In crisi la funzione cerniera delle istituzioni tra politica e società

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In crisi la funzione cerniera delle istituzioni tra politica e società
Anno 108 - n. 1 - Gennaio 2017
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50° Rapporto Censis sulla
situazione sociale del Paese
In crisi la funzione cerniera delle
istituzioni tra politica e società
Intervista con Pippo Pollina
Un anno dopo o giù di lì
P E R F O R M A N C E
A B A R T H
D I S C O V E R
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La Rivista Anno 108 - n.1 - Gennaio 2017
T
EDITORIALE
Da ormai 50 anni è un appuntamento annuale.
Ne possiamo tranquillamente prescindere.
La maggior parte di noi la fa e, come generalmente ci dice:
campa lo stesso.
Eppure, attraversarlo, lungo la pista delle
sue considerazioni generali e delle sue
sintesi, può essere utile: per interpretare i
fenomeni socio-economici più significati
del Paese Italia; per trarne qualche elemento di riflessione che ci aiuti a comprendere quella che oggi è d’obbligo chiamare
la narrazione del nostro quotidiano. Che,
puntualmente, esperti a vario titolo, politici e mass media ci raccontano e che noi
naturalmente, giorno dopo giorno, viviamo.
È il Rapporto Censis, giunto alla 50a edizione, che quest’anno ci segnala che siamo
entrati in una “seconda era del sommerso”;
non più pre-industriale (fine anni 60): “che
nel ventennio successivo fece da battistrada all’imprenditoria molecolare e all’industrializzazione di massa”, ma post-terziario: “dove vive un magma di interessi e
comportamenti, un’onda profonda di soggetti e di scelte. In esso si intrecciano (senza saldarsi) la accentuata diversificazione
delle attività di lavoro, la moltiplicazione
delle fonti di reddito, la sperimentazione di
nuovi percorsi imprenditoriali”.
È di fatto un “sommerso di ricerca di più
redditi”, l’intreccio di interessi e comportamenti orientati a “fare soldi” che lo rende
un fenomeno sostanziale e non marginale,
strutturale e non congiunturale.
In questo scenario (alla cui comprensione
può contribuire quanto scritto alle pagine
16-19 della Rivista - ndr) emerge un’Italia,
definita rentier, “che si limita a utilizzare le
risorse di cui dispone senza proiezione sul
futuro, con il rischio di svendere pezzo a
pezzo l’argenteria di famiglia”.
L’immobilità sociale genera insicurezza:
dall’inizio della crisi (2008) sono stati accantonati 114 miliardi di euro di liquidità aggiuntiva (più del Pil dell’Ungheria). Si registra
quello che viene definito un Ko economico
dei giovani: rispetto alla media, redditi più
bassi del 15% (e del 26,5% rispetto ai loro
coetanei di venticinque anni fa) e ricchezza inferiore del 41%. Sembra tornare l’occupazione, ma a bassa produttività.
Il 2016 è stato l’anno dei flussi: export, turismo, digitale, immigrati. Ma si è rotta la
cerniera tra potere politico e corpo sociale, certificato dal crollo di fiducia per tutti
i soggetti intermedi tradizionali: solo l’1,5%
degli italiani ha fiducia nelle banche, l’1,6%
nei partiti politici, il 6,6% nei sindacati.
Infine, il Rapporto, coinvolgendo la Storia, ci
ricorda che la società italiana è stata pensata all’inizio e compiuta nel tempo dal faticoso quotidiano operare dell’apparato istituzionale, statale e periferico. Forse è tempo per il mondo politico e il corpo sociale di
ricambiare un po’ di quella carica di futuro,
provvedendo con coraggio a dare un nuovo ruolo al troppo mortificato mondo delle
istituzioni. Altrimenti quest’anno e i prossimi
tempi rimarranno, come scriverebbe Rilke,
sospesi da qualche parte nell’incompiuto.
Editore
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Italiana per la Svizzera
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** Il CO2 è il gas a effetto serra principalmente responsabile del riscaldamento terrestre; valore medio CO2 di tutti i modelli di vettura offerti in Svizzera 139 g/km.
Sommario
1
4
Editoriale
Sommario
PRIMO PIANO
16
In crisi la funzione delle istituzioni come
cerniera tra mondo politico e corpo sociale
La cosiddetta tassazione globale
50° Rapporto Censis sulla situazione
sociale del Paese/2016
INCONTRI
21
Non solo hotel e centri fitness:
anche case private
A colloquio con Cristiano Zemella, Division manager
Wellness & Spa Starpool Switzerland
22
24
STARPOOL – wellness concept
26
A Zurigo la seconda edizione della
Serata Italiana
La gente ci apprezza le alte gerarchie
fanno fatica
Donne in carriera: Maria Josè Falcicchia
CULTURA
41
Luci e ombre dell’Elvezia “una e indivisibile” (Come il Fricktal divenne svizzero)
Dalla Svizzera degli Stati a quella federale
50
La donna del secolo
A duecento anni dalla morte di Madame de Staël
52
«Idee della Svizzera» e «du – dal 1941»
Idee che incarnano l’identità della Svizzera
Al Museo nazionale di Zurigo fino al 17 marzo 2017
53
Francesco Jodice – Panorama
Al Museo fotografico Winterthur dal 11 febbraio al
7 maggio 2017
54
Lo sguardo Senza Confini di Steve McCurry
A Napoli, al Pan di via dei Mille, fino al 12
febbraio 2017
56
Le donne protagoniste
A Zurigo la seconda edizione dello Human Rights
Film Festival
59
Un anno dopo o giù di lì
Intervista con Pippo Pollina
22
59
64
82
Sommario
DOLCE VITA
64
68
IL MONDO IN CAMERA
Wine2Wine – Il forum sul business del vino
Vini d’Italia Tour 2016/2017
Zurigo – 28. Novembre 2016
Consegnati a Zurigo i diplomi di sommelier
70
A Tavola al Museo
Quando il piatto sposa l’opera d’arte
78
Renault Megane Grandtour GT
Proporzioni equilibrate e un design dalla personalità
spiccata
82
84
85
86
Swisstech & Prodex ‘16
A Zurigo l’aperitivo natalizio in Camera
Wine Christmas, Cocktail di CCIS al
Ristorante Ciani di Lugano
Contatti Commerciali
Benvenuto ai nuovi soci
88
Servizi Camerali
Mercedes Classe V 250 4M Exclusive
Van a 6 posti extra lusso - Prezioso in condizioni
stradali difficili –
Il calendario Pirelli 2017
80
Fiat 500X MY2017 - Paradigma
nel segmento
La 100millesima Maserati è una
Quattroporte GranSport MY17
Le Rubriche
70
74
77
7
In breve
37
L’elefante invisibile
9
Italiche
39
Benchmark
11
Elvetiche
40
Per chi suona
il campanello
13
Europee
49
Scaffale
15
Internazionali
58
Sequenze
20
Cultura d’impresa
63
Diapason
30
Burocratiche
70
Convivio
32
Angolo Fiscale
73
La dieta rivista
33
Angolo legale Svizzera
74
Starbene
34
Convenzioni
Internazionali
77
Motori
In copertina: La società continua a funzionare nel quotidiano, rumina e metabolizza gli input
esterni, cicatrizza le ferite più profonde (50° Rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese)
In Breve
Mendrisio-Varese,
operativa dal 10
dicembre 2017
Voci, illazioni e date ufficiali in realtà
solo presunte si rincorrevano da settimane in Italia, tanto che qualcuno si
era di recente spinto sino ad indicare il
10 dicembre dell’anno prossimo come
giorno scelto per l’inaugurazione della
ferrovia Mendrisio-Varese (FMV) oltreconfine. Ebbene, l’agognata apertura
del collegamento sull’intero percorso,
dopo il servizio sul territorio svizzero,
ossia fino a Stabio, è già operativo dal
14 dicembre del 2014, avverrà il 10 dicembre dell’anno prossimo.
«La linea sarà attivata al servizio commerciale con il cambio orario di dicembre 2017» fa sapere il reparto Relazioni
con i Media e Attività redazionali di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A., al quale
il è stato chiesto di fare chiarezza sul
balletto di date orchestrato da alcune
testate giornalistiche. Su richiesta specifica arriva la conferma delle FS che
con il cambio orario di dicembre 2017,
precisamente il 10 del mese la FMV, finalmente completata, garantirà l’effettivo collegamento.
6 - La Rivista gennaio 2017
Export agroalimentare made in Italy da record
Secondo un rapporto appena pubblicato dalla Camera di Commercio di
Milano, su dati Istat, l’agroalimentare
italiano nel mondo nel 2015 (questi gli
ultimi dati disponibili) valeva 36,7 miliardi di euro all’anno. A titolo di paragone si consideri che 19,9 sono i miliardi
dell’export del settore degli autoveicoli.
Germania, Francia, Stati Uniti, Regno
Unito e Svizzera intercettano la metà
dell’export del settore, ma tutte le principali destinazioni sono in crescita. La
Germania, la Francia e la Svizzera sono
fra i primi acquirenti per quasi tutti i
prodotti, mentre gli Stati Uniti importano soprattutto vini, acque minerali e
olio, la Spagna pesce fresco, la Grecia e
le Filippine alimenti per animali. In forte
crescita Cina per latte, amidi, tè, caffè e
vini, Arabia Saudita per frutti e prodotti da forno, Australia per pasta e piatti
pronti, Turchia per cioccolato, Ungheria
per carne lavorata e conservata, Polonia per pesce conservato, gelati e condimenti e Belgio per acque minerali.
Fra i prodotti “made in Italy” più esportati, i vini che raggiungono i 5,4 miliardi
di euro, vengono poi pane, pasta e farinacei con 3,6 miliardi di euro ma anche frutta e ortaggi lavorati e conservati
con 3,4 miliardi di euro. Gli aumenti più
consistenti si registrano per acque minerali (+21,1%), alimenti per animali
(+20%), prodotti non lavorati da colture non permanenti tra cui cereali, riso,
ortaggi (+15,5%), tè e caffè (+11,2%).
Svizzera: novità in vigore
dal 1° gennaio 2017
Prodotti svizzeri ancora più svizzeri.
In base alla nuova legislazione “Swissness”, per i prodotti naturali quali
piante o carne, così come per il latte
e suoi derivati, è ora richiesto un tasso del 100% di “svizzerità”. Per le altre derrate alimentari è necessario un
minimo dell’80% di materia prima
elvetica. Eccezioni sono previste per
prodotti non disponibili sul territorio
della Confederazione: birre, cioccolato
e caffè potranno avvalersi del marchio
rossocrociato anche se la materia prima viene dall’estero. Per i prodotti industriali il tasso è fissato al 60%.
Per quanto riguarda i trasporti, le categorie dell’etichetta Energia per le
automobili (che vanno dalla A alla G)
devono sostare a criteri più severi: soltanto un settimo di tutti i nuovi modelli
saranno inclusi nella categoria A della
migliore efficienza dal profilo del consumo di carburante e delle emissioni
nocive per l’ambiente.
La tassa sul traffico pesante ammonta
in media 298 franchi, invece di 271,
garantendo complessivamente 190 milioni di franchi di introiti in più.
Sul fronte fiscale, accorciati i termini di
prescrizione: chi omette di dichiarare
redditi imponibili potrà essere perseguito soltanto per un periodo di 10 anni
invece di 20.
Dal canto loro, le banche svizzere dovranno cominciare a raccogliere le informazioni sui loro clienti che risiedono
all’estero in modo che l’amministrazio-
ne fiscale possa procedere allo scambio automatico di informazioni con i
partner esteri a partire dal 2018.
Altra novità in vigore da gennaio: per
motivi di protezione dei dati e di scarsa rilevanza pubblica, i cantoni non
potranno più pubblicare fatti di stato civile (nascite, morti, matrimoni e unioni
domestiche registrate). Eccezioni sono
previste per gli avvisi mortuari. Inoltre
per l’accertamento dello stato civile
non sarà più necessario pagare una
tassa di 30 franchi.
L’italiano ed il cigno nero di Popper
Partendo da qualche caso particolare (scuola o cantone), è stata diffusa la notizia
che nei licei svizzeri l’italiano è poco scelto dagli allievi. Si afferma quindi che «tutti i
cigni sono bianchi». Ma il pensatore Karl Popper, che trascorse alcuni anni in Nuova
Zelanda dove scrisse tra l’altro “La società aperta e i suoi nemici” (1945), ci mette in
guardia dalle generalizzazioni e ci insegna che dal fatto che dei cigni sono bianchi
non si può concludere che «tutti i cigni sono bianchi». Se un attento controllo porta
alla scoperta di uno o più cigni neri, questa scoperta falsifica la tesi che «tutti i cigni
sono bianchi». Se poi l’eco di un cigno nero giunge proprio da una scuola che ha
sbandierato ai quattro venti che «tutti i cigni sono bianchi», allora c’è da supporre che quella tesi non possa che essere il frutto di un abbaglio – ed un motivo d’oro deve pur esserci… Lunga vita ai cigni neri: per trasformarli in capri espiatori non bastano formule magiche.
Per approfondire la tematica, si veda: D. Sperduto, L’italiano nelle scuole svizzere è più vivo che mai, “La Rivista”, ottobre 2016, p.
46; Dai descrittori linguistici e letterari alla retorica, “Babylonia”, 2016/3, p. 96; L’assemblea plenaria dell’ASPI, “La Rivista”, gennaio
2015, p. 50; Quanta retorica contro l’italiano! “Babylonia”, 2014/1, p. 93.
Dr. Donato Sperduto,
Presidente dell’ASPI-VSI e docente di italiano e francese alla Kantonsschule Sursee
gennaio 2017 La Rivista - 7
CENA IN FAMIGLIA?
BRAVO A TE!
Italiche
di Corrado Bianchi Porro
Eventi inaspettati
Ci sono stati tre
avvenimenti
inaspettati nel
corso del 2016.
Il primo è stata in giugno la votazione su Brexit, il referendum inglese che ha sancito l’uscita della
Gran Bretagna dall’UE, un avvenimento che sarà ufficializzato entro il marzo del 2017 secondo
le intenzioni del premier britannico Theresa May, ma le cui trattative dureranno mesi. La seconda
sorpresa è stata l’ascesa alla presidenza degli Stati Uniti di Donald Trump, il candidato repubblicano che non rientrava nei radar delle previsioni dei principali commentatori e nemmeno nei
pronostici del suo stesso partito. La terza sorpresa riguarda invece l’esito del referendum costituzionale in Italia.
Qui l’effetto di sorpresa non è stato determinato dall’esito del voto né tanto meno dal fatto che
il referendum sia stato bocciato con una vittoria plebiscitaria dell’elettorato contro l’azione del
Governo in una proporzione del 59,1%, a fronte di un tasso di partecipazione molto elevato
(68,5%), ma dalla constatazione che, nonostante le previsioni indicassero in caso di rigetto una
difficoltà della borsa italiana ed un progressivo ampliarsi degli spread, si è in realtà verificato
l’esatto contrario. Infatti, i titoli bancari italiani hanno guidato la ripresa del listino milanese e lo
spread – anche grazie agli acquisti della BCE – si è ricompattato, tornando al di sotto dei livelli precedenti. Buona parte di questo esito mite è dovuto al fatto che se il governo di Matteo Renzi non
è riuscito a passare il Rubicone delle riforme costituzionali, il suo ultimo atto è stata l’approvazione
parlamentare dell’atto politico per eccellenza: la legge di stabilità, mentre la crisi successiva con le
dimissioni del premier si è risolta nel giro di poche ore, pur con una compagine governativa che
ricalca in massima parte quella precedente.
Ciò non significa che il listino italiano sia vaccinato dalla volatilità. Secondo Euler Hermes, leader
mondiale delle soluzioni di assicurazioni per gli scambi commerciali, il “no” italiano al referendum
costituzionale determinerà tuttavia conseguenze economiche. L’esito non impatterà le banche
o il mercato obbligazionario in un primo tempo, ma costerà un peggioramento dello 0,3% alla
crescita del Pil. Le conseguenze economiche saranno certo meno marcate di quelle di Brexit,
spiega Ludovic Subran, capo economista di Euler Hermes. Dunque, secondo tali previsioni, il
Pil italiano dovrebbe crescere nel 2017 dello 0,6%, accrescendo così il divario rispetto alle altre
economie dell’Europa. Si tratterebbe dunque di una cattiva notizia non solo per le imprese italiane, ma anche per i loro partner commerciali come la Svizzera, osserva Stefan Ruf, Ceo di Euler
Hermes Suisse.
Vi è poi da sperare che si esca presto dal circolo vizioso dei crediti incagliati non performanti (NPL)
che deprimono il settore bancario dato che l’economia italiana soffre da anni di una crescita
debole, di un forte indebitamento e mancanza di produttività e competitività, oltre che di una
disoccupazione elevata. Egli aggiunge nella diagnosi anche dei “costi del personale eccessivi”,
un’osservazione che tuttavia non ci sentiamo di sottoscrivere, perché il salario netto che rimane
nelle tasche delle famiglie non è affatto tra i più elevati d’Europa. Stefan Rut aggiunge che la
debole produttività e i costi salariali elevati (a motivo di eccessive trattenute) appesantiscono la
competitività delle imprese italiane nel raffronto internazionale. L’Italia, in effetti, si trova oggi
dietro Spagna, Irlanda e ovviamente la Germania. Per questo motivo il futuro governo che uscirà
dalle elezioni quando venga approvata una nuova legge elettorale che consenta di ottenere una
maggioranza stabile in entrambe le Camere, dovrà ripercorrere il cammino delle riforme. Ricordando tuttavia come l’Italia presenti oggi, nonostante le persistenti debolezze strutturali, una
bilancia commerciale eccedentaria, mentre il 65% del debito è detenuto da investitori italiani,
con scadenze temporali non ancorate al breve periodo.
gennaio 2017 La Rivista - 9
Elvetiche
di Fabio Dozio
Bilaterali sì o no
Il 2017 regalerà
forse e finalmente
un chiarimento
alla Svizzera: il
popolo potrebbe
esprimersi sugli
accordi bilaterali con l’Unione
Europea.
La vicenda dell’iniziativa “Contro l’immigrazione di massa”, votata nel febbraio del 2014,
è intrisa di ipocrisie. Perché fin da subito si sapeva che l’iniziativa era inapplicabile, a meno
di far saltare gli accordi bilaterali tra Svizzera e Unione europea, e anche perché la legge di
applicazione, votata a metà dicembre scorso dal Parlamento elvetico, non rispetta il dettato
costituzionale.
Tre anni fa il popolo svizzero, con una risicata maggioranza, 50,3% - 19 mila voti di differenza
su un totale di 2,9 milioni di votanti – approva la proposta dell’UDC “Contro l’immigrazione di
massa”, che introduce nella Costituzione l’art.121a che prescrive alla Svizzera di gestire “autonomamente l’immigrazione di stranieri” reintroducendo “tetti massimi e contingenti annuali”.
Un tranello politico, perché è evidente (ma probabilmente molti cittadini votanti non l’hanno
capito) che imporre un contingentamento degli stranieri significa contraddire il principio della libera circolazione delle persone, uno dei capisaldi degli accordi bilaterali sottoscritti dalla
Svizzera con l’Unione europea. Christoph Blocher ha cercato di imbrogliare le carte, dicendo e
ripetendo che l’UE avrebbe potuto accettare la via svizzera, perché siamo un Paese importante
per l’Europa. Una favoletta sconfessata più volte in questi tre anni dalle autorità di Bruxelles,
che ripetono a iosa che mettere in discussione la libera circolazione significa far cadere tutti gli
accordi bilaterali. Ma non solo: da subito Bruxelles decide ritorsioni nei confronti di Berna, e
blocca gli scambi di studenti Erasmus+ e il programma di ricerca e innovazione Horizon 2020.
Per tre anni il governo svizzero si confronta con questo dilemma insolubile: cercare di far
rispettare la Costituzione, ovvero l’articolo che prevede freno all’immigrazione e contingenti,
proponendo una legge di applicazione che non contraddica i principi della libera circolazione.
Operazione impervia: la modifica della legge sugli stranieri votata dal Parlamento a dicembre
interviene solo sul mercato del lavoro interno, non sull’immigrazione, prescrivendo un meccanismo per far scattare la preferenza all’assunzione di disoccupati quando il tasso di senza
lavoro fosse al di sopra della media. I datori di lavoro che necessitano di manodopera devono
richiederla agli Uffici regionali di collocamento. Ma a questi Uffici, piccolo dettaglio, possono
iscriversi anche gli stranieri e i frontalieri. Una misura che, verosimilmente, non permetterà di
diminuire significativamente l’immigrazione.
L’Europa è soddisfatta, il Consiglio federale pure, così come i liberali radicali e i socialisti, promotori della riforma.
L’UDC grida invece allo scandalo e alla Camera inscena un teatrino esibendo cartelli che lamentano il tradimento della Costituzione.
Il PPD si astiene, perché ritiene che questa soluzione non metta in atto la volontà popolare:
avrebbe preferito una legge più severa che, verosimilmente, avrebbe cozzato (ancora!) contro
la libera circolazione. Cosa ci vuole a capire che prima di aver risolto Brexit l’UE non apre nessuno spiraglio alla Svizzera?
Liberali e socialisti ripetono che la volontà popolare si è espressa cinque volte a favore dei bilaterali e solo una volta contro l’immigrazione, quindi il compromesso è accettabile.
D’altra parte, è bene ricordare che il Tribunale federale ha sentenziato lo scorso anno che,
in caso di contraddizione tra una legge nazionale e l’accordo bilaterale, sarà quest’ultimo a
prevalere.
Morale della storia: per uscire da questo pasticcio e per superare le ipocrisie incrociate, l’UDC
dovrà rassegnarsi a chiedere al popolo se intende rimettere in discussione gli accordi bilaterali.
L’Associazione per una Svizzera neutrale e indipendente ha già deciso in questo senso.
È questa la domanda cruciale e prossimamente conosceremo la risposta. Forse…
gennaio 2017 La Rivista - 11
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NEWS GENNAIO 2017
Con l’approvazione del D.L. 22 ottobre 2016 n. 193, sono stati
riaperti i termini di accesso alla voluntary disclosure.
Per effetto della riapertura sarà quindi possibile regolarizzare
gli investimenti illecitamente detenuti all’estero e le violazioni
tributarie commesse fino al 30 settembre 2016.
Gli elementi salienti della riapertura sono i seguenti:
- è consentito presentare istanza per la VD-bis ent ro il prossimo 31 luglio 2017 (salvo ulteriori proroghe);
- l’integrazione delle istanze, dei documenti e delle informazioni che verranno forniti all’Agenzia delle Entrate potrà avvenire fino al 30 settembre 2017 (salvo ulteriori proroghe);
- è stata introdotta la possibilità di provvedere spontaneamente
al versamento di quanto dovuto fino al 30 settembre 2017 o
in tre rate mensili di pari importo con pagamento della prima
rata comunque entro il 30 settembre 2017. Chiaramente in
questa ipotesi vi saranno maggiori oneri per il professionista
incaricato in quanto sarà tenuto a perfezionare nel miglior
modo possibile i conteggi;
- accogliendo alcune indicazioni degli ordini professionali è
stato previsto l’esonero dalla presentazione del quadro
RW/2017 per le attività oggetto di VD, semplificando gli
adempimenti per i contribuenti;
- è stato, infine, stabilito l’ampliamento fino al 31 dicembre
2018 dei termini di accertamento e di irrogazione delle sanzioni ordinariamente previsti per le sole attività oggetto della
VD-bis, limitatamente agli imponibili, alle imposte, alle ritenute, ai contributi, alle sanzioni e agli interessi, e per tutte le
annualità e le violazioni oggetto della procedura stessa.
L’Agenzia delle Entrate ha specificato che è possibile aderire
alla procedura già a partire dal 25 ottobre 2016.
IN PARTNERSHIP CON:
I consulenti di SEAL Consulting SA sono a disposizione per
assistere coloro i quali fossero interessati ad aderire alla procedura di voluntary disclosure.
Europee
di Viviana Pansa
I pericoli dell’isolamento
europeo
Arriva il nuovo
anno e l’Europa si
appresta a fare i
conti con il ricambio dei governi
dei più importanti Paesi membri,
e a verificare il
peso dei populismi su cruciali
bacini elettorali.
Prima in Francia, dove gli effetti della crisi economica si coniugano pericolosamente con
l’estremismo islamico in una fase storica di grande impatto dei flussi migratori. Poi in Germania, che potrebbe confermarsi il solo Paese europeo la cui leadership supererà con successo questi anni complessi con la rielezione per la quarta volta consecutiva della cancelliera
Angela Merkel. Ma anche l’Olanda si appresta a breve a nuove elezioni, mentre il governo
italiano, dopo lo shock dell’esito del referendum sulle riforme costituzionali targate Matteo
Renzi, garantisce un esecutivo in apparente continuità, sotto la guida di Paolo Gentiloni, il
cui mandato dovrebbe essere comunque limitato all’elaborazione da parte del Parlamento di
una nuova legge elettorale. Sarà anche per questo clima di incertezza che l’ultimo Consiglio
europeo del 2016 si è chiuso senza la tradizionale “foto di famiglia” e, nonostante le delicate
questioni all’ordine del giorno, sia proceduto piuttosto velocemente. Oltre all’atteso ricambio
dei vertici, hanno contato probabilmente anche le rispettive campagne elettorali, e nessuno
è apparso troppo interessato ad associare il proprio volto all’ennesimo summit dal quale, da
6 anni a questa parte, non escono soluzioni definitive a nessuna delle grandi questioni che
interessano il continente.
Al centro dell’incontro, ancora una volta, la gestione dei flussi migratori, con l’annuncio della
firma di un accordo tra Italia, Germania, Francia e Niger per frenare il transito verso la Libia dei
migranti, un’intesa che Gentiloni ha precisato di ritenere “un piccolo passo, ma significativo”
“nel contesto di una politica che deve fare molti passi avanti”, riferendosi in particolare alla
tanto discussa riforma del Trattato di Dublino, che determina lo Stato competente all’esame
della domanda di asilo degli ingressi in Ue. Al riguardo la proposta dell’attuale presidenza
slovacca sarebbe una redistribuzione degli arrivi su base volontaria, ipotesi che non soddisfa
l’Italia e il cui esito facilmente prevedibile è l’adesione riscontrata al programma di redistribuzione dei profughi giunti in Italia e Grecia faticosamente sottoscritto l’anno scorso.
Sul fronte economico, torna a far discutere la Grecia, per via della decisione del premier Alexis
Tsipras di aumentare la spesa pensionistica e non procedere con l’aumento del’Iva nelle isole
più colpite dagli sbarchi nel corso dell’estate, deliberazione non concordata con l’Europa e
che ha determinato la sospensione delle misure di sostegno al debito di Atene. Da parte italiana si conferma invece il rifiuto di dare il via libera del bilancio a medio termine dell’Unione
e un imminente confronto su dati di bilancio e legge di stabilità su cui Bruxelles aveva soprasseduto in novembre in attesa dell’esito della consultazione referendaria.
Ancor più alla luce dei tragici avvenimenti succedutisi alle vigilia di Natale – l’uccisione dell’ambasciatore russo in Turchia, Andrei Karlov, la sparatoria in una moschea a Zurigo, l’attentato
al mercatino di Berlino, - appare necessario che l’Europa dimostri più coraggio e coerenza,
ed esca dal proprio pericoloso isolamento. Non vi è riuscita davanti al problematico impatto
dei flussi migratori, alla deriva autoritaria imboccata dalla Turchia, al massacro di Aleppo.
All’interno stesso dell’Ue, poi, la Polonia discute ora la limitazione dell’accesso al Parlamento
dei giornalisti e il leader neoconservatore Jaroslaw Kaczynski auspica una “controrivoluzione”
all’Europa insieme all’ungherese Viktor Orban. Con l’avvio ufficiale della presidenza americana di Donald Trump le cose non potranno che farsi più complesse, sia sul piano internazionale, vista la volontà del tycoon di intervenire il meno possibile sul fronte mediorientale,
lasciando semmai campo libero a Vladimir Putin, sia su quello economico, se l’annunciato
intento protezionistico dovesse diventare realtà.
gennaio 2017 La Rivista - 13
Come posso avere il quadro
completo della situazione?
Guardando oltre l’ovvio.
Solo così si svela il vero valore delle cose. Insieme possiamo costruire una relazione
di fiducia, solida e duratura. Che vi offra le nostre competenze e le risorse di un
approccio globale davvero integrato. Per darle quello che chiede: un quadro di
insieme chiaro e nitido.
Di fronte ad alcune domande che la vita pone, non siete soli.
Insieme possiamo trovare una risposta.
ab
Questo documento e le informazioni in esso contenute sono fornite esclusivamente a scopi informativi. © UBS 2017. Tutti i diritti riservati.
Internazionali
di Michele Caracciolo di Brienza
Tutte le bugie del
presidente
Frasi fatte, dati
inventati, la pancia degli americani e una bizzarra
affinità elettiva
con Vladimir
Putin sono i primi
elementi di un
Trump presidente
che si sta rivelando particolarmente grottesco.
Quest’uomo è un
bugiardo.
Com’è possibile che in un paese come gli Stati Uniti, così attento al culto della verità da parte di un
politico, si tollerino le sue panzane continue?
Facciamo alcuni esempi recenti altrimenti la lista sarebbe troppo lunga: il 17 novembre Donald Trump ha tuittato sul suo conto ufficiale Twitter: “I worked hard with Bill Ford (Ford president) to keep
the Lincoln plant in Kentucky” – “Ho lavorato duro con Bill Ford (amministratore delegato della Ford)
per mantenere in Kentucky lo stabilimento di Lincoln” – il tweet continua: “I owed it to the great
State of Kentucky for their confidence in me” – “Lo devo al grande Stato del Kentucky per la loro
fiducia in me”. C’è solo un problema: il fabbricante d’auto non ha e non aveva alcuna intenzione al
momento della pubblicazione del tweet di chiudere lo stabilimento di Louisville (Kentucky). La Ford
sposterà la produzione del Lincoln MKC in Messico ma aumenterà la produzione di un altro modello, il Ford Escape, in Kentucky. È arrivata la rettifica ufficiale della Ford il giorno dopo.
Un altro caso riguarda l’ennesimo tweet uscito questa volta il 6 dicembre sempre dal conto ufficiale: “Boeing is building a brand new 747 Air Force One for future presidents, but costs are out of
control, more than $4 billion. Cancel order!” – “Boing sta costruendo un 747 Air Force One nuovo
di zecca per i futuri presidenti, ma i costi sono fuori controlli, oltre 4 miliardi di dollari. Cancellare
l’ordine!”. Il Wall Street Journal del 6 dicembre riporta che il Pentagono ha previsto un budget di
2,7 miliardi dal 2017 al 2021 per sviluppare la nuova flotta presidenziale. Si tratta di 2,7 e non di 4
miliardi di dollari.
Un terzo ed ultimo tweet esagerato, gonfiato e da bar è datato 12 dicembre: “The F-35 program
and cost is out of control. Billions of dollars can and will be saved on military (and other) purchases
after January 20th.” Il 20 gennaio è il giorno dell’insediamento di Trump nel ruolo di presidente degli
Stati Uniti d’America. Chi scrive non entra nel merito della bontà o meno degli F-35 della Lockheed
Martin, ma nell’opportunità di parlarne in termini così approssimativi. 140 caratteri pubblicati dal
conto ufficiale di Trump hanno un effetto dirompente sull’andamento del titolo azionario di aziende
come Lockheed Martin appunto. Le sue azioni sono scese del 4.4% subito dopo il tweet sugli F-35.
C’è forse una volontà di lucrare sui mercati sapendo in anticipo le panzane che questo imperatore
biondo un po’ viziato e un po’ bullo pubblica urbi et orbi? Il conto Twitter di Trump è controllato e
gestito dal suo staff e il sospetto sorge spontaneo. Si tratta comunque solo di un sospetto. Resta il
fatto che, ogniqualvolta Trump says… Trump dice… o tuitta un pensierino, serpeggia il terrore tra
gli executives americani.
L’11 dicembre scorso l’opinionista politico, Carl Bernstein, ha criticato duramente Donald Trump alla
CNN. Bernstein ha dichiarato: “Trump vive e gozzoviglia in un ambiente esente dai fatti”. “Nessun
presidente, incluso Richard Nixon, è stato così ignorante dei fatti e li disprezza nel modo in cui il
presidente eletto lo fa.” - ha aggiunto Bernstein, il cui lavoro investigativo negli anni Settanta con
Bon Woodward al Washington Post fece scoppiare lo scandalo Watergate che portò alle dimissioni
di Nixon. “[…] e ha qualcosa a che fare con il crescente senso di autoritarismo che lui [Trump] e la
sua presidenza stanno proiettando”. “Il pericolo di tutto ciò è ovvio e sta cercando di rendere il comportamento della stampa un problema, non la sua propria condotta”. “Non affronta un dibattito
fondandolo sui fatti. Egli imposta un dibattito sulle emozioni” ha concluso Bernstein. “Ciò che abbiamo visto durante tutta la campagna elettorale è un disprezzo patologico per la verità, una sorta
di bugia e l’essere a proprio agio con la menzogna. Non si era mai visto prima”. Ricorda qualcuno?
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gennaio 2017 La Rivista - 15
50° Rapporto
Censis sulla
situazione
sociale del
Paese/2016
Le istituzioni non riescono più a «fare cerniera» tra dinamica politica e dinamica sociale
In crisi la funzione delle istituzioni come
cerniera tra mondo politico
corpo sociale
e
La società continua a funzionare nel quotidiano, rumina e metabolizza gli input esterni, cicatrizza le ferite più
profonde. Intanto siamo entrati in una seconda era del
sommerso: non più pre-industriale, ma post-terziario. È
una «macchina molecolare» senza un sistemico orientamento di sviluppo, in cui proliferano figure lavorative
labili e provvisorie. Nel parallelo «rintanamento chez
soi» di politica e società cresce il populismo
Nel «silenzioso andare del tempo», sono tre i processi principali della società italiana. In primo luogo, la società continua a funzionare nel quotidiano. Non come scettica passività
dell’abitudine, ma come primato dell’impegno quotidiano
dei soggetti economici e sociali. Le imprese continuano a
operare nelle dinamiche di filiera (basti ricordare la filiera
enogastronomica, quella del lusso e del made in Italy, quella
della progettazione, fabbricazione e manutenzione dei macchinari); le famiglie continuano a coltivare i loro risparmi e i
loro patrimoni; il sistema di welfare continua la sua lucida e
spesso dura quadratura in modo da non perdere il suo ruolo cardine nella soddisfazione dei bisogni sociali; il territorio
continua a essere un fondamentale fattore dello sviluppo (si
pensi al recupero delle città come sedi di localizzazione manifatturiera); gli incrementali arrivi turistici continuano a confermare una prosperante attrattività del nostro Paese; e anche
il Mezzogiorno non ha mostrato cedimenti da sommare a
cedimenti del passato. In secondo luogo, la società rumina
16 - La Rivista gennaio 2017
Si consolida il processo di digitalizzazione (che mette in
crisi l’intermediazione burocratica del ceto impiegatizio,
che su tale prassi aveva costruito potere e identità)
e metabolizza gli input esterni, volta per volta rimuovendoli
o assimilandoli. Vale per il flusso crescente di migranti e la
loro faticosa integrazione; per il processo di digitalizzazione
(che mette in crisi l’intermediazione burocratica del ceto impiegatizio che su tale prassi aveva costruito potere e identità);
per la faticosa affermazione legislativa e giurisprudenziale dei
diritti individuali. In terzo luogo, la società cicatrizza le ferite
più profonde: la Brexit, che appare come una crisi radicale
sulla strada di una compatta identità europea, con il rischio
per noi di perdere un riferimento essenziale (non solo linguistico) per sviluppare una cultura poliglotta; la dura ferita degli
eventi sismici degli ultimi mesi, con il rischio di una contrazione dell’economia delle aree interne e la perdita di attrattività
dei borghi e dei centri minori; la pericolosa faglia che si va
instaurando tra mondo del potere politico e corpo sociale, che
vanno ognuno per proprio conto, con reciproci processi di rancorosa delegittimazione.
La seconda era del sommerso post-terziario.
Intanto siamo entrati in una «seconda era del sommerso»:
non più un sommerso pre-industriale, come quello che il Censis scoprì nei primi anni ‘70 e che nel ventennio successivo
fece da battistrada all’imprenditoria molecolare e all’industrializzazione di massa, ma un sommerso post-terziario. Non
un «sommerso di lavoro» (nelle brulicanti opportunità di quel
periodo) e un «sommerso di impresa» (nella diffusa propensione al lavoro indipendente e all’avventura aziendale di quegli anni), ma un «sommerso di redditi», che prolifera nella gestione del risparmio cash («per non andare in banca»), nelle
strategie di valorizzazione del patrimonio immobiliare (casolari rurali, appartamenti urbani, attici panoramici trasformati
in case per vacanza, bed and breakfast o location per eventi),
nel settore dei servizi alla persona (dalle badanti alle babysitter, alle lezioni private), nei servizi di «mobilità condivisa» e
di recapito, e altro ancora. E proliferano così figure lavorative
labili e provvisorie, soprattutto tra i giovani che vivono nella
frontiera paludosa tra formazione e lavoro. Mentre il sommerso pre-industriale apriva a una saga di sviluppo imprenditoriale e industriale, l’attuale sommerso è più statico che evolutivo,
senza un sistemico orientamento di sviluppo. È un magma di
soggetti, interessi e comportamenti, una «macchina molecolare», una esplosione di molteplicità monadiche. Il corpo sociale finisce così per assicurarsi la sua primordiale funzione,
quella di «reggersi», anche senza disporre di strutture portanti
politiche o istituzionali.
Il grande distacco tra potere politico e popolo
Il corpo sociale si sente rancorosamente vittima di un sistema
di casta. Il mondo politico si arrocca sulla necessità di un rilancio dell’etica e della moralità pubblica (passando dal contrasto alla corruzione dei pubblici uffici all’imposizione di valori di onestà e trasparenza delle decisioni). Le istituzioni (per
crisi della propria consistenza, anche valoriale) non riescono
più a «fare cerniera» tra dinamica politica e dinamica sociale,
di conseguenza vanno verso un progressivo rinserramento.
Delle tre componenti di una società moderna (corpo sociale,
istituzioni, potere politico) sono proprio le istituzioni a essere
oggi più profondamente in crisi. Per tutta la nostra storia (nel
periodo risorgimentale, nella fase pre-fascista, nel ventennio
fascista, nell’immediato dopoguerra) è stata la potenza e l’alta qualità delle istituzioni a fare la sostanza unitaria del Paese.
Ma oggi le istituzioni sono inermi (perché vuote o occupate
da altri poteri), incapaci di svolgere il loro ruolo di cerniera.
Si afferma così un inedito parallelo «rintanamento chez soi»:
il mondo politico e il corpo sociale coltivano ambizioni solo
rimirandosi in sé stessi. La politica riafferma orgogliosamente il suo primato progettuale e decisionale, mentre il corpo
sociale rafforza la sua orgogliosa autonomia nel «reggersi».
Sono destinati così a una congiunta alimentazione del populismo. È tempo per il mondo politico e il corpo sociale di dare
con coraggio un nuovo ruolo alle troppo mortificate istituzioni.
L’Italia rentier che non investe sul futuro
Le aspettative degli italiani continuano a essere negative
o piatte. Il 61,4% è convinto che il proprio reddito non aumenterà nei prossimi anni, il 57% ritiene che i figli e i nipoti
non vivranno meglio di loro (e lo pensa anche il 60,2% dei
benestanti, impauriti dal downsizing generazionale atteso). Il
63,7% crede che, dopo anni di consumi contratti e accumulo
di nuovo risparmio cautelativo, l’esito inevitabile sarà una riduzione del tenore di vita. Fare investimenti di lungo periodo
è una opzione per una quota di persone (il 22,1%) molto
inferiore a quella di chi vuole potenziare i propri risparmi (il
56,7%) e tagliare ancora le spese ordinarie per la casa e l’alimentazione (il 51,7%).
L’immobilità sociale genera insicurezza, che spiega l’incremento dei flussi di cash. Rispetto al 2007, dall’inizio della crisi
gli italiani hanno accumulato liquidità aggiuntiva per 114,3
miliardi di euro, un valore superiore al Pil di un Paese intero
come l’Ungheria. La liquidità totale di cui dispongono in contanti o depositi non vincolati (818,4 miliardi di euro al secondo trimestre del 2016) è pari al valore di una economia che
si collocherebbe al quinto posto nella graduatoria del Pil dei
Paesi Ue post-Brexit, dopo la Germania, la Francia, la stessa
Italia e la Spagna. Quasi il 36% degli italiani tiene regolarmente contante in casa per le emergenze o per sentirsi più
sicuro e, se potessero disporre di risorse aggiuntive, il 34,2%
degli italiani le terrebbe ferme sui conti correnti o nelle cassette di sicurezza. Così, con una incidenza degli investimenti
sul Pil pari al 16,6% nel 2015, l’Italia si colloca non solo a
grande distanza dalla media europea (19,5%), da Francia
(21,5%), Germania (19,9%), Spagna (19,7%) e Regno Unito
(16,9%), ma è tornata ai livelli minimi dal dopoguerra. Emerge una Italia rentier, che si limita a utilizzare le risorse di cui
dispone senza proiezione sul futuro, con il rischio di svendere
pezzo a pezzo l’argenteria di famiglia.
Figli più poveri dei nonni: il ko economico dei giovani
Sono evidenti gli esiti di un inedito e perverso gioco intertemporale di trasferimento di risorse che ha letteralmente messo ko
economicamente i millennial. Rispetto alla media della popolazione, oggi le famiglie dei giovani con meno di 35 anni hanno un
reddito più basso del 15,1% e una ricchezza inferiore del 41,1%.
Nel confronto con venticinque anni fa, i giovani di oggi hanno un
reddito del 26,5% più basso di quello dei loro coetanei di allora,
mentre per gli over 65 anni è invece aumentato del 24,3%. La
ricchezza degli attuali millennial è inferiore del 4,3% rispetto a
quella dei loro coetanei del 1991, mentre per gli italiani nell’insieme il valore attuale è maggiore del 32,3% rispetto ad allora
gennaio 2017 La Rivista - 17
a 16.812 euro (II trimestre 2016). Se
la produttività fosse rimasta costante,
nell’ultimo anno e mezzo il Pil sarebbe cresciuto complessivamente
dell’1,8% e non solo dello 0,9%
come invece abbiamo registrato.
La fine del lavoro che erode
identità e potere del ceto
medio
All’interno del mercato del lavoro è
anche avvenuta una ricomposizione tra le diverse categorie professionali, che ha portato a una crescita
del peso delle professioni non qualificate (+9,6% nel periodo 20112015) e degli addetti alle vendite e
ai servizi personali (+7,5%), a uno
svuotamento di figure intermedie
esecutive, attive principalmente
in ambito impiegatizio (-5,1%), a
una drastica riduzione della comLa ricchezza degli attuali millennial è inferiore del 4,3%
ponente operaia, degli artigiani e
rispetto a quella dei loro coetanei del 1991
degli agricoltori (-14,2%). La struttura sociale ha subito non solo un
dimagrimento delle fonti di reddito, ma si è anche allungata,
e per gli anziani è maggiore addirittura dell’84,7%. Il divario tra i
giovani e il resto degli italiani si è ampliato nel corso del tempo, perdendo parte della sua consistenza proprio nella porzione
centrale della classe media.
perché venticinque anni fa i redditi dei giovani erano superiori alla
media della popolazione del 5,9% (mentre oggi sono inferiori del
15,1%) e la ricchezza era inferiore alla media solo del 18,5%
La manifattura rinnovata ritorna negli spazi urbani
(mentre oggi lo è del 41,1%).
È suonato troppo in fretta il de profundis per la produzione manifatturiera dentro i perimetri urbani. Nei comuni capoluogo opera il
25,4% delle aziende, con circa un milione di addetti (il 26,6% del
La bolla dell’occupazione a bassa produttività
totale). Le 12 più grandi città italiane raccolgono il 37,3% delle
Tra il 2013 e il 2015 c’è stato il recupero di 274.000 occupati. Nel
start-up innovative (e il 23,8% di quelle inquadrabili nel manifatprimo semestre del 2016 l’andamento dell’occupazione è ancoturiero), il 45% degli incubatori d’impresa, il 43,5% degli spin-off
ra positivo, con una variazione pari a +1,5% rispetto allo stesso
universitari e il 21,1% dei fablab dove si applicano i talenti dei
semestre del 2015. Nel periodo gennaio-agosto 2016, inoltre, il
nuovi «artigiani digitali» protagonisti della rivoluzione dell’inducontratto a tempo indeterminato è stato utilizzato nel 21,3% dei
rapporti di lavoro attivati (nel 2015 la quota era molto più alta: stria 4.0.
32,4%). I contratti a termine sono il 63,1% del totale. L’innovazioLa potenza dell’export delle filiere produttive
ne normativa (decontribuzione e Jobs Act con i contratti a tutele
globalizzate
crescenti) ha quindi fatto fibrillare il mercato del lavoro. Boom
L’Italia resta al 10° posto nella graduatoria mondiale degli
dei voucher: 277 milioni di contratti stipulati tra il 2008 e il 2015
esportatori con una quota di mercato del 2,8%. Nel 2015 il
(1.380.000 lavoratori coinvolti, con una media di 83 contratti per
nostro Paese ha superato il 5% dell’export mondiale in ben
persona nel 2015) e 70 milioni di nuovi voucher emessi nei primi
28 categorie di attività economica, tra cui alcune produzioni
sei mesi del 2016. È il segnale che la forte domanda di flessibilità
del made in Italy come i materiali da costruzione in terracotta
e l’abbattimento dei costi stanno alimentando l’area delle pro(19,8%), i prodotti da forno e i farinacei (12,8%), le produzioni
fessioni non qualificate e del mercato dei «lavoretti». Alla nuova
occupazione creata ha infatti corrisposto una bassa crescita ecoin cuoio (12,3%), le pietre tagliate (10%). Il saldo commerciale
nomica. I nuovi occupati dall’inizio del 2015 sono associati a una
del made in Italy è stato di 98,6 miliardi di euro: più del maproduzione di ricchezza di soli 9.100 euro pro-capite. La produtnifatturiero nell’insieme (93,6 miliardi) e dell’export di merci
complessivo (45,1 miliardi). È un settore in forte e costante
tività si è ridotta da 16.949 euro per occupato (I trimestre 2015)
18 - La Rivista gennaio 2017
crescita sui mercati internazionali grazie all’applicazione del
paradigma del «bello e ben fatto», sia nelle produzioni fortemente «brandizzate» (l’alimentare, la moda, il design), sia in
quelle dove il brand aziendale conta meno, ma che nel tempo
hanno conquistato il segno distintivo di qualità e affidabilità (la
meccanica di precisione). L’export dell’industria alimentare ha
segnato variazioni percentuali più che doppie rispetto all’export
complessivo: +83,9% in termini nominali nell’ultimo decennio
rispetto al +37,5%.
I movimenti turistici polarizzati tra lusso e low cost
Tra il 2008 e il 2015 gli arrivi di turisti stranieri in Italia sono
aumentati del 31,2% e sono cresciute del 18,8% anche le presenze, ovvero i giorni di permanenza. Nell’ospitalità alberghiera
va bene l’alta gamma: +50,3% di arrivi dal 2008 a oggi negli
hotel a cinque stelle e +38,2% in quelli a quattro stelle, mentre
crollano gli arrivi negli alberghi a una o due stelle (rispettivamente, -33,1% e -22,4%). Il vero boom ha riguardato gli esercizi extralberghieri, con arrivi aumentati nello stesso periodo del
32,5%: alloggi in affitto +58,6%, bed and breakfast +31,8%,
agriturismi +48,1%. Nel caso degli stranieri, le opzioni per l’ospitalità alberghiera di lusso (alberghi a cinque stelle +71,4%,
a quattro stelle +40,9%) e per quella extralberghiera (alloggi in
affitto +79,7%, bed and breakfast +70,5%, agriturismi +74,5%)
sono cresciute a ritmi simili. Nel caso degli italiani, sale l’extralberghiero (alloggi in affitto +37,3%, bed and breakfast +44,5%,
agriturismi +32,2%) molto più dell’alberghiero (alberghi a
cinque stelle +13,2%, a quattro stelle +24,9%). A fronte di un
incremento tra il 2008 e il 2015 dei posti letto negli alberghi
del 2,2%, esclusivamente concentrato nelle fasce di offerta superiori, si riscontra un aumento di posti letto nel settore extralberghiero del 7,4%, spinto da un ampliamento dell’ospitalità di
bed and breakfast (+67,7%) e agriturismi (+31,4%).
Opportunità e zone grigie della sharing economy
Nel biennio 2014-2015 c’è stato un lieve recupero dei consumi
(+2,1%) dopo la forte contrazione del periodo di crisi (-7,6% negli
anni 2008-2013). Ma sono 26 milioni gli italiani che ancora oggi
indicano come prioritario il contenimento delle spese quotidiane.
Profonde sono le disuguaglianze sociali: tra le famiglie a basso
reddito il 58% indica la priorità di comprimere le spese e il 28%
vorrebbe spendere qualche soldo in più sui consumi per il proprio
benessere, mentre tra le famiglie benestanti le percentuali sono
pari rispettivamente al 34% e al 46%.
In questi anni c’è stato però un «welfare dei consumi» riferibile
all’operato dei player della distribuzione moderna organizzata,
grazie alla leva dei prezzi e alle promozioni, che si è materializzato
nella concreta possibilità per le famiglie di comporre un carrello
della spesa articolato e modulato sulla propria capacità economica. Appaiono poi sempre più concreti i rivolgimenti riconducibili
alla sharing economy. Ma le nuove pratiche che si stanno diffondendo sollevano polemiche su due fronti: il rispetto delle regole
concorrenziali rispetto ai servizi preesistenti e gli effetti indiretti sui
«lavoretti» on demand.
Nell’ospitalità alberghiera va bene l’alta gamma (hotel a 4 o 5
stelle), mentre crollano gli arrivi negli alberghi a una o due stelle
gennaio 2017 La Rivista - 19
Cultura d’impresa
di Enrico Perversi
La ricetta per un
team efficace
Persone quanto
basta, obiettivi
ben maturati,
molta comunicazione, un pizzico
di motivazione…
mescolare bene e
dare tempo!
Mi chiama un amico per raccontarmi che stanno ristrutturando l’azienda, tra le altre cose verrà creata una
nuova squadra per gestire l’area d’affari più importante dal punto di vista del fatturato ma soprattutto del
profitto.
“Stiamo definendo le persone, ne abbiamo molte di valore, a cosa devo stare attento per avere un team
che garantisca prestazioni adeguate?”
Domanda molto intrigante nel tempo delle connessioni e delle interdipendenze, direi che la prima cosa a
cui pensare è il numero di componenti, non c’è una regola fissa ma dieci sembra essere davvero un limite
invalicabile, meglio fermarsi prima per non avere spettatori anziché protagonisti. Poi non devono essere
uguali, competenze complementari arricchiscono e la diversità in generale consente di avere punti di vista
e approcci differenziati, tutti noi tendiamo a riunirci coi nostri simili quindi questo è un ingrediente da introdurre con attenzione ma anche con determinazione.
L’impegno verso uno scopo comune è il cuore della squadra, impegno è molto di più di un desiderio o
di un accordo, richiede un ruolo attivo e consapevole e non vale solo per sé stessi ma per il collettivo. Lo
scopo comune è la ragione di esistere del team ed è qualcosa che non può essere raggiunto da individui
che operino separatamente, la sua definizione è una sorta di atto costitutivo, deve essere chiaro ed è la
base della motivazione di tutti.
Uno scopo che non si traduca in obiettivi comuni specifici, misurabili e realizzabili non esiste, rimane una
aspirazione astratta, quindi vanno definiti con cura, ma non basta, devono essere qualcosa di più e di
diverso dalla somma di obiettivi individuali, devono poter essere raggiunti dalla squadra che lavora insieme.
Una distinzione decisiva è quella tra obiettivi comuni ed obiettivi in comune: avere tutti lo stesso obiettivo
individuale non significa avere un obiettivo comune o “di squadra”, l’esistenza del team si misura davvero
quando un membro è chiamato a rinunciare ad un proprio risultato in favore del bene collettivo.
Scopo ed obiettivi comuni tuttavia non sono sufficienti, bisogna anche decidere come lavorare insieme,
l’approccio deve essere condiviso ed include principi, processi e protocolli con una responsabilità reciprocamente condivisa tra tutti. Ognuno deve farsi carico di svolgere i propri compiti ma anche di chiedere conto
ai colleghi dei loro, il quieto vivere distrugge i team.
“Enrico mi sembra tutto chiaro fin qui cos’altro serve?”
In una squadra ci sono anche l’energia e le emozioni, servono quindi riunioni efficaci e una comunicazione
attenta. Buone decisioni tengono alto il morale, la condivisione facilita l’allineamento di tutti ed il benessere, direi anche il buonumore nell’affrontare insieme le sfide dentro e fuori dal team. Ogni membro, infatti,
lo rappresenta in tutti gli ambiti in cui opera, comitati, associazioni di categoria, partner dell’azienda e le
relazioni con tutti questi stakeholder sono decisive per il successo. Un membro è importante anche quando
rappresenta la squadra in altri ambiti.
Infine, l’elemento a volte trascurato, lo sviluppo e l’apprendimento. I team che funzionano generano crescita sia degli individui, sia delle capacità collettive, ma sono anche un potente collante ed elemento di motivazione, si genera un buon clima che innesta una spirale virtuosa risultati-apprendimento-soddisfazione.
“Mi hai fornito addirittura un decalogo Enrico, però mi sembra che non ci basterà nominare le persone,
fare un ordine di servizio ed annunciare la nuova struttura. Dovremo lavorare con il team per farlo diventare tale, ci vorrà tempo e dovremo anche creare le condizioni di contesto favorevoli”.
Il mio amico, manager di successo in un’azienda di successo, ha ragione e non lo dico solo io ma anche il
professor Peter Hawkings che ha dedicato alla ricerca molti anni della sua attività racchiusa nel libro Leadership Team Coaching una vera e propria bibbia per chi desidera costruire team ad alte prestazioni.
[email protected]
20 - La Rivista gennaio 2017
A colloquio con Cristiano Zemella,
Division manager Wellness & Spa
Starpool Switzerland
Cristiano Zemella (a destra), con Andrea Matteucci
presidente del Cda di Fimex Distribution Ag
Non solo hotel e centri fitness:
anche case private
Abbiamo incontrato Cristiano Zemella, mentre con Starpool Swiztzerland, azienda leader in Italia nella realizzazione di centri benessere, è alle prese con un grosso
investimento: l’apertura di uno showroom a Volketswil
a pochi km da Zurigo.
comunità italiana in Svizzera è molto radicata.
Devo anche dire che la Svizzera non si discosta molto dalla mia
terra natale, si parla tedesco, le città sono circondate dalle montagne, l’ordine e la pulizia sono il leitmotiv.
Buongiorno, cominciamo con uno sguardo al passato.
La Svizzera è sicuramente un paese piccolo geograficamente, in
confronto ai paesi confinanti, ma molto articolato e capillare, con
lingue, usi, costumi e mentalità molto diverse tra loro a pochi km
di distanza. Le scelte dei clienti sono dettate non solo dal prezzo
o dalla bellezza del prodotto ma soprattutto dalla fiducia che
ripongono sul marchio.
Quest’ultima deve essere conquistata, col tempo, attraverso la
presenza costante, sia sulle riviste di settore, sia acquisendo referenze qualificate.
Buongiorno a voi. Ho 40 anni e vengo da Bolzano. Ho iniziato a
lavorare come maestro di sci ormai 20 anni fa, in Val Gardena,
dove ho avuto la mia prima esperienza commerciale, dove in
vendita mettevo semplicemente “me stesso”. Un periodo divertente, che ricordo sempre con un sorriso. Sono poi entrato a far
parte di una società che distribuiva attrezzature per lo sci agonistico e per gli atleti di Coppa del Mondo.
In quel periodo ho fatto la vera gavetta di backoffice e ho iniziato
a fare qualche viaggio di lavoro oltre i confini nazionali. Poi il salto: 4 anni dopo sono stato assunto per gestire l’ufficio export di
un’azienda specializzata in forniture alberghiere. Questa è stata
la mia prima esperienza nella gestione di progetti “contract” e
l’inizio della mia carriera da Export Manager.
È il trampolino che mi ha lanciato e fatto atterrare in Starpool
nel 2009, azienda leader in Italia nella realizzazione di centri
benessere. Iniziai in quell’anno con 5 Distributori in Europa e 6
anni dopo mi ritrovai a gestire ben 22 partner tra EU e Asia, con
un fatturato decuplicato.
Questa è stata la mia ultima esperienza in Italia, la più performante che mi ha poi portato al trasferimento in Svizzera.
E veniamo all’oggi: come avviene il tuo trasferimento
in Svizzera?
Il mio trasferimento è stato veloce e indolore, non ci ho messo
molto a convincere mia moglie, e ai figli ovviamente non ho dato
scelta, ma d’altronde l’opportunità di farli crescere in un paese
multilingue come la Svizzera era un’opportunità ineguagliabile
pensando al loro futuro.
Dopo i primi 2 mesi di “assestamento”, tutto poi è diventato più
normale. Ci è sembrato di vivere qui da sempre, anche perché la
Che caratteristiche hai trovato nei clienti locali?
Quali sono le vostre?
Tra tutte, quelle potremmo elencare finora e che sono degne
di nota mi limito ad alcune:
• Clinique La Prairie di Montreux
• Migros Fitness Park Malley di Losanna
• Hotel Dom di SaasFee
• Indigo Fitness a Zurigo, Lucerna e Basilea
Oggi Starpool è presente in Svizzera, con una filiale
commerciale con sede a Lyss nel cantone Berna. All’interno della FIMEX DISTRIBUTION AG, distributore storico
del famoso marchio Technogym, colosso italiano del
wellness. In previsione avete un grosso investimento.
Infatti, stiamo affrontando un grosso investimento nella realizzazione del nuovo showroom monobrand Starpool, che aprirà
all’inizio del 2017 a Zurigo. Tale investimento è stato pensato soprattutto per attrarre clienti privati che sono il nuovo target-client
di Starpool.
Le soluzioni compatte che l’azienda ha sviluppato negli ultimi
anni trovano grande sbocco nel settore delle “Private Spa”, quindi non solo nelle camere degli Hotel, ma anche nelle case private. Mi auguro quindi che verrete a visitarci nel nuovo Showroom
Starpool presso la BAUARENA di Volketswil.
gennaio 2017 La Rivista - 21
STARPOOL
wellness concept
Dal cuore verde delle Dolomiti – la Val di
Fiemme – Starpool pensa e realizza con
successo sistemi SPA all’avanguardia per
realtà professionali come hotel, centri fitness, day SPA, ma anche per abitazioni
private. Attraverso un team di progettisti, designer e ingegneri propone soluzioni su misura che ottimizzano al massimo gli spazi,
creando percorsi di trattamento completi.
Presente da oltre 40 anni sul mercato,
Starpool interpreta bisogni e necessità dei
clienti di oggi, fornendo ad ogni esigenza
la risposta adeguata. La sede di Ziano di
Fiemme racchiude nella sua stessa organiz-
La nuova
SAVUSAUNA,
l’unica sauna
totalmente
BLACK
22 - La Rivista gennaio 2017
zazione e architettura tutta la filosofia Starpool: spazi a misura d’uomo, funzionalità
legata indissolubilmente all’armonia delle
forme, ambienti aperti per condividere spazi e idee. Concetti che sul mercato si sono
tradotti in affidabilità, creatività, eccellenza
tecnica e design del prodotto, permettendo
a Starpool di affermarsi in tutta Europa, sino
a raggiungere il Medio Oriente e Asia.
Detentore per ben 3 volte del prestigioso
RED DOT DESIGN AWARD, Starpool è una
delle poche aziende del benessere che negl’ultimi 10 anni porta sul mercato nuove
tecnologie e soluzioni creando prodotti unici nel suo genere.
il nuovissimo concetto wellness per
la mente “ZEROBODY”, il primo dry
floating experience
Basti pensare alla nuova SAVUSAUNA, l’unica
sauna totalmente BLACK, che riprende un concetto del passato (la SavuSauna era una sauna
scaldata con il fuoco all’interno, quindi le pareti
diventavano nere a causa della fulligine) e la ripropone in chiave moderna.
O al sistema integrato SWEET SPA e SWEET SAUNA, una Spa completa in uno spazio molto ridotto
E il nuovissimo concetto wellness per la mente
“ZEROBODY”, il primo dry floating experience
che permette al corpo e alla mente di fluttuare
nell’acqua calda, come nel liquido amiotico, ma
senza la necessità di spogliarsi, per trovare con
facilità relax e benessere.
Oggi Starpool è presente anche in Svizzera, attraverso una filiale commerciale con sede a Lyss
nel cantone Berna.
All’interno della Fimex Distribution AG, distributore storico del famoso marchio Technogym, colosso italiano del wellness.
Technogym, share holder del gruppo Starpool, ha
dato l’avvio a questa fusione anche sul mercato elvetico, permettendo alla Fimex Distribution AG di offrire
una completa gamma di prodotti per il wellness.
Il connubio tra specialisti del settore e la precisione
svizzera hanno dato forma ad una struttura capace
di PROGETTARE, SVILUPPARE e COSTRUIRE centri Spa
e Wellness su tutto il territorio, sia nel mondo dell’hotellerie sia nel mondo del privato, dove il wellness sta
prendendo sempre più spazio.
Starpool Switzerland
FIMEX DISTRIBUTION AG
Werkstrasse 36
3250 Lyss (BE)
tel: +41 32 387 0505
fax: +41 32 387 0515
web: www.starpool.com
Email [email protected]
SWEET SPA e SWEET SAUNA, una Spa
completa in uno spazio molto ridotto
gennaio 2017 La Rivista - 23
Donne in carriera:
Maria Josè Falcicchia
La gente ci
apprezza le alte
gerarchie fanno
fatica
di Ingeborg Wedel
Il nostro Sud ci ha nuovamente regalato una donna veramente speciale: Maria Josè è nata a
Oria in quel di Brindisi, nel nostro bellissimo Salento 48 anni orsono, metà dei quali passati
a Milano.
Più di che lavoro, quello che svolge alla Questura di Milano riteniamo possa definirsi una
missione contro tutto ciò che non è legale!
È sicuramente il suo “fiuto” di investigatrice a guidarla nelle indagini e permetterle di imboccare la giusta direzione, servendosi poi dei mezzi più moderni e sofisticati per debellare la
criminalità.
Ringraziamo Maria Josè per averci descritto dettagliatamente la sua attività che ha fatto
conoscere ed apprezzare dal grande pubblico quanto è importante il contributo femminile
anche in questo campo così singolare e – diciamolo – pure molto pericoloso!
Prima delle risposte alle nostre consuete domande lasciamo che sia il Colonnello ad introdurci nel suo mondo.
“Sin da piccola ho desiderato fortemente fare un lavoro che avesse una rilevanza sociale,
anche a scuola non ero mai dalla parte dei più forti e dei più numerosi, ma di quelle persone
e quelle idee che maggiormente mi sembravano da proteggere, perché più giuste più scomode più originali. L’idea di entrare in Polizia è nata per caso al termine del Liceo, ho partecipato ad un concorso conosciuto tramite miei compagni di scuola per essere ammessa ad
una sorta di Accademia, dove si frequentava un corso di 4 anni e nove mesi ed al termine si
conseguiva la laurea in Giurisprudenza e la qualifica di Vice Commissario di Polizia.
Ora sono primo dirigente, per capirci: un colonnello, e Dirigo l’Ufficio Prevenzione Generale,
circa 700 uomini addetti alla prevenzione tra cui: le volanti, le pattuglie dei motociclisti, le
unità antiterrorismo, i bikers, i cavalieri, le unità cinofile, gli artificieri, i tiratori scelti.
Gran parte della mia attività l’ho svolta alla squadra mobile, dirigendo per 10 anni la sezione
antirapine e dopo la sezione di contrasto alla criminalità organizzata, prima donna in Italia. L’esperienza è terminata facendo il capo della sezione criminalità organizzata ed il vice dirigente.
24 - La Rivista gennaio 2017
In casa sono stata la prima ad intraprendere questa carriera, poi mio fratello, dopo di
me, ha vinto la selezione per un’altra forza
di Polizia, la Finanza, dove tutt’ora lavora in
un settore operativo. Non so se si è ispirato
o è stato un caso, certo è che oggi siamo
entrambi appartenenti alle Forze dell’Ordine. Al contrario i nostri genitori hanno preferito attività meno rischiose, seppur l’impegno sociale caratterizzi anche l’impegno di
mia madre.
Non so se è stata determinazione, fortuna
o bravura o un mix di tutte e tre le cose,
ma ho svolto la mia attività in settori investigativi di primissimo piano, occupandomi di
casi che avevano rilevanza nazionale. Oltre
all’arresto di un terrorista dei NAR considerato imprendibile e latitante da 20 anni,
catturato da me in Spagna insieme alle
forza speciali di quel paese, la risoluzione
di rapine e omicidi, l’aver lavorato nel contrasto al crimine organizzato, inseguito per
mezzo mondo trafficanti di droga e soggetti
ricercati, ho anche fatto parte del gruppo investigativo creato dopo l’uccisione del noto
professore di Diritto del lavoro Marco Biagi
ad opera delle nuove Brigate Rosse e per un breve periodo mi sono anche occupata di frode
nel mondo dello sport nella indagine nota in Italia come “Calciopoli”.Tutto questo mi ha permesso di ottenere numerosissimi premi e riconoscimenti di diversi tipi, molta visibilità, anche
ringraziamenti sa da semplici cittadini che dalle massime autorità politiche della nazione,
ma molti miei colleghi uomini ne hanno ottenuti altrettanti, facendo la metà di ciò che ho
fatto io….quindi non so se da uomo avrei ottenuto anche di più….! Una donna ancora non
viene accettata completamente per il suo impegno, il suo talento, se a decidere sono solo
uomini con una mentalità poco moderna e poco aperta.
Sicuramente questi risultati sono frutto di grande impegno e questo ha un costo in termini
di vita privata. Non sono sposata ma nella vita mai dire mai…”
L’abbiamo già capito: per lei non è facile essere donna e fare carriera
Per me essere in carriera significa solo avere tante responsabilità. Il potere ha senso solo se
lo usiamo per gli altri, per migliorare la società. Per fare questo, servono supporti che spesso
non si hanno, sopperiamo alla mancanza di strumenti con la dedizione e la fantasia. Essere
donna non è un problema all’esterno: i cittadini, la gente, le persone oggi hanno imparato
ad andare oltre le apparenze, a soppesare e stimare i fatti. Poi essere donna è un vantaggio,
perché in genere siamo maggiormente flessibili, multitasking, intraprendenti, fantasiose, responsabili e anche più intelligenti. È invece uno svantaggio all’interno con alcuni colleghi,
con alcuni capi…
Quanto le ci è voluto per sentirsi apprezzata, in un mondo come quello
militare militare, dove ci pare di capire vige ancora una certa forma di maschilismo?
Molto tempo, molta pazienza, molta tenacia, molta bravura: tutto doppio rispetto a
quello che serve ad un uomo!
Quali sono le difficoltà principali che ha dovuto superare?
Gli uomini con cui si lavora, dopo qualche pregiudizio si conquistano con le scelte chiare,
le iniziative azzeccate, l’assunzione di responsabilità, la capacità di premiarli e se del caso
difenderli…Nei confronti dei superiori in grado è diverso: molto difficile scardinare vecchi
sistemi, le donne vanno bene quando non aspirano a posti centrali, decisionali, a quel punto
vengono ritenute non adatte.
A percepito diffidenza in quanto donna?
All’esterno non c’è alcuna diffidenza, piuttosto ammirazione, all’interno vale quello che ho
detto prima.
Quali sono gli ostacoli principali che incontra?
quelle brave fanno segnare i gol come
fanno i numeri 10 delle squadre di calcio, quei gol che sbloccano un risultato
e fanno vincere la partita…
Nel suo mondo per la carriera che
ruolo gioca la seduzione? Anche
inconsciamente?
Conta nei limiti in cui la usiamo per
convincere qualcuno della bontà della
nostra scelta, della nostra idea. Ma la
scelta e l’idea devono essere davvero
buone…
La soddisfazione maggiore che le
dà la sua carriera?
Avere un gruppo, una squadra, un team,
che si fida di te ciecamente e non guarda a chi sei, inteso uomo o donna, ma
punta sulla bravura e sulla capacità di
risoluzione dei problemi. E poi la capacità di portare dalla propria parte i più
riottosi e tutto senza mai dimenticare
di mettere una dose di bellezza in tutto
ciò che si fa… luoghi, cura della persona, sono tutti valori aggiunti molto
femminili.
Che atteggiamento assume nei confronti delle sottoposte donne?
Di collaborazione e solidarietà: atteggiamento che adotto nei confronti di
tutti. Poi, come ho detto, una donna
brava è una risorsa straordinaria e va
valorizzata, ma non si può preferire
qualcuno solo perché uomo o donna,
alla base ci sono sempre le capacità
personali…
Io sono una investigatrice, la mia è una guerra contro i crimini non contro altre persone. I
veri ostacoli sono quelli che rendono difficile la soluzione dei casi. Sulalbase dei casi risolti
venimao valutati.
Per quanto riguarda la carriera l’ostacolo maggiore, ma già l’ho detto, consiste nel raggiungere quel grado di responsabilità che troppi uomini ritengono ancora debba essere di lro
esclusivo monopolio.
A cosa la costringe a rinunciare la
carriera?
Pertanto, nel suo lavoro l’essere donna non comporta privilegi?
Per forza. È d’obbligo: per mantenere una mente aperta ed uno sguardo
chiaro bisogna alimentare tutte quelle
parti della nostra anima e della nostra
mente che ci rendono comunque persone migliori.
Nessun privilegio, al contrario….
Eppure si ritiene che le donne abbiano dote di intuito superiori.
Vero. Se le donne sono brave, sono bravissime. Altrimenti meglio un uomo mediamente dotato. Le donne mediocri nelle squadre creano zizzania, gli uomini no, ma
Soprattutto ad un pezzo della mia
vita privata.
Tempo per praticare qualche hobby
lo trova?
gennaio 2017 La Rivista - 25
Serata Italiana a Zurigo
Camera di Commercio Italiana per la Svizzera e Fiat Chrysler Automobiles
Switzerland insieme per un evento di gala all’insegna dell’Italianità
Lo scorso 3 dicembre FCA, Maserati e FCA Capital Suisse, con la Camera di Commercio Italiana per la Svizzera (CCIS), hanno organizzato una serata di gala molto particolare, allietata da performance artistiche di indiscutibile caratura.
Oltre 300 gli ospiti intervenuti al Kongresshaus di Zurigo, fra questi esponenti
del mondo imprenditoriale, istituzionale e dei media. Un’occasione per ribadire
l’importanza delle relazioni fra Svizzera e Italia che si declinano quotidianamente non solo dal punto di vista commerciale, ma anche da consolidati rapporti
sociali e culturali. Al contempo, anche un’opportunità per un primo contatto con
i nuovi modelli del gruppo automobilistico, fra gli ultimi nati di casa Alfa Romeo
e Maserati: la mitica e potentissima Giulia la possente e pur indiscutibilmente
elegante Levante.
Allietati da un catering concepito con esclusiva concessione alla gastronomia italiana – in felice abbinamento, secondo ponderata sequenza, con gli
ottimi vini (Plozza Franciacorta Brut DOCG, Chardonnay – Whiteedition IGT
2015, Sforzato di Valtellina – Blackedition DOCG 2009, Plozza Franciacorta
Millesimato DOCG 2011) offerti dall’azienda Plozza Vini di Brusio – gli ospiti
hanno assistito ad una serie di siparietti, in cui, attraverso giochi di luce, danze, musiche e animazioni, la compagnia Adarte Eventi di Roma, ha fornito una
personalissima e riuscitissima interpretazione dell’Italia della tradizione, della
cultura e dell’innovazione.
26 - La Rivista gennaio 2017
La serata ha voluto dare concreta
dimensione alla solidarietà nei confronti delle comunità dell’Italia centrale investite dal terremoto. Grazie
ad una sottoscrizione a premi - sostenuta oltre che dal gruppo FCA, anche
da Natuzzi,Technogym, Forte Village e
Acqua di Parma - è stato possibile raccogliere più di 12.000 CHF da destinare ad una specifica iniziativa nelle
zone colpite dal sisma. Il Presidente
della CCIS, Vincenzo Di Pierri, la Direttrice Generale di FCA Svizzera, Maria
Grazia Davino, Piergiorgio Cecco, Managing Director di Maserati Svizzera
e il Direttore Generale di FCA Capital
Suisse Federico Berra si sono detti
molto soddisfatti della serata e disponibili a far sì che diventi un imperdibile
appuntamento annuale.
gennaio 2017 La Rivista - 27
28 - La Rivista gennaio 2017
gennaio 2017 La Rivista - 29
Burocratiche
di Manuela Cipollone
Le novità in
Gazzetta Ufficiale
Fine anno tumultuoso quello
vissuto dalla politica
italiana. La riforma
costituzionale bocciata dai cittadini, le
dimissioni di Renzi,
il nuovo Governo
Gentiloni. Nel
mezzo una campagna referendaria
che ha bloccato per
un bel po’ i lavori
parlamentari, salvo
poi accelerare sulla
Legge di Bilancio, e
i voti di fiducia all’esecutivo che hanno
monopolizzato le
due Camere alla
vigilia della pausa
natalizia.
30 - La Rivista gennaio 2017
Un importante provvedimento, però, è entrato in vigore con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale
Si tratta della legge di conversione del decreto 193/2016 (Disposizioni urgenti in materia fiscale
e per il finanziamento di esigenze indifferibili), che prevede – tra le altre cose – la soppressione di
Equitalia e la riapertura dei termini per la voluntary disclosure.
La soppressione di Equitalia
Ma andiamo con ordine. Il decreto prevede, all’articolo 1, lo scioglimento di Equitalia dal 1° luglio 2017 (ad esclusione di Equitalia Giustizia) e la contemporanea istituzione dell’Agenzia delle
Entrate-Riscossione, che sarà un ente pubblico economico sottoposto all’indirizzo e alla vigilanza
del Ministro dell’Economia e delle Finanze. Sarà la nuova agenzia a riscuotere le entrate tributarie
e patrimoniali di comuni, province e società partecipate. Nei rapporti coi contribuenti, il nuovo
ente deve conformarsi ai principi dello “Statuto del contribuente”, tra cui quelli della trasparenza, della leale collaborazione e della tutela di affidamento e buona fede, nonché agli obiettivi di
cooperazione rafforzata tra fisco e contribuente previsti dalla legge di delega fiscale. L’ente dovrà
aprire uno sportello telematico per assistenza ed erogazione dei servizi e preparare una relazione
annuale sui risultati conseguiti nella riscossione.
Riapertura dei termini per la voluntary disclosure
La legge riapre i termini per la procedura di voluntary disclosure fino al 31 luglio 2017 sia per
l’emersione di attività estere, sia per le violazioni dichiarative relative a imposte erariali.
Le violazioni sanabili sono quelle commesse fino al 30 settembre 2016. Analogamente alle norme varate nel 2014, le disposizioni prevedono lo slittamento dei termini di decadenza per l’accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA, nonché di contestazione delle sanzioni.
Per le attività e gli investimenti esteri oggetto della nuova procedura è possibile usufruire di un
esonero dagli obblighi dichiarativi, limitatamente al 2016 e per la frazione del periodo d’imposta
antecedente la data di presentazione dell’istanza di collaborazione volontaria, purché tali informazioni siano analiticamente illustrate nella relazione di accompagnamento all’istanza di voluntary disclosure e purché si versi in unica soluzione (entro il 30 settembre 2017) quanto dovuto a
titolo di imposte, interessi e sanzioni.
Si chiarisce la non punibilità delle condotte di autoriciclaggio se commesse in relazione a specifici
delitti tributari fino al versamento delle somme dovute per accedere alla procedura.
Rispetto alla voluntary disclosure disciplinata nel 2014, si prevede una diversa procedura: il contribuente provvede spontaneamente a versare in unica soluzione (entro il 30 settembre 2017) o in
un massimo di tre rate (di cui la prima entro il 30 settembre 2017), il quantum dovuto a titolo di
imposte, ritenute, contributi, interessi e sanzioni.
Nel corso dell’esame parlamentare è stata ammessa l’istanza, limitatamente alle violazioni dichiarative per le attività detenute all’estero, anche se, in precedenza, è stata presentata domanda,
entro il 30 novembre 2015, per le attività detenute in Italia. Analogamente, si prevede la possibilità di presentare istanza per la collaborazione volontaria nazionale anche se in precedenza ci si è
avvalsi della voluntary disclosure limitatamente ai profili internazionali. Nel caso in cui la collabo-
razione volontaria riguardi i contanti o valori al portatore si presume, salvo prova contraria, che
essi siano derivati da redditi conseguiti, in quote costanti, a seguito di violazione degli obblighi di
dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive, dell’IRAP e dell’IVA, nonché di violazioni relative alla dichiarazione dei sostituti di imposta, commesse
nell’anno 2015 e nei quattro periodi d’imposta precedenti.
Per i contribuenti che si sono avvalsi della voluntary disclosure non si applicano le sanzioni in caso
di omissione delle dichiarazioni per gli investimenti all’estero e le attività estere di natura finanziaria (da indicare nel quadro RW) per i periodi d’imposta successivi a quelli per i quali si sono perfezionati gli adempimenti connessi alla dichiarazione volontaria, a condizione che gli adempimenti
siano adottati entro sessanta giorni dalla entrata in vigore della legge (2 dicembre).
Potenziate le attività di accertamento fiscale da parte degli enti locali
Sono infine introdotte disposizioni in tema di potenziamento dell’attività di accertamento fiscale
da parte degli enti locali: in particolare si pongono a carico dei comuni specifici obblighi informativi nei confronti dell’Agenzia delle entrate, con riferimento alle richieste di iscrizione all’Anagrafe
degli italiani residenti all’estero, al fine della formazione di liste selettive per i controlli relativi ad
attività finanziarie e investimenti patrimoniali esteri non dichiarati.
Tra le disposizioni previste anche l’abolizione - dal 1° gennaio di quest’anno - della comunicazione dell’elenco clienti e fornitori (spesometro) per i soggetti passivi IVA. Al suo posto sono
introdotti due nuovi adempimenti da effettuare in via telematica ogni tre mesi: la comunicazione
analitica dei dati delle fatture emesse e ricevute e la comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche IVA. Si anticipa di un anno la soppressione dell’adempimento relativo
alla comunicazione delle operazioni intercorse con operatori economici situati in Paesi
cosiddetti black list.
La legge disciplina anche l’emissione elettronica delle fatture per il tax free shopping,
modifica il Testo unico sulle accise, estende la possibilità per il contribuente di presentare la dichiarazione integrativa a favore (Irpef, Irap, sostituti d’imposta) anche oltre il
termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta
successivo.
Aboliti gli studi di settore
Ancora in materia di accise e di IVA, l’articolo 5-bis della nuova legge autorizza
l’Agenzia delle Dogane a definire con transazioni, entro il 30 settembre 2017, le liti fiscali pendenti, che hanno per oggetto
il recupero dell’accisa su prodotti energetici,
alcol e bevande alcoliche. E ancora,
la legge abolisce gli studi di
settore, contiene un pacchetto di “semplificazioni fiscali”,
prevede agevolazioni IRPEF per
i lavoratori trasferisti e contiene diverse misure di finanziamento, dal fondo per l’occupazione all’operazione “Ippocrate” per l’assistenza sanitaria in Libia, passando per i
trasporti regionali e le pmi nel settore agroalimentare fino al tax credit per il cinema e l’audiovisivo.
Segnaliamo infine l’entrata in vigore del Testo Unico del vino che, come spiegato dal Ministro
Martina, “in 90 articoli riassume tutta la normativa precedente” in una “operazione di semplificazione attesa da anni, che consente di tagliare burocrazia, migliorare il sistema dei controlli, dare
informazioni più trasparenti ai consumatori”.
gennaio 2017 La Rivista - 31
Angolo Fiscale
di Tiziana Marenco
La terza riforma della
tassazione delle imprese
e la nuova black list UE
(seconda parte)
Qui di seguito
dapprima i tre
criteri di scrutinio
(trasparenza fiscale, fair taxation e
attuazione del piano anti-BEPS) per
andare ad esaminare se l’esito della
votazione sulla
terza riforma delle
imprese sia essenziale per soddisfare
il criterio della fair
taxation.
Riguardo al primo criterio della trasparenza fiscale, l’UE richiede che il paese scrutinato si sia impegnato ad introdurre e abbia già iniziato il processo di attuazione dei nuovi standard di scambio di informazioni
automatico (Common Reporting Standard) in vista di effettuare un primo scambio al più tardi nel 2018, e
che entro la fine del 2017 abbia concluso gli accordi necessari a scambiare informazioni con tutti gli Stati
Membri UE attraverso l’Accordo Multilaterale (MCCA) oppure attraverso accordi bilaterali. In futuro, cioè
a partire dal 2018 l’UE si riserva di verificare che lo stato scrutinato abbia ricevuto dall’istituzione Global
Forum almeno un rating di “largamente conforme” (largely compliant). Inoltre il paese scrutinato dovrà
meritare lo stesso rating (largely compliant) in materia di scambio di informazioni su richiesta e dimostrare
di aver ratificato il MCCA (che comprende lo scambio di informazioni automatico e su richiesta ma anche
quello spontaneo) o accordi equivalenti. Fin qui la Svizzera dovrebbe essere preparata.
Per il secondo punto della fair taxation, che attualmente si dovrebbe tradurre con “sistema tributario
politicamente corretto”, si richiede la verifica che il paese scrutinato non abbia introdotto regimi preferenziali dannosi ai sensi dei criteri del “Code of conduct for business taxation” UE (OJ C 2, 6 January
1998, p. 2) e che non faciliti l’impiego di strutture offshore o di altre strutture o schemi con i quali ci si
prefigge di attrarre profitti che non corrispondono a reale attività economica nella giurisdizione scrutinata. Ed è proprio questo punto che ci porta direttamente alla votazione sulla riforma della tassazione
delle imprese per una discussione di carattere generale sulla necessità e opportunità dell’abolizione dei
privilegi fiscali cantonali ma anche su quali potrebbero essere le conseguenze di un mancato avallo nella
votazione popolare del 12 febbraio p.v.
I privilegi cantonali come pure la tassazione di società principal e finance branch sono concettualmente modalità di tassazione applicate non d’ufficio ma solo su richiesta del contribuente e non
sono quindi immanenti al sistema fiscale svizzero. Da questo punto di vista non è il sistema fiscale
svizzero che può ricadere nel campo d’applicazione della black list, ma solo il contribuente
che sceglie liberamente di chiedere il privilegio per uno specifico anno fiscale. La stessa conclusione vale anche per la nuova Direttiva UE sull’assistenza amministrativa emendata anch’essa sulla base
del progetto BEPS e che prevede l’introduzione obbligatoria in tutti gli Stati Membri dell’UE di norme
atte a eliminare le problematiche identificate dal progetto BEPS. Anche qui, indipendentemente da quale misura sarà introdotta nei confronti di un contribuente con sede in Svizzera, dovrà essere esaminata
la questione se nel caso specifico l’imposizione del contribuente per uno specifico esercizio
e anno fiscale ha raggiunto una soglia minima di onere fiscale richiesto da un paese UE, per
esempio quello della società madre che ritiene applicabili norme CFC ma forse, ipotizziamo, anche
quello di una controllata che ritiene di non dover concedere uno sgravio alla fonte alla capogruppo per
un dividendo che potrebbe essere esentasse in Svizzera in virtù del privilegio holding.
Se coerentemente si applica il punto di vista soggettivo dell’onere fiscale concreto del contribuente l’esito della votazione è assolutamente indifferente, potremmo infatti lasciare al contribuente
la decisione se continuare a richiedere il privilegio perdendo così diritti a livello internazionale oppure
rinunciarvi in vista di uno statuto fiscale più globale. Se così fosse, in realtà non avremmo nemmeno
bisogno di andare a votare.
(continua)
32 - La Rivista gennaio 2017
Angolo legale Svizzera
di Riccardo Geiser
Il contratto
con sé stesso
Nella sua quotidianità economica, l’imprenditore
firma un’innumerevole quantità
di documenti, sia
quale membro del
consiglio d’amministrazione (CdA),
sia quale direttore, o in qualsiasi
altra funzione
aziendale.
Qualche volta, nel corso della battaglia burocratica, sorgono dei documenti particolari: contratti
firmati dalla stessa persona per entrambe le parti contrattuali. Contratti di questo genere non vi
hanno mai fatto arricciare il naso?
Il diritto svizzero conosce due forme del cosiddetto contratto con sé stesso: l’autocontratto (il
contratto con sé stesso stricto sensu) da una parte, e la doppia rappresentanza dall’altra.
Qualora una persona stipuli un contratto agendo contemporaneamente in proprio e quale rappresentante di un’altra persona, si parla di un autocontratto – il contratto è concluso tra il rappresentato (di regola un’azienda) e il rappresentante. Una doppia rappresentanza, invece, si ha nel
caso in cui una persona agisca quale rappresentante di entrambe le parti – il contratto è quindi
concluso tra le due persone rappresentate dallo stesso rappresentante.
L’elemento che accomuna le due forme è il rischio di un conflitto d’interessi, che diventa palese pensando, a titolo d’esempio, al direttore che aumenta il proprio salario, quale dipendente
della società (autocontratto), oppure al membro del CdA che stipula un contratto per l’acquisto
di software con un’altra società rappresentata da sé stesso, in qualità di unico amministratore
(doppia rappresentanza).
Per l’autocontratto tra una società anonima svizzera (SA) e il suo rappresentante, il codice delle
obbligazioni svizzero (CO) prescrive la forma scritta, altrimenti il contratto è nullo. Esclusi da
quest’obbligo di forma sono i contratti ‘quotidiani’, purché la prestazione della SA non superi
CHF 1.000.
Oltre a questa regola specifica e a differenza per esempio del diritto italiano, tedesco e francese
il CO non stabilisce alcuna regola in merito al contratto con sé stesso. Pertanto, la giurisprudenza
svizzera ha colmato questa lacuna della legge con un divieto di contrarre con sé stessi. Più precisamente, il Tribunale federale svizzero ha creato la presunzione secondo la quale una procura
non comprende la facoltà di contrarre con sé stessi.
Questa presunzione può essere smentita dimostrando o che (i) la natura dell’atto negoziale
esclude il pericolo di uno svantaggio per il rappresentato, come nel caso di un atto che non comporta nessun obbligo per il rappresentato (un regalo), oppure se una lesione del rappresentato
è sostanzialmente esclusa sulla base di criteri oggettivi (merce venduta al prezzo di mercato), o
che (ii) il rappresentato ha esplicitamente autorizzato il rappresentante a concludere il negozio
in questione o lo ha approvato successivamente. L’autorizzazione o l’approvazione deve essere
ottenuta dall’organo societario competente, che può essere dello stesso livello gerarchico (il plenum del CdA autorizza un atto di uno dei suoi membri) o di un livello superiore. Per esempio, il
CdA di una SA che delibera sull’ammontare della retribuzione per i suoi membri deve ottenere o
l’autorizzazione o l’approvazione dell’assemblea generale (per SA quotate in borsa vigono regole
specifiche in merito a retribuzioni del CdA).
Se, invece, la presunzione negativa non può essere smentita, il contratto è contestabile. Nel gergo giuridico si parla di ‘inefficacia sospesa’, ossia il contratto resta inefficace finché esso non sia
approvato. Va detto che tale approvazione in pratica, soprattutto all’interno di gruppi societari,
può risultare da un comportamento concludente dell’organo competente (approvazione tacita).
In sintesi, l’imprenditore diligente prima di contrarre con sé stesso si munisce preventivamente
dell’autorizzazione necessaria per evitare il rischio dell’inefficacia dell’atto negoziale.
[email protected]
gennaio 2017 La Rivista - 33
Convenzioni Internazionali
di Paolo Comuzzi
La locazione di azienda
sita in Italia
da parte di una società estera
Nulla vieta ad una
società estera1, dotata di una stabile
organizzazione in
Italia, di procedere alla locazione
dell’azienda (unica
azienda si ipotizza)
detenuta e condotta dalla stabile
organizzazione
stessa ad una
società italiana (o
anche estera).
Siccome non
risultano grandi
trattazioni in materia è interessante
vedere le implicazioni sistematiche
ed anche pratiche
di questa decisione.
Commenti
Tassazione del soggetto estero
In primo luogo deve essere chiaro che una società estera produce reddito di impresa
solo se è dotata in Italia di una stabile organizzazione2; se questa non esiste allora il soggetto non residente produce reddito in Italia ma si applica il principio del trattamento
isolato del reddito (che quindi può essere reddito fondiario o di capitale o diverso ma
non può essere reddito di impresa3).
Cosa accade con la locazione di azienda
Nel momento in cui la stabile organizzazione in Italia procede a concedere in locazione
la unica azienda che la stessa conduce possono prodursi due situazioni:
• La prima situazione è quella per cui resta in vita la stabile organizzazione (certamente vuota) e quindi il reddito da locazione di azienda resta un reddito che viene
attribuito alla stabile organizzazione stessa con la conseguente debenza di IRES e
IRAP (e con tutti gli aspetti connessi alla locazione di azienda tra entità italiane)4;
• La seconda situazione è quella per cui “muore” la stabile organizzazione e quindi il
reddito da locazione della unica azienda viene imputato alla società estera in modo
diretto ed in questo caso nasce il problema che andiamo a sviscerare nel prosieguo
del presente documento5 (in sostanza la somma pagata dal locatario – chiunque
esso sia – viene portata al conto economico del soggetto estero e non al conto
economico della stabile organizzazione in Italia del soggetto estero).
Come si tratta la seconda situazione
La seconda situazione deve essere trattata nei suoi aspetti fiscali secondo i seguenti step
logici e non eludibili:
1.Verifica circa la esistenza di una norma nazionale che preveda la tassazione in Italia
del reddito che nasce dalla locazione della unica azienda detenuta da una stabile
organizzazione di un soggetto estero (se questa norma non dovesse esistere il problema si chiude immediatamente);
2.Verifica della esistenza di una norma di carattere “convenzionale” che deroghi (in
tutto o in parte)6 a quanto sopra e qui ovviamente la situazione deve tenere conto
delle singole previsioni ovvero delle singole convenzioni contro le doppie imposizioni.
In merito al primo punto si deve dire che tale norma potrebbe (forse) rintracciarsi in quella che prevede la tassazione in Italia dei redditi che nascono da beni che si trovano nel
territorio stesso (l’azienda locata7 si trova in Italia) ma il tema dovrebbe essere compiutamente approfondito prima di raggiungere una conclusione che possa dirsi definitiva.
In merito al secondo punto si potrebbe forse trovare un punto di appoggio (non del
34 - La Rivista gennaio 2017
tutto derogatorio) nella norma convenzionale che fa riferimento alle royalties
(e che pare includere anche la locazione)8.
Se quanto sopra è vero allora, allo scomparire della stabile organizzazione,
insorge il trattamento isolato dei redditi con tassazione sulla base di quella
che è aliquota portata nella norma convenzionale in tema di royalties (si pensi
che nella convenzione Italia – Svizzera parliamo di una aliquota del 5%).
In caso diverso (norma che deroga in modo totale) sorge un problema in
quanto: 1) ove il reddito da locazione non fosse inquadrabile nell’articolo 23
del TUIR si ha una immediata esenzione dello stesso e quindi una completa
non tassazione in Italia di questa componente9; 2) ove la convenzione non
inquadrasse questo reddito nell’articolo 12 (royalties) ma in altre norme (per
le quali magari prevede la tassazione nel solo stato di residenza del percettore) si avrebbe una sostanziale esenzione del reddito da locazione di azienda
(in ragione del fatto che la norma convenzionale prevale sulla norma interna).
Sul piano interpretativo ufficiale non risultano allo scrivente documenti di
prassi e sentenze che abbiano trattato del tema in modo specifico e mi pare
che silente sulla materia sia anche la documentazione ufficiale in materia.
Questo comporta che esiste su questa materia una forte incertezza circa il trattamento del reddito10 che
viene erogato dal locatario e che
merita una soluzione.
Conclusione
Siamo in presenza di una fattispecie
incerta che non trova una compiuta trattazione né in dottrina né in
giurisprudenza con la conseguenza
che la stessa comporta una difficoltà
per gli operatori che vogliono porla
in essere (si pone quindi il tema di
un interpello) e per questa tale fattispecie merita una considerazione in
questa sede.
Non esistono norme di diritto civile che possano considerarsi un divieto ad una simile operazione.
Questa affermazione non può essere posta in discussione.
Posizione ribadita anche dall’Agenzia delle Entrate.
4
In sostanza qui la situazione non cambia.
5
In questa situazione si ha una mutazione radicale.
6
La norma convenzionale può solo derogare in meglio.
7
L’azienda potrebbe considerarsi un bene mobile.
8
Questa norma deroga in modo parziale in quanto consente di tassare nello Stato della fonte ma con aliquota ridotta.
9
Non serve guardare la convenzione.
10
Resta anche da definire come si tassa questo reddito ovvero se mediante ritenuta alla fonte o mediante redazione di una dichiarazione dei
redditi da parte del soggetto non residente ed il punto non è da poco.
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2
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gennaio 2017 La Rivista - 35
La Svizzera prima della Svizzera
Non si può parlare di Storia della Svizzera senza conoscere gli avvenimenti che
precedettero la formazione del primo nucleo della Confederazione Elvetica, nel
lontano 1291. Bisogna, infatti, avere un quadro, anche se solo per sommi capi, di
quei fatti che furono all’origine del lungo e difficile percorso che, dopo oltre cinque secoli, avrebbe portato all’unità geografica e politica di questo Paese nei suoi
confini attuali.
Storia molto complessa e ancora più affascinante, se si considera che il suo territorio
non ha costituito «mai un’unità né politica né linguistica», né «culturale o economica».
C’è dunque una Storia della Svizzera prima della Svizzera, che bisogna conoscere
per capire a fondo gli avvenimenti che hanno portato poi alla formazione e al
duraturo mantenimento, nei secoli, della Confederazione Elvetica.
Tindaro Gatani, nostro prezioso collaboratore, ricercatore e appassionato studioso dei rapporti italo-svizzeri, ha raccolto l’invito di realizzare una sintesi della
storia di questo Paese dalle origini alla fondazione della Confederazione.
Il risultato di questo lavoro sono le 13 puntate apparse sulla Rivista da gennaio
2012 a febbraio 2014, che, dopo un’attenta revisione, rispondendo anche alla
richiesta di molti lettori, vedono la luce sotto forma di un volume.
Chi fosse interessato può richiedere copia del volume
al prezzo di CHF 25.— (+ costi di spedizione)
inviando una mail a: [email protected]
oppure telefonando allo 044 289 23 19
La Svizzera: da Morgarten (1315)
a Marignano (1515)
Le puntate apparse su «La Rivista», dal marzo 2014 a settembre 2015, sono
state adesso raccolte in un volume curato dallo stesso autore, Tindaro Gatani, con il titolo La Svizzera: da Morgarten (1315) a Marignano (1515), nel
quale si narrano gli avvenimenti di quei duecento anni che videro la Nazione
elvetica diventare la più grande potenza militare europea. La pubblicazione
si aggiunge al primo volume La Svizzera prima della Svizzera, edito sempre
dalla Camera di Commercio Italiana di Zurigo.
Chi fosse interessato può richiedere copia del volume
al prezzo di Fr. 25.— (+ costi di spedizione)
inviando una mail a: [email protected]
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Giacomo Casanova in Svizzera
Il nostro collaboratore Tindaro Gatani ha pubblicato un interessante volume sulle avventure amorose di Giacomo Casanova in Svizzera, la prima opera in italiano che tratta delle
gesta del grande libertino e avventuriero veneziano in Terra elvetica. Nella premessa, tra
l’altro, l’autore scrive: «Tutte le pubblicazioni sulle avventure di Giacomo Casanova sono
coronate da successo, non sempre, però, per merito dei vari curatori ma, piuttosto, per il
brillante racconto che, nella sua Storia della mia vita o Memorie, ne fa lo stesso avventuriero veneziano, che ha saputo unire l’arte di grande amatore con quella di consumato
affabulatore. Per non appropriarmi della sua forza narrativa ho voluto che fosse lui stesso,
con il suo racconto, a condurre i lettori attraverso la Svizzera del suo tempo. Per questo
mi sono limitato solo a riassumere, a chiosare, a soffermarmi su alcune alte personalità
dell’Ancien Régime elvetico, il periodo storico che precedette la Rivoluzione francese e la
bufera napoleonica che avrebbe, poi, investito, sovvertendola, la vecchia Confederazione.
(…) Da parte mia ho seguito le sue gesta servendomi dell’aiuto di quanti mi hanno preceduto sulle sue orme nello stesso itinerario e, soprattutto, della guida esperta di Pierre
Grellet (1881-1957) che, con Les aventures de Casanova en Suisse, pubblicate a Losanna
nel 1919, ha saputo tracciare con maestria un quadro puntuale e fedele delle sue imprese
in Terra elvetica. (…)».
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L’elefante Invisibile1
di Vittoria Cesari Lusso
I presuntuosi…
Una vecchia leggenda indiana narra di
un elefante che pur
muovendosi tra la folla
con al sua imponente
mole passava comunque
inosservato. Come se
fosse invisibile…
1
“Si questo lo so già…”, “Ho già capito tutto”, “Non ho bisogno di aiuto”, sono frasi che sento
non di rado pronunciare da mio nipotino di 15 anni (si fa per dire, nipotino, ormai misura 175 cm).
Come molti nati nel nuovo millennio possiede conoscenze e competenze in campo informatico
che superano largamente quelle di padri e madri, nonni e nonne. Questo gli basta per alimentare
un certo sentimento di onniscienza e sopravvalutazione delle proprie capacità in tutti i campi. Noi
adulti di famiglia cerchiamo ripetutamente di inculcargli la quintessenza del pensiero socratico: “sapere vuol dire essere coscienti di non sapere”, senza troppo successo per il momento. Cerchiamo
altresì di mostrargli che non temiamo di ammettere la nostra ignoranza in un’infinità di campi e di
avere un costante bisogno di imparare, verificare, ecc… Per ora i nostri sforzi scorrono come acqua
su una roccia, ma confidiamo che crescendo pian piano la presunzione di sapere si possa ridurre
entro confini ragionevoli. Per ora è un adolescente. E l’adolescenza serve probabilmente anche a
godersi il lusso della presunzione, in attesa di futuri implacabili ridimensionamenti.
Il problema diventa inquietante quando gli atteggiamenti presuntuosi costituiscono un tratto stabile della personalità della persona adulta con responsabilità familiari e professionali. Cos’è
infatti la presunzione? La maggior parte delle definizioni fa riferimento al sentimento di fiducia
sproporzionata nelle proprie capacità e all’alta ed esagerata opinione di sé, accompagnata dalla
pretesa di saper fare tutto meglio degli altri.
I sinonimi di presuntuoso sono molti e tutti servono a dipingere con pennellate critiche il prototipo
dell’individuo antipatico e sgradevole. I principali sono: borioso, tracotante, arrogante, spocchioso,
superbo, saccente, vanaglorioso.
La saggezza secolare ci fornisce non pochi aforismi e proverbi che efficacemente ci mettono in
guardia dal peccato di presunzione. Eccone alcuni.
Più piccola è la mente più grande è la presunzione (Esopo)
Fino all’anno scorso avevo un solo difetto. Ero presuntuoso (Woody Allen)
La presunzione può gonfiare l’uomo, ma non lo farà mai volare (John Ruskin)
Era come un gallo che pensava che il sole sorgesse per sentirlo cantare (Georges Eliot)
Presunzione, arroganza, protagonismo, questi sono i difetti da cui occorre guardarsi (Plutarco).
La presunzione di avere grandi capacità è sempre negativa? In campo politico ci si può
chiedere se chi detiene (o aspira a detenere) posizioni di comando ne possa veramente fare a
meno, rinunciando alla convinzione di essere capace di risolvere problemi enormi meglio di altri.
Se ci pensiamo bene, un po’ di presunzione è praticamente indispensabile per condurre una campagna elettorale, per governare processi complessi, per osare proporre riforme importanti, per
combattere gli avversari, per non farsi bloccare e per perseverare. Un po’ di incosciente e smisurata
fiducia nelle proprie capacità alimenta il coraggio di buttarsi nella mischia, di lottare per i propri
ideali e di immaginare progetti ambiziosi per il proprio paese. Tuttavia, tale sovradimensionata fiducia per essere al servizio dell’interesse collettivo deve accompagnarsi in parallelo ad altre tre altre
condizioni: solide esperienze e capacità nel solcare il mare agitato degli attuali problemi economici
e sociali; serietà e trasparenza in materia di programmi e priorità; intelligente umiltà e grande
lucidità nell’utilizzare al meglio le risorse umane e materiali a disposizione, prestando orecchio alle
indispensabili voci critiche.
In assenza di tali condizioni, il politico presuntuoso, di qualsiasi età esso sia, finisce per
comportarsi come un adolescente impaziente e spocchioso, che scava profondi fossati tra il suo
dire e il suo fare, disperdendo speranze e consensi anteriormente suscitati. Certo, ciò non esclude
che in certi momenti ci siano magari molti elettori disposti a votarlo. Anche gli elettori delle moderne democrazie possono peccare di presunzione in materia di facoltà di discernimento…
gennaio 2017 La Rivista - 37
di Vittorio
Bianchi
La disinformazione di massa
I social media hanno rivoluzionato, nel bene e nel male,
il modo di fare informazione. Interattività, accessibilità
ed immediatezza sono diventate le parole chiave del
Web 2.0. Malgrado ciò, come spesso accade per ogni
nuovo prodotto, un manuale d’uso potrebbe rivelarsi necessario.
Il presidente uscente degli Stati Uniti d’America, Barack
Obama, nel suo ultimo incontro con la cancelliera Angela Merkel, ha dichiarato che il livello di disinformazione,
facilitato dallo spaventoso sviluppo dei nuovi media, ha
raggiunto livelli di diffusione tale, da mettere a repentaglio la stabilità dei nostri sistemi democratici.i Chiama
in causa addirittura il CEO di Facebook, Mark Zuckenberg, affermando che il recente risultato delle elezioni
americane, che ha visto uscire vincitore il tycoon Donald
Trump, sia dovuto in parte a quelle “bogus new stories”,
storie false, inventate, che, però, sono state postate e
condivise sui social media in maniera sempre crescente, soprattutto negli ultimi mesi di campagna elettorale.
Se, nella tappa più significativa del suo ultimo viaggio in
Europa da presidente, Obama ha voluto mettere l’accento sul tema della disinformazione, richiamando, dunque,
i professionisti del settore al rispetto del proprio codice
deontologico, la faccenda è seria.
Effettivamente, riflettendoci, chi di noi, in una fascia
d’età compresa fra i 15 e i 30 anni, non utilizza Facebook o Twitter come principale bacino di informazione?
L’immediatezza di questi nuovi canali brucia sul tempo
i farraginosi media tradizionali, troppo analitici e sconnessi da un pubblico che si muove a ritmo di tweet. Che
si tratti di un attentato terroristico a Bruxelles, di un terremoto in centro Italia o dell’ultima sparata di Trump, le
foto e le notizie arrivano nel giro di qualche secondo sul
nostro cellulare, in maniera immediata, senza bisogno di
controparte o contestualizzazione. Se poi si tiene conto
dell’ormai dilagante sfiducia delle persone nei confronti
dei media tradizionali, percepiti come strutture schierate
con l’establishment, ecco che il gioco è fatto.
Certo, l’immediatezza dell’informazione, così come la
possibilità di improvvisarsi giornalista o opinion maker,
può essere un vantaggio. Si pensi alla nascita di movimenti politici che hanno intercettato i bisogni di coloro,
che non si sentivano più rappresentati dai partiti politici tradizionali. Si pensi al ruolo dei social media nelle
primavere arabe che, indipendentemente dal risultato
finale, hanno generato mobilitazioni sociali, riuscendo
38 - La Rivista gennaio 2017
a rovesciare radicati governi dittatoriali. Tuttavia, questo
nuovo modo di fare informazione può diventare una
lama a doppio taglio, se il fruitore finale non è in grado
di discernere la notizia reale da quella fittizia, costruita,
in alcuni casi, ad hoc, per promuovere controinformazione.
Uno studio recente dell’università di Standford, basato
su un campione di 8.000 studenti, ha riscontrato che
i teenager e gli studenti universitari, per antonomasia
più avvezzi all’utilizzo delle nuove tecnologie, rischiano
di essere uno dei target più sensibili. “Molte persone
pensano che, poiché i giovani sanno usare i social media, sono egualmente bravi a giudicare quello che c’è
scritto - afferma Sam Wineburg, l’autore principale - ma
il nostro lavoro mostra che la realtà è opposta”. L’82%
del bacino degli intervistati non è per esempio stato in
grado di discernere fra notizia fondate da quelle a contenuto sponsorizzato, mentre, fra gli altri inghippi, circa
un quarto non è stato in grado di distinguere un profilo
fake di Fox News rispetto a quello ufficiale.
L’informazione plasma in maniera consistente la nostra
comprensione della realtà. Questa tendenza, dunque,
rischia di avere soprattutto ripercussioni negative sullo
sviluppo delle nuove generazioni. La polarizzazione sociale emergente ne è testimone.
Se è vero che il progresso non può essere arrestato, è
anche vero che per sfruttarne il potenziale sarebbe opportuno promuovere percorsi di responsabilizzazione
che mirino allo sviluppo di maggiori capacità critiche
e analitiche nei confronti di quello che leggiamo. Questo toccherebbe in prima persona il settore educativo e
i suoi promotori, non ultime le famiglie. Tecnicamente
parlando, invece, l’algoritmo che regola i meccanismi di
funzionamento di Facebook, secondo cui vengono proposte sulle nostre bacheche solo quelle opinioni combacianti al meglio con la nostra linea di pensiero o con
i nostri interessi, dovrebbe essere messo in discussione.
In ultima analisi, anche i giornalisti dovrebbero mettere
in campo nuove strategie di comunicazione. La diffidenza dilagante nei confronti dei media tradizionali, fattore
rilevante che ha mosso ampi strati della popolazione
verso i cosiddetti “voti di protesta”, dovrebbe far riflettere.
Un certo tipo di informazione, più equilibrata, più reale,
meno urlata, meno intellettualoide e più in linea con le
istanze popolari potrebbe rappresentare, forse, una via
d’uscita.
Benchmark
di Nico Tanzi
Fallimenti epici e leoni da
tastiera, ovvero: i fatti e le
opinioni nell’era dei social network
L’espressione
“epic fail”, che
indica un fallimento di dimensioni colossali, è
sempre esistita
ma nell’era dei
social network ha
acquisito un senso
più immediato.
Chi inserisce “epic fail” in Google troverà un catalogo di situazioni in cui quella che doveva essere un’impresa, un momento importante, una performance di alto livello si trasforma in una figuraccia. Da riderci
su, di solito: sposi che finiscono in acqua al momento del “sì”, corridori che perdono la gara a un passo
dal traguardo sbagliando direzione, scivolate tragicomiche. Spesso con conseguenze disastrose per i protagonisti, come nella serie infinita delle acrobazie finite male di skaters, ciclisti e tuffatori. Un catalogo
sterminato di stupidità umane.
Ma non ci sono solo bulletti e sfigati fra i protagonisti di epic fail. Provate a chiedere alla Volkswagen, che
sta pagando a caro prezzo il trucchetto che i suoi tecnici avevano escogitato per imbrogliare sul rilevamento delle emissioni inquinanti.
Di dimensioni meno planetarie ma di un certo interesse l’epic fail di cui si è resa protagonista l’edizione
italiana di Vanity Fair. E che potrebbe diventare un caso da manuale, anche per la rapidità con cui un
post non abbastanza meditato ha suscitato una valanga di reazioni tale da costringere in poche ore alle
pubbliche scuse.
I fatti. La sera del 21 dicembre scorso sulla pagina Facebook del settimanale si legge: “Vi chiediamo di
scegliere tra una tragica immagine della fuga da Aleppo e uno splendido scatto del monte Cervino. Quale
pensate sia la fotografia più giusta per accompagnarci nella settimana di Natale 2016? Ditecelo con un
LIKE (sic) sull’immagine che preferite”. In pochi minuti la redazione “social” di Vanity Fair viene sommersa
di insulti. “Ignoranti”; “quesito agghiacciante”; “gaffe inaccettabile”; “avete il cervello collegato quando
postate cose simili?”; “L’ideatore di questo post dovrebbe vergognarsi”. “Non vi acquisterò mai più”. A
far crollare la diga è Selvaggia Lucarelli, blogger dal largo seguito, con un commento sarcastico: “Quindi
Martina Dell’Ombra è la nuova social media manager di Vanity Fair. Bene” (questa non la capiranno tutti
ma sarebbe lungo spiegarla: magari lo faremo in un prossimo numero della Rivista - ndr).
Inevitabili le scuse, pubblicate la mattina dopo. Lunghe e dettagliate, così come i tentativi di spiegazione.
Non molto convincenti, ma sinceri. “Mi sono sentito un idiota”, ammette il photo editor che aveva proposto le foto in competizione, “un imbecille che ha messo alla berlina il lavoro di un’intera redazione per un
post fatto con leggerezza”.
“Un mio vecchio maestro di scuola di giornalismo - scrive fra l’altro il direttore Luca Dini - mi diceva che
noi cronisti dobbiamo girare il mondo con una «toga invisibile». Cioè sempre consapevoli del nostro ruolo,
della nostra responsabilità, delle conseguenze che le nostre parole hanno su chi le leggerà. In questa era
digitale dove tutti sono giornalisti, credo possa servire una riflessione sull’effetto che certe reazioni e certi
commenti – e l’abitudine di stare lì in agguato, in attesa che qualcuno cada in uno scivolone per metterlo
alla gogna – possono avere su una persona che, al di là del suo lavoro, è un essere umano come tutti”. Un
“essere umano come tutti” contro cui si è levato in una notte infernale un esercito di “leoni da tastiera” a
chiedere, senza mezzi termini, come la Regina di cuori di Alice, la testa del colpevole.
Di fronte a tanti con la verità in tasca, evito i giudizi e mi limito ad un paio di constatazioni. Uno: sui social
il senso della misura è un’entità ignota. Al di là di torti e ragioni, si spara a zero con la stessa sicumera e
prosopopea, e con la stessa intensità, su Renzi, su Belen o sull’ultimo poveraccio che passa di là; la gerarchia
dei fatti è del tutto irrilevante. Due: con i social la democrazia ha uno strumento (di controllo del potere e
di espressione delle opinioni) in più; ma a volte sembra di intravvedere, inquietante, la democrazia come la
intendeva Platone: guidata dagli istinti (gli appetiti) delle masse più che dalla ragione. La “pancia” al potere,
e che Dio ce la mandi buona.
gennaio 2017 La Rivista - 39
Per chi suona il campanello
di Mirko Formenti
Due o tre cose su:
I samurai
“La Via del samurai va cercata
nella morte”: e
nella morte, con
queste parole,
Yamamoto Tsunetomo individuava
il segreto dell’invincibilità del
samurai.
40 - La Rivista gennaio 2017
Il samurai è, stando al significato letterale, colui che serve, che obbedisce, che osserva le regole,
e, nella fattispecie, che serve combattendo: è il guerriero, il bushi. Il codice morale al quale si
attiene con ferrea disciplina è il bushido, la “via del guerriero”, e le ragioni del bushido sono da
cercare nella morte.
La figura del samurai è caratterizzata da un profondissimo spessore spirituale e filosofico che lo rende
del tutto estraneo a quella del “cavaliere” europeo, alla quale viene spesso impropriamente paragonato; la sua dottrina è impregnata di buddismo zen, e prevede che il samurai mediti incessantemente
sulla morte e sulla sua inevitabilità.
La sapienza del samurai è quella dei koan, i proverbi paradossali, non si raggiunge con la ragione ma
con il suo superamento, con l’intuizione slegata dalla logica: il samurai attraverso la meditazione zen
accetta il nonsenso, porge il fianco al paradosso, si libera dal peso della paura e raggiunge la pace dei
sensi, l’imperturbabilità, il controllo di sé.
Il samurai non è un omaccione che agita la spada con urla belluine: è un filosofo che ha accettato
l’impermanenza della vita, acquistando il potere di sbarazzarsi della paura di morire: egli è un placido,
disciplinato guerriero ed è invincibile perché nella sua impassibilità esistenziale non conosce sconfitta,
in quanto la morte è prevista come termine e culmine della vita, ed è quindi un evento glorioso, a
patto che vi si giunga in modo onorevole, coerentemente alle dottrine del bushido. Da qui la nota
propensione del samurai per il suicidio rituale (seppuku o, in un gergo più impreciso, harakiri) piuttosto di una vita disonorevole: in questo senso, l’unica vera sconfitta è la resa, proprio perché tradisce
la paura della morte. In altre parole, lo scopo ultimo della vita del samurai è quello di prepararsi al
meglio alla morte.
Ma il samurai ama la vita: il samurai vive semplicemente nel presente, è un concentrato di presente,
di vitalità estrema ed invincibile – non è un caso che, oltre ad essere un guerriero, il samurai era quasi
sempre un artista: compositore di fini liriche, musiche, dipinti, o attento cultore della cerimonia del thé.
Attributo fondamentale del samurai – nonché, si potrebbe dire, vero e proprio status symbol formalizzato – sono le spade: una lunga (katana), che in genere veniva portata solo in combattimento, e
una breve (wakizashi) che invece non abbandonava mai il corpo del samurai, pendendogli davanti
all’addome, che si riteneva fosse la sede dello spirito (ed ecco perché nel seppuku era proprio quella
zona a venire trafitta e squarciata).
Nel 1876, in seguito alla Restaurazione attuata dall’imperatore Meiji, venne emanata una legge che
proibiva a chiunque non fosse un soldato del nuovo esercito statale di stampo occidentale di girare
armato, costringendo di fatto i samurai a separarsi dalla spada: la privazione del loro emblema sancisce convenzionalmente la fine della loro epoca.
Ma i samurai sono sopravvissuti: attraverso il Novecento troviamo numerosi fenomeni da ricondurre
direttamente alla dottrina del bushido: basti pensare agli attacchi suicidi dei kamikaze (nome che
evoca quel “vento divino” che nel lontano 1281 spazzò via la flotta mongola che si accingeva ad
invadere il Giappone), al seppuku di molti ufficiali che nel ’45 rifiutarono la resa, ai molti “soldati fantasma” che pur di non arrendersi si diedero alla macchia, sopravvivendo – a volte per decenni! – in
capanne e cunicoli nella foresta o al suicidio rituale dello scrittore Yukio Mishima, l’ultimo seppuku di
cui si abbia notizia.
Ecco, queste erano due o tre cose sui samurai; le riassumo con le parole di Yamaoka Tesshu, che non
vanno capite bensì ascoltate: “Usare il pensiero per analizzare la realtà è un’illusione. Se ci si preoccupa per la vittoria o la sconfitta si perderà tutto. Il segreto dell’arte della spada? Il fulmine taglia il
vento di primavera”.
Dalla Svizzera
degli Stati a
quella federale
Napoleone in un ritratto del 1797 di Jacques-Louis David (1748-1825)
Luci e ombre dell’Elvezia
“una e indivisibile”
di Tindaro Gatani
(Come il Fricktal divenne svizzero)
Dopo il terrore del Novantatré, narrato anche nell’omonimo romanzo (Quatrevingt-treize) di Victor Hugo, la Francia,
sconvolta dai massacri e minacciata dalla Prima coalizione delle Monarchie europee contro la Rivoluzione, era
stata costretta a mettere al bando il Comitato di Salute
Pubblica e a condannare a morte i suoi capi, Georges Jacques Danton e Maximilien de Robespierre, e altri loro seguaci, mandati al patibolo il 28 luglio del 1794. La nascita
di un nuovo governo sotto un Direttorio, composto da cinque membri della vecchia borghesia, portò alla pace con
la Prussia, la Spagna e l’Olanda, ma non con l’Inghilterra,
l’Austria e il Piemonte, che restavano sul piede di guerra e
sempre pronti a marciare su Parigi.
La prima Campagna d’Italia
Tra la fine del 1795 e l’inizio del 1796, di fronte alla
minaccia di un’invasione austro-piemontese, Lazzaro Carnot (1753-1823), capo del Direttorio, promosse
un’operazione a tenaglia con tre armate, di cui due,
le più potenti, avrebbero dovuto puntare su Vienna dal
nord attraverso la Germania, alla terza fu assegnato, invece, il modesto compito di tenere impegnati i nemici
nella Pianura Padana. Il comando dell’Armata d’Italia
fu affidato a Napoleone Bonaparte, nato ad Ajaccio nel
1769, poco tempo dopo che la Corsica era passata dal
dominio di Genova a quello della Francia. Il giovane ufficiale si era già distinto, nel 1793, come comandante
militare per aver liberato Tolone dall’occupazione inglese. La spettacolare vittoria gli valse la promozione da
Il 20 di febbraio 1802, il Fricktal, con Rheinfelden e
Laufenburg, entra a far parte della Svizzera
capitano a generale, a soli 24 anni. Caduto in disgrazia
dopo la morte di Robespierre, al cui partito aveva aderito, era, quindi, tornato alla ribalta, alla grande, per aver
stroncato a cannonate l’attacco monarchico alla Convezione repubblicana. Il matrimonio con Giuseppina
Tascher de la Pagerie (1763-1814), la bella e influente
vedova del generale Alessandro di Beauharnais (17601794), gli avrebbe spianato, poi, la strada per nuovi e
sempre più importanti incarichi. Appena assunto il comando dell’Armata d’Italia, ridotta a «un’accozzaglia di
straccioni», che, per sopravvivere, erano dediti ai furti
e ai piccoli saccheggi, Napoleone dovette affrontare il
difficile compito di vestire, calzare e imporre la disciplina militare a quella massa di soldati quasi allo sbando.
Nessuno, in Francia, pensava che, con quegli uomini
gennaio 2017 La Rivista - 41
Heinrich Pestalozzi (1746-1827) si prende cura degli
orfani di guerra a Stans. Dipinto a olio del 1879 di Konrad
Grob (Kunstmuseum Basilea)
indisciplinati e scarsamente equipaggiati, egli potesse
andare oltre qualche azione di disturbo. Nel giro di poche settimane, con la sua determinazione e ricorrendo
persino alle fucilazioni con processi sommari, egli riuscì, però, a imporre la più ferrea disciplina e a motivare i suoi soldati sulla loro missione patriottica. Alla
fine di marzo, alla testa di 36.000 uomini, partì per la
sua prima Campagna d’Italia (1796-1797). Mentre le
due armate francesi ben organizzate, che avrebbero
dovuto assalire l’Austria dal nord, erano rimaste inattive, Napoleone, passate le Alpi Marittime, il 10 aprile
1796, entrò in Liguria, dove, in cinque giorni, sbaragliò
gli austro-piemontesi a Cairo Montenotte (11 e 12 aprile), a Millesimo (13 e 14 aprile) e a Dego (14 e 15
aprile), tre borghi contigui della provincia di Savona. Di
fronte a tanta furia, il Re di Sardegna Vittorio Amedeo
III di Savoia si vide costretto a firmare, il 28 aprile, l’armistizio di Cherasco e, in base alla successiva pace di
Parigi, dovette cedere alla Francia la città di Nizza, la
Savoia e il diritto di transito delle sue truppe attraverso il Piemonte. Dopo aver messo fuori combattimento
i Piemontesi e aver sconfitto nuovamente gli Austriaci
42 - La Rivista gennaio 2017
a Lodi (10 maggio), Napoleone entrò da trionfatore in
Milano (il 15 maggio) e proseguì quindi la sua marcia,
occupando buona parte dell’Italia settentrionale.
La pace di Campoformio
Il 16 ottobre, i rappresentanti del Ducato di Modena e
Reggio e delle due Legazioni dello Stato della Chiesa
di Ferrara e di Bologna, decisero di aderire alla Rivoluzione costituendo, sul modello di quella francese, la
Repubblica Cispadana, proclamata, poi, ufficialmente il
23 dicembre a Reggio Emilia. Il 17 gennaio 1797, in un
nuovo congresso tenuto sempre a Reggio, fu adottata,
per la prima volta, la bandiera tricolore a strisce orizzontali (rosso, bianco e verde) con, al centro, all’interno
di una corona di alloro, una faretra con quattro frecce
a simboleggiare la vittoria delle quattro province. La Cispadana e la Transpadana, costituita già a Milano, il 29
giungo 1797, si fusero, allargando i loro confini, nella
Repubblica Cisalpina. Del nuovo Stato facevano così
parte il vecchio Ducato di Milano, il Ducato di Modena e
Reggio, Bologna, Ferrara e Ravenna, il Ducato di Massa
Carrara, i territori di Mantova e quelli veneti tra l’Adda e
l’Adige, Verona compresa, e in più la zona di Rovigo e
tettorato di Berna, e l’altra si diresse su Losanna, dove
tutta la Valtellina, tolta ai Grigioni. Anche la Cisalpina, a
qualche giorno prima era stata issata la bandiera verde
imitazione di quella francese, adottò la bandiera tricodella Repubblica Lemanica. Solo allora scoppiarono
lore a strisce orizzontali. L’Austria, per non subire altre e
piccoli tumulti locali: il 28 gennaio a Saint Maurice, nel
più pesanti perdite, fu, a sua volta, costretta a chiedere
Vallese; il 31 a Lucerna; il 4 febbraio nel Toggenburgo;
un armistizio, firmato il 17 ottobre 1797 a Campoformio
il 5 a Basilea; il 6 a Sciaffusa e nella Turgovia; il 21 a
(oggi Campoformido), in provincia di Udine. Il trattato di
Zurigo. Era, però, una rivolta contro i privilegi e per l’uquella pace segnava la fine della millenaria Serenisguaglianza, cioè per migliorare le condizioni dentro la
sima Repubblica veneta, il cui Stato, insieme all’Istria
Svizzera e non contro di essa.
e alla Dalmazia, era ceduto all’Arciducato d’Austria, in
cambio del riconoscimento della Repubblica Cisalpina. Dai Cantoni all’Elvetica
Dopo aver occupato Losanna, le truppe francesi, proAlla Francia andavano i vecchi possedimenti veneziani
venienti da nord e da sud, il 2 marzo 1798 presero
delle isole Ionie con Corfù, Zante e Cefalonia e i territori
Friburgo e Soletta e quindi marciarono su Berna, ocaustriaci sulla sinistra del Reno, tra cui c’era anche il
cupandola il 5 marzo. L’opposizione all’invasione era
Fricktal, che l’Austria era costretta a cedere dopo cirstata troppo debole: i Bernesi, rimasti soli a fronteggiaca 400 anni di ininterrotto dominio asburgico. Napore quelle potenti armate, dopo aver conseguito la vitleone, tornato a Parigi da trionfatore e soddisfatto del
toria a Neuenegg, furono
ricco bottino fatto in Itasconfitti a Fraubrunnen e
lia, dove, in cambio della
al Grauholz. La caduta di
promessa della libertà e
Berna segnò la fine della
dell’uguaglianza, si era
Confederazione dei XIII
impadronito delle casse
Cantoni, perché gli invapubbliche e private e di
sori imposero al Paese,
inestimabili opere d’arte,
conquistato con le armi,
progettò le sue prossime
una costituzione unitaria,
mosse per imporre la sua
redatta a Parigi, il 28 maregemonia in tutta Europa.
zo 1798, sul modello di
Per portare avanti il suo
quella francese. «La Redisegno, non bastandogli
pubblica Elvetica è una e
il transito del Piemonte,
indivisibile... Non ci sono
decise di impadronirsi supiù frontiere fra i Cantobito di tutti i valichi alpini
ni e i paesi soggetti, né
della Confederazione, per
da Cantone a Cantone».
avere la massima libertà
Il tricolore della Repubblica Cisalpina
Così recitava il primo
di movimento delle sue
articolo e, per rimarcare
truppe. Sollecitò allora
degli incontri con gli Svizzeri amici della Rivoluzione. l’unità, aggiungeva ancora: «... eravamo deboli per la
nostra debolezza individuale, saremo forti per la forza
Con la scusa ufficiale della cessione del Fricktal, che sarebbe passato così direttamente dall’Austria a Basilea, di tutti». Il successivo 12 aprile, Peter Ochs, dal balcone
del Municipio di Aarau (Aarauer Rathauses), proclamò
Napoleone chiamò a Parigi Peter Ochs. Nei loro colloqui
la nascita della Repubblica Elvetica. Persino ai delegati
dell’8 dicembre 1797, i due non parlarono, però, della
alla nuova Dieta federale fu imposto l’obbligo di vestifutura appartenenza del Fricktal, con Rheinfelden e Laure un’uniforme unitaria, che ricalcava quella rivoluziofenburg, ma concordarono, invece, modi e tempi della
naria dei membri del Parlamento parigino. Invece di
prossima invasione francese della Svizzera. Secondo
una Confederazione libera e indipendente, la Svizzera,
i loro piani, l’intervento sarebbe dovuto avvenire su rinonostante le buone intenzioni di Peter Ochs e di tutti
chiesta dei vari comitati rivoluzionari locali. Dopo che la
gli altri grandi patrioti, era stata improvvisamente trapretesa sollevazione si limitò a sporadici atti simbolici e
sformata in un paese vassallo della Francia, che si era
tutti i tentativi di provocare una rivolta generale interna
affrettata ad annettersi Ginevra, Mulhouse, Bienne e le
erano falliti, i Francesi furono costretti a provocare un
vallate del Giura. L’anticlericalismo giacobino, importapiccolo incidente di frontiera per trovare la scusa di entrare in Svizzera. Si mossero allora con due armate, che, to insieme alla rivoluzione, provocò la rivolta popolare
delle forze conservatrici cattoliche della Svizzera cenagli ordini del generale Guillaume Brune, tra il 13 e il
trale. I Cantoni di Uri, di Svitto e di Glarona entrarono
14 febbraio 1798, una invase il Giura, posto sotto il pro-
gennaio 2017 La Rivista - 43
a far parte dell’Elvetica solo per evitare la repressione
Tra Cisalpina ed Elvetica
delle truppe francesi. Il Nidvaldo resistette, invece, per
Dei territori dell’odierna Svizzera, soltanto Ginevra,
qualche tempo ancora, ma poi dovette cedere alla forl’ex principato vescovile di Basilea e il principato prusza delle armi, dopo che il 9 settembre 1798, il caposiano di Neuchâtel non fecero mai parte dell’Elvetiluogo Stans fu occupato e dato alle fiamme. Circa 400
ca. Particolare discorso, come vedremo, merita, poi,
persone, tra cui molte donne persero la vita. Secondo
il Vallese. I provvedimenti più importanti dell’Elvetica
alcune fonti le truppe francesi avrebbero agito sotto
furono la proclamazione dell’uguaglianza dei cittadiil comando del generale Giuseppe Antonio Mainoni
ni di fronte alla legge; la parità linguistica, la libertà
(1754-1807), nativo di Mantova ma con la cittadinandi pensiero e di opinione; la creazione della cittadiza di Strasburgo e di Lugano (BERTOLIATTI Francesco, nanza svizzera; la separazione dei poteri; la soppresFu il luganese Mainoni veramente ‘il boia di Stans?’, sione delle barriere doganali interne e l’unificazione
in «Rivista militare della Svizzera italiana», n. 3, anno
dei sistemi di pesi e di misure; la riforma del diritto
23, 1951). Per i molti bambini, rimasti senza genitori, civile e penale e l’autorizzazione dei matrimoni misti;
fu allora fondato un orfanotrofio in un vecchio convenla soppressione della tortura; l’incentivo all’istruzione
to di Stans, la cui cura
e l’impulso alle opere
fu affidata a Johann
pubbliche; l’abolizioHeinrich
Pestalozzi
ne degli oneri feudali
(1746-1827), il futuro
di natura personale
padre dell’istruzione
(4 maggio 1798); la
popolare in Svizzera.
soppressione del preIn un primo tempo, i
levamento delle deciFrancesi volevano dime e di altri oneri revidere la Svizzera, per
ali (10 novembre). La
meglio controllarla, in
Repubblica Elvetica
tre repubbliche indiebbe, ancora prima di
nascere, un difficile e
pendenti l’una dall’altravagliato contrasto
tra: la Rodania (Vaud,
con la Cisalpina, che,
Vallese e Ticino), la
con la pretesa di unire
Tellgovia (la Svizzera
tutti gli italofoni, dopo
primitiva) e l’Elvezia
l’annessione
della
comprendente la parte
Valtellina, voleva, a
restante. Dopo fu diviogni costo, avere nei
sa, invece, in 17 Cansuoi confini anche il
toni: Waldstätten (Uri,
Ticino. Alle notizie dei
Svitto ed Unterwaldo),
rivolgimenti francesi
Linth (Glarona e parte
anche in diverse locadi San Gallo), SäntIl tricolore della Repubblica Elvetica
lità ticinesi erano sorti
is (Appenzello ed il
alcuni Club giacobini.
resto di San Gallo),
Baden, Lugano, Bellinzona, Berna, Argovia, Oberland, Il Rossi e il Pometta raggruppano le opinioni «dei più
Lemano (Vaud), Basilea, Friburgo, Lucerna, Sciaffusa, avanzati e illuminati cittadini» ticinesi in tre partiti:
«Uno di tendenza nettamente giacobina», che anelaSoletta, Turgovia e Zurigo. Con l’adesione del Canton
va alla «indipendenza assoluta in una ConfederazioRezia (Grigioni), avvenuta il 21 aprile 1799, i cantoni
ne totalmente riformata... od anche in uno Stato del
dell’Elvetica divennero in tutto 18. Un discorso a partutto indipendente»; un altro, più moderato, che volete riguarda il Fricktal che, dopo averlo occupato nel
va «l’indipendenza dei Baliaggi, ma ottenuta con il
1799, i Francesi lo elevarono prima a Cantone sotto il
minimo rivolgimento», restando «nel seno della Lega
loro protettorato (febbraio 1802), poi lo incorporarono
Elvetica»; il terzo partito, tuttavia minoritario, che, teall’Elvetica (agosto 1802) e infine, nel 1803, lo suddinendo conto delle affinità linguistiche e culturali, mivisero tra i Cantoni di Basilea e di Argovia. L’Elvetica, in
rava, invece, all’unione con la Cisalpina. Gli Svizzeri,
quegli anni di quasi anarchia, fino all’Atto di Mediazioche non volevano perdere il Ticino, promossero allora
ne, imposto poi da Napoleone, era in continua evolula costituzione di una Guardia Nazionale, con sede
zione, cambiando più volte i nomi e i confini dei suoi
in Lugano, il cosiddetto Corpo bianco o dei Volontari
componenti a la stessa sua Costituzione.
44 - La Rivista gennaio 2017
del Borgo, formato da esponenti della borghesia, di
sentimenti riformisti ma avversi a qualsiasi ingerenza
dei cisalpini. Primi comandanti di questo Corpo, che
cominciò a funzionare dal 2 aprile 1797, furono Ambrogio Luvini e l’amministratore delle poste zurigane
Pietro Rossi. Accanto al «Corpo bianco», i Cantoni
sovrani sostennero anche la creazione di un Corpo
rosso al servizio del distretto di Lugano e i cui comandanti furono prima il conte Raffaele Riva e poi l’ingegnere Giulio Pocobelli. Il grande animatore dell’opposizione alla Cisalpina fu, però, soprattutto Pietro Rossi,
che trasformò «il suo ufficio delle poste zurigane»,
con privilegio del servizio a Milano e a Bergamo, in
un’efficiente rete spionistica al servizio dei Cantoni.
Egli non era, infatti, solo un «gran faccendiere politico
e nemicissimo dei giacobini», ma raccoglieva anche
informazioni riservate per conto di tutti i nemici di Napoleone, Austria compresa. L’ufficio postale di Lugano
era diventato, infatti, il centro della controrivoluzione
in stretto contatto anche con i movimenti antifrancesi
della Leventina, del Vallese e della Svizzera centrale.
Le cose si complicarono quando alcuni Luganesi, che
si erano «portati» nello Stato cisalpino, «con l’aiuto
di altri fanatici di quella Repubblica, concertarono un
piano per suscitare la rivoluzione in Lugano e fare che
questi paesi si ribellassero alla Svizzera e si unissero
allo Stato milanese» (dalla «Cronaca» di Antonio Maria Laghi, citata da Rossi e Pometta). All’alba del 15
febbraio 1798, si arrivò all’attacco armato a Lugano
di 240 «dei cisalpini e altra gentaglia», che portavano
il berretto rosso della rivoluzione. Il colpo di mano fu
respinto dai Volontari del corpo bianco, con il copricapo di Tell, guidati da Pietro Rossi che, dopo aver fatto
erigere delle barricate «in riva al lago, quasi davanti
al suo ufficio di posta zurigana», riuscì a «risospingere
gli attaccanti».
Il Ticino sceglie la Svizzera
Fu quello un periodo particolarmente turbolento contrassegnato dall’uccisione, sotto «l’albero della libertà», di alcuni dei «patrioti» più in vista di Lugano, a
opera della «turba forsennata». Tra il 28 e il 29 aprile
I Cisalpini si scontrano con i Volontari del Borgo di Lugano (mattina del 16 febbraio 1798). Disegno a inchiostro e
acquerello di Rocco Torricelli (Lugano 1744-1832)
gennaio 2017 La Rivista - 45
Saccheggio della Casa Agnelli di Lugano (29 aprile 1799). Disegno a inchiostro
e acquerello di Rocco Torricelli (Lugano 1744-1832)
del 1799, l’odio contro i filocisalpini sarebbe poi sfociato in alcuni tumulti. A Lugano si aprì la caccia ai
giacobini e bande di contadini inferociti saccheggiarono la tipografia Agnelli e uccisero alcuni sostenitori
della Cisalpina, tra i quali l’abate Giuseppe Vanelli, che era stato uno dei più fervidi sostenitori delle
nuove idee con i suoi scritti apparsi sulla «Gazzetta
di Lugano». Il pittore luganese Rocco Torricelli (17521811 ca.), ci ha lasciato cinque disegni a inchiostro
e acquerello, conservati al Museo civico di belle arti
di Lugano, che illustrano i momenti più drammatici
di quegli avvenimenti di cui fu testimone oculare. La
scelta dei Luganesi fece capire che non solo i cittadini
dei Cantoni sovrani, ma anche quelli dei baliaggi si
ribellavano solo per avere maggiori diritti e pari dignità in seno alla Confederazione, senza debordare cioè
dalla loro appartenenza alla stessa. Il comportamento
mantenuto in quei frangenti dai territori sottomessi
ai Cantoni sovrani e del Ticino in particolare è così
spiegato da Rossi e Pometta: «Gli abitanti dei Baliaggi
italiani godevano la libertà e l’eguaglianza da secoli,
46 - La Rivista gennaio 2017
sia pure limitatamente all’ambito dei Borghi e delle
Vicinanze, in forza di istituzioni e di statuti che erano
stati rispettati da tutti i dominanti». Le città ed i borghi
ticinesi non vantavano, infatti, diritti preminenti sulle
campagne, né la piccola nobiltà locale godeva di privilegi feudali. La proprietà terriera non era in mano a
latifondisti, ma distribuita tra tanti piccoli agricoltori.
Nonostante le ricorrenti proteste dei sudditi a causa
della natura, a volte, vessatoria dei dominanti, la situazione ticinese non era insomma tale da giustificare
da sola un capovolgimento violento dell’assetto politico (ROSSI Giulio - POMETTA Eligio, Storia del Cantone Ticino, Locarno 1980, pp. 167-170). Pietro Rossi
svolse ancora un ruolo molto importante al momento
del passaggio per il Ticino delle truppe austro-russe
comandante dal generale Alessandro Suwaroff (vedi il
prossimo n. di «La Rivista»). La vendetta dei cisalpinizzanti si sarebbe compiuta a distanza di qualche anno,
quando, dopo aver proclamato la seconda Repubblica
Cisalpina ( 5 giugno 1800) e vinto gli austriaci a Marengo (14 giugno 1800), Napoleone ritornò a essere
l’arbitro dei destini della Confederazione. Pietro Rossi
fu allora accusato di favoreggiamento dei nemici austro-russi-inglesi e condannato dal tribunale di guerra
di Milano alla pena di morte, insieme al suo collega
titolare dell’ufficio postale svizzero di Bergamo, che
era un certo Majoli o Mojoli, discendente di una famiglia, che aveva dato altri agenti delle poste zurighesi
a Bergamo. A cadere sotto il piombo del plotone di
esecuzione, in una mattina d’estate del 1800, sugli
spalti del castello di Milano, fu tuttavia solo il Majoli.
«Ma nella stessa mattina — nota Francesco Bertoliatti
— si compieva la macabra commedia del pupazzo
che presentava in effigie Pietro Rossi, cadente lardellato di piombo per la gloria del vincitore di Marengo e
per l’avvenire del futuro landamano del Ticino» (BERTOLIATTI Francesco, Il privilegio di posta degli Svizzeri
in Lombardia e a Bergamo, in «Rivista delle poste», n.
4, Berna 1946, pp. 124-125). L’ultima allusione riguarda Giovanni Battista Quadri dei Vigotti di Magliaso
(1777-1839), il discusso esponente del partito cisalpino, che, insieme a Giacomo Barca di Bioggio, aveva denunciato il Rossi al generale Giuseppe Antonio
Mainoni (1754-1807), lo stesso che aveva soffocato
nel sangue la rivolta antifrancese di Stans. Successivamente, in data 4 dicembre 1800, Pietro Rossi fu
assolto dal tribunale di Lugano dalle accuse mossegli,
per «non probata reità».
Un regime odioso
Il 29 febbraio del 1804, un anno dopo che il Ticino
era diventato libero e svizzero anche per merito suo,
Pietro Rossi ricevette le credenziali delle Poste di Zurigo per andare a trattare con la Cisalpina la stipulazione di una nuova convenzione e ottenere la proroga del privilegio. Al suo arrivo al Dipartimento delle
Poste di Milano, il 10 giugno 1804, fu sollecitato a lasciar subito la città: la sua condanna a morte non era
ancora caduta in prescrizione e l’ordine di catturarlo
vivo o morto era ancora in vigore. Finiva così il privilegio di posta degli svizzeri in Lombardia. Pietro Rossi,
tornato in patria, sarà, poi, il primo direttore delle poste del Ticino. Morto 1’11 dicembre 1838 fu sepolto
a Calprino (Pambio) sua patria di origine (Ibidem).
Dell’importanza generale del servizio postale svizzero nelle relazioni italo-svizzere ce ne occuperemo in
un prossimo capitolo. L’abolizione degli oneri feudali
di natura personale e la soppressione del prelevamento delle decime, del tributo e di altri oneri reali
aveva fatto aumentare, intanto, il prezzo dei terreni
in tutta l’Elvetica, arricchendo da una parte i vecchi
proprietari e, allontanando dall’altra, la possibilità per
i contadini di poter acquisire degli appezzamenti per
le necessità delle loro famiglie. Quei provvedimen-
ti, che dovevano costituire la grande conquista della Rivoluzione, ebbero, invece, come nota il Martin,
«un quadruplice effetto negativo: mandò in rovina lo
Stato, disorganizzò l’assistenza pubblica e il bilancio
dei Comuni, scontentò i beneficiari, che la trovavano
insufficiente, irritò i proprietari spodestati, sia nobili
feudatari sia capitalisti cittadini e infine sollevò contro il governo tanto i contadini dei Cantoni montani
quanto gli agricoltori dell’altipiano». Per la Repubblica Elvetica, quella legge, che, nelle intenzioni doveva
essere generosa, ebbe, invece, il merito di scontentare proprio tutti, «fu un disastro che decise il suo
destino» (MARTIN William, op. cit., p. 165). Perché,
ben presto, come fa notare anche il Gilliard, il nuovo
regime che «rompeva brutalmente con il passato e
non si riallacciava a nessuna tradizione del paese...
era diventato odioso a tutta la popolazione» (GILLIARD Charles, op. cit., p. 62). Il governo dell’Elvetica
era, dunque, fallito sulla riforma più qualificante di
tutta la Rivoluzione. Nonostante gli eccessi e gli insuccessi, la Rivoluzione non era stata tuttavia inutile,
anzi alcuni provvedimenti presi dal Parlamento della
Repubblica Elvetica segnano i primi importanti e decisivi passi per la creazione di uno Stato moderno e
democratico. Gli Svizzeri, come fu sancito dal Contratto di alleanza del 1798, appartenenti delle tante,
troppe, realtà politiche della vecchia Confederazione,
erano finalmente cittadini della stessa Nazione, senza distinzione di lingua, di fede, di condizione sociale,
tutti con gli stessi diritti e con gli stessi doveri. Tanti
germi caduti improvvisamente dall’alto non potevano, tuttavia, trovare un terreno fertile su cui sbocciare,
fiorire e dare frutti rigogliosi. Gli abitanti della vecchia
Confederazione non potevano essere trasformati, nel
breve tempo di qualche anno, da conservatori estremi a rivoluzionari. Loro non avevano chiesto l’unité,
la fraternité e la liberté, perché come dice Emilio R.
Papa, concordando con William Martin, «il discorso
è molto semplice: quanto all’unità non la volevano
affatto; quanto alla fraternità, da popolo pratico, non
ci credevano; quanto alla libertà, già ce l’avevano o
credevano di averla» (PAPA Emilio Raffaele, op. cit. ,
p. 133). L’introduzione di tante novità e l’abolizione
di tanti privilegi e imposizioni non si potevano realizzare «senza esperienza, senza apparato amministrativo, senza personale, senza denaro per reclutarne e,
fatto ancor più notevole, senza spargimento di sangue» (MARTIN, p. 163). La Rivoluzione, frutto di una
tremenda e sanguinosa guerra civile, nata in Francia,
dove esisteva già un vero e proprio apparato statale centralizzato, non poteva essere, sic et simpliciter,
importata in Svizzera e imposta ai suoi abitanti tanto
diversi per lingua, religione, usi e costumi.
gennaio 2017 La Rivista - 47
Sensazionale la squadra svizzera
vince il titolo europeo!
Alla quinta edizione delle EuroSkills
Göteborg 2016, i campionati europei
delle professioni, la squadra svizzera
ha fornito prestazioni eccezionali. Le
due donne e i sette uomini della squadra delle SwissSkills con una media di
529 punti hanno ottenuto la sensazionale prima posizione nella classifica
delle nazionali, aggiundicandosi il titolo europeo!
Due ori, due argenti, due bronzi e tre
diplomi: questo il bilancio straordinario.
Con un inizio imponente per la cerimonia di chiusura delle EuroSkills nella
Scandivian Arena è cresciuta la curiosità nello Swiss Team per conoscere i risultati dei nove concorrenti. Non meno
di sei componenti del team sono stati
chiamati poi sul palco per ricevere una
medaglia. Con due campioni europei,
due vice campioni europei, due terzi
posti e tre Medaillons of Excellence
alla fine il team svizzero è riuscito ad
imporsi come campione europeo nella
classifica delle nazioni. «Sono molto
soddisfatto. La classifica delle nazioni
(1° Svizzera; 2° Austria; 3° Germania,
red.) dimostra che i paesi con un sistema di formazione professionale duale
sono assolutamente al top», ha affermato Rico Cioccarelli, Delegato tecnico
di SwissSkills, subito dopo la cerimonia
di chiusura. Anche la Delegata ufficiale di SwissSkills, Christine Davatz, era
assolutamente entusiasta. «Sono terribilmente fiera, ancora una volta ce
l’abbiamo fatta. La vittoria si deve assaporare: siamo i migliori in Europa, nove
concorrenti e tutti portano a casa qualcosa. È semplicemente grandioso.»
Elevate aspettative e tutte soddisfatte
Gli stessi vincitori delle medaglie non
potevano crederci. L’installatore elettricista Yvan Fässler inizialmente con
molta modestia aveva detto di essere
contento della sua prestazione. Ora
può affermarlo con piena convinzione
poiché il ventiduenne di Zurigo non
solo è il nuovo campione europeo ma
con i suoi eccezionali 562 punti anche
il «Best of Nation», ed è riuscito così a
48 - La Rivista gennaio 2017
conquistare una seconda medaglia. Quasi non ci poteva credere, quando è stato
chiamato, e ha sottolineato: «Sono state fantastiche le emozioni provate in questi
momenti. Per una simile esperienza, vale la pena ogni secondo investito.» Anche
per il muratore ventiduenne vallese Bruno Pravato prima della gara c’era un’unica
aspettativa, la medaglia d’oro. Alla cerimonia finale per l’eccitazione ha sprofondato il viso in una bandiera svizzera e vallese, prima di precipitarsi urlando sul palco
per ritirare la sua meritata medaglia d’oro. «È incredibile che io sia diventato campione europeo», anche dopo la premiazione non è riuscito a dire altro. Per di più
ha ricevuto un abbraccio dal suo esperto René Engetschwiler. «Sono felicissimo,
soprattutto per Bruno. È stato semplicemente grandioso quello che ha fatto.»
Dare tutto e ottenere qualcosa
Ma tutti nel team hanno dato veramente tutto, ha affermato il lattoniere Reto Reifler:
«Abbiamo lavorato a pieno ritmo e questo è il risultato, sono molto soddisfatto.» Per
la pittrice decoratrice Charlotte Martin le EuroSkills sono state un’«esperienza indescrivibile». Appenderà la sua medaglia nella sua stanza, «affinché possa vederla
sempre». Il posatore di parquet Fabian Streule non riusciva nemmeno a descrivere
il momento, quando è stato chiamato sul palco per ricevere la medaglia di bronzo.
«È stato il meglio che mi sia potuto succedere», ha affermato entusiasta: «Un’esperienza grandiosa, che tutti dovrebbero fare, se ne avessero l’opportunità.» Lukas
Berger, vincitore della medaglia di bronzo per la categoria Gessatura e Costruzioni
a secco, si è espresso chiaramente dietro al palco: «Forte, semplicemente forte. Ce
l’abbiamo fatta, abbiamo dato tutto e abbiamo ottenuto qualcosa.»
Nessuna delusione, ma gioia per il team
Tre membri dello Swiss Team hanno mancato il podio per poco. Ciononostante
l’estetista Carla Calderari non è per nulla delusa: «Al contrario, sono super felice
del mio quarto posto. È stata una grande esperienza e sono contentissima per tutta
la squadra.» Il meccanico di macchine agricole Maurice Häner si è accorto già
durante la gara di aver perso dei punti: «Nel mio profondo sapevo
che non sarebbero stati sufficienti. Ma sono molto contento che gli altri membri
della squadra abbiano vinto tante medaglie, questo mi ha molto toccato.» Anche
il piastrellista ticinese Davide Donati ha mancato di poco un posto sul podio. Porta
tuttavia con sé a casa un Medaillon of Excellence per le sue buone prestazioni.
Paolo
Gallo
Pietrangelo
Buttafuoco
Francesco
Sabatini
(Rizzoli Etas - pp. 271, € 20)
(Gesta erotiche di Agostino Tassi, pittore
Skira - pp. 112, € 13,00)
(Mondadori - pp. 224; € 18,50)
La bussola del successo
Il titolo del libro può far pensare che si tratti di un
manuale denso di yuppismo del genere “Come
diventare Donald Trump in sette passi”. Non
è nulla di tutto ciò. E’ un libro tra l’altro scritto
sorprendentemente bene da un manager che
non è uno scrittore professionista. Poi è un libro
profondamente sensibile. Paolo Gallo, capo del
personale del World Economic Forum di Ginevra,
condivide con il lettore degli aneddoti delicati di
vita lavorativa e privata, le difficoltà affrontate e
come ne è venuto a capo. Allora non si tratta di
un manuale di risposte ma, come tutti i coach
seri, Paolo Gallo aiuta a porsi le giuste domande.
Alla fine che piaccia o meno le aziende o le
organizzazioni in genere sono realtà umane
complesse e difficili. Imparare a “lavorare insieme”, a collaborare è un percorso arduo. Ci
troviamo tutti i giorni gomito a gomito con
persone, con colleghi, con superiori o collaboratori o con clienti che hanno un’educazione
diversa dalla nostra, personalità diverse, culture diverse, formazioni diverse. Questo libro
dà degli spunti utili su come far bene stando
nel bene, cioè su come avanzare e lavorare
bene senza essere sopraffatti dalla prepotenza e dalla scorrettezza altrui e senza cadere
nella frustrazione. Senza essere ricattabili. C’è
un capitolo intitolato “Come fare carriera restando persone perbene”. Il massimo sarebbe
far carriera da persone perbene e trasformare
chi ci incontra.
La notte tu mi fai impazzire
“È un cinghiale, Agostino. La lussuria lo rende
sfrontato. Non è proprio roseo per essere un maiale ed è, infatti, scuro, barbuto, vigoroso. Non è
bello, ma accende le femmine. Ha dita di farfalla
nella sua meticolosità pittorica. E così nelle manovre sui capezzoli delle tante donne a lui prone.
Nelle manovre di carne è altrettanto puntiglioso
come sulla tela con i colori. E le strapazza tutte,
le femmine: maneggiandole, impastandole, mescolandone gli umori nella tavolozza dell’osceno
più che compiuto”. Pittore già affermato, nel
1611 Agostino Tassi inizia con l’amico Orazio
Gentileschi a decorare il Casino delle Muse a
Roma. Un anno dopo Orazio gli intenta un processo per avere abusato di sua figlia Artemisia,
anch’essa pittrice di talento. Il processo si trasforma in uno dei più clamorosi eventi dell’epoca,
suscitando innumerevoli dicerie che diffamano di
volta in volta Artemisia, Agostino e lo stesso Orazio. Ma chi era davvero Agostino Tassi, il celebre
“stupratore” di Artemisia Gentileschi? Con il suo
stile lirico e appassionato, Pietrangelo Buttafuoco
ci accompagna nei vicoli fetidi e violenti di Tassi,
“nel cui sguardo vive il ricordo di galere e di fughe dalla Toscana, attraverso la Roma degli assassini, dei ladri e degli impostori… Non ha ancora
sulla coscienza un morto ma di ogni nefandezza,
come tradire la fiducia dell’amico forzandone la
figlia, ne fa blasone… I piedi sporchi dei santi ritratti dai suoi coevi in lui si trasfigurano in rughe
inquietanti scavate sul respiro della notte”.
Lezioni di italiano
«Leggere e interpretare testi di vario tipo; capire
che cos’è, precisamente, una “frase” e cioè incontrare faccia a faccia la grammatica; regolarsi
nella varietà di “stili” dell’italiano; fronteggiare
l’azione dei media, che in vari modi spesso ci
alienano dalla nostra lingua; liberarsi da alcune
preoccupazioni eccessive nell’uso normalmente
comunicativo di essa; distinguere tra errore e divergenza stilistica.» Tutti usiamo la lingua, ma pochi lo fanno con consapevolezza. Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della
Crusca, ci insegna a farlo in questa appassionante e innovativa Lezione di italiano. Svolta in dieci
Dialoghi e dieci Inviti rivolti al lettore, condotti
coniugando precisione e leggerezza, scientificità
e praticità di tipo didattico. Il nocciolo della seconda parte dell’opera affronta i due temi cardine:
l’indispensabile conoscenza riflessa del meccanismo della lingua, il trattamento che di questo
meccanismo si fa producendo i testi, da quelli
giuridici a quelli scientifici, saggistici, giornalistici,
narrativi e poetici. E ancora: i temi della “prolissità
italica”, dell’eccessiva cedevolezza all’anglolatinismo banale, dell’inefficace studio tradizionale del
latino, del rispetto, ma non riproponibilità funzionale, dei dialetti, dell’ipersensibilità nei confronti
di una lingua più comunicativa (le dispute sul
congiuntivo!). Il tutto sullo sfondo della vita del
nostro Paese, colta in un’efficace raffigurazione
socioculturale finale, dove ciascuno può ritrovarsi,
collocarsi e guardarsi allo specchio, “tirando fuori” la sua lingua.
gennaio 2017 La Rivista - 49
La donna
del secolo
di Giuseppe
Muscardini
A duecento anni dalla
morte di Madame de Staël
Sull’onda del Gran Tour, che tra Sette e Ottocento formò il gusto estetico di molti giovani, Madame de Staël percorse tra il
1804 e il 1805 le strade d’Italia con occhio vigile,ricavandone
gli spunti per Corinne ou l’Italie.A seguito della pubblicazione
di un articolo intitolato Sulla maniera e la utilità delle Traduzioni, uscito nel gennaio 1816 sul periodico letterario milanese
«Biblioteca italiana», Madame de Staël è considerata come
l’iniziatrice del movimento romantico in Italia.
L’Italia di Corinna
Era figlia del ginevrino Jacques Necker, uomo politico ed economista che fu ministro delle Finanze per ben tre volte alla Corte
di Luigi XVI a partire dal 1776.La madre era la vodese Suzanne
Curchod, appassionata di letteratura, nel cui salotto approdarono Buffon, Diderot e d’Alembert. Avrebbe potuto Anne-Louise
Germaine Necker, baronessa di Staël-Holstein, non ereditare
dai genitori le forti passioni che guidarono la sua esistenza?
E avrebbe potuto non scontrarsi più tardi con Napoleone Bonaparte, che le impose l’obbligo di tenersi distante almeno
quaranta leghe da Parigi per aver lodato la letteratura tedesca
dalle pagine di De l’Allemagne, dove aveva coraggiosamente
riconosciuto alla Germania il primato spirituale dell’innovazione letteraria che all’epoca era in atto in Europa?
Trasferitasi nel Castello di Coppet, sontuosa residenza di famiglia a venti chilometri da Ginevra, la nuova condizione di esiliata non le impedì tuttavia di viaggiare e di riunire nel proprio
salotto sul Lemano, al pari della madre, intellettuali ed artisti. Un
viaggio in Italia intrapreso tra il 1804 e il 1805, le permise di
concepire il romanzo dal taglio autobiografico intitolato Corinne
50 - La Rivista gennaio 2017
ou l’Italie, conferendo alle sue pagine peculiarità che ne fecero
un’opera apprezzata da quanti sostenevano la necessità di un
accorpamento politico degli Stati europei, ideale abbozzo di
un’aspirazione attuata solo in tempi più vicini a noi.Visitando il
bel Paese in compagnia dell’economista ginevrino Jean-Charles-Léonard Sismonde de Sismondi, Madame de Staël indugiò
su bellezze storiche e artistiche,su struggenti paesaggi e luoghi
incantevoli, su ombre lanciate dalla fievole luce delle lanterne,
come accadde nella Gipsoteca di Antonio Canova a Possagno.
Ma nel contempo si soffermò sulle contraddizioni di un Paese dove agli inizi dell’Ottocento le nostalgie per il passato e le
malversazioni depauperavano le risorse intellettuali, e dove la
mancanza di un’intellighenzia capace di avvicinare gli italiani
alla compagine europea era drammaticamente sentita da chi
proveniva da fuori.
Dietro la finalità letteraria, il valore morale dell’opera
La protagonista è una giovane artista animata dal desiderio
di viaggiare e di conoscere, nella quale si ipotizza la personificazione della pittrice grigionese Angelica Kauffmann. Ma va
anche detto che nella finzione letteraria il personaggio di Corinna Edgermont, nata da padre inglese e da madre italiana, trae
ispirazione dall’esistenza di Maria Maddalena Morelli, scrittrice
di Pistoia conosciuta in Arcadia con lo pseudonimo di Corilla
Olimpica. L’ammirazione che gli uomini di cultura italiani e
stranieri manifestarono per la Morelli, attratti dal suo talento di
verseggiatrice capace di improvvisare rime con grande facilità,
fecero di lei una donna celebre, tanto che l’imperatore Francesco I ne richiese la presenza presso la Corte di Vienna nel 1765
per conferirle l’incarico di poetessa laureata.Vi rimase sei anni,
trasferendosi poi a Roma dove artisti di fama come Christopher
Hewetson e Pietro Labruzzi, facevano a gara per poterla ritrarre,
nel tentativo di immortalare le sembianze di una donna dotata
di straordinarie capacità. Comprensibile dunque, anche per le
affinità biografiche con Madame de Staël, che Maria Maddalena Morelli fosse presa a modello per incarnare Corinna.
L’Italia di Madame de Staël: un paese solare dal passato illustre
La traduzione in lingua italiana di Corinne ou l’Italie uscì nel
1808 dai torchi tipografici di Guglielmo Piatti di Firenze con il
titolo di La Corinna ossia l’Italia della Signora Staël-Holstein, a
tutt’oggi considerata l’opera più celebre della scrittrice. Dello
stesso anno è la traduzione in lingua inglese, pubblicata in
due volumi a Philadelphia da Hopkins & Earle con il titolo di
Corinne, or Italy, che reca nel frontespizio i versi petrarcheschi
Udrallo il bel paese, ch’Appennin parte, o ‘l mar circonda, e
l’Alpe, tratti dal Canzoniere e contenuti nel sonetto O d’ardente vertute ornata et calda.
Vorremmo non farlo, ma l’associazione di idee è talmente
istintiva che non possiamo prescindere da una riflessione storico-letteraria scaturita dalla rilettura di Corinna a distanza di
duecento anni dalla scomparsa della sua celebre autrice. Ci
rifaremo qui alle riflessioni tutt’altro che politiche, rese in anni
“non sospetti” da Giulio Ferroni nella sua encomiabile Storia
della letteratura italiana: l’Italia visitata da Madame de Sael e
descritta nel romanzo è un’Italia “solare” che al tempo stesso
ha qualcosa di malinconico e mortale, quasi schiacciata dal
peso del suo illustre passato e abbandonata ai margini dello
sviluppo europeo: un’Italia in cui si sente soprattutto la mancanza di gruppi intellettuali capaci di attirare abitudini sociali
positive, valori civili, un’opinione pubblica efficace e produttiva. La comparazione è spontanea e l’attualità emerge decisa.
Lo spunto ideologico sviluppato in Corinna seppe dilatarsi
quando la stessa Madame de Staël pubblicò nel gennaio
1816 sul primo numero del periodico milanese «Biblioteca
François Pascal Simon Gérard, Ritratto di Madame de Staël olio su tela,
1810 circa, Castello di Coppet, Salone dei ritratti
italiana» un articolo dal titolo Sulla maniera e l’utilità delle
traduzioni, indirizzato agli intellettuali italiani che venivano
accusati di essere troppo legati al passato, senza per questo avvedersi dei balzi in avanti compiuti dalla letteratura
europea. Un intento polemico caratterizzava quell’articolo,
segnatamente nella parte in cui l’autrice asseriva che gli
italiani da secoli continuavano a rimestare nella cenere
gioielli ormai trovati, riferendosi alle nostre più accreditate
glorie letterarie, Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso. Occorreva
a suo dire saper intravvedere orizzonti diversi, allargare gli
ambiti, se si voleva competere con l’affermarsi delle culture
d’oltralpe. Da qui si aprì il dibattito serrato fra classicisti e
romantici, iniziato con Pietro Giordani che di lì a poco, in
risposta all’articolo della De Staël, sostenne la sua posizione dalle stesse colonne della «Biblioteca italiana». Giordani
mediò: se da una parte riconosceva che la cultura italiana
ristagnava nel passato privilegiando un sentire classico,
dall’altro difendeva ciò che era nostro, orientato da secoli verso un’idea estetica della letteratura, aliena al nuovo
perché il bello era una categoria dello spirito a cui proprio
gli antichi, latini e greci per intenderci, erano già approdati.
Il movimento romantico tuttavia sgomitava, accogliendo
per buone le idee della De Staël e convincendo della loro
validità la nutrita schiera di letterati e poeti italiani che si
dibattevano fra vecchio e nuovo.Tra questi Vincenzo Monti,
che le attribuì il nome di donna del secolo, in ragione della
sua comprovata perseveranza e onestà intellettuale.
gennaio 2017 La Rivista - 51
Al Museo
nazionale di
Zurigo fino al
17 marzo 2017
La mostra allestita al Museo nazionale presenta quattro scritti di autori che con le loro idee
contribuirono a plasmare l’identità dell’odierna Svizzera: Henri Dunant, Jean-Jacques
Rousseau, Giovanni Calvino e Petermann Etterlin. © Museo nazionale svizzero
«Idee della Svizzera» e «du – dal 1941»
Idee che incarnano l’identità della Svizzera
Cosa rende la Svizzera ciò che è o che appare oggi? L’instalginale di Rousseau accanto a documenti autografi di Calvino
lazione «Idee della Svizzera», collocata nella zona all’ingrese Dunant. A raccogliere il testimone di questa eredità ideale,
so del nuovo Museo nazionale, cerca di rispondere a questa
sviscerandone le tante possibili implicazioni, interviene, di voldomanda. Attraverso gli scritti di Etterlin, Calvino, Rousseau e
ta in volta, una mostra temporanea. Inaugura il ciclo un’icona
Dunant, affiancati dalla Carta Dufour e dal plastico del Gottartra le pubblicazioni del XX secolo: la rivista «du».
do, invita a scoprire e decifrare le idee che «fanno» la Svizzera.
Di volta in volta, il tema cardine dell’installazione sarà svolto
«du», monumento del giornalismo culturale
e approfondito da una mostra temporanea. Ad aprire il ciclo
«du» è una delle poche riviste che il tempo non trasforma in
è una vera e propria icona pubblicistica del nostro passato
carta straccia, ma a cui anzi conferisce un valore collezionirecente: la rivista «du», con i suoi 75 anni di storia. Con la mostico. Lanciata nel 1941 da Arnold Kübler, la pubblicazione
stra «du – dal 1941» il Museo nazionale propone per la prima
ha avuto una storia movimentata. Con i suoi importanti artivolta una panoramica delle annate
coli di taglio socio-politico e le immagini
della rivista nel corso del XX secolo.
dall’intensa carica emotiva, ha saputo
La zona all’ingresso del nuovo edificonquistare un pubblico di lettori che va
cio del Museo nazionale funge idealben oltre la ribalta elvetica. A metà degli
mente da «ouverture» che introduce
anni Cinquanta la sua tiratura era già sue accompagna il visitatore alla sucperiore ai 30 000 esemplari. Quando, nel
cessiva mostra: la nuova installazio1958, Manuel Gasser subentrò ad Arnold
ne «Idee della Svizzera» presenta le
Kübler quale caporedattore, l’attenzione
storie che raccontiamo e quelle che
si concentrò in modo ancor più spiccato
narrano di noi, storie che contribuisulle tematiche artistiche. Ogni cambio
scono a plasmare la nostra identità
della guardia alla testa della redazione
collettiva. In quest’ottica, quattro
ha significato, con poche eccezioni, una
scritti rivestono una particolare vabrusca virata nell’organizzazione e nella
lenza rappresentativa: la «Kronica» di
concezione della rivista.
Petermann Etterlin, l’«Institutio ChriDal 1941 sono stati dati alle stampe
stianae Religionis» di Calvino, il trattacentinaia di numeri di «du». Per la prima
to di Jean-Jacques Rousseau sull’evolta, il Museo nazionale Zurigo propoducazione naturale e «Un Souvenir
ne una panoramica della pubblicazione
de Solférino» di Jean-Henri Dunant.
dagli esordi nel 1941 fino alla sua cesSfogliando queste opere in modalità
sione da parte dell’allora proprietaria, la
interattiva, i visitatori colgono quanto
Tamedia SA, all’inizio del XXI secolo. AtFrontespizio del primo numero di
questi testi influenzino ancora oggi
traverso un’accurata selezione di uscite
«du», marzo 1941.
l’idea che si ha della Svizzera. Il plae documenti quasi del tutto sconosciuti
© Du Kulturmedien AG
stico del Gottardo, realizzato per Expo
al grande pubblico, la mostra racconta il
2015, e la Carta Dufour, capolavoro
lavoro compiuto dai vari caporedattori e dai loro fotografi per
della cartografia, invitano, attraverso un ricco corredo di conpubblicare una rivista intrisa dello spirito dell’epoca. I visitatori
tenuti virtuali, ad esplorare la Confederazione da un punto di
hanno modo di sfogliare esemplari di «du» risalenti a diversi
vista geografico, demografico e socio-economico. Ma l’instaldecenni. L’esposizione non è solo un omaggio a un grande
lazione non si limita alla sfera multimediale: grazie alla Biprodotto della stampa, bensì anche una testimonianza del
bliothèque de Genève è possibile ammirare il manoscritto origiornalismo culturale.
52 - La Rivista gennaio 2017
Al Museo fotografico
Winterthur dal 11 febbraio al
7 maggio 2017
What We Want, Hong Kong, T46, 2006
Francesco Jodice - Panorama
Panorama è la prima retrospettiva internazionale del fotografo e film-maker
italiano Francesco Jodice (1967), che
racconta il suo percorso artistico degli
ultimi vent’anni. In Panorama storie,
luoghi e epoche storiche si intersecano, sottoponendo interrogativi di natura
sociologica al mondo urbanizzato. Ma
non solo. L’esposizione, oltre a mettere
in mostra libri, interviste, ritagli di articoli
di giornale e carte geografiche, illustra
come l’autore, nella realizzazione delle
sue opere, traduca in pratica la riflessione teorica. Panorama è un mosaico
eclettico che descrive un presente in
divenire e offre un’analisi geopolitica
della realtà.
Nell’universo di Jodice, la fase di ideazione e di creazione dell’opera è importante tanto quanto la forma finale
dell’opera stessa. Panorama mostra
dunque le componenti nascoste, spirituali, che influenzano la metodica e la
ricerca stessa dell’autore. L’esposizione
invita a seguire le tracce artistiche di Jodice e la loro relazione con le tendenze sociologiche e filosofiche dei nostri
giorni.
Ciò riguarda sia il suo approccio artistico interdisciplinare, le tecniche adottate
e il sistema in cui opera, sia i diversi
gruppi di pubblico ai quali si indirizza.
Di tutto l’insieme delle opere di Jodice
vengono presentati 6 progetti. Questi
rendono intellegibile un mondo lontano
e vicino allo stesso tempo, decostruendolo in concetti quali “partecipazione”,
“ricerca” e “racconto artistico”. Questi
concetti si rivolgono direttamente all’essere umano. Nell’atlante fotografico
iniziato da Jodice nel 1996, “What we
want”, viene rappresentata l’evoluzione
territoriale di 150 metropoli e luoghi pe-
riferici. Qui è interessante notare come le loro affinità siano più numerose rispetto
alle differenze. Lo stesso avviene per “The secret traces” (1996-2007) o “Citytellers”
Un’immagine da Dubai Citytellers, Film Still, HD Film, 57 Min., 2010
(200-2010) – a Dubai, San Paolo e al Lago d’Aral - in cui l’autore segue, come un
detective privato, i suoi soggetti per ricerche in campo cinematografico e artistico.
Per la prima volta, invece, al centro dell’opera “The Room” (2009-) non stanno più le
fotografie, bensì frammenti di giornale, che Jodice ricopre quasi completamente di
colore nero. “Solid Sea” viene realizzato grazie ad una fruttuosa cooperazione con
il Collettivo Multiplicity. Mostrato per la prima volta all’esposizione documenta11, in
questa installazione il Mar Mediterraneo assume una forma solida e minacciosa:
alla stregua di un ipotetico aggregato, sottolinea un elemento di costanza in tempi in
cui le società e gli stati nazionali tendono, invece, alla rapida disintegrazione
Francesco Jodice vive a Milano, dove lavora come professore di Antropologia Urbana
Visiva all’Accademia Artistica NABA e come docente presso la Fondazione Forma
per la Fotografia. Le sue opere sono state esposte a documenta 11, alla Biennale di
Venezia e San Paolo, alla Tate Modern, al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía
e al Castello di Rivoli.
Panorama è organizzata in collaborazione con CAMERA-Centro italiano per la Fotografia (Torino) a cura di Francesco Zanot e Thomas Seelig. L’esposizione si avvale del
sostegno di Monterosa Group e dalla Fondazione Walter Haefner.
Il catalogo che accompagna la mostra, pubblicato dalla casa editrice Spector, propone una visione d’insieme dell’universo di Francesco Jodice. Concepito come
antologia decostruttiva, arte, politica, filosofia, antropologia, pianificazione urbana e
geografia sono ambiti affrontati in stretta interrelazione.
Parallelamente a questa esposizione, il Cinema Cameo di Winterthur ha in programma per febbraio/marzo 2017 una rassegna di film su Francesco Jodice.
gennaio 2017 La Rivista - 53
A Napoli, al
Pan di via dei
Mille, fino al 12
febbraio 2017
di Augusto Orsi
Lo sguardo Senza Confini
di Steve McCurry
Senza confini è il titolo della stupenda ed avvincente esposizione di Steve McCurry, foto reporter
statunitense che dal 1979 ad oggi è stato presente
sui campi di battaglia di tutto il mondo a testimoniare, con i suoi scatti diretti ed essenziali, le atrocità dei conflitti bellici, ma soprattutto per ritrarre
con grande partecipazione umana i volti delle vittime e gli aspetti della vita quotidiana di chi soffre.
Steve McCurry con la sua
celebre foto della ragazza
afgana Sharbat Gula
Sono foto capaci di restituire gli stati d’animo delle persone in particolare attraverso gli sguardi. Paradossalmente, sarebbe bastata la foto che il fotoreporter di Filadelfia aveva scattato a Sharbat Kuba, la ragazza afgana
nel campo profughi pakistano Peshawar nel 1979, per
dirci la sua grandezza di ritrattista e la sua capacità di
immortalare personaggi che parlano la lingua universale dei sentimenti e delle emozioni.
L’immagine era diventata un’icona universale di desiderio di pace e di speranza per un mondo migliore.
Con tenacia e determinazione professionale McCurry
aveva ricercato per 17 anni l’enigmatica ragazza. Ritrovatala ne aveva realizzato due ritratti, in mostra, che
dicono la trasformazione del personaggio e narrano la
fine di un sogno che nella prima foto abitava nei suoi
grandi occhi espressivi. In lei la speranza sembra essersi spenta, ma la si ritrova in altri personaggi della
pregnante ed emozionante rassegna del Pan di Napoli.
54 - La Rivista gennaio 2017
Qua, la fotografia, fattasi arte della narrazione, ha come
fil rouge il tema della partecipazione, senza confini,
alla condizione umana, presente anche in immagini
di vita che McCurry ha scattato in luoghi che non sono
di guerra. Il grande fotoreporter piazza sovente con
grande maestria il suo obiettivo non direttamente sulla
guerra ma sugli effetti nefasti che questa produce sugli
uomini, gli animali e le cose.
Nei luoghi del mondo dove spesso la vita è più difficile,
Steve McCurry ha saputo cogliere immagini di grande
poesia, ma anche documentare le atrocità, di cui purtroppo l’umanità si è resa protagonista, dalle Torri gemelle alla guerra del Golfo, dal conflitto in Afghanistan
al Giappone dopo lo tsunami, dai bambini soldato al
dolore degli ospedali, immagini dure che ci mostrano
un McCurry attento e partecipe osservatore di realtà
dolorose.
Il progetto espositivo realizzato magistralmente da Bibi
Giacchetti è un viaggio nel mondo di McCurry, dall’ Afghanistan all’India, dal Medio Oriente al Sudest asiatico,
dall’Africa a Cuba, dagli Stati Uniti all’Italia, attraverso il
suo vasto e affascinante repertorio di immagini, in cui
la presenza umana è sempre protagonista, anche se
sola evocata. Nel suggestivo e indovinato allestimento
di Peter Bottazzi, questa umanità ci viene incontro con
i suoi sguardi in una sorte di caleidoscopio dove si mescolano paesi, volti, culture ed etnie colti da McCurry
con straordinaria intensità. Molto valida l’audioguida
proposta ai visitatori in cui McCurry racconta in prima
persona, in modo sintetico ed efficace, i suoi scatti, aiutandoci a capire meglio il suo modo di fotografare, ma
soprattutto la sua voglia di prossimità con la sofferenza
e la speranza.
Promossa dal Comune di Napoli, assessorato alla Cultura e al Turismo e dal Pan-Palazzo Arti Napoli, allestita
al Pan di via dei Mille, la mostra, organizzata da Civita
Mostre in collaborazione con SudEst57, si conclude il
12 febbraio 2017.
Steve McCurry
Da circa 30 anni, Steve McCurry è considerato una delle voci più autorevoli della fotografia contemporanea.
La sua maestria nell’uso del colore, l’empatia e l’umanità delle sue foto fanno sì che le sue immagini siano
indimenticabili. Ha ottenuto copertine di libri e di riviste,
ha pubblicato svariati libri e moltissime sono le sue mostre aperte in tutto il mondo.
Nato nei sobborghi di Philadelphia, McCurry studia cinema e storia alla Pennsylvania State University prima di
andare a lavorare in un giornale locale. Dopo molti anni
come freelance, compie un viaggio in India, il primo di
una lunga serie. Con poco più di uno zaino per i vestiti
e un altro per i rullini, si apre la strada nel subcontinente, esplorando il paese con la sua macchina fotografica.
Dopo molti mesi di viaggio, si ritrova a passare il confine con il Pakistan. Là, incontra un gruppo di rifugiati
dell’Afghanistan, che gli permettono di entrare clandestinamente nel loro paese, proprio quando l’invasione
russa chiudeva i confini a tutti i giornalisti occidentali.
Riemergendo con i vestiti tradizionali e una folta barba, McCurry trascorre settimane tra i Mujahidin, così
da mostrare al mondo le prime immagini del conflitto
in Afghanistan, dando finalmente un volto umano ad
ogni titolo di giornale.
Da allora, McCurry ha continuato a scattare fotografie
mozzafiato in tutti i sei continenti. I suoi lavori raccontano di conflitti, di culture che stanno scomparendo,
di tradizioni antiche e di culture contemporanee, ma
sempre mantenendo al centro l’elemento umano che
ha fatto sì che la sua immagine più famosa, la ragazza
afgana, fosse una foto così potente.
McCurry ha pubblicato molti libri, tra cui The Imperial
Way (1985), Monsoon (1988), Portraits (1999), A Journey Along the Coffee Trail (2015), and India (2015).
gennaio 2017 La Rivista - 55
A Zurigo la seconda edizione dello Human Rights Film Festival
Le donne protagoniste
di Giovanni Sorge
Parlare di diritti umani, oggi, fa riflettere su quanto spesso i principi la statuiti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 10 dicembre 1948 vengano calpestati in tanti, troppi
paesi. Costringe a misurarsi con gli aspetti più disumani della natura umana, ma permette
anche di conoscere la forza e l’abnegazione di uomini e donne che, nei fatti, perseguono
quanto afferma il Libro dei Mutamenti o I Ching:“il miglior modo di combattere il male è
proseguire risoluti nel bene“.
Sono state certamente le donne, le protagoniste del recente Human Rights Film Festival di
Zurigo (7-11 dicembre): un grande omaggio alla donna, al suo coraggio e alla capacità
di sognare. Non a caso il trailer ufficiale di questa seconda edizione zurighese del festival
era una scena di Divines, il primo, straordinario lungometraggio della franco-marocchina
Houda Benyamina, che racconta di due adolescenti – e straordinarie interpreti – alle prese
con la ricerca di un’identità nella pesante, violenta realtà di una banlieu parigina.
“Bisogna sognare, e sognare con forza, per mettere a fuoco, chiarire ciò che é evanescente
e modificare la percezione delle cose. Può sembrare naif pensare di cambiare il mondo
con film e dibattiti, essi tuttavia ci aiutano ad immergerci in altre realtà e acuiscono il nostro sguardo”. Ne é convinta Sasha Bleuler, direttrice del festival. Un festival che cerca,“per
quanto possibile, di contrastare le avversità e le bruttezze del mondo attraverso la forza del
cinema”. Circa 3000 spettatori hanno assistito alle venti proiezoni – tra fiction e documentari – provenienti dalla Siria a Israele, dall’Indoesia al Sudamerica, senza dimenticare Cina,
Corea del Nord, ma anche dall’Europa. Opere di denuncia, riflessione, sensibilizzazione,
56 - La Rivista gennaio 2017
spesso frutto di anni e anni di lavoro. E a
pressoché ogni pellicola sono seguite tavole rotonde e dibattiti con la partecipazione di esperti e operatori (da Human Rights
Watch a Medici Senza frontere e molti altri). Per ragioni di spazio mi limito a segnalare tre lavori estremamente significativi.
Jerusalem dell’israelo-statunitense Danae Elon é un documentario atipico. É
la sua storia, quella di una donna nata a
Gerusalemme e cresciuta a New York che
decide di tornare ‘alle origini’ con la famiglia, tre bambini e il marito. È alla ricerca
delle sue radici, vuole ritrovare un’identità,
forse anche riallacciarsi al padre, dopo la
sua scomparsa, lo scrittore Amos Elon. E
magari scavare nei di lui silenzi sull’occupazione israeliana dei territori palestinesi.
Eppure, creare una nuova vita in Israele
risulta tutt’altro che facile quando non si
voglia accettare una certa intransigenza politico-religiosa. Il film descrive questa fase di
trasformazione, in una sorta di joyciano flusso di coscienza, attraverso una telecamera che
sonda e scava nelle pieghe del quotidiano, facendosi strumento di investigazione e scavo
nei territori psichici, più che geografici, della propria famiglia. “Per me – ha dichiarato la
regista – questo non é un film politico, sono però convinta che la politica passi attraverso la
dimensione personale”. L’innocenza dei figli che crescono, avulsa dalle partigianerie della
vita adulta, li rende i veri protagonisti della storia. Perché forse proprio in loro Elon ha riposto
le speranze di arrivare a conciliarsi con la propria ricerca, di un’identità consapevole delle
proprie origini, ma altresì basata sul rispetto e la convivenza fra Arabi e Israliani. Una storia
delicate e forte, ma dal finale amaro.
Il documentario Jihad, a Story of the Others della norvegese Deeya Khan – visibile anche
su www.itv.com –scava nelle pieghe dell’altro par excellence che ormai domina l’immaginario collettivo: il “terrorista islamico”. E lo fa attraverso una sequela di interviste raccolte,
nel corso di due anni, soprattutto in Gran Bretagna, con fondamentalisti, ex terroristi, ma
anche madri e parenti delle vittime. L’idea di fondo è capire che cosa spinga giovani nati
e cresciuti in Europa ad abbracciare un’ideologia di morte. Ne deriva un quadro variegato
ed inquietante: c’è chi – uomini, ma anche donne – scappa da situazioni insostenibili o
prive di prospettiva, chi genuinamente crede a una sorta di utopia rigeneratrice o si lascia
sedurre da modelli di eroismo o scenari apocalittici; e chi, votatosi all’idea di combattere
per una giusta causa, finisce per cozzare con tutt’altra realtà e realizza, spesso ma non
sempre, che imbracciare l’odio con l’aiuto di Dio e del kalashinkov non basta a dare una
risposta al vuoto esistenziale. Emerge spesso una povertà emotiva e immaginativa agghiacciante (a conferma dell’attualità de La banalità del male della grande Hannah Arendt): d’altronde mica bisogna essere dei mostri, anche se poi, nei fatti, lo si diventa – né
bisogna esser cresciuti con le armi come compagni di gioco. Ed è sul bisogno di modelli,
di eroismo e, in ultima analisi, di senso che spesso, purtroppo, l’Isis fa presa, calamitando
molti di coloro che – a prescindere da età, sesso o etnia – non hanno avuto possibilità di
crearsi uno spazio, un progetto e sono bramosi di trovare qualcosa o qualcuno disposto
ad occuparsi incondizionatamente di loro, tutti insieme contro il nemico comune. Questo
documentario lo mostra molto bene, tuttavia mantenendo una sospensione del giudizio.
Kahn non lo ha concepito, dice, come un film sull’Islam, “ma sulla natura umana, per
capire che cosa porti a rendere accettabile ai giovani questo messaggio di violenza. E alla
fine ho capito che la motivazione non è diversa da quella che porta i giovani a diventare
skinheads, o membri di una gang”.
Va infine menzionato What tomorrow brings dell’americana Beth Murphy, uno dei film più
toccanti del festival. In Afganistan, ove l’istruzione è facoltativa e l’educazione femminile
largamente osteggata, esiste dal 2008 il Zabuli Education Center, una scuola privata fem-
minile a 30 miglia da Kabul finanziata da
donatori statunitensi, ove studiano 550
studentesse tra i 4 e i 22 anni. Murphy
per anni ha raccolto storie, seguito diversi
momenti, è andata a trovare insegnanti ed
alunne, descrivendo un’istituzione che é
modello di civiltà ee, al contempo, di coraggio: perché gestire una scuola femminile
significa fronteggiare la continua l’ostilità
di larga parte della popolazione, conquistare il rispetto la fiducia in un mondo in
cui il solo fatto di insegnare è un atto rivoluzionario. In una scena, semplice quanto
agghiacciante, vediamo Razia Jan, la direttrice e fondatrice dell’istituto, compiere
un atto quotidiano. Quale? Testare l’acqua
prima dell’arrivo delle studentesse:“perché
se è stata avvelenata, io sono una sola persona. Ma se si tratta di 400 bambine we
have a problem”. Razia Jan ricorda come
prima della salita al potere dei talebani
in Afganistan, nessuno parlava di burka e
altre simili ingerenze radicaliste nella vita
civile. Purtroppo, lascia capire, la situazione
sta peggiorando: l’ostilità di certe comunità
locali, gli episodi di intolleranza, addirittura
gli sfregi con l’acido a ragazze semplicemente colpevoli di voler studiare. Eppure il
documentario di Beth Murphy ha il grande
pregio di esprimere ottimismo, se non altro
aattarverso le figure della direttrice, delle
insegnanti, e di molte delle studentesse. Vi
è la storia di una ragazza destinata, ancora
minorenne, a un matrimonio con un uomo
che potrebbe essere suo nonno, scompare
da scuola per sei mesi: e quando ritorna,
lo fa da vincitrice: perché è riuscita o far
accettare alla famiglia della sua volontà
di studiare. M’è capitato di vedere pochi
lavori come questo capaci di intercettare,
con una freschezza e al contempo discrezione straordinarie, senza infiorettare nulla
ma semplicemente descrivendo e raccontando, quanto questa scuola, ma anche la
scuola in sé come istituzione sia luogo di
civiltà e valorizzazione dell’individuo.
In chiusura segnalo che il 10 dicembre
è stato fondato a Zurigo il Mercurius Prize, un premio cinematografico dedicato
a film di eccellenza nell’ambito della
psicologia junghiana e dei diritti umani
(http://mercuriusprize.com).
Una scena di Divines, è stata utilizzata per il trailer ufficiale della seconda
edizione zurighese del festival
gennaio 2017 La Rivista - 57
Sequenze
di Jean de la Mulière
Allied
La La Land
Divines
Nel Marocco del 1942, Max Vatan (Brad Pitt),
agente dell’intelligence americana, e Marianne Beauséjour (Marion Cottillard) membro
della Resistenza francese, si ritrovano complici
in una missione: entrambi sono incaricati di
uccidere un generale tedesco.
Inevitabilmente, s’innamorano e Marianne
accetta di sposare Max e andare a vivere con
lui a Londra. Qualche tempo dopo, quando
l’unione è già coronata dalla nascita di una
bambina, il colpo di scena che dovrebbe sconvolgere la storia: il comando avvisa Max che
Marianne potrebbe essere una spia tedesca. Il
cuore non accetta. Dove sarà la verità?
Il film si sviluppa sulle piste di un thriller romantico, piuttosto nostalgico, preoccupato
più di rendere omaggio al glamour della vecchia Hollywood (d’obbligo, perché scontato
l’accostamento con Casablanca), anziché sviluppare la narrazione di una storia amore che
può diventare (letteralmente) un vero campo
di battaglia dal quale, però, i protagonisti
sembrano volersi estraniare, lasciando che
scorra piatta e priva di colore.
La pulizia del racconto e la costruzione elementare, ma proficua della suspense, ben
calibrata nel copione sono la base di un racconto di genere come questo. Allied, a tratti
teso e coinvolgente, però, - pur avvalendosi
della riconosciuta perizia del regista che però
non può conferirvi quella magia tecnologica
che solitamente costituisce il suo marchio
di fabbrica e pur in una generale sontuosità
- non riesce a trovare un tono consistente,
saltando continuamente da spy story avventurosa a film di guerra stilizzato a trattato sul
matrimonio.
Los Angeles. Mia sogna di poter recitare,
ma intanto, mentre passa da un provino
all’altro, serve caffè e cappuccini alle star.
Sebastian è un musicista jazz che si guadagna da vivere suonando nei piano bar in
cui nessuno si interessa a ciò che propone.
I due si scontrano, si incontrano, si amano
e si sostengono decisi a realizzare le loro
aspirazioni, anche a costo di consumare un
amore, di alimentare il rimpianto per il passato. La La Land racconta una storia d’amore, una storia di sogni e delusioni, di follia
e di crescita; una storia che, ambisce a raccontare due personaggi, una città, l’amore
per la musica, il cinema, l’Arte, l’Immaginario. E, ovviamente, la nostalgia.
Ryan Gosling & Emma Stone: alla loro terza collaborazione, belli, simpatici, affiatati,
teneramente goffi nella danza e nel canto.
Forse perché per girare un musical, oggi, hai
bisogno delle star, o forse perché Damien
Chazelle sapeva che era proprio di quella
goffaggine che aveva bisogno per raccontare la sua storia.
Ma in La La Land sono tantissime le cose che
s’intracciano: perché se di nostalgia si parla,
si parla di quella per una musica (che però
proprio morta proprio non è), per un modo
di fare e vedere cinema, per quelle vite che
abbiamo abbandonato lungo gli incroci della
vita e che potevano essere le nostre.
La nostalgia di La La Land, insomma, è quella
per un romanticismo privo di ogni cinismo
o sarcasmo. Perché alla fine nostalgia e romanticismo sono senza tempo. Capaci di far
entrare lo spettatore nella storia e di immaginarne anche gli sviluppi.
Presentato con successo alla Quinzaine des
Réalisateurs di Cannes il film racconta la storia
di Dounia, un’adolescente tenace, anche se
ingenua, che sogna di arricchirsi, non importa
in che modo. Per chi vive in un ghetto vicino
a Parigi, dove la droga e la religione regnano
sovrane, conquistare potere e successo è un
desiderio che equivale a una via d’uscita. Così,
con l’aiuto della sua migliore amica, Dounia
prende come modello di riferimento uno
spacciatore rispettato, ma quando incontra
una giovane e sensuale ballerina, la sua vita
cambia in maniera sorprendente.
Dopo un’apertura musicale la cui intensità dà
il là al resto del film (l’intreccio è accompagnato da una colonna sonora formidabile), i primi momenti di Divines, che mostrano le due
inseparabili amiche mentre fanno il diavolo a
quattro, ci rendono queste due ragazze follemente coinvolgenti, e la loro vitalità e il loro
entusiasmo irresistibilmente comunicativi.
L’intensità frenetica delle prime scene fa gradatamente spazio a qualcosa di più viscerale
e duro.
Il film narra le vicende delle due adolescenti
con un ritmo incalzante, senza alcun buonismo ma comunque con vari momenti comici,
propri della leggerezza dell’adolescenza. Dai
tratti decisamente femministi e politici per i
temi che affronta quando tratta della distanza
tra città e banlieue, Divines si spinge anche
oltre, tra gli accampamenti Rom.
Non diremo di più sull’orizzonte che sceglierà
di “visualizzare”, ma è sullo sfondo di questo
confronto costante tra abbandono e controllo che si giocherà il destino della protagonista
galvanizzata e galvanizzante.
di Robert Zemeckis
58 - La Rivista gennaio 2017
di Damien Chazelle
di Houda Benyamina
Intervista con
Pippo Pollina
di Giangi Cretti
Un anno dopo o giù di lì
Incontro Pippo Pollina a Zurigo, mentre si prepara a tornare sul palco (il 13 gennaio al Volkshaus di Zurigo e poi via
per altre 169 date in giro per l’Europa), quando è ormai agli
sgoccioli l’anno sabbatico che si è preso per “vivere e guardarsi attorno”, per trovare nuova linfa creativa, che ha subito
convogliato in un nuovo disco, Il sole che verrà, (in uscita il
12 febbraio) in cui, con ancor maggior forza, ci richiama alla
speranza e al ruolo che ciascuno di noi deve avere nella società. Una rinnovata assunzione di responsabilità che, in uno
scenario in cui politica e religione sembrano aver abdicato in
favore dell’economia, primo fra tutti, l’artista deve fare propria.
Come sempre, con lui il discorso fluisce spontaneo e diretto.
Per prima cosa dicci cos’hai fatto.
Ho fatto un disco
Ci hai impiegato un anno?
Ah che cosa ho fatto in quest’anno? Non ho mantenuto la
promessa di venire a cena da te (ride), ma ho girato tanto.
Sono stato in diciotto Paesi, di cui cinque nuovi, dove mai
avevo messo piede e quindi ho visto cose nuove e ho tratto
ispirazione per scrivere di nuovo. Mi sono goduto il tempo. Ho
sistemato casa nuova. Mi sono guardato dentro e attorno. Ho
vissuto. Mi è piaciuto tanto. Lo rifarei.
E poi hai fatto un disco.
E poi ho fatto un disco. Dopo tre anni avevo voglia di fare
un disco nuovo. Le cose cambiano. Alcuni dei progetti che
ci hanno accompagnato per una vita diventano obsoleti e
vengono sostituiti da altri. Il significato che un oggetto ha,
ciascuno di noi li vede in maniera personale, però hanno
anche un significato oggettivo. Il libro è un oggetto che
contiene informazioni, riflessioni, analisi che ci portano
nel leggerlo al raccoglimento. Raccoglimento interiore,
ossia siamo lì in tranquillità a riflettere su quello che leggiamo. È un oggetto di un certo tipo, che premia, mette
in evidenza alcuni aspetti del nostro modo di essere, del
nostro modo di vivere. Questi oggetti oggi giorno sono
stati sostituiti da altri oggetti, che invece esaltano altre
modalità di vivere. E quindi io ho fatto un disco nuovo,
perché penso sia importante offrire momenti di riflessione
alla vita, stare seduti ascoltando ponendo attenzione a
qualche cosa per un’oretta. Il disco secondo me ha anche questa funzione.
Il disco, o la musica e le tue canzoni? Intendo: il disco
come supporto fisico della musica e delle canzoni?
Entrambi. Sai perché? Il supporto è la rappresentazione
materiale di una cosa che materiale non è, ossia la musica. È come appunto un libro, questo tipo di supporto che
hai nella libreria…
gennaio 2017 La Rivista - 59
C’è la sua fisicità.
Esatto, c’è la sua fisicità. Occupa uno spazio: in materiale
e quindi mentale, perché tu lo vedi e ti induce a pensare:
“Quel disco mi è piaciuto. Ora lo rimetto. Lo sento anche
mentre faccio i piatti. Magari la prima volta mi seggo, apro
il libretto, leggo i testi. Io, per esempio, li leggo sempre in
contemporanea alla musica. A me piace molto pensare che
ci siano ancora tante persone come me che fanno così e
apprezzano quello che succede mentre si ascolta un disco.
Non è la stessa cosa che avere tutto digitalizzato. A parte
l’effetto acustico, mi piace l’idea che i ricordi, come il passato, come le parole, possano avere una loro fisicità. Il tempo
non è soltanto aria che tira e se ne va, ma è un qualcosa
che ha una sua materialità, che si accumula. Il tempo che
impieghiamo per riflettere, per scrivere un libro, poi si materializza in qualcosa di concreto che tu puoi prendere in
mano e che quando tu lo poni su uno scaffale, riverbera
quelle parole, quei ricordi. E tu guardando pensi… ah sì,
quel libro, mi ricordo, parla di questo… Così continua il rapporto con i temi e le emozioni che hai incrociato leggendo.
Per questo mi piace ancora fare dischi.
Il tuo nuovo album si intitola Il Sole che verrà.
Annunciandolo hai dichiarato senza mezzi termini che
la speranza, da sempre sotto traccia nei tuoi lavori, è il
filo conduttore dell’intero album e che gli artisti hanno
una specifica funzione sociale.
Tu stesso, chiacchierando prima, cosa mi hai detto? Con una
metafora mi hai detto che la politica, ma io aggiungo anche
la religione, non è più in grado di esprimere quel repertorio
di valori, di cui una società ha bisogno per funzionare bene.
Non soltanto nei suoi meccanismi, ma per far star bene le
persone che la compongono. La politica, la religione hanno
fallito, perché hanno ceduto totalmente al loro ragion d’essere all’economia. L’economia ha sostituto la politica ed anche
la religione, occupando tutto il territorio. Con la caduta del
muro di Berlino, progressivamente, le società capitalistiche
hanno occupato tutti gli spazi possibili, anche quelli che non
sono loro proprie. Il Natale oggi è mero consumo, un business enorme per vendere, comprare, fare regali, organizzare
vacanze. In tutto ciò, Gesù Cristo si rivolta nella tomba, a prescindere se uno ci crede o meno, ma si rivolta. Ma non è un
assurdo? Non se ne può più. La politica non ha più il primato
che aveva. L’economia ha prevalso nettamente su tutti i fronti,
tutto si fa valutando vantaggi e benefici materiali.
Èd qui che tu rivendichi il ruolo dell’artista.
Certo. Se la politica e la religione sono fuori gioco, bisogna restituire all’umanità quelle due, tre cose che sono andate perdute. Noi abbiamo il dovere di prenderci delle responsabilità e
di riportare certi temi all’interno della società, all’interno delle
famiglie, all’interno delle scuole. Dobbiamo “mischiarci”.
60 - La Rivista gennaio 2017
In qualche modo, senza scomodare il passato,
riproponi una visione gramsciana. Sul ruolo
dell’intellettuale e della cultura.
Non a caso Gramsci elaborò queste idee in un periodo in cui
si affermava la dittatura, in un contesto sociale che avrebbe poi
portato alla guerra. Noi viviamo in un tempo in cui l’umanità è
consapevole che il clima e il pianeta si stanno surriscaldando e
che la politica deve intervenire, altrimenti fallirà tutto un giorno.
Ma siccome conta sola il tornaconto del presente, i potenti del
mondo non si interessano a quanto potrà accadere fra 50 anni,
tanto loro non ci saranno più. Ma che storia. Questa è pazzia.
Oggi, più che mai, la tecnologia ci dice che abbiamo bisogno di
saggezza, di ricondurre l’uomo a cose più normali, altrimenti io
non so come andrà a finire. I segnali non sono buoni. Per esempio, il popolo americano che elegge Trump, Putin continua a fare
ciò che vuole, Erdogan si attrezza per poter essere ancora più
dittatore di quanto già non lo sia, l’Europa vende le armi sotto
banco all’Isis, che è considerato il pericolo pubblico numero 1.
Ma dove stiamo andando? Il mondo occidentale guarda alla
Siria come se si trattasse di un film. Centinaia di migliaia di persone sono morte, muoiono, moriranno, solo perché hanno avuto
la sfortuna di nascere lì. Quel territorio è diventato una specie di
palestra, il laboratorio della guerra, dove il buon senso non ha
albergo. Eppure noi siamo qui e brindiamo.
In che modo, la musica, le canzoni, i testi possono
ricondurre l’individuo a riappropriarsi di quel senso di
responsabilità che oggi manca. In qualche modo siamo
tutti responsabili di fronte a quanto accade o accadrà.
Con nuova consapevolezza. Durante il nazismo in Germania,
in modo clandestino si è sviluppato era il teatro alternativo che
sviluppava una forma di opposizione al nazismo. Dopo la guerra, la Germania capì che dovevano partire dalla grande cultura
tedesca per riposizionarsi all’interno del panorama europeo. E
pensa cosa successe in Italia alla fine della Seconda Guerra
Mondiale. La rinascita. Lo sviluppo dei talenti. La letteratura italiana del dopoguerra ha trovato il suo momento culminante. Lo
stesso vale per il cinema con il Neorealismo.Tutto nacque dalla distruzione. Non dico che bisogna aspettare la distruzione,
per capire che c’è necessità di ricostruire. Ma anche qui ormai
si sta degenerando: persino il terremoto è un grande affare,
cosi come dicono i politici e politicanti incerte telefonate.
In questo scenario che senso ha un disco sulla
speranza?
Ha senso, perché è un modo per schiaffeggiarsi, svegliamoci,
perché se abbiamo una chance ce la dobbiamo giocare. Altrimenti ahimè… intanto che vivo, ai nostri figli e ai loro amici,
dico “ragazzi c’è speranza, datevi una mossa, perché il futuro è
vostro, pero siete voi che dovete cambiare le cose”.
E questo è possibile malgrado tutto? In fin dei conti,
c’è una forma di consumismo esagerato anche nel
modo in cui fruiamo dell’informazione, della cultura,
del divertimento, della convivialità.
Certo, implica uno sforzo, una disciplina personale. Anche soltanto per cercare di orientarci fra le notizie, distinguendo la bufala dalla verità. Noi italiani, abbiamo un esempio davanti a noi,
ossia il referendum. Io ho votato no con convinzione. Non perché sono contro le riforme, non sono a favore di questa. Vorrei
ci fossero delle riforme, ma di un altro tipo.Ti ricordi cosa scrivevano i giornali italiani ed europei prima del voto? Che se l’Italia
votava no, sarebbe avvenute disastri inenarrabili. Un terrorismo
mediatico incomprensibile. Ma di cosa stiamo parlando. Perché
dire che l’Italia esce fuori dall’Unione Europea? Non era questo
il quesito del referendum. Poneva una questione di politica interna italiana ed ognuno poteva essere a favore o contro. Infatti
che è successo dopo? Niente, niente con la N maiuscola. L’Italia è rimasta la medesima. Cosa doveva succedere? È caduto il
Governo, il giorno dopo ce n’era un altro uguale: non c’era più
Renzi, c’è Gentiloni, i ministri sono praticamente gli stessi, e,
secondo prassi non sempre comprensibile, si sono scambiati
le poltrone. Ma anche questo è una spia che ci fa capire in che
Paese viviamo. La cultura del potere distrugge tutti i giorni il
Paese reale, anzi l’ha già distrutto. Ha raschiato il fondo barile.
Peccato, l’Italia potrebbe essere l’eccellenza del mondo.
Veniamo al tuo disco, per le brevi anticipazioni che
ho avuto modo di ascoltare e senza la competenza
dell’esperto, ho avuto l’impressione di un disco più maturo
sia dal punto di vista musicale, sia da quello delle scelte e
delle collaborazioni. Si percepisce un coinvolgimento più
ampio di diversi generi musicali. C’è anche, e questo l’hai
già dichiarato tu stesso, la scelta precisa di esperienze
musicali e ca nore completamente diverse dalle tue.
Concordo. Quando faccio un disco (ne ha fatti 22 – ndr) lo
faccio non perché devo combattere la noia. Io ho una pretesa
intellettuale di proporre una cosa, un elemento di studio, di sviluppo autentico. Come l’incontro con altri artisti: per esempio
con una jazzista norvegese, una cantante di tango argentino
di Buenos Aires, una cantante mezzo soprano dello Staattsoper
di Monaco.Tre generi di interpretazione musicale diversi, provenienti da territori diversi, che però convergono un’energia alla
forma canzone.A me interessa rientrare in questo modo di concepire la forma canzone, che io amo e sulla quale io lavoro, con
artisti, con altri elementi, con altri progetti, espressione di altre
esperienze e di altri territori in direzione della canzone. Noi ci
incontriamo sempre nel territorio della canzone. Questa fusione ci fa capire che la musica è un terreno fertile, versatile, in cui
tutto è possibile. È possibile mischiare, mantenendo fermo un
comunque filo conduttore. Prendi ad esempio, la canzone con
Laggiù le lampare in cui, con Rebekka Bakken, raccontiamo del
mare: io come siciliano, lei come norvegese. Il mare dei fiordi
e il mare del Mediterraneo sono due mari diversi. Si pensa sia
uguale, ma non è così. Il mare porta storie diverse. Per i norvegesi il mare non è un cimitero come lo è invece il Mediterraneo,
che racconta delle storie drammatiche. Ecco che diventano le
metafore che servono a raccontare le storie di oggi. Io ho la
pretesa, un dovere, la responsabilità culturale di dare il meglio
di me, come canzoniere, di incidere e creare un pezzo di cultura, come un libro. Non qualcosa che si consuma e basta, ma
come qualcosa che rimane lì per chi vuole ascoltare.
Nel disco c’è anche tua figlia
Lei canta con me in quattro, cinque pezzi fa i cori. Avevo
bisogno di un coro ed è venuta lei con il suo ragazzo, che
canta anche molto bene. Sono stati bravi.
Qui batte il cuore di padre?
Certo. Puoi immaginare.
Nel tuo disco, che uscirà il 12 gennaio, c’è una
canzone dedicata a Muhammad Ali.
Se tu mi dici che ti sei alzato di notte a veder il suo combattimento con Foreman, lo puoi capire. Quando ha Ali smesso di
combattere, ho smesso di seguire la boxe. Queste sono le persone che cambiano la vita e che cambiano la visione di uno sport.
La boxe è morta oggi giorno. È finita, non conta più. A me della
boxe non fregava niente, anzi non è mai piaciuto come sport,
ma quando c’era lui era tutta un’altra cosa. Vedevi questo che
danzava sul ring e tu pensavi: ma che sta facendo li nell’angolo? Perché? Poi lui combatteva a mani basse. Ma come mai?
gennaio 2017 La Rivista - 61
Ma è pazzo? Ma lui voleva comunicare una cosa precisa. Nel
combattimento, nella boxe non conta la forza bruta, ma conta il
colpo al momento giusto. Allora io vinco schivando i colleghi avversari, li faccio stancare e poi ne basta uno al momento giusto
e ciao. Io ricordo benissimo quando ci fu l’incontro con Foreman
nel ‘74. Ricordo mio padre che era un grande fan e quindi ancora bambino avevo il permesso di alzarmi alle 4 di notte per vedere la boxe e Muhammad Ali. Quando lui passò 6-7 riprese, a fare
ammattire l’avversario, rinchiudendosi nell’angolo, lo fece stancare e sferrò il cazzotto e lo fece andare KO. Ci fu un momento
in cui Foreman barcollò, stava per dargli un pugno e poi si fermò.
Poteva dargliene altri e invece non infierì. Fece la mossa ma si
fermò. E chi era Ali? Era uno che non esitò a rifiutare di andare
in guerra in Vietnam e questo rifiuto espresso pubblicamente in
conferenza stampa gli costò quattro anni di squalifica e due di
carcere. Per questo oggi il mondo è quello che è. Ma vogliamo
mettere uno come Cassius Clay accanto a uno come Bobo Vieri,
o come Cristiano Ronaldo. Quali sono gli sportivi che oggi sarebbero pronti a mettere a repentaglio la loro libertà personale e la
loro onorabilità professionale, per prendere una posizione forte
come l’ha presa lui nel 1964? Cinquant’anni fa. Io mi tolgo il
cappello. Sto dicendo quelle cose che pensi anche tu.
Se escludiamo alcune prestigiose collaborazioni e duetti,
tu canti in italiano per un pubblico che, per la maggior
parte, italofono non è. Un pubblico numeroso che ti segue,
non è un caso che l’anno scorso nel tuo ultimo concerto
prima dell’anno sabbatico hai riempito l’Hallenstadion di
Zurigo, come solo i grandi della musica sanno fare. Come
ti spieghi che il tuo pubblico non sia italofono? Eppure tu
sei un messaggero della lingua italiana. In questo ruolo sei
stato invitato anche in università americane.
Si, anche a Parigi, ad Amsterdam. Come me lo spiego? Eh… Ci
sono tanti motivi probabilmente. Io non vivo più di Italia da tanti
anni. Secondo me per essere considerato espressione della
musica italiana, non in modo astratto, devi esserti affermato
lì professionalmente; devi essere in contatto con mass media
locali, con quel modo di pensare, con quel modo d’agire.
Sempre lo scorso anno hai riempito l’Arena di Verona
Vero ma la cosa stridente è che su dieci mila persone che
c’erano, nove mila erano stranieri e mille italiani. Non è che
non ci sono, c’erano. Ma ormai la canzone d’autore italiana è
un’arte vive un momento di stasi. Poi in Italia in Italia se non
sondi il terreno, non ti conosce nessuno, a meno che non fai
tutte ‘ste trasmissioni, come X-Factor. In Italia ormai, la canzone d’autore non interessa più, da ormai da trent’anni è uscita
dalla programmazione radiofonica. Ma tu senti mai una canzone di Guccini che passa in radio? Come possono le nuove
generazioni conoscere questa forma artistica se non ne conoscono l’esistenza. Ci sono nel panorama musicale italiano
tantissimi cantautori, e pure bravi, che nessuno conosce.
62 - La Rivista gennaio 2017
Perché gli stranieri invece li apprezzano?
Ti apprezzano?
Se io avessi vissuto in Italia, probabilmente mi avrebbero
conosciuto. Ma forse non mi avrebbero conosciuto qui, e io
preferisco così. In Italia avrei dovuto fare tanti di quei compromessi che non sono capace di fare: blandire i giornalisti,
diventare un ragazzo di quella rassegna, partecipare ai salotti, avere qualche amico politico. Ma cosa c’entra? In Italia, se
sei donna, la devi dare a chiunque. Non lo dico io, ma i tanti
colleghi e colleghe con cui parlo. Ma siamo nel 2017? Ma il
risultato quale è? Umberto Eco, Dario Fo muoiono e ci rimangono Sgarbi e Andrea De Carlo. Vogliamo fare un confronto?
Ciò che muore è la cultura italiana. E per colpa di una cultura
del potere che per nutrire sé stessa è disposta ad uccidere la
migliore parte della propria cultura, perché altrimenti quella
sarebbe critica nei suoi confronti. Si valorizza e si assegnano
posti migliori a coloro che sono ossequiosi. Il risultato quale
è? Che i migliori se ne vanno: non solo gli artisti, anche i
migliori ricercatori se ne vanno. Che si vuole? Allora noi rappresentiamo l’Italia fuori dai confini a nostro modo.
Accanto alla tua attività, quest’anno hai improvvisato
quello che possiamo definire il primo tentativo di realizzare
a Zurigo un mini festival della canzone d’autore italiana.
Un’esperienza, da un punto di punto della partecipazione
di pubblico, soddisfacente, anche se quelli che sono venuti
sono soprattutto quelli che sapevano che eri tu il direttore
artistico della manifestazione. Non demordi e l’anno
prossimo ci sarà un bis.
Sì e lo facciamo insieme. Io un tentativo lo voglia fare, poi
se fallirà, si vedrà. Adesso c’è un anno di tempo, dobbiamo
trovare dei partner che possano essere sensibili alla cosa
e far partire questa esperienza. Sperando possa diventare
un giorno una cosa che non si fa più ala Miller’s Studio
ma che si fa in un posto più prestigioso e che coinvolga la
stampa nazionale svizzera e magari anche quella italiana.
Da cosa nasce cosa.
Il 12 gennaio uscirà il tuo disco. 13 gennaio sarai al Volkshaus
di Zurigo e poi via in una lunga tournée. Quanti concerti sono
previsti nel 2017?
170 concerti in otto paesi, in Francia, Olanda, Germania, Austria, Svizzera, Italia, per la prima volta in Ucraina. In Italia, in
teatro, a Roma, Torino, Firenze, Misano Adriatico, Mantova, e
Milano. Poi, il 9 giugno, a Palermo al Teatro Massimo.
Torni sul luogo del delitto.
Dei delitti. Ce n’è più d’uno
Tutte le informazioni sulle date dei concerti di Pippo
Pollina su: www.pippopollina.com
Diapason
di Luca D’Alessandro
Litfiba
Il Volo
A quattro anni di distanza dall’album Grande Nazione, lo scorso 11 novembre Piero Pelù e Ghigo Renzulli, in arte Litfiba,
hanno proposto il loro undicesimo album dal titolo Eutòpia,
un disco che - non poteva essere diversamente - si presenta
in abito rock particolarmente “litfibesco”. Dopo una decina di
anni in separazione, terminata nel 2010 con il lancio dell’album
Stato Libero, il duo fiorentino oggi fa risuonare i vecchi tempi, gli anni ottanta e novanta, ovvero i tempi di Pirata, Sogno
Ribelle e Spirito. Eutòpia è un disco potente, con dei testi che
puntano il dito sulla classe dirigente, dando una voce a coloro
che nella vita non sempre hanno incrociato la fortuna. Un disco
dalla parte dei più deboli - da un punto di vista social-economico - come dimostra in modo evidente il brano L’Impossibile.
I vincitori del 65esimo Festival di Sanremo, Piero Barone, Ignazio Boschetto e Gianluca Ginoble de Il Volo, hanno lanciato un
best of di arie classiche e canzoni provenienti dalla tradizione
napoletana. Per citare qualche esempio: Turandot: Nessun dorma di Giacomo Puccini, Granada di Agustin Lara, Torna a Surriento di Ernesto e Giambattista De Curtis, oppure ‘O sole mio
di Giovanni Capurro. Un concept disc dedicato ai Tre Tenori,
una formazione composta da Luciano Pavarotti, Plácido Domingo e José Carreras che negli anni novanta e nei primi anni
2000 ha tenuto concerti in tutto il mondo. Dirige l’orchestra
niente meno che Plácido Domingo, che a tratti contribuisce
anche con la sua voce, mentre dietro le quinte agisce il noto
manager musicale e produttore Michele Torpedine.
Giuseppe Milici
Massimo Guerra Xtet
Il compositore e fisarmonicista palermitano, Giuseppe Milici, è
diventato famoso con le sue presenze in diversi spettacoli televisivi, in particolare Fantastico, Uno su cento, Festival di Sanremo,
oppure I Fatti Vostri. Il suo album The Look Of Love comprende
le colonne sonore e canzoni che lo hanno accompagnato e ispirato negli ultimi decenni di presenza davanti al grande pubblico.
Ad esempio: Singin’ In The Rain di Arthur Freed e Nacio Herb
Brown, nel presente caso registrato in stretta collaborazione con
il chitarrista Moreno Viglione, oppure il jazz standard Estate di
Bruno Martino e Bruno Brighetti, reinterpretato dal trombettista Fabrizio Bosso. Giuseppe Milici per la produzione dell’intero
disco si è avvalso della collaborazione del compositore romano
Nerio “Papik” Poggi e l’arrangiatore Fabrizio Foggia.
Massimo Guerra, trombettista jazz romano, presenta il suo primo progetto come solista, nel quale riunisce tutto ciò che nei
decenni passati ha vissuto in varie formazioni sui palcoscenici
internazionali. Tra le più importanti per il suo percorso professionale possiamo citare la collaborazione con il gruppo latinoamericano Mercadonegro, e la tournée con la “grande dame
de la salsa” Celia Cruz, agli inizi di questo secolo. In quell’ambiente Guerra ha potuto sviluppare il suo approccio ai ritmi e
alle armonie afrocubani. Un’altra svolta nella carriera è stata
segnata nella collaborazione con i Mediterranean Jazz Six di
Tullio De Piscopo. Tutto sommato, dunque, un album d’esordio con otto brani inediti, ricco di esperienza e abilità di un vero
genio del jazz.
Eutòpia
(Sony)
The Look Of Love
(Irma)
A Tribute To The Three Tenors
(Sony)
Jazz Mine
(Irma)
gennaio 2017 La Rivista - 63
Wine People
– X factor per
il successo nel
mondo del vino
di Rocco Lettieri
Wine2Wine - Il forum
sul business del vino
Si è svolto nei giorni 6 e 7 dicembre 2016, presso il
Centro Congressi VeronaFiere, il terzo Forum sul business del vino, ideato e organizzato da Veronafiere-Vinitaly, in collaborazione con Unione Italiana Vini,
Federvini, Ice, OperaWine, VinitalyWineClub e Vinitaly
International Academy (VIA), con presenza significativa
di Business Strategies e WineMeridian.
100 relatori, 40 Workshop, 6 Aree tematiche per momenti
di incontri esclusivi focalizzando i temi delle 4 “I”: Internalizzazione, Innovazione, Investimenti e Informazione. Tra i
top speaker Hermann Pilz (Germania), direttore di Weinwirtschaft, chiamato a fare il punto sul secondo mercato per
l’export delle cantine italiane; Jonas H. Röjerman (Svezia),
capo del controllo qualità di Systembolaget, azienda pubblica che detiene in Svezia il monopolio della vendita di bevande; Felicity Carter, redattore capo della Meininger Wine
Business International, rivista di taglio internazionale in lingua inglese sul business del vino che focalizza l’attenzione
sullo “storytelling”, l’importanza di raccontarsi on line e gli
effetti che questa attività può regalare alle aziende che ne
sanno fare buon uso.
Tra gli altri importanti relatori stranieri: Juliana e Gino Colangelo, Rebecca Hopkins, Cathy Huyghe, Lan Liu, Chery Cheng
Peng, Steve Raye, Paul Truszkoski e Alison Napjus, che degusta vini provenienti dalle regioni di tutta Italia per Wine
Spectator ed è anche lead taster di vini provenienti dalle
64 - La Rivista gennaio 2017
regioni Champagne e Alsazia della Francia. È possibile seguire Alison Napjus su Twitter all’indirizzo http://twitter.com/
napjuswine.
Per l’Italia presenze significative sia di produttori (Rallo, Boscaini, Allegrini, Argiolas, Bisol, Cinelli Colombini, Angiolino
Maule, Emilio Pedron, Carlotta Pasqua, Enrico Zanoni per
Cavit, per citarne alcuni) che di personaggi Accademici
della Vite e del Vino (Tomasi, Calò, Costacurta, Di Lorenzo,
Pizzi, tra gli altri). Inoltre vanno ricordati: Silvana Ballotta di
Business Strategies, Ian D’Agata (VIA), Lavinia Furlani, Andrea Pozzan e Fabio Piccoli di Wine Meridian, Silvia Zucconi di Nomisma e Stevie Kim, Managing Director di Vinitaly
International che ha ideato ed ha lavorato duramente per
realizzare la manifestazione. A capo del braccio strategico
internazionale di Vinitaly, Stevie è impegnata ad utilizzare
i canali innovativi per comunicare e celebrare “il vino italiano” all’estero - con un’enfasi creativa sui social media sempre con un occhio di attenzione per aiutare i produttori
italiani a vendere di più di una semplice bottiglia di vino.
I Convegni
Impossibile seguire tutti i convegni in programma nei due
giorni. Farsi un’agenda oraria era indispensabile. Qui propongo quelli che più ho ritenuto interessanti anche per i
lettori de La Rivista (ci scusiamo con i relatori di cui non
abbiamo potuto parlare). Il primo convegno è stato affidato
al tedesco Hermann Pilz, direttore di Weinwirtschaft il quale
ha toccato i diversi tasti della distribuzione dei vini italiani in
Germania. Le sue considerazioni:“Il mercato del vino tedesco non conosce confini. Oggi come oggi qualsiasi tipo di
fornitore di vino ha la possibilità di vendere i suoi prodotti in
Germania. Il mercato tedesco rispecchia quindi la domanda da parte dei consumatori e la gamma dei prodotti disponibile a livello internazionale. I produttori di vino in Germania si sentono disorientati per quanto riguarda il mercato.
Questo disorientamento fa emergere molte domande alle
quali si cerca di trovare delle spiegazioni che da una parte
danno sollievo, dall’altra parte provocano anche preoccupazioni. Secondo gli esperti del settore il mercato è ottimo
oppure desolato, il punto di vista dipende da quale categoria di produzione e a quale canale di vendita appartengono
gli interlocutori. La questione dei perché è quindi spesso il
punto focale nei ragionamenti. Potendo indicare solamente
i 3 mercati più importanti per la propria azienda, il 48%
delle cantine include la Germania sul podio, seconda solamente agli USA”.
Questo è quanto emerge dal VI Osservatorio wine2wine,
che nei mesi di febbraio e marzo ha intervistato oltre 180
aziende vitivinicole italiane. Quello tedesco sembra essere
un mercato top per l’export delle cantine italiane, particolarmente importante per le realtà con fatturati oltre i 2 milioni
di € (56,5%) ed inferiori ai 500.000€ (53,6%). Discriminando sulla base del numero di bottiglie prodotte, sono ben
2 su 3 le cantine con una produzione superiore al milione
di bottiglie/anno che includono la Germania nella Top3.
Il Sud Italia guida la classifica (63%), mentre prendendo
come indicatore il grado di internazionalizzazione (numero
di mercati verso i quali si esporta attualmente), si assiste ad
una polarizzazione molto forte: sono infatti particolarmente attive sul mercato tedesco le cantine che esportano in
meno di 5 Paesi e quelle presenti in oltre 20 mercati (59%
in entrambi i casi). Per quanto riguarda i 3 mercati verso i
quali si punta maggiormente nell’anno in corso, di nuovo
la Germania è al secondo posto, indicata dal 47,3% degli
intervistati.
Sono particolarmente focalizzate a questo mercato le cantine con fatturati oltre i 2 milioni di € (54,3%) e con produzioni superiori al milione di bottiglie/anno (57,1%). Centro
e Sud Italia guidano la classifica dal punto di vista territoriale (rispettivamente 53,6% e 55,6%), mentre prendendo
come indicatore il grado di internazionalizzazione (numero
di mercati verso i quali si esporta attualmente), sono soprattutto quelle presenti in oltre 20 mercati a puntare for-
temente sulla Germania (63,0%). Questi dati confermano
come il mercato tedesco continui a rappresentare uno dei
più importanti Paesi di destinazione per l’export vitivinicolo
italiano.
Il mercato del vino in Cina: quali sviluppi
Come sta cambiando il mercato del vino in Cina? Quali sono le opportunità e le sfide per l’export del prodotto
made in Italy? Qual è la percezione del vino italiano sui
mass media cinesi? Ne hanno parlato Silvana Ballotta, di
Business Strategies e due personalità chiave del mondo
enologico cinese: Zuming Wang, vicesegretario generale
dell’Associazione Cinese per gli alcolici e segretario generale dell’Associazione cinese del vino che lavora dal
2005 per l’Alcohol Bureau e Tao Weng, capo della Shanghai Dawen Information Development Ltd. e collaboratore
del direttore generale di Shanghai Morning Post (Shanghai
United Media) che si occupa della diffusione della cultura
cinese del vino nel mondo e organizza importanti eventi
di degustazione. Sono stati moderati dal giornalista di Radio24 Sebastiano Barisoni. Per Silvana Ballotta: ”Con una
Il mercato del vino in Cina: quali sviluppi
nano-quota di mercato pari al 5,6%, l’Italia è ferma al
quinto posto tra i top exporter di vino in Cina, anche se i
primi sette mesi del 2016 hanno registrato una buona performance. Secondo le elaborazioni del nostro Osservatorio
Paesi Terzi – prosegue Ballotta – le vendite made in Italy
sono aumentate del 28,1% (68,7mln di euro) sullo stesso
periodo del 2015, meglio di Francia (+26,3%), Australia
(+26%) e Cile (+20,1%). Per continuare in questa progressione dobbiamo potenziare la conoscenza delle specificità
e peculiarità di questo mercato”.
“Chi arriva prima si mangia la torta”. È un detto cinese
ma anche la sintesi delle difficoltà del vino italiano in Cina
spiegate da Zuming Wang. Il funzionario ha analizzato le
ragioni che pesano sul posizionamento del prodotto made
gennaio 2017 La Rivista - 65
in Italy nel mercato cinese, al quinto posto dopo Francia,Australia, Cile e Spagna, con una micro-quota pari a un ottavo
di quella dei concorrenti d’oltralpe (5,6% contro il 43,3%):
“I vini italiani sono poco promossi e poco conosciuti – ha
dichiarato Wang – ed io stesso conosco solo Barolo e Prosecco. I vostri competitor sono arrivati prima, hanno capito
il mercato e ora ne detengono le fette maggiori. Il margine di sviluppo è però ancora molto ampio e la torta non è
completa – ha proseguito – per questo anche per l’Italia le
possibilità ci sono”.
Ma la varietà delle denominazioni, la lunghezza e la complessità dei nomi rendono i vini italiani di difficile comprensione per i consumatori cinesi. Su questo tema è intervenuto anche Tao Weng:“I francesi hanno saputo adattare il loro
prodotto al mercato, cambiando i nomi in parole cinesi dal
significato evocativo, semplici e facili da ricordare, come lo
Chardonnay che viene chiamato ‘perla al tramonto’. Una
strategia che i produttori italiani potrebbero adottare, ma
non sufficiente. La cucina cinese porta in tavola molte portate diverse contemporaneamente – ha continuato Weng
–, una tradizione che rende difficoltosi gli abbinamenti enogastronomici e che impedisce alla ristorazione di diventare
un canale di penetrazione efficace e capillare. Per la sua
vocazione internazionale, la quantità di ristoranti e la capacità di intercettare i trend, forse è Shanghai la piazza più
interessante in questa direzione”.
Wine People – X factor per il successo nel mondo del vino
Le persone al centro di tutto. Non poteva che essere una
sala gremita di persone, appunto, ad accogliere la presentazione del nuovo ed innovativo libro sulle risorse umane
nel mondo del vino Wine People, X-factor per il successo
nel mondo del vino, scritto a quattro mani da Lavinia Furlani, direttore editoriale di Wine Meridian, e Andrea Pozzan,
responsabile divisione Risorse Umane di Competenze in
Rete. Il volume, che vuole essere un vademecum per tutti
gli operatori del settore, per i produttori, per chi è già export
manager e per chi vorrebbe diventarlo, è stato presentato
dagli autori, da Fabio Piccoli, direttore di Wine Meridian, e
Vitaliano Tiritto, export manager del gruppo Terre Moretti.
Perché Wine People? “Perché per far fronte ai numerosi
cambiamenti legati all’internazionalizzazione, servono
professionisti competenti e motivati, pronti ad affrontare i
mercati. Per questo al centro di tutto si trovano sempre le
persone. Ed è per questo che il tema delle Risorse Umane
è importante che assuma sempre maggiore rilevanza non
solo a parole, ma anche nei fatti: se riteniamo veramente
che le persone, donne e uomini, siano la chiave fondamentale nella competitività e sviluppo delle imprese, vi deve
essere un conseguente e coerente investimento in esse”.
I dati del mercato parlano chiaro: l’Italia ha la possibilità di
conquistare e rafforzare una posizione egemonica in tutti
66 - La Rivista gennaio 2017
Lavinia Furlani e Andrea Pozzan con il loro volume
i principali mercati mondiali, a condizione che le aziende
del comparto vogliano intraprendere un percorso evolutivo che - oltre al focus sulla qualità in vigneto e in cantina - metta in campo una specifica attenzione alle persone (“people”) e alla capacità di individuare e raccontare
un’identità forte e distintiva. Il messaggio è forte e chiaro: è
ora che il mondo del vino apra le porte alle professionalità
“top” provenienti da altri settori e anche gli insider devono
cambiare approccio, perché la struttura del mercato è in
costante evoluzione: non ci sono più gli stessi buyer, non
ci sono più gli stessi ristoratori, non ci sono più gli stessi
consumatori. “Per affrontare le sfide del mercato è ora di
mettere le persone al centro del gioco: questa è la nostra
Mission come preparatori di uomini – ha affermato Lavinia
Furlani -. Ed è per questo che il tema delle Risorse Umane
è importante che assuma sempre maggiore rilevanza non
solo a parole, ma anche nei fatti”.
La via italiana al vino: L’importanza dei territori e delle tecniche colturali
Genotipo, ambiente e tecnica colturale sono i tre fattori che,
interagendo tra loro, determinano il risultato produttivo. Ne
hanno parlato 4 personaggi di spessore: Antonio Calò, Angelo Costacurta, Diego Tomasi e Rosario Di Lorenzo. Moderatore Ian D’Agata. Nell’intervento è stato messo in risalto la
specificità nella gestione del vigneto, in relazione ai diversi
obiettivi produttivi e ai differenti territori viticoli Italiani. Si è
parlato inoltre dell’importanza dell’utilizzo di nuove strategie colturali, che si basano su tecniche di “precision farming”. È stata evidenziata, infine, l’importanza della tecnica
colturale quale mezzo per rispondere, in modo efficace e
rapido, alle sempre più attuali e pressanti richieste di sostenibilità dei sistemi vigneto e di mitigazione degli effetti
dei cambiamenti climatici. Antonio Calò, che per chi opera
nel campo del vino non ha bisogno di presentazioni, ci ha
lasciato alcuni stralci della sua “coltural presentation”:“…
All’Esposizione di Vienna del 1873, per esempio, Ernesto di
Sambuy annotava: “Il Barolo merita di venir confrontato coi migliori vini rossi del mondo per la pienezza del
sapore e per il gradevole aroma e può con successo
concorrere coi vini francesi...”. Infatti, nelle critiche accennate ritornava spesso la meraviglia della situazione
dell’Italia “con tutti i suoi vantaggi naturali”. E non dimentichiamo che proprio Julien scriveva:“a tutta prima
si potrebbe credere che esso (paese) produca i migliori
vini d’Europa.”. Una previsione? Una scommessa? Una
sfida? Nella stessa direzione andava la famosa inchiesta del Senatore Jacini (1877-1885): un Paese che doveva scuotersi per ritrovare il posto che gli competeva
nel settore. Cominciava quindi da lì un cammino importantissimo verso il raggiungimento di un traguardo
bene identificato: rendere i vini italiani degni di affrontare i mercati nazionali ed internazionali. Oggi questo
concetto è chiaramente percepibile; si sono realizzati
progressi concreti; si è amplificato ed indagato il valore
(mai messo in dubbio) delle zone di produzione; si è
studiato e si stanno studiando i valori dei vitigni e le loro
interazioni ambientali…”.
Wine Spectator ha annunciato gli OperaWine Producers 2017
Torna sabato 8 aprile 2017 la sesta edizione di OperaWine “Finest Italian Wines: 100 Great Producers”,
evento première di Vinitaly che si terrà a Verona, nel
Palazzo della Gran Guardia. Organizzato da Vinitaly International in collaborazione con la rivista Wine Spectator, il Grand Tasting offrirà agli operatori specializzati di
tutto il mondo la possibilità di conoscere i 100 produttori italiani selezionati dalla prestigiosa pubblicazione
americana (per la verità saranno 104).
In chiusura di serata, l’annuncio ufficiale della costituita
Veronafiere spa da parte del presidente di Veronafiere
spa Maurizio Danese:“Consolidare la leadership fieristica del settore dotando il vino made in Italy di strumenti
nuovi e decisivi per fare il salto di qualità nei Paesi terzi.
Questo l’obiettivo del piano industriale dedicato alla fiLa via italiana al vino: L’importanza dei territori e delle tecniche colturali
Il nostro collaboratore Rocco Lettieri con Pietro Mastroberardino
liera wine della neonata Veronafiere spa e anche la funzione, per quanto riguarda soprattutto i mercati asiatici
di Italian Wine Channel (IWC), del nuovo strumento costituito da Mise, Mipaaf, Ice e Vinitaly per rappresentare
in maniera unitaria l’enologia italiana, specie nei Paesi
asiatici, dove paghiamo un ritardo storico nei confronti
del nostri principali competitor e dove accordi bilaterali
hanno notevolmente favorito la crescita di Australia e
Cile”.
“L’analisi evidenzia una considerevole frammentarietà
del vino italiano in Cina che ha penalizzato o ridotto,
in termini di esito, gli sforzi compiuti” - ha spiegato
Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere
spa - intervenendo all’incontro a cui hanno preso parte
anche Sandro Boscaini, presidente di Federvini, Antonio Rallo, presidente Unione Italiana Vini, Piergiorgio
Borgogelli, direttore generale Ice e Andrea Maria Nicola
Costa, responsabile Marketing IT infrastructures & service. “Vinitaly è presente in Cina da ormai oltre 15 anni,
con una serie di iniziative b2b. Una presenza che ci ha
consentito di analizzare sia la complessità di questo
mercato davvero unico, sia la business strategy attuata
dalle aziende italiane nell’approcciare questo Paese,
sempre più fondamentale nella road map globale del
vino e che, nella classifica generale delle importazioni,
ci vede solo al 5° posto nonostante i plus qualitativi che
caratterizzano il vino italiano. Si tratta di realizzare una
strategia comune, innovativa che si concretizza in un
canale globale, dall’offline all’online e, ancora, all’offline per orientare il crescente ruolo dei social media e
dell’e-commerce in Cina”.
Il prossimo Vinitaly a Verona si svolgerà dal 9 al 12 Aprile 2017.
gennaio 2017 La Rivista - 67
Zurigo - 28. November 2016
Vini d’Italia Tour
2016-2017
Zurigo, dove l’Italia è di casa Anche a Zurigo la
tappa del Gambero Rosso faceva parte del tour
Vini d’Italia Experience. Oltre quaranta aziende
in degustazione, accompagnate dai prodotti della Surgital, eccellenza italiana nella produzione
di fasta fresca surgelata, in una delle cornici più
eleganti ed esclusive della Svizzera, Paese che da
sempre rappresenta uno dei mercati più interessanti per il vino italiano, per continuità geografica
e grazie a un grande movimento migratorio negli
anni Settanta che ha portato la ristorazione italiana
- da sempre grande volano per il vino italiano - a
rappresentare la scelta qualitativamente più valida.
Quarto mercato di esportazione per i nostri vini, la
Svizzera rappresenta uno dei maggiori successi
commerciali dagli ultimi dieci anni per il vino italiano. Poco superiore al 30% nel 2006 (con la Francia che superava il 40%) oggi supera il 35% (con
la Francia scesa al 32%) ed è leader indiscussa
con la sola eccezione dei vini spumanti. Insomma,
un mercato da tenere bene sotto osservazione.
In coincidenza con il 30° anniversario del Gambero
Rosso, lo scorso 28 novembre 2016, il tour ha fatto
tappa allo Swisshôtel di Zurigo, dove ha proposto in
degustazione, dapprima ad un pubblico di professionisti e poi a tutti gli amanti del vino, una vasta gamma di vini italiani riconosciuti a livello internazionale.
La guida dei vini mette in risalto la varietà e la ricchezza della tradizione vinicola italiana, che, ancor
più che nel passato, si concentra in Toscana e in
Piemonte. Se, per esempio, in passato fosse stato
premiato, con un “Tre Bicchieri”, il Bonarda Vivace
dell’Oltrepò Pavese non si sarebbero risparmiate
risa di scherno. Oggi, invece, ricevono una nomination anche varietà d’uva come il Piedirosso dei
Campi Flegrei di Napoli, il Ciliegiolo di Narni o il Grigiolino d’Asti, con il suo sapore avvolgente. Attualmente, vini di consumo quotidiano vengono trattati
68 - La Rivista gennaio 2017
con la stessa premura riservata ai vini più pregiati.
Questo cambio di mentalità è già stato percepito
dai produttori e rappresenta una sfida per le lavorazioni ed i processi di selezioni in ambito vinicolo.
La tournée di “Vini d’Italia” racchiude anche una
tradizione culturale che non ha eguali al mondo.
I prodotti segnalati, con un insuperabile rapporto
qualità prezzo, sono il fiore all’occhiello della tradizione italiana nel mondo.
Dopo Varsavia, il 25 novembre, e Zurigo, appunto
il 28, in un mercato del vino caratterizzato da una
competizione sempre più marcata, oltre che da
una crescente offerta, il tour continuerà Il 18 gennaio a Oslo, per presentarsi poi il giorno seguente
a Copenaghen, dove il mercato della ristorazione
è caratterizzato da una forte dinamicità. Il 6 aprile
sarà poi la volta di Miami, per poi proseguire a Mosca, Vancouver e Seattle per il rush finale.
L’export italiano nel settore vitivinicolo, con un
500% di crescita negli ultimi 30 anni, è in costante sviluppo. Unendo le forze i produttori del settore
Gambero Rosso
Gambero Rosso - il marchio multimediale
più importante nel settore dell’enogastronomia – festeggia il suo 30° anniversario
dalla sua fondazione. Nato nel 1986 come
inserto in un quotidiano, diventa nel 1986
una guida di vini indipendente. Da quale
momento sono stati pubblicati numerosi
libri e guide enologiche. Nel 1999 è stato
istituito il primo canale telematico “Gambero Rosso Channel”. Poco dopo, sotto
il cappello “Città del gusto”, sono stati
costituiti vari istituti, mentre la “Gambero
Rosso Academy” prosegue la sua attività a livello mondiale: corsi di cucina per
amatori e professionisti, formazione giornalistica e seminari per aziende attive nella
gastronomia. Recentemente è stata quotata in borsa. Grazie al fascino crescente
nei confronti dei prodotti italiani, gli eventi
di Gambero Rosso si sono moltiplicati. Ad
oggi si registrano più di 40 eventi all’anno.
La guida Vini d’Italia 2017
possono fare la differenza in misura
sempre maggiore, nobilitando il marchio Made in Italy su scala globale.
Secondo le ultime statistiche, i numeri
riguardo l’esportazione mostrano una
crescita quantitativa dell’1.3% e una
crescita del valore esportato di circa
3.7% nei primi cinque mesi del 2016.
La ‘piccola’ Svizzera è al quarto posto
per l’importazione di vini italiani a livello mondiale e risalta in particolar modo
un forte interesse nei confronti di quelle
migliaia di vitigni, che rendono lo scenario italiano estremamente variegato
ed interessante.
La storia di Gambero Rosso è contrassegnata da un elemento costante: il successo. Inizialmente limitato al territorio italiano, si è poi
diffuso su panorama mondiale grazie alla traduzione della guida
“Vini d’Italia” in tedesco, inglese, cinese e giapponese. Il riconoscimento condiviso del marchio “Gambero Rosso” poggia i suoi piedi
su basi solide: numerose giurie, composte da più di 70 persone e
una valutazione di più di 45.000 vini in degustazioni rigorosamente
alla cieca.
La coordinazione avviene tramite tre curatori, i quali decidono a
chi affidare i premi in seguito ad una degustazione finale. Il tutto è
caratterizzato da una scala di valutazione molto rigida che consiste,
di nome e di fatto, in pochi chiari elementi: un bicchiere assegnato
ai vini buoni, due bicchieri a vini molto buoni, tre bicchieri ai vini
più pregiati.
Il riconoscimento dei “Tre Bicchieri” è diventato ormai famoso fra
professionisti e appassionati di vino e incorpora in sé il concetto di
qualità.
La nuova edizione in versione tedesca dell’enoguida apparirà a fine
gennaio 2017.
La Cantine presenti
Bellavista
Cantina Santo Iolo
Cantina Vignaioli
del Morellino di Scansano
Cantine Paolini
Casale del Giglio
Castello di Uviglie
Castelsina
Contadi Castaldi
Dal Maso
Felline
Felsina
Garesio
Graziano Pra’
I Cavallini
I Luoghi
Italo Cescon
Jermann
La Guardiense
Le Bertille
Le Casematte
Le Vigne di San Pietro
Leonardo Bussoletti
Marotti Campi
Maurizio Marchetti
Mora&Memo
Petra
Poggio Le Volpi
Consegnati a Zurigo i diplomi di sommelier
Grazie alla cordiale ospitalità della Weinlounge Buonvini di Zurigo, venerdì 2 dicembre 2016 si è svolta la
consegna dei diplomi ai partecipanti, che hanno superato gli esami finali del corso di sommelier in lingua
italiana organizzato dalla Camera di Commercio Italiana per la Svizzera in collaborazione con l’Associazione
Svizzera dei Sommelier Professionisti (ASSP). I corsisti
che hanno concluso tutti e tre i livelli e hanno quindi
ottenuto il diploma di sommelier non professionista
sono: Pandolfo Enrico, Martini Piero, Caviezel Luzius,
Di Pietro Salvatore, Galli Mauro, Carenzo Marco, Mattioni Alessandro, Mazzeo Walter e Troja Bruno.
I corsi sono riconosciuti dall’Association Suisse
des Sommeliers Professionnels e dall’Associazione
Mondiale dei Sommeliers (ASI) e s’indirizzano non
solo al mondo della ristorazione ma anche a tutti gli
interessati. Scopo del corso è di informare ed educare il consumatore in modo adeguato alla cultura
del buon vino.
Produttori Vini Manduria
Reva
Ronco Margherita
Rosset Terroir
Sensi
Tenuta di Tavignano
Tenuta Viglione
Tolaini
Torre a Cona
Torrevento
Vicara
Villa Sandi
Zorzettig
I prossimi corsi riprenderanno nelle seguenti date:
• 25 febbraio a Zurigo
• 25 marzo a Ginevra
• 21 ottobre a Berna
Per informazioni ed iscrizioni potete rivolgervi a Luigi
Palma: ([email protected]) +41 44 289 23 29
Le iscrizioni sono aperte fino al 31 Gennaio 2017.
gennaio 2017 La Rivista - 69
Convivio
di Domenico Cosentino
A Tavola al Museo
Quando il piatto sposa l’opera d’arte
Quando il viaggiatore goloso arrivò per la prima
volta negli Stati Uniti d’America nell’autunno del
1998, molte cose mai viste prima, lo stupirono assai.
Ma niente attirò la sua attenzione quanto la presenza intorno a lui di tante persone obese e di tanto tanto cibo: si mangiava ovunque ed ad ogni ora.
verso i loro musei: era il cibo! Meglio dire la Ristorazione.
Cosa molto in solita in Italia, dove la Ristorazione li ha sempre ignorati e sfruttati poco i Musei. Un problema di mentalità e di cultura del nostro Paese, dove è difficile fondere
due progetti culturali, come hanno osservato, ultimamente,
alcuni famosi chef stellati, ma anche di miopia istituzionale
e di scarse ambizioni imprenditoriali. A differenza dell’Italia,
in seguito, tornando spesso nel Paese a Stelle e Strisce, il
viaggiatore goloso ha dovuto prendere atto e riconoscere
che gli Stati Uniti sono l’ennesima dimostrazione di quanto
i contenuti gastronomici rappresentino un potenziale per i
poli museali.
Whitnei Museum e Maine Lobster
I “cichetti del Caffé-Ristorante Pedrocchi di Padova
Un mondo di ciccioni
Si era accorto di essere capitato in un mondo di ciccioni:
donne adipose, bambini obesi e uomini sovrappeso, del
quale, fino ad allora, ignorava la presenza. Ad accrescere
il suo stupore, la sua curiosità verso questo “nuovo” Continente, concorse anche un altro fatto: si accorse, il viaggiatore goloso, che gli americani mangiavano non solo
nei ristoranti, nei caffè, per la strada, nei Supermercati, nei
Centri Commerciali e nei Fast Food, ma pranzavano o cenavano anche nelle librerie nei Musei. E scoprì, in seguito,
che le più grandi e importanti città degli Stati Uniti d’America (New York, Boston, Chicago, San Francisco, Los Angeles, Las Vegas e Miami), avevano un potentissimo elemento d’attrazione, capace di attirare ed accrescere i visitatori
70 - La Rivista gennaio 2017
È bastato visitare il Whitney Museum of America Art di New
York, dove l’artista Laura Poitras era la protagonista dell’esibizione “Astro Noise”, mostra dedicata a temi come la
Sorveglianza di massa e la guerra al Terrorismo, per capire
quanto contribuisce in maniera importante (anche economicamente) al Museo di New York, il suo celebre ristorante The Modern, curato dal mostro sacro della ristorazione
cittadina Dany Meyer, che serve piatti ai visitatori-gourmet
come Chowder di Molluschi di Manhattan (Zuppa di Molluschi) o The Maine Lobster Newburg and sweet potato,
(Zuppa di astice Americano con patate dolci) o La Rana Pescatrice in salsa Chardonnay e pomodorini secchi.
Ma può anche capitare che all’Art Institute of Chicago,
dopo aver visitato la collezione permanente, oppure le tre
versioni della “camera da letto” dipinta da Vincent Van
Gogh, ci si può accomodare ad uno dei tavoli del Terzo
Piano, che è uno dei ristoranti curati dallo Chef Italo-Americano, Tony Mantuano, lo Chef più amato dall’ex Presidente
Obama, anche grazie alla sua memorabile versione di Pappardelle al ragù di funghi. In questo elegante locale, Tony
serve, inoltre, il Salmone delle Isole Faroe in salsa di aneto
e riso selvaggio oppure un lungo ed interminabile Brunch
domenicale.
Da Londra a Parigi
Anche nel Nord-Europa, in special modo nel Regno Unito,
dove il viaggiatore goloso è vissuto dal duemila al duemila
e tre, ha trovato una situazione radicalmente diversa che
nel nostro Paese. A Londra, ad esempio, già in quegli anni,
l’elenco dei musei con ottima cucina, era molto lungo: Alla
National Dining Rooms della National Gallery si poteva
mangiare una ottima tartar di cervo e bere un calice di rosso, Barolo, 1990 di Paolo Scavino, seduto ad un tavolo in
veranda con vista su Trafalgar Square. Atmosfera rilassante,
cucina di stagione e ottima miscela di arabica, il viaggiatore goloso l’ha trovava al caffè della Whitechapel Gallery
nell’East End, mentre per uno dei migliori Hamburger della
città o per quella British Gastronomic Institution, che sono
i Fish and Chips, accompagnava spesso suo nipote Patrik
al divertente Bonfire Barbican Center. Il museo giusto, per
i wine lovers o i Santi bevitori è però la Tate Britain, il ristorante che fu decorato da Rex Whisller, dove viene servita
un’oca con purè di pastinaca e salsa di mirtilli accompagnata sempre da una eccellente bottiglia di vino di Bordeaux.
Parigi, poi, è il Non plus ultra! Questa incantevole metropoli
A Padova: fino al 29 di gennaio, a Palazzo Zabarella
rimane aperta la bellissima mostra: L’Impressionismo di
Zandomeneghi
è capace di attrarre un doppio pubblico di appassionati: per
l’esperienza museale - gastronomica in sé valgono il costo
del biglietto in aereo e per chi non ha fretta anche in treno
con il comodo, elegante e veloce TGV. Le George Restaurant del Centre Pompidou, oltre la mostra Contemporary
Art (Arte Contemporanea), nella spettacolare Terrazza, offre anche un tenerissimo filetto di manzo con salsa bernese. Ma chi ama lo stile di Frank Gehry, può andare a cena
al ristorante Le Frank della Fondation Louis Vuitton, che è
una sorta di “acquario” popolato da grandi pesci volanti e
si può gustare una spigola con ravioli di miso, porri, aglio
e sake.
Anche in Italia: pochi, ma buoni
Oggi, molte cose sono cambiate anche in Italia. Tornato
in Europa, dopo il suo viaggio negli Stati Uniti, il viaggiatore goloso, aveva notato che uno spettacolo simile visto
in America, cominciava a profilarsi anche al di qua dell’Oceano. In particolar modo nel Bel Paese dove, a proposito
di obesità, malgrado sia il Paese di Slow Food e della Dieta
Mediterranea, il numero di persone grasse si era fatto molto più alto: cosce ventri e petti avvolti di strato di grasso ben
visibile, nell’universo di passanti e di persone che transitavano per la strada. Tutto a causa di quella cattiva ed errata
alimentazione, basata su cibo-spazzatura: i “gustosi” cibi
pronti o quasi da supermercato!
Ma non solo questo aveva impressionato il viaggiatore goloso. Viaggiando per l’Italia, si era accorto che a proposito
di ristoranti negli spazi espositivi, alcune città avevano iniziato a capire che la ristorazione poteva “sfruttare” i musei. Da Lucca a Torino passando per Milano, Firenze, Roma
Venezia e Padova, finalmente molte cose erano cambiate
in meglio.
Era iniziata una nuova era: pochi ma ottimi esempi, voluti da nuovi e giovani direttori che avevano acquisito una
esperienza, lavorando in musei europei e di oltreoceano.
L’idea non era solo quella di convogliare più visitatori verso i
musei, no! Il loro impegno, il loro l’intento era anche quello
di migliorare, in futuro, l’offerta enogastronomica dei musei creando nuove e felici sinergie sull’esempio voluto, in
primis, dalla città di Lucca, la Città delle Cento Chiese, e
non solo.
Al Lucca Center of Contemporary Art, il viaggiatore goloso,
ci era arrivato il 5 di marzo scorso. Consigliato e guidato
dall’amico scultore Renzo Maggi, aveva visitato l’esposizione la tela violata, che presentava opere d Luciano Fontana,
Piero Manzoni, Alberto Burri e altri. Poi, insieme a Renzo, è
salito al primo piano dello storico Palazzo Boccella, in una
sala cangiante dove si avvicendano gli allestimenti. Qui lo
chef Tomei propone ai suoi clienti, un percorso culinario
in continuo divenire. Tant’è, che non c’è il menù. A parte
gennaio 2017 La Rivista - 71
i ravioli ripieni di olio e parmigiano e il manzo crudo sulla
corteccia (due classici sempre disponibili), l’esperienza al
ristorante l’Imbuto è una sorta di entusiasmante jazz-session. In quel giorno, al viaggiatore goloso, è capitato di trovare nel piatto anche una polpettina di seppia – marinata,
battuta e poi passata al tritacarne – accompagnata da una
salsa sifonata di carpione con cervello di vitello fritto. Il tutto
chiuso in una cialda di grano arso. Ma si può optare anche
per una sola minestra di riso Carnaroli con mandorle e katsuobushi di polpo.
Se questa è Lucca, in Piemonte, fuori Torino, accanto al Museo d’Arte Contemporanea nel Castello di Rivoli, il Combal
Zero, è il palcoscenico ideale per l’eccletticismo e l’intelligenza culinaria del top chef Davide Scabin. E poi a Milano
c’è Giacomo Arengario, dentro il Museo del Novecento.
Mentre a Firenze è d’obbligo una sosta al caffè ristorante
del Gucci Museo, con vista su Piazza della Signoria, prima
di approdare a Roma all’Open Colonna del Palazzo delle
Esposizioni, che è il Regno dello chef-imprenditore Antonio
Colonna, che a pranzo, vi consiglia il suo piatto preferito:
Negativo di Carbonara. E mentre la si mangia, sulle tovagliette di carta ben in vista sul tavolo, il cliente può scoprire
il calendario delle esposizioni. Ma per chi si trovasse a Venezia o in un’altra città del Veneto, il viaggiatore goloso,
consiglia di fare una tappa a Padova: fino al 29 di gennaio,
a Palazzo Zabarella rimane aperta la bellissima mostra: L’Impressionismo di Zandomeneghi, artista veneziano, vissuto
molti anni a Parigi, amico di Renoir e Degas. Poi nella sala
stile Liberty del Caffè- Ristorante Pedrocchi, Caffè Storico di
fama internazionale, si può gustare un risotto al radicchio
tardivo di Treviso, una Pasta e Fasoi, magari due pappardelle ai fegadini o una faraona in salsa Peverada, innaffiando
il tutto con una eccellente bottiglia di Valpolicella Classico,
come faceva il grande Stendhal, ogni qualvolta che da Parma si spostava nel Veneto e che ha scritto quanto segue: “È
a Padova che ho incominciato a vedere la vita alla maniera
Veneziana, con le donne sedute nei caffè. L’eccellente ristoratore Pedrocchi, il migliore d’Italia”.
Lobster alla Newburg
Nel 1890, il ristorante Delmonico’s di New York battezzò
questo piatto col nome del suo padrone, Lobster Wenberg.
Poi Delmonico e Wenberg litigarono e il piatto cambiò nome.
Ingredienti:
1 astice o una aragosta da 750 g,
1 kg, 50 g di burro,
½ tazza(125 ml) di panna,
60 ml di sherry,
una spruzzata di salsa tabasco,
sale e pepe macinato,
2 tuorli leggermente battuti.
Come si prepara:
Delmonico toglieva la polpa dall’aragosta e la tagliava a
fette grosse di 1 cm. Fondeva il burro in una padella a
fiamma media. Aggiungeva la polpa dell’aragosta (astice),
rimuovendo la polpa per 3 minuti. Aggiungeva la panna e
lo sherry. Portava a bollore, abbassava la fiamma e sobbolliva, scoperto, riducendo i liquido a metà. Aggiungeva la
salsa Tabasco. Salava e pepava secondo il gusto. Riduceva
la fiamma al minimo. Mescolava i tuorli a due cucchiai della
salsa di cottura. Versava nella padella e cuoceva fino a che
era leggermente addensato, da 2 a 3 minuti. Non portava
a bollore, ma portava a tavola ancora calda.
Il viaggiatore goloso con l’amico Renzo Maggi all’interno
della Basilica di San Frediano di Lucca
72 - La Rivista gennaio 2017
Il Vino:
Ad un piatto nato negli USA, un Vino bianco degli Stati
Uniti d’America: Chardonnay Napa Valley, Mitch Cosentino
Winery, Napa, California.
La Dieta Rivista
di Tatiana Gaudimonte
Che peso!
Continuare ad
identificare il
dimagrimento
con la semplice
perdita di peso fa
male a noi e bene
a chi vuole abbindolarci. Come
diceva Moretti,
“le parole sono
importanti!”
Dopo aver iniziato questa piccola avventura sulle pagine de La Rivista, ci ho preso gusto e ormai
parte del mio lavoro consiste nel “diffondere il verbo” su carta stampata e siti internet. Mentre però
qui voi avete la fortuna (o sfortuna, vedete voi) di poter leggere ‘paro paro’ quello che scrivo, su
altre testate vengo solo citata come consulente e i miei articoli vengono tagliati o modificati, a volte
anche senza autorizzazione (grrr.)
L’ultimo storpiamento che ho letto è stato un “perdere peso” invece del mio “perdere grasso”.
Passati i cinque minuti di fumo dalle orecchie, ho capito che avrei dovuto prendere questo “incidente” come spunto per ribadire un concetto fondamentale e fare luce su un equivoco ancora
troppo diffuso.
Siamo d’accordo, il termine “sovrappeso” è l’accezione comune con cui indichiamo il numero sempre crescente di persone che sono costrette ad indossare taglie forti, ma ciò che costoro devono perdere, reimpostando alimentazione e stile di vita non è (solo) il peso, ma il grasso. Diete ipocaloriche
e/o iperproteiche possono magari provocare un rapido scorrimento verso il basso del numerino che
compare sulla bilancia, ma a costo di un permanente “schiacciamento” del metabolismo basale, che
fa sì che appena si esce dal regime di carestia autoinflitto con l’ennesima dieta, si recuperano tutti i
chili, spesso con gli interessi. Certo, a chi vende prodotti “dimagranti” questo va benissimo: quale
migliore cliente, di colui che ingrassa nuovamente alla fine di ogni trattamento? Ma forse dovremmo iniziare a chiederci se sta bene anche a noi.
Bisogna sovvertire l’ordine di pensiero che vuole una facile e rapida soluzione a tutto: sei settimane
di dieta, qualche confezione di pillola antifame e/o di boccette detox et voilà, il magro è servito. Tutto
ciò non tiene conto della complessità del nostro organismo, dei delicati equilibri fisiologici che tali e
tanti prodotti e regimi “criminali” vanno ad intaccare, né dei motivi per cui anche persone che mangiano come uccellini non riescono a perdere più un grammo dopo settimane di rigore strettissimo.
Un approccio serio deve prendere in considerazione i segnali che il cibo scatena nell’organismo; se
il freddo, per esempio, genera una cascata di reazioni metaboliche che inducono i nostri muscoli a
tremare per scaldarci e i nostri capillari a restringersi per evitare di disperdere prezioso calore nell’ambiente, pensate a quali e quante reazioni potranno scatenarsi, con uno stimolo come il cibo, che non
si limita a restare fuori dal corpo ma che entra a farne parte!
I segnali chimici che tessono la rete di messaggi tra i vari distretti organici sono tantissimi e da tempo studiati: adipochine prodotte dal tessuto adiposo, miochine secrete dai muscoli, enterochine
dell’apparato digerente: tutti questi dispacci chimici vengono letti dal nostro principale regolatore
fisiologico, l’ipotalamo, che in base ad essi deciderà se impostare il metabolismo su una modalità di
accumulo (e quindi ingrasseremo) o su una modalità di consumo (e quindi dimagriremo o manterremo il peso forma). Per esempio, fare un’abbondante colazione dà un forte segnale verso il consumo:
la relazione tra l’abitudine a una prima colazione abbondante e dimagrimento è stata dimostrata
da lavori pubblicati sulle più quotate riviste scientifiche. Un dato in nettissima controtendenza con
chi si ostina a prescrivere diete in cui al mattino si sgranocchiano due misere fette biscottate e che si
basano ostinatamente sul mero conteggio delle calorie.
Quando inizieremo a renderci conto che il nostro corpo non è un sacco di iuta che ingrossa o si
restringe solo in base a quanto lo riempiamo o lo teniamo a stecchetto? È ora di rendergli la dignità
che un simile, meraviglioso organismo merita.
Cordialità inequivocabili dalla vostra
Tatiana Gaudimonte
[email protected]
gennaio 2017 La Rivista - 73
Starbene
Colorare i capelli è dannoso?
Reperti archeologici testimoniano come già le donne
dell’antico Egitto usassero unguenti misti a oli e un antico
henné per cambiare il colore dei propri capelli; le donne
dell’antica Grecia per farlo, invece, si avvalevano delle tecniche usate per colorare la lana. Quelle dell’antica Roma
possedevano ricette ben precise per ottenere capelli biondi,
bruni, rossi o neri come l’ebano. Allo stesso modo i capelli
arricciati sono considerati da sempre un ideale di bellezza:
inutile dire che ai nostri giorni, con i capelli è possibile fare
di tutto, colorarli, allungarli, ondularli, stirarli. Ma le tecniche utilizzate possono incidere sul loro stato di salute?
Attribuire problematiche dei capelli come facilità a spezzarsi, maggiore tendenza a cadere, doppie punte, opacità
o seborrea ai trattamenti ai quali li si sottopone non è del
tutto corretto, tutto dipende dai trattamenti e da come
sono eseguiti. Quando la tintura non viene correttamente
risciacquata, per esempio, può penetrare nel cuoio capelluto, aumentando anche il rischio caduta. Prodotti utilizzati
per la tintura o per la permanente non adeguatamente testati possono indurre reazioni allergiche e facilitare la caduta, come pure a seguito di una permanente eseguita male i
capelli possono spezzarsi molto facilmente e può addirittura comparire un’alopecia anche grave.
Gli esperti convengono: le tinture per capelli temporanee,
che vengono rimosse con lo shampoo successivo, sono costituite da coloranti simili a quelli utilizzati dall’industria tessile, danneggiano poco il capello e sono raramente causa
di allergie.
Le tinture permanenti, invece, agiscono attraverso un processo di ossidazione e tingono il capello in modo duraturo, poiché il colore non è rimosso dallo shampoo. Tutte le
tinture permanenti contengono parafenilendiamina o suoi
derivati e possono causare reazioni allergiche: in generale
danneggiano il capello quanto più il colore prescelto è più
chiaro del colore originale.
È utile considerare che tutte le pratiche di decolorazione,
rovinano in modo permanente il fusto del capello, ed ecco
perché una volta effettuata una tintura bisogna evitare di
74 - La Rivista gennaio 2017
cambiare spesso il colore, ma soprattutto non bisogna da
una tintura più scura passare a una tintura più chiara perché
per rimuovere la tintura permanente dal capello sono necessari procedimenti che danneggiano moltissimo il fusto.
Il tennis ti allunga la vita
I più attempati se lo ricordano: uno spot televisivo diceva che una telefonata che ti allungava la vita. Oggi,
uno studio coordinato dalla Sydney Medical School e
pubblicato dal British Journal of Sport Medicine ci informa che se vuoi campare a lungo in vece di telefonare
devi giocare a tennis: dimezza il rischio di morte, più
efficacemente del nuoto e del ciclismo, comunque più
benefici di calcio, rugby e la corsa.
I ricercatori hanno analizzato undici diversi studi effettuati tra il 1994 e il 2008 in Inghilterra e Scozia, su un
campione di oltre 80mila persone di età media 52 anni
che avevano descritto le proprie abitudini sportive, concentrandosi sulle attività più popolari emerse: sport di
`racchetta´ (tennis, squash, badmington), nuoto, aerobica, lavori di casa pesanti, camminata, calcio e rugby,
corsa. Ogni soggetto coinvolto è stato poi seguito per
nove anni, periodo durante il quale ci sono state circa
10mila morti.
In generale, confrontato con la quota di soggetti che
non facevano attività sportiva, il rischio di morte è risultato minore del 47% per chi praticava sport di racchetta, del 28% per i nuotatori, del 27% per chi pratica
le attività aerobiche in palestra, danza compresa, e del
15% fra i ciclisti. Per quanto riguarda invece la morte per problemi cardiovascolari lo studio ha rilevato un
rischio minore del 56% per i tennisti, del 41% per i
nuotatori e del 36% per chi pratica aerobica.
Nessun beneficio statisticamente significativo è stato
individuato invece per chi corre o fa calcio, anche se
secondo gli stessi autori altri studi hanno invece trovato
effetti positivi anche per queste discipline. Questi risultati in ogni caso dimostrano che praticare uno sport può
avere grandi benefici per la salute di ciascuno di noi.
Gobba da sms e gomito da cellulare
Dopo il «pollice da BlackBerry», una lesione da sforzo ripetuto che prende il nome da uno dei primi telefonini dotato
di tastiera, è annunciata la gobba da sms e anche il gomito
da cellulare, una sindrome da tunnel cubitale causata dalla
postura durante le lunghe telefonate. I tendini e le articolazioni di dita, polsi e gomiti, ma anche le vertebre cervicali,
sono vulnerabili, ecco che i danni provocati da un uso eccessivo del cellulare vanno ben oltre l’affaticamento visivo.
Anche se va rilevato che tra gli under 40 dal 2005, quando
a soffrirne erano oltre un miliardo di persone, al 2015 la
presbiopia è raddoppiata.
Come con la diffusione del personal computer avevamo anche
imparato quale fosse la più corretta posizione da adottare per
la schiena, il collo e i polsi, oggi a meritare la nostra attenzione
sono nuovi gesti legati ai più recenti dispositivi elettronici.
Da tempo ormai si cercano di capire le conseguenze del
mantenimento protratto di una postura scorretta legata
all’uso degli smartphone. Gli occhi fissi sullo schermo, il
volto chino e le spalle piegate in avanti, sottopongono le
nostre vertebre a dei carichi inimmaginabili. Uno studio ha
calcolato a quale stress la spina dorsale viene sottoposta
al variare dell’inclinazione del capo. Quando guardiamo in
avanti, assumendo una posizione eretta e rilassata, il collo
sostiene il peso del nostro capo (4-5 kg). Ma una flessione
in avanti di 30 gradi circa equivale ad un peso di 18 chili.
Anche i tablet richiedono una flessione in avanti di testa e
collo e ciò può causare dolore. Adottare soluzioni ergonomiche specifiche per ciascun dispositivo tecnologico diventa sempre più urgente per le nuove generazioni anche in
virtù dell’introduzione nella didattica di risorse digitali fin
dalla più tenera età, quando l’organismo sta crescendo e
manca la consapevolezza posturale tipica dell’età adulta.
Ad essere modificata dall’uso degli smartphone è anche la
nostra postura dinamica: quando armeggiamo con il cellulare finiamo per camminare in modo diverso.
A tutto questo si aggiungo gli inestetismi o presunti tali.
Gli studiosi lo chiamano tech neck e indica un collo rugoso
in anticipo sull’età, dove siano comparse le tipiche pieghe
chiamate “collane di venere” (o meno simpaticamente
“collo di tacchino”). Alle rughe orizzontali precoci si accompagna spesso un mento rilassato, vittima della gravità.
E per finire, prendiamo atto che al pari di maniglie, tastiere,
pulsanti, telecomandi, anche il telefono è contaminato da
un gran numero di batteri. Uno studio dell’Università dell’Arizona, rileverebbe che la tavoletta del wc ospita un decimo
dei batteri che si trovano sul cellulare. Forse è bene ricordarsene ogni volta che il nostro cellulare è appoggiato
accanto a posate e pietanze, o fra cuscini e lenzuola.
Ritorna il rischio di scorbuto
Lo scorbuto, una grave carenza di vitamina C che in passato colpiva i marinai, torna nei Paesi ricchi, complice la
cattiva alimentazione. Un gruppo di ricercatori australiani
ha recentemente descritto su Diabetic Medicine 11 casi,
diagnosticati in pazienti diabetici la cui dieta era particolarmente povera di frutta e verdura.
E in occidente ci sono casi descritti, oltre che fra le persone in condizioni di particolare disagio sociale in cui il
fenomeno è noto, anche in fasce di popolazione benestante, tra chi segue diete o stili alimentari molto squilibrati: bastano infatti 3 mesi di mancanza di vitamina C
per sviluppare la malattia.
In Francia nel centro ospedaliero universitario di Limoges,
in uno studio diretto da Simon Parreau, su 63 pazienti
con carenza di vitamina C ben 10 avevano lo scorbuto,
malattia che può anche portare alla morte. L’organismo
umano non riesce né a produrre né a stoccare l’acido
ascorbico, essenziale alla vita. La mancanza di questa vitamina può portare a emorragie e problemi di cicatrizzazione. Serve inoltre a sostenere il sistema immunitario, a
permettere l’assorbimento del ferro e ha azione antiossidante.
Popolazioni come gli esquimesi, che non hanno accesso
a frutta e verdura fresche, hanno superato il problema
grazie ad animali marini le cui ghiandole surrenali producono acido ascorbico.
gennaio 2017 La Rivista - 75
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Motori
di Graziano Guerra
Alfa Romeo Giulietta Veloce - Fatta per emozionare
L’espressione più evoluta
dello stile Made in Italy
È disponibile nei tre allestimenti “Giulietta”, “Giulietta Super” e “Giulietta Veloce”, un pack specifico Veloce e sette
motorizzazioni. Da segnalare il turbodiesel 1.6 JTD da 120
CV, abbinato all’innovativo cambio automatico Alfa TCT, e
agli utilissimi servizi Uconnect LIVE. In test, rigorosamente
Rosso Competizione, la Veloce 1750 turbo da 240 CV automatica TCT. Giulietta è stata ottimizzata per consentire all’automobilista più esigente una scelta più immediata e semplice
della versione che più risponde ai propri gusti ed esigenze.
Giulietta Veloce appartiene al mondo leggendario delle più
sportive, ha uno spiccato familiy feeling con Giulia ed è dedicata a chi si aspetta le più autentiche emozioni. Il frontale
propone un’inedita calandra e il leggendario trilobo, forse la
firma più famosa e riconoscibile nel mondo dell’auto. L’estetica si avvale di proiettori bruniti, nuovi inserti sui paraurti,
inediti cerchi in lega e terminali di scarico obliqui. La versione
più sportiva della gamma, presenta una caratterizzazione ancora più marcata, grazie ai nuovi paraurti sportivi con profili
Rosso Alfa, ai nuovi proiettori con trattamento carbon look,
la finitura antracite lucida su calotte degli specchi, maniglie
e cornice della calandra e dei fendinebbia. A un esclusivo
“abito” sportivo corrisponde un ambiente curato in ogni
dettaglio. Lo dimostrano gli interni, dove spiccano i nuovi
sedili sportivi con poggiatesta integrato rivestiti di pelle e
Alcantara, impreziositi da cuciture rosse a contrasto e dalla
scritta “Alfa Romeo” sui poggiatesta. Di serie ha pure il vo-
lante tagliato sportivo in pelle con cuciture rosse a contrasto,
il contorno plancia e i pannelli porta caratterizzati da una
finitura carbon look, e inserti in grigio opaco.
Sistema Uconnect con i nuovi servizi Live
Al centro della plancia s’inserisce l’innovativo dispositivo multimediale Uconnect con touch-screen, con Bluetooth, connettore Aux-in, porta USB, comandi vocali, SMS Reader e
radio digitale DAB+. Su Nuova Giulietta debuttano i servizi
Uconnect LIVE, che tramite il proprio smartphone consentono di essere sempre connessi mentre si guida.
Gamma completa e razionale per una buona scelta
In Svizzera la gamma della Nuova Giulietta si compone di tre
allestimenti (Giulietta, Giulietta Super e Giulietta Veloce), un
pack specifico Veloce e sette motori-turbo, quattro a benzina
e tre diesel. Si potrà scegliere tra undici colori di carrozzeria
(nuovi: Bianco Alfa e Grigio Lipari), dieci diversi cerchi in lega
- un nuovo design per ciascuna taglia - e i pacchetti Comfort
e Visibility. I prezzi partono da 23’800.- (vettura in test, accessoriata top, 49’100.-).
gennaio 2017 La Rivista - 77
Renault Megane
Grandtour GT
Proporzioni equilibrate e un design
dalla personalità spiccata
È stata eletta Auto Svizzera dell’anno 2017, e della nuova
Renault Megane il “vostro” ha potuto guidare la Grandtour
da 205 CV. Si tratta di una familiare dinamica, ha quattro
ruote sterzanti e associa un design sportivo a un grande
bagagliaio. L’importante lavoro realizzato sulle sospensioni e sull’insonorizzazione aumenta le qualità del compor-
tamento stradale. Il piacere di guida nell’uso quotidiano
raggiunge un livello eccellente grazie al cambio a doppia
frizione e all’ottima ergonomia del posto di guida. Tutte
le prestazioni, dagli schermi alla consolle centrale, sono a
portata di mano. Grandtour GT è la prima station wagon
del segmento C a beneficiare della tecnologia 4CONTROL,
che gestisce la sterzata delle ruote posteriori e conferisce
dinamismo e precisione su strade sinuose. Quattro le modalità di guida: Sport, Neutro, Comfort e Personalizzato.
Offre una guida connessa grazie a R-LINK 2; Head-up a colori e dispositivi di assistenza alla guida ADAS. Accessibili e
attivabili dal Tablet R-Link 2: regolatore di velocità adattivo
(ACC), frenata di emergenza attiva (AEBS), allarme per superamento della linea di carreggiata (LDW), allarme distanza di sicurezza (DW), allarme superamento limiti di velocità
con riconoscimento della segnaletica (OSP con TSR), sistema di sorveglianza dell’angolo morto (BSW), parking camera, commutazione automatica abbaglianti/anabbaglianti
(AHL), sensori di parcheggio anteriori, posteriori, laterali e
parcheggio automatico. Dati tecnici: 205 cv e 280 Nm di
coppia disponibile da 2.400 g/min; questo propulsore 1.6
turbo benzina, parametrato per la versione GT da Renault
Sport, offre riprese incisive. Emissioni e consumi dichiarati:
CO2 134 g/km - 6 l/100 km. In concessionaria negli allestimenti Life, Bose, Zen e GT, è disponibile pure con i motori
Energy a benzina TCe da 100 e 130 CV, e diesel dCi da 110
e 130 CV. In listino – prezzi base - da CHF 21’200 a 32’800.
Mercedes Classe V 250 4M Exclusive
Van a 6 posti extra lusso - Prezioso in condizioni stradali difficili Proprietari di alberghi e imprenditori nei trasporti, occhio ...
Il pregiato abitacolo della Classe V(ow) è diventato in un
lampo uno dei miei luoghi preferiti, non solo per la plancia
ben curata e i materiali di prima qualità. Il tetto panoramico
mette allegria con più luce e più aria. Le bibite si prendono
da ripostigli termici, o dal frigobox. In notturna l’illuminazione crea un’atmosfera unica. Ovviamente la Classe V(ip)
ha praticamente tutto per l’intrattenimento e l’informazione. Quanto carburante c’è nel serbatoio? Quanto costerà il
prossimo intervento di manutenzione? Ho chiuso il veicolo?
A queste domande risponde “Mercedes me connect”, registrarsi richiede poche operazioni. Il collegamento tra veicolo
e conto utente si fa dal concessionario. Dopo l’attivazione
è possibile comandare le funzioni da smartphone, tablet
o PC. I sistemi Intelligent Drive (regolazione autonoma di
distanza, Intelligent Light System con tecnologia LED, Collision Prevention Assist, e due pacchetti a richiesta con sistema di assistenza al parcheggio attivo e telecamera per la
retromarcia assistita o – esclusiva per il segmento – telecamera a 360°) offrono supporto e permettono di guidare in
78 - La Rivista gennaio 2017
sicurezza e relax. La trazione integrale permanente 4MATIC
accresce la dinamica di marcia e migliora il comportamento.
Con l’aiuto del sistema elettronico 4ETS è possibile frenare le ruote con trazione insufficiente; allo stesso tempo la
coppia motrice è trasmessa alle ruote con buona aderenza.
4MATIC non aumenta l’altezza della vettura, quindi, si accede ai garage sotterranei. La versione in test, da 190 CV e
440 Nm di coppia, è brillante in ripresa, con una potenza
paragonabile a un 6 cilindri e i consumi di un 4 cilindri. La
tecnologia Overtorque fornisce 14 CV e 40 Nm in più, ad
esempio per le manovre di sorpasso. La 4MATIC accelera da
0 a 100 km/h in 10,6 secondi. Rispetta la norma sui gas di
scarico Euro 6. Prezzo base del veicolo in test CHF 95’899.-.
Classe V parte in listino da CHF 50’600 (V200 d).
Nissan Futures 2.0
I veicoli a guida autonoma
contribuiranno con 17 trilioni
di euro all’economia europea
entro il 2050
Il reale impatto economico e sociale dei veicoli a guida
autonoma sulle strade europee emerge per la prima volta
dai risultati di uno studio commissionato da Nissan, uno
dei più vasti e completi mai realizzato sull’argomento.
“Liberare le strade: definire il futuro delle auto a guida
Il calendario Pirelli 2017
The Cal 2017 è stato realizzato da Peter Lindbergh, uno dei più affermati fotografi a livello internazionale. Il maestro tedesco è l’unico a essere stato
chiamato a realizzare il Calendario Pirelli per la terza
volta. “In un’epoca in cui le donne sono rappresentate dai media e ovunque come ambasciatrici di
perfezione e bellezza, ho pensato fosse importante
ricordare a tutti che c’è una bellezza diversa, più
reale, autentica e non manipolata dalla pubblicità
o da altro. Una bellezza che parla di individualità,
del coraggio di essere se stessi e di sensibilità”, ha
spiegato il fotografo. Il titolo “Emotional” scelto
da Lindbergh vuole sottolineare come l’intento dei
suoi scatti sia stato quello “di realizzare un Calendario non sui corpi perfetti, ma sulla sensibilità e
sull’emozione, spogliando l’anima dei soggetti, che
diventano quindi più nudi del nudo” . Per rappresentare la sua idea di naturale bellezza e femminilità
Lindbergh ha ritratto 14 attrici di fama internazionale: Jessica Chastain, Penelope Cruz, Nicole Kidman, Rooney Mara, Helen Mirren, Julianne Moore,
autonoma” è un report indipendente elaborato dal think
tank Policy Network su incarico di Nissan Europa per analizzare le opportunità sociali ed economiche offerte dalle
tecnologie di guida autonoma. La ricerca si è concentrata su Italia, Germania, Spagna, Regno Unito, Francia e
Norvegia, esaminando le questioni critiche del dibattito
politico intorno ai veicoli a guida autonoma e valutando il possibile impatto economico per l’intera regione. La
nuova analisi economica indipendente rivela che i veicoli
a guida autonoma incrementeranno dello 0,15% il tasso
di crescita annuo europeo nei prossimi decenni. Ne consegue un aumento complessivo del PIL europeo (UE-28) del
5,3% nel 2050 rispetto ai valori attuali. Nel 2050, i veicoli
a guida autonoma avranno contribuito ad un aumento
del PIL europeo per un totale di 17 trilioni di euro. Il 58%
degli intervistati ritiene che una maggiore mobilità sia il
principale vantaggio dei veicoli a guida autonoma. Oltre
la metà degli intervistati (52%) ritiene che la guida autonoma contribuirà a ridurre il numero di incidenti provocati
da errori umani. Quattro persone su cinque (81%) dichiarano di svolgere più di un’attività mentre guidano. Non
sorprende quindi che il 50% degli intervistati ritenga che
il principale vantaggio dei veicoli a guida autonoma nella
vita quotidiana sarà poter fare altro durante la guida. Un
intervistato su quattro (23%) si dichiara intenzionato ad
acquistare un’auto a guida autonoma nei prossimi 5 anni.
Lupita Nyong’o, Charlotte Rampling, Lea Seydoux,
Uma Thurman, Alicia Vikander, Kate Winslet, Robin
Wright, Zhang Ziyi. Alle attrici ha inoltre affiancato
Anastasia Ignatova, docente di Teoria Politica presso la MGIMO, l’Università Statale di Mosca per le
Relazioni Internazionali.
gennaio 2017 La Rivista - 79
Fiat 500X MY2017
Paradigma nel segmento
Con motori a benzina e gasolio - potenze da 120 a 170 CV - e
contenuti d’eccellenza in termini di tecnica, tecnologia, e sicurezza attiva e passiva, la rinnovata 500X rappresenta un paradigma nel suo segmento. Cross è la declinazione Off Road,
con paraurti specifici e scudi di protezione, si può scegliere fra
la trazione 4x2 o 4x4, mentre gli allestimenti Pop, Popstar e
Lounge rappresentano le espressioni metropolitane del crossover compatto Fiat. La nuova parte in listino da 18’990 CHF.
Novità interessante è il nuovo 1.6 MultiJet 120 CV con cambio
automatico a doppia frizione DCT per gli allestimenti City-Look e Off Road Look. La gamma motori - tutti Euro 6 - soddisfa
ogni esigenza. L’innovativa trazione integrale massimizza il
rapporto tra prestazioni e consumi con la funzione disconnect
che, quando non necessario, disinserisce il 4x4.
La 100millesima Maserati è una Quattroporte
GranSport MY17 Prodotta nello stabilimento Avv. Giovanni Agnelli di
Grugliasco è destinata alla Cina
Dotata del 3.0 litri V6 Twin-Turbo da 350 cavalli realizzato
dalla Ferrari, la speciale Quattroporte è destinata alla Cina,
mercato strategico per Maserati e di primaria importanza per
l’ammiraglia del Tridente. Alfredo Altavilla, Chief Operating
Officer della Regione EMEA di FCA, ha ringraziato tutte le
donne e gli uomini dello stabilimento Avv. Giovanni Agnelli
Plant, che hanno reso possibile il raggiungimento dell’importante traguardo. “Il rilancio Maserati è stata una delle grandi
novità del mondo Premium; la sesta generazione dell’ammiraglia del Tridente, nata qui a Grugliasco, è la Quattroporte
più venduta di sempre, la Ghibli prodotta qui si sta avvicinando alle 70.000 unità uscite dalla linea di produzione e questo
significa che in poco più di tre anni è diventata la Maserati
di maggior successo di tutti i tempi” ha commentato il CEO
Altavilla. “Ora con Levante il Brand è entrato nel mondo SUV
LaFerrari
7 milioni per il centro Italia
Daytona Beach, Florida – Nel corso della serata di gala delle
Finali Mondiali, un esemplare unico de LaFerrari è stato aggiudicato per 7 milioni di dollari, vero e proprio record per
una vettura del 21esimo secolo venduta all’incanto, nell’asta
organizzata da RM Sotheby’s in collaborazione con la National Italian American Foundation. Tutto il ricavato dell’asta
sarà destinato a un progetto di ricostruzione nelle zone del
centro Italia recentemente colpite dal sisma. La decisione di
donare una LaFerrari di proprietà de Cavallino Rampante per
80 - La Rivista gennaio 2017
e lo “spirito Maserati” ha varcato anche la soglia di Mirafiori, dove Levante è prodotto. Maserati, oltre agli stabilimenti
AGAP di Grugliasco e Mirafiori di Torino, ha un terzo sito
produttivo nella storica sede di Viale Ciro Menotti a Modena,
dove si realizzano le sportive GranTurismo e GranCabrio.
questa nobile causa era stata annunciata lo scorso 31 agosto dallo stesso presidente Sergio Marchionne nel corso del
vertice bilaterale Italia-Germania, tra il premier Matteo Renzi
e la cancelliera Angela Merkel, tenutosi nella sede Ferrari a
Maranello. La Ferrari aggiudicata da un cliente che ha richiesto di restare anonimo vanta una livrea unica con un tema
decisamente italiano: rosso il colore della carrozzeria, con una
linea bianca che attraversa il cofano e il parabrezza posteriore. Una piccola bandiera tricolore sul cofano ricorda come
questo modello sia un dono della Ferrari per il proprio Paese.
La vettura avrà inoltre una speciale targa commemorativa.
Mondo in Camera
Swisstech & Prodex ‘16
Contatti Commerciali
A Zurigo l’aperitivo
natalizio in Camera
Benvenuto ai nuovi soci
Wine Christmas, Cocktail
di CCIS al Ristorante
Ciani di Lugano
Servizi Camerali
Swisstech &
Prodex ‘16
Dal 15 al 18 novembre
2016 la Camera di Commercio Italiana per la
Svizzera ha preso parte
alle fiere internazionali
«Swisstech» e «Prodex»
a Basilea
La prima riguardante la subfornitura
e la meccanica di precisione, mentre la seconda le macchine utensili
per la fabbricazione industriale.
Durante i quattro giorni fieristici
Messe Basel, con più di 770 espositori, ha accolto complessivamente oltre 50000 visitatori, tra
aziende, esperti del settore e stu-
Le aziende presenti
• ANDREOLI & C. SRL - www.andreolisrl.com
Settore: realizzazione di componenti per prototipi e
piccole produzioni di particolari metallici in lamiera e
tubazioni.
denti interessati al comparto della
meccanica.
21 espositori, scelti con attenzione dalla Camera di Commercio
Italiana per la Svizzera, hanno
costituito Piazza Italia, un polo
interamente dedicato al knowhow tecnologico e alle soluzioni
innovative del nostro Paese. La
• FRATELLI BARZON SRL - www.barzon-srl.com
Settore: minuteria tornita di precisione, componentistica
oleodinamica, piegatura di tubi metallici e saldatura.
• MMP TORNERIA SRL - www.mmptorneria.it
Settore: minuterie metalliche di precisione.
• CIEMME 80 SRL - www.ciemme80.it
Settore: tornitura fresatura di precisione.
• SCILLA MECCANICA SRL - www.scillameccanica.it
Settore: fonderia e lavorazioni meccaniche.
• COSMO 3 LAVORAZIONE METALLI SRL - www.cosmo3.it
Settore: lavorazione lamiera e taglio laser.
CAMSER:
www.camser.com
• EDDI BRESSAN DI BRESSAN MARCO & C. SAS - www.
eddibressan.it
Settore: meccanica di precisione.
• MILLTECH SRL - www.milltech.it
Settore: meccanica e micromeccanica di precisione,
fresatura e tornitura professionale.
• EXAGON COSTRUZIONI E SERVIZI SRL- www.exagoncs.com
Settore: energia, impianti di depurazione delle acque
e dissalazione, impianti chimici, impianti di produzione
alimentare, impianti siderurgici, impianti di produzione
di carta.
• OPTO 5 SRL - www.opto5.net
Settore: progettazione di sistemi ottici e di illuminazione
per applicazioni energetiche industriali, mediche,
scientifiche e solari.
• RUBBI SRL - www.rubbimeccainica.com
Settore: carpenteria meccanica di precisione.
82 - La Rivista gennaio 2017
piattaforma espositiva è stata
un’importante vetrina per le
ultime novità nell’ambito della
digitalizzazione, dell’automazione e della robotica industriale.
Le aziende italiane presenti hanno offerto un’ampia
gamma di componenti e di
lavorazioni industriali, che
spaziavano dalla bulloneria
alla fresatura e tornitura, dalla lavorazione di superfici alla
piegatura di tubi metallici.
Questo vasto assortimento ha
riscosso un notevole successo
tra l’esperto pubblico svizzero.
La fiera ha dato, inoltre, l’opportunità di creare ed intensificare le relazioni commerciali
italo-svizzere nell’ambito della
subfornitura e della meccanica, confermando ancora una
volta l’importante presenza
italiana in Svizzera.
LARIODESK:
www.lariodesk.it
• LARIOTECHNIK SRL - www.lariotechnik.it
Settore: fabbricazione parti per l’industria
automobilistica.
• O.M.B. SNC DI BONGIOVANNI & C. - www.
ombongiovanni.it
Settore: meccanica di precisione e produzione di
particolari a disegno.
UNINDUSTRIA BOLOGNA:
www.unindustria.bo.it
• 01 WIRING SRL - www.01wiring.com
Settore: automazioni elettriche ed elettroniche.
• BERARDI BULLONERIE SRL - www.gberardi.com
Settore: minuterie metalliche di precisione.
Un ringraziamento speciale va al
nostro partner Sapuri, per aver
arricchito l’atmosfera fieristica,
deliziandoci con specialità tipiche
siciliane.
Per maggiori informazioni:
www.swisstech-messe.ch
www.prodex.ch
www.sapuri.ch
Michela e Davide
• GALMAR SNC - www.galmar.net
Settore: elettromedicale, elettrodentale, packaging,
strumentazione, ferroviario, bancario, telecomunicazioni,
domotica, sicurezza, energia, navale.
• LUALMA ANODICA SRL - www.lualma.it
Settore: trattamenti estetici per le superfici in alluminio.
• RIVIT SRL - www.rivit.it
Settore: produzione e distribuzione di sistemi di fissaggio
rapidi per l’assemblaggio del metallo e relativi utensili
per la posa.
• S.T.A. SPA - www.sta-stampi.com
Settore: costruzione di stampi e stampaggio di lamiere.
• STUDIO TECNICO ZOCCA SRL - www.studiozocca.com
Settore: progettazione, analisi, calcolo, disegno e
costruzione di macchine e componenti per il settore
meccanico.
• CABLOTECH SRL - www.cablotech.com
Settore: cavi, cablaggi e quadristica.
gennaio 2017 La Rivista - 83
A Zurigo l’aperitivo
natalizio in Camera
L’aperitivo natalizio presso la splendida sede della
CCIS si è svolto mercoledì 14 dicembre 2016 in
un’atmosfera piacevole
ed allegra, dando l’opportunità ai i soci e amici
della CCIS di conoscersi
personalmente, intrecciare discussioni e scambiarsi opinioni private e
professionali.
84 - La Rivista gennaio 2017
Viziati dalle golose prelibatezze dell’azienda agricola F.lli Facchi, si è potuto gustare morbidissima mozzarella,
deliziosi salami ed una ricotta che si
scioglie in bocca. Senza parlare del
culatello (il preferito dalla Regina d’Inghilterra), il prosciutto profumato al
tartufo e le specialità preparate dal
Ristorante Maranello di Spreitenbach.
Dulcis in fundo un delizioso tiramisù
e l’irrinunciabile panettone con crema
pasticcera.
Oltre al consueto brindisi natalizio
con l’elegante spumante Franciacorta
Bellavista, distribuito esclusivamente dall’azienda vinicola Zanini, grazie
alla presenza della tenuta 2 Castelli,
rappresentata dalla Export Manager
Marta Dotta, gli ospiti hanno potuto
confrontarsi in una simpatica ed interessante degustazione di pregiati
vini veneti: dal Prosecco Superiore al
vino Rosso Bruno, vinificato nel nuovo
vigneto di proprietà della famiglia Zago-Gasparini .
Generosa l’offerta dell’azienda agricola Musumeci che ha messo a disposizione casse di ottime arance tarocco,
un tocco natalizio a sottolineare la tradizione per il nostro bel paese.
Il doveroso ringraziamento a tutti i partecipanti per il sostegno e la bella atmosfera è stata l’occasione per lo scambio
di auguri per un lieto Natale e un nuovo
anno carico di pace e solidarietà.
Wine
Christmas,
Cocktail di CCIS
al Ristorante Ciani
di Lugano
Al cocktail hanno partecipato una
quarantina fra soci ed amici che si
sono intrattenuti ben oltre l’orario
di chiusura previsto.
È stato un vero piacere vedere persone che non si conoscevano fra di loro entrare in
contatto e spendere tempo chiacchierando in cerca di nuove sinergie ma anche di un
momento di allegria e di condivisione.
Durante la serata, allietata fra l’altro dalla sommelière Oriana Crespi che ha spiegato quale vino è consigliabile abbinare al panettone, è intervenuto anche Domenico D’Albertis,
business coach, che si è messo a disposizione di coloro che desideravano sottoporgli
delle problematiche legate all’attività di management.
Questo momento d’incontro ha segnato una tappa importante per CCIS Lugano, poiché
Marina Bottinelli, che due anni fa ha aperto e gestito con successo l’ufficio, ha passato
il testimone a Fabio Franceschini che dal 1. di gennaio la sostituirà in veste di nuovo Responsabile. Dal 2017 Marina si occuperà di relazioni strategiche transfrontaliere in seno
a tutta CCIS.
Durante il suo breve discorso Fabio ha ringraziato tutti i nostri soci che ha definito l’”Ani-
ma della nostra Associazione”, senza dei
quali non sarebbe stato possibile realizzare tutto ciò che fino ad oggi abbiamo fatto
e senza i quali non sarebbe possibile ricevere tanti stimoli e motivazioni di crescita.
Per il 2017 CCIS ha in programma nuovi
incontri trimestrali che avranno sempre lo
scopo principale quello di far conoscere i
soci fra di loro e favorire lo scambio e l’interazione professionale.
Il Team di Lugano ha poi chiuso la serata
formulando i migliori auguri di Buone Feste a tutti i presenti.
gennaio 2017 La Rivista - 85
CONTATTI
COMMERCIALI
Dal mercato italiano
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86 - La Rivista gennaio 2017
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di Cartoceto (PU) Tel: +39 0721 8762.1 Fax:
+39 0721 897010
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LI.PA. S.r.l.
Via Castellani (angolo Via Mare Adriatico)
IT - 65010 SPOLTORE (PE)
Tel: +39 085 4971431
Fax: +39 085 4973170
E-mail: [email protected]
www.lipa-srl.it
Automazione industriale
Proteo Engineering srl
Via S. Vito 693
I – 41057 Spilamberto MO
Tel. 0039/059 789611
Fax 0039/ 059 789666
E-mail: [email protected]
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Stampi per pressofusione materie plastiche
SPM s.p.a.
Via Bargnani, 7
I - 25132 S.Eufemia BS
Tel: 0039/ 030 3363211
Fax: 0039/030 3363226
E-mail: [email protected]
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SCHIAVETTI Lamerie forate srl
Viale della Vittoria 4
I – 15060 Stazzano AL
Tel. 0039/0143 607911
Fax 0039/0143 61297
E-mail: [email protected]
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Complementi di arredo urbano
SMEC
Via Vivaldi 30
I – 41019 Soliera MO
Tel. 0039/059 566612
Fax 0039/059 566999
E-mail: [email protected]
www.smec-onweb.it
Consulenza marketing settore cosmetica e lusso
Adamis Group Italia SRL
P.le delle Medaglie D’oro, 46
I – 00036 Roma
Tel: +39 06 43400123
E-mail: [email protected]
www.adamis.it
Per le richieste di cui sopra rivolgersi a:
Camera di Commercio Italiana per la Svizzera
Seestr. 123, casella postale, 8027 Zurigo
Tel. 044/289 23 23
Fax 044/201 53 57
e-mail: [email protected]
www.ccis.ch
Dal mercato svizzero
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Seestrasse 50a
CH-8280 Kreuzlingen
Tel +41 (0)71 686 8951 Fax +41 (0)71 686 8955
E-Mail: [email protected]
www.apollo-swiss-medical.ch
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Musk Collection Switzerland
Sihleggstrasse 23 CH-8832 Wollerau
TEL +41 (0)44 787 40 55 FAX +41 (0)44 787 40
59 [email protected]
www.musk.ch
Trasporti internazionali
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CH-6330 Cham
Tel:. +49 (0) 203 804-288
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Italiana per la Svizzera
Seestr. 123, casella postale, 8027 Zurigo
Tel. 044/289 23 23
Fax 044/201 53 57
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CH-6600 MURALTO
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CH-1023 CRISSIER
TEL. +41 (0)21 637 42 71
FAX +41 (0)21 637 42 79
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RUE DU CENTRE 71
CH-1025 ST-SULPICE
TEL. +41 (0)76 324 17 04
[email protected]
gennaio 2017 La Rivista - 87
Sede Lugano
Via Nassa 5CH-6900 Lugano
Tel: +41 (0)91 924 02 32
Fax: +41 (0)91 924 02 33
E-Mail: [email protected]
Sede Zurigo
Seestrasse 123CH-8027 Zurich
Tel: +41 (0)44 289 23 23
Fax: +41 (0)44 201 53 57
E-Mail: [email protected]
Servizi
Camerali
Sede Ginevra
12-14 rue du Cendrier CH-1211 Ginevra 1
Tel: +41 (0)22 906 85 95
Fax: +41 (0)22 906 85 99
E-Mail: [email protected]
La CCIS (Camera di Commercio Italiana per la Svizzera) è l’hub di riferimento in Svizzera per imprese medie
e piccole, grandi aziende e marchi del Made in Italy, consorzi, associazioni di categoria ed enti pubblici che
abbiano l’obiettivo di accrescere la presenza economica italiana in Svizzera. Fondata nel 1909 la Camera
appartiene alla rete delle Camere di Commercio Italiane all’Estero, riconosciute dal Governo italiano quali
strumenti di promozione del Made in Italy nel Mondo e suscitatrici di opportunità e investimenti delle imprese
dei paesi in cui operano verso il mercato italiano.
La CCIS assiste con i suoi servizi tutti i soggetti
svizzeri e italiani coinvolti negli scambi economici tra
Italia, Svizzera e Liechtenstein.
La gamma dei suoi servizi è ampia e strategicamente
strutturata in aree tematiche:
Esportazioni
- Ricerca buyers/clienti
- Consulenza fiscale (rappresentanza fiscale e
recupero dell’iva italiana, svizzera e tedesca)
- Consulenza di natura commerciale e doganale
- Export & Investment Desk - Dalla Svizzera nel
mondo
- Informazioni finanziarie e legate alla solvibilità dei
partner (visure, rapporti commerciali, ecc.)
- Organizzazione di degustazioni, workshops ed
eventi
- Realizzazione di delegazioni ed export strikes
(visite presso buyers svizzeri)
- Organizzazione ed accompagnamento di espositori
italiani a fiere svizzere e di visitatori elvetici a fiere
italiane
- Organizzazione di seminari ed incontri di affari
- Focus settoriali
88 - La Rivista gennaio 2017
Investimenti
- Apertura di un’attività
- Investire nella ristorazione
- Appalti pubblici in Svizzera
- Attività di M&A e di Corporate Finance
Comunicazione e promozione turistica
La Rivista, magazine mensile in lingua italiana, e
www.go-italy.ch, portale bilingue, in italiano tedesco,
per l’italianità in movimento
Corsi
- Corsi per professionisti e semplici appassionati
- Corsi per sommelier in lingua italiana
Altro
- Recupero Crediti
- Ricerca di dati statistici
- Traduzioni ed interpretariato
- Agevolazioni speciali per i soci
I settori di punta
Agroalimentare, Industria elettromeccanica, Sistema
Casa, Sistema Moda, Innovazione tecnologica e
Start-up, Turismo, Pubblicità e Comunicazione
Soprendi i tuoi ospiti
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Anno 108 - n. 1 - Gennaio 2017
H
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B
A
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T
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50° Rapporto Censis sulla
situazione sociale del Paese
In crisi la funzione cerniera delle
istituzioni tra politica e società
Intervista con Pippo Pollina
Un anno dopo o giù di lì
P E R F O R M A N C E
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La Rivista Anno 108 - n.1 - Gennaio 2017
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