaini, presidente di Federvini, Antonio Rallo, presidente Unione Italiana Vini, Piergiorgio Borgogelli, direttore generale Ice e Andrea Maria Nicola Costa, responsabile Marketing IT infrastructures & service. “Vinitaly è presente in Cina da ormai oltre 15 anni, con una serie di iniziative b2b. Una presenza che ci ha consentito di analizzare sia la complessità di questo mercato davvero unico, sia la business strategy attuata dalle aziende italiane nell’approcciare questo Paese, sempre più fondamentale nella road map globale del vino e che, nella classifica generale delle importazioni, ci vede solo al 5° posto nonostante i plus qualitativi che caratterizzano il vino italiano. Si tratta di realizzare una strategia comune, innovativa che si concretizza in un canale globale, dall’offline all’online e, ancora, all’offline per orientare il crescente ruolo dei social media e dell’e-commerce in Cina”. Il prossimo Vinitaly a Verona si svolgerà dal 9 al 12 Aprile 2017. gennaio 2017 La Rivista - 67 Zurigo - 28. November 2016 Vini d’Italia Tour 2016-2017 Zurigo, dove l’Italia è di casa Anche a Zurigo la tappa del Gambero Rosso faceva parte del tour Vini d’Italia Experience. Oltre quaranta aziende in degustazione, accompagnate dai prodotti della Surgital, eccellenza italiana nella produzione di fasta fresca surgelata, in una delle cornici più eleganti ed esclusive della Svizzera, Paese che da sempre rappresenta uno dei mercati più interessanti per il vino italiano, per continuità geografica e grazie a un grande movimento migratorio negli anni Settanta che ha portato la ristorazione italiana - da sempre grande volano per il vino italiano - a rappresentare la scelta qualitativamente più valida. Quarto mercato di esportazione per i nostri vini, la Svizzera rappresenta uno dei maggiori successi commerciali dagli ultimi dieci anni per il vino italiano. Poco superiore al 30% nel 2006 (con la Francia che superava il 40%) oggi supera il 35% (con la Francia scesa al 32%) ed è leader indiscussa con la sola eccezione dei vini spumanti. Insomma, un mercato da tenere bene sotto osservazione. In coincidenza con il 30° anniversario del Gambero Rosso, lo scorso 28 novembre 2016, il tour ha fatto tappa allo Swisshôtel di Zurigo, dove ha proposto in degustazione, dapprima ad un pubblico di professionisti e poi a tutti gli amanti del vino, una vasta gamma di vini italiani riconosciuti a livello internazionale. La guida dei vini mette in risalto la varietà e la ricchezza della tradizione vinicola italiana, che, ancor più che nel passato, si concentra in Toscana e in Piemonte. Se, per esempio, in passato fosse stato premiato, con un “Tre Bicchieri”, il Bonarda Vivace dell’Oltrepò Pavese non si sarebbero risparmiate risa di scherno. Oggi, invece, ricevono una nomination anche varietà d’uva come il Piedirosso dei Campi Flegrei di Napoli, il Ciliegiolo di Narni o il Grigiolino d’Asti, con il suo sapore avvolgente. Attualmente, vini di consumo quotidiano vengono trattati 68 - La Rivista gennaio 2017 con la stessa premura riservata ai vini più pregiati. Questo cambio di mentalità è già stato percepito dai produttori e rappresenta una sfida per le lavorazioni ed i processi di selezioni in ambito vinicolo. La tournée di “Vini d’Italia” racchiude anche una tradizione culturale che non ha eguali al mondo. I prodotti segnalati, con un insuperabile rapporto qualità prezzo, sono il fiore all’occhiello della tradizione italiana nel mondo. Dopo Varsavia, il 25 novembre, e Zurigo, appunto il 28, in un mercato del vino caratterizzato da una competizione sempre più marcata, oltre che da una crescente offerta, il tour continuerà Il 18 gennaio a Oslo, per presentarsi poi il giorno seguente a Copenaghen, dove il mercato della ristorazione è caratterizzato da una forte dinamicità. Il 6 aprile sarà poi la volta di Miami, per poi proseguire a Mosca, Vancouver e Seattle per il rush finale. L’export italiano nel settore vitivinicolo, con un 500% di crescita negli ultimi 30 anni, è in costante sviluppo. Unendo le forze i produttori del settore Gambero Rosso Gambero Rosso - il marchio multimediale più importante nel settore dell’enogastronomia – festeggia il suo 30° anniversario dalla sua fondazione. Nato nel 1986 come inserto in un quotidiano, diventa nel 1986 una guida di vini indipendente. Da quale momento sono stati pubblicati numerosi libri e guide enologiche. Nel 1999 è stato istituito il primo canale telematico “Gambero Rosso Channel”. Poco dopo, sotto il cappello “Città del gusto”, sono stati costituiti vari istituti, mentre la “Gambero Rosso Academy” prosegue la sua attività a livello mondiale: corsi di cucina per amatori e professionisti, formazione giornalistica e seminari per aziende attive nella gastronomia. Recentemente è stata quotata in borsa. Grazie al fascino crescente nei confronti dei prodotti italiani, gli eventi di Gambero Rosso si sono moltiplicati. Ad oggi si registrano più di 40 eventi all’anno. La guida Vini d’Italia 2017 possono fare la differenza in misura sempre maggiore, nobilitando il marchio Made in Italy su scala globale. Secondo le ultime statistiche, i numeri riguardo l’esportazione mostrano una crescita quantitativa dell’1.3% e una crescita del valore esportato di circa 3.7% nei primi cinque mesi del 2016. La ‘piccola’ Svizzera è al quarto posto per l’importazione di vini italiani a livello mondiale e risalta in particolar modo un forte interesse nei confronti di quelle migliaia di vitigni, che rendono lo scenario italiano estremamente variegato ed interessante. La storia di Gambero Rosso è contrassegnata da un elemento costante: il successo. Inizialmente limitato al territorio italiano, si è poi diffuso su panorama mondiale grazie alla traduzione della guida “Vini d’Italia” in tedesco, inglese, cinese e giapponese. Il riconoscimento condiviso del marchio “Gambero Rosso” poggia i suoi piedi su basi solide: numerose giurie, composte da più di 70 persone e una valutazione di più di 45.000 vini in degustazioni rigorosamente alla cieca. La coordinazione avviene tramite tre curatori, i quali decidono a chi affidare i premi in seguito ad una degustazione finale. Il tutto è caratterizzato da una scala di valutazione molto rigida che consiste, di nome e di fatto, in pochi chiari elementi: un bicchiere assegnato ai vini buoni, due bicchieri a vini molto buoni, tre bicchieri ai vini più pregiati. Il riconoscimento dei “Tre Bicchieri” è diventato ormai famoso fra professionisti e appassionati di vino e incorpora in sé il concetto di qualità. La nuova edizione in versione tedesca dell’enoguida apparirà a fine gennaio 2017. La Cantine presenti Bellavista Cantina Santo Iolo Cantina Vignaioli del Morellino di Scansano Cantine Paolini Casale del Giglio Castello di Uviglie Castelsina Contadi Castaldi Dal Maso Felline Felsina Garesio Graziano Pra’ I Cavallini I Luoghi Italo Cescon Jermann La Guardiense Le Bertille Le Casematte Le Vigne di San Pietro Leonardo Bussoletti Marotti Campi Maurizio Marchetti Mora&Memo Petra Poggio Le Volpi Consegnati a Zurigo i diplomi di sommelier Grazie alla cordiale ospitalità della Weinlounge Buonvini di Zurigo, venerdì 2 dicembre 2016 si è svolta la consegna dei diplomi ai partecipanti, che hanno superato gli esami finali del corso di sommelier in lingua italiana organizzato dalla Camera di Commercio Italiana per la Svizzera in collaborazione con l’Associazione Svizzera dei Sommelier Professionisti (ASSP). I corsisti che hanno concluso tutti e tre i livelli e hanno quindi ottenuto il diploma di sommelier non professionista sono: Pandolfo Enrico, Martini Piero, Caviezel Luzius, Di Pietro Salvatore, Galli Mauro, Carenzo Marco, Mattioni Alessandro, Mazzeo Walter e Troja Bruno. I corsi sono riconosciuti dall’Association Suisse des Sommeliers Professionnels e dall’Associazione Mondiale dei Sommeliers (ASI) e s’indirizzano non solo al mondo della ristorazione ma anche a tutti gli interessati. Scopo del corso è di informare ed educare il consumatore in modo adeguato alla cultura del buon vino. Produttori Vini Manduria Reva Ronco Margherita Rosset Terroir Sensi Tenuta di Tavignano Tenuta Viglione Tolaini Torre a Cona Torrevento Vicara Villa Sandi Zorzettig I prossimi corsi riprenderanno nelle seguenti date: • 25 febbraio a Zurigo • 25 marzo a Ginevra • 21 ottobre a Berna Per informazioni ed iscrizioni potete rivolgervi a Luigi Palma: ([email protected]) +41 44 289 23 29 Le iscrizioni sono aperte fino al 31 Gennaio 2017. gennaio 2017 La Rivista - 69 Convivio di Domenico Cosentino A Tavola al Museo Quando il piatto sposa l’opera d’arte Quando il viaggiatore goloso arrivò per la prima volta negli Stati Uniti d’America nell’autunno del 1998, molte cose mai viste prima, lo stupirono assai. Ma niente attirò la sua attenzione quanto la presenza intorno a lui di tante persone obese e di tanto tanto cibo: si mangiava ovunque ed ad ogni ora. verso i loro musei: era il cibo! Meglio dire la Ristorazione. Cosa molto in solita in Italia, dove la Ristorazione li ha sempre ignorati e sfruttati poco i Musei. Un problema di mentalità e di cultura del nostro Paese, dove è difficile fondere due progetti culturali, come hanno osservato, ultimamente, alcuni famosi chef stellati, ma anche di miopia istituzionale e di scarse ambizioni imprenditoriali. A differenza dell’Italia, in seguito, tornando spesso nel Paese a Stelle e Strisce, il viaggiatore goloso ha dovuto prendere atto e riconoscere che gli Stati Uniti sono l’ennesima dimostrazione di quanto i contenuti gastronomici rappresentino un potenziale per i poli museali. Whitnei Museum e Maine Lobster I “cichetti del Caffé-Ristorante Pedrocchi di Padova Un mondo di ciccioni Si era accorto di essere capitato in un mondo di ciccioni: donne adipose, bambini obesi e uomini sovrappeso, del quale, fino ad allora, ignorava la presenza. Ad accrescere il suo stupore, la sua curiosità verso questo “nuovo” Continente, concorse anche un altro fatto: si accorse, il viaggiatore goloso, che gli americani mangiavano non solo nei ristoranti, nei caffè, per la strada, nei Supermercati, nei Centri Commerciali e nei Fast Food, ma pranzavano o cenavano anche nelle librerie nei Musei. E scoprì, in seguito, che le più grandi e importanti città degli Stati Uniti d’America (New York, Boston, Chicago, San Francisco, Los Angeles, Las Vegas e Miami), avevano un potentissimo elemento d’attrazione, capace di attirare ed accrescere i visitatori 70 - La Rivista gennaio 2017 È bastato visitare il Whitney Museum of America Art di New York, dove l’artista Laura Poitras era la protagonista dell’esibizione “Astro Noise”, mostra dedicata a temi come la Sorveglianza di massa e la guerra al Terrorismo, per capire quanto contribuisce in maniera importante (anche economicamente) al Museo di New York, il suo celebre ristorante The Modern, curato dal mostro sacro della ristorazione cittadina Dany Meyer, che serve piatti ai visitatori-gourmet come Chowder di Molluschi di Manhattan (Zuppa di Molluschi) o The Maine Lobster Newburg and sweet potato, (Zuppa di astice Americano con patate dolci) o La Rana Pescatrice in salsa Chardonnay e pomodorini secchi. Ma può anche capitare che all’Art Institute of Chicago, dopo aver visitato la collezione permanente, oppure le tre versioni della “camera da letto” dipinta da Vincent Van Gogh, ci si può accomodare ad uno dei tavoli del Terzo Piano, che è uno dei ristoranti curati dallo Chef Italo-Americano, Tony Mantuano, lo Chef più amato dall’ex Presidente Obama, anche grazie alla sua memorabile versione di Pappardelle al ragù di funghi. In questo elegante locale, Tony serve, inoltre, il Salmone delle Isole Faroe in salsa di aneto e riso selvaggio oppure un lungo ed interminabile Brunch domenicale. Da Londra a Parigi Anche nel Nord-Europa, in special modo nel Regno Unito, dove il viaggiatore goloso è vissuto dal duemila al duemila e tre, ha trovato una situazione radicalmente diversa che nel nostro Paese. A Londra, ad esempio, già in quegli anni, l’elenco dei musei con ottima cucina, era molto lungo: Alla National Dining Rooms della National Gallery si poteva mangiare una ottima tartar di cervo e bere un calice di rosso, Barolo, 1990 di Paolo Scavino, seduto ad un tavolo in veranda con vista su Trafalgar Square. Atmosfera rilassante, cucina di stagione e ottima miscela di arabica, il viaggiatore goloso l’ha trovava al caffè della Whitechapel Gallery nell’East End, mentre per uno dei migliori Hamburger della città o per quella British Gastronomic Institution, che sono i Fish and Chips, accompagnava spesso suo nipote Patrik al divertente Bonfire Barbican Center. Il museo giusto, per i wine lovers o i Santi bevitori è però la Tate Britain, il ristorante che fu decorato da Rex Whisller, dove viene servita un’oca con purè di pastinaca e salsa di mirtilli accompagnata sempre da una eccellente bottiglia di vino di Bordeaux. Parigi, poi, è il Non plus ultra! Questa incantevole metropoli A Padova: fino al 29 di gennaio, a Palazzo Zabarella rimane aperta la bellissima mostra: L’Impressionismo di Zandomeneghi è capace di attrarre un doppio pubblico di appassionati: per l’esperienza museale - gastronomica in sé valgono il costo del biglietto in aereo e per chi non ha fretta anche in treno con il comodo, elegante e veloce TGV. Le George Restaurant del Centre Pompidou, oltre la mostra Contemporary Art (Arte Contemporanea), nella spettacolare Terrazza, offre anche un tenerissimo filetto di manzo con salsa bernese. Ma chi ama lo stile di Frank Gehry, può andare a cena al ristorante Le Frank della Fondation Louis Vuitton, che è una sorta di “acquario” popolato da grandi pesci volanti e si può gustare una spigola con ravioli di miso, porri, aglio e sake. Anche in Italia: pochi, ma buoni Oggi, molte cose sono cambiate anche in Italia. Tornato in Europa, dopo il suo viaggio negli Stati Uniti, il viaggiatore goloso, aveva notato che uno spettacolo simile visto in America, cominciava a profilarsi anche al di qua dell’Oceano. In particolar modo nel Bel Paese dove, a proposito di obesità, malgrado sia il Paese di Slow Food e della Dieta Mediterranea, il numero di persone grasse si era fatto molto più alto: cosce ventri e petti avvolti di strato di grasso ben visibile, nell’universo di passanti e di persone che transitavano per la strada. Tutto a causa di quella cattiva ed errata alimentazione, basata su cibo-spazzatura: i “gustosi” cibi pronti o quasi da supermercato! Ma non solo questo aveva impressionato il viaggiatore goloso. Viaggiando per l’Italia, si era accorto che a proposito di ristoranti negli spazi espositivi, alcune città avevano iniziato a capire che la ristorazione poteva “sfruttare” i musei. Da Lucca a Torino passando per Milano, Firenze, Roma Venezia e Padova, finalmente molte cose erano cambiate in meglio. Era iniziata una nuova era: pochi ma ottimi esempi, voluti da nuovi e giovani direttori che avevano acquisito una esperienza, lavorando in musei europei e di oltreoceano. L’idea non era solo quella di convogliare più visitatori verso i musei, no! Il loro impegno, il loro l’intento era anche quello di migliorare, in futuro, l’offerta enogastronomica dei musei creando nuove e felici sinergie sull’esempio voluto, in primis, dalla città di Lucca, la Città delle Cento Chiese, e non solo. Al Lucca Center of Contemporary Art, il viaggiatore goloso, ci era arrivato il 5 di marzo scorso. Consigliato e guidato dall’amico scultore Renzo Maggi, aveva visitato l’esposizione la tela violata, che presentava opere d Luciano Fontana, Piero Manzoni, Alberto Burri e altri. Poi, insieme a Renzo, è salito al primo piano dello storico Palazzo Boccella, in una sala cangiante dove si avvicendano gli allestimenti. Qui lo chef Tomei propone ai suoi clienti, un percorso culinario in continuo divenire. Tant’è, che non c’è il menù. A parte gennaio 2017 La Rivista - 71 i ravioli ripieni di olio e parmigiano e il manzo crudo sulla corteccia (due classici sempre disponibili), l’esperienza al ristorante l’Imbuto è una sorta di entusiasmante jazz-session. In quel giorno, al viaggiatore goloso, è capitato di trovare nel piatto anche una polpettina di seppia – marinata, battuta e poi passata al tritacarne – accompagnata da una salsa sifonata di carpione con cervello di vitello fritto. Il tutto chiuso in una cialda di grano arso. Ma si può optare anche per una sola minestra di riso Carnaroli con mandorle e katsuobushi di polpo. Se questa è Lucca, in Piemonte, fuori Torino, accanto al Museo d’Arte Contemporanea nel Castello di Rivoli, il Combal Zero, è il palcoscenico ideale per l’eccletticismo e l’intelligenza culinaria del top chef Davide Scabin. E poi a Milano c’è Giacomo Arengario, dentro il Museo del Novecento. Mentre a Firenze è d’obbligo una sosta al caffè ristorante del Gucci Museo, con vista su Piazza della Signoria, prima di approdare a Roma all’Open Colonna del Palazzo delle Esposizioni, che è il Regno dello chef-imprenditore Antonio Colonna, che a pranzo, vi consiglia il suo piatto preferito: Negativo di Carbonara. E mentre la si mangia, sulle tovagliette di carta ben in vista sul tavolo, il cliente può scoprire il calendario delle esposizioni. Ma per chi si trovasse a Venezia o in un’altra città del Veneto, il viaggiatore goloso, consiglia di fare una tappa a Padova: fino al 29 di gennaio, a Palazzo Zabarella rimane aperta la bellissima mostra: L’Impressionismo di Zandomeneghi, artista veneziano, vissuto molti anni a Parigi, amico di Renoir e Degas. Poi nella sala stile Liberty del Caffè- Ristorante Pedrocchi, Caffè Storico di fama internazionale, si può gustare un risotto al radicchio tardivo di Treviso, una Pasta e Fasoi, magari due pappardelle ai fegadini o una faraona in salsa Peverada, innaffiando il tutto con una eccellente bottiglia di Valpolicella Classico, come faceva il grande Stendhal, ogni qualvolta che da Parma si spostava nel Veneto e che ha scritto quanto segue: “È a Padova che ho incominciato a vedere la vita alla maniera Veneziana, con le donne sedute nei caffè. L’eccellente ristoratore Pedrocchi, il migliore d’Italia”. Lobster alla Newburg Nel 1890, il ristorante Delmonico’s di New York battezzò questo piatto col nome del suo padrone, Lobster Wenberg. Poi Delmonico e Wenberg litigarono e il piatto cambiò nome. Ingredienti: 1 astice o una aragosta da 750 g, 1 kg, 50 g di burro, ½ tazza(125 ml) di panna, 60 ml di sherry, una spruzzata di salsa tabasco, sale e pepe macinato, 2 tuorli leggermente battuti. Come si prepara: Delmonico toglieva la polpa dall’aragosta e la tagliava a fette grosse di 1 cm. Fondeva il burro in una padella a fiamma media. Aggiungeva la polpa dell’aragosta (astice), rimuovendo la polpa per 3 minuti. Aggiungeva la panna e lo sherry. Portava a bollore, abbassava la fiamma e sobbolliva, scoperto, riducendo i liquido a metà. Aggiungeva la salsa Tabasco. Salava e pepava secondo il gusto. Riduceva la fiamma al minimo. Mescolava i tuorli a due cucchiai della salsa di cottura. Versava nella padella e cuoceva fino a che era leggermente addensato, da 2 a 3 minuti. Non portava a bollore, ma portava a tavola ancora calda. Il viaggiatore goloso con l’amico Renzo Maggi all’interno della Basilica di San Frediano di Lucca 72 - La Rivista gennaio 2017 Il Vino: Ad un piatto nato negli USA, un Vino bianco degli Stati Uniti d’America: Chardonnay Napa Valley, Mitch Cosentino Winery, Napa, California. La Dieta Rivista di Tatiana Gaudimonte Che peso! Continuare ad identificare il dimagrimento con la semplice perdita di peso fa male a noi e bene a chi vuole abbindolarci. Come diceva Moretti, “le parole sono importanti!” Dopo aver iniziato questa piccola avventura sulle pagine de La Rivista, ci ho preso gusto e ormai parte del mio lavoro consiste nel “diffondere il verbo” su carta stampata e siti internet. Mentre però qui voi avete la fortuna (o sfortuna, vedete voi) di poter leggere ‘paro paro’ quello che scrivo, su altre testate vengo solo citata come consulente e i miei articoli vengono tagliati o modificati, a volte anche senza autorizzazione (grrr.) L’ultimo storpiamento che ho letto è stato un “perdere peso” invece del mio “perdere grasso”. Passati i cinque minuti di fumo dalle orecchie, ho capito che avrei dovuto prendere questo “incidente” come spunto per ribadire un concetto fondamentale e fare luce su un equivoco ancora troppo diffuso. Siamo d’accordo, il termine “sovrappeso” è l’accezione comune con cui indichiamo il numero sempre crescente di persone che sono costrette ad indossare taglie forti, ma ciò che costoro devono perdere, reimpostando alimentazione e stile di vita non è (solo) il peso, ma il grasso. Diete ipocaloriche e/o iperproteiche possono magari provocare un rapido scorrimento verso il basso del numerino che compare sulla bilancia, ma a costo di un permanente “schiacciamento” del metabolismo basale, che fa sì che appena si esce dal regime di carestia autoinflitto con l’ennesima dieta, si recuperano tutti i chili, spesso con gli interessi. Certo, a chi vende prodotti “dimagranti” questo va benissimo: quale migliore cliente, di colui che ingrassa nuovamente alla fine di ogni trattamento? Ma forse dovremmo iniziare a chiederci se sta bene anche a noi. Bisogna sovvertire l’ordine di pensiero che vuole una facile e rapida soluzione a tutto: sei settimane di dieta, qualche confezione di pillola antifame e/o di boccette detox et voilà, il magro è servito. Tutto ciò non tiene conto della complessità del nostro organismo, dei delicati equilibri fisiologici che tali e tanti prodotti e regimi “criminali” vanno ad intaccare, né dei motivi per cui anche persone che mangiano come uccellini non riescono a perdere più un grammo dopo settimane di rigore strettissimo. Un approccio serio deve prendere in considerazione i segnali che il cibo scatena nell’organismo; se il freddo, per esempio, genera una cascata di reazioni metaboliche che inducono i nostri muscoli a tremare per scaldarci e i nostri capillari a restringersi per evitare di disperdere prezioso calore nell’ambiente, pensate a quali e quante reazioni potranno scatenarsi, con uno stimolo come il cibo, che non si limita a restare fuori dal corpo ma che entra a farne parte! I segnali chimici che tessono la rete di messaggi tra i vari distretti organici sono tantissimi e da tempo studiati: adipochine prodotte dal tessuto adiposo, miochine secrete dai muscoli, enterochine dell’apparato digerente: tutti questi dispacci chimici vengono letti dal nostro principale regolatore fisiologico, l’ipotalamo, che in base ad essi deciderà se impostare il metabolismo su una modalità di accumulo (e quindi ingrasseremo) o su una modalità di consumo (e quindi dimagriremo o manterremo il peso forma). Per esempio, fare un’abbondante colazione dà un forte segnale verso il consumo: la relazione tra l’abitudine a una prima colazione abbondante e dimagrimento è stata dimostrata da lavori pubblicati sulle più quotate riviste scientifiche. Un dato in nettissima controtendenza con chi si ostina a prescrivere diete in cui al mattino si sgranocchiano due misere fette biscottate e che si basano ostinatamente sul mero conteggio delle calorie. Quando inizieremo a renderci conto che il nostro corpo non è un sacco di iuta che ingrossa o si restringe solo in base a quanto lo riempiamo o lo teniamo a stecchetto? È ora di rendergli la dignità che un simile, meraviglioso organismo merita. Cordialità inequivocabili dalla vostra Tatiana Gaudimonte [email protected] gennaio 2017 La Rivista - 73 Starbene Colorare i capelli è dannoso? Reperti archeologici testimoniano come già le donne dell’antico Egitto usassero unguenti misti a oli e un antico henné per cambiare il colore dei propri capelli; le donne dell’antica Grecia per farlo, invece, si avvalevano delle tecniche usate per colorare la lana. Quelle dell’antica Roma possedevano ricette ben precise per ottenere capelli biondi, bruni, rossi o neri come l’ebano. Allo stesso modo i capelli arricciati sono considerati da sempre un ideale di bellezza: inutile dire che ai nostri giorni, con i capelli è possibile fare di tutto, colorarli, allungarli, ondularli, stirarli. Ma le tecniche utilizzate possono incidere sul loro stato di salute? Attribuire problematiche dei capelli come facilità a spezzarsi, maggiore tendenza a cadere, doppie punte, opacità o seborrea ai trattamenti ai quali li si sottopone non è del tutto corretto, tutto dipende dai trattamenti e da come sono eseguiti. Quando la tintura non viene correttamente risciacquata, per esempio, può penetrare nel cuoio capelluto, aumentando anche il rischio caduta. Prodotti utilizzati per la tintura o per la permanente non adeguatamente testati possono indurre reazioni allergiche e facilitare la caduta, come pure a seguito di una permanente eseguita male i capelli possono spezzarsi molto facilmente e può addirittura comparire un’alopecia anche grave. Gli esperti convengono: le tinture per capelli temporanee, che vengono rimosse con lo shampoo successivo, sono costituite da coloranti simili a quelli utilizzati dall’industria tessile, danneggiano poco il capello e sono raramente causa di allergie. Le tinture permanenti, invece, agiscono attraverso un processo di ossidazione e tingono il capello in modo duraturo, poiché il colore non è rimosso dallo shampoo. Tutte le tinture permanenti contengono parafenilendiamina o suoi derivati e possono causare reazioni allergiche: in generale danneggiano il capello quanto più il colore prescelto è più chiaro del colore originale. È utile considerare che tutte le pratiche di decolorazione, rovinano in modo permanente il fusto del capello, ed ecco perché una volta effettuata una tintura bisogna evitare di 74 - La Rivista gennaio 2017 cambiare spesso il colore, ma soprattutto non bisogna da una tintura più scura passare a una tintura più chiara perché per rimuovere la tintura permanente dal capello sono necessari procedimenti che danneggiano moltissimo il fusto. Il tennis ti allunga la vita I più attempati se lo ricordano: uno spot televisivo diceva che una telefonata che ti allungava la vita. Oggi, uno studio coordinato dalla Sydney Medical School e pubblicato dal British Journal of Sport Medicine ci informa che se vuoi campare a lungo in vece di telefonare devi giocare a tennis: dimezza il rischio di morte, più efficacemente del nuoto e del ciclismo, comunque più benefici di calcio, rugby e la corsa. I ricercatori hanno analizzato undici diversi studi effettuati tra il 1994 e il 2008 in Inghilterra e Scozia, su un campione di oltre 80mila persone di età media 52 anni che avevano descritto le proprie abitudini sportive, concentrandosi sulle attività più popolari emerse: sport di `racchetta´ (tennis, squash, badmington), nuoto, aerobica, lavori di casa pesanti, camminata, calcio e rugby, corsa. Ogni soggetto coinvolto è stato poi seguito per nove anni, periodo durante il quale ci sono state circa 10mila morti. In generale, confrontato con la quota di soggetti che non facevano attività sportiva, il rischio di morte è risultato minore del 47% per chi praticava sport di racchetta, del 28% per i nuotatori, del 27% per chi pratica le attività aerobiche in palestra, danza compresa, e del 15% fra i ciclisti. Per quanto riguarda invece la morte per problemi cardiovascolari lo studio ha rilevato un rischio minore del 56% per i tennisti, del 41% per i nuotatori e del 36% per chi pratica aerobica. Nessun beneficio statisticamente significativo è stato individuato invece per chi corre o fa calcio, anche se secondo gli stessi autori altri studi hanno invece trovato effetti positivi anche per queste discipline. Questi risultati in ogni caso dimostrano che praticare uno sport può avere grandi benefici per la salute di ciascuno di noi. Gobba da sms e gomito da cellulare Dopo il «pollice da BlackBerry», una lesione da sforzo ripetuto che prende il nome da uno dei primi telefonini dotato di tastiera, è annunciata la gobba da sms e anche il gomito da cellulare, una sindrome da tunnel cubitale causata dalla postura durante le lunghe telefonate. I tendini e le articolazioni di dita, polsi e gomiti, ma anche le vertebre cervicali, sono vulnerabili, ecco che i danni provocati da un uso eccessivo del cellulare vanno ben oltre l’affaticamento visivo. Anche se va rilevato che tra gli under 40 dal 2005, quando a soffrirne erano oltre un miliardo di persone, al 2015 la presbiopia è raddoppiata. Come con la diffusione del personal computer avevamo anche imparato quale fosse la più corretta posizione da adottare per la schiena, il collo e i polsi, oggi a meritare la nostra attenzione sono nuovi gesti legati ai più recenti dispositivi elettronici. Da tempo ormai si cercano di capire le conseguenze del mantenimento protratto di una postura scorretta legata all’uso degli smartphone. Gli occhi fissi sullo schermo, il volto chino e le spalle piegate in avanti, sottopongono le nostre vertebre a dei carichi inimmaginabili. Uno studio ha calcolato a quale stress la spina dorsale viene sottoposta al variare dell’inclinazione del capo. Quando guardiamo in avanti, assumendo una posizione eretta e rilassata, il collo sostiene il peso del nostro capo (4-5 kg). Ma una flessione in avanti di 30 gradi circa equivale ad un peso di 18 chili. Anche i tablet richiedono una flessione in avanti di testa e collo e ciò può causare dolore. Adottare soluzioni ergonomiche specifiche per ciascun dispositivo tecnologico diventa sempre più urgente per le nuove generazioni anche in virtù dell’introduzione nella didattica di risorse digitali fin dalla più tenera età, quando l’organismo sta crescendo e manca la consapevolezza posturale tipica dell’età adulta. Ad essere modificata dall’uso degli smartphone è anche la nostra postura dinamica: quando armeggiamo con il cellulare finiamo per camminare in modo diverso. A tutto questo si aggiungo gli inestetismi o presunti tali. Gli studiosi lo chiamano tech neck e indica un collo rugoso in anticipo sull’età, dove siano comparse le tipiche pieghe chiamate “collane di venere” (o meno simpaticamente “collo di tacchino”). Alle rughe orizzontali precoci si accompagna spesso un mento rilassato, vittima della gravità. E per finire, prendiamo atto che al pari di maniglie, tastiere, pulsanti, telecomandi, anche il telefono è contaminato da un gran numero di batteri. Uno studio dell’Università dell’Arizona, rileverebbe che la tavoletta del wc ospita un decimo dei batteri che si trovano sul cellulare. Forse è bene ricordarsene ogni volta che il nostro cellulare è appoggiato accanto a posate e pietanze, o fra cuscini e lenzuola. Ritorna il rischio di scorbuto Lo scorbuto, una grave carenza di vitamina C che in passato colpiva i marinai, torna nei Paesi ricchi, complice la cattiva alimentazione. Un gruppo di ricercatori australiani ha recentemente descritto su Diabetic Medicine 11 casi, diagnosticati in pazienti diabetici la cui dieta era particolarmente povera di frutta e verdura. E in occidente ci sono casi descritti, oltre che fra le persone in condizioni di particolare disagio sociale in cui il fenomeno è noto, anche in fasce di popolazione benestante, tra chi segue diete o stili alimentari molto squilibrati: bastano infatti 3 mesi di mancanza di vitamina C per sviluppare la malattia. In Francia nel centro ospedaliero universitario di Limoges, in uno studio diretto da Simon Parreau, su 63 pazienti con carenza di vitamina C ben 10 avevano lo scorbuto, malattia che può anche portare alla morte. L’organismo umano non riesce né a produrre né a stoccare l’acido ascorbico, essenziale alla vita. La mancanza di questa vitamina può portare a emorragie e problemi di cicatrizzazione. Serve inoltre a sostenere il sistema immunitario, a permettere l’assorbimento del ferro e ha azione antiossidante. Popolazioni come gli esquimesi, che non hanno accesso a frutta e verdura fresche, hanno superato il problema grazie ad animali marini le cui ghiandole surrenali producono acido ascorbico. gennaio 2017 La Rivista - 75 Motori di Graziano Guerra Alfa Romeo Giulietta Veloce - Fatta per emozionare L’espressione più evoluta dello stile Made in Italy È disponibile nei tre allestimenti “Giulietta”, “Giulietta Super” e “Giulietta Veloce”, un pack specifico Veloce e sette motorizzazioni. Da segnalare il turbodiesel 1.6 JTD da 120 CV, abbinato all’innovativo cambio automatico Alfa TCT, e agli utilissimi servizi Uconnect LIVE. In test, rigorosamente Rosso Competizione, la Veloce 1750 turbo da 240 CV automatica TCT. Giulietta è stata ottimizzata per consentire all’automobilista più esigente una scelta più immediata e semplice della versione che più risponde ai propri gusti ed esigenze. Giulietta Veloce appartiene al mondo leggendario delle più sportive, ha uno spiccato familiy feeling con Giulia ed è dedicata a chi si aspetta le più autentiche emozioni. Il frontale propone un’inedita calandra e il leggendario trilobo, forse la firma più famosa e riconoscibile nel mondo dell’auto. L’estetica si avvale di proiettori bruniti, nuovi inserti sui paraurti, inediti cerchi in lega e terminali di scarico obliqui. La versione più sportiva della gamma, presenta una caratterizzazione ancora più marcata, grazie ai nuovi paraurti sportivi con profili Rosso Alfa, ai nuovi proiettori con trattamento carbon look, la finitura antracite lucida su calotte degli specchi, maniglie e cornice della calandra e dei fendinebbia. A un esclusivo “abito” sportivo corrisponde un ambiente curato in ogni dettaglio. Lo dimostrano gli interni, dove spiccano i nuovi sedili sportivi con poggiatesta integrato rivestiti di pelle e Alcantara, impreziositi da cuciture rosse a contrasto e dalla scritta “Alfa Romeo” sui poggiatesta. Di serie ha pure il vo- lante tagliato sportivo in pelle con cuciture rosse a contrasto, il contorno plancia e i pannelli porta caratterizzati da una finitura carbon look, e inserti in grigio opaco. Sistema Uconnect con i nuovi servizi Live Al centro della plancia s’inserisce l’innovativo dispositivo multimediale Uconnect con touch-screen, con Bluetooth, connettore Aux-in, porta USB, comandi vocali, SMS Reader e radio digitale DAB+. Su Nuova Giulietta debuttano i servizi Uconnect LIVE, che tramite il proprio smartphone consentono di essere sempre connessi mentre si guida. Gamma completa e razionale per una buona scelta In Svizzera la gamma della Nuova Giulietta si compone di tre allestimenti (Giulietta, Giulietta Super e Giulietta Veloce), un pack specifico Veloce e sette motori-turbo, quattro a benzina e tre diesel. Si potrà scegliere tra undici colori di carrozzeria (nuovi: Bianco Alfa e Grigio Lipari), dieci diversi cerchi in lega - un nuovo design per ciascuna taglia - e i pacchetti Comfort e Visibility. I prezzi partono da 23’800.- (vettura in test, accessoriata top, 49’100.-). gennaio 2017 La Rivista - 77 Renault Megane Grandtour GT Proporzioni equilibrate e un design dalla personalità spiccata È stata eletta Auto Svizzera dell’anno 2017, e della nuova Renault Megane il “vostro” ha potuto guidare la Grandtour da 205 CV. Si tratta di una familiare dinamica, ha quattro ruote sterzanti e associa un design sportivo a un grande bagagliaio. L’importante lavoro realizzato sulle sospensioni e sull’insonorizzazione aumenta le qualità del compor- tamento stradale. Il piacere di guida nell’uso quotidiano raggiunge un livello eccellente grazie al cambio a doppia frizione e all’ottima ergonomia del posto di guida. Tutte le prestazioni, dagli schermi alla consolle centrale, sono a portata di mano. Grandtour GT è la prima station wagon del segmento C a beneficiare della tecnologia 4CONTROL, che gestisce la sterzata delle ruote posteriori e conferisce dinamismo e precisione su strade sinuose. Quattro le modalità di guida: Sport, Neutro, Comfort e Personalizzato. Offre una guida connessa grazie a R-LINK 2; Head-up a colori e dispositivi di assistenza alla guida ADAS. Accessibili e attivabili dal Tablet R-Link 2: regolatore di velocità adattivo (ACC), frenata di emergenza attiva (AEBS), allarme per superamento della linea di carreggiata (LDW), allarme distanza di sicurezza (DW), allarme superamento limiti di velocità con riconoscimento della segnaletica (OSP con TSR), sistema di sorveglianza dell’angolo morto (BSW), parking camera, commutazione automatica abbaglianti/anabbaglianti (AHL), sensori di parcheggio anteriori, posteriori, laterali e parcheggio automatico. Dati tecnici: 205 cv e 280 Nm di coppia disponibile da 2.400 g/min; questo propulsore 1.6 turbo benzina, parametrato per la versione GT da Renault Sport, offre riprese incisive. Emissioni e consumi dichiarati: CO2 134 g/km - 6 l/100 km. In concessionaria negli allestimenti Life, Bose, Zen e GT, è disponibile pure con i motori Energy a benzina TCe da 100 e 130 CV, e diesel dCi da 110 e 130 CV. In listino – prezzi base - da CHF 21’200 a 32’800. Mercedes Classe V 250 4M Exclusive Van a 6 posti extra lusso - Prezioso in condizioni stradali difficili Proprietari di alberghi e imprenditori nei trasporti, occhio ... Il pregiato abitacolo della Classe V(ow) è diventato in un lampo uno dei miei luoghi preferiti, non solo per la plancia ben curata e i materiali di prima qualità. Il tetto panoramico mette allegria con più luce e più aria. Le bibite si prendono da ripostigli termici, o dal frigobox. In notturna l’illuminazione crea un’atmosfera unica. Ovviamente la Classe V(ip) ha praticamente tutto per l’intrattenimento e l’informazione. Quanto carburante c’è nel serbatoio? Quanto costerà il prossimo intervento di manutenzione? Ho chiuso il veicolo? A queste domande risponde “Mercedes me connect”, registrarsi richiede poche operazioni. Il collegamento tra veicolo e conto utente si fa dal concessionario. Dopo l’attivazione è possibile comandare le funzioni da smartphone, tablet o PC. I sistemi Intelligent Drive (regolazione autonoma di distanza, Intelligent Light System con tecnologia LED, Collision Prevention Assist, e due pacchetti a richiesta con sistema di assistenza al parcheggio attivo e telecamera per la retromarcia assistita o – esclusiva per il segmento – telecamera a 360°) offrono supporto e permettono di guidare in 78 - La Rivista gennaio 2017 sicurezza e relax. La trazione integrale permanente 4MATIC accresce la dinamica di marcia e migliora il comportamento. Con l’aiuto del sistema elettronico 4ETS è possibile frenare le ruote con trazione insufficiente; allo stesso tempo la coppia motrice è trasmessa alle ruote con buona aderenza. 4MATIC non aumenta l’altezza della vettura, quindi, si accede ai garage sotterranei. La versione in test, da 190 CV e 440 Nm di coppia, è brillante in ripresa, con una potenza paragonabile a un 6 cilindri e i consumi di un 4 cilindri. La tecnologia Overtorque fornisce 14 CV e 40 Nm in più, ad esempio per le manovre di sorpasso. La 4MATIC accelera da 0 a 100 km/h in 10,6 secondi. Rispetta la norma sui gas di scarico Euro 6. Prezzo base del veicolo in test CHF 95’899.-. Classe V parte in listino da CHF 50’600 (V200 d). Nissan Futures 2.0 I veicoli a guida autonoma contribuiranno con 17 trilioni di euro all’economia europea entro il 2050 Il reale impatto economico e sociale dei veicoli a guida autonoma sulle strade europee emerge per la prima volta dai risultati di uno studio commissionato da Nissan, uno dei più vasti e completi mai realizzato sull’argomento. “Liberare le strade: definire il futuro delle auto a guida Il calendario Pirelli 2017 The Cal 2017 è stato realizzato da Peter Lindbergh, uno dei più affermati fotografi a livello internazionale. Il maestro tedesco è l’unico a essere stato chiamato a realizzare il Calendario Pirelli per la terza volta. “In un’epoca in cui le donne sono rappresentate dai media e ovunque come ambasciatrici di perfezione e bellezza, ho pensato fosse importante ricordare a tutti che c’è una bellezza diversa, più reale, autentica e non manipolata dalla pubblicità o da altro. Una bellezza che parla di individualità, del coraggio di essere se stessi e di sensibilità”, ha spiegato il fotografo. Il titolo “Emotional” scelto da Lindbergh vuole sottolineare come l’intento dei suoi scatti sia stato quello “di realizzare un Calendario non sui corpi perfetti, ma sulla sensibilità e sull’emozione, spogliando l’anima dei soggetti, che diventano quindi più nudi del nudo” . Per rappresentare la sua idea di naturale bellezza e femminilità Lindbergh ha ritratto 14 attrici di fama internazionale: Jessica Chastain, Penelope Cruz, Nicole Kidman, Rooney Mara, Helen Mirren, Julianne Moore, autonoma” è un report indipendente elaborato dal think tank Policy Network su incarico di Nissan Europa per analizzare le opportunità sociali ed economiche offerte dalle tecnologie di guida autonoma. La ricerca si è concentrata su Italia, Germania, Spagna, Regno Unito, Francia e Norvegia, esaminando le questioni critiche del dibattito politico intorno ai veicoli a guida autonoma e valutando il possibile impatto economico per l’intera regione. La nuova analisi economica indipendente rivela che i veicoli a guida autonoma incrementeranno dello 0,15% il tasso di crescita annuo europeo nei prossimi decenni. Ne consegue un aumento complessivo del PIL europeo (UE-28) del 5,3% nel 2050 rispetto ai valori attuali. Nel 2050, i veicoli a guida autonoma avranno contribuito ad un aumento del PIL europeo per un totale di 17 trilioni di euro. Il 58% degli intervistati ritiene che una maggiore mobilità sia il principale vantaggio dei veicoli a guida autonoma. Oltre la metà degli intervistati (52%) ritiene che la guida autonoma contribuirà a ridurre il numero di incidenti provocati da errori umani. Quattro persone su cinque (81%) dichiarano di svolgere più di un’attività mentre guidano. Non sorprende quindi che il 50% degli intervistati ritenga che il principale vantaggio dei veicoli a guida autonoma nella vita quotidiana sarà poter fare altro durante la guida. Un intervistato su quattro (23%) si dichiara intenzionato ad acquistare un’auto a guida autonoma nei prossimi 5 anni. Lupita Nyong’o, Charlotte Rampling, Lea Seydoux, Uma Thurman, Alicia Vikander, Kate Winslet, Robin Wright, Zhang Ziyi. Alle attrici ha inoltre affiancato Anastasia Ignatova, docente di Teoria Politica presso la MGIMO, l’Università Statale di Mosca per le Relazioni Internazionali. gennaio 2017 La Rivista - 79 Fiat 500X MY2017 Paradigma nel segmento Con motori a benzina e gasolio - potenze da 120 a 170 CV - e contenuti d’eccellenza in termini di tecnica, tecnologia, e sicurezza attiva e passiva, la rinnovata 500X rappresenta un paradigma nel suo segmento. Cross è la declinazione Off Road, con paraurti specifici e scudi di protezione, si può scegliere fra la trazione 4x2 o 4x4, mentre gli allestimenti Pop, Popstar e Lounge rappresentano le espressioni metropolitane del crossover compatto Fiat. La nuova parte in listino da 18’990 CHF. Novità interessante è il nuovo 1.6 MultiJet 120 CV con cambio automatico a doppia frizione DCT per gli allestimenti City-Look e Off Road Look. La gamma motori - tutti Euro 6 - soddisfa ogni esigenza. L’innovativa trazione integrale massimizza il rapporto tra prestazioni e consumi con la funzione disconnect che, quando non necessario, disinserisce il 4x4. La 100millesima Maserati è una Quattroporte GranSport MY17 Prodotta nello stabilimento Avv. Giovanni Agnelli di Grugliasco è destinata alla Cina Dotata del 3.0 litri V6 Twin-Turbo da 350 cavalli realizzato dalla Ferrari, la speciale Quattroporte è destinata alla Cina, mercato strategico per Maserati e di primaria importanza per l’ammiraglia del Tridente. Alfredo Altavilla, Chief Operating Officer della Regione EMEA di FCA, ha ringraziato tutte le donne e gli uomini dello stabilimento Avv. Giovanni Agnelli Plant, che hanno reso possibile il raggiungimento dell’importante traguardo. “Il rilancio Maserati è stata una delle grandi novità del mondo Premium; la sesta generazione dell’ammiraglia del Tridente, nata qui a Grugliasco, è la Quattroporte più venduta di sempre, la Ghibli prodotta qui si sta avvicinando alle 70.000 unità uscite dalla linea di produzione e questo significa che in poco più di tre anni è diventata la Maserati di maggior successo di tutti i tempi” ha commentato il CEO Altavilla. “Ora con Levante il Brand è entrato nel mondo SUV LaFerrari 7 milioni per il centro Italia Daytona Beach, Florida – Nel corso della serata di gala delle Finali Mondiali, un esemplare unico de LaFerrari è stato aggiudicato per 7 milioni di dollari, vero e proprio record per una vettura del 21esimo secolo venduta all’incanto, nell’asta organizzata da RM Sotheby’s in collaborazione con la National Italian American Foundation. Tutto il ricavato dell’asta sarà destinato a un progetto di ricostruzione nelle zone del centro Italia recentemente colpite dal sisma. La decisione di donare una LaFerrari di proprietà de Cavallino Rampante per 80 - La Rivista gennaio 2017 e lo “spirito Maserati” ha varcato anche la soglia di Mirafiori, dove Levante è prodotto. Maserati, oltre agli stabilimenti AGAP di Grugliasco e Mirafiori di Torino, ha un terzo sito produttivo nella storica sede di Viale Ciro Menotti a Modena, dove si realizzano le sportive GranTurismo e GranCabrio. questa nobile causa era stata annunciata lo scorso 31 agosto dallo stesso presidente Sergio Marchionne nel corso del vertice bilaterale Italia-Germania, tra il premier Matteo Renzi e la cancelliera Angela Merkel, tenutosi nella sede Ferrari a Maranello. La Ferrari aggiudicata da un cliente che ha richiesto di restare anonimo vanta una livrea unica con un tema decisamente italiano: rosso il colore della carrozzeria, con una linea bianca che attraversa il cofano e il parabrezza posteriore. Una piccola bandiera tricolore sul cofano ricorda come questo modello sia un dono della Ferrari per il proprio Paese. La vettura avrà inoltre una speciale targa commemorativa. Mondo in Camera Swisstech & Prodex ‘16 Contatti Commerciali A Zurigo l’aperitivo natalizio in Camera Benvenuto ai nuovi soci Wine Christmas, Cocktail di CCIS al Ristorante Ciani di Lugano Servizi Camerali Swisstech & Prodex ‘16 Dal 15 al 18 novembre 2016 la Camera di Commercio Italiana per la Svizzera ha preso parte alle fiere internazionali «Swisstech» e «Prodex» a Basilea La prima riguardante la subfornitura e la meccanica di precisione, mentre la seconda le macchine utensili per la fabbricazione industriale. Durante i quattro giorni fieristici Messe Basel, con più di 770 espositori, ha accolto complessivamente oltre 50000 visitatori, tra aziende, esperti del settore e stu- Le aziende presenti • ANDREOLI & C. SRL - www.andreolisrl.com Settore: realizzazione di componenti per prototipi e piccole produzioni di particolari metallici in lamiera e tubazioni. denti interessati al comparto della meccanica. 21 espositori, scelti con attenzione dalla Camera di Commercio Italiana per la Svizzera, hanno costituito Piazza Italia, un polo interamente dedicato al knowhow tecnologico e alle soluzioni innovative del nostro Paese. La • FRATELLI BARZON SRL - www.barzon-srl.com Settore: minuteria tornita di precisione, componentistica oleodinamica, piegatura di tubi metallici e saldatura. • MMP TORNERIA SRL - www.mmptorneria.it Settore: minuterie metalliche di precisione. • CIEMME 80 SRL - www.ciemme80.it Settore: tornitura fresatura di precisione. • SCILLA MECCANICA SRL - www.scillameccanica.it Settore: fonderia e lavorazioni meccaniche. • COSMO 3 LAVORAZIONE METALLI SRL - www.cosmo3.it Settore: lavorazione lamiera e taglio laser. CAMSER: www.camser.com • EDDI BRESSAN DI BRESSAN MARCO & C. SAS - www. eddibressan.it Settore: meccanica di precisione. • MILLTECH SRL - www.milltech.it Settore: meccanica e micromeccanica di precisione, fresatura e tornitura professionale. • EXAGON COSTRUZIONI E SERVIZI SRL- www.exagoncs.com Settore: energia, impianti di depurazione delle acque e dissalazione, impianti chimici, impianti di produzione alimentare, impianti siderurgici, impianti di produzione di carta. • OPTO 5 SRL - www.opto5.net Settore: progettazione di sistemi ottici e di illuminazione per applicazioni energetiche industriali, mediche, scientifiche e solari. • RUBBI SRL - www.rubbimeccainica.com Settore: carpenteria meccanica di precisione. 82 - La Rivista gennaio 2017 piattaforma espositiva è stata un’importante vetrina per le ultime novità nell’ambito della digitalizzazione, dell’automazione e della robotica industriale. Le aziende italiane presenti hanno offerto un’ampia gamma di componenti e di lavorazioni industriali, che spaziavano dalla bulloneria alla fresatura e tornitura, dalla lavorazione di superfici alla piegatura di tubi metallici. Questo vasto assortimento ha riscosso un notevole successo tra l’esperto pubblico svizzero. La fiera ha dato, inoltre, l’opportunità di creare ed intensificare le relazioni commerciali italo-svizzere nell’ambito della subfornitura e della meccanica, confermando ancora una volta l’importante presenza italiana in Svizzera. LARIODESK: www.lariodesk.it • LARIOTECHNIK SRL - www.lariotechnik.it Settore: fabbricazione parti per l’industria automobilistica. • O.M.B. SNC DI BONGIOVANNI & C. - www. ombongiovanni.it Settore: meccanica di precisione e produzione di particolari a disegno. UNINDUSTRIA BOLOGNA: www.unindustria.bo.it • 01 WIRING SRL - www.01wiring.com Settore: automazioni elettriche ed elettroniche. • BERARDI BULLONERIE SRL - www.gberardi.com Settore: minuterie metalliche di precisione. Un ringraziamento speciale va al nostro partner Sapuri, per aver arricchito l’atmosfera fieristica, deliziandoci con specialità tipiche siciliane. Per maggiori informazioni: www.swisstech-messe.ch www.prodex.ch www.sapuri.ch Michela e Davide • GALMAR SNC - www.galmar.net Settore: elettromedicale, elettrodentale, packaging, strumentazione, ferroviario, bancario, telecomunicazioni, domotica, sicurezza, energia, navale. • LUALMA ANODICA SRL - www.lualma.it Settore: trattamenti estetici per le superfici in alluminio. • RIVIT SRL - www.rivit.it Settore: produzione e distribuzione di sistemi di fissaggio rapidi per l’assemblaggio del metallo e relativi utensili per la posa. • S.T.A. SPA - www.sta-stampi.com Settore: costruzione di stampi e stampaggio di lamiere. • STUDIO TECNICO ZOCCA SRL - www.studiozocca.com Settore: progettazione, analisi, calcolo, disegno e costruzione di macchine e componenti per il settore meccanico. • CABLOTECH SRL - www.cablotech.com Settore: cavi, cablaggi e quadristica. gennaio 2017 La Rivista - 83 A Zurigo l’aperitivo natalizio in Camera L’aperitivo natalizio presso la splendida sede della CCIS si è svolto mercoledì 14 dicembre 2016 in un’atmosfera piacevole ed allegra, dando l’opportunità ai i soci e amici della CCIS di conoscersi personalmente, intrecciare discussioni e scambiarsi opinioni private e professionali. 84 - La Rivista gennaio 2017 Viziati dalle golose prelibatezze dell’azienda agricola F.lli Facchi, si è potuto gustare morbidissima mozzarella, deliziosi salami ed una ricotta che si scioglie in bocca. Senza parlare del culatello (il preferito dalla Regina d’Inghilterra), il prosciutto profumato al tartufo e le specialità preparate dal Ristorante Maranello di Spreitenbach. Dulcis in fundo un delizioso tiramisù e l’irrinunciabile panettone con crema pasticcera. Oltre al consueto brindisi natalizio con l’elegante spumante Franciacorta Bellavista, distribuito esclusivamente dall’azienda vinicola Zanini, grazie alla presenza della tenuta 2 Castelli, rappresentata dalla Export Manager Marta Dotta, gli ospiti hanno potuto confrontarsi in una simpatica ed interessante degustazione di pregiati vini veneti: dal Prosecco Superiore al vino Rosso Bruno, vinificato nel nuovo vigneto di proprietà della famiglia Zago-Gasparini . Generosa l’offerta dell’azienda agricola Musumeci che ha messo a disposizione casse di ottime arance tarocco, un tocco natalizio a sottolineare la tradizione per il nostro bel paese. Il doveroso ringraziamento a tutti i partecipanti per il sostegno e la bella atmosfera è stata l’occasione per lo scambio di auguri per un lieto Natale e un nuovo anno carico di pace e solidarietà. Wine Christmas, Cocktail di CCIS al Ristorante Ciani di Lugano Al cocktail hanno partecipato una quarantina fra soci ed amici che si sono intrattenuti ben oltre l’orario di chiusura previsto. È stato un vero piacere vedere persone che non si conoscevano fra di loro entrare in contatto e spendere tempo chiacchierando in cerca di nuove sinergie ma anche di un momento di allegria e di condivisione. Durante la serata, allietata fra l’altro dalla sommelière Oriana Crespi che ha spiegato quale vino è consigliabile abbinare al panettone, è intervenuto anche Domenico D’Albertis, business coach, che si è messo a disposizione di coloro che desideravano sottoporgli delle problematiche legate all’attività di management. Questo momento d’incontro ha segnato una tappa importante per CCIS Lugano, poiché Marina Bottinelli, che due anni fa ha aperto e gestito con successo l’ufficio, ha passato il testimone a Fabio Franceschini che dal 1. di gennaio la sostituirà in veste di nuovo Responsabile. Dal 2017 Marina si occuperà di relazioni strategiche transfrontaliere in seno a tutta CCIS. Durante il suo breve discorso Fabio ha ringraziato tutti i nostri soci che ha definito l’”Ani- ma della nostra Associazione”, senza dei quali non sarebbe stato possibile realizzare tutto ciò che fino ad oggi abbiamo fatto e senza i quali non sarebbe possibile ricevere tanti stimoli e motivazioni di crescita. Per il 2017 CCIS ha in programma nuovi incontri trimestrali che avranno sempre lo scopo principale quello di far conoscere i soci fra di loro e favorire lo scambio e l’interazione professionale. Il Team di Lugano ha poi chiuso la serata formulando i migliori auguri di Buone Feste a tutti i presenti. gennaio 2017 La Rivista - 85 CONTATTI COMMERCIALI Dal mercato italiano OFFERTE DI MERCI E SERVIZI Arredamenti in legno Zatti Arredamenti Snc Via Polonia, 14 IT - 35028 Piove di Sacco (PD) tel. + 39 049 9704168 fax. + 39 049 9704254 E-mail: [email protected] www.zattiarredamenti.it Occhiali VISIVA s.r.l. 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Fondata nel 1909 la Camera appartiene alla rete delle Camere di Commercio Italiane all’Estero, riconosciute dal Governo italiano quali strumenti di promozione del Made in Italy nel Mondo e suscitatrici di opportunità e investimenti delle imprese dei paesi in cui operano verso il mercato italiano. La CCIS assiste con i suoi servizi tutti i soggetti svizzeri e italiani coinvolti negli scambi economici tra Italia, Svizzera e Liechtenstein. La gamma dei suoi servizi è ampia e strategicamente strutturata in aree tematiche: Esportazioni - Ricerca buyers/clienti - Consulenza fiscale (rappresentanza fiscale e recupero dell’iva italiana, svizzera e tedesca) - Consulenza di natura commerciale e doganale - Export & Investment Desk - Dalla Svizzera nel mondo - Informazioni finanziarie e legate alla solvibilità dei partner (visure, rapporti commerciali, ecc.) - Organizzazione di degustazioni, workshops ed eventi - Realizzazione di delegazioni ed export strikes (visite presso buyers svizzeri) - Organizzazione ed accompagnamento di espositori italiani a fiere svizzere e di visitatori elvetici a fiere italiane - Organizzazione di seminari ed incontri di affari - Focus settoriali 88 - La Rivista gennaio 2017 Investimenti - Apertura di un’attività - Investire nella ristorazione - Appalti pubblici in Svizzera - Attività di M&A e di Corporate Finance Comunicazione e promozione turistica La Rivista, magazine mensile in lingua italiana, e www.go-italy.ch, portale bilingue, in italiano tedesco, per l’italianità in movimento Corsi - Corsi per professionisti e semplici appassionati - Corsi per sommelier in lingua italiana Altro - Recupero Crediti - Ricerca di dati statistici - Traduzioni ed interpretariato - Agevolazioni speciali per i soci I settori di punta Agroalimentare, Industria elettromeccanica, Sistema Casa, Sistema Moda, Innovazione tecnologica e Start-up, Turismo, Pubblicità e Comunicazione Soprendi i tuoi ospiti con un Tiramisù creativo! o! 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C H 04.03.16 15:10 Anno 108 - n. 1 - Gennaio 2017 H E A B A R T H 50° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese In crisi la funzione cerniera delle istituzioni tra politica e società Intervista con Pippo Pollina Un anno dopo o giù di lì P E R F O R M A N C E A B A R T H D I S C O V E R I S 12 4 M O R E A T I N T H E S P I D E R A B A R T H . C H A I R . La Rivista Anno 108 - n.1 - Gennaio 2017 T