La“cittàd`autore” affronta il dopo Lee Kuan Yew
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La“cittàd`autore” affronta il dopo Lee Kuan Yew
109-111 Singapore Ursic_Layout 1 10/12/13 16:25 Pagina 109 SINGAPORE La “città d’autore” affronta il dopo Lee Kuan Yew L’inevitabile addio al fondatore 90enne si avvicina. È un’opportunità e un rischio per la più feroce delle Tigri asiatiche C inquant’anni fa, Singapore era poco più di un villaggio di pescatori appena abbandonato dagli inglesi e sulla via dell’espulsione dalla Malaysia. L’esponenziale crescita da minuscolo territorio equatoriale a “Svizzera asiatica” è il prodotto di mezzo secolo di guida dell’ex Premier Lee Kuan Yew e del suo autoritarismo improntato all’efficienza. Il “padre di Singapore” ha però appena compiuto RAINER UNKEL/REA/CONTRASTO di Alessandro Ursic 90 anni, evidenziando un progressivo indebolimento. E mentre un dibattito nazionale sulla sua eredità ancora manca, la ricca città-stato si sta scoprendo sempre più insicura. Un Pil che cresce del 3% e il settimo più alto Pil pro capite al mondo (61mila dollari) sono dati illusori. Molti dei 5,3 milioni di abitanti (per tre quarti di etnia cinese) sentono che la direzione non è più quella giusta. Parte di quest’angoscia è la stessa di altre società sviluppate, alle prese con l’impoverimento relativo della classe media e l’aumento del costo della vita. Ma a Singapore, un’isola grande come la metà del comune di Roma e senza risorse naturali, il malcontento popolare porta con sé mille dubbi sulla sostenibilità del “modello Lee” da parte del suo “Partito di azione popolare” (Pap), al potere dall’indipendenza. Il “modello” era quello di un Paese che si sviluppava grazie al duro lavoro, all’assenza numero 51 gennaio/febbraio 2014 109 109-111 Singapore Ursic_Layout 1 13/12/13 16:28 Pagina 110 SINGAPORE u Skyline notturno del quartiere finanziario di Singapore, la “Svizzera asiatica”. 110 di corruzione e alla disciplina sotto l’occhio illuminato di Lee, un leader che coniugava dinamismo asiatico e pragmatismo britannico, paternalismo benevolo e facilità nel fare business. Poca ideologia, tanto buon senso. Il lato oscuro di Singapore era la costante stretta sui diritti umani, con la persecuzione del dissenso e dei rivali politici; ancora oggi, nella classifica di “Reporter senza frontiere” sulla libertà di stampa, il Paese è al 149° posto su 179. Il contratto sociale però funzionava. In sostanza, alla popolazione veniva detto: “Dovete cooperare con noi. Ciò significa che non potete seccarci con critiche o richieste di diritti democratici. [...] L’unica attività politica che vi è concessa capita ogni cinque anni, quando andate a votare. Fatelo con responsabilità, vale a dire per il partito che meglio vi serve. Se diventeremo incompetenti e corrotti, ci darete un meritato calcio nel sedere. Ma se sgarrerete e creerete east global geopolitics 109-111 Singapore Ursic_Layout 1 13/12/13 16:28 Pagina 111 REUTERS/CONTRASTO/CALVIN WONG SINGAPORE \ L’ex Primo Ministro Lee Kuan Yew, durante le celebrazioni per il quarantasettesimo anno di indipendenza della città-stato. problemi, per il bene di Singapore vi colpiremo duro”, ha scritto Catherine Lim, autrice di romanzi e lucida commentatrice politica. Nelle elezioni del 2011 sono stati però gli elettori a punire il partito di governo. Il Pap ha conquistato comunque 81 seggi su 87, ma ricevendo solo il 60% dei voti: il suo peggiore risultato di sempre. In risposta Lee ha abbandonato la politica. “Avrebbe dovuto farlo già negli anni Ottanta. Da allora ha smesso di avere buone idee”, spiega Michael Barr, professore alla Flinders University e autore del libro The Ruling Elite of Singapore: Networks of Power and Influence, appena pubblicato. Premier dal 1959 al 1990, dalla sua posizione di “Ministro mentore” Lee conservava comunque un’enorme influenza, tanto più che dal 2004 il Premier è il figlio Lee Hsien Loong. Il malcontento covava da anni. La crescita dell’immigrazione, voluta per contrastare un tasso di natalità sceso a 1,3 figli per donna, ha contribuito a tenere basse le retribuzioni e a far impennare il prezzo degli immobili. Le infrastrutture non hanno tenuto il passo, i servizi hanno perso efficienza, la xenofobia è in aumento. Al contempo, Internet ha reso impraticabile un controllo ferreo del dissenso e dello scambio di idee, e le nuove generazioni hanno perso quel timore reverenziale verso l’anzianità e il merito. “Il paradosso è che un uomo dall’ammirevole preveggenza non sia riuscito a capire, prima che fosse troppo tardi, l’irrilevanza del modello per una nuova generazione di singaporeani più sofisticati, più esposti al resto del mondo e meglio istruiti”, aggiunge la Lim. Quanto dell’attuale situazione è il prodotto, magari involontario, del fondatore? In patria, l’argomento rimane tabù. “Non posso commentare, per noi è troppo pericoloso parlare di Lee Kuan Yew”, ammette un analista di un gruppo di consulenza con sede nella città-stato. Kirsten Han, una delle social blogger emergenti, vede invece nell’apatia nazionale un chiaro lascito numero 51 gennaio/febbraio 2014 di Lee: “La mentalità che ci ha inculcato, ora ci danneggia. Dopo anni di intimidazioni, dopo esserci sentiti dire che i cittadini non hanno posto in politica, ora non siamo maturi politicamente come dovremmo”, spiega. Un barlume di attivismo è però evidente. All’inizio del 2013 un “Libro bianco sulla popolazione”, nel quale si prevedeva un più 30% degli abitanti entro il 2030 per mantenere la crescita economica, ha toccato un nervo scoperto. Ma le proteste, in piazza e online, non hanno fatto cambiare idea al Pap, riportando d’attualità la sua distanza dai cittadini. Negli ultimi anni il governo ha cercato di venire incontro al sentimento popolare sul terreno dell’immigrazione, delle infrastrutture, del welfare per una società che invecchia in fretta. Ma andando sempre a rimorchio: il sintomo di una mancanza di visione del futuro. Mentre l’inevitabile addio al suo fondatore si avvicina, il Pap si trova così in una profonda crisi d’identità. Tornare al vecchio autoritarismo non è possibile. Fare della città-stato una piena democrazia comporta troppi rischi per burocrati dalla mentalità forgiata da decenni di “modello Lee”. C’è una visione lasciata dal “padre di Singapore”? “Sì: quella di uno Stato razzista, capitalista, elitario e materialista dove i Cinesi sono in cima e le altre razze rimangono subordinate. Difficile che i suoi successori abbiano la visione necessaria per cambiare la rotta”, aggiunge Barr. In vista del voto del 2016, intanto, l’opposizione del Partito dei lavoratori sembra avere l’inerzia dalla sua parte, anche se in pochi si spingono a prevedere una sua vittoria già fra tre anni. L’unica certezza è che, quando se ne andrà, Lee Kuan Yew porterà via con sé un’epoca irripetibile. Alessandro Ursic copre il Sud-Est asiatico, tra gli altri, per l’Ansa e la Stampa. A Bangkok dal 2008, in precedenza ha lavorato a PeaceReporter. 111