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FARMACOLOGIA
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
FARMACOCINETICA
V IE DI SOMMINISTRAZIONE DEI FARMACI
1.
Vie di somministrazione enterali dei farmaci
La farmacocinetica è quella parte della farmacologia che studia i meccanismi di:
1.
2.
3.
4.
Assorbimento: modalità in cui il farmaco entra nell’organismo.
Distribuzione: eventuale fuoriuscita del sangue dal torrente ematico e
distribuzione nei compartimenti dell’organismo.
Metabolismo: il farmaco viene metabolizzato e modificato da organi specifici quali
fegato, rene e altri tessuti grazie a processi di biotrasformazione.
Eliminazione: modalit{ con cui il farmaco lascia l’organismo.
La via di somministrazione di un farmaco può essere di 2 tipi: ENTERALE o PARENTERALE.
Di questi è possibile utilizzare sia vie NATURALI che ARTIFICIALI.
Le vie enterali sono tutte naturali.
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
VIA ORALE
È la via più complessa e prevede un assorbimento LENTO e IRREGOLARE. Ciò significa
che il passaggio del farmaco nel sangue è piuttosto lento a causa della necessità di
attraversare tutto il tratto gastro-enterico per poi giungere alla mucosa duodenale che
ha la massima capacità assorbente. Alcuni farmaci vengono assorbiti anche in piccole
quantità dalla mucosa gastrica. Inoltre il farmaco viene spesso somministrato sotto
forma di capsula e di conseguenza deve attraversare anche il processo di
disintegrazione, oltre a quelli di solubilizzazione ed assorbimento.
Viene definito irregolare in quanto non è possibile stabilire con esattezza l’entit{ delle
concentrazioni plasmatiche visto che esistono diversi fattori interferenti.
 Fattori fisico-chimici: salificazione, solvatazione, polimorfismo…
 Fattori di formulazione: soluzioni, sospensioni, capsule, compresse,
compresse protette e preparazioni a cessione ritardata. È evidente che un
farmaco dato in soluzione ha una cinetica più rapida visto che salta il passaggio
della disintegrazione della capsula. Esistono formulazioni capsulate per evitare
sia la liberazione a livello gastrico che induce danni, sia la distruzione del
principio da parte dei succhi gastrici..
 Fattori fisiologici: ripienezza gastrica (dopo un pasto abbondante il tempo di
svuotamento gastrico aumenta e il farmaco può essere esposto alle sostanze
lesive gastriche che lo rendono inutilizzabile), motilità intestinale (una motilità
eccessiva come nel caso della diarrea porta ad un’incapacit{ dell’utilizzo del
farmaco che viene eliminato senza essere assorbito. Caso opposto della scarsa
motilità in cui il farmaco resta per troppo tempo nel tubo digerente e può
causare danni), natura dei cibi ingeriti, vascolarizzazione (dove ci sono più
vasi maggiore sar{ l’assorbimento), secrezioni intestinali, circolo enteroepatico (ricircolo del farmaco una volta metabolizzato dal fegato verso
l’intestino attraverso la bile e nuovamente assorbito), effetto di primo
passaggio (evento che si verifica per il trasporto del farmaco assorbito verso il
fegato tramite il circolo portale e qui avviene una immediata modifica di parte
del farmaco assorbito che viene modificato. Anche la parete dell’intestino stesso
contribuisce all’effetto di primo passaggio visto che sulla mucosa sono
concentrati enzimi chiave nel metabolismo dei farmaci).
 Fattori clinici: interventi chirurgici (come resezioni intestinali che tolgono
parte del tubo digerente dall’assorbimento del farmaco), malattie infiammatorie
croniche intestinali, interazioni farmacologiche (come uso di antiacidi per
problemi gastrici).
VIA SUBLINGUALE
Si tratta di una modalità più rapida rispetto alla via orale in quanto il farmaco viene a
contatto con la mucosa sublinguale ed entra direttamente nel circolo capillare
penetrando nel sistema venoso. In questo modo si hanno vantaggi come l’eliminazione
dell’effetto di primo passaggio visto che vengono bypassati sia il filtro epatico che
intestinale e in più si evita che i succhi gastrici degradino il farmaco.
Non può essere usato nei casi di :
- Farmaco non assorbito dalla mucosa orale
- Farmaco che non si scioglie rapidamente in bocca
- Farmaco irritante o dal sapore molto sgradevole
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VIA RETTALE
Modalità di assorbimento lento e irregolare a causa di diversi fattori come lo stato di
riempimento dell’ampolla rettale, la superficie di assorbimento limitata e la possibile
irritabilità della mucosa rettale a contatto con certe sostanze.
In parte viene saltato il filtro epatico e i fenomeni di biotrasformazione visto che circa
il 50% del retto vede un drenaggio venoso da parte del plesso emorroidario che sfocia
nella cava inferiore. Può essere utile nei casi di farmaci antiemetici.
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2. Vie di somministrazione parenterali dei farmaci
Vengono utilizzate queste vie quando il farmaco è scarsamente assorbito dal tratto
gastrointestinale o per farmaci come l’insulina che sono altamente instabili
nell’apparato digerente.
VIE NATURALI
VIA TOPICA (CUTE INTEGRA E MUCOSE)
Questa modalità naturale determina un assorbimento nel complesso lento e irregolare.
Per quanto riguarda la cute lo strato corneo è una barriera difficile da superare per il farmaco
e di conseguenza impiegherà più tempo riuscendo maggiormente a penetrare nelle zone in cui
ci sono continuità sottocutanee come gli sbocchi delle ghiandole sebacee e sudoripare e i bulbi
piliferi. L’assorbimento può essere favorito da:
- Utilizzo di mezzi oleosi
- Riscaldamento della cute
- Bendaggio occlusivo
- Massaggio
- Ionoforesi.
Un esempio è il clotrimazolo utilizzato topicamente per la cura delle dermatofitosi.
Per quanto riguarda le mucose l’assorbimento è maggiore e in genere viene utilizzata questa
via quando si vogliono avere effetti localizzati, in alcuni casi tuttavia l’assorbimento è così
consistente che si sviluppano anche effetti sistemici. Anche qui l’assorbimento può essere
modificato cambiando la forma farmaceutica. Un esempio è l’atropina utilizzata in oculistica
per dilatare la pupilla.
VIA INALATORIA
Questa metodica naturale è utilizzata soprattutto per le patologie polmonari e bronchiali in
cui c’è necessit{ di raggiungimento di massima concentrazione del farmaco nella zona
interessata. Può essere suddivisa in 2 categorie in base al tipo di formulazione farmaceutica:
1) Gassoso: assorbimento molto rapido (quasi come la via endovenosa) grazie all’ampia
superficie alveolare di scambio con capacità delle particelle di entrare direttamente in
circolo. L’assorbimento è direttamente proporzionale alla pressione parziale del gas
nell’alveolo.
2) Aerosol: l’assorbimento è in genere rapido, anche se può modificarsi in base alla
dimensione delle particelle. Infatti le particelle troppo piccole vengono eliminate con
l’espirazione, quelle troppo grandi si bloccano.
VIA NASALE
Modalità raramente usata che può essere utile per somministrare desmopressina nei pazienti
con diabete insipido, calcitonina contro l’osteoporosi e con il farmaco d’abuso cocaina.
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VIE ARTIFICIALI
VIA ENDOVENOSA (EV)
Modalità di somministrazione più utilizzata e più efficace sicuramente a breve termine. Il
farmaco viene iniettato nel torrente venoso e raggiunge subito la concentrazione efficace,
viene saltato il passaggio dell’assorbimento. In più si possono monitorare accuratamente i
livelli circolanti di farmaco. Viene usata quando il farmaco è irritante per i tessuti e quando è
necessario somministrare grandi quantità di liquidi.
Chiaramente però ci sono dei possibili effetti collaterali come l’infezione (dovuta all’ingresso
di batteri nel sito di iniezione), tromboflebiti, embolia, reazioni anafilattiche ed emolisi
(dovuta al passaggio troppo veloce di concentrazioni di farmaco al plasma e ai tessuti).
VIA INTRAMUSCOLARE (IM)
Questa metodica viene usata se il farmaco è irritante per i tessuti, se l’iniezione è dolorosa.
Infatti in genere l’assorbimento è rapido, ma dipende comunque dalla solubilità del farmaco
nel LEC e dal flusso ematico locale. È infatti importante che il farmaco sia idrosolubile per
permettere una diffusione ottimale nel liquido interstiziale.
L’assorbimento può essere accelerato attraverso massaggi o riscaldamento della zona, oppure
può essere anche ritardato ad esempio somministrando al paziente dei vasocostrittori per
mantenere il farmaco in sede per più tempo ed evitare la distribuzione.
C’è il rischio di creare ematomi, ascessi sterili, necrosi ed eventualmente lesione di tronchi
nervosi.
VIA SOTTOCUTANEA
Stesse caratteristiche dell’intramuscolare con assorbimento leggermente più lento. È utile per
avere un assorbimento lento e prolungato. Tipico esempio di utilizzo in campo dentario con
somministrazione di lidocaina (anestetico) preceduto da adrenalina con lo scopo di
mantenere più a lungo il farmaco nel sito (vasocostrizione). Altri esempi sono le pompe
programmabili ad erogazione di insulina o le capsule di levonorgestrel.
Presenta gli stessi rischi della via IM.
VIA ENDOARTERIOSA
Utilizzata soprattutto in chemioterapia. È molto pericolosa perché viene bypassato il filtro
polmonare e secondariamente per il possibile spasmo muscolare della parete arteriosa
sollecitata dall’ago. Ha anche scopi diagnostici.
VIA ENDOCAVITARIA
Via utilizzata per raggiungere un sito altrimenti irragiungibile ad esempio via intratecale o
intraventricolare (amfotericina per curare la meningite). Anche intravitreale e intraarticolare.
VIA TRANSDERMICA
Utilizzata attraverso posizionamento di specifici cerotti che rilasciano in modo lento e
prolungato il farmaco a livello dermico. Tipico esempio della nitroglicerina.
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A SSORBIMENTO E DISTRIBUZIONE DEI FARMACI NELL ’ ORGANISMO
3. Passaggio dei farmaci attraverso le membrane cellulari
I farmaci una volta entrati
nell’organismo devono essere in
grado di penetrare all’interno del
torrente ematico e/o nei
compartimenti organici. Per fare ciò
devono essere assorbiti.
L’assorbimento per via endovenosa
è totale, quindi dipende dalla via di
somministrazione. In ogni caso il
farmaco si trova a dover
oltrepassare le membrane cellulari.
Le modalità di passaggio del farmaco attraverso le membrane biologiche sono 5:
1. Diffusione semplice
2. Filtrazione
3. Diffusione facilitata
4. Trasporto attivo
5. Endocitosi
DIFFUSIONE SEMPLICE
Si tratta del metodo più usato dalle particelle liposolubili che possono normalmente
attraversare la membrana cellulare seguendo un gradiente di concentrazione. Il meccanismo
non è saturabile e non è selettivo. È vantaggioso che il peso molecolare sia ridotto in modo da
favorire il passaggio a parità di liposolubilità. Segue la legge di Fick (la diffusione è
direttamente proporzionale alla differenza di concentrazione e alla superficie di separazione,
è invece inversamente proporzionale allo spessore della parete).
FILTRAZIONE
Si tratta del passaggio delle molecole idrosolubili attraverso le membrane. Esse sono
trasportate tramite dei canali ionici appropriati che effettuano il passaggio delle molecole
secondo gradiente di concentrazione, ma anche elettrico ed eventualmente idrostatico e/o
oncotico. Questa modalità vede la presenza di specie ioniche (elettroliti deboli) classificate
come acidi e basi deboli. Infatti molti farmaci sono presenti in tali forme e il loro stato
determina la possibilità del passaggio attraverso le membrane.
Infatti solo le forme indissociate possono attraversare le barriere biologiche.
I farmaci acidi (HA) liberano un H+ provocando la formazione di un anione carico (A-) per
formare:
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HA ↔ H++AAnche le basi deboli (BH+) possono liberare H+; tuttavia la forma protonata di un farmaco
basico di solito è carica e la perdita di un protone induce la formazione della base indissociata
(B):
BH ↔ H+ + B
Pertanto solo le forme HA e B saranno liposolubili e potranno passare attraverso la
membrana. Il rapporto tra le varie forme in un ambiente specifico è determinato da:
- pH della soluzione
- pKa dell’acido o della base. (Il pKa è la misura della forza di attrazione del protone
verso la molecola, gli acidi forti liberano subito il protone in soln ed hanno un pKa
molto basso, gli acidi deboli invece trattengono con più forza il protone ed hanno un
pKa più alto. Le basi funzionano in modo inverso per cui la base forte avrà una forza di
attrazione protonica maggiore ed avrà pKa alto, la base debole ha pKa basso perché
tende più facilmente a liberare il protone e a trasformarsi nella sua forma indissociata).
Pertanto il pH, il pKa e le concentrazioni relative delle specie elettrolitiche possono essere
messe in relazione attraverso la equazione di Henderson-Hasselbalch che afferma che:
pH = pKa + log (specie non protonata / specie protonata)
Per un acido: pH = pKa + log (A- / HA)
Per una base: pH = pKa + log (B / BH+)
Di conseguenza per avere la concentrazione della specie dissociata e indissociata si utilizza
questa equazione e il risultato sarà quindi dato in base logaritmica da (pH – pKa).
In questo modo è possibile sapere se in quel luogo il farmaco potrà attraversare le membrane
o se sarà in prevalenza ionizzato e quindi non efficace.
Se pH = pKa significa che la forma indissociata e quella ionizzata sono equivalenti.
Si raggiunge l’equilibrio di distribuzione quando la forma permeabile del farmaco raggiunge
un’uguale concentrazione in tutti i comparti dell’organismo.
Al variare del pH dei vari ambienti la forma indissociata resterà pressochè uguale, mentre la
forma ionizzata subirà drastiche variazioni in base al pH.
Pertanto si può dimostrare che gli acidi deboli tendono a restare indissociati a pH basso
mentre si dissociano a pH basico liberando il protone. È il caso dell’aspirina che per quanto
detto sopra risulta maggiormente permeabile a livello della mucosa gastrica.
Le basi deboli come la peptidina tendono a liberare il protone in ambiente basico e di
conseguenza proprio in abiente basico ci sarà prevalenza della base indissociata (B) e quindi
maggior permeabilità. È il caso della peptidina che quindi verrà maggiormente assorbita nel
duodeno a contatto con i bicarbonati della bile e del secreto pancreatico.
- Quando pH < pKa e perciò (pH – pKa) < 0 prevalgono le forme protonate HA e BH+
- Quando pH > pKa e perciò (pH – pKa) > 0 prevalgono le forme deprotonate A- e B
I Trasportatori sono di 2 tipi:
1. Trasportatori selettivi: specifici per peptidi, aminoacidi e zuccheri. In alcuni casi si
possono verificare dei fenomeni di competizione con i cibi (es L-DOPA).
2. Trasportatori scarsamente selettivi:
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

ABC: sfruttano l’energia proveniente dall’idrolisi di una molecola di ATP e fanno
parte quindi dei trasporti attivi effettuati contro gradiente di concentrazione
(es. glicoproteina P e proteine associate alla resistenza multifarmaco)
SLC: utilizzano l’energia elettrochimica generata da gradienti ionici e
responsabili del trasporto passivo facilitato.
DIFFUSIONE FACILITATA
Avviene attraverso la membrana fosfolipidica secondo gradiente di concentrazione ma non è
strettamente regolata da esso.
Si avvale di trasportatori proteici o carrier che permettono il passaggio di certe sostanze.
È un meccanismo saturabile, selettivo e antagonizzabile.
TRASPORTO ATTIVO
Trasporto contro gradiente di concentrazione che richiede la presenza di trasportatori
selettivi, antagonizzabili e saturabili.
ENDOCITOSI
Permette il passaggio di molecole anche molto voluminose ma solo se presenti recettori
specifici per proteine di trasporto.
Esistono poi diversi fattori fisici che influenzano l’assorbimento e sono:
1. Flusso sanguigno nel sito di assorbimento: maggiore è l’afflusso ematico e maggiore
sarà la capacità di passaggio del farmaco in circolo. Questo è uno dei parametri che
permettono una prevalenza dell’assorbimento intestinale rispetto a quello gastrico
visto che il primo è molto più vascolarizzato.
2. Superficie totale disponibile per l’assorbimento: maggiore nell’intestino e
determina un’ulteriore capacit{ assorbitiva.
3. Tempo di contatto con la superficie di assorbimento: se qualcosa determina un
transito molto veloce non è possibile l’assorbimento adeguato del farmaco, viceversa
qualsiasi elemento che ostacola il passaggio dallo stomaco all’intestino compromette
l’assorbimento. La stimolazione parasimpatica aumenta il transito e quella simpatica lo
riduce, così come un pasto abbondante.
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4. La distribuzione dei farmaci nell’organismo
La distribuzione di un farmaco è quel processo che consente alle molecole del farmaco di
passare dal torrente ematico ad uno dei compartimenti liquidi dell’individuo come il liquido
extracellulare o il liquido intracellulare (acqua corporea totale).
È un passaggio fondamentale che permette il contatto del farmaco con le strutture cellulari
bersaglio.
La distribuzione iniziale del farmaco non corrisponde necessariamente a quella finale e
inoltre il farmaco può distribuirsi preferenzialmente in un dato distretto dell’organismo ed
esercitarvi un effetto farmacologico, tossico o neutro.
Questo processo dipende da:
- Caratteristiche fisico-chimiche del farmaco: idrofilia / idrofobia
- Caratteristiche dei tessuti: flusso ematico, permeabilità capillare, grado di legame con le
proteine plasmatiche, massa, presenza di proteine di trasporto
- Caratteristiche del paziente: variabili fisiologiche / patologiche.
 STRUTTURA DEL FARMACO
È evidente che il farmaco liposolubile riesce ad attraversare senza problemi la parete capillare
passando tramite l’endotelio e la membrana basale.
Il farmaco idrosolubile ha una capacità di diffusione molto più limitata e anche una velocità
ridotta a causa dell’impossibilit{ di attraversare lo strato lipidico delle membrane, per questo
il passaggio può avvenire solo in presenza di pertugi o fenestrature di endotelio e membrana
basale. Quindi la struttura del farmaco è responsabile della permeabilità capillare, insieme
chiaramente alla struttura del capillare stesso.
 FLUSSO EMATICO
La gittata cardiaca distribuisce quantità non equivalenti di sangue in tutti i distretti.
Tipicamente la distribuzione all’encefalo, al rene e al fegato è molto maggiore che al tessuto
muscolare ed adiposo. Per questo il passaggio di un farmaco nel tessuto adiposo o in un
muscolo sarà molto più lento rispetto ad un farmaco diretto al cervello.
In questo contesto può avvenire anche il fenomeno della REDISTRIBUZIONE cioè il fatto che
inizialmente il farmaco si distribuisce velocemente nella sede molto vascolarizzata, poi si
disribuisce progressivamente alle altre zone meno vascolarizzate e determina una caduta
delle concentrazioni utili nel primo sito per avere l’effetto farmacologico.
È il caso dell’ipnosi immediata e breve da tiopental.
 PERMEABILITA’ CAPILLARE
I capillari sono dotati di un endotelio che poggia su una lamina basale. La struttura è diversa
in base ai vari distretti anatomici, infatti i capillari della milza e del fegato possiedono ampie
fenestrature endoteliali che espongono la membrana basale al flusso capillare direttamente e
per le molecole liposolubili è possibile instaurare velocemente una condizione di equilibrio.
I capillari cerebrali invece sono dotati della barriera emato-encefalica che consta di capillari
formati da cellule endoteliali ravvicinate e strette tra loro da giunzioni serrate non penetrabili.
Le molecole idrosolubili devono avere un trasportatore specifico altrimenti restano nel
capillare, le molecole liposolubili passano scindendosi nelle membrane endoteliali.
Durante meningite la barriera diventa più lassa e i farmaci possono passare raggiungendo così
concentrazioni significative.
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 GRADO DI LEGAME CON LE PROTEINE PLASMATICHE
I farmaci hanno la capacità di legarsi reversibilmente alle proteine plasmatiche ed in
particolare:
-
Albumina: proteina principale. Soprattutto per le molecole acide e idrofobe. Può essere
un legame a bassa capacità (1 molecola per 1 albumina) o alta capacità (varie molecole
per 1 albumina).
- Glicoproteina acida α1: in misura molto minore. Lega soprattutto le molecole basiche
Soltanto la quota libera è in grado di dare l’effetto farmacologico, quella legata è inattiva.
Il complesso farmaco + proteina è detto complesso farmacoproteico.
La quantità assoluta di farmaco legato è funzione della concentrazione, tuttavia la percentuale
di farmaco legato è costante per ciascun composto. In alcuni casi la proteina che lega il
farmaco può fungere da serbatoio, ad esempio se la quantità di farmaco libero decresce (per
escrezione o metabolismo) le proteine liberano la quota associata.
IL VOLUME DI DISTRIBUZIONE
Il volume di distribuzione è un volume ideale di liquido in cui il farmaco è disperso e in
specifico si definisce come il volume in cui il farmaco sarebbe distribuito se si trovasse
ovunque in una concentrazione uguale a quella plasmatica.
Il farmaco si distribuisce all’interno di compartimenti acquosi dell’organismo:
- Compartimento plasmatico: farmaco che non riesce ad oltrepassare l’endotelio e
resta tutto nel torrente ematico, in tal caso il volume di distribuzione è il 6% del
peso corporeo che per un uomo di 70 Kg significa 4 L. In genere si tratta di farmaci
ad alto PM o che si legano fortemente alle proteine plasmatiche (es eparina).
- Compartimento extracellulare: farmaco liposolubile che oltrepassa la parete
capillare ed entra nel LEC distribuendosi, in tal caso il volume rappresenta il 20%
dell’organismo e quindi 10 L. Si tratta di farmaci idrofili a basso PM (es
aminoglicosidi).
- Acqua corporea totale: può accadere che il farmaco abbia la capacità di
attraversare le membrane cellulari e diffondersi all’interno delle cellule occupando
il LIC e distribuendosi perciò uniformemente in tutti i liquidi corporei. In tal caso
sarebbe del 60% corrispondente a 42 L. Si tratta di farmaci liposolubili e a basso
PM, tipico esempio è l’etanolo.
I farmaci si distribuiscono però in diversi compartimenti e non in uno specifico, tranne
certe eccezioni, si definisce pertanto Vd il volume di distribuzione apparente di un
farmaco.
Come si calcola Vd?
1) Distribuzione in assenza di eliminazione: caso ipotetico in cui si suppone che il
farmaco resti sempre nell’organismo e non venga eliminato. Dopo una breve fase di
discesa della concentrazione sierica per distribuzione si ha un plateau mantenuto
costante.
C = D / Vd cioè la concentrazione del farmaco nel comparto vascolare è data dal
rapporto tra la quantità di farmaco immessa nel corpo e il volume di distribuzione.
Pertanto il Vd = D / C cioè mg / mg/L e quindi L.
2) Distribuzione in presenza di eliminazione: caso fisiologico standard in cui la
concentrazione plasmatica ha una fase ripida di discesa per la distribuzione e poi
segue una fase di discesa più lenta fino all’esaurimento che rappresenta il
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passaggio del farmaco verso i sistemi di metabolismo (fegato) ed eliminazione
(rene, intestino).
Per la maggior parte dei farmaci si ha una velocità di eliminazione proporzionale
alla concentrazione del farmaco (visto che la maggior parte dei farmaci ha cinetica
di ordine 1 e i sistemi non sono saturati).
3) Distribuzione istantanea: caso ipotetico in cui tutta la distribuzione del farmaco è
completa al momento dell’infusione, viene definita C0 la concentrazione del
farmaco che si avrebbe nel plasma se la distribuzione fosse avvenuta
immdiatamente.
4) Distribuzione non uniforme tra i compartimenti: è il caso normale visto che i
compartimenti non sono del tutto omogenei tra di loro ed è normale che ci siano
disuguaglianze nella distribuzione. In ogni caso il Vd è utile per determinare
clinicamente la quantità di un farmaco necessario per avere una determinata
concentrazione plasmatica e per fare ciò è necessario tenere in considerazione Vd.
Per ottenere la quantità adeguata si calcola la dose di carico (D) come prodotto tra
Vd e C clinicamente efficace. D = Vd x C
Il Vd molto elevato è indice di un sequestro in un terzo luogo, ad esempio un farmaco che
viene trattenuto eccessivamente nel liquido intracellulare.
Il Vd elevato determina anche un allungamento del t1/2 che rappresenta il tempo di
dimezzamento del farmaco. È evidente che se Vd è grande la massima parte del farmaco è
situata nei compartimenti extra-vascolari e l’unica via per eliminare il farmaco è portarlo
col torrente ematico al fegato o al rene e di conseguenza se questo si riduce anche il t1/2
si allungherà.
- Il Vd della clorochina è elevatissimo e ciò si giustifica col fatto che è un farmaco
strettamente intracellulare che si lega a componenti cellulari o a seguito di un
meccanismo di trasporto attivo all’interno della cellula.
L’aspirina ha un Vd abbastanza basso e con ciò si intende una distribuzione
prevalentemente plasmatica.
Per raggiungere il SNC i farmaci possono attraversare la barriera emato-encefalica
capillare costituita dalle giunzioni serrate endoteliali, dalla membrana basale continua e
dai manicotti gliali attorno ai vasi, oppure possono passare dai plessi corioidei attraverso
un’infusione intra-liquorale (in ogni caso anche qui devono oltrepassare la BEE).
La placenta è una barriera biologica che il farmaco attraversa con molta facilità per
diffusione semplice. Per questo motivo il feto è estremamente esposto ai farmaci assunti
dalla madre. I parametri che influenzano la distribuzione placentare sono:
- Caratteristiche fisico-chimiche del farmaco
- Legame a sieroproteine
- Flusso ematico placentare
- Biotrasformazione placentare
- Grado di maturazione della placenta (è massimamente suscettibile nel primo e
ultimo trimestre di gravidanza).
L’equilibrio è molto lento e si stabilisce in circa 40 minuti, se il farmaco è dato molto
velocemente può non dare problemi al feto.
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C LEARANCE DEI FARMACI : BIOTRASFORMAZIONE ED ESCREZIONE
5. Biotrasformazione dei farmaci
Per biotrasformazione si intende un processo che trasforma il farmaco in una molecola più
idrosolubile in modo tale da consentire la sua eliminazione attraverso il tubulo renale. Infatti
le molecole liposolubili una volta giunte all’interno del tubulo prossimale sono in grado di
retrodiffondere superando la parete tubulare.
Questo processo avviene principalmente nel fegato che è l’organo chiave per la
biotrasformazione, tuttavia esistono anche altri siti meno rilevanti come la placenta e
l’intestino.
Esistono diversi e possibilità di risultati a seguito del metabolismo di un farmaco:
 Farmaco attivo diventa INATTIVO = quadro seguito dalla maggioranza dei farmaci
 Farmaco attivo resta ATTIVO = caso dell’eroina che viene convertita in morfina
 Farmaco inattivo (PRO-FARMACO) diventa attivo = caso di alcuni farmaci come
cortisone, prednisone, ciclofosfamide e azatioprina.
 Farmaco attivo diventa TOSSICO = caso del paracetamolo o dei sulfamidici
Le reazioni di biotrasformazione si dividono in 2 categorie:
 Reazioni di FASE 1: queste reazioni comprendono idrolisi, ossidazione, riduzione,
idrossilazione, dealchilazione che trasformano il farmaco in un metaboita più
idrosolubile smascherando o creando dei gruppi funzionali polari come –OH, - SH2, NH2.
 Reazioni di FASE 2: reazioni principalmente di coniugazione con molecole che si
legano ai gruppi polari creati precedentemente con la funzione sempre di rendere il
metabolita più solubile. In genere il principale elemento utilizzato è l’acido glucuronico
(glucurono-coniugazione), ma si possono anche usare l’acido solforico, l’acido acetico o
un aminoacido. Il risultato in genere è un composto inattivo, tranne il caso della
morfina glucuronata che è molto più potente dela forma base.
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Esistono comunque dei casi in cui il farmaco che ha subito una reazione di fase 1 possiede dei
gruppi polari a sufficienza da renderlo idrosolubile e questo permette di saltare la fase 2 e
passare direttamente nei reni.
Esistono anche eccezioni per cui il farmaco salta entrambe le reazioni in quanto già idrofilo.
Ci sono anche alcuni casi in cui le fasi vengono invertite, tipicamente il caso del’isoniazide che
prima viene acetilata (fase 2) e poi idrolizzata (fase1).
I sistemi enzimatici deputati alla biotrasformazione sono diversi e si possono suddividere in
- Enzimi microsomiali che catalizzano principalmente reazioni di ossidazione o di
coniugazione e il ruolo cardine dell’operazione è a carico del citocromo P-450 (CYP)
che è un complesso multienzimatico costituito da un gruppo eme centrale e
concentrato massimamente negli epatociti.
- Enzimi non microsomiali che catalizzano alcune idrolisi e coniugazioni.
Alcuni di questi enzimi sono controllati geneticamente e in alcuni individui mutazioni geniche
o polimorfismi possono compromettere la funzione dell’enzima sia in positivo che in negativo.
Esistono diverse sostanze in grado di fungere da INDUTTORI enzimatici o INIBITORI
(competitivi o non competitivi).
INDUTTORI ENZIMATICI:
- Fenobarbital e rifampicina determinano un’aumentata attivit{ (conseguente alla
aumentata sintesi di un isoenzima) dell’isoenzima CYP2C9/10 e di conseguenza un
aumentato metabolismo del Warfarin, fenitoina e ibuprofene. Inoltre la rifampicina
causa una riduzione dell’efficacia dell’inibitore della proteasi dell’HIV a causa di un suo
aumentato metabolismo.
- Fenitoina determina un aumentato metabolismo di cortisolo, desametasone,
digitossina e teofillina.
- Griseofulvina determina un aumentato metabolismo del warfarin.
INIBITORI ENZIMATICI
- Ketoconazolo: inibitore non competitivo che blocca il metabolismo della ciclosporina
- Omeprazolo: inibitore non competitivo che blocca 3 isoenzimi fondamentali per il
metabolismo del warfarin con possibili conseguenze emorragiche
- Allopurinolo, cloramfenicolo, isoniazide: inibitori del metabolismo di tolbutamide e
dicumarolo.
- Eritromicina
- Ritonavir
- Succo di pompelmo
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REAZIONI DI OSSIDAZIONE
Sono svolte da enzimi microsomiali (ossidasi a funzione mista o monossigenasi) o non
microsomiali anche se in modo molto meno rilevante (ADH, xantino-ossidasi…)
Tra gli enzimi microsomiali le più importanti ossidasi a funzione mista sono il CYP e la
citocromoreduttasi.
Il CYP prevede l’utilizzo di NADPH, H+ e ossigeno per trasformare il farmaco in un processo
ossido-reduttivo con liberazione di NADP+ e H2O.
Il sistema CYP possiede diversi isoenzimi che sono specifici per il metabolismo di certe
sostanze (sia endogene che esogene). I principali isoenzimi sono 6:
- CYP3A4: responsabile del metabolismo della maggior parte dei farmaci, per questa
isoforma non è stato identificato nessun polimorfismo genico particolare. Quantità
consistenti di questa forma sono presenti nella mucosa intestinale e pertanto
contribuiscono all’effetto di primo passaggio anche nell’intestino stesso.
- CYP2D6: enzima sottoposto a polimorfismi genici che in alcuni casi possono non
permettere un’efficacia farmaceutica (ad esempio la codeina deve essere O-demetilata
per essere attiva e i portatori di questo polimorfismo non traggono beneficio
dall’oppioide).
- CYP2C9/10
- CYP2C19
- CYP2E1
- CYP1A2
REAZIONI DI CONIUGAZIONE
Generalmente si parla di glucurono-coniugazione che rende il farmaco più solubile. Inoltre il
complesso coniugato viene immesso nella bile e a livello intestinale il legame è idrolizzato
dalle beta-glucuronidasi tornando libero. In genere il risultato della coniugazione è sempre un
composto inattivo, tranne il caso della morfina.
I neonati sono carenti di questo enzima e pertanto sono più esposti agli effetti tossici di certi
farmaci che non vengono eliminati adeguatamente. (Si evidenzia normalmente la carenza di
questo enzima a causa dell’ittero fisiologico del neonato che non permette un’eliminazione
completa della bilirubina).
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6. Eliminazione dei farmaci
Le vie di eliminazione di un farmaco sono diverse ma solo alcune rivestono un ruolo
fondamentale:
1. Urina
2. Feci
3. Aria espirata
4. Latte / Sudore
L’urina è il principale mezzo di eliminazione dei metaboliti farmacologici modificati dal fegato
e si parla quindi di clearance renale.
Le feci sono interessate dall’eliminazione del farmaco sia durante i normali processi di
assorbimento, sia all’arrivo della bile che contiene metaboliti farmacologici che in parte
possono essere riassorbiti entrando nel circolo entero-epatico, in parte vengono espulsi con le
feci.
L’aria espirata contribuisce in maniera molto modesta all’eliminazione del farmaco e
dipende dagli scambi gassosi polmonari in cui penetrano anche piccole molecole di farmaco,
soprattutto quelle assunte per via inalatoria.
In quantità piccolissime la madre che allatta può liberare il farmaco dalle secrezioni lattee;
oppure possono essere liberate con il sudore.
CLEARANCE EPATICA DI UN FARMACO
Viene definita clearance epatica (Cle) di un farmaco il volume di plasma completamente
depurato da un farmaco nell’unit{ di tempo attraverso il passaggio nel filtro epatico.
L’eliminazione avviene attraverso la bile (trasporto attivo mediato da specifici trasportatori)
o attraverso la biotrasformazione che forma un composto modificato.
Cle = Fe x Ee
Fe = flusso ematico al fegato
Ee = estrazione epatica, cioè (Ca – Cv) / Ca.
Il rapporto di estrazione si effettua guardando le concentrazioni in arteria epatica e in vene
epatiche, in tal modo 0 < Ee < 1 con valore 1 che rappresenta la massima quota di estrazione.
 Se l’estrazione è molto elevata il fattore limitante sar{ il flusso ematico al fegato che in
alcuni casi patologici può essere compromesso (es scompenso cardiaco). (Clearance
epatica flusso dipendente)
 Se invece l’estrazione è bassa il fattore limitante per la clearance è la quantit{ di
farmaco circolante (clearance epatica capacità dipendente).
CLEARANCE RENALE DI UN FARMACO
Viene definita come il volume di plasma completamente depurato da un farmaco nell’unit{ di
tempo grazie ai processi di escrezione renale:
1. Filtrazione glomerulare: fase iniziale in cui il farmaco idrosolubile viene filtrato dal
glomerulo ed entra nello spazio di Bowmann, è uno step indipendente dal pH e dalla
liposolubilità. VFG = 125 mL/min.
2. Secrezione tubulare: processo di trasporto attivo in cui il farmaco che non è stato
filtrato passa all’arteriola efferente che si distribuisce nella rete peritubulare e
determina una secrezione attiva del farmaco nel tubulo tramite 2 sistemi: uno per gli
anioni (acidi deboli) e uno per i cationi (basi deboli). Sono sistemi poco specifici e
possono entrare in competizione.
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3. Riassorbimento tubulare: processo passivo in cui i metaboliti liposolubili sono
maggiormente concentrati nel tubulo e passano per gradiente di concentrazione
nell’interstizio retrodiffondendo. Questo passaggio viene evitato grazie ai processi di
biotrasformazione epatica, ma anche grazie a interventi come l’acidificazione
dell’urina. Infatti per certi farmaci basi deboli viene dato un acidificante in modo che il
farmaco venga protonato e quindi resti nel tubulo. Viceversa per farmaci acidi come
sovradosaggop di fenobarbital viene dato bicarbonato in modo da alcalinizzare le urine
e far deprotonare l’acido aumentando la sua clearance.
CLEARANCE TOTALE DI UN FARMACO
La clearance totale di un farmaco è data dalla somma delle varie clearance a carico dei vari
organi: Cltot = Cl epatica + Cl renale + Cl polmonare + Cl altri organi.
È impossibile riuscire a calcolare la clearance dei vari organi ma è possibile effettuare
un’ipotetica rilevazione allo stato stazionario sfruttando il volume di distribuzione.
Ammettendo che la maggior parte dei farmaci abbia una cinetica di prim’ordine e che quindi
la concentrazione del farmaco diminuisca in modo esponenziale con il tempo si può utilizzare
l’equazione seguente:
CL tot = Ke x Vd dove Ke è definita la costante di velocit{ di prim’ordine per l’eliminazione del
farmaco da tutto l’organismo.
CL tot = (0,623 / t1/2) x Vd
Viene definita in questo modo come la frazione del volume di distribuzione che può essere
purificata nell’unit{ di tempo da quel farmaco.
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7. Parametri farmacocinetici: biodisponibilità, legame alle
proteine plasmatiche, volume di distribuzione
BIODISPONIBILITA’
Si definisce biodisponibilità la frazione (F) del farmaco somministrata per qualsiasi via che
raggiunge la circolazione sistemica in una forma chimicamente non modificata.
Per rilevare la biodisponibilità di un farmaco per una certa via di somministrazione è
opportuno ricavare il grafico concentrazione plasmatica-tempo sovrapponendo la curva della
somministrazione endovenosa con quella della via da esaminare.
Infatti per definizione si considera del 100% la biodisponibilità del farmaco per via
endovenosa visto che viene direttamente immesso nel circolo.
L’area sotto la curva (AUC) definisce
l’entit{ dell’assorbimento del farmaco.
La biodisponibilità di una via (ad esempio
orale) viene rilevata come:
( AUC os / AUC ev ) x 100
Per esempio il diazepam ha una
biodisponibilità orale del 100% ciò
significa che tutto il farmaco assunto per
via orale entra nel circolo sanguigno.
La morfina invece ha una biodisponibilità orale molto bassa.
Fattori che influenzano la biodisponibilità:
 Metabolismo epatico di primo passaggio: se sottoposto a biotrasformazione istantanea
la frazione che passerà immodificata al circolo sarà inferiore. È il caso del propranololo
e della lidocaina.
 Solubilità del farmaco: se il farmaco è idrosolubile non potrà attraversare le membrane
e quindi avrà biodisp bassa, paradossalmente anche un farmaco eccessivamente
liposolubile non potrà avere biodisp alta perché non riuscirà a diffondere nei
compartimenti acquosi.
 Instabilità chimica: alcuni farmaci come la penicillina G sono instabili a pH gastrico e
altri come insulina vengono degradati dagli enzimi litici.
 Natura della preparazione farmaceutica: dimensione particelle, forma salina,
polimorfismo dei cristalli, presenza di eccipienti.
LEGAME ALLE PROTEINE PLASMATICHE
I farmaci hanno la capacità di legarsi reversibilmente alle proteine plasmatiche ed in
particolare:
-
Albumina: proteina principale. Soprattutto per le molecole acide e idrofobe. Può essere
un legame a bassa capacità (1 molecola per 1 albumina) o alta capacità (varie molecole
per 1 albumina).
- Glicoproteina acida α1: in misura molto minore. Lega soprattutto le molecole basiche
Soltanto la quota libera è in grado di dare l’effetto farmacologico, quella legata è inattiva.
Il complesso farmaco + proteina è detto complesso farmacoproteico.
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La quantità assoluta di farmaco legato è funzione della concentrazione, tuttavia la percentuale
di farmaco legato è costante per ciascun composto. In alcuni casi la proteina che lega il
farmaco può fungere da serbatoio, ad esempio se la quantità di farmaco libero decresce (per
escrezione o metabolismo) le proteine liberano la quota associata.
Esistono condizioni in cui può avvenire uno spiazzamento dei siti di legame dell’albumina da
parte di un farmaco ad alta affinit{. I farmaci ad alta affinit{ per l’albumina si dividono in 2
classi:
1. Classe 1: la dose clinicamente utilizzata del farmaco permette un rapporto
dose/capacit{ basso per cui tutto il farmaco è legato ai siti dell’albumina e molti siti di
legame sono liberi.
2. Classe 2: la dose è maggiore della disponibilità dei siti per cui il rapporto dose/
capacità è elevato e il farmaco si troverà libero visto che i siti sono tutti occupati.
Quando un farmaco di classe 2 come un sulfamidico viene dato in un paziente che assume un
farmaco di classe 1 come la tolbutamide si verifica uno spiazzamento dei siti di legame per la
tolbutamide che diventa massimamente in forma libera e le ripercussioni sulle concentrazioni
plasmatiche e i conseguenti effetti farmacologici dipendono dal volume di distribuzione e
dall’indice terapeutico del farmaco. Se il Vd è elevato il farmaco libero si distribuirà
velocemente e la concentrazione plasmatica non varierà di molto; se invece il Vd è basso si
avranno aumenti di concentrazioni plasmatiche che possono essere dannosi nel caso in cui
l’indice terapeutico sia basso.
VOLUME DI DISTRIBUZIONE (VEDI TESINA N 4)
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C INETICA DEI FARMACI PER SOMMINISTRAZIONE SINGOLA E
RIPETUTA
8. Parametri farmacocinetici: clearance e T1/2. La cinetica di
primo ordine e di ordine zero
CLEARANCE TOTALE DI UN FARMACO
La clearance totale di un farmaco è data dalla somma delle varie clearance a carico dei vari
organi: Cltot = Cl epatica + Cl renale + Cl polmonare + Cl altri organi.
È impossibile riuscire a calcolare la clearance dei vari organi ma è possibile effettuare
un’ipotetica rilevazione allo stato stazionario sfruttando il volume di distribuzione.
Ammettendo che la maggior parte dei farmaci abbia una cinetica di prim’ordine e che quindi
la concentrazione del farmaco diminuisca in modo esponenziale con il tempo si può utilizzare
l’equazione seguente:
CL tot = Ke x Vd dove Ke è definita la costante di velocit{ di prim’ordine per l’eliminazione del
farmaco da tutto l’organismo.
CL tot = (0,623 / t1/2) x Vd
(0,623 rappresenta il ln 0,5)
Viene definita in questo modo come la frazione del volume di distribuzione che può essere
purificata nell’unit{ di tempo da quel farmaco.
La Clt e il Vd sono variabili indipendenti
L’emivita è una variabile dipendente
Vi possono essere dunque situazioni patologiche in cui varia solo il Vd o solo la Clt e dunque
anche il t1/2, altre nelle quali le variazioni di Vd e Clt sono tali da non modificare il t1/2.
Il Vd varia, per un farmaco idrosolubile, in pz ascitici mentre per un farmaco liposolubile varia
in pz obesi.
La clearance nei pz con IR e insufficienza epatica ed inoltre è molto differente da composto a
composto.
L’escrezione urinaria rappresenta una quota importante della clearance.
La digossina è un glicoside cardiocinetico che viene escreto per il 60% per via renale e il suo
grafico di clearance è lineare con quello della clearance della creatinina, dunque la quota di
escrezione renale è importante. Con l’et{ la filtrazione tende a ridursi e così anche la
filtrazione dei farmaci, stessa questione per i nefropatici.
L’assunzione di un farmaco per via orale ha una cinetica diversa che per via endovenosa e la
concentrazione plasmatica del farmaco risulta per via orale come la sommatoria dei vari
processi contemporanei di assorbimento, distribuzione ed escrezione, mentre per la via
endovenosa si ha una curva che decresce linearmente coerente con l’escrezione progressiva
del farmaco (ed eventualmente una breve prima fase di distribuzione se non si considera C0)
TEMPO DI DIMEZZAMENTO (O EMIVITA O T1/2)
Viene considerato il tempo necessario per passare da una concentrazione plasmatica C di un
farmaco ad una concentrazione C ½.
Considerando la cinetica di primo ordine la concentrazione del farmaco diminuisce
esponenzialmente col tempo e questo può essere usato per ricavare matematicamente T1/2:
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T1/2 = ln 0,5 / Ke
Visto che la Clearance totale è data da Ke x Vd l’equazione può essere riarrangiata in questo
modo:
T1/2 = 0,693 Vd / CL
Il tempo di dimezzamento di un farmaco aumenta in certe condizioni:
- Riduzione del flusso plasmatico renale o epatico (insufficienza cardiaca, shock
cardiogeno, emorragia)
- Diminuzione del rapporto di estrazione (insufficienza renale)
- Diminuzione del metabolismo (quando un altro farmaco inibisce la sua
biotrasformazione o nell’insufficienza epatica).
CINETICA DI PRIMO ORDINE E DI ORDINE ZERO
 La cinetica di primo ordine è quella modalità con cui la concentrazione del farmaco
diminuisce dall’organismo seguita dalla maggior parte dei farmaci.
Viene definita come la scomparsa di un farmaco dall’organismo in una percentuale costante
nell’unit{ di tempo. Pertanto il T1/2 non varia benchè possano variare le concentrazioni.
Infatti l’organismo si adatta alla bioescrezione in base alla quantit{ di farmaco all’interno del
corpo, se è presente farmaco in eccesso ne verrà eliminato di più, altrimenti se è in difetto di
meno. Ciò che rimane costante è la frazione o percentuale del farmaco eliminata nell’unit{ di
tempo.
Dal grafico è possibile vedere che ad ogni ora la concentrazione del farmaco si riduce di metà.
Attraverso valutazioni matematiche è stato possibile ottenere che il 93,75% del farmaco
scompare dall’organismo dopo un tempo pari a 4 emivite plasmatiche.
 La cinetica di ordine zero viene seguita da certi farmaci che hanno un
comportamento per cui in ogni unità di tempo scompare dall’organismo la stessa
quantità di farmaco.
Si tratta quindi di una situazione in cui il T1/2 non è uguale ma varia in base alle quantità del
farmaco. Questo avviene in quanto i meccanismi di biotrasformazione risultano saturati e ad
ogni incremento di dose del farmaco aumenta la concentrazione plasmatica. Questa cinetica è
seguita da alcuni farmaci con cinetica di prim’ordine ma che se somministrati oltre una certa
quota non permettono l’adattamento dell’organismo e si ha una saturazione degli enzimi,
assumendo così una cinetica di ordine zero.
La fenitoina segue questo modello ma anche dicumarolo, aspirina, propranololo, etanolo.
In questo caso il tempo di dimezzamento è una variabile dipendente dalla dose.
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9. Parametri farmacocinetici: Tmax, Cmax, AUC. La
bioequivalenza. I farmaci generici
In un grafico che mette in relazione la
concentrazione plasmatica del farmaco con
il tempo è possibile individuare determinati
parametri farmacocinetici utili per
documentare clinicamente la massima
concentrazione di un farmaco raggiunta a
seguito della somministrazione di una certa
dose, il tempo in cui viene raggiunta la
concentrazione massima e l’area sotto la
curva che indica l’entit{ dell’assorbimento
del farmaco.
Questi 3 parametri sono indicati con:
 C max: massima concentrazione plasmatica raggiunta dal farmaco
 T max: tempo necessario per raggiungere la concentrazione massima
 AUC: area sotto la curva che mostra l’entit{ dell’assorbimento e viene utilizzata per
mettere a confronto la biodisponibilità endovenosa con la biodisponibilità tramite altre
vie di somministrazione.
BIOEQUIVALENZA
Due preparazioni farmaceutiche chimicamente equivalenti (cioè che contengono lo stesso
farmaco alle stesse dosi) si dicono bioequivalenti quando i rispettivi valori di C max, T max e
AUC sono uguali. Il nuovo farmaco deve stare in un range di equivalenza che va dall’80% al
125%.
FARMACO GENERICO
Si tratta di un farmaco che imita il prodotto originale senza la protezione brevettuale (che
dura circa 20 anni). Alla scadenza del brevetto qualsiasi impresa può fabbricare questo
farmaco a costo che sia BIOEQUIVALENTE all’originale e per rispettare ciò deve avere i valori
di C max, T max e AUC compresi in un range del valore iniziale dall’80% al 125%.
Due farmaci bioequivalenti tuttavia possono non essere equivalenti terapeutici visto che per
avere l’equivalenza terapeutica i 2 farmaci devono avere efficacia e sicurezza sovrapponibili.
L’efficacia dipende da C max e T max.
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10. Andamento della concentrazione di un farmaco dopo
somministrazione singola o ripetuta
CINETICA DELL’INFUSIONE EV
La farmacocinetica si occupa di studiare la cinetica del farmaco a livello quantitativo nel
tempo studiando la concentrazione plasmatica e la quantit{ totale del farmaco nell’organismo
somministrato per le principali vie, ossia l’infusione endovenosa continua e i regimi per via
orale o endovenosa a dose fissa / intervallo di tempo fisso.
Se un farmaco segue una cinetica di primo ordine impiega circa 4 volte il tempo di
dimezzamento per scomparire quasi completamente dall’organismo.
Se la dose successiva del farmaco viene data ad un intervallo di tempo maggiore di 4 volte
l’emivita plasmatica il farmaco precedente è gi{ stato eliminato.
Al contrario se la somministrazione avviene in un intervallo di tempo minore che le 4 emivite
plasmatiche la nuova dose andrà ad accumularsi alla dose precedentemente presente e non
ancora smaltita e pertanto si genererà un accumulo.
La somministrazione di dosi successive e ravvicinate porterà ad un incremento asintotico
della concentrazione plasmatica del farmaco fino al raggiungimento di un punto in cui il
sistema riesce a bilanciare efficacemente la dose nuova eliminando una quantità uguale di
farmaco già presente. Si generà così uno STATO STAZIONARIO che resta tale fino al termine
della somministrazione prolungata del farmaco.
Il tempo previsto per raggiungere lo stato stazionario assumendo che si tratti di una cinetica
di primo ordine è uguale a circa 4 emivite plasmatiche. L’emivit{ è una variabile indipendente
e non varia al variare della dose. La concentrazione dello stato stazionario invece varia in base
alla dose ma l’aumento di dose non determina un aumento della rapidit{ di raggiungimento
dello stato stazionario.
La velocità di eliminazione del farmaco si misura come Cltot x C.
Css (concentrazione allo stato stazionario) = R0 (velocità di infusione) / Cltot
Quindi la concentrazione è proporzionale alla velocità di infusione mentre è inversamente
proporzionale alla clearance.
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 Il tempo impiegato per raggiungere lo SS è uguale a 4 emivite plasmatiche, ed è lo
stesso tempo necessario affinchè il farmaco una volta sospesa la somministrazione
venga del tutto eliminato dal corpo.
 La concentrazione allo stato stazionario è direttamente proporzionale alla velocità di
infusione.
 L’emivita plasmatica non dipende dalla dose perché si tratta di una cinetica di ordine 1
 La velocità con cui si raggiunge lo stato stazionario non è influenzata dalla velocità di
infusione del farmaco.
 La Css = R0 / CL
 La dose di carico è una dose singola di farmaco che viene somministrata prima di
un’infusione volta al mantenimento dello SS ma che da sola non è accettabile per
raggiungere la concentrazione adeguata.
Può essere calcolata come Vd x C plasmatica allo stato stazionario desiderata.
CINETICA DEI REGIMI A DOSE FISSA / INTERVALLO DI TEMPO FISSO
Iniezione endovenosa singola
Supponendo che il farmaco si distribuisca rapidamente in un singolo compartimento si ha una
progressiva diminuzione esponenziale della concentrazione del farmaco nel plasma in 4 volte
T1/2 non dipendente dalla dose.
Iniezioni endovenose multiple
Dando delle dosi ravvicinate e multiple si verifica nella grafico della concentrazione
plasmatica in relazione al tempo una serie di oscillazioni progressive (la cui ampiezza è
proporzionale alla quantità e alla frequenza delle somministrazioni) attorno a una
concentrazione progressivamente maggiore fino ad arrivare a oscillazioni tutte attorno allo
stesso valore di concentrazione che rappresenta lo stato stazionario medio. Tuttavia sia la
concentrazione allo SS sia la sua velocità di raggiungimento non sono influenzate dalla
frequenza del dosaggio.
L’ampiezza delle oscillazioni è tollerata se il picco alto non causa effetti tossici e se il picco
basso ha ancora un margine di efficacia terapeutica.
Farmaci somministrati per via orale
Questi farmaci possono essere assorbiti lentamente e pertanto la concentrazione dello stato
stazionario oscilla in base alla velocità di assorbimento e alla velocità di eliminazione.
Per determinare la concentrazione allo stato stazionario di un farmaco assunto per via orale si
fa l’equazione seguente:
Css = (F x D) / (Cl x T)
F = biodisponibilità (frazione assorbita)
D = dose
Cl = clearance
T = intervallo di dosaggio
Dose di mantenimento = dose da somministrare per mantenere lo stato stazionario e quindi
l’efficacia terapeutica. D = (Css x Cl x T) / F
Nella cinetica di ordine zero non si raggiunge uno stato stazionario.
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FARMACODINAMICA
MECCANISMI D’AZIONE DEI FARMACI (RECETTORIALI E NON RECETTORIALI) E
RELAZIONE CONCENTRAZIONE RISPOSTA
11. I meccanismi d’azione dei farmaci
La farmacodinamica è quella parte della farmacologia che studia l’influenza della
concentrazione di un farmaco sull’entit{ della risposta biologica e dunque si occupa di
analizzare i processi tramite cui il farmaco si lega alle molecole recettoriali, gli eventi
molecolari che ne conseguono e infine gli effetti biologici sull’individuo.
Vengono analizzate 3 situazioni progressive:
1. Effetti: ad esempio tachicardia
2. Azioni: ad esempio aumento della frequenza di depolarizzazione del nodo SA
3. Meccanismi d’azione: ad esempio attivazione di un recettore β.
Il farmaco si lega alla molecola che interagisce con esso attraverso la formazione di legami
chimici che per la maggior parte dei casi sono deboli e consistono in
 Legami idrogeno
 Forze di Van der Waals
 Legami idrofobici
Altri casi rari comprendono la formazione di legami più forti come ionici e covalenti.
Via via che l’energia di legame si riduce la frequenza del legame cresce.
È necessario che i farmaci si leghino ai loro recettori con legami MULTIPLI e DEBOLI in modo
da consentire la selettività e la stereospecificità. Alcuni farmaci come gli antitumorali
alchilanti si legano con legami forti che non vengono spiazzati e pertanto sono responsabili di
effetti tossici notevoli.
La sede d’azione di un farmaco è il luogo in cui il farmaco svoge la sua azione iniziando la
cascata degli eventi che porterà ad esprimere un effetto biologico.
Non è detto che la sede d’azione corrisponda al sito in cui il farmaco è maggiormente
presente.
Spesso un farmaco svolge la sua azione in siti d’azione differenti, ad esempio un β-agonista ha
un’azione a livello cardiaco di incremento della frequenza e della contrattilit{ e
contemporaneamente svolge un’azione sulla mucosa bronchiale di broncodilatazione.
Inoltre un effetto biologico può essere svolto da farmaci diversi mediante meccanismi
d’azione differenti. È il caso della miosi determinata sia dalla morfina che dall’acetilcolina, ma
con modalità diverse.
Le sedi d’azione possono essere suddivise in Cellulari e Non cellulari, le prime occupano un
ruolo preponderante.
Infatti il meccanismo d’azione dei farmaci può essere suddiviso in un modo equivalente alla
sede d’azione cioè:
 Recettoriale: previsto dalla maggior parte dei farmaci, si tratta di un’interazione
specifica tra un farmaco ed una macromolecola funzionalmente importante presente
all’interno del citoplasma o sulla superficie cellulare.
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 Non recettoriale: meccanismo utilizzato solo da pochissimi farmaci come gli antiacidi
e l’eparina che funzionano mediante semplici reazioni fisico-chimiche nei liquidi
extracellulari dell’organismo.
Le principali macromolecole biologiche con cui i farmaci interagiscono sono
1. Recettori
2. Canali ionici
3. Enzimi
4. Trasportatori
I canali ionici possono essere bloccati da un farmaco in modo tale da non permettere il
passaggio dal poro della specie ionica
oppure possono essere modulati
presentando un sito di legame per una
molecola endogena o esogena (farmaco)
che modifica il suo stato di pervietà.
Il primo caso riguarda gli anestetici locali
che vanno a bloccare i canali per il Na
oppure i calcio-antagonisti che riducono il
flusso di calcio e la contrazione della parete vasale.
Il secondo caso riguarda ad esempio le benzodiazepine che si legano al recettore del GABA
aumentando il flusso di cloro all’interno del canale e verso l’interno della cellula con
conseguente iperpolarizzazione.
I farmaci che interagiscono con gli enzimi possono essere degli inibitori cioè bloccano la
normale funzione di quell’enzima, è il caso degli inibitori dell’acetilcolinesterasi che inibiscono
la scissione dell’Ach (parasimpatico-mimetici
indiretti), oppure i FANS che sono inibitori
della COX.
Il farmaco però può essere anche un falso
substrato dell’enzima cioè una molecola
simile al substrato vero che innesca il
processo catalitico ma in modo erroneo o
inadeguato portando alla formazione di
metaboliti anomali; è il caso della 5fluorouracile utilizzata in chemioterapia
antitumorale per bloccare la sintesi dell’RNA.
Infine il farmaco può legarsi all’enzima ed attivarsi, in tal caso si tratta di un pro-farmaco che
a seguito dell’interazione con l’enzima diventa un farmaco attivo.
I farmaci possono legarsi a trasportatori principalmente inibendo il sistema di trasporto.
È il tipico caso dell’omeprazolo che si lega alla pompa
protonica nelle cellule parietali della mucosa gastrica e
inibisce la secrezione di H+ riducendo la secrezione di
HCl; oppure è il caso della cocaina che impedisce la
ricaptazione a livello pre-sinaptico dei
neurotrasmettitori noradrenergici e dopaminergici
liberati legandosi al trasportatore presinaptico; infine è
anche il caso della fluoxetina che inibisce la
ricaptazione della serotonina a livello dello spazio sinaptico.
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12. Caratteri dei recettori e loro classificazione. Agonisti,
agonisti parziali, agonisti inversi e antagonisti
I recettori sono macromolecole organiche principalmente glicoproteiche situate
prevalentemente sulle superfici delle cellule e meno di frequente all’interno del citoplasma a
cui si legano composti endogeni e composti esogeni (farmaci).
I recettori presentano alcune peculiari
caratteristiche:
 Selettività: i recettori sono
specifici per determinate specie
molecolari e possono accettare
soltanto minime differenze
strutturali.
 Stereospecificità: i recettori
hanno preferenza di legame per
certi stereoisomeri.
 Variabilità: i recettori variano in numero e non sono immutabili, queste variazioni
vanno incontro alla necessit{ di plasticit{ dell’organismo e si vedono ad esempio a
seguito delle somministrazioni croniche di farmaci.
Il farmaco si lega al recettori attraverso un legame che preferenzialmente è multiplo e debole
in modo da consentire la reversibilità, tranne solo in alcuni casi.
Il legame farmaco recettore permette di amplificare un segnale e trasmetterlo efficacemente
tra una cellula e l’altra, pertanto si può affermare che la comunicazione tra cellule è chimica.
Esistono 4 modalit{ con cui avviene l’amplificazione e la trasmissione di un segnale a seguito
del legame con un recettore:
1. Modulazione diretta di un canale ionico: recettore associato ad un sito di un canale
ionico che viene modulato sul suo stato di apertura o chiusura consentendo il
passaggio di ioni.
2. Attivazione di secondi messaggeri: recettore accoppiato a proteine G che trasducono un
segnale mediante formazione di secondi messaggeri come cAMP che determinano
fosforilazione di proteine, liberazione di calcio e modificazioni dell’eccitabilit{ per
regolazione di canali ionici.
3. Attivazione diretta della cascata fosforilativa per interazione con enzimi: il legame
farmaco-recettore innesca una cascata fosforilativa chinasica che culmina nella
regolazione della trascrizione genica.
4. Regolazione della trascrizione genica: presenza di recettori intracellulari raggiunti
direttamente da un farmaco liposolubile in grado quindi di regolare l’espressione
genica.
CANALI IONICI LIGANDO DIPENDENTI
L’apertuta di certi canali ionici controllati da ligando è sotto il controllo di sostanze endogene
o esogene che si legano a siti specifici e creano una corrente ionica o la inibiscono.
L’effetto si sviluppa in millisecondi.
Esempi tipici sono il recettore nicotinico dell’Ach che quando si lega al ligando causa
un’ingresso di Na nella cellula determinando depolarizzazione; il canale del GABA modulato
dalle benzodiazepine che aumentano la corrente di cloro andando ad agire sul mediatore
endogeno stesso (GABA) e causando iperpolarizzazione della cellula; infine si possono trovare
diversi canali del sodio aspecifici che vengono inibiti dagli anestetici locali che si legano.
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RECETTORI ACCOPPIATI A
PROTEINE G
Si tratta di recettori che
attraversano 7 volte la
membrana cellulare e che
sono accoppiati a proteine
G che possiedono 3
subunit{: la α è quella che
lega allo stato di riposo il
GDP e la β e γ sono unite.
All’arrivo del ligando la
subunit{ α subisce una
modificazione strutturale
e si stacca dal composto
dirigendosi verso
l’adenilato ciclasi dopo aver sostituito il GDP con una molecola di GTP. L’adenilato ciclasi
legata alla Gα produce cAMP che è uno dei principali secondi messaggeri. Quando il ligando si
stacca la Gα idrolizza il GTP e torna alla struttura precedente con GDP legandosi al complesso
multiproteico iniziale. Inoltre le proteine G sono in grado anche di produrre altri secondi
messaggeri come l’IP3 e il diacil-glicerolo che regolano il flusso di calcio intracellulare.
Si tratta di un fenomeno veloce dell’ordine dei secondi.
Farmaci che determinano questa modalità di trasduzione sono le catecolamine.
RECETTORI ACCOPPIATI A ENZIMI CHINASICI
Altri recettori sono accoppiati a sistemi enzimatici, tipicamente tirosin-chinasici che si
attivano a seguito del legame attraverso un’autofosforilazione e una cascata successiva di
eventi che mirano ad una regolazione dell’espressione genica e alla regolazione delle correnti
ioniche (IP3). Tempo d’azione dell’ordine di ore.
È il caso tipico dell’insulina che determina sia un’apertura dei canali del calcio mediante IP3
sia una trascrizione genica mitogena.
RECETTORI INTRACELLULARI
Si tratta di una minoranza di casi in cui il recettore è situato all’interno della cellula e di
conseguenza il ligando deve avere un certo grado di liposolubilità per penetrare nella
membrana. Il complesso poi migra verso il nucleo e regola direttamente la trascrizione genica.
È il caso di farmaci come gli ormoni steroidei.
L’effetto per verificarsi impiega molte ore, tuttavia risulta prolungato nel tempo.
CINETICA DELL’INTERAZIONE FARMACO-RECETTORE
Teoria dell’occupazione di Clark
Si tratta di una delle prime teorie sulla
farmacodinamica che afferma che la
capacità di un farmaco di legarsi ad un
recettore è detta AFFINITA’.
Inoltre le conseguenze funzionali possono
essere l’attivazione (Agonista) o il blocco
del recettore (Antagonista).
In più stabilisce che l’intensit{ dell’effetto
biologico dipende solo dal numero di
recettori occupati e che l’effetto massimo si ottiene quando tutti i recettori sono occupati.
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Teoria del modello a due stati
Questo modello spiega meglio le
interazioni farmaco-recettoriali e l’esito
biologico del legame ed afferma che la
maggior parte dei recettori ha la
possibilità di trovarsi in 2 stati: uno stato
attivato ed uno stato di riposo. Nella
norma solo una piccola quota di recettori
si trovano costitutivamente nello stato
attivato e quasi tutti sono in uno stato di
riposo in assenza del ligando specifico.
Per affinità viene intesa la capacità del farmaco di legarsi al recettore formando il complesso
farmaco-recettoriale, se i 2 sono compatibili il recettore dallo stato di riposo passa allo stato
inattivato ed è in grado di trasdurre il segnale ed innescare l’effetto biologico. Pertanto si dice
che il farmaco in grado di innescare questo processo possiede un’ATTIVITA’ INTRINSECA.
In questo modello si parla di:
 Farmaci agonisti totali: sostanze in grado di legarsi al recettore allo stato di riposo e
renderlo attivato consentendo la trasduzione del messaggio. L’attivit{ intrinseca è
completa e si raggiunge una risposta massima. Ad esempio la morfina che si lega ai
recettori µ e li rende attivi permettendo l’analgesia.
 Farmaci agonisti parziali: sono farmaci che hanno un’affinit{ elevata con il recettore e
sono in grado di attivarlo, tuttavia non hanno un’attivit{ intrinseca sufficiente a
raggiungere la risposta massima.
 Farmaci antagonisti: sono farmaci che hanno un’affinit{ elevata con il recettore ma
hanno un’attivit{ intrinseca pari a zero, per cui mantengono il recettore nello stato di
riposo. Ad esempio il Naloxone che si lega al recettore delle benzodiazepine e lo
inibisce.
Per quanto riguarda la situazione dei recettori costitutivamente attivati si parla di
-
-
-
Agonisti (totali o parziali): aumentano il
livello di attività basale legandosi
preferenzialmente (maggior affinità) alla
forma attivata.
Antagonisti: si legano sia alla forma a
riposo che alla forma attivata e non
alterano il livello di attività basale,
tuttavia riescono a bloccare le variazioni
indotte dagli agonisti (sia diretto che inverso).
Agonisti inversi: si legano principalmente agli stati a riposo e riducono l’attivit{ basale.
Clark stabiliva che la risposta massimale al farmaco si poteva raggiungere solo quando il
100% dei recettori erano occupati dal farmaco.
Oggi si è scoperto che esistono situazioni in cui si può arrivare alla risposta massima anche
per dosi che non occupano l’intero pool di recettori. Si tratta delle zone in cui esistono
RECETTORI DI RISERVA che non vengono occupati dal farmaco. Questo è possibile per 2
motivi:
1) Un singolo complesso ligando-recettore può interagire con numerose proteine G
amplificando il messaggio.
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2) Le proteine G durano molto di più rispetto alla formazione del legame L-R.
Questo giustifica un’amplificazione notevole del segnale che consente ai recettori che
rispondono agli ormoni, neurotrasmettitori e peptidi (soprattutto associati a proteine G) di
raggiungere una risposta massima senza dover occupare tutti i recettori.
Ad esempio il salbutamolo ha un sistema di amplificazione che dura per molto tempo;
l’insulina ha un sistema enormemente efficiente nel prolungare l’effetto del farmaco; al
contrario il cuore umano ha una frazione dei recettori del 5 – 10% che sono di riserva per cui
per mantenere la contrattilità bisogna occupare la maggior parte dei recettori.
Riassumendo:
 Agonisti totali: farmaci che si legano al recettore mimando la molecola biologica in
modo completo e raggiungendo una massima risposta. Esempio: fenilefrina che è
agonista della noradrenalina legandosi ai recettori α1-adrenergici; morfina che si lega
ai recettori µ.
 Antagonisti: farmaci che si legano al recettore con l’intento di ridurre gli effetti di un
altro farmaco o di un ligando endogeno. L’antagonista non è dotato di attivit{
intrinseca. Può essere:
 Competitivo: quando si lega allo stesso sito di legame della molecola biologica
(es prazosina che si lega allo stesso sito della noradrenalina; naloxone)
 Non competitivo: quando si lega in un sito diverso dall’agonista.
 Antagonisti funzionali: azione a livello di un recettore completamente diverso da
quello dell’agonista, ad esempio l’adrenalina utilizzata per prevenire il broncospasmo
indotto da istamina che agisce però su recettori H della mucosa bronchiale mentre
l’adrenalina si lega a recettori β2-adrenergici sulla muscolatura liscia bronchiale.
 Agonisti parziali: hanno attività intrinseca non tale da raggiungere la risposta
massima. Rispetto a un agonista pieno può avere affinità per il recettore uguale,
minore o maggiore. In più questi hanno la caratteristica di poter fungere da antagonisti
nei confronti di un agonista pieno.
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AGONISTI E ANTAGONISTI
13. La curva dose-risposta di un farmaco e le sue
caratteristiche
Curva dose-risposta graduale
Un farmaco agonista che si lega ad un recettore determina lo sviluppo di una risposta in
relazione alla concentrazione del farmaco stesso nel sito recettoriale, la quale a sua volta è
determinata dalla dose di farmaco somministrato e dai fattori caratteristici del farmaco
(velocità di assorbimento, distribuzione e metabolismo).
La risposta si sviluppa gradualmente ed è continua e progressiva a differenza della teoria
quantale che descrive una risposta tutto-nulla.
Se si mette in relazione la risposta farmacologica con la dose si ottiene un grafico ad
andamento di iperbole rettangolare, tuttavia per la necessità di rilevare caratteristiche precise
e in modo più accurato si preferisce usare il logaritmo della dose che permette di seguire
meglio le variazioni della risposta per quantità piccolissime di dose. In questo modo la curva
ha un andamento sigmoide.
Questa curva si caratterizza per specifici parametri:
 Soglia: dose minima del farmaco capace di produrre un
effetto apprezzabile
 Potenza: è la dose del farmaco necessaria per
provocare un effetto di entità prestabilita. Misura
quanto farmaco è necessario affinchè si sviluppi una
risposta di una data intensità. Viene espressa come E50
cioè la dose del farmaco necessaria per raggiungere il
50% della risposta prestabilita.
La potenza dipende dall’affinit{ F-R e infatti in vitro
viene utilizzata per misurare l’affinit{ del farmaco per
il recettore.
 Efficacia: si tratta dell’effetto massimo raggiungibile dal farmaco e si identifica con il
plateau della curva dose-effetto. Dipende dal numero di recettori occupati dal farmaco
e dall’efficienza del recettore di trasdurre il segnale. La risposta massima (Emax) o
efficacia è più importante della potenza di un farmaco.
In vitro viene utilizzata per misurare l’attivit{ intrinseca di un farmaco.
 Pendenza: riflette l’ambito di dosi utili per ottenere un determinato effetto. Quando
due farmaci agiscono con lo stesso meccanismo le loro curva logdose-risp hanno la
stessa pendenza.
 Variabilit{ biologica: l’effetto di un farmaco non è mai identico in tutti i pazienti e
spesso è diverso anche nello stesso paziente in momenti temporali differenti.
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Curva dose-risposta quantale
Tale relazione esprime l’influenza della grandezza della dose sulla proporzione della
popolazione che risponde.
La curva permette dunque di determinare la dose necessaria per ottenere un certo effetto
come ad es. una certa diminuzione della P arteriosa.
Si prende una coorte di pz e si segna a quale dose di antiipertensivo si è ottenuta la
diminuzione di P.A: si ottiene dunque una certa distribuzione dove i valori rappresentano la
percentuale di pz per i quali è necessaria la somministrazione di una certa dose di farmaco
per ottenere un effetto farmacologico di intensità prefissata.
A partire da tale tipo di distribuzione costruisco una curva di tipo cumulativo che
rappresenta i pz per i quali per ottenere una diminuzione della PA è sufficiente una dose
prestabilita o più bassa; questa ci permette di calcolare la dose efficace 50 (ED 50) cioè la dose
necessaria nel 50% dei soggetti per ottenere un determinato effetto farmacologico.
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14. Le interazioni tra farmaci
Assumendo di avere due farmaci, il farmaco A ed il farmaco B che ha un’azione diversa dal
farmaco A (quindi determinano effetti diversi quando somministrati da soli) i rapporti tra i 2
farmaci possono essere di 3 tipi:
1. Indifferenza: si parla di indifferenza quando la dose del farmaco A necessaria per
sviluppare un certo effetto non varia a seguito dell’assunzione del farmaco B.
2. Antagonismo: la dose del farmaco A per ottenere un certo effetto deve aumentare
quando si somministra il farmaco B.
3. Potenziamento: la dose del farmaco A per ottenere un certo effetto si riduce quando
viene somministrato il farmaco B.
I meccanismi alla base di questi 3 possibili comportamenti sono diversi:
 Incompatibilità fisico-chimica: può succedere che avvengano reazioni chimiche tra i
farmaci tali da far precipitare degli aggregati.
 Interazioni a livello dell’assorbimento gastro-intestinale:
 Assunzione di un farmaco antiacido che modifica il pH gastrico e compromette
la biodisponibilità orale di un farmaco elettrolita debole assunto in seguito. Il
pH gastrico si trova in condizioni più alcaline e il farmaco acido debole tenderà
a dissociarsi e quindi a venire assorbito in quantità molto minori.
 Azioni sul tempo di svuotamento gastrico e sulla motilità gastro-intestinale.
 Combinazione di farmaci nel lume intestinale che formano aggregati grossi che
non possono essere assorbiti dalla mucosa intestinale (chelazione,
adsorbimento…).
 Effetti tossici sul tubo gastro enterico.
 Interazioni a livello del legame con le proteine plasmatiche: può succedere che un
farmaco che si lega molto alle proteine plasmatiche a seguito dell’immissione di un
altro farmaco venga spiazzato dai siti di legame. Tuttavia questo è un effetto raro e
causa danni solo in alcuni casi, soprattutto se la quota legata del primo farmaco è
notevole, se il volume di distribuzione è piccolo, se la clearance è bassa o se il farmaco
ha indice terapeutico basso.
 Interazioni con il metabolismo del farmaco: si possono avere dei fenomeni di induzione
enzimatica per cui il metabolismo del farmaco è aumentato o ridotto.
 Interazioni con i processi renali di eliminazione del farmaco:
 Inibizione competitiva del trasporto tubulare
 Cambiamenti del pH urinario
 Cambiamenti dell’equilibrio idro-salino
 Interazioni a livello funzionale: i 2 farmaci agiscono su organi o apparati aventi funzioni
opposte.
 Interazioni a livello recettoriale
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Nelle figure precedenti si nota come il warfarin interagisca con la rifampicina attraverso un
modello di antagonismo. Infatti a seguito della somministrazione di rifampicina il warfarin ha
una concentrazione plasmatica che decresce più rapidamente a seguito del fenomeno di
induzione enzimatica della rifampicina sugli enzimi che metabolizzano il warfarin. Questo
viene mostrato anche nel grafico seguente in cui dopo rifampicina si vede che il tempo di
protrombina torna nella norma in un tempo più breve.
ANTAGONISMO COMPETITIVO E NON COMPETITIVO
Un antagonista è un farmaco privo di attività intrinseca che si lega al recettore e inibisce il
legame con la molecola biologica vera o con un agonista.
Se si tratta di un antagonista competitivo in genere significa che il farmaco si va a legare allo
stesso sito dell’agonista o nelle immediate vicinanze. In questo caso per avere l’effetto
farmacologico precedente l’assunzione dell’antagonista è necessario aumentare la dose
dell’agonista e pertanto la curva dose-risposta sarà spostata verso destra a significare un
raggiungimento della massima risposta solo per concentrazioni più alte.
Se invece si tratta di un antagonista non competitivo o allosterico il legame del farmaco al
recettore in genere si trova in un altro sito rispetto a quello dell’agonista e di conseguenza
all’aumentare della dose del farmaco non si riuscir{ mai a raggiungere l’effetto massimo e
pertanto la curva dose-risposta sarà schiacciata in basso a simboleggiare un’efficacia minore.
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15. Tolleranza e effetto placebo
TOLLERANZA
La tolleranza viene definita come uno stato di ridotta reattività a un dato effetto farmacologico
che risulta da un previa esposizione al farmaco stesso.
Si manifesta solo per certi farmaci e può interessare solo alcuni effetti farmacologici, pertanto
può essere che non tutti gli effetti vadano incontro a tolleranza.
La tolleranza è relativa ad una certa dose, per cui per avere lo stesso effetto è necessario
aumentare la dose; l’esempio tipico è la morfina che ha un effetto analgesico che va incontro a
tolleranza dopo un’assunzione cronica del farmaco, per tornare ad avere l’effetto iniziale è
necessario aumentare la dose del farmaco.
Inoltre la tolleranza può anche essere crociata cioè interessare diversi farmaci della stessa
famiglia con meccanismo d’azione simile, ad esempio un’assunzione cronica di morfina
provoca un effetto di tolleranza anche nei confronti di una dose di metadone. (Tipica la
tolleranza crociata con gli oppiacei).
Può insorgere gradualmente (tolleranza cronica) o rapidamente (tolleranza acuta o
tachifilassi).
I meccanismi biologici alla base della tolleranza sono di 2 tipi:
1. Meccanismo farmacocinetico: si basa sul fatto che un’assunzione prolungata di un
certo farmaco o a dosi elevate provoca l’induzione di enzimi predisposti al
metabolismo del farmaco stesso ed espone quindi il farmaco ad un aumentato turnover
metabolico aumentando la sua clearance.
2. Meccanismo farmacodinamico:
 Aggiustamenti omeostatici: il sistema mette in atto una serie di reazioni
fisiologiche per cercare di ripristinare l’omeostasi del sistema globale e
pertanto l’effetto del farmaco viene in parte controbilanciato. L’esempio tipico
riguarda i farmaci antipertensivi che di solito vengono dati in combinazione
proprio perché da soli provocano una vasodilatazione che viene percepita dal
sistema come inappropriata e si ha una maggior liberazione adrenergica con
tendenza alla vasocostrizione.
 Cambiamenti nel numero o nelle caratteristiche dei recettori del farmaco.
È molto più comune un sistema di tolleranza farmacodinamica e qualora siano entrambi
presenti, l’effetto dominante spetta alla farmacodinamica.
EFFETTO PLACEBO
Per effetto placebo si intende un effetto favorevole (o talora sfavorevole) determinato dalla
somministrazione del farmaco su base suggestiva.
È sempre presente, sia quando si somministra il farmaco che una sostanza inerte.
Dipende molto dalla personalit{ del paziente e dall’attitudine del paziente verso il farmaco.
Si tratta di un effetto sintomatico di durata limitata (in genere 3 mesi).
Entra in gioco anche durante patologie molto gravi.
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Dalla prescrizione all’effetto
La curva log-dose – risposta risente di molte
variabilità (alla dose prescritta un corrisponde una
intensit{ dell’effetto ben determinata).
Ad es dal pz può essere assunta una dose minore o
maggiore oppure vi può essere una erronea
somministrazione.
La dose assunta, che dovrebbe portare una certa
concentrazione del farmaco nella zona d’azione, è
soggetta a variazioni fisiologiche (biodisponibilità),
variabili patologiche (pz con insufficienza epatica o
IRA), fattori genetici, interazioni con altri farmaci,
tolleranza farmacocinetica.
Anche l’intensit{ dell’effetto risente di variabili
simili.
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PRINCIPI DI TOSSICOLOGIA
EFFETTI PRINCIPALI E SECONDARI DEI FARMACI
16. Tipi di reazioni avverse ai farmaci
Esistono differenti tipi di tossicità dei farmaci:
1. Effetti collaterali
2. Tossicità da sovradosaggio
3. Idiosincrasia
4. Allergia
5. Carcinogenesi
6. Teratogenesi e tossicità fetale
7. Farmacodipendenza
EFFETTI COLLATERALI
Si tratta di effetti tossici che avvengono alle dosi terapeutiche e sono correlati alle proprietà
farmacologiche del composto. Ad esempio l’uso di atropina in pazienti con scarsa motilità
intestinale provoca xerostomia.
- Incidenza: colpisce una % variabile di pazienti ed avviene con la maggior parte dei
farmaci
- Gravità: generalmente bassa, se la somministrazione è cronica l’effetto compare entro i
primi 10 giorni, poi tende a scomparire con le somministrazioni successive.
- Effetto: dipende dal farmaco
- Relazione dose-effetto: presente
- Meccanismo: è associato all’interazione farmaco-recettoriale, ma in molti casi il
meccanismo resta sconosciuto (ad esempio alcuni farmaci danno cefalea ma con un
meccanismo ignoto)
- Provvedimenti terapeutici: cambiare la posologia del farmaco ed eccezionalmente
cambiare il farmaco.
TOSSICITÀ DA IPERDOSAGGIO
Effetti indesiderati che compaiono solo quando viene superata la dose terapeutica e quindi
per dosi elevate.
- Incidenza: in tutti i pazienti può avvenire se la dose è sufficiente, in ogni caso però ogni
paziente presenta una dose minima che superata provoca effetti indesiderati. Tutti i
farmaci possono dare tossicità da sovradosaggio.
- Gravità: può essere anche molto grave
- Effetto: dipende dal farmaco
- Relazione dose-effetto: presente
- Meccanismo: interazione farmaco-recettoriale, ma anche danno cellulare diretto.
- Provveimenti terapeutici: ridurre la dose del farmaco o sospendere la
somministrazione. In alcuni casi si può somministrare un antagonista (ove possibile)
che tampona i singoli sintomi spiazzando il farmaco dal suo sito recettoriale.
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IDIOSINCRASIA DA FARMACI
Alterata reattivit{ dell’organismo ad un farmaco geneticamente determinata. Avviene in
pazienti che hanno delle anomalie genetiche come mutazioni o polimorfismi genici (spesso a
carico dei geni che codificano per gli enzimi deputati al metabolismo).
- Incidenza: una piccola parte della popolazione che presenta anomalie geniche e solo
per determinati farmaci
- Gravità: può essere elevata
- Effetto: dipende dal farmaco
- Relazione dose-effetto: generalmente presente
- Meccanismo: interazione farmaco recettoriale
- Provvedimenti terapeutici: sospendere il farmaco e ove possibile usare antagonisti.
Ci sono 3 diversi tipi di reattività alterata:
 Aumentata sensibilità al farmaco
 Resistenza al farmaco
 Comparsa di un effetto nuovo
 Esistono effetti di maggior sensibilità:
I sulfamidici e i nitriti tendono a dare metaemoglobinemia e i pazienti più predisposti sono
quelli che possiedono Hb anomale oppure quelli che hanno Hb normali ma che presentano un
deficit nell’enzima che dovrebbe trasformare la metaHb in Hb (NADH-metaHb-reduttasi).
La succinilcolina è usata in anestesia per il rilassamento dei muscoli e viene degradata da una
pseudocolinesterasi che se alterata non consente un’adeguata eliminazione del farmaco e si ha
una maggior sensibilità al farmaco con effetti di paralisi muscolare prolungata.
L’isoniazide antitubercolare è un farmaco che viene biotrasformato da un’acetil-trasferasi
epatica, se questa è compromessa il farmaco resta per più tempo nell’organismo ed è causa di
neuropatie.
Il warfarin viene metabolizzato dal CYP2C9, se questo è geneticamente alterato il farmaco
resta per più tempo nell’organismo e causa crisi emorragiche.
 Esistono però anche casi di resistenza ai farmaci:
la codeina è un farmaco antitosse con un modesto effetto analgesico dovuto alla
trasformazione di tale molecola in morfina da parte del CYP2D6, se questo è alterato non si
presenta l’effetto analgesico.
Il warfarin può non essere efficace nei pazienti con alterazioni dell’enzima epossido-reduttasi
non presentando l’effetto anticoagulante.
 Esistono inoltre casi in cui la somministrazione di un farmaco evoca un effetto
nuovo:
la primachina, i salicilati ed alcuni sulfamidici possono dare anemia emolitica nei pazienti con
modificazioni enzimatiche della G6PD.
Alcol, barbiturici, estrogeni, fenitoina e griseofulvina in caso di deficit genetici degli enzimi
della via biosintetica dell’eme possono dare porfirie.
Un test permette di calcolare l’attivit{
plasmatica della colinesterasi a
seconda del num di dibucaina (se è
alto l’attivit{ è elevata, se basso
l’attivit{ è scarsa).
Si nota in una determinata pop una
distribuzione trimodale:
- pop nrl
- inattivatori intermedi
- pop sensibile alla succinilcolina
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Nel caso dell’isoniazide si nota una tipica distribuzione
bimodale:
- gli inattivatori lenti: mostrano una concentrazione
plasmatica più alta (l’enzima è deficitario)
- inattivatori rapidi: mostrano una concentrazione
plasmatica più bassa (l’enzima è funzionante)
ALLERGIA DA FARMACI
Effetti indesiderati di un farmaco conseguenti ad una previa esposizione del paziente al
farmaco stesso o a un composto simile (sensibilizzazione).
- Incidenza: bassa anche se riguarda molti farmaci
- Gravità: può anche essere elevata
- Effetto: non è dipendente dal farmaco
- Relazione dose-effetto: assente, infatti anche una quantità molto piccola può dare
reazioni allergiche anche molto gravi
- Meccanismo: immunologico
- Provvedimenti terapeutici: sospensione del farmaco e somministrazione di farmaci
antiallergici.
È sempre indispendabile la sensibilizzazione, esiste anche una sensibilizzazione di gruppo per
cui molecole strutturalmente simili danno in genere una sensibilizzazione crociata.
La dose del farmaco è rilevante ai fini della sensibilizzazione, ma non incide sull’entit{ della
risposta allergica.
La frequenza di comparsa di allergia è correlata a:
 Struttura del farmaco: è più probabile che un famaco grosso dia reazioni allergiche
 Via di somministrazione
 Numero delle somministrazioni
 Patologie associate
 Predisposizione individuale
Spesso è un metabolita del farmaco a dare allergia e non il farmaco primitivo.
Inoltre il farmaco può non essere un antigene di per sé, ma comportarsi da aptene e legarsi
alle proteine plasmatiche dando origine a composti anomali che vengono rilevati dal sistema
immunitario come estranei.
CARCINOGENESI
Esistono farmaci che predispongono il paziente allo sviluppo di tumori, sono pochi i farmaci
finora assicurati come carcinogenetici ed alcuni sono ancora in dubbio.
 Farmaci chemioterapici antitumorali e immunosoppressori
 Alcol (a dosi elevate)
 Fenitoina (?)
 Cloramfenicolo (?)
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17. Indice terapeutico; terapia farmacologica in gravidanza
INDICE TERAPEUTICO
Viene definito indice terapeutico il rapporto tra la dose che provoca tossicità e la dose
necessaria a dare una risposta clinicamente desiderata o efficace in una popolazione.
Per rilevare l’indice terapeutico quindi si prende una popolazione di riferimento e si
somministrano dosi sempre maggiori di una farmaco guardando i livelli di raggiungimento di
un’efficacia e quelli del raggiungimento di una tossicit{. Vengono presi come riferimento i
valori che determinano la comparsa dell’effetto nel 50% della popolazione.
DE50 = dose efficace o che dà una risposta clinicamente desiderata nel 50% della popolazione
DT50 = dose minima per dare l’effetto tossico nel 50% della popolazione.
IT = DT50 / DE50
Pertanto maggiore è l’indice terapeutico e maggiore sar{ la sicurezza di una farmaco perché le
dosi efficaci sono modeste e quelle tossiche saranno elevate per cui per avere una tossicità
sarà necessario somministrare una dose molto elevata.
Viene definita finestra terapeutica quell’intervallo di dosi (o per essere più precisi di
concentrazioni plasmatiche) che ha un’elevata probabilit{ di successo terapeutico, associata
ad una bassa probabilità di effetti tossici gravi.
Per i farmaci con un IT basso la finestra terapeutica sarà ridotta, mentre per quelli con IT alto
l’intervallo sar{ più ampio.
Esempio di farmaco ad IT basso: WARFARIN
Il farmaco anticoagulante aumentando le dosi provoca un
effetto terapeutico desiderato (che in tal caso è l’aumento di 2
volte il tempo di protrombina), ma in alcuni pazienti inizia a
comparire anche un effetto tossico ossia un aumento eccessivo
del PT e quindi emorragia. Aumentando ulteriormente le dosi si
ha un netto incremento delle persone che sviluppano effetti
tossici emorragici.
Pertanto in questo caso la finestra terapeutica è stretta e esiste
la possibilità che in alcuni pazienti prima di raggiungere la dose
efficace si sviluppi un effetto tossico visto che in piccola parte le
2 curve sono sovrapposte. Questi farmaci sono quelli che presentano una variabilità di
risposta tra i pazienti più alta. Fondamentale regolare la dose in modo critico.
Esempio di farmaco ad IT elevato: PENICILLINA
In questo caso la penicillina ha un IT molto elevato e di
conseguenza è possibile somministrare una dose molto
elevata (fino a 10 volte superiore la dose massima efficace)
senza avere tossicità. In queste situazioni la finestra
terapeutica è molto ampia e somministrando il farmaco si ha
un ampio margine di sicurezza sul tipo di risposta che
l’organismo avrà.
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TERAPIA FARMACOLOGICA IN GRAVIDANZA
I farmaci somministrati durante la gravidanza possono interferire con lo sviluppo del feto
determinando anche problemi gravi.
Gli effetti dei farmaci durante la vita fetale si dividono in:
 Effetto diretto
o Letale (aborto)
o Teratogeno (interferenza con i normali processi di sviluppo degli organi con
conseguenti malformazioni fetali)
o Tossico (prevalentemente nell’ultimo periodo della gravidanza con
conseguenza non molto diverse dalla tossicità negli adulti)
 Effetto indiretto
o Diminuzione del flusso ematico placentare
o Gravi alterazioni dell’assetto fisiologico della madre
L’entit{ dei danni al feto dipendono da:
1. Struttura chimica del farmaco
2. Dose del farmaco
3. Stadio della gravidanza
Lo stadio della gravidanza è molto importante nel determinare l’entit{ del danno fetale; infatti
il farmaco si distribuisce nel circolo fetale ed andr{ ad alterare la formazione dell’organo che
si sta formando in quel momento (alterazioni oculari, arto superiore): vi è dunque una
correlazione precisa tra il periodo di assunzione del farmaco e il tipo di malformazione che
compare con maggior frequenza.
STADIO
Blastogenesi
Organogenesi
Istogenesi e sviluppo
funzionale
DURATA (giorni)
TIPO DI EFFETTI
0-16
Nessun effetto o aborto
17-60
Aborto
Malformazioni
Alterazioni metaboliche o funzionali (rare)
61-termine
Aborto (raro)
Malformazioni (rare)
Alterazioni metaboliche o funzionali
Teratogenesi vs tossicità fetale
Teratogenesi
Farmaci coinvolti
Pochi
Periodo di maggiore
Giorni 17-60
incidenza
Entità del danno
Variabile
Durata del danno
Permanente
Tipo di effetto
Dipende da:
- farmaco
-periodi della gravidanza
Relazione dose-effetto
Presente
Tossicità fetale
Molti
Giorni 61-termine
Generalmente basso
Transitorio
Dipende da:
- farmaco
Presente
I farmaci che sviluppano teratogenesi sono pochi mentre quelli che danno tossicità sono molti.
La teratogenesi si sviluppa principalmente nei primi 60 giorni (fase blastogenesi e
organogenesi) mentre la tossicità si sviluppa più avanti.
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Nella teratogenesi l’entit{ del danno è generalmente grave e permanente mentre nella
tossicità si ha una modesta entità e una durata transitoria (alla nascita infatti si ha
l’interruzione della comunicazione madre-feto e il neonato provvederà ad eliminare il
farmaco).
Fondamentale la dose, per cui in gravidanza si deve cercare di controllare e monitorare
adeguatamente le somministrazioni croniche.
È stato visto che la talitomide in gravidanza provoca notevoli probabilità di malformazioni
fetali come la focomelia e quando si è scoperto la sua vendita è stata vietata.
Pertanto in gravidanza è necessario evitare qualsiasi farmaco che sia stato accertato come
teratogeno o tossico per il feto ed usare con molta prudenza i farmaci che non sono ancora
stati accertati come responsabili di un effetto dannoso.
Quando viene stabilita la tossicità di un farmaco è opportuno considerare estesa la tossicità a
tutti i farmaci facenti parte della stessa classe ed evitare di somministrarli.
L’uso di un farmaco che prevede una probabilità di effetti teratogeni o tossici deve essere un
rischio calcolato ed essere utilizzato solo se non esistono valide alternative.
Un principio fondamentale da tenere in considerazione è la dose, per cui è necessario tenere
presente che i trattamenti cronici espongono ad un rischio molto maggiore che le esposizioni
occasionali ad un farmaco.
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
GENERALITA’ SUL SISTEMA NERVOSO AUTONOMO
Il sistema nervoso si suddivide in SNC e SNP; il primo è formato da encefalo e midollo spinale
mentre il secondo è costituito dai nervi encefalici e spinali e dai gangli del sistema nervoso
autonomo.
Il sistema nervoso periferico a sua volta può essere suddiviso in 2 branche:
 Afferente: che rileva eventi periferici e li invia verso il centro affinchè vengano
identificati, interpretati e a seguito venga formulato un messaggio di risposta per
mantenere uno stato omeostatico.
 Efferente: che invia dei messaggi dal SNC verso la periferia comprendendo qualsiasi
organo o distretto.
Un’ulteriore suddivisione del SNP prevede:
 Sistema nervoso somatico: regolato da comportamenti coscienti e volontari
 Sistema nervoso autonomo: indipendente dalla coscienza e dalla volontà, a sua volta il
SNA può essere suddiviso nelle sue 3 branche:
o SIMPATICO
o PARASIMPATICO
o ENTERICO
Il sistema nervoso autonomo prevede la presenza di neuroni afferenti ed efferenti.
Gli efferenti hanno il compito di inviare risposte elaborate dal SNC verso gli organi interni
mediante 2 vie neuronali. Il neurone iniziale ha origine dal SNC, viene detto pre-gangliare e
raggiunge un ganglio che fa parte del SNP, qui si ha il passaggio dell’informazione ad un
neurone post-gangliare che provvede al trasporto dell’informazione a destinazione.
I neuroni afferenti invece rilevano dei messaggi dalla periferia e li inviano al SNC.
Sistema SIMPATICO
I neuroni del simpatico hanno origine dai segmenti toracici e lombari del midollo spinale e
fuoriescono da esso con i loro assoni dei neuroni pre-sinaptici e si dirigono verso la catena
paravertebrale dei gangli del SNA simpatico. Qui avviene la liberazione del neurotrasmettitore
acetilcolina che si lega ai recettori nicotinici sulla membrana del neurone post-gangliare il
quale si dirige alla sede finale di innervazione.
Questo sistema è poco specifico perché l’attivazione di un nervo simpatico determina
inevitabilmente l’arrivo dell’informazione a più distretti essendo il ganglio in genere molto
distante dalla sede d’azione. In sede d’arrivo il neurone post-sinaptico libera il
neurotrasmettitore noradrenalina che si lega a recettori adrenergici.
La midollare del surrene riceve direttamente un neurone pre-gangliare e quindi funge da
ganglio simpatico, tuttavia non prevede l’utilizzo di un neurone post-sinaptico ma della
liberazione di un ormone che è l’adrenalina e in piccola parte noradrenalina che entra in
circolo e si lega ai recettori adrenergici esaltando l’azione del simpatico.
Il simpatico viene attivato in modo massivo solo in certe condizioni come “attacco e fuga” in
cui si verificano una serie di modificazioni transitorie del tono parasimpatico che consentono
una serie di risposte immediate e veloci per attacco o difesa.
Sistema PARASIMPATICO
I neuroni del parasimpatico hanno origine dai segmenti cervicali e sacrali del midollo spinale
e fuoriescono da esso tramite nervi spinali che conducono gli assoni dei neuroni pre-sinaptici
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verso i gangli parasimpatici situati nei pressi o sull’organo bersaglio. Qui è contenuto il
neurone post-gangliare che riceve acetilcolina come neurotrasmettitore che si lega ai recettori
nicotinici e in seguito parte il messaggio del neurone post-sinaptico verso l’organo bersaglio
dove viene liberata acetilcolina che in tal caso si lega attraverso recettori muscarinici. A
differenza del simpatico questo sistema è più specifico e quando viene attivato non prevede
un’azione massiva ma sempre diretta e specifica ad un determinato territorio grazie alla
lunghezza molto breve delle fibre post-sinaptiche che raggiungono direttamente l’organo da
innervare. L’attivazione in massa di tutto il parasimpatico provocherebbe sintomi massivi,
indesiderabili e spiacevoli.
Questo sistema prevede un’attivazione di base nei confronti di certi organi ed è pertanto
essenziale per la vita in quanto regola normalmente il ritmo cardiaco, la digestione e
l’eliminazione delle scorie.
Sistema ENTERICO
Il sistema enterico è un sistema a se stante situato all’interno della parete del tubo digerente e
si divide in plesso mienterico e sottomucoso. Possiede dei gangli propri che regolano la
motilità intestinale e le secrezioni. Riceve impulsi regolatori sia dal simpatico che dal
parasimpatico.
Azioni del sistema parasimpatico e simpatico
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In genere gli organi hanno una duplice innervazione anche se determinati organi possiedono
solo un’innervazione simpatica o parasimpatica, in ogni caso quando ci sono organi con
duplice innervazione quella parasimpatica è predominante.
Il sistema nervoso somatico si differenzia da questi perché possiede un neurone all’interno
del midollo spinale o del tronco encefalico che invia un impulso direttamente alla muscolatura
periferica senza intermediari gangliari di alcun tipo. Il neurone è sempre mielinizzato a
differenza del SNA in cui talvolta i neuroni non sono dotati di mielina.
I neurotrasmettitori sono molecole informazionali al pari dei mediatori locali e degli ormoni,
tuttavia hanno il loro percorso all’interno del sistema nervoso e vengono liberati a seguito di
un potenziale d’azione che causa la liberazione del calcio, in tal modo è possibile liberare le
vescicole di neurotrasmettitori nello spazio sinaptico che si combinano con recettori specifici
di membrana vista la loro scarsa liposolubilità.
Esistono circa 50 tipi di neurotrasmettitori nel SNC, ma di questi solo 6 sono coinvolti
nell’azione dei farmaci terapeuticamente utili: noradrenalina, acetilcolina, dopamina,
serotonina, istamina e acido γ-aminobutirrico. Spesso a seguito della liberazione di tali
trasmettitori vengono anche rilasciati cotrasmettitori come l’adenosina che supportano i
primi e modulano il processo di trasmissione.
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Una volta avvenuto il legame tra NT e recettore deve avvenire una trasduzione del segnale in
modo da evocare una risposta biologica seguente all’arrivo della molecola.
Esistono 2 tipi diversi di trasduzione:
1. Recettore associato ad un canale ionico che a seguito del legame col NT provoca una
modificazione del potenziale di membrana. È il caso tipico del recettore nicotinico
dell’Ach sia a livello del sistema nervoso somatico, sia negli intermezzi gangliari del
sistema nervoso autonomo.
2. Recettori accoppiati a proteine G che producono un secondo messaggero. È il caso di
recettori muscarinici, recettori α e β, recettori dopaminergici. Può avvenire sia la
produzione di cAMP come secondo messaggero sia di IP3 mediante attivazione della
fosfolipasi C.
Esiste una modalità di regolazione della neurotrasmissione a livello locale:
 Regolazione presinaptica: sulla membrana presinaptica esistono recettori che se
stimolati possono favorire o inibire il rilascio dei NT (autorecettori ed eterorecettori).
 Regolazione postsinaptica: se la liberazione del NT è eccessiva e prolungata i recettori
sulla membrana postsinaptica vanno incontro ad un meccanismo di down-regulation o
desensibilizzazione o refrattariet{; se la liberazione è scarsa o c’è un’inibizione cronica
allora si ha un’up-regulation o sensibilizzazione.
La modulazione della trasmissione può essere dovuta anche all’intervento di altri NT che
agiscono su differenti recettori postsinaptici.
La neurotrasmissione nel SNA può terminare in 2 modi:
1. Distruzione: in tal caso il NT viene metabolizzato e distrutto da specifici enzimi, è il
caso della colinesterasi che elimina l’Ach.
2. Allontanamento: processo che avviene mediante
a. Ricaptazione attiva del neurone presinaptico (es serotonina)
b. Ricaptazione attiva da parte di strutture apposite (es noradrenalina nella
nevroglia)
c. Diffusione verso un organo sede di
metabolismo.
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FARMACI DEL SISTEMA NERVOSO
AUTONOMO
INQUADRAMENTO GENERALE DEI FARMACI CHE AGISCONO SUL SISTEMA
NERVOSO AUTONOMO
18. Parasimpaticomimetici e parasimpaticolitici
Parasimpaticomimetici
L’acetilcolina è un neurotrasmettitore utilizzato nel sistema simpatico e parasimpatico a
livello gangliare, nella midollare del surrene a livello del neurone pre-gangliare, nella branca
parasimpatica a livello del neurone post-sinaptico, nel sistema nervoso somatico e nel sistema
nervoso centrale.
L’Ach è la molecola neurotrasmettitore endogeno mediatore di una serie di effetti.
Il neurone colinergico prevede la liberazione dell’Ach in 6 tappe:
1. Sintesi: la colina viene addizionata ad un gruppo acetile e si forma l’Ach
2. Immagazzinamento in vescicole: qui è protetta dalla degradazione
3. Liberazione del neurotrasmettitore: a seguito di un potenziale d’azione che si propaga
lungo il neurone e che permette l’apertura di canali del calcio voltaggio dipendenti che
permettono la fusione delle vescicole con la membrana pre-sinaptica. La liberazione è
inibita dalla tossina botulinica, mentre il veleno di ragno vedova nera causa la
fuoriuscita di tutto il NT.
4. Legame al recettore: esistono 2 tipi di recettori, muscarinico e nicotinico situati sulla
membrana post-sinaptica, esistono anche recettori pre-sinaptici che amplificano la
liberazione del NT.
5. Degradazione dell’Ach: mediata dall’enzima acetilcolinesterasi nello spazio sinaptico
che scinde l’Ach in
acetato e colina.
6. Riutilizzazione della
colina: un sistema di
trasporto accoppiato al
sodio permette l’ingresso
nuovamente della colina
nel neurone. Questa
tappa è inibita
dall’emicolinio.
I recettori MUSCARINICI sono
definiti tali in quanto hanno
un’elevata affinit{ con la
muscarina, una sostanza
estratta da certi funghi, hanno affinit{ per l’Ach e molto bassa per la nicotina. Questi sono di
diversi isotipi: M1-5 di cui M1 è prevalente nella mucosa gastrica, M2 nelle cellule muscolari
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lisce e cardiache e M3 nelle ghiandole esocrine, mentre tutti gli isotipi sono presenti sui
neuroni.
Essi sono accoppiati a proteine G che nel caso di M1 o M3 generano secondi messaggeri tra cui
IP3 mediante la subunità Gq che attiva la fosfolipasi C e forma IP3 e diacilglicerolo. Nel caso di
M2 si verifica l’attivazione della subunit{ Gi che inibisce la formazione del cAMP con aumento
di conduttanza al potassio e quindi iperpolarizzazione con riduzione della frequenza cardiaca
e della contrattilità.
I recettori NICOTINICI sono composti da 5 subunità associate ad un canale del sodio che a
seguito del legame con la Ach si apre e permette la depolarizzazione della cellula. Sono situati
nelle placche neuromuscolari, nella midollare del surrene e nei gangli sia simpatici che
parasimpatici. Hanno una spiccata affinità per la nicotina, mentre legano scarsamente la
muscarina. I recettori gangliari sono bloccati dall’esametonio, mentre quelli della giunzione
nm sono inibiti dalla tubocurarina.
Gli agonisti colinergici si possono dividere in 3 categorie:
 Diretti (naturali e sintetici)
 Indiretti reversibili
 Indiretti irreversibili
Agonisti DIRETTI
ACETILCOLINA
Composto ammonico quaternario che non può attraversare le membrane e benchè sia il
principale agente endogeno non viene usato in terapia perché ha un’emivita estremamente
breve dovuta alla rapida distruzione da parte della colinesterasi.
Le sue azioni principali sono
- una riduzione della scarica del nodo SA provocando bradicardia e riduzione della FE;
- vasodilatazione attivando i recettori muscarinici presenti sulla parete dei vasi (i vasi
non hanno innervazione parasimpatica diretta) dovuta alla liberazione del calcio
conseguente alla produzione di IP3 che stimola la formazione di NO. Tuttavia senza
stimolo con agonisti colinergici non è possibile conoscere la funzione dei recettori visto
che normalmente l’Ach liberata in circolo è quasi nulla;
- stimolo della motilità intestinale
- stimolo della contrazione del detrusore e rilasciamento degli sfinteri;
- stimolo secrezioni bronchiolari
- contrazione del muscolo ciliare con conseguente visione da vicino migliorata e
contrazione dello sfintere della pupilla causando miosi.
BETANECOLO
Composto sintetico a partire dalla Ach, la presenza di un gruppo carbamato e metilico il
composto è distrutto dalla colinesterasi molto più lentamente e quindi ha efficacia
terapeutica. Ha forte attività muscarinica
Azioni: stimola motilità intestinale, detrusore e rilassamento sfinteri.
Applicazioni terapeutiche: viene utilizzato per l’atonia vescicale soprattutto dopo parto o
operazione chirurgica quando può instaurarsi una condizione di ritenzione urinaria.
Effetti indesiderati: sudorazione, nausea, diarrea, miosi, urgenza urinaria, broncospasmo e
riduzione della pressione arteriosa.
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CARBACOLO
Composto sintetico anch’esso a lunga durata d’azione che ha affinit{ sia per recettori
muscarinici che nicotinici.
Azioni: effetti cardiovascolari, intestinali, oculari (provoca miosi e spasmo
dell’accomodazione) e può far liberare adrenalina alla midollare del surrene vista la parziale
azione nicotinica.
Usi terapeutici: raramente utilizzato in terapia a causa della sua lunga durata d’azione. Solo
nei casi di glaucoma acuto in cui è in grado di dare miosi e riduzione della pressione intraoculare.
Effetti indesiderati: assenti alle dosi usate in oftalmologia.
PILOCARPINA
Farmaco naturale (alcaloide) che ha una certa affinità per i recettori muscarinici. Ha effetti
minori rispetto all’Ach e ai suoi derivati. Trova impiego principalmente nel trattamento di
attacchi acuti di glaucoma.
Azioni: applicato topicamente sulla cornea determina miosi e spasmo dell’accomodazione, è
efficace nel favorire la secrezione ghiandolare salivare, lacrimale e sudoripara e pertanto
viene usato per i pazienti con xeroftalmia a seguito di irradiazione della testa.
Usi terapeutici: pazienti con glaucoma acuto è il farmaco principale perché permette
contrazione del muscolo ciliare con apertura delle trabecolature del canale dello Schlemm
permettendo un drenaggio dell’umore acqueo e riduzione della pressione intraoculare.
Effetti indesiderati: agendo sul SNC e riuscendo a penetrarvi dà sudorazione profusa e
salivazione.
METACOLINA
Agonisti INDIRETTI REVERSIBILI
Si tratta di inibitori della colinesterasi che quindi lasciano l’Ach libera nelle terminazioni
sinaptiche per più tempo. Questo determina un effetto agonista colinergico ampio e massivo
sia sui recettori muscarinici che nicotinici.
FISOSTIGMINA
Farmaco naturale, amina terziaria che si lega alla colinesterasi e la inibisce reversibilmente.
Azioni: molteplici e con durata d’azione di 2-4 ore
Usi terapeutici: pazienti con glaucoma (anche se la pilocarpina è più efficace), atonia
intestinale o vescicale, trattamento del sovradosaggio da farmaci come l’atropina.
Effetti indesiderati: ipotensione improvvisa, bradicardia e paralisi muscolare conseguente a
prolungata azione del farmaco che dà down-regulation dei recettori muscolari esposti per
troppo tempo a Ach. In più penetra nel SNC e può causare convulsioni.
NEOSTIGMINA
Farmaco naturale che a differenza della fisostigmina non penetra nel SNC perché è polare.
Azioni: stimolo contrazione muscolatura scheletrica prima di provocarne una paralisi, utile
come antidoto della tubocurarina.
Usi terapeutici: atonia vescicale e gastrointestinale, miastenia gravis (condizione in cui ci
sono anticorpi diretti contro i recettori dell’Ach).
Effetti indesiderati: salivazione, vampate, ipotensione, dolori addominali, nausea.
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PIRIDOSTIGMINA
Farmaco utilizzato per trattamento cronico della miastenia gravis.
DONEZEPIL, RIVASTIGMINA, GALANTAMINA
Farmaci studiati come possibile rimedio per la perdita della funzione cognitiva agendo sulla
colinesterasi del SNC cercando di mantenere l’Ach e rallentare così la progressione di malattie
come l’Alzheimer.
Agonisti INDIRETTI IRREVERSIBILI
Farmaci che formano un legame covalente con la colinesterasi non permettendo una
reversibilit{ dell’inibizione. Per tale motivo risultano anche tossici. Alcuni sono stati usati in
ambiente militare per produrre gas tossici (gas nervino).
ISOFLUROFATO
Capostipite della famiglia, realizza un legame covalente con un residuo di serina dell’enzima e
non permette più una reversibilit{. L’enzima richiede un antidoto che è la pralidossima che
permette di separare i 2 composti, tuttavia dopo un certo tempo si verifica il fenomeno
dell’invecchiamento per cui viene perso un gruppo alchilico che rende impossibile la
dissociazione del legame anche con pralidossima.
Azioni: stimolazione colinergica generalizzata con paralisi della funzione motoria (e problemi
respiratori).
Usi terapeutici: trattamento cronico del glaucoma ad angolo aperto.
Parasimpaticolitici
Gli antagonisti colinergici si legano ai recettori dell’acetilcolina ma non hanno un’attivit{
intrinseca e quindi si limitano nella maggioranza dei casi a bloccare l’effetto.
Si suddividono in 3 grandi gruppi:
1. Agenti antimuscarinici
2. Bloccanti gangliari
3. Bloccanti neuromuscolari
Agenti antimuscarinici
Sicuramente sono tra gli antagonisti colinergici più conosciuti e con più impieghi terapeutici.
Hanno un’affinit{ alta con i recettori muscarinici lasciando intatti quelli nicotinici e per questo
possono essere ampiamente usati senza avere effetti indesiderati associati all’interessamento
dei recettori nicotinici come la paralisi muscolare.
Il loro effetto è quello di bloccare le sinapsi muscariniche dei nervi parasimpatici lasciando il
sistema simpatico senza antagonisti fisiologici.
Inoltre questi farmaci vanno anche a bloccare quei recettori muscarinici controllati dal
sistema simpatico (eccezionalmente) come le ghiandole salivari e sudoripare.
Questo gruppo può essere suddiviso in
 Amine terziarie:
o Alcaloidi naturali: atropina, scopolamina, ipratropio
o Composti di sintesi: omatropina, ciclopentolato, tropicamide, biperidene,
orfenadrina, triesifenidile
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Composti dell’ammonio quaternario: scopolamina butilbromuro, ipratropio bromuro,
ossitropio bromuro.
Le amine hanno un effetto trascurabile sui recettori nicotinici mentre i composti
dell’ammonio quaternario esercitano un effetto significativo di blocco anche sui recettori
nicotinici.

ATROPINA
Farmaco principale di questa classe, è un alcaloide derivato dalla belladonna e agisce sia a
livello centrale che periferico con durata d’azione di circa 4 ore.
Azioni:
 Occhio: determina una midriasi ed una cicloplegia cioè una scarsa capacità di mettere a
fuoco per la visione da vicino. Molto pericolosa per i soggetti con glaucoma ad angolo
aperto perché può dare aumenti drastici di pressione. Di solito per indurre midriasi
negli esami oftalmici si usano farmaci a durata d’azione più breve come la fenilefrina.
 Gastrointestinale: utilizzato per ridurre le contrazioni spastiche, la secrezione acida
non è interessata.
 Urinario: utilizzata occasionalmente nei bambini con enuresi, ma gli agonisti αadrenergici risultano più efficaci.
 Cardiovascolare: l’atropina ha azione diversa in base alle dosi. Infati a basse dosi
provoca una lieve bradicardia dovuta essenzialmente all’attivazione dei recettori M1
inibitori pregiunzionali permettendo così liberazione di Ach. Ad alte dosi si ha un lieve
effetto tachicardico per attivazione dei recettori M2 nel nodo SA, tuttavia questo effetto
per verificarsi richiede dosi maggiori rispetto a quelle usate normalmente in terapia.
 Secrezioni: è uno dei principali inibitori della secrezione delle vie aeree superiori
prima degli interventi chirurgici. Induce xerostomia e riduzione delle lacrime e del
sudore.
Usi terapeutici:
 Oftalmico: utilizzata per gli esami oftalmologici che rilevano difetti di rifrazione
provocando midriasi e cicloplegia. Non usarla nei soggetti con glaucoma o sospetto.
 Antispastico: riduzione delle contrazioni involontarie dell’intestino e della vescica.
 Antidoto: utilizzato nei casi di sovradosaggio di agonisti colinergici tipicamente
indiretti (inibitori della colinesterasi), in caso quindi di intossicazione da alcuni funghi
o esposizione a insetticidi.
 Antisecretivo: pre-chirurgico.
Farmacocinetica: assunzione per via orale, metabolismo epatico ed eliminazione urinaria.
Effetti indesiderati: può dare secchezza delle fauci, offuscamento della visione, sensazione di
sabbia negli occhi, tachicardia e stipsi. A dosi elevate può dare gravi conseguenze al SNC come
allucinazioni e delirio fino al coma. Si cerca di evitare di somministrarla ai pazienti anziani per
evitare lo smascheramento di un glaucoma latente preesistente.
SCOPOLAMINA
Farmaco alcaloide derivato da belladonna con durata d’azione più lunga dell’atropina ed
effetti maggiori sul SNC.
Azioni: efficace contro il mal di moto e per la riduzione della memoria a breve termine. Causa
sedazione a basse dosi mentre ad alte dosi eccitazione.
Usi terapeutici: prevenzione del mal di moto e riduzione memoria a breve termine.
Effetti indesiderati e farmacocinetica: sovrapponibile a atropina.
IPRATROPIO
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Farmaco utilizzato principalmente come antitussigeno quando non si possono usare agonisti
adrenergici. Utile anche per il controllo della BPCO.
Bloccanti gangliari
Farmaci che hanno affinità per i recettori nicotinici presenti nei gangli del SNA, sia simpatico
che parasimpatico, non hanno effetto sui recettori nicotinici della placca neuromuscolare.
Pertanto la loro azione è quella di interferire con la trasmissione del SNA.
NICOTINA
Componente del fumo di sigaretta priva di benefici sull’organismo e deleteria per la salute. Ha
un’azione a basse dosi depolarizzante sui recettori nicotinici gangliari e quindi provoca
aumento pressorio, tachicardia e aumento peristalsi intestinale e secrezioni. A dosi più alte
invece è un bloccante dell’ingresso di sodio causando caduta brusca della pressione,
bradicardia e arresto della motilità intestinale.
TRIMETAFANO
Composto che blocca competitivamente i recettori nicotinici somministrato per via
endovenosa a causa della breve durata d’azione. Trova impiego farmaceutico nel trattamento
acuto delle crisi ipertensive come nel caso dell’edema polmonare.
MECAMILAMINA
Trattamento dell’ipertensione medio-grave, biodisponibilità orale elevata a differenza dle
precedente.
Bloccanti neuromuscolari
Composti farmacologici con affinità specifica nei confronti del recettore nicotinico presente
nella placca neuromuscolare. Si dividono in bloccanti non depolarizzanti e bloccanti
depolarizzanti.
I bloccanti competitivi (non depolarizzanti) hanno il loro capostipite nel curaro, oggi utilizzato
come tubocurarina usata in genere prima degli interventi chirurgici per ridurre la contrazione
muscolare associata all’anestetico.
La TUBOCURARINA abbassa l’ingresso di sodio nella cellula muscolare e di conseguenza induce
una riduzione della contrattilità che a dosi elevate diventa una paralisi flaccida. I muscoli più
colpiti sono quelli faciali e orbitali e in seguito quelli delle dita. Il diaframma è l’ultimo ad
essere interessato.
La biodisponibilità orale è molto bassa e pertanto va somministrato per via endovenosa, molti
farmaci di questa classe non sono metabolizzati e la loro azione cessa per redistribuzione.
Effetti avversi della tubocurarina sono la possibile liberazione di istamina e il conseguente
blocco gangliare con riduzione della pressione. Pertanto è raramente usata in terapia.
Altri farmaci competitivi sono il mivacurio (utile per procedure chirurgiche brevi), il
cisatracurio (utile nella ventilazione meccanica), il rocuronio (utile nell’intubazione tracheale)
e il pancuronio (vagolitico).
Possono presentarsi interazioni con altri farmaci:
- Inibitori della colinesterasi (fisostigmina, neostigmina): un eccesso di questi farmaci
può annullare l’azione dei bloccanti neuromuscolari, ma una dose eccessiva determina
una paralisi muscolare a seguito della eccessiva presenza di Ach nello spazio sinaptico
con down-regulation dei recettori.
- Alotano e altri anestetici idrocarburi alogenati: azione esaltata
- Inibitori dei canali del calcio: azione esaltata
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-
Antibiotici aminoglicosidici (gentamicina): azione di blocco della liberazione di Ach
con rinforzo dell’effetto della tubocurarina.
Farmaci depolarizzanti
Il tipico farmaco antagonista colinergico che si lega ai recettori nicotinici ma sviluppa una
depolarizzazione è la SUCCINILCOLINA. Il meccanismo d’azione prevede una iniziale
depolarizzazione massiva dovuta all’apertura dei canali Na con fascicolazioni muscolari, in
seguito l’eccesiva presenza dell’Ach causa una desensibilizzazione del recettore che lascia
spazio ad una progressiva ripolarizzazione con paralisi flaccida.
Azioni: fascicolazioni e paralisi flaccida. Durata d’azione molto breve.
Usi terapeutici: utilizzata per il rapido inizio e la breve durata d’azione quando è necessaria
una rapida intubazione endotracheale durante l’induzione dell’anestesia.
Farmacocinetica: iniettata endovena per infusione continua.
Effetti avversi: ipertermia maligna (durante anestesia con alotano, curata con dantrolene che
blocca la liberazione del calcio) e apnea nei pazienti con defici della colinesterasi.
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19. Simpaticomimetici e simpaticolitici
Simpaticomimetici
Si tratta di composti che agiscono sui recettori stimolati dall’adrenalina e dalla noradrenalina
(recettori adrenergici) favorendo un’azione positiva su di essi e mimando l’azione dei
composti endogeni classici.
Il neurone adrenergico presenta le stesse caratteristiche di quello colinergico tranne per il
fatto che il neurotrasmettitore usato per comunicare è la noradrenalina anziché l’acetilcolina.
Questi neuroni sono presenti in abbondanza nel SNC e nelle branche simpatiche del SNA come
neuroni post-gangliari che raggiungono l’organo bersaglio. Il neurotrasmettitore viene
liberato dallo spazio presinaptico formato da varicosità verso lo spazio sinaptico e captato da
recettori postsinaptici classificati come α o β adrenergici oppure recettori presinaptici
deputati alla modulazione della liberazione del NT.
1. Formazione della noradrenalina: la tirosina è un AA che viene fatto entrare
nell’assoplasma mediante un cotrasporto con il sodio, qui viene idrossilato a
diidrossifenilalanina (DOPA). La DOPA è decarbossilata per formare dopamina.
2. Immagazzinamento in vescicole: la DOPA viene immessa dentro vescicole grazie ad un
trasporto deputato anche alla ricaptazione della NA una volta terminata l’azione
sinaptica. Qui attraverso l’enzima β-idrossilasi si ha la conversione della dopamina in
noradrenalina mediante idrolisi. Nella midollare del surrene la NA viene metilata e si
forma adrenalina, entrambe vengono secrete nel flusso ematico.
3. Liberazione della NA: all’arrivo del potenziale d’azione il flusso di calcio permette la
fusione delle vescicole con la membrana presinaptica e la fuoriuscita della NA nello
spazio sinaptico. (Tappa inibita dalla guanetidina).
4. Legame con il recettore: i recettori adrenergici sono situati negli organi bersaglio, ma
anche nella membrana del neurone presinaptico come sistema regolatorio. I recettori
una volta legati trasducono il messaggio utilizzando come secondi messaggeri sia il
cAMP che l’IP3.
5. Rimozione della NA: il NT una volta presente nello spazio sinaptico viene eliminato in 3
modi: può diffondere nello spazio extracellulare ed entrare nel circolo generale, può
essere degradato dal sistema COMT (catecol-O-metiltransferasi) oppure può essere
ricatturata dal neurone presinaptico.
6. Destini della NA ricatturata: può essere reimmessa nelle vescicole per essere
riutilizzata oppure può venire degradata dalla MAO (monoaminossidasi) presente
all’interno dei mitocondri neuronali. I prodotti inattivi del metabolismo sono l’acido
vanillilmandelico, la metanefrina e la normetanefrina riscontrabili all’interno delle
urine.
I recettori adrenergici sono divisibili in 2 categorie in base alla loro affinità relativa a 3
catecolamine: adrenalina, noradrenalina e isoproterenolo.
I recettori α hanno una affinit{ maggiore per l’adrenalina, quasi uguale a quella per la
noradrenalina (anche se leggermente inferiore) e molto bassa per l’isoproterenolo. Essi
vengono suddivisi in 2 gruppi: α1 e α2 con funzioni differenti in base all’affinit{ per α-agonisti
e α-bloccanti.
I recettori α1 hanno la caratteristica di essere distribuiti prevalentemente sulla muscolatura
liscia dei vasi, determinano il loro effetto mediante la produzione di IP3 e liberazione del
calcio.
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
I recettori α2 invece sono situati in prevalenza a livello delle membrane presinaptiche e non
negli organi bersaglio come i precedenti. Esplicano una funzione di controllo della liberazione
delle vescicole del neurotrasmettitore e determinano una regolazione della secrezione
dell’insulina essendo presenti sulle cellule beta pancreatiche. Il loro meccanismo è associato al
legame della NA liberata nello spazio sinaptico che scatena un’inibizione della produzione di
cAMP che determina una riduzione della fuoriuscita di mediatore dagli spazi presinaptici.
I recettori β invece dimostrano una elevata affinit{ per l’isoproterenolo, media affinit{ per
l’adrenalina e una bassa affinit{ per la noradrenalina. Il loro grado di affinit{ dipende dal
numero e dal tipo di sostituzioni sull’azoto aminico, maggiore è il composto e maggiore sarà
l’affinit{, infatti l’isoproterenolo
ha aggiunto un gruppo
isopropilico ed è il più affine.
I recettori β sono anch’essi
divisi in sottogruppi: i β1 hanno
una affinità sovrapponibile sia
per l’adrenalina che per la
noradrenalina, mentre i β2
hanno una maggior affinità per
l’adrenalina.
Questi recettori funzionano
attraverso l’intervento di un
secondo messaggero, che in
questo caso è il cAMP prodotto
dall’adenilato ciclasi.
I recettori sono ampiamente distribuiti anche se in alcuni distretti c’è la prevalenza di un
recettore rispetto ad un altro, ad esempio nel cuore ci sono i β1, nel muscolo liscio vasale ci
sono gli α1 e nel muscolo striato scheletrico predominano i β2, i quali sono preponderanti
anche a livello della muscolatura liscia bronchiale.
I recettori eccessivamente esposti agli agonisti adrenergici sviluppano un fenomeno di
desinsibilizzazione che avviene in 3 modalità:
 Sequestro dei recettori
 Down-regulation con scomparsa dei recettori e riduzione della sintesi
 Incapacità ad accoppiare la proteina G
Alfa 1
Alfa 2
Beta 1
Beta 2
Vasocostrizione
Inibizione
Tachicardia
Vasodilatazione
liberazione
(muscoli scheletrici)
noradrenalina
Aumento RVP
Inibizione
Aumento lipolisi
Lieve diminuzione
liberazione insulina
RVP
Aumento pressione
Aumento contrattilità Broncodilatazione
miocardica
Midriasi
Aumento liberazione Aumento
di renina
glicogenolisi epatica
e muscolare
Aumento chiusura
Aumento liberazione
dello sfintere interno
glucagone
della vescica
Rilassamento
muscolatura uterina
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
 Catecolamine: composti derivati dalla feniletilamina contenenti il gruppo 3,4diidrossibenzene (detto anche catecolo). Le principali sono adrenalina, NA,
isoproterenolo e dopamina. Esse condividono aspetti comuni:
o Potenza più elevata nell’attivare i recettori alfa e beta
o Rapida inattivazione da parte delle COMT e delle MAO, pertanto dovranno
essere date per via parenterale altrimenti non arrivano a destinazione visto che
nell’intestino sono presenti enzimi degradanti
o Scarsa penetrazione nel SNC a cause della loro polarità spiccata. Tuttavia molti
effetti clinici sono attribuibili ad azioni sul SNC.
 Non catecolamine: composti come fenilefrina, efedrina e amfetamina non possiedono
gruppi idrossilici nell’anello benzenico e quindi sono meno attaccabili dalla COMT e
dalla MAO, di conseguenza hanno una durata d’azione molto più prolungata e la loro
maggiore liposolubilità consente un loro ingresso nel SNC.
Meccanismi d’azione degli agonisti
adrenergici:
1. Agonisti diretti:
interagiscono direttamente
con il recettore
determinando effetti simili
a quelli del mediatore
endogeno
2. Agonisti indiretti:
determinano la loro azione
esaltando la liberazione
della NA dai terminali
simaptici, oppure
inibiscono la ricaptazione
di essa (cocaina).
3. Agonisti misti: hanno entrambi i meccanismi d’azione sopracitati.
4. Azioni riflesse: principalmente a carico dell’apparato cardiovascolare, il sistema
percepisce un’alterazione dell’omeostasi e cerca di riportare il sistema allo stato
iniziale.
Agonisti adrenergici diretti
ADRENALINA
È una delle 4 catecolamine più usate in farmacologia insieme a dopamina, dobutamina e
noradrenalina. È un composto di sintesi ma è anche prodotta dalla midollare del surrene per
metilazione della noradrenalina, con la quale è immessa nel circolo ematico.
Svolge numerosissime funzioni ed è l’unico beta agonista diretto che ha azione su tutti i tipi di
recettori adrenergici (alfa1,2,beta1,2).
Azioni:
 Sistema cardiovascolare: effetti fondamentali, agisce incrementando la contrattilità
miocardica e la frequenza (effetto beta1), agisce aumentando marcatamente la
pressione sistolica aumentando la contrazione della muscolatura liscia vasale della
cute, dei visceri e delle mucose (azione alfa1), aumenta la vasodilatazione delle
arteriole muscolari scheletriche (azione beta2) riducendo la pressione diastolica. Nel
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complesso quindi si ha un lieve aumento della pressione sistolica ed un altrettanto
lieve riduzione della pressione diastolica. Il risultato complessivo è comunque un lieve
aumento della pressione media. La frequenza cardiaca è aumentata a seguito della
parziale ma intensa vasodilatazione muscolare che evoca un riflesso simpatico atto a
provocare tachicardia.
 Sistema respiratorio: con l’azione beta2 è uno dei principali farmaci usati nel
trattamento dell’attacco acuto d’asma o di qualunque altra condizione x cui il
broncospasmo causa una riduzione dello scambio gassoso. In caso di shock anafilattico
è un salvavita.
 Iperglicemia: essa causa un aumento di liberazione di glucagone e un aumento della
glicogenolisi epatica per azione beta2 associato a riduzione della liberazione di
insulina tramite azione alfa2. Azioni mediate dal cAMP.
 Lipolisi: grazie all’azione beta (forse esistono recettori appositi beta3 sul tessuto
adiposo) si ha un incremento del cAMP con stimolazione della lipasi-ormone sensibile.
Usi terapeutici:
 Broncospasmo: farmaco di
prima scelta per l’attacco
acuto d’asma
 Shock anafilattico: farmaco
di prima scelta
 Glaucoma: la
vasocostrizione del
muscolo cigliare provoca
una riduzione della
secrezione di umore acqueo
con riduzione della
pressione intraoculare
 Anestesia: viene dato in piccolissime dosi insieme all’anestetico al fine di evocare una
vasocostrizione locale che non permetta all’anestetico di distribuirsi velocemente in
circolo ma di restare di più localmente e svolgere la sua funzione inibente.
Farmacocinetica: deve essere somministrata o per via intramuscolare o endovenosa nei casi
urgenti, o sottocutanea in alcuni casi, o topica nell’occhio oppure tramite aerosol per problemi
respiratori. Non può essere data per via orale vista la sua biodisponibilità praticamente nulla.
Effetti avversi: si possono avere
 Disturbi del SNC: ansia, instabilità, cefalea, tremori.
 Emorragia: a seguito dell’ipertensione endocranica
 Aritmie
 Edema polmonare
Interazioni: nel soggetto con ipertiroidismo gli effetti dell’adrenalina sono amplificati per la
presenza di un maggior numero di recettori adrenergici; nei soggetti che fanno uso di cocaina
gli effetti sono molto maggiori perché viene inibita la capacità di ricaptazione.
NORADRENALINA
Molecola biologica endogena naturale, ma somministrata come farmaco vede una prevalente
azione sui recettori alfa, rivelando una quasi neutralità per i recettori beta.
Azioni: principalmente vasocostrizione per stimolazione alfa1 non bilanciata da
vasodilatazione muscolare scheletrica come adrenalina per assenza effetto beta2; aumento
conseguente di pressione sia diastolica che sistolica ed incremento notevole della pressione
media. L’attivit{ riflessa rilevata nei barocettori evoca uno stimolo vagale che causa una
bradicardia modesta.
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Se viene dato un antagonista colinergico (atropina) si può vedere una notevole tachicardia a
causa dell’assenza del riflesso vagale.
Usi terapeutici: scarsi, oggi viene utilizzata nei pazienti in shock per ristabilire un’adeguata
circolazione grazie all’incremento pressorio.
ISOPROTERENOLO
Farmaco che agisce sui recettori beta e con azione quasi nulla sugli alfa.
Azioni: broncodilatazione per effetto beta2, effetto inotropo positivo e tachicardico (azione
beta1), utile nei casi di blocco atrioventricolare o arresto cardiaco, riduzione della pressione
sistolica a causa dell’azione sui beta2, lieve aumento della sistolica per azione sul cuore.
In linea di massima la pressione diminuisce e per attività riflessa parte un impulso positivo
simpatico volto a dare tachicardia. La lipolisi e l’iperglicemia sono eventi teorici ma in clinica
non si sono verificati con entità rilevante.
Usi terapeutici: attacco acuto asmatico (come adrenalina), in situazioni d’emergenza può
essere usato per stimolare il cuore.
Farmacocinetica: mucosa sublinguale, parenterale, aerosol.
Effetti avversi: sovrapponibili all’adrenalina.
DOPAMINA
Precursore naturale della noradrenalina, è presente nei neuroni del SNC e principalmente nel
circuito dei nuclei della base, ma ha anche azioni a livello della midollare del surrene . agisce
legandosi sia a recettori alfa che beta in modo dipendente dalla dose in quanto a dosi elevate
si lega preferenzialmente ai recettori alfa1 stimolando una vasocostrizione generalizzata, a
basse dosi ha affinità elevata per i beta inducendo effetto cronotropo e inotropo positivi sul
cuore. In più presenta anche un’affinit{ particolare per i recettori proprio dopaminergici D1 e
D2 situati nei vasi del circolo mesenterico e renale che mediano una vasodilatazione di tali
distretti vascolari.
Azioni: sul cardiovascolare dà tachicardia e aumento della forza contrattile, a dose elevata
anche vasocostrizione, tuttavia risparmia la vasocostrizione renale evitando un’insufficienza
renale da bassa portata che non viene antagonizzata da alfa e beta farmaci visto che è mediata
dai propri recettori D1 e 2.
Usi terapeutici: farmaco di prima scelta nello shock (in tal senso è molto più utile della
noradrenalina perché risparmia il circolo splancnico e renale dall’ipovolemia).
Effetti avversi: a dosi alte ha gli stessi effetti di un’eccessiva stimolazione simpatica.
DOBUTAMINA
Catecolamina di sintesi molto usata in terapia.
Azioni: ha specificità particolare per i recettori beta1 agendo come fattore inotropo positivo e
cronotropo.
Usi terapeutici: insufficienza cardiaca congestizia, molto utile perché fa aumentare la
contrattilità senza variare eccessivamente la frequenza, in tal modo risparmia il miocardio da
un fabbisogno aumentato di ossigeno.
Effetti avversi: può dare fibrillazione atriale perché aumenta la conduzione AV.
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FENILEFRINA
Agonista non catecolaminico che si lega principalmente ai recettori alfa1 stimolando la
vasocostrizione.
Azioni: aumento P sistolica e diastolica. Non ha effetti diretti sul cuore ma provoca una
bradicardia riflessa quando è data per via parenterale. Non è un substrato della COMT e
quindi ha una durata d’azione più lunga.
Usi terapeutici: topicamente sull’occhio per indurre midriasi, sulla mucosa nasale funge da
decongestionante (per l’azione vasocostrittrice), usato per aumentare la pressione sanguigna
e vista la sua azione vagale riflessa è usata per combattere gli episodi di tachicardia
sopraventricolare.
Effetti avversi: dosi elevate danno cefalea e irregolarità cardiache.
METOXAMINA
Azioni ed usi molto simili alla fenilefrina.
CLONIDINA
Farmaco che privilegia il legame con i recettori alfa2, in questo senso viene utilizzata per
curare l’ipertensione essenziale e ridurre i sintomi di astinenza da oppiacei e benzodiazepine.
A livello centrale provoca un’inibizione dei centri del simpatico.
METAPROTERENOLO
Farmaco principalmente broncodilatante vista l’azione prevalente sui beta2 e pertanto ha
scarsi effetti sul cuore (a differenza dell’isoproterenolo che inoltre ha anche emivita molto più
breve in quanto catecolamina e quindi distrutta da COMT e biodisponibilità orale minima).
Questo può essere dato per via orale e anche come aerosol tramite erogatori.
SALBUTAMOLO, PIRBUTEROLO, TERBUTALINA
Farmaci utilizzati per la cura dell’asma in cronico, sono specifici per i recettori beta2 con
conseguenze minime sul cuore. Vengono dati tramite erogatori di aerosol. Principali farmaci
antiasmatici.
SALMETEROLO E FORMOTEROLO
Hanno stessa azione dei precedenti ma più duratura.
Agonisti adrenergici indiretti
AMFETAMINA
Si tratta di un composto che viene talvolta abusato ed ha azione simpaticomimetica indiretta
sia sui recettori alfa che beta. Infatti svolge la sua azione determinando una liberazione di
tutte le molecole di noradrenalina dalle terminazioni sinaptiche con conseguente tachicardia,
contrattilità aumentata, ipertensione.
Usi terapeutici: trattamento dei bambini con disturbi dell’attenzione, nella narcolessia e nei
disturbi dell’appetito.
Effetti avversi: controindicata in gravidanza.
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TIRAMINA
Azione sovrapponibile alla precedente ma non presenta utilizzi farmaceutici. Si trova nei
formaggi stagionati e nel vino Chianti.
COCAINA
Svolge la sua funzione simpaticomimetica attraverso inibizione della ricaptazione della
noradrenalina.
Agonisti adrenergici misti
EFEDRINA
Farmaco particolare che svolge la sua azione sui recettori alfa e beta sia in modo diretto
interagendo coi recettori stessi, sia in modo indiretto stimolando la secrezione di NA.
Ha lunga durata d’azione ed è ben assorbito per via orale. Può penetrare nel sistema nervoso
centrale. Utilizzata per il trattamento dell’asma, come decongestionante nasale e per aumento
della pressione sanguigna.
Simpaticolitici
Si tratta di farmaci che si legano reversibilmente o meno ai recettori adrenergici bloccando il
legame del mediatore endogeno con il recettore che risulta occupato dal farmaco.
Anche in questo caso esistono antagonisti alfa-bloccanti e beta-bloccanti in relazione alla
maggior affinità nei confronti di un recettore.
Bloccanti alfa-adrenergici
Hanno forti effetti sulla pressione
sanguigna e non tutti ipotensivi,
tendono a generare ipotensione
ortostatica, sono terapeuticamente
utili solo quelli selettivi per gli alfa1.
Inoltre la riduzione pressoria evoca
una risposta riflessa tachicardica
sempre presente.
FENOSSIBENZAMINA
Farmaco che forma un legame
covalente col recettore, questo
legame è irreversibile e l’unico
modo che ha l’organismo di rimediare è la sintesi di nuovi recettori. Per questo motivo dopo
una dose di farmaco si ha un effetto duraturo per circa 24 ore.
È un farmaco non selettivo quindi agisce sia sugli alfa1 che alfa2.
Azioni:
 Effetti cardiovascolari: riduzione della contrazione muscolare dei vasi periferici con
conseguente ipotensione e riduzione delle RVP, a questo consegue un fenomeno di
tachicardia riflesso per attivazione del simpatico. In più il legame con i recettori alfa2
determina anche un lieve aumento della gittata. Pertanto il contributo alla riduzione
della pressione in un iperteso non è significativo e infatti non è più utilizzato a tali
scopi.
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 Inversione degli effetti dell’adrenalina: l’adrenalina in presenza di fenossibenzamina
provoca una vasodilatazione e una ipotensione dovuta al blocco delle sue funzioni alfaadrenergiche. Gli effetti della noradrenalina invece sono solo ridotti e non invertiti.
Usi terapeutici: farmaco utilizzato per curare il feocromocitoma, sia pre-chirurgico che nelle
forme inoperabili in quanto agisce riducendo la funzionalità globale delle catecolamine
prodotte in esubero.
Effetti avversi: ipotensione ortostatica, congestione nasale, nausea e vomito.
FENTOLAMINA
Farmaco anch’esso aspecifico che colpisce entrambi i recettori alfa, ma con durata d’azione
molto inferiore rispetto al farmaco precedente. Si ha ipotensione ortostatica, tachicardia
riflessa ed eventualmente effetti gravi come dolore anginoso e aritmie dovute alla tachicardia
e al sovraccarico di lavoro del cuore.
PRAZOSINA, TERAZOSINA, DOXAZOSINA E TAMSULOSINA
Sono alfa-antagonisti specifici per gli alfa1 e per questo possono essere usati nel trattamento
dell’ipertensione. La tamsulosina non viene usata per l’ipertensione ma per il trattamento
dell’ipertrofia prostatica benigna.
Azioni: riduzione della pressione sanguigna e scarsi effetti sulla gittata cardiaca
Usi terapeutici: ipertensione (anche se per prazosina e terazosina esiste un effetto di prima
dose che causa una ipotensione molto marcata); la tamsulosina viene usata per l’IPB visto che
l’alfa-litico ha un effetto rilassante sul collo della vescica e sulla prostata e pertanto è subito
efficiente nel prevenire la ritenzione urinaria.
Effetti avversi: capogiri, mancanza di energia, congestione nasale, sonnolenza e ipotensione
ortostatica.
Bloccanti beta-adrenergici
Si tratta di farmaci che hanno un azione aspecifica se agiscono sui recettori beta1 e beta2
indistintamente, oppure si parla di farmaci cardiospecifici se interessano solo i beta1.
In ogni caso hanno un ruolo fondamentale nella cura dell’ipertensione senza dare ipotensione
ortostatica come con gli alfa-bloccanti in quanto la funzionalità alfa di controllo delle
resistenze periferiche rimane efficiente.
Sono indicati anche nel trattamento delle aritmie, dell’angina, dell’infarto miocardico e del
glaucoma.
PROPRANOLOLO
Beta-bloccante aspecifico che blocca entrambi i recettori beta.
Azioni:
 Cardiovascolari: riduzione della frequenza e della gittata (beta1) riducendo il lavoro
del cuore e il fabbisogno di ossigeno. Utile nel trattamento quindi dell’angina e delle
aritmie sopraventricolari (cronotropo negativo).
 Vasocostrizione periferica: mediata dall’inibizione dei beta2 che annulla la
vasodilatazione del distretto muscolare scheletrico e dalla presenza dell’azione alfa1.
In più la diminuzione della GC evoca un riflesso simpatico che dà vasocostrizione
periferica responsabile di sensazione di freddo alle estremità tipica del propranololo.
Comunque l’effetto netto tra la riduzione della cinesi cardiaca e della vasocostrizione
periferica è una progressiva e lenta riduzione della pressione sia sistolica che
diastolica.
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 Broncocostrizione
 Aumento della ritenzione di Na: a causa dell’aumento della vasocostrizione renale e
quindi il rene è stimolato a riassorbire il sodio con ritenzione di liquidi e aumento del
volume circolante. Pertanto spesso i beta-bloccanti vengono associati a diuretici per
curare l’ipertensione.
 Disturbi del metabolismo del glucosio: l’inibizione beta provoca diminuzione della
glicogenolisi e aumento della liberazione di insulina, pertanto bisogna fare attenzione
ad un paziente diabetico in cura con propranololo perché se prende insulina può
andare incontro ad una grave crisi ipoglicemica.
 Blocco dell’azione dell’isoproterenolo.
Usi terapeutici:
 Ipertensione: la pressione si abbassa per riduzione della gittata cardiaca
 Glaucoma: usato per ridurre la pressione intraoculare mediante vasocostrizione del
muscolo cigliare che abbassa la quota di umore acqueo prodotto. Questo farmaco a
differenza degli agonisti colinergici non compromette la visione da lontano, tuttavia in
caso di attacco acuto la pilocarpina riveste un ruolo più importante.
 Emicrania: soprattutto come cura preventiva per l’emicrania
 Ipertiroidismo: il farmaco abbassa le crisi simpatiche tipiche dell’ipertiroideo
 Angina pectoris: riduzione del consumo di ossigeno. Aumenta la tolleranza all’esercizio,
ma per gli sport faticosi non consente una forza adeguata.
 Infarto miocardico: utilizzato ampiamente nel paziente post-infartuato per vari motivi,
si è visto infatti che il beta-bloccante protegge da un nuovo attacco, subito dopo
l’infarto accelera il recupero e in più si è visto che le morti improvvise da aritmia sono
diminuite. Forse il meccanismo è l’inibizione delle catecolamine circolanti che
esporrebbero il miocardio ad un consumo di ossigeno più elevato.
Effetti avversi: broncospasmo (farmaco assolutamente da evitare in pazienti con BPCO),
aritmie (durante la sospensione del farmaco vista l’up-regulation dei recettori beta, pertanto
l’interruzione del beta-bloccante deve essere lenta e prolungata), compromissione della
funzione sessuale, disturbi del metabolismo, interazioni con altri farmaci (positivi:
furosemide; negativi: fenitoina, rifampicina).
TIMOLOLO E NADOLOLO
Altri antagonisti non selettivi più potenti del propranololo.
Il timololo ha un ampio utilizzo per il trattamento del glaucoma cronico ad angolo aperto.
ACEBUTOLOLO, ATENOLOLO, METOPROLOLO, ESMOLOLO
Si tratta di antagonisti cardiospecifici e di conseguenza esercitano i loro effetti solo sui
recettori beta1. Questo è importante perché si evitano gli effetti avversi come i disturbi
metabolici e il broncospasmo.
Azioni: riduzione della pressione sanguigna e della resistenza allo sforzo nell’angina. Non ci
sono problemi di broncospasmo, tuttavia i pazienti asmatici vanno monitorati attentamente.
Uso terapeutico: usati soprattutto nei pazienti con ipertensione associata a problemi
polmonari o diabete, è eliminato il problema del freddo alle estremità.
PINDOLOLO E ACEBUTOLOLO
Si tratta di antagonisti con attività agonista parziale sia sui beta che sugli alfa.
Azioni: riduzione della pressione arteriosa in modo più modesto rispetto ai precedenti in
quanto c’è anche un lieve stimolo adrenergico.
Usi terapeutici: nei pazienti ipertesi con bradicardia, che altrimenti avrebbero effetti troppo
bradicardizzanti con gli altri farmaci
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LABETOLOLO E CARVEDILOLO
Si tratta di farmaci che possiedono un’azione antagonista sia alfa che beta-adrenergica.
Azione: antiipertensivi che contemporaneamente non elevano le resistenze periferiche e
hanno effetto bradicardizzante e inotropo negativo sul cuore esponendolo ad un minor
consumo di ossigeno.
Usi terapeutici: principalmente usato negli ipertesi anziani in cui è preferibile non avere un
innalzamento delle resistenze periferiche. Oppure usati nelle emergenze ipertensive grazie
alla loro veloce azione.
Effetti avversi: capogiri e ipotensione ortostatica.
Farmaci che modificano la liberazione o la captazione di neurotrasmettitore
RESERPINA
Blocca l’immagazzinamento dei neurotrasmettitori nelle vescicole e di conseguenza lascia via
libera alla MAO di degradare la noradrenalina. I pazienti che assumono il farmaco vanno
incontro ad una graduale diminuzione della pressione arteriosa. Ha inizio lento e durata
lunga. È usata solo se non c’è risposta ad altri trattamenti.
GUANETIDINA
Causa una graduale diminuzione della pressione arteriosa e diminuzione della frequenza
cardiaca dovuta ad una deplezione di noradrenalina dalle terminazioni periferiche.
È usata solo di rado per curare l’ipertensione perché causa ipotensione ortostatica e
abbassamento funzione sessuale maschile.
COCAINA
Inibitore della ricaptazione della noradrenalina che rimane quindi nello spazio sinaptico per
un tempo elevato e causa effetti di amplificazione simpatica. Se si va incontro ad abuso si ha il
fenomeno della desensibilizzazione e paradossalmente si avranno gli effetti opposti.
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FARMACI PER I DISTURBI
NEUROLOGICI
FARMACI PER IL TRATTAMENTO DEL MORBO DI PARKINSON
20. Farmaci per il trattamento della malattia di Parkinson:
classificazione e meccanismi d’azione
Il morbo di Parkinson è una malattia degenerativa che interessa il circuito dei nuclei della
base deputati al controllo extrapiramidale del movimento. La malattia si verifica a seguito di
una deplezione dei neuroni contenuti nella sostanza nera compatta che secernono
DOPAMINA, la quale ha un’azione importante di regolazione dei circuiti dei nuclei della base
andando a mantenere un’inibizione tonica sui neuroni dello striato (putamen e caudato)
riducendo la loro secrezione basale di acetilcolina.
La causa della degenerazione è ignota, forse è interessato un fattore ambientale.
Normalmente il neostriato riceve impulsi eccitatori dalla
corteccia che determinano una sua produzione di Ach la
quale stimola una via inibitoria mediata dal GABA diretta
verso la sostanza nera per la liberazione di dopamina
(regolazione sincrona dei 2 sistemi), una verso il complesso
globo pallido e sostanza nera reticolata che media la via
diretta, ed un’ultima verso il globo pallido esterno e nucleo
subtalamico per la via indiretta.
L’azione globale della dopamina su questi circuiti è
un’esaltazione della via DIRETTA mediante il legame con i
recettori D1, ed un’inibizione della via INDIRETTA mediante
recettori D2. Il contributo finale fisiologico è una stimolazione del movimento.
Pertanto nel morbo di Parkinso ci sarà una spropositata attivazione colinergica dello striato
con esaltazione della via indiretta (per assenza di dopamina) ed il risultato sarà:
 Tremori
 Rigidità muscolare
 Bradicinesia (lentezza nell’iniziare i movimenti volontari)
I farmaci utilizzati per il trattamento del morbo di Parkinson possono essere classificati
tipicamente in base al meccanismo d’azione:
 Levodopa: pro-farmaco precursore della dopamina che va a sostituire direttamente la
mancanza del neurotrasmettitore a livello del SNC
 Inibitori della dopamina decarbossilasi: carbidopa
 Inibitori selettivi della MAO-B: selegilina e rasagilina
 Inibitori della COMT: entacapone, tolcapone
 Agonisti dei recettori della dopamina: bromocriptina, pergolide, pramipexolo,
ropinirolo
 Farmaci che aumentano la liberazione di dopamina: amantadina
 Antagonisti muscarinici: benzotrepina, triesifenidile, biperidene.
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LEVODOPA
Si tratta di un precursore diretto della dopamina che viene convertito a dopamina nei neuroni
dopaminergici centrali, tuttavia una gran parte di levodopa viene trasformata in dopamina
anche in periferia da parte della dopadecarbossilasi e responsabile degli
effetti avversi. Inoltre questo farmaco
viene metabolizzato ampiamente dal
tratto gastro-intestinale e pertanto
sono necessarie dosi molto alte per
avere un minimo effetto biologico. Si
stima che il 70% della levodopa venga
metabolizzata dall’intestino e il 2729% venga trasformato in dopamina
nei tessuti periferici, pertanto resta
circa il 1-3% della levodopa disponibile
per attraversare la barriera emato-encefalica ed entrare nel SNC.
Bisogna inoltre specificare che la dopamina somministrata direttamente non avrebbe alcun
effetto visto che non riesce ad attraversare la BEE, a differenza della L-Dopa.
Meccanismo d’azione: il farmaco penetra nei neuroni della sostanza nera rimasti e viene
convertito a dopamina aumentando la quantità di NT nel SNC. Però questa azione è possibile
se esistono ancora un certo numero di neuroni dopaminergici attivi e quindi nelle fasi iniziali.
Nelle fasi successive la levodopa inizia a perdere i suoi effetti a causa della carenza marcata
dei neuroni.
INIBITORI DELLA DOPA -DECARBOSSILASI
Si tratta di farmaci come la carbidopa che
vengono utilizzati per ridurre la dose della
levodopa ed aumentare la quantità di
levodopa che raggiunger{ l’encefalo.
Meccanismo d’azione: la carbidopa
determina una riduzione del metabolismo
gastrointestinale della levodopa e una
inibizione della dopa-decarbossilasi
periferica in modo da diminuire la dopamina prodotta in periferia e di conseguenza ridurre al
minimo sia la dopamina “persa” sia gli effetti avversi.
INIBITORI SELETTIVI DELLA MAO-B
Si tratta di farmaci che inibiscono selettivamente la monoaminossidasi-B deputata al
metabolismo della dopamina, lasciando intatta la MAO-A che invece degrada la noradrenalina
e la serotonina. Questo implica una maggior durata d’azione della dopamina che non viene
quindi degradata dai sistemi enzimatici. Tipici farmaci di questo tipo sono la selegilina e la
rasagilina. Consentono anch’essi di ridurre la dose di levodopa necessaria.
INIBITORI DELLA COMT
Si tratta di farmaci che inibiscono una delle vie enzimatiche di degradazione delle
catecolamine nello spazio sinaptico. Essa normalmente non riveste un ruolo essenziale nel
metabolismo della levodopa ma quando l’azione della dopa-decarbossilasi è inibita dalla
carbidopa questa via diventa molto efficiente ed è utile bloccarla per evitare l’accumulo di 3Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
O-metildopa che non riesce ad attraversare la BEE. L’entacapone infatti riduce questa via e
aumenta la quantit{ di levodopa che raggiunge l’encefalo.
AGONISTI DEI RECETTORI DELLA DOPAMINA
Classe di farmaci che permettono una trasduzione del messaggio dei recettori D1 e D2
simulando l’azione della dopamina. Si tratta della bromocroptina, pergolide, pramipexolo e
ropinirolo. Sono efficaci quando il livello dei neuroni dopaminergici è diventato estremamente
basso (stadi avanzati parkinsonismo).
- Bromocriptina: agonista D2
- Pergolide: agonista D2 e D3
- Ropinirolo: agonista D2 e D3
- Rotigotina: agonista D1 e D2
AMANTADINA
Farmaco che si è visto provocare un aumento della liberazione della dopamina dalle vescicole
presinaptiche. Evidentemente è utile quando ancora sono presenti neuroni dopaminergici.
FARMACI ANTAGONISTI MUSCARINICI
A differenza dei precedenti questi non hanno la funzione di aumentare i livelli di dopamina,
ma antagonizzano l’eccesso di acetilcolina da parte dello striato che vede assente l’inibizione
da parte della dopamina. Si parla di benztropina, triesifenidile e biperidene.
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21. Farmaci per il trattamento della malattia di Parkinson:
effetti farmacologici e tossici, impieghi terapeutici e
controindicazioni
LEVODOPA
È un profarmaco molto utile nel trattamento del Parkinson soprattutto nelle fasi iniziali della
malattia in cui esiste ancora un numero considerevole di neuroni dopaminergici che possono
captare la L-dopa e trasformarla in dopamina.
Quando il numero di neuroni diminuisce iniziano a verificarsi alcuni problemi:
- Acinesia di fine dose: se si aumenta la dose di L-dopa o si riduce l’intervallo tra le
somministrazioni l’effetto di acinesia di fine dose scompare ma compaiono delle
discinesie (movimenti involontari)
- Effetto on/off: con il progredire della somministrazione il paziente avverte periodi di
compenso adeguato con periodi di ricomparsa dell’acinesia. Pertanto è vietata
l’interruzione brusca della terapia con levodopa.
Si dice appunto che il farmaco subisce fluttuazioni della sua efficacia e non si presentano
acinesie solo durante il piccolo periodo in cui il farmaco resta nell’organismo. Si tratta
pertanto di un effetto sintomatico.
Azioni: la levodopa è efficiente nel ridurre tutti i sintomi del parkinsonismo, se sono presenti
sufficienti neuroni. Agisce mediante un legame principale ai recettori D2.
Usi terapeutici: efficace nei primi anni del parkinsonismo, dopo il 4-5 anno inizia a verificarsi
un declino della risposta.
Farmacocinetica: è un farmaco con biodisponibilità orale molto bassa visto che viene
metabolizzato in gran parte dall’intestino e un’altra parte resta in periferia dando effetti
tossici. L’emivita è piuttosto breve di circa 1-2 ore. L’ingestione di cibo può interferire con la
biodisponibilità di levodopa, soprattutto a seguito di pasti proteici in quanto il trasportatore
intestinale è responsabile del trasporto nel circolo anche di aminoacidi. Inoltre i grossi
aminoacidi competono con la levodopa anche per il trasporto attraverso la BEE.
Per questo la levodopa viene data 45 minuti prima del pasto.
Effetti avversi:
 SNC: allucinazione visive e uditive, discinesie, modificazioni dell’umore, depressione e
ansia. Le allucinazioni e le discinesie sono gli effetti opposti del morbo di Parkinson e
questo è giustificato dall’iperattivit{ della dopamina sui gangli della base. In più
possono esserci insonnia o sonnolenza, incubi e illusioni.
 Effetti periferici: anoressia, nausea e vomito per attivazione del centro chemocettore;
tachicardia ed extrasistoli ventricolari per l’azione stimolante ortosimpatica della
dopamina sul cuore (soprattutto a dosi elevate), ipotensione determinata dal legame in
periferia con i recettori D1 e D2 che causano vasodilatazione splancnica renale e
mesenterica. Si sviluppa anche midriasi e la saliva e l’urina sono di colore brunastro
per la presenza di melanina ottenuta dall’ossidazione delle catecolamine. In più si
possono verificare anche leucopenia, agranulocitosi ed anemia emolitica.
Interazioni farmacologiche
- Neurolettici: i farmaci antipsicotici hanno un meccanismo d’azione che inibisce i
recettori D2 della dopamina e di conseguenza si ha una riduzione dell’efficacia dell’Ldopa e dei fenomeni di parkinsonismo iatrogeno indotto direttamente dai neurolettici.
Questi farmaci sono controindicati nel paziente con Parkinson.
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
-
Inibitori non selettivi delle MAO: questi causano un
blocco degli enzimi deputati alla degradazione delle
catecolamine con conseguente eccessiva presenza di
catecolamine se viene somministrata nello stesso
tempo levodopa. Ciò è causa di una grave crisi
ipertensiva.
- Vitamina B6: la piridossina ha un’azione di aumento
del metabolismo della levodopa e pertanto ne riduce
l’efficacia terapeutica.
- Pazienti psicotici: Controindicazioni all’uso di
levodopa:
 Melanoma: in quanto la melanina è un derivato della
DOPA
 Problemi cardiaci
 Psicosi e grave depressione: i pazienti con tali disturbi possono avere esacerbazioni dei
sintomi dopo levodopa che va a stimolare i recettori D2.
CARBIDOPA E BENSERAZIDE
Sono inibitori PERIFERICI della DOPA-decarbossilasi che è l’enzima che converte la DOPA in
dopamina e di conseguenza riducono drasticamente gli effetti dannosi periferici e in più
riducono l’eccessivo metabolismo intestinale permettendo che una quota maggiore di
levodopa raggiunga l’encefalo. Il risultato è che l’associazione consente di usare dosi minori di
levodopa (di circa 4-5 volte).
Formulazioni farmaceutiche già combinate:
- Levodopa + Carbidopa = Sinemet
- Levodopa + Benserazide = Madopar
ENTACAPONE E TOLCAPONE
Sono inibitori della COMT che permettono una riduzione della produzione di 3-O-metildopa
dal metabolismo della levodopa, che in questa forma non riesce ad entrare nell’encefalo.
Normalmente questa via non è attiva, ma dopo l’uso di carbidopa subisce una ingente
stimolazione e di conseguenza questi farmaci riducono ulteriormente la dose necessaria di Ldopa e aumentano i livelli di levodopa cerebrali.
Farmacocinetica: hanno una biodisponibilità orale elevata e si legano in gran parte alle
proteine plasmatiche. Il tolcapone ha durata d’azione molto lunga e va ad inattivare
principalmente la COMT encefalica anche se si è visto che gli effetti più importanti sono
effettuati dall’inibizione dell’enzima in periferia.
Effetti avversi: entrambi hanno effetti avversi come nausea, vomito, diarrea, ipotensione
posturale, discinesie e allucinazioni. Il tolcapone è stato ormai abbandonato perché in alcuni
casi può dare necrosi epatica fulminante.
La formulazione farmaceutica prevede levodopa + carbidopa + entacapone (Stalevo).
SELEGILINA E RASAGILINA
Inibitori selettivi della MAO-B. Consente di ridurre la dose necessaria di L-dopa. Se
somministrata a basse dosi non esercita azioni sulla MAO-A e non provoca crisi ipertensive a
differenza degli inibitori non selettivi, tuttavia ad alte dosi causa rischio ipertensivo.
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BROMOCRIPTINA, PERGOLIDE, PRAMIPEXOLO, ROPINIROLO, ROTIGOTINA
Si tratta di agonisti dopaminergici che vengono dati principalmente negli stadi avanzati di
malattia quando la maggior parte dei neuroni è andata persa, in parkinson complicato da
fluttuazioni e discinesie. Esiste anche la possibilità di dare questi farmaci subito nei pazienti
non ancora trattati con levodopa.
Effetti avversi: la bromocriptina e la pergolide sono derivati dall’ergotamina e la limitazione
al loro utilizzo deriva dai numerosi effetti avversi come allucinazioni, confusione, nausea,
ipotensione ortostatica, peggioramento delle condizioni cardiache (allungamento del tratto
QT) e aumento del vasospasmo. Tuttavia si verifica una minor incidenza di discinesie rispetto
alla levodopa.
Il pramipexolo, la rotigotina e il ropinirolo invece hanno meno effetti dannosi in quanto non
peggiorano la condizione cardiaca e il vasospasmo ma causano comunque nausea, stipsi,
ipotensione ortostatica e allucinazioni. Le discinesie sono meno frequenti che con la levodopa.
La rotigotina viene somministrata per via transdermica.
Il pramipexolo ha clearance renale e il ropinirolo clearance epatica.
Questi composti vengono usati in alternativa alla levodopa anche perché c’è l’ipotesi che il
metabolismo della dopamina porti ad un accumulo di metaboliti anche tossici mentre con gli
agonisti si evita questa possibilità.
Altri impieghi degli agonisti dopaminergici oltre al Parkinson sono:
 Morbo di Cushing
 Iperprolattinemia idiopatica
 Sindrome da astinenza da cocaina (?)
AMANTADINA
Farmaco antivirale che si è visto casualmente migliorare i sintomi del parkinsonismo. Sembra
stimolare la liberazione di dopamina. Può causare effetti avversi come irrequietezza,
agitazione, confusione e allucinazioni, ad alte dosi può anche dare psicosi tossica acuta.
Se la liberazione di dopamina è già massima il farmaco non ha effetto.
La tolleranza si instaura molto rapidamente e in più ha scarso effetto sul tremore.
Con l’aumento delle dosi si riducono sia gli effetti farmaceutici che tossici.
BIPERIDENE, ORFENADRINA, TRIESIFENIDILE
Farmaci antagonisti muscarinici che bloccano la trasmissione colinergica muscarinica a livello
striatale.
Azioni: migliorano la scialorrea, il tremore e il tremore, però hanno scarso effetto sulla
bradicinesia. Possono ridurre il parkinsonismo, l’acatisia e le distonie acute provocate dai
neurolettici.
Effetti avversi: modificazioni dell’umore, xerostomia, problemi visivi, interferenza con la
peristalsi gastrointestinale. Controindicati in casi di ipertrofia prostatica, stenosi pilorica e
glaucoma.
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CENNI SUI FARMACI ANTIEPILETTICI
22. Farmaci antiepilettici
L’epilessia è la seconda malattia neurologica per frequenza dopo l’ictus. Si tratta di una
famiglia di differenti sindromi cinvulsive accomunate da una scarica disordinata, eccessiva e
improvvisa di un gruppo di neuroni che possono coinvolgere le porzioni cerebrali vicine.
L’aumento della frequenza di scarica di un gruppo di neuroni concentrati nel cosiddetto focus
primario può espandersi ai neuroni vicini dando origine ad una forma di epilessia
generalizzata, mentre se la scarica riguarda essenzialmente il focus primario si parla di
epilessia parziale o focale.
L’epilessia può essere classificata in base all’eziologia in 2 gruppi:
- Primaria: patologia non derivante da una preesistente malattia, è detta anche
idiopatica ed è quella che prevede un trattamento farmacologico spesso a vita.
- Secondaria: epilessia derivata da neoplasie cerebrali, uremia, meningiti, febbri alte,
ipoglicemia e rapida astinenza da alcol. In tal caso il trattamento viene continuato fino
alla risoluzione del processo patologico primario.
Classificazione dell’epilessia:
 Epilessia parziale (o focale): coinvolge generalmente il focus primario e non si
espande in periferia, può evolvere in epilessia generalizzata, a sua volta viene
suddivisa in:
o Attacchi semplici: quando il paziente non perde coscienza e i sintomi sono
relativi alla zona in cui avviene la scarica neuronale. La scarica elettrica non
diffonde. Si può avere convulsioni se coinvolta la corteccia motoria, oppure
allucinazioni visive o olfattive se sono interessate le porzioni sensitive.
o Attacchi complessi: la scarica neuronale non si limita al focus primario e tende
ad espandersi con frequente alterazione della coscienza del paziente. Spesso il
primo episodio avviene attorno ai 20 anni.
 Epilessia generalizzata: attacchi gravi in cui si verifica un’immediata irradiazione
della scarica anche all’emisfero controlaterale, può essere convulsiva o non convulsiva
ma comunque determina una perdita immediata della coscienza:
o Attacchi tonico-clonici (grande male): forma epilettica più frequente e più
drammatica che coinvolge una fase iniziale tonica di contrazione seguita da una
fase clonica (contrazione e rilassamento rapido). Il paziente è incosciente e
l’attacco è seguito da un momento di confusione e spossatezza per la perdita
energetica massiva durante le scariche contrattili.
o Assenza (piccolo male): si tratta di attacchi più modesti che durano pochi
secondo in cui c’è breve perdita di coscienza, improvvisa e autolimitante. I primi
attacchi si sviluppano tra i 3-5 anni.
o Attacchi mioclonici: brevi episodi di contrazione muscolare, rari e sono in
genere la conseguenza di un danno neurologico permanente come ictus, uremia
o encefalite.
o Convulsioni febbrili
o Stato epilettico: attacchi rapidamente ricorrenti.
I principali meccanismi con cui si instaura un’epilessia sono:
1. Aumentata frequenza di scarica dei neuroni glutamatergici eccitatori
2. Ridotta frequenza di scarica dei neuroni GABAergici inibitori
3. Alterato equilibrio elettrolitico neuronale
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Queste 3 situazioni generano una soglia epilettica bassa.
I farmaci che controllano gli attacchi epilettici si possono suddividere in farmaci di prima linea
(più utilizzati e conosciuti) e farmaci aggiuntivi (più nuovi).
Farmaci usati nella maggior parte delle sindromi epilettiche
VALPROATO
Si tratta di acido valproico, è un farmaco utilizzato per la maggior parte degli attacchi
epilettici.
Azione: farmaco che determina un blocco dei canali del sodio e il potenziamento della
trasmissione GABA-ergica attraverso un’inibizione della GABA-transaminasi deputata al
metabolismo del GABA nelle cellule gliali. Come effetto cumulativo si ha quindi una riduzione
della soglia di attivazione dei neuroni, di cui quelli del focus primario sono maggiormente
suscettibili.
Usi terapeutici: farmaco di prima scelta negli attacchi mioclonici, diminuisce anche le
assenze ma è di seconda scelta per la potenziale epatotossicit{. Riduce l’incidenza e l’entit{
degli attacchi tonico-clonici.
Farmacocinetica: efficace per via orale, si lega per il 90% alle proteine, è metabolizzato nel
fegato ed escreto con le urine.
Effetti avversi: tremore, nausea, sonnolenza e insufficienza epatica. In più dà alopecia,
aumento di peso e malformazioni fetali. Infatti si è visto che risulta essere teratogeno, sono
stati osservati casi di spina bifida.
LAMOTRIGINA
Farmaco efficace tra quelli nuovi (aggiuntivi).
Azioni: blocca i canali del sodio e i canali del calcio voltaggio dipendenti determinando
un’aumento della polarizzazione neuronale e una minor probabilità di scarica. In più sembra
interagire anche con la liberazione del glutamato inibendola.
Usi farmaceutici: è efficace nel trattamento degli attacchi parziali e generalizzati e anche
nelle assenze tipiche.
Farmacocinetica: biodisponibilità orale del 100%.
Effetti avversi: cefalea, capogiri, atassia. In alcuni casi provoca eruzioni cutanee che possono
rivelarsi anche molto pericolose e pertanto nei bambini si riserva solo l’utilizzo in alcuni casi.
CLONAZEPAM
Si tratta di una benzodiazepina con attività antiepilettica.
Azioni: potenziamento della trasmissione GABA-ergica andando a legarsi al sito recettoriale
del GABA-A e determinando una aumentata permeabilità al cloro.
Usi terapeutici: efficace nelle assenze e negli attacchi mioclonici, tuttavia si sviluppa
tolleranza in 1-6 mesi.
Esistono anche altre benzodiazepine con attività antiepilettica come il LORAZEPAM e il DIAZEPAM
utili nel trattamento acuto dello stato epilettico. Anche il CLORAZEPATO che è attivo soprattutto
negli attacchi parziali.
Effetti avversi: sicuramente sono i farmaci più sicuri e con meno effetti collaterali, l’uso
cronico può portare sonnolenza, affaticamento, atassia, capogiri.
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VIGABATRIN
Ha un meccanismo d’azione simile all’acido valproico con inibizione della GABA transaminasi.
Possiede effetti avversi come sedazione, disturbi del campo visivo e del comportamento. Si
tratta di un inibitore enzimatico a lunga durata.
Farmaci usati nella maggior parte delle sindromi epilettiche
eccetto le assenze
FENITOINA
Meccanismo d’azione: inibizione del canale del sodio
dipendente dal voltaggio. A dosi molto elevate può inibire i canali
del calcio intereferendo con la liberazione monoaminergica.
Azioni: riduce la propagazione di impulsi anomali nel cervello.
Usi terapeutici: molto efficace per tutti gli attacchi parziali, per
gli attacchi tonico-clonici e per trattare lo stato epilettico. Non è
efficace nelle assenze.
Farmacocinetica: la biodisponibilità orale è elevata ma è molto lenta, tuttavia la
distribuzione è ampia e anche a livello cerebrale. Nello stato epilettico viene somministrata
per via endovenosa. Viene metabolizzata dal CYP epatico. A basse dosi il t1/2 è di 24 ore ma
se si incrementa la dose il sistema di idrossilazione si satura e la concentrazione plasmatica
cresce rapidamente potendo dare effetti tossici. (cinetica di ordine zero).
È un induttore enzimatico.
Effetti avversi: ipertrofia gengivale, irsutismo, anemia megaloblastica (per interazione con
reazioni della vit B12), reazioni allergiche, palatoschisi nel neonato se usato in gravidanza e
altre possibili malformazioni fetali. Esistono anche problemi di depressione del SNC con
nistagmo e atassia (sistema vestibolare e cervelletto) e problemi gastrointestinali.
Si può avere inibizione della produzione di ADH e iperglicemia da ridotta secrezione di
insulina. Il trattamento con fenitoina non deve essere interrotto bruscamente.
Le concentrazioni plasmatiche devono essere monitorate attentamente in quanto è una
cinetica di ordine zero con un sistema metabolico saturabile che può portare a molti effetti
tossici. Le dosi terapeutiche vanno da 10-20 µg/ml, mentre dopo i 20 si parla di tossicità.
Intorno ai 20 si ha un nistagmo, vicino ai 30 atassia e verso i 40 letargia.
Interazioni farmaceutiche: esistono diversi farmaci che riducono il metabolismo della
fenitoina come cloramfenicolo, dicumarolo, cimetidina e pertanto aumentano l’emivita
plasmatica e i possibili effetti tossici.
Esistono però anche farmaci come la carbamazepina (altro antiepilettico) che aumentano il
metabolismo del farmaco.
CARBAMAZEPINA
Azioni: inibizione del canale del sodio e riduzione della propagazione degli impulsi.
Usi terapeutici: efficace per tutti gli attacchi parziali. Molto efficace anche per gli attacchi
tonico-clonici. Non è molto utile per le assenze.
Farmacocinetica: biodisponibilità orale massima, ma in tempi lunghi. Liposolubilità che
consente un raggiungimento efficace dell’encefalo. Induttore enzimatico e quindi necessita
cronicamente di un aggiustamento delle dosi vista la sua riduzione dell’emivita.
Effetti avversi: sedazione, visione offuscata, atassia, ritenzione di acqua, reazioni allergiche,
nausea e vomito, iponatriemia specialmente negli anziani. Anche vertigini e cefalea oltre a
stato stuporoso, coma e depressione respiratoria per dosi molto alte.
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FENOBARBITAL
Azioni: farmaco che deprime il SNC, a basse dosi ha un’azione antiepilettica mentre a dosi più
alte ha un’azione di marcata depressione del SNC. Il meccanismo d’azione sembra un
potenziamento del GABA che media i circuiti inibitori.
Usi terapeutici: viene privilegiato l’utilizzo di questo farmaco per gli attacchi parziali
semplici, mentre risulta poco efficiente per gli attacchi parziali complessi. Riveste un ruolo
importante anche per trattare gli attacchi tonico-clonici ricorrenti. È stato considerato di
prima scelta per trattare gli attacchi ricorrenti nei bambini, benchè anche il diazepam sia
molto efficiente.
Farmacocinetica: buona biodisponibilità orale, si distribuisce nell’encefalo.
Effetti avversi: sedazione, atassia, nistagmo, vertigini, reazioni psicotiche acute, talvolta
anche nausea e vomito.
TOPIRAMATO
Fa parte degli antiepilettici aggiuntivi di nuova scoperta.
Azioni: blocca i canali del sodio allo stesso modo della fenitoina e carbamazepina, inoltre ha
anche un’azione stimolante l’ingresso di ioni cloro nel canale del GABA con un sito di legame
diverso da quello delle benzodiazepine.
Usi terapeutici: efficace negli attacchi parziali refrattari, sia negli attacchi generalizzati
secondari.
Farmacocinetica: è assorbito bene dall’intestino, il 30% è metabolizzato dal fegato e il
restante è eliminato immodificato dal rene. T1/2 di circa 20-25 ore.
Effetti avversi: sedazione, capogiri, sonnolenza, nervosismo, confusione, nausea, perdita di
peso e effetti teratogeni sul feto.
Farmaci usati per il trattamento delle assenze
ETOSUCCIMIDE
Farmaco utilizzato efficacemente per trattare le assenze (piccolo male).
Azioni: agisce andando a bloccare i canali del calcio in modo simile alla fenitoina per i canali
del sodio. In questo modo diminuisce la propagazione delle scariche.
Usi terapeutici: piccolo male (farmaco di prima scelta).
Farmacocinetica: si assorbe bene per via orale e non si lega alle proteine plasmatiche, non è
un induttore enzimatico.
Effetti avversi: è irritante per lo stomaco e quindi dà nausea e vomito, in più dà cefalea e
disturbi dell’umore oltre a incapacit{ di concentrarsi.
Farmaci usati per il trattamento delle epilessie parziali
ZONISAMIDE
Azione: blocco dei canali del sodio e delle correnti del calcio, oltre a potenziamento della
funzione dei recettori del GABA.
Usi terapeutici: epilessie parziali, ma anche generalizzate.
Farmacocinetica: buona disponibilità orale, tempo di dimezzamento lungo.
Effetti avversi: sedazione, riduzione dell’appetito, perdita di peso, calcoli renali.
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GABAPENTIN
Farmaco analogi del GABA.
Azione: sembra avere un’azione bloccante sui canali del calcio.
Usi terapeutici: è utilizzato per gli attacchi parziali e anche per gli attacchi tonico-clonici
secondari.
Farmacocinetica: buona disponibilità orale e viene totalmente escreto immodificato dai reni,
questo permette al farmaco di avere scarse interazioni farmacologiche.
Effetti avversi: sono quelli tipici degli altri antiepilettici come sonnolenza, capogiri, nistagmo,
atassia, ma l’incidenza di reazioni tossiche gravi è molto bassa.
TIAGABINA
Azione: farmaco che inibisce la ricaptazione del GABA e quindi aumenta l’emivita di questo
composto e le sue azioni deprimenti la trasmissione sinaptica.
Usi terapeutici: utilizzato negli attacchi parziali e studi clinici hanno messo in evidenza che
riduce il numero di attacchi.
Farmacocinetica: si assorbe molto bene per via orale, il legame alle proteine plasmatiche è
del 95%. L’escrezione è principalmente biliare.
Effetti avversi: sedazione
LEVETIRACETAM
Azioni: meccanismo d’azione sconosciuto
Usi terapeutici: viene impiegato nel controllo delle epilessie parziali refrattarie.
Farmacocinetica: escrezione urinaria immodificato. Privo di interazioni farmaceutiche e
quindi un buon farmaco aggiuntivo.
Effetti avversi: capogiri, disturbi del sonno, cefalea, astenia, sedazione.
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PSICOFARMACI
BENZODIAZEPINE E ALTRI ANSIOLITICI E IPNOTICI
23. Benzodiazepine: classificazione, farmacocinetica e
meccanismo d’azione
Le benzodiazepine sono un gruppo di farmaci molto numeroso il cui nome fa riferimento alla
struttura chimica. La classificazione delle benzodiazepine viene fatta principalmente in base
alla farmacocinetica:
 BDZ ad emivita medio-lunga
o BDZ pronordiazepam-simili
o Nitro-BDZ (provviste di nitro-gruppo)
 BDZ ad emivita breve e ultrabreve
o BDZ oxazepam-simili
o Triazolo-BDZ
o Tieno-BDZ (anello benzenico sostituito da anello tiofenico)
Farmacocinetica
È molto complessa e la maggior parte di queste subisce delle reazioni di fase 1 in cui vengono
prodotti metaboliti che possiedono anch’essi un’azione farmacologica e dunque l’emivita
media della benzodiazepina tiene in considerazione anche l’emivita dei metaboliti postbiotrasformazione.
L’assorbimento è del 100% per via orale, la loro liposilubilità permette una diffusione efficace
al SNC. Non passano via intramuscolo per la liposolubilit{ e l’irritabilit{.
L’emivita è variabile tra i vari farmaci e quelli con emivita maggiore sono di solito quelli che
producono intermedi attivi con durata d’azione più lunga e pertanto queste differenze tra i
vari composti determinano ampie variabilità di utilizzo clinico.
 Emivita medio lunga (> 48 ore)
o BDZ pronordazepam simili: i metaboliti contribuiscono in modo massiccio
all’azione del farmaco.
o Nitro-BDZ: i metaboliti non danno un contributo rilevante alla durata d’azione
farmacologica. Hanno tipicamente spiccati effetti anticonvulsivanti. La loro
emivita è tra le 24-48 ore.
 Emivita breve ultrabreve (< 24 ore)
o BDZ oxazepam simili (10-24 ore): hanno una biotrasformazione molto semplice
e vengono coniugate direttamente con acido glucuronico ed eliminate con le
urine senza subire reazioni di fase 1. Non producono intermedi reattivi. (tipico
il caso del lorazepam).
o Triazolo-BDZ (6 ore): hanno dei metaboliti ma non contribuiscono allo
svolgimento dell’effetto.
o Tieno-BDZ
Gli effetti dei farmaci non terminano soltanto per l’eliminazione ma anche a seguito di
fenomeni di redistribuzione.
Le benzodiazepine attraversano la placenta e sono presenti nel latte materno.
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Nome generico
Nome commerciale
BDZ pronordazepam-simili
Brixopan, Compendium, Lexotan
Bromazepam
Frisium
Clobazam
Transene
Clorazepato
Dadumir, En
Delorazepam
Librium
Clordiazepossido
Madar
Nordazepam
Ansiolin, Diazemuls, Micronoan, Noan, Tranquirit,
Diazepam
Valium, Vatran
Dalmadorm, Felison, Flunox, Valdorm
Anseren
Domar
Prazene, Trepidan
Flurazepam
Ketazolam
Pinazepam
Prazepam
Nitro-BZD
Flunitrazepam
Nitrazepam
Nome generico
Roipnol, Valsera
Mogadon
Nome commerciale
BDZ oxazepam-simili
Lorazepam
Lormetazepam
Oxazepam
Temazepam
Control, Lorans, Slipirem, Tavor, Zeloram
Axilium, Ipnolor, Luzul, Mexylor, Minias
Limbial, Serpax
Euipnos, Normison
Triazolo BDZ
Alprazolam
Estazolam
Etizolam
Triazolam
Alpravecs, Alprazig, Frontal, Valeans, Xanax
Esilgan
Depas, Pasaden
Halcion, Songar
Tieno-BDZ
Brotizolam
Clotiazepam
Lendormin
Rizen, Tienor
Meccanismo d’azione
Le benzodiazepine sono composti che si legano al recettore del GABA associato ad un canale
ionico che permette l’ingresso nella cellula di ioni cloro determinando un’iperpolarizzazione.
Il recettore-canale del GABA possiede 5 o più subunità di
tipo alfa, beta e gamma.
Il legame delle BDZ a siti specifici presenti all’interfaccia
tra alfa2 e gamma innesca un aumento di sensibilità di
legame del recettore al GABA (aumento di affinità) che a
sua volta si ripercuote sul legame delle BDZ stesse che
dopo il legame col GABA hanno un’affinit{ incrementata.
Quindi né il GABA né le BDZ sono responsabili
direttamente dell’aumento del flusso di cloro, ma è la loro
interazione che permette una maggior frequenza di
apertura del canale. La localizzazione dei recettori delle
BDZ nel SNC è parallela a quella dei recettori del GABA.
In base al tipo di recettore e alla localizzazione nel SNC si
hanno diversi effetti farmacologici.
Una peculiarità del recettore delle benzodiazepine è che si trova costitutivamente attivato per
cui scarica continuamente in modalità diverse. Infatti il recettore si può trovare in uno stato
attivato ed in uno stato di riposo rispettivamente momenti in cui il cloro passa e il cloro non
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passa. Nello stato attivato il recettore permette il legame del GABA e delle BDZ, nello stato
inattivato viene privilegiato un meccanismo di agonismo inverso essendo presenti siti
recettoriali affini a substrati che hanno effetti diametralmente opposti alle BDZ come la betacarbolina che si lega al recettore e provoca ansia, agitazione e convulsioni. Una volta che si
lega la BDZ il canale si apre ed un numero considerevole di recettori passa dallo stato inattivo
a quello attivato.
Azioni
Le attività farmacologiche delle BDZ sono diverse:
1. Riduzione dell’ansia: meccanismo tipicamente α2 (esistono 2 diversi tipi di subunità
alfa) di stimolazione dei neuroni GABA-ergici contenenti subunit{ α2. Tipicamente
quest’azione viene svolta inibendo i circuiti neuronali associati all’ansia nel sistema
limbico.
2. Azione sedativo-ipnotica: tutte le BDZ a livelli diversi hanno la capacità sedativa e
alcune ad alte concentrazioni hanno capacità di indurre il sonno (ipnotiche).
Quest’azione è mediata dal legame con la subunit{ α1.
3. Azione anticonvulsivante: molte BDZ sono usate per trattare l’epilessia, ad esempio il
clonazepam, tuttavia queste sono soggette a tolleranza in breve tempo e non sono
perciò consigliate nel trattamento cronico del paziente epilettico.
4. Azione miorilassante: utile azione per aumentare il rilassamento dei muscoli, ad
esempio nell’anestesia per facilitare l’intervento chirurgico. Probabilmente
quest’azione deriva da un legame α2 di inibizione presinaptica nel midollo spinale in
cui sono concentrati molti recettori GABA-A. In genere servono alte dosi di BDZ.
5. Amnesia anterograda: spesso questi farmaci vengono usati prima di interventi di
broncoscopia o colonscopia mediante azione α1 per ridurre la memoria.
6. Azioni sulla respirazione: a dosi pre-anestetiche induce una riduzione della ventilazione
alveolare e pertanto è sconsigliata nei pazienti che soffrono di apnee notturne.
7. Azioni di ipotensione e tachicardia: sempre a dosi molto alte pre-anestetiche si può
avere ipotensione e tachicardia riflessa.
Usi terapeutici
Ansia: l’ansia viene considerata come uno stato di malessere dovuto a tensione,
apprensione, disagio o paura che sembra derivare da origine sconosciuta. Le BDZ
hanno importanti effetti ansiolitici. Non devono essere usate per l’ansia dovuta allo
stress quotidiano ma solo per stati di ansia grave e talvolta associati ad adeguate
terapie comportamentali:
 Ansia generalizzata
 Sindromi fobiche
 Sindromi da attacchi di panico.
Vengono usati per periodi brevi e non lunghi per il fatto che un’assunzione cronica può
portare ad una farmacodipendenza. Inoltre si sviluppa tolleranza, benchè per l’effetto
ansiolitico la tolleranza si sviluppi in modo minore che per l’effetto sedativo-ipnotico.
(Esiste tolleranza crociata tra i composti del gruppo e anche con l’alcol).
In generale vengono preferiti i composti a lunga durata d’azione come il diazepam per i
pazienti che richiedono un trattamento prolungato.
Un tempo le BDZ erano i farmaci di prima scelta per il trattamento dell’ansia, oggi sono
state ampiamente sostituite dagli antidepressivi di nuova generazione che si sono
rilevati molto più efficaci. Tuttavia gli antidepressivi hanno un Tmax molto lungo e
l’effetto si dimostra dopo circa qualche settimana, così le BDZ vengono usate nel
mentre e poi quando compare l’effetto degli antidepressivi si diminuiscono a scalare.
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
Durante il trattamento cronico con antidepressivi le BDZ vengono risparmiate per gli
attacchi acuti d’ansia come gli attacchi di panico, che vengono controllati molto bene
con l’alprazolam, benchè possa causare nel 30% dei casi delle reazioni da interruzione
del trattamento.
Disturbi del sonno: non tutte le BDZ hanno capacità ipnotiche benchè tutte siano
sedative. Vengono utilizzate alcune BDZ nei pazienti con difficoltà ad addormentarsi e
anche in quelli con risvegli notturni frequenti. Possono essere usate BDZ a breve,
media e lunga durata d’azione. In generale riducono la latenza dell’inizio del sonno e
aumentano la lunghezza di esso evitando i risvegli frequenti. Prolungano lo stadio 2 del
sonno non REM riducendo sia il REM che il sonno a onde lente.
 Flurazepam: farmaco ad emivita molto lunga (85 ore) che cura sia la difficoltà
ad addormentarsi sia i risvegli notturni. Bisogna fare attenzione alla dose in
quanto vista la sua durata possono presentarsi dei sintomi di sonnolenza o
spossatezza anche diurni.
 Temazepam: farmaco ad emivita intermedia usato soprattutto per i pazienti con
fatica ad addormentarsi. Interviene dopo 2-3 ore dalla dose orale.
 Triazolam: usato principalmente per chi ha risvegli notturni frequenti ed ha
un’emivita molto breve, in alcuni casi può dare irritabilità mattutina.
Disturbi muscolari: utile per curare lo spasmo muscolare post-stiramento oppure nei
casi di malattie neurodegenerative come la sclerosi multipla e la paralisi cerebrale.
Premedicazione: usate in procedure anestetiche e chirurgiche (angioplastica) o
diagnostiche (broncoscopia, colonscopia). Ad es il midazolam, usato solo in ambito
ospedaliero pre-chirurgico.
Convulsioni: clonazepam è il farmaco di scelta per il trattamento cronico dell’epilessia
e il diazepam è il farmaco di scelta per far cessare le convulsioni del grande male e
dello stato di male epilettico.
Astinenza da alcol.
Effetti avversi:
- Dipendenza: esiste la possibilità che un trattamento cronico porti ad un dipendenza
fisica e psicologica da BDZ per cui la brusca interruzione provoca ansia, irrequietezza,
agitazione, insonnia e confusione mentale. La possibilità è maggiore per i farmaci a
breve durata d’azione come il triazolam.
- Sonnolenza e confusione mentale: intensificazione degli effetti depressivi sul SNC, a
volte si possono avere effetti disinibenti e paradossi (ira e aggressività) soprattutto
negli anziani o depressione (rara).
- Incoordinazione del movimento (atassia): solo ad alte dosi
- Reazioni allergiche (rare).
- Interazione con alcol e altri depressivi (oppiacei, antipsicotici, antistaminici):
potenziamento dell’effetto che può diventare pericoloso. Per questi effetti si considera
sempre un’assunzione cronica di BDZ e non occasionale.
- Teratogenesi: lorazepam, alprazolam, clordiazepossido, diazepam.
- Tossicità fetale: ipotonia, ipotermia e lieve depressione respiratoria. È possibile anche
lo sviluppo di una sindrome simil-astinenziale nel feto con tremori, bradicardia,
ipertonia, iperreflessia…)
- Allattamento: nel latte le BDZ possono penetrare e dare sedazione del neonato, letargia
e perdita di peso.
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24. Farmaci sedativo-ipnotici: classificazione, effetti
farmacologici e tossici, impieghi terapeutici e
controindicazioni
Farmaci sedativo-ipnotici non benzodiazepinici
ZOLPIDEM
Non è una benzodiazepina ma si lega ad un sottogruppo di recettori delle BDZ. Non ha
proprietà anticonvulsivanti e miorilassanti, non dà luogo a insonnia di rimbalzo e la tolleranza
è scarsa o assente. Non è ansiolitico.
Azioni: si tratta di un farmaco che agisce sul recettore α1 ed ha esclusive azioni ipnotiche.
Usi terapeutici: insonnia da difficile addormentamento o per cambiamento di fuso orario non
associata a fenomeni ansiosi.
Farmacocinetica: assorbito rapidamente dal tratto GI, ha rapida insorgenza e emivita breve.
Subisce ossidazione epatica da parte del CYP a prodotti inattivi. Farmaci come la rifampicina
che inducono questo sistema riducono il tempo di dimezzamento.
Effetti avversi: incubi, agitazione, cefalea, disturbi gastrointestinali, capogiri e sonnolenza
diurna.
ZALEPLON
Molto simile allo zolpidem, ha gli stessi effetti ipnotici, tuttavia lascia minori effetti avversi nei
confronti del tratto gastro-intestinale, delle funzioni psicomotoria e cognitiva. Forse questo
rispecchia una sua breve emivita (meno di 1 ora). È metabolizzato dal CYP.
ESZOPICLONE
Farmaco utilizzato per il trattamento dell’insonnia, unico ad avere effetti maggiori rispetto al
placebo. Ha un meccanismo d’azione simile ai precedenti per cui si lega ai recettori alfa1.
Viene assorbito rapidamente e metabolizzato, per poi uscira con le urine. L’emivita è di circa 6
ore. Eventi avversi sono ansia, secchezza delle fauci, dolore al torace, cefalea, sonnolenza.
BUSPIRONE
Azione: ansiolitico utilizzato principalmente per gli stati d’ansia generalizzati, cronici e
associati a sintomi di irritabilità e ostilità. Ha quasi la stessa efficacia delle BDZ nel
trattamento dell’ansia, tuttavia non presenta effetto miorilassante e anticonvulsivo e la
sedazione è minima. Il meccanismo d’azione è diverso da quello delle BDZ in quanto sembra
essere un agonista della serotonina andando a legarsi al suo recettore, ma forse ha anche
azioni di agonismo dopaminergico.
Usi terapeutici: ansia cronica con comportamenti ostili e aggressivi.
Farmacocinetica: metabolizzato dal CYP3A4 e quindi risulta inattivo se dato con la
rifampicina che è un induttore enzimatico, l’emivita invece aumenta se dato con la
eritromicina che è un inibitore.
Effetti avversi: ipotermia, aumento di prolattina e GH, cefalea, capogiri e nervosismo.
Tuttavia è improbabile che si instauri dipendenza.
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IDROXIZINA
Antiistaminico con attività antiemetica. Utile nei pazienti ansiosi con precedente abuso di
farmaci visto che non provoca abitudine. Viene usato anche per la sedazione prima di
manovre odontoiatriche o chirurgiche. Sonnolenza è un possibile effetto avverso.
MEPROBAMATO
Era il sedativo-ipnotico più usato al tempo dei barbiturici, ma ha un IT molto basso.
Barbiturici
Un tempo erano il principale presidio terapeutico utilizzato per sedare il sistema nervoso e
per indurre e mantenere il sonno; oggi sono stati ampiamente rimpiazzati dalle BZD,
principalmente perché inducono tolleranza, enzimi farmaco-metabolizzanti, dipendenza fisica
e sintomi molto gravi di astinenza.
Meccanismo d’azione
L’azione sedativo-ipnotica dei barbiturici è dovuta al potenziamento della trasmissione
GABAergica (allungano la durata di apertura del canale del cloruro); il sito di legame è diverso
da quello delle BZD.
Inoltre i barbiturici possono bloccare i recettori eccitatori del glutammato.
Tutte queste azioni portano a diminuzioni dell’attivit{ neuronale.
Azioni
I barbiturici sono classificati in base alla loro durata d’azione.
Il tiopental che agisce nel giro di secondi e ha durata d’azione di 30 min è usato per l’induzione
e.v. all’anestesia; al contrario il fenobarbital, che ha durata d’azione superiore a un giorno, è
utile per il trattamento delle convulsioni.
Il pentobarbital, secobarbital, amobarbital sono barbiturici a breve durata d’azione, efficaci
come sedativi e
ipnotici (non come antiansia).
Depressione del SNC
A basse dosi i barbiturici provocano sedazione (effetto calmante, riduzione dell’eccitazione); a
dosi più alte causano ipnosi, seguita da anestesia (perdita della percezione e della sensibilità)
e infine coma e morte.
Perciò, a seconda della dose, è possibile qualunque grado di depressione del SNC.
Non hanno proprietà analgesiche (anzi possono esacerbare il dolore).
L’uso cronico porta a tolleranza.
Depressione respiratoria
I barbiturici sopprimono la risposta all’ipossia e quella dei chemorecettori alla CO2 e il
sovradosaggio è
seguito da depressione respiratoria e morte.
Induzione di enzimi
I barbiturici inducono gli enzimi microsomiali P-450 nel fegato; perciò la somministrazione
cronica fa diminuire l’azione di molti farmaci che dipendono dal metabolismo del P-450 per
ridurre la loro concentrazione.
Usi terapeutici
Anestesia
I barbiturici ad azione ultrabreve, come il tiopental, sono usati per via e.v.
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Anticonvulsivante
Il fenobarbital è usato per il trattamento a lungo termine delle convulsioni tonico-cloniche,
dello stato epilettico e dell’eclampsia ed è considerato il farmaco di scelta per il trattamento
dei bambini con convulsioni febbrili ricorrenti; però può deprimere le prestazioni cognitive
nei bambini trattati e perciò deve essere usato con cautela.
Ha specifica attività anticonvulsivante, distinta dalla depressione aspecifica del SNC.
Ansia
I barbiturici sono stati usati come deboli sedativi per alleviare ansia, tensione nervosa e
insonnia.
Se sono usati come ipnotici sopprimono il sonno REM più degli altri stadi.
Però nella maggior parte dei casi sono stati sostituiti dalle BZD.
Farmacocinetica
Sono assorbiti dopo somministrazione orale e si distribuiscono ampiamente in tutto
l’organismo dal cervello alle aree splancniche, ai muscoli scheletrici e infine al tessuto
adiposo.
Attraversano rapidamente la placenta e possono deprimere il feto.
Essi, con l’esclusione del fenobarbital, sono metabolizzati nel fegato e i metaboliti inattivi sono
escreti nelle urine.
Effetti avversi
SNC
I barbiturici causano sonnolenza, diminuzione della concentrazione e torpore mentale e fisico;
gli effetti di depressione del SNC sono sinergici con l’etanolo.
Depressione residua del SNC
Dosi ipnotiche di barbiturici provocano una sensazione di stanchezza che si mantiene ben
oltre il risveglio del pz; tale depressione residua provoca un’alterazione della capacit{ di agire
normalmente per parecchie ore dopo il risveglio; occasionalmente si presentano nausee e
capogiri.
Precauzioni
Inducono il sistema P-450 e possono ridurre l’effetto di farmaci che sono metabolizzati da
questi enzimi.
Fanno aumentare la sintesi di porfirina e sono controindicati nei pz con porfiria acuta
intermittente.
Dipendenza fisica
La brusca interruzione dell’assunzione può causare tremori, ansia, debolezza, irrequietezza,
nausea e vomito, convulsioni, delirio e arresto cardiaco.
L’astinenza è più grave di quella da oppiacei e può portare alla morte.
Avvelenamento
La forte depressione respiratoria è associata con depressione cardiovascolare di origine
centrale e porta a una condizione simile allo shock con respirazione debole e poco frequente.
Il trattamento prevede la respirazione artificiale e se il farmaco è stato assunto di recente la
lavanda gastrica.
Non è disponibile nessun antagonista specifico dei barbiturici.
Se sono state assunte grandi quantit{ di farmaco può essere necessaria l’emodialisi.
Spesso l’alcalinizzazione delle urine aiuta l’eliminazione del farmaco.
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ANTIDEPRESSIVI E ANTIMANIACALI
25. Farmaci antidepressivi
I farmaci antidepressivi sono utilizzati per curare gli stati depressivi ristabilendo un umore
normale o elevato. Essi agiscono genericamente nell’ostacolo alla ricaptazione di
neurotrasmettitori liberati nello spazio sinaptico encefalico come noradrenalina, serotonina e
dopamina. Esistono diverse classi di farmaci in base alla specificità per un mediatore.
 Antidepressivi triciclici (ATC)
 Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI)
 Inibitori selettivi della ricaptazione della noradrenalina (NARI)
 Inibitori selettivi della ricaptazione della noradrenalina e della serotonina (SNRI)
 Antidepressivi atipici
 Inibitori della MAO
Indicazioni terapeutiche:
1. Depressione medio-grave: le forme reattive invece non sono trattate
farmacologicamente. Molti pazienti non rispondono a tali terapie. Per scegliere il
farmaco bisogna tenere presente se il paziente ha già avuto crisi depressive e con quale
farmaco era stato trattato e se era stato efficace, altrimenti se si tratta della prima volta
si può fare un’analisi familiare e vedere a quali farmaci hanno risposto i familiari che
hanno avuto depressione. Se non risponde a nessun trattamento si può usare in
associazione il litio. La terapia di mantenimento deve sempre essere a dosi piene.
2. Sindromi ansiose: soprattutto SSRI associati a BDZ per gli attacchi acuti
3. Sindrome ossessivo-compulsiva
4. Bulimia e anoressia: per il trattamento della bulimia gli antidepressivi sono utili in
acuto e anche in mantenimento. Nell’anoressia non sono utili in acuto e possono avere
effetto solo se il paziente recupera il peso corporeo almeno del 75%. In più negli
anoressici si usano i SSRI che sono i meno tossici essendo questi pazienti più
suscettibili agli effetti avversi.
5. Dolore cronico: ATC e SNRI
6. Disturbi da deficit dell’attenzione: ATC e NARI. Non si usa più l’amfetamina che d{
problemi motori seri.
Antidepressivi triciclici
Questi farmaci comprendono composti che hanno strutture peculiari a 3 anelli (triciclici), 4
anelli (tetraciclici, colo il caso della maprotilina).
Tra questi ci sono amine terziarie:
- IMIPRAMINA (capostipite)
-
AMITRIPTILINA
CLOMIPRAMINA
DOXEPINA
TRIMIPRAMINA
E amine secondarie:
-
DESIPRAMINA
NORTRIPTILINA
MAPROTILINA
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Altri: DOSULEPINA (ha effetti su ricaptazione di NA, serotonina e dopamina).
Tutti gli ATC hanno efficacia sovrapponibile e sono un’utile alternativa ai pazienti che non
rispondono ai SSRI.
Meccanismo d’azione: questi farmaci agiscono bloccando il trasportatore deputato alla
ricaptazione della noradrenalina e della serotonina dallo spazio sinaptico al neurone
presinaptico. Questi 2 mediatori vengono quindi mantenuti più a lungo nello spazio sinaptico
ed esercitano un’azione attivatoria sui neuroni postsinaptici stimolando una risposta efficace
di attivazione. Il meccanismo vero e proprio però è ancora abbastanza sconosciuto, si pensa
che l’inibizione della ricaptazione possa determinare in un primo momento un aumento
modesto del mediatore nello spazio sinaptico dovuto alla mancata ricaptazione, ma
contemporaneamente si verifica anche un incremento del legame dei mediatori ai recettori
presinaptici inibitori che riducono la liberazione dei mediatori dalle vescicole. Per questo
motivo l’effetto farmacologico non si presenta prima di 2 settimane fino ad arrivare ad un
massimo d’efficacia a 12 settimane. Infatti dopo un certo periodo i recettori presinaptici
vanno incontro a down-regulation per eccessiva esposizione ai mediatori e di conseguenza è
possibile una maggior liberazione di mediatore e un’attivit{ sinaptica molto più marcata.
È stato inoltre ipotizzato che esistano dei neuroni serotoninergici inibitori che riducono la
liberazione di NA e l’inibizione della ricaptazione di serotonina manda in down-regulation i
recettori 5-HT con riduzione dell’inibizione. In più l’inibizione della ricaptazione della NA
agisce anche sui recettori alfa presinaptici inibitori che vanno in down-regulation. Esiste
anche un’azione di desensibilizzazione dei recettori beta. Oltre a questo gli ATC hanno anche
un’azione inibitoria sui recettori muscarinici e dell’istamina.
Azioni: elevano l’umore, aumentano lo stato di allerta mentale, favoriscono l’attivit{ fisica. Le
amine secondarie tendono ad avere un’azione maggiore sulla ricaptazione della NA, mentre le
terziarie sulla serotonina. Le terziarie inoltre hanno un maggior effetto anticolinergico e
sedativo rispetto alle secondarie.
Usi terapeutici: depressione maggiore di grado elevato, anche per disturbi di attacchi di
panico. In ogni caso oggi vengono somministrati solo nei casi in cui i pazienti non rispondano
agli altri antidepressivi (SSRI e NSRI). L’amitriptilina viene usata nel trattamento del dolore
cronico neuropatico.
Farmacocinetica: somministrazione per via orale, sono lipofili e raggiungono l’encefalo.
La biodisponibilità orale non è molto alta a causa del metabolismo di primo passaggio da
parte del fegato e quindi la posologia va aggiustata in base alla risposta del paziente.
Il tempo di dimezzamento è lungo. Il trattamento iniziale di solito si prolunga per 4-8
settimane dopodichè si inizia a scalare la dose.
Effetti avversi: l’indice terapeutico di questa categoria è molto basso e la dose letale è 5-6
volte quella giornaliera, bisogna monitorare e prestare attenzione all’utilizzo di tali farmaci da
parte di pazienti depressi a causa del possibile utilizzo suicida.
I principali effetti indesiderati sono secchezza delle fauci, stitichezza, disturbi della sfera
sessuale, ipotensione ortostatica (per inibizione dei recettori alfa), sedazione, aumento di
peso (aumento dell’appetito dovuto a un blocco dei recettori dell’istamina), disturbi di
memoria soprattutto negli anziani.
Essi hanno anche effetti teratogeni verificati con la clomipramina (malformazioni
cardiovascolari) ed effetti di tossicità fetale come rischio di parto pretermine, ridotto peso alla
nascita e complicanze perinatali a seguito della brusca sospensione di clomipramina.
La nortriptilina è l’unica che sembra avere risultati rassicuranti durante allattamento.
Esiste un rischio di tossicità da sovradosaggio con coma, convulsioni, aritmie, ritenzione
urinaria e paralisi intestinale. Il rischio di sovradosaggio letale è alto.
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina
I principali farmaci appartenenti a questa classe sono:
- FLUOXETINA (capostipite)
-
CITALOPRAM
ESCITALOPRAM
PAROXETINA
SERTRALINA
FLUVOXAMINA
Si tratta di una classe di farmaci ampiamente usata nei disturbi depressivi e non solo per
l’elevata efficacia e la scarsit{ marcata di effetti avversi a differenza degli ATC.
Azione: inibizione della ricaptazione della serotonina e conseguente miglioramento
dell’umore. Sono necessarie 2 settimane per arrivare all’effetto farmacologico iniziale fino a
un massimo di 12 settimane per avere l’effetto completo. Il meccanismo d’azione è lo stesso
dei ATC ma a differenza di questi gli SSRI non bloccano i recettori dell’istamina, colinergici e
adrenergici per cui sono esenti dalla maggior parte degli effetti collaterali dei ATC. Nessun
antidepressivo è sempre efficace.
Usi terapeutici: depressione, disturbi ossessivo-compulsivi, disturbi di panico, ansia
generalizzata, bulimia.
Farmacocinetica: buona biodisponibilità orale, solo la sertralina subisce un metabolismo di
primo passaggio epatico. Il cibo ha scarso effetto sull’assorbimento.
L’emivita è lunga (16-36 ore), tuttavia la fluoxetina è un’eccezione perché ha emivita di circa
50 ore e inoltre i suoi metaboliti hanno anch’essi un’attivit{ intrinseca elevata (10 giorni).
Sono inibitori del CYP2D6 responsabile del metabolismo degli ATC, l’eliminazione è urinaria, a
parte la paroxetina e la sertralina che hanno eliminazione fecale.
Effetti avversi: possono presentarsi nausea, insonnia o sonnolenza, cefalea, vertigini, ansia,
disfunzione sessuale e interazioni farmacologiche. A dosi molto elevate la fluoxetina può
causare convulsioni. Tutti gli SSRI se assunti insieme a un inibitore della MAO causa una
sindrome serotininergica grave e potenzialmente letale (ipertermia, rigidità, mioclono,
modificazioni dello stato mentale e dei segni vitali).
Per la teratogenesi non c’è nessun rischio, qualche rischio resta di tossicit{ fetale come parto
pretermine e lievi complicanze reversibili.
Il rischio di tossicità letale è quasi assente.
Inibitore selettivo della ricaptazione della noradrenalina (NARI)
L’unico farmaco disponibile è la REBOXETINA che sembra agire incrementando la concentrazione
di NA nello spazio sinaptico. Come effetti indesiderati può dare disturbi del ritmo, insonnia,
irrequietezza, bocca secca, stitichezza, sudorazione e vertigini. Nel sovradosaggio c’è un
rischio intrinseco di aritmia cardiaca.
Inibitori della ricaptazione della serotonina/noradrenalina (SNRI)
Esistono 2 principali composti ad azione duplice sui mediatori serotonina e NA e si tratta di:
-
VENLAFAXINA
DULOXETINA
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Usi terapeutici: sono efficaci nei pazienti in cui la depressione non risponde ai SSRI, inoltre
hanno una funzione anche sul dolore cronico neuropatico che sembra mediato da vie
serotoninergiche e noradrenergiche. In questo hanno funziona analoga agli ATC, tuttavia sono
privi dell’affinit{ ai recettori istaminici, muscarinici e adrenergici e dunque non determinano
gli effetti collaterali dell’altra classe di farmaci.
La venlafaxina è un potente inibitore della ricaptazione della serotonina che a dosi elevate
inibisce anche la noradrenalina. È anche un debole inibitore della ricaptazione della
dopamina. Emivita di circa 11 ore.
La duloxetina inibisce allo stesso modo la ricaptazione della NA e della serotonina a tutte le
dosi. Non deve essere somministrata ai pazienti con insufficienza epatica.
Effetti avversi: vertigini, bocca secca, stitichezza, sonnolenza, insonnia, nervosismo, nausea,
sudorazione e lieve rialzo pressorio nel caso della venlafaxina. Rischio basso di tossicità letale.
Antidepressivi atipici
Esistono 4 antidepressivi atipici e sono:
- BUPROPIONE: interferisce anche con la ricaptazione di dopamina, possiede effetti
eccitanti collaterali abbastanza spiccati. Viene utilizzato anche nei pazienti
tossicodipendenti per contrastare il fenomeno della dipendenza (riduce anche il
desiderio di nicotina).
- TRAZODONE: è un debole inibitore della ricaptazione della serotonina andando ad inibire
selettivamente il recettore presinaptico inibitorio. Presenta diversi effetti collaterali.
Viene usato spesso come sedativo nei pazienti in cui non è opportuno dare BDZ,
soprattutto anziani. Gli effetti avversi sono sedazione, sonnolenza, vertigini, disturbi
urinari e della sfera sessuale, alterazioni psicomotorie e cognitive.
- MIANSERINA: dà effetti avversi come sedazione, sonnolenza, mal di testa, alterazioni
cognitive e riduzione dei globuli bianchi.
- MIRTAZAPINA: antidepressivo che determina inibizione dei recettori alfa2 e 5-HT2. È
dunque un sedativo antistaminico ma privo di effetti antimuscarinici come gli ATC.
Causa in genere aumento dell’appetito e altri effetti comuni agli altri farmaci
antidepressivi atipici.
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
Inibitori della monoaminossidasi (MAO)
Si tratta di una categoria di farmaci antidepressivi ormai di scarso utilizzo a seguito dei gravi
effetti avversi e delle necessarie restrizioni dietetiche a cui il paziente deve andare incontro.
-
FENELZINA
TRANILCIPROMINA
Azione: bloccano irreversibilmente gli enzimi che determinano metabolismo delle
catecolamine e la conseguenza è un’eccessiva presenza di dopamina, noradrenalina e
serotonina nell’encefalo. In più questi inibiscono anche le MAO periferiche e non solo del SNC
e ciò implica un’elevata incidenza di interazioni con altri farmaci e cibi.
Usi terapeutici: depressione non responsiva ai ATC e con forte componente ansiogena, anche
depressione atipica.
Effetti avversi: molto gravi e potenzialmente letali se si instaura un quadro di sindrome
serotoninergica., in ogni caso ci sono effetti avversi intensi di cefalea, tachicardia, nausea,
ipertensione, aritmie, ictus, bisogna evitare i cibi contenenti tiramina.
Altri farmaci proposti come antidepressivi
-
-
ADEMETIONINA
OXITRIPTANO
IPERICO (erba di san Giovanni): si tratta di una miscela di diverse sostanze contenenti
l’iperforina che è il principio attivo. Però questa dà origine a interazione con altre
terapie come immunosoppressori e contraccettivi orali. Molto pericoloso l’uso
autonomo di queste sostanze.
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
26. Farmaci stabilizzanti dell’umore
Questa classe di farmaci comprende quelli utilizzati per curare i disturbi maniaco-depressivi
(disturbo bipolare) che accoppiano momenti depressivi a momenti successivi di estrema
euforia. Il ruolo di questi farmaci è appunto la stabilizzazione dell’umore complessivo.
Esistono diversi tipi di farmaci utilizzati:
- Litio
- Carbamazepina
- Lamotrigina
- Acido valproico
- Topiramato
- Gabapentin
LITIO
Il litio è un farmaco somministrato come sali di litio, in genere si tratta di carbonato di litio. È
uno ione e attraversa le membrane per filtrazione.
Meccanismo d’azione: il meccanismo preciso non è del tutto noto ma sembra interferire con
la risintesi dell’inositolo bifosfato (PIP2) e quindi interviene nella cascata di reazioni che
coinvolge il secondo messaggero IP3. Il farmaco sembra legarsi all’enzima inositolo fosfatasi
che rende disponibile una molecola di inositolo da legare all’acido fosfatidico per formare con
l’intervento di una chinasi il PIP2. Il PIP2 a sua volta quando arriva lo stimolo adeguato viene
processato dalla fosfolipasi C che lo divide in diacilglicerolo e inositolo trifosfato (IP3)
secondo messaggero per l’ingresso del calcio intracellulare dai depositi citoplasmatici.
Azione: determina una risoluzione degli episodi maniaco-depressivi e maniacali. In più è
efficace anche nei pazienti affetti da manie o ipomanie.
Usi terapeutici:
 Fase acuta di un episodio maniacale, tuttavia ha effetti molto lenti e quindi si deve
ricorrere ad un trattamento combinato con BDZ per avere effetti sedativi importanti
 Prevenzione di recidive maniacali o depressive della sindrome bipolare: viene utilizzato a
dosaggi più bassi
 Prevenzione delle recidive depressive nella sindrome depressiva ricorrente
 Trattamento delle forme depressive resistenti agli antidepressivi. Normalmente si usa in
associazione all’antidepressivo come rinforzo.
Farmacocinetica: biodisponibilità orale del 100% e passa le membrane per filtrazione.
Attraversa la barriera EE anche se con lentezza e pertanto serve un certo tempo per avere
l’effetto terapeutico. L’eliminazione avviene con le urine e in quantit{ molto modeste anche
con sudore e feci. L’emivita è di circa 1 giorno. Non è sottoposto a metabolismo di alcun tipo.
Effetti avversi: il litio è un farmaco con IT molto basso e pertanto è dotato di intrinseca
tossicità.
- Effetti indesiderati a breve termine: diarrea, tremori alle mani, sapore metallico,
gastralgia e aumento della diuresi per escrezione eccessiva di sodio.
- Effetti indesiderati a lungo termine: eruzioni cutanee, aumento di peso, edema agli arti
inferiori. Le conseguenze più gravi però riguardano un’alterazione della funzionalità
tiroidea e renale.
Tossicità da sovradosaggio:
- Litiemia tra 1,4 e 3,5 mEq/l: vomito, diarrea, sedazione, tremori grossolani alle mani,
disturbi nell’articolare la parola, vertigini, atassia.
- Litiemia oltre 3,5 mEq/l: stato soporoso, fascicolazioni muscolari, convulsioni,
nistagmo, aritmie, albuminuria, coma e morte. Necessario intervenire con dialisi.
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Pertanto prima di iniziare il trattamento è necessario sottoporre il paziente ad una serie di
esami clinici e laboratoristici: esame obiettivo, ematocrito ed emocromo, elettroliti sierici,
funzionalità renale, tiroidea, esame neurologico ed EEG, esame cardiologico e ECG, test di
gravidanza.
Durante il trattamento è opportuno seguire il paziente con un ECG ogni 4-8 mesi e un esame
di funzionalità tiroidea e renale sempre ogni 4-8 mesi.
La litiemia deve essere continuamente monitorata e viene misurata 12 ore dopo l’ultima
somministrazione serale e prima della somministrazione mattutina, cioè nei momenti in cui la
litiemia è più bassa.
Per trattare gli episodi acuti maniacali si va da 0,9 a 1,1 mEq/l, mentre per la fase di
mantenimento si va da 0,6 a 0,75 mEq/l.
In tutti i casi in cui il paziente ha iponatriemia bisogna sempre controllare la litiemia perché il
litio ha un forte effetto diuretico, tranne nel caso della sudorazione abbondante in cui sia il
litio che il sodio vengono persi contemporaneamente.
Così la litiemia va controllata giornalmente nei primi 7 giorni, settimanalmente nel mese
successivo, ogni mese nei 6 mesi seguenti e ogni 3-4 mesi in seguito.
In un paziente in terapia con litio può accadere che una volta raggiunto lo stato stazionario si
verifichi una variazione brusca della litiema a seguito di diversi possibili fattori.
Per correggere la dose di litio si segue una formula matematica:
correzione percentuale: (LiCp1 – LiCp2) 100% / LiCp1 la percentuale che risulta è quella
quota di farmaco da togliere alla dose iniziale.
LiCp1: concentrazione plasmatica del litio prima della variazione
LiCp2: concentrazione plasmatica del litio dopo la variazione
Rischio di teratogenesi per malformazioni cardiache, sconsigliato l’allattamento al seno.
CARBAMAZEPINA
Altro farmaco che può essere usato per correggere questi disturbi, soprattutto certi sintomi.
In ogni caso determinano effetti avversi come diplopia, offuscamento visivo, affaticabilità,
nausea e atassia, eruzioni cutanee, leucopenia e trombocitopenia. In caso di sovradosaggio
invece si hanno nistagmo, midriasi, segni piramidali ed extrapiramidali, atassia, depressione
respiratoria, convulsioni, tachicardia, aritmie e ipotensione, compromissione della coscienza
fino al coma.
Rischio di malformazioni cardiache, per la tossicità sembra utile la vitamina K e non prevede
problemi l’allattamento al seno.
ACIDO VALPROICO
Altro antiepilettico che può essere usato contro il disturbo bipolare. È utile nella fase acuta di
un episodio maniacale e prevenzione delle recidive maniacali. Effetti avversi sono aumento
delle transaminasi, anoressia, nausea a vomito e iperandrogenismo. Il sovradosaggio dà
blocco cardiaco, coma e sonnolenza.
Teratogenesi: rischio di spina bifida e anomalie scheletriche, compatibile con l’allattamento al
seno.
LAMOTRIGINA
Altro antiepilettico coinvolto in attenuazione di alcuni sintomi, sembra utile nella prevenzione
della recidive maniacali. Effetti avversi sono vertigini, atassia, disturbi del sonno, diplopia,
offuscamento visivo, nausea, vomito, eruzioni cutanee.
Per il sovradosaggio si possono manifestare febbre, linfoadenopatie, edema faciale, rash
cutaneo morbilliforme, leucocitosi, epatite e insufficienza renale acuta.
Sconsigliato l’allattamento al seno.
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ANTIPSICOTICI
27. Farmaci antipsicotici
I farmaci antipsicotici sono anche detti neurolettici o antischizofrenici in quanto vengono
utilizzati per trattare la schizofrenia e altri disturbi dell’ideazione e stati psicotici.
La schizofrenia è una patologia che deriva da una qualche disfunzione a livello encefalico che
determina una anomala visione della realtà caratterizzata da idee deliranti, allucinazioni e
disturbi dell’ideazione. È piuttosto comune e colpisce l’1% della popolazione. Sembra
interessi un’anomalia nella neurotrasmissione dopaminergica dei circuiti mesolimbici.
Pertanto gli antipsicotici tipici cioè quelli più antichi sono caratterizzati da una capacità di
inibizione dei recettori della dopamina, principalmente i D2, mentre quelli atipici o più recenti
coinvolgono la neurotrasmissione serotoninergica.
Inoltre gli antipsicotici tipici sono differenti per potenza ma hanno tutti la stessa efficacia. Gli
atipici invece hanno tutti efficacia pari o maggiore rispetto a quelli tipici.
Antipsicotici tipici:
 Fenotiazine: CLORPROMAZINA, LEVOMEPRONAZIMA, PROMAZINA, PERICIAZINA, DIXIRAZINA,
FLUFENAZINA , PERFENAZINA , TRIFLUOPERAZINA .

Tioxanteni: ZUCLOPENTIXOLO
 Butirrofenoni: ALOPERIDOLO, BROMOPERIDOLO
 Difenilbutilpiperinide: PIMOZIDE
Antipsicotici atipici:
 Benzamidi sostituite: AMISULPRIDE , LEVOSULPRIDE , SULPRIDE, TIAPRIDE
 Dibenzoxazepine: CLOTIAPINA, CLOZAPINA
 Altri antipsicotici: RISPERIDONE, PALIPERIDONE , OLANZAPINA, QUETIAPINA, ARIPIPRAZOLO
Tra questi esistono farmaci più o meno potenti, in genere i più antichi vengono superati in
potenza dagli atipici come la clorpromazina che è 100 volte
meno potente dell’aloperidolo.
Meccanismo d’azione
Gli antipsicotici tradizionali sono degli antagonisti della
dopamina e bloccano i suoi recettori nell’encefalo. Sembra
però che l’efficacia maggiore sia a carico di quelli che riescono
a bloccare selettivamente i recettori D2 della dopamina.
Esistono infatti 5 tipi di recettori dopaminergici (D1 e D5 che
attivano l’adenilato ciclasi, gli altri che inibiscono l’AC). Questi
circuiti però sono coinvolti anche nel complesso
extrapiramidale del controllo del movimento e pertanto
questi farmaci hanno importanti effetti avversi anche su
questo sistema. I farmaci nuovi come la clozapina agiscono sui
recettori D4 e pertanto sembrano essere esenti
dall’interferenza coi circuiti striatali.
Gli antipsicotici atipici invece hanno una prevalente inibizione
sui recettori della serotonina piuttosto che sulla dopamina,
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riducendo ulteriormente gli effetti avversi. Ad esempio la clozapina blocca i recettori D1,2,4,
5HT, muscarinici e alfa-adrenergici ed in parte D2, mentre il risperidone blocca i recettori
dell’istamina più che quelli della dopamina D2.
L’affinit{ recettoriale per i recettori D2 va di pari passo con la potenza clinica del farmaco, la
clozapina ha la stessa affinità per D2 che D1 e in questo si differenzia dagli altri farmaci
neurolettici che hanno prevalente affinità per D2.
Azioni
Gli antipsicotici hanno diverse azioni che
rispecchiano il loro legame inibitorio ai recettori
dei mediatori neuronali visto che il legame si forma
non solo con i recettori della serotonina e della
dopamina ma anche con i recettori colinergici,
adrenergici e istaminici.
- Antipsicotica: tutti i neurolettici sono
efficaci nel trattamento dei sintomi “positivi”
della schizofrenia cioè allucinazioni, idee
deliranti e disturbi dell’ideazione, mentre
solo certi neurolettici atipici e solo in parte
sono in grado di ridurre i sintomi “negativi” come ottundimento affettivo, anedonia
(non provare piacere a seguito di azioni che normalmente sono piacevoli), apatia,
perdita dell’attenzione, disturbi cognitivi. In parte la clozapina è utile nella riduzione
dell’entità di tali sintomi.
In più tutti i neurolettici hanno anche attività sedativa e calmante ma non deprimono
tutto il SNC a differenza dei barbiturici perché le attività cognitive sono mantenute.
Il blocco dopaminergico e/o serotoninergico porta a modifiche della via mesolimbica e
mesocorticale con modifiche del comportamento. Tuttavia anche la via nigrostriatale è
associata a circuiti dopaminergici e pertanto viene interessata da questi farmaci che
sono responsabili di effetti avversi. In più viene interessata anche la via tuberoipofisaria.
- Effetti extrapiramidali: interessamento del circuito dei nuclei della base con
parkinsonismo iatrogeno per blocco dei recettori D2 della dopamina, tuttavia i farmaci
atipici hanno minori effetti dannosi a questo livello. Il paziente presenta tremori,
distonie, acatisia (incapacità a restare fermi) e discinesie tardive forse per
ipersensibilizzazione dei recettori D2 antagonizzati per molto tempo.
- Effetto antiemetico: bloccano i recettori D2 situati nel centro chemocettore del
vomito nel midollo allungato.
- Effetto antimuscarinico: clorpromazina, clozapina, olanzapina bloccano anche i
recettori muscarinici e danno secchezza delle fauci, ritenzione urinaria, stipsi,
offuscamento della visione, confusione, inibizione della muscolatura liscia.
- Altri effetti: mediano nella via tubero-ipofisaria un incremento di secrezione della
prolattina che viene normalmente inibita dai circuiti dopaminergici; poi si può avere
ipotensione ortostatica a seguito del blocco degli alfa1; possono provocare
poichilotermia (variazioni pressorie in base all’ambiente); sedazione con i farmaci che
bloccano il recettore H dell’istamina.
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Usi terapeutici
1. Schizofrenia: utilizzati principalmente gli atipici per cercare di diminuire anche i
sintomi negativi come la clozapina. In ogni caso non si riesce mai ad ottenere una
guarigione, ma si può solo controllare i sintomi
2. Sindromi schizoaffettive
3. Fase maniacale dei disturbi bipolari
4. Depressione psicotica
5. Psicosi senili
6. Disturbi psicotici indotti da alcol e psicostimolanti
7. Prevenzione della nausea e del vomito gravi: soprattutto proclorperazina per la
nausea forte indotta da farmaci. Per la nausea da movimento è più opportuno usare
sedativi o antistaminici.
8. Altri usi: usati come tranquillanti per il comportamento agitato e violento; usati per il
trattamento del dolore cronico associato ad ansia con gli analgesici stupefacenti; la
prometazina è usata per trattare il prurito grave in quanto antistaminico;
clorpromazina usata per il singhiozzo incoercibile e la pimozide per il trattamento dei
tic motori.
Farmacocinetica
Hanno una buona biodisponibilità orale con assorbimento variabile non influenzato dal cibo.
Entrano facilmente nell’encefalo e hanno la capacit{ di legarsi alle proteine plasmatiche. Sono
metabolizzati dal CYP2D6. Alcuni metaboliti sono attivi.
La flufenazina decanoato e l’aloperidolo decanoato hanno azione protratta fino a 3 settimane.
Nel 30% compaiono effetti indesiderati. Si sviluppa tolleranza ma raramente dipendenza.
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Effetti avversi
 Disturbi extrapiramidali:
o Distonie muscolari che prevedono sintomi motori come contrazioni dolorose e
involontarie dei muscoli del collo, della lingua e degli occhi mentre a livello
psichico creano paura, ansia e panico
o Parkinsonismo iatrogeno che prevede bradicinesia, tremori, rigidità, scialorrea e
a livello psichico apatia, indifferenza emozionale
o Acatisia che si manifesta con dondolamento continuo e accavallamento delle
gambe con effetti psichici di irrequietezza, tensione, disforia, confusione
o Discinesia tardiva che si manifesta con movimenti ritmici ripetitivi e involontari
di bocca, labbra, lingua e a livello psichico grave disagio soggettivo.
 Altri disturbi a carico del SNC: sonnolenza, depressione, crisi convulsive, mal di testa
 Aumento della prolattina: galattorrea, irregolarità mestruale, impotenza,
diminuzione della libido, osteoporosi
 Effetti anticolinergici: bocca secca, disturbi visivi, ritenzione urinaria e stipsi,
confusione mentale
 Effetti cardiovascolari: tachicardia, prolungamento del tratto QT, ipotensione
ortostatica
 Effetti ematologici: leucopenia, piastrinopenia
 Altri disturbi: aumento di peso, iperglicemia, iperlipidemie, alterazioni cutanee, ittero.
(Alterazioni soprattutto derivanti dai nuovi antipsicotici come la clozapina e
l’olanzepina).
La clozapina inoltre come conseguenza dell’interazione recettoriale multipla può dare effetti
antimuscarinici e antiadrenergici.
Il risperidone tra i nuovi tende a dare iperptolattinemia e disturbi extrapiramidali acuti.
 Teratogenesi: risultati confortanti per tutti i neurolettici
 Tossicità fetale: per i tradizionali si può avere ittero, sedazione, alterazioni retiniche e
sintomi extrapiramidali, sconsigliato l’allattamento al seno nel caso di politerapie o alte
dosi di un farmaco; per i nuovi si ha possibile sindrome del bambino floscio e crisi
convulsive (clozapina), sconsigliato l’allattamento al seno.
Esistono in alcuni casi particolari modalità di somministrazione (preparazioni dupot) a
rilascio molto prolungato ed effettuabili con alcuni antipsicotici come flufenazina e
aloperidolo esterificati con un acido e disciolti in soluzione oleosa. Vengono immessi in sede
intramuscolare (somministrazioni ogni 2-4 settimane) e quando le concentrazioni si
stabilizzano occorre rivedere il dosaggio e la frequenza delle somministrazioni. In tal modo è
possibile ritrovare ancora in circolo il farmaco dopo mesi dalla sospensione.
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ANALGESICI
ANALGESICI OPPIACEI E NON OPPIACEI
28. L’effetto analgesico degli oppiacei e dei FANS:
caratteristiche e meccanismi
Un farmaco analgesico ha la proprietà di diminuire o sopprimere il dolore
(indipendentemente dalla causa scatenante) senza alterare lo stato di coscienza.
Esistono 4 categorie di analgesici che hanno impieghi terapeutici differenti:
1. Oppiacei
2. Farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS)
3. Tramadolo
4. Paracetamolo
OPPIACEI
Si tratta di una classe di farmaci utizzati per diminuire o sopprimere il dolore soprattutto
cronico e intenso associato a sensazione spiacevole e ansia a seguito della percezione dello
stato patologico. In tal caso infatti gli oppiacei trovano un largo impiego per il dolore derivato
da malattie croniche come il cancro o patologie terminali. L’individuo mantiene la coscienza
dello stato patologico e della presenza del dolore ma la percezione soggettiva del dolore
stesso è fortemente ridotta così come l’ansia e le sensazioni emotive spiacevoli associate.
Queste sostanze si legano tutte a recettori del SNC e in parte anche periferico simulando
l’azione di peptidi endogeni che modulano la nocicezione:
- Endorfina: legame preferenziale ai recettori µ
- Encefalina: legame preferenziale ai recettori κ
- Dinorfina: legame preferenziale ai recettori δ
Infatti esistono 3 possibili recettori degli oppiacei che
sono responsabili di effetti parzialmente differenti.
Normalmente la nocicezione viene controllata da vie
inibitorie provenienti da neuroni situati nel talamo, nel
tronco encefalico e nel midollo spinale. Qui questi
neuroni liberano encefalina, dinorfina ed endorfina in
modo regolato da interneuroni inibitori GABA-ergici che
controllano negativamente questi neuroni antinocicettivi.
Gli oppiacei sembra che attraverso una preferenziale
azione sui recettori µ possano inibire questi interneuroni
inibitori in modo da favorire la liberazione di oppioidi
endogeni per lenire il dolore.
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Gli oppiacei si legano ai 3 tipi di recettori, alcuni in modo selettivo altri (maggioranza) a tutti e
3 ma con diverse affinit{. Si stima che la potenza terapeutica sia in relazione all’affinit{ µ.
Esistono diversi effetti in base alla stimolazione di recettori presenti su neuroni in sedi
differenti, abbiamo gran parte dei recettori degli oppiacei sul SNC (5 sedi) e altri sul SNP e
sulle cellule immunitarie. In più esistono dei recettori situati anche in altri apparati come il
sistema gastro-intestinale (azione sul sistema mienterico)
La distribuzione dei recettori prevede localizzazioni:
 Tronco dell’encefalo: responsabili degli effetti sulla respirazione, tosse, nausea, vomito,
pressione, pupilla e secrezioni gastriche
 Talamo mediano (ventro-caudale): dolore profondo e poco localizzato associato alla
percezione emotiva
 Midollo spinale: ricezione e integrazione delle informazioni sensoriali nocicettive
afferenti provocando attenuazione dell’informazione dolorifica
 Ipotalamo: secrezione neuroendocrina
 Sistema limbico: massima concentrazione a livello dell’amigdala, influenza del
comportamento emozionale.
 Periferia: fibre nervose sensoriali periferiche in cui viene bloccata la liberazione di
sostanze eccitatorie e pro-infiammatorie come la sostanza P (mediata dal calcio).
 Cellule immunitarie: ruolo indeterminato
 Plesso mienterico: modulazione dello stato di tonicità gastrointestinale.
Meccanismo d’azione
In generale il legame degli agonisti ai recettori innesca una risposta che determina l’inibizione
dell’adenilato ciclasi riducendo i valori del cAMP; in più il legame agisce a livello presinaptico
riducendo il flusso in ingresso del calcio responsabile della fusione delle vescicole di
neurotrasmettitore con la membrana presinaptica; infine sulla membrana postsinaptica il
legame crea una corrente in uscita del potassio che stabilisce un’iperpolarizzazione cellulare
che fa aumentare il potenziale soglia per la percezione dolorifica (si dice infatti che nei
pazienti trattati con oppiacei la soglia del dolore sia marcatamente più alta).
 Meccanismo d’azione sopraspinale:
o Interazione mediante recettori µ con il talamo ventrale caudale per inibizione
della trasmissione nocicettiva alla corteccia
o Meccanismo indiretto per cui vengono inibiti dei neuroni GABAergici inibitori
che permettono il funzionamento delle vie antinocicettive discendenti bulbospinali.
 Meccanismo d’azione spinale:
o Inibizione della liberazione di neurotrasmettitori eccitatori come la sostanza P
che esalta la percezione del dolore, è un’azione principalmente mediata dal
recettore κ.
o Inibizione della trasmissione nocicettiva nel tratto spinotalamico laterale
 Meccanismo d’azione periferico
o Diminuzione del firing di neuroni sensoriali principalmente per attività µ e in tal
modo questi neuroni sensoriali riducono la loro capacità di scarica.
Gli oppiacei pertanto sono molto efficaci nel trattamento di qualsiasi tipo di dolore
superficiale, profondo, somatico e viscerale soprattutto il dolore cronico e in misura minore
quello acuto che si esacerba in certi momenti. Il dolore nocicettivo con le vie integre viene
curato molto bene mentre quello neuropatico in cui sono compromesse le vie di segnalazione
risulta meno tamponabile.
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Molto utile nel dolore con componente emotiva forte e sconforto derivato dalla percezione del
dolore.
FANS
I farmaci antinfiammatori non steroidei sono una categoria di farmaci usati per trattare il
dolore principalmente associato a stati di infiammazione e danno tissutale. Il dolore
superficiale e momentaneo è trattato in misura più efficace che il dolore cronico, viscerale e
ischemico. Inoltre l’effetto non va incontro a tolleranza, ma l’efficacia del trattamento con
oppiacei è di gran lunga maggiore e con i FANS non è presente la risposta terapeutica emotiva
e psicologica al dolore.
Meccanismo d’azione
Questi farmaci agiscono bloccando in modo competitivo la ciclossigenasi (COX) responsabile
della produzione di prostaglandine e trombossani, mediatori efficienti dei processi
infiammatori; c’è l’unico caso dell’aspirina in cui il legame alla COX è irreversibile.
Esistono 2 tipi di COX:
- COX1: enzima fisso
- COX2: enzima inducibile
I FANS non selettivi inibiscono indistintamente i 2 enzimi, mentre i coxib inibiscono
selettivamente la COX2 che è l’enzima inducibile che facilita la risposta infiammatoria.
In questo modo si blocca la produzione di prostaglandine ma non di leucotrieni in quanto la
via lipossigenasica resta immodificata.
Gli effetti periferici dei FANS (che sono gli effetti principali) derivano da una minor
produzione di prostaglandine che sono mediatrici del dolore legandosi a specifici recettori e
scatenando una risposta nocicettiva, inoltre riducono i fenomeni infiammatori.
Gli effetti centrali si esplicano prevalentemente a livello ipotalamico.
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TRAMADOLO
Farmaco analogo sintetico della codeina ad azione analgesica centrale per azione sui recettori
µ e dotato di attività parziale di inibitore della ricaptazione della noradrenalina e serotonina.
Viene usato per controllare il dolore da moderato a intenso.
Viene metabolizzato dal CYP2D6 e questo giustifica un suo aumentato metabolismo a seguito
della somministrazione insieme a carbamazepina.
Sono state segnalate reazioni anafilattoidi. Deve essere evitato nei pazienti che fanno uso di
inibitori della MAO. Può dare nausea e vertigini come effetti
collaterali.
PARACETAMOLO
Farmaco ad azione anticiclossigenasica spiccata centrale e
inibitore lieve e non selettivo della COX a livello periferico. È
molto utile come antipiretico e come analgesico (al pari dei FANS)
per le forme di dolore non correlate a infiammazione. Tuttavia
tutte le azioni anti-prostaglandine che svolgono i FANS nel
prevenire e controllare le reazioni infiammatorie sono assenti col
paracetamolo (e chiaramente anche gli altri effetti mediati da
prodotti della ciclossigenasi come inibizione dell’aggregazione
piastrinica, erosione gastrica, diminuita clearance del sodio e
dell’acqua sono assenti).
Viene impiegato per il trattamento della febbre e del dolore lieve o
moderato non infiammatorio.
Farmacocinetica: buona disponibilità orale e clearance per il 95% epatica.
Tossicità: estremamente improbabile a dosi terapeutiche, a dosi più alte causa epatotossicità
o in pazienti a rischio.
Oggi sono disponibili diversi composti accoppiati ad azione antidolorifica:
- Paracetamolo + Codeina (Co-efferalgan)
- Paracetamolo + Oxicodone (Depalgos)
- Tramadolo (Adamon, Tradonal)
- Tramadolo + Paracetamolo (Kolibri, Patron)
- Paracetamolo (Tachipirina, Efferalgan, Acetamol)
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29. Oppiacei e loro antagonisti: classificazione, effetti
farmacologici e tossici, impieghi terapeutici e
controindicazioni
Gli oppiacei si possono suddividere in:
- Agonisti: morfina, idromorfone, destrometorfano, fentanile, loperamide, metadone
- Agonisti parziali: codeina, oxicodone, buprenorfina, pentazocina
- Antagonisti: naloxone, naltrexone
L’eroina è uno stupefacente ottenuto direttamente dalla morfina con la propriet{ di essere più
liposolubile e quindi penetrare maggiormente a livello del SNC.
Il destrometorfano e la loperamide hanno perso la loro potenzialità analgesica e stupefacente
e vengono usati rispettivamente come antitussigeno e antidiarroico.
AGONISTI
MORFINA
Azioni:
1. Effetto analgesico: in presenza di dolore la morfina riesce ad attenuarlo e a farlo
scomparire elevando la soglia del dolore ma anche riducendo la capacità di
interpretazione a livello corticale del dolore. Il paziente avrà la coscienza del dolore ma
la sensazione non sarà spiacevole. In assenza di dolore la morfina causa effetti avversi
come nausea e vomito, si dice infatti che il dolore è il principale tampone degli effetti
avversi della morfina.
2. Effetti psicologici: la morfina provoca una serie di sensazioni confuse, irreali e
distaccate dalla realtà. Queste sensazioni risultano piacevoli in presenza di dolore o nel
paziente assuefatto che abusa del farmaco in modo cronico, tuttavia nel paziente non
abituato e senza dolore il farmaco crea ansia e agitazione.
Nel paziente in cui la morfina dà effetti piacevoli la sensazione è orgasmo-simile a cui
segue un periodo di tranquillità di circa 1 ora). Se le dosi diventano importanti si
verifica riduzione dell’attivit{ fisica, sonnolenza fino a perdita della coscienza. Si ha
anche perdita della fame e diminuzione della sete, riduzione della libido.
I meccanismi di questi effetti sembrano dovuti ad un’interazione con i recettori µ
presenti nell’area tegmentale ventrale del talamo che proietta all’accumbens ed è
responsabile di sensazioni piacevoli. Si tratta di una via mesolimbica stimolata anche
da normali situazioni gratificanti e non solo farmacologiche.
3. Effetti respiratori:
a. La morfina agisce deprimendo tutte le fasi della respirazione, il paziente può
arrivare a fare fino a 3-4 atti respiratori al minuto. Questo aspetto si verifica a
dosi terapeutiche e cresce d’intensit{ con l’aumentare delle dosi fino ad arrivare
ad una paralisi respiratoria che è la causa più frequente di morte da
sovradosaggio di oppiacei. Il meccanismo sembra legato ad una riduzione della
sensibilità dei centri respiratori alla CO2. Esiste anche una depressione dei
centri pneumotassico e apneustico.
b. La morfina inibisce il riflesso della tosse mediante un effetto centrale ma anche
periferico e sembra che i recettori coinvolti siano diversi da quelli analgesici.
c. La morfina causa broncocostrizione a dosi elevate a seguito della liberazione di
istamina.
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4. Effetti cardiovascolari: a basse dosi la morfina non determina variazioni della
frequenza o della pressione, tuttavia con l’incremento della dose può dare bradicardia
e depressione dei riflessi barocettivi con conseguente ipotensione ortostatica e
vasodilatazione. Questo effetto si ripercuote sui vasi cerebrali che stimolati anche
dall’aumento di pCO2 si dilatano maggiormente provocando un aumento della
pressione liquorale e quindi non va usata per i pazienti con danni cerebrali gravi.
I meccanismi di queste azioni sembrano derivare da una liberazione di istamina
(responsabile della vasodilatazione), una depressione dei centri vasomotori e
l’ipercapnia.
5. Effetti gastrointestinali: in questo caso la morfina sembra agire in modo simile ad un
parasimpaticolitico e infatti si ha una riduzione delle secrezioni gastriche, intestinali,
pancreatiche e biliari; un aumento del tono muscolare e delle contrazioni non
propulsive (responsabili di crampi addominali); riduzione della motilità propulsiva
(stipsi) e nausea e vomito.
I meccanismi sono un aumento del tono e una riduzione della peristalsi per stimolo dei
recettori degli oppiacei a livello del sistema mienterico e sottomucoso, nei miociti lisci
e in parte anche per un’azione a livello centrale. La nausea e il vomito vengono
scatenati per attivazione della CTZ a livello bulbare e aumento di sensibilità
vestibolare.
6. Altri effetti:
a. Riduzione del tono uterino: può interferire col parto e lo prolunga
b. Riduzione della diuresi: per diminuzione del flusso ematico renale
c. Inibizione del riflesso della minzione
d. Peicilotermia
e. Effetti eccitatori sulla muscolatura toracica
f. Liberazione di istamina: responsabile di rossore, prurito, sudorazione,
vasodilatazione e broncocostrizione (da evitare negli asmatici)
g. Miosi: si verifica la cosiddetta pupilla a capocchia di spillo per la riduzione
marcata del diametro pupillare a seguito dello stimolo del nucleo di EdingerWestphal dell’oculomotore con recettori µ e κ. La miosi non va incontro a
tolleranza per cui i pazienti che abusano cronicamente di morfina hanno tutti
questa tipica conformazione pupillare.
h. Azioni ormonali: inibizione della liberazione di GnRH, CRH; riduzione della
liberazione di LH e FSH, ACTH e beta-endorfina. Calano i livelli di cortisolo e
testosterone mentre aumentano i livelli di prolattina per inibizione
dopaminergica. Viene incrementata la liberazione di ADH che causa una
ritenzione di sodio e di acqua.
Usi terapeutici:
 Analgesico: riesce a controllare il dolore non controllato dai FANS, tipicamente il dolore
cronico (da neoplasia, da malattia terminale o da malattia cronica invalidante), il
dolore viscerale ed ischemico (IMA, embolia, coliche renali e addominali, traumi,
ustioni, interventi chirurgici e parto)
 Antidiarroico (anche se oggi è più spesso usata la loperamide)
 Antitussigeno (oggi si preferisce il destrometorfano)
 Trattamento dell’edema polmonare: grazie alla marcata vasodilatazione che riduce il
precarico ed il postcarico e viene ridotta marcatamente la dispnea associata a
insufficienza ventricolare sx.
Farmacocinetica: si tratta di un farmaco con una biodisponibilità orale scarsa (20-30%),
mentre è molto buono l’assorbimento intramuscolare. In linea di massima si tende ad
assumere la morfina per via endovenosa o sottocutanea, oggi sono state messe a disposizione
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
delle pompe a rilascio graduato. Non passa la barriera EE e di conseguenza gli effetti
euforizzanti sono marcatamente ridotti rispetto all’eroina che è molto più liposolubile.
Avviene il passaggio nel filtro placentare e non deve essere usata nel parto.
Viene biotrasformata nel fegato e nella parete intestinale pertanto si ha una perdita di
efficacia per intenso metabolismo di primo passaggio x via orale. Dopo biotrasformazione uno
dei due metaboliti conserva efficacia terapeutica. Viene eliminato per via renale dopo
coniugazione ad acido glucuronico mentre una piccola parte viene eliminata come tale.
In caso di assunzione massiva del farmaco l’eliminazione si effettua anche attraverso sudore,
saliva e succo gastrico.
Effetti avversi:
 SNC: sonnolenza, confusione, disforia (in assenza di dolore), vertigini, iperalgesia (una
volta passato l’effetto analgesico), rischio di dipendenza fisica e psichica. Tutti gli effetti
della morfina sono sottoposti a tolleranza tranne la miosi e la stipsi.
 Respiratorio: depressione di tutte le fasi respiratorie e broncocostrizione e dispnea a
dosi alte.
 Cardiocircolatorio: ipotensione ortostatica
 Gastrointestinale e urinario: nausea, vomito, stipsi, crampi addominali (per aumento
delle contrazioni non propulsive a differenza dei parasimpaticolitici), spasmo dello
sfintere di Oddi che genera colica biliare, ritenzione urinaria, tenesmo.
 Orticaria, prurito e reazioni anafilattoidi a seguito della liberazione di istamina
Interazioni farmacologiche: gli inibitori delle MAO, gli antidepressivi triciclici e le
fenotiazine amplificano l’effetto depressivo della morfina e stranamente anche basse dosi di
amfetamina.
MEPERIDINA
Oppiaceo derivato dalla morfina con azioni e meccanismo d’azione sovrapponibile a quello
della morfina, tuttavia ha buona biodisponibilità orale e non presenta azioni cardiologiche
quando dato per via orale, tuttavia di solito si somministra per via intramuscolare.
Si usa per il dolore in modo uguale alla morfina, ma non ha proprietà antitussigene e
antidiarroiche, però è uno degli analgesici maggiormente usato in ostetricia. Si differenzia
dagli oppiacei perché ad alte dosi dilata la pupilla e provoca iperreflessia.
METADONE
Farmaco che a dosi equianalgesiche della morfina differisce da questa per una biodisponibilità
orale elevate e un’emivita molto più lunga. La durata dell’effetto è maggiore. Somministrato in
cronico causa un allungamento dell’emivita del composto. L’effetto istamino-liberatore è
trascurabile. È utilizzato nella sospensione controllata della tossicodipendenza da eroina e
morfina e sostituisce gli oppiacei iniettivi. Questo perché il metadone causa una sindrome
d’astinenza molto più lieve che l’eroina, ma di lunga durata. In tal modo il paziente viene
progressivamente svezzato dal metadone arrivando a sospendere anche quest’ultimo.
Determina un graduale accumulo nei tessuti che permette una minor drasticità nella
diminuzione delle concentrazioni dopo sospensione.
FENTANILE
A dosi equianalgesiche si differenzia dalla morfina perché è un farmaco liposolubile che passa
molto bene la barriera EE. Non possiede l’effetto istamino-liberatore, tuttavia si apprezza una
maggior incidenza di contrazioni dei muscoli del tronco che rendono conto di una rigidità
muscolare sconveniente in sala operatoria e interferenza con la respirazione. Viene utilizzato
in anestesia post-operatoria e durante il parto.
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La somministrazione avviene per via endovenosa, epidurale o intratecale oppure transmucosa
a rilascio graduato nei pazienti oncologici con dolore intenso.
AGONISTI PARZIALI
CODEINA
È un farmaco molto meno potente della morfina e induce anche meno reazioni di dipendenza.
Si usa per le proprietà antitussigene che oggi sono state sostituite dal destrometorfano. È
efficace per via orale e provoca meno euforia della morfina.
Spesso viene usata insieme al paracetamolo e all’aspirina come azione analgesica più potente.
OSSICODONE
Farmaco simile alla codeina con effetti di agonismo parziale per i recettori µ. Ha un’azione
analgesica di solito associato a paracetamolo e aspirina. Usato per trattare il dolore da
moderato a grave.
BUPRENORFINA
Agonista parziale per i recettori µ e lieve antagonista nei confronti dei recettori κ. Il legame
con i recettori µ è estremamente forte e non può essere spiazzato dal naloxone a differenza
della morfina (il legame con i recettori può solo essere prevenuto e non antagonizzato).
C’è un rischio di tossicodipendenza anche se minore che la morfina.
In pazienti non morfino dipendenti ha le stesse azioni della morfina, ma nei pazienti morfinodipendenti può scatenare una sindrome d’astinenza. Questa sindrome viene utilizzata per la
disintossicazione da abuso di oppiacei con risultati anche più soddisfacenti del metadone in
quanto ha sindrome d’astinenza meno intensa e meno duratura.
È autorizzata per il trattamento ambulatoriale a differenza del metadone che invece è
presente solo in centri specializzati.
Viene somministrata per via sublinguale o parenterale, ha lunga durata d’azione per il forte
legame con i recettori. Metabolizzata dal fegato.
Gli effetti avversi di depressione respiratoria non possono essere contrastati dal naloxone.
PENTAZOCINA
È un agonista parziale a livello dei recettori µ e un agonista completo per i recettori κ.
Trova uno scarso utilizzo a causa dell’effetto maggiore costipante ed emetico rispetto alla
morfina e in più si verifica anche disforia mediata dal recettore κ.
A dosi elevate si verificano effetti cardiocircolatori come ipertensione ed effetti
psicotomimetici (allucinazioni). Dà tossicodipendenza.
In un soggetto morfino-dipendente può contribuire alla disintossicazione.
Può essere data sia per via orale che parenterale.
ANTAGONISTI
NALOXONE
Si tratta di un farmaco che ha elevata affinità per tutti e 3 i recettori degli oppiacei ed
antagonizza l’agonista spiazzando in poco tempo (circa 30 secondi) tutti i siti recettoriali
occupati dagli oppiacei. Non ha alcun effetto nei pazienti che non usano oppiacei.
È in grado di indurre una grave sindrome d’astinenza.
Viene usato principalmente nella cura del coma respiratorio a seguito di intossicazione da
oppiacei. Questo farmaco è in grado di sostituire l’eroina in pochi secondi e far riprendere la
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respirazione e la coscienza al soggetto, che però si trova in uno stato di gravissima astinenza
in quanto tutti i recettori sono spiazzati dall’agonista. È stato tentato un uso negli alcolisti
cronici per ridurre la dipendenza. Impiego essenziale nel neonato con crisi respiratoria da
assunzione materna di oppiacei.
La biodisponibilit{ orale è quasi inesistente, possiede una breve durata d’azione.
NALTREXONE
Composto simile al naloxone con una disponibilità orale marcatamente più alta ed una lunga
durata d’azione. È usato insieme a clonidina e talora a buprenorfina per la disintossicazione
rapida dagli oppiacei. È epatotossico.
Controindicazioni generali agli oppiacei:
- Ridotta capacità respiratoria
- Stati di elevata pressione liquorale (a causa dell’ipercapnia e vasodilatazione)
- Stati di ipovolemia e ipotensione
- Ipertrofia prostatica
- RCU, morbo di Crohn, costipazione, patologia biliare perché si ha una stipsi ed una
riduzione della motilità
- Ipotiroidismo e insufficienza surrenalica
- Insufficienza epatica o renale grave
- Terapia con sedativo-ipnotici, neurolettici e antidepressivi triciclici.
Farmaco
Agonisti
Morfina
Idromorfone
Fentanile
Metadone
Agonisti parziali
Oxicodone
Buprenorfina
Pentazocina
(+) = agonista; (±) =agonista parziale; (-)= antagonista
mu
kappa
+++
+++
+++
+++
+
±
±
±
Tali farmaci non hanno azione
su kappa
+
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FARMACI IMPIEGATI PRINCIPALMENTE
NELL’IPERTENSIONE E
NELL’INSUFFICIENZA CARDIACA
CONGESTIZIA
DIURETICI
31. Farmaci diuretici: classificazione, azioni, effetti
indesiderati e impieghi terapeutici
I diuretici sono farmaci ampiamente utilizzati nei disturbi cardiovascolari e ricoprono un
ruolo primario nel trattamento dell’ipertensione e dell’insufficienza cardiaca congestizia.
Sono suddivisibili in varie classi in base al loro meccanismo d’azione che si esplica a livello del
tubulo renale determinando una riduzione del riassorbimento ed un incremento
dell’eliminazione di elettroliti ed acqua.
 Diuretici tiazidici
o
o

o Clorotiazide
o Metolazone
Diuretici dell’ansa
o
o

SPIRONOLATTONE
AMILORIDE
o Triamterene
Inibitori dell’anidrasi carbonica
o

FUROSEMIDE
TORSEMIDE
o Bumetanide
Diuretici risparmiatori di potassio
o
o

IDROCLOROTIAZIDE
CLORTALIDIONE
ACETAZOLAMIDE
Diuretici osmotici
o Mannitolo
o Urea
TIAZIDICI
Si tratta della classe di diuretici più utilizzata in clinica anche se non ha una potenza
terapeutica come quella dei diuretici dell’ansa.
Meccanismo d’azione: i tiazidici vanno ad inibire il riassorbimento di Na nel tubulo distale,
bloccando il trasportatore Na/Cl.
Azione: aumento dell’escrezione urinaria di Na che non viene riassorbito, circa il 5% del sodio
filtrato viene in tal modo eliminato. Questo permette di aumentare il volume di urina,
aumentare l’espulsione di sodio e di potassio, ma ha effetti inversi sul calcio che a differenza
degli altri elettroliti viene risparmiato e riassorbito.
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I diuretici tiazidici in complesso permettono una diminuzione
del volume circolante efficace che si ripercuote sul volume
telediastolico e contribuisce ad una riduzione della gittata
cardiaca; in più a lungo termine sembrano avere anche
un’azione di vasodilatazione periferica migliorando
ulteriormente l’ipertensione.
Usi terapeutici:
1. Ipertensione: il loro utilizzo è in genere un trattamento
di prima linea per i pazienti ipertesi di grado lievemoderato. Sono molto efficaci nel ridurre la pressione
diastolica e sistolica per lunghi periodi di tempo. Dopo
3-7 giorni la pressione sanguigna si stabilizza ad un livello più basso e può essere
mantenuta tale in modo continuativo somministrando giornalmente il farmaco che
cronicamente tende ad abbassare le RVP piuttosto che
incrementare l’effetto diuretico. Molti pazienti possono
essere trattati per anni con un tiazidico senza necessità di
ricorrere ad un altro trattamento aggiuntivo. In alcuni
casi però diventa necessario l’uso di β-bloccanti.
2. Insufficienza cardiaca congestizia: possono essere i
diuretici di scelta nel trattamento dell’ICC lieve o media
che permettono una riduzione del volume ematico
circolante in modo da favorire una riduzione sia del precarico che del post-carico agendo quindi sulla gittata
cardiaca che viene ridotta e in questo modo risparmia il
miocardio da un lavoro eccessivo.
3. Ipercalciuria: vengono usati i tiazidici in quanto hanno la
caratteristica di essere risparmiatori di calcio che viene
riassorbito. Sono utili nei pazienti con calcoli di ossalato
di calcio visto che il riassorbimento di calcio evita la precipitazione nelle vie escretrici
di aggregati salini.
4. Diabete insipido: paradossalmente nei pazienti con diabete insipido nefrogenico che
quindi hanno adeguati valori di ADH ma non c’è un’interazione recettoriale efficiente a
livello renale, si ha un aumento di osmolarità urinaria. Si è visto che con questi farmaci
si ottiene una riduzione del volume urinario da 10 L al giorno a 3 L.
Farmacocinetica: hanno una buona biodisponibilità orale. Interagiscono tutti con il sistema
nefrogenico di trasporto degli acidi organici e per tale motivo un trattamento cronico può
portare a modificazioni del pH urinario e iperuricemia.
Effetti avversi: gli effetti collaterali vengono suddivisi in 2 classi:
- Tipo A: prevedibili in base all’attivit{ del farmaco
- Tipo B: non prevedibili perché dipendono dalle variabili fisiologiche dell’individuo.
Gli effetti avversi dei tiazidici sono:
 Ipokaliemia
 Iperuricemia
 Variazioni del pH urinario
 Ipercalcemia
 Iponatriemia
 Ipotensione
 Iperglicemia e ipomagnesiemia in una piccola parte di casi.
Si stima che il 70% dei pazienti che assumono tiazidici vadano incontro a iperuricemia e
ipokaliemia.
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DIURETICI DELL’ANSA
Si tratta di una classe di farmaci meno utilizzati dei tiazidici ma con una efficacia molto più
elevata.
Meccanismo d’azione: bloccano il trasportatore Na/K/2Cl a livello del tratto ascendente
dell’ansa di Henle che è responsabile di un grande riassorbimento complessivo di sodio.
Azioni: il risultato è un’escrezione del 15-20% del sodio filtrato e di conseguenza una marcata
deplezione di acqua e un aumento del volume urinario. Inoltre
determinano anche una consistente eliminazione di potassio e
anche di calcio. Per questo motivo è efficace nel ridurre il volume
ematico e curare sia l’ipertensione che l’ICC.
Essi provocano una diminuzione della resistenza vascolare renale
e un aumento del flusso sanguigno renale.
Essi agiscono prontamente anche nei pazienti che hanno una
funzione renale scarsa e che quindi non possono essere trattati
con i tiazidici che avrebbero scarsi effetti terapeutici.
Usi terapeutici:
1. Edema polmonare acuto: è il farmaco di prima linea in quanto permette
un’eliminazione consistente dei liquidi extracellulari.
2. Insufficienza cardiaca congestizia: di grado medio-grave e associata spesso all’edema
polmonare acuto.
3. Ipercalcemia: utilizzati anche in questo contesto vista la grande capacità di eliminare
calcio a differenza dei tiazidici che sono risparmiatori di calcio.
4. Ipertensione: vengono usati nell’ipertensione solo come seconda scelta nel caso di
pazienti con insufficienza renale o pazienti che non rispondono ad altri tipi di diuretici.
Effetti avversi:
 Ototossicità
 Iperuricemia
 Ipotensione
 Ipomagnesemia
 Ipokaliemia
DIURETICI RISPARMIATORI DI POTASSIO
Si tratta di farmaci utilizzati principalmente
nell’ipertensione.
Meccanismo d’azione: blocco dei canali del sodio nel tubulo
collettore e inibizione della secrezione di H+ e K+ (es
amiloride e triamterene), oppure antagonismo selettivo per i
recettore dell’aldosterone nel tubulo collettore.
Azioni: il blocco del riassorbimento di sodio provoca un
aumento dell’escrezione urinaria dell’elettrolita e
l’antagonismo con l’aldosterone innesca un’inibizione della
secrezione di potassio e dell’eliminazione di sodio. L’aldosterone infatti normalmente provoca
ritenzione di sodio e di acqua ed eliminazione di potassio.
Usi terapeutici:
1. Ipertensione: farmaco particolarmente usato in pazienti ipertesi che assumono
contemporaneamente anche diuretici tiazidici che riducono la concentrazione di
potassio plasmatica. Di solito viene utilizzato nei casi in cui c’è un eccesso di
aldosterone.
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2. Insufficienza cardiaca congestizia: in questi casi lo spironolattone ha un’efficacia nel
ridurre la gittata cardiaca e legandosi ai recettori miocardici impedisce il
rimodellamento cardiaco tipico dell’insufficienza antagonizzando l’aldosterone.
Si è visto inoltre che c’è una riduzione della mortalit{, a scapito però di una crescente
iperkaliemia. In ogni caso bisogna considerare che l’iperkaliemia non determina una
controindicazione in quanto il paziente di solito assume anche un tiazidico
ipokaliemico, le dosi di spironolattone sono basse e i soggetti con insufficienza renale
vengono risparmiati.
Effetti avversi: è importante quando si inizia la terapia con spironolattone tenere monitorata
la kaliemia e interrompere l’assunzione esogena di potassio per evitare il possibile effetto
indesiderato di iperkaliemia che può provocare arresto cardiaco. Si possono avere anche
disturbi gastrici, letargia e confusione ed alterazioni endocrine come ginecomastia e riduzione
della libido.
DIURETICI OSMOTICI
Sono semplici sostanze come mannitolo e urea che hanno un potenziale alto di legare l’acqua
(idrofile) e quindi vengono filtrate dal glomerulo ed entrano nel tubulo permettendo una
ampia escrezione di acqua piuttosto che di Na.
Infatti queste sostanze non sono utili nei casi di ritenzione di sodio.
Il loro impiego è riservato al mantenimento del flusso urinario a seguito dell’ingestione di
sostanze tossiche o sostanze che possono provocare insufficienza renale acuta.
In più vengono usati anche nei pazienti con aumento della pressione intracranica (edema
cerebrale).
Il mantenimento del flusso renale preserva la funzionalità del rene per lungo tempo e può
salvare il paziente dalla dialisi.
Gli effetti avversi prevedono l’aumento dell’acqua extracellulare che esce per compenso dai
comparti intracellulari, l’ipernatriemia e la disidratazione.
INIBITORI DELL’ANIDRASI CARBONICA
Questo tipo di diuretici agisce immediatamente dopo la formazione del filtrato glomerulare e
quindi a livello del tubulo prossimale.
Meccanismo d’azione: viene inibita l’anidrasi carbonica che
porta alla formazione di acido carbonico debole da anidride
carbonica e acqua. In tal modo viene bloccato il passaggio di
sodio dal lume tubulare alla cellula insieme al passaggio inverso
del protone verso il lume. In questo modo si ha perdita di sodio e
ritenzione di protoni.
Azioni: aumento della secrezione di
sodio, di potassio e di bicarbonato (che
non trova H+ nel lume con cui legarsi e formare acido carbonico
retrodiffusibile) oltre ad un aumento del volume delle urine.
Usi terapeutici: può essere usato in alcuni casi per trattare
l’ipertensione
Effetti avversi:
 Acidosi metabolica
 Perdita di potassio
 Formazione di calcoli renali
 Sonnolenza e parestesie
 Calo dell’escrezione di NH4+ nei pazienti con cirrosi epatica e
pertanto in queste condizioni è assolutamente da evitare.
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ACE INIBITORI E ANTAGONISTI DELL’ANGIOTENSINA II
32. Farmaci del sistema renina-angiotensina: classificazione,
azioni, effetti indesiderati, controindicazioni e impieghi
terapeutici
Il sistema renina angiotensina aldosterone (RAA) è un fondamentale meccanismo omeostatico
di regolazione della pressione arteriosa, del volume circolante e della gittata cardiaca. Viene
attivato in modo massiccio durante l’insufficienza cardiaca attraverso 2 modalit{:
- La riduzione della gittata sistolica causa una scarsa perfusione renale e di conseguenza
il rene percepisce l’abbassamento di pressione tramite i suoi barocettori e libera
renina.
- L’insufficienza cardiaca determina un’iperattivazione simpatica che stimola la
liberazione di renina da parte del rene.
La renina viene utilizzata per convertire l’angiotensinogeno epatico in angiotensina I, la quale
viene sottoposta all’azione dell’enzima ACE presente sugli endoteli che crea l’angiotensina II.
Quest’ultima è il più potente vasocostrittore circolante ed ha diverse azioni:
- Vasocostrizione e aumento delle RVP, anche dell’arteria renale
- Aumento del riassorbimento di sodio nel tubulo distale renale
- Aumento della liberazione di aldosterone
- Aumento della liberazione di ADH
- Stimolo al rimodellamento miocardico
L’aldosterone a sua volta prodotto a seguito dell’angiotensina II e dell’iperkaliemia determina
un aumento di riassorbimento tubulare di acqua e Na e aumento di escrezione di K.
Nel complesso il sistema RAA svolge un ruolo ipertensivo sia per incremento delle RVP sia per
aumento della gittata cardiaca a seguito della ritenzione idrosalina.
I farmaci attivi sul sistema renina-angiotensina-aldosterone sono:
1. ACE-inibitori
2. β bloccanti
3. Inibitori del recettore dell’angiotensina (Sartani)
4. Inibitori diretti della renina
ACE INIBITORI
Si tratta di una categoria farmacologica molto utilizzata in clinica a causa dei suoi molteplici
effetti sul sistema cardiovascolare.
Sono compresi farmaci più antichi e altri più recenti:
- CAPTOPRIL (capostipite)
- ENALAPRIL
- RAMIPRIL
- LISINOPRIL
Meccanismo d’azione: questi farmaci hanno la capacit{ di inibire l’enzima ACE e di
conseguenza non permettono la conversione di Ang I in Ang II e quindi risparmiano al sistema
tutti gli effetti vasocostrittori e cardiocinetici dell’angiotensina. Tuttavia il sistema ACE è
utilizzato anche per metabolizzare la bradichinina e la sostanza P, che con gli ACE inibitori
invece vengono risparmiate e si accumulano nell’organismo e sono responsabili di alcuni
effetti collaterali.
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Azioni: sono in grado di diminuire la pressione arteriosa grazie alla riduzione delle RVP senza
un aumento della GC grazie alla consistente natriuresi per inibizione della secrezione di
aldosterone. Tuttavia quest’effetto di mantenimento della GC in realt{ si manifesta come un
aumento di eiezione sistolica visto che la vasodilatazione provoca una diminuzione del
postcarico e la natriuresi una riduzione del precarico e così viene facilitato il lavoro del cuore.
In più consentono una vasodilatazione renale che favorisce ulteriormente una filtrazione e
un’eliminazione dei liquidi.
Si ha anche una ridotta eliminazione della bradichinina.
La vasodilatazione viene permessa dall’interazione delle due funzioni:
- Inibizione dell’angiotensina II
- Aumento della bradichinina
Usi terapeutici:
1. Insufficienza cardiaca congestizia: viene considerato un impiego fondamentale vista la
capacit{ dei farmaci di aumentare l’eiezione cardiaca non a spese di un maggior lavoro
cardiaco. Risulta molto utile nei pazienti con insufficienza ventricolare sinistra e
frazione di eiezione sotto al 35%, più è bassa la FE e maggiore sar{ l’efficacia. In genere
viene indicata una monoterapia con ACE-I quando il paziente è asintomatico o
presenta dispnea lieve indotta dall’insufficienza cardiaca ma senza segni di eccessivo
sovraccarico di volume (edema polmonare acuto).
Anche nel post-infarto l’ACE-I è risultato un farmaco estremamente utile e se iniziato
subito dopo l’attacco sembra ridurre decisamente la mortalità e il rischio di aritmie
fatali (spt enalapril).
Pertanto oggi viene iniziata la terapia con ACE-I subito dopo l’episodio infartuale e si
interrompe dopo 6 settimane se la funzione ventricolare si ristabilisce. Alcuni
sostengono che non sia il caso di trattare con ACE-I pazienti con insufficienza
ventricolare e pressione sistolica sotto i 100 mmHg a causa dell’ipotensione. In ogni
caso si è visto che l’efficacia massima farmacoligica si raggiunge 24 ore dopo la
somministrazione e quindi è necessario iniziare subito.
Il paziente che non ha insufficienza ventricolare non trova giovamento dal trattamento.
2. Ipertensione: attraverso la riduzione delle RVP e il mantenimento di una costante GC si
instaura una progressiva riduzione della pressione arteriosa. Il farmaco viene
utilizzato in monoterapia solo in alcuni casi soprattutto nei giovani, mentre più spesso
è associato ad un diuretico o ad un β bloccante. In genere l’associazione principale e
più efficace è quella con il diuretico in quanto l’ACE-I è un iperkaliemizzante mentre il
diuretico è un ipokaliemizzante e la situazione del potassio viene bilanciata.
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3. Profilassi dell’insufficienza coronarica: per ridurre il rischio di re-infarto e di morte
cardiaca grazie all’attivit{ stimolante l’eiezione sistolica senza sovraccaricare di lavoro
il miocardio e risparmiando quindi le coronarie.
4. Nefropatia diabetica: il paziente iperteso e diabetico sembra avere un notevole
vantaggio sull’utilizzo di ACE-I in quanto questi prevengono l’albuminuria e
l’avanzamento della nefropatia (in quanto viene promossa la vasodilatazione renale e
quindi anche del glomerulo ritardando la deposizione di materiale che altera la
struttura del glomerulo e lascia passare proteine). Se il paziente è normoteso l’ACE-I è
risultato efficace in presenza di microalbuminuria.
5. Nefropatia non diabetica: si è visto che anche nel paziente normoteso il farmaco
rallenta l’ingresso in dialisi del paziente
Farmacocinetica: tutti gli ACE-I hanno una buona biodisponibilità orale ma possono avere
interazioni con il cibo e quindi è necessario che vengano assunti a stomaco vuoto. Tranne il
captopril sono tutti profarmaci che vengono attivati a metaboliti dal fegato. L’emivita è
variabile e va da 2 a 12 ore ma la durata d’azione si prolunga oltre questo periodo perché
l’inibizione dell’ACE è duratura. Il captopril ha durata d’azione piuttosto breve (4-6 ore)
mentre i farmaci più nuovi come il ramipril e il fosinopril richiedono solo una
somministrazione giornaliera avendo durata d’azione di 24 ore.
Effetti avversi:
 Tosse secca e stizzosa: conseguenza associata alla riduzione del metabolismo della
bradichinina che si accumula nell’albero respiratorio
 Iperkaliemia: importante monitorare il potassio e non somministrare farmaci come lo
spironolattone che è un risparmiatore di potassio. In pazienti iperkaliemici è meglio
non utilizzare questo farmaco
 Ipotensione posturale
 Febbre: sembra sempre coinvolta la bradichinina
 Reazioni cutanee: sempre per bradichinina
 Angioedema: si tratta di una reazione rara che però può mettere a repentaglio la vita
 Tossicità fetale: assolutamente controindicati in gravidanza
 Sincope da prima dose: per questo la prima dose del farmaco in genere viene
somministrata in regime ambulatoriale per tenere controllate le possibili reazioni
avverse
 Insufficienza renale acuta reversibile in pazienti con stenosi dell’arteria renale: in
questi pazienti l’angiotensina II è fondamentale perché mantiene una certa pressione
di perfusione del rene a seguito della riduzione del flusso. Se inibisco l’angiotensina
provoco una grave riduzione dell’afflusso ematico renale e quindi una insufficienza
renale (pre-renale) acuta.
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INIBITORI DEL RECETTORE DELL’ANGIOTENSINA (SARTANI)
Si tratta di un gruppo di farmaci di cui il principale è il LOSARTAN e vengono impiegati per
curare l’ipertensione e l’insufficienza cardiaca in certe situazioni.
Meccanismo d’azione: essi vanno a
bloccare selettivamente il recettore
dell’angiotensina II di tipo 1 (AT1-R)
causando un’inibizione più completa
degli effetti dell’angiotensina
rispetto agli ACE-I. Inoltre rispetto a
questi hanno la capacità di lasciare
integro il sistema di degradazione
della bradichinina (perché l’ACE
funziona) e di conseguenza si
avranno anche minori effetti
collaterali.
Azioni: riduzione della pressione
sanguigna per inibizione dell’angiotensina e di conseguenza riduzione del lavoro cardiaco con
leggero incremento dell’eiezione sistolica.
Usi terapeutici:
1. Ipertensione: sono ampiamente utilizzati per i pazienti ipertesi qualora questi non
sopportino i sintomi collaterali degli ACE-I (tosse secca prolungata) e possiedono la
stessa efficacia.
2. Insufficienza cardiaca congestizia: vengono utilizzati soltanto nei casi in cui i pazienti
non sopportino gli ACE-I.
Farmacocinetica: hanno una buona biodisponibilità orale e richiedono una sola
somministrazione al giorno. Vengono metabolizzati dal fegato a metaboliti inattivi tranne il
losartan che subisce un ampio metabolismo di primo passaggio e viene convertito in un
metabolita attivo. L’eliminazione è attraverso le urine e le feci. Si legano tutti alle proteine
plasmatiche.
Tutti eccetto il candesartan hanno elevati volumi di distribuzione.
Effetti avversi: sono più o meno tutti gli effetti collaterali presentati con gli ACE-I,
generalmente la tosse secca, l’angioedema e le reazioni cutanee dovrebbero essere meno
frequenti vista l’assenza dell’accumulo di bradichinina, tuttavia si manifestano in alcuni casi
ma con minore entità.
Sono assolutamente controindicati in gravidanza.
INIBITORI DIRETTI DELLA RENINA
Si tratta di una classe di farmaci il cui componente principale è l’ALISKIREN.
Meccanismo d’azione: blocco del recettore della renina sull’enzima che converte
l’angiotensinogeno in angiotensina e di conseguenza non si ha la conversione dell’enzima
inattivo epatico nell’angiotensina I.
Azione: diminuzione della pressione sanguigna
Usi terapeutici: ipertensione, si è dimostrato che hanno un’efficacia terapeutica pari alle altre
classi di antipertensivi compresi ACE-I e sartani.
Visto che è la classe farmacologica più recente è anche quella meno conosciuta e pertanto non
si conoscono bene effetti avversi e nemmeno gli effetti potenzialmente benefici sul cuore.
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ALTRI FARMACI IMPIEGATI
PRINCIPALMENTE NELL’IPERTENSIONE
FARMACI VARI
33. Farmaci antiadrenergici impiegati nel trattamento
dell’ipertensione
Esistono altri farmaci di minor impiego utilizzati per ridurre la pressione arteriosa e sono:
 Alfa-bloccanti
 Antiadrenergici centrali
 Vasodilatatori diretti
Per quanto riguarda il sistema adrenergico esiste una serie di farmaci che tendono a ridurre o
bloccare le azioni adrenergiche dirette verso il sistema cardiovascolare e che quindi
diminuiscono la scarica simpatica verso il cuore e i vasi riducendo la pressione sanguigna e il
lavoro cardiaco inteso sia come gittata che come frequenza.
- Alfa bloccanti
- Beta bloccanti
ALFA BLOCCANTI
Si tratta di una categoria di farmaci che comprendono inibitori selettivi o non selettivi dei
recettori α adrenergici.
- Prazosina
- Fentolamina
PRAZOSINA, DOXAZOSINA, TERAZOSINA
Si tratta di α1 bloccanti selettivi che promuovono la vasodilatazione perché contrastano
l’azione simpatica sui recettori della muscolatura liscia vasale che quando stimolati provocano
vasocostrizione. Questi farmaci provocano effetti minimi o nulli sulla gittata cardiaca, sulla
vascolarizzazione renale e sulla filtrazione glomerulare.
Possono dare ipotensione ortostatica a causa della vasodilatazione periferica e in alcuni casi
possono verificarsi anche tachicardia riflessa e sincope da prima dose.
Gli impieghi terapeutici della prazosina sono riservati all’ipertensione lieve o moderata e di
solito viene prescritto insieme ad un diuretico o al propranololo per esaltare gli effetti.
Spesso si tende a dare insieme ad un β bloccante per frenare gli effetti tachicardici riflessi.
È di prima scelta nell’anziano con ipertrofia prostatica perché migliora la minzione.
FENTOLAMINA
Inibitore α aspecifico che blocca sia gli alfa1 che gli alfa2. Viene utilizzato nell’ipertensione e
determina in poco tempo una riduzione della pressione arteriosa con ipotensione posturale
ed inversione degli effetti della adrenalina. Si verifica tachicardia riflessa e in alcuni casi
aritmia e dolore anginoso a seguito del blocco degli alfa2 che normalmente hanno azioni
opposte ai norlai adrenergici e quindi il loro blocco causa un aumento di liberazione di
noradrenalina.
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ANTIADRENERGICI CENTRALI
CLONIDINA
Farmaco agonista α2 centrale con azione prevalentemente anti-ipertensiva a causa del blocco
della liberazione di noradrenalina dalle vescicole presinaptiche dei terminali nervosi.
Questo farmaco viene utilizzato nella cura dell’ipertensione lieve o moderata nei casi in cui il
paziente non abbia risposto precedentemente al trattamento con soli diuretici.
Essa non agisce sulla filtrazione glomerulare e sulla vascolarizzazione renale e dunque è utile
nel trattamento dei pazienti ipertesi con ridotta funzionalità renale.
Ha una buona biodisponibilità orale.
Visto che causa ritenzione di acqua e sodio si tende a somministrare insieme a un diuretico.
Gli effetti avversi possono essere sedazione e secchezza della mucosa nasale, di solito si
verifica ipertensione di rimbalzo se si sospende improvvisamente il farmaco.
Pertanto per sospendere la terapia va fatta una riduzione lenta.
Α-METILDOPA
α agonista che viene convertito in metilnoradrenalina a livello centrale e di conseguenza
riduce le scariche adrenergiche. Si ha un abbassamento delle RVP e della pressione sanguigna.
Non sono interessate la vascolarizzazione renale e la filtrazione glomerulare e quindi molto
utili nei pazienti ipertesi affetti da problemi renali.
Effetti collaterali sono sedazione e sonnolenza.
VASODILATATORI DIRETTI
I vasodilatatori sono una categoria di farmaci scarsamente usata come prima linea
nell’ipertensione in quanto non sono esenti da effetti collaterali anche gravi. Essi agiscono
direttamente rilassando la muscolatura liscia delle arteriole e delle venule, facendo ciò
abbassano le RVP e di conseguenza la pressione sanguigna. Il risultato singolo però non è
positivo in quanto si verifica una potente tachicardia riflessa e aumento della gittata cardiaca
che contrastano con la riduzione della pressione e possono esporre il paziente a crisi
anginose, infarto miocardico o insufficienza cardiaca.
IDRALAZINA
È usata per trattare l’ipertensione medio-grave ma per gli effetti avversi sopra riportati viene
somministrata insieme ad un β bloccante e ad un diuretico in modo da ridurre il sovraccarico
cardiaco. La terapia singola con idralazina viene utilizzata per l’ipertensione delle donne in
gravidanza.
MINOXIDIL
Causa una dilatazione delle arteriole ma non delle venule e pertanto provoca diminuzione
della pressione arteriosa ma non riduce il pre-carico a differenza dell’idralazina. Viene
impiegato nell’ipertensione grave refrattaria agli altri trattamenti.
Causa una forte ritenzione di sodio e acqua che induce sovraccarico di volume, edema ed
insufficienza cardiaca congestizia.
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NITROPRUSSIATO SODICO
Si tratta di una vasodilatatore diretto molto potente utilizzato nei casi di emergenze
ipertensive (considerate come PAD 150 mmHg e PAS 210 mmHg per le persone sane e 130
mmHg di PAD in un soggetto con encefalopatia, emorragia cerebrale, insufficienza
ventricolare sinistra o stenosi aortica).
Svolge la sua azione riducendo drasticamente ed immediatamente le RVP e abbassando la
pressione indipendentemente dalla causa. Provoca tachicardia riflessa.
Non ha azioni fuori dal sistema vascolare e riduce la costrizione sia arteriosa che venosa
(abbassando anche il precarico perché dilata i vasi di capacitanza che accumulano più
sangue). È metabolizzato rapidamente e per mantenere l’azione serve un’infusione continua.
Infatti il nitroprussiato è somministrato per infusione endovenosa.
Ha pochi effetti collaterali a parte l’ipotensione ortostatica e la produzione di ioni cianuro
durante il metabolismo, ma questo non è considerato un problema in quanto la tossicità è
molto bassa e può essere tamponata con un’infusione di tiosolfato di sodio.
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FARMACI IMPIEGATI PRINCIPALMENTE
NELL’IPERTENSIONE, NELL’ANGINA
PECTORIS E NELLE ARITMIE
CARDIACHE
BETA-BLOCCANTI
34. Classificazione, impieghi terapeutici ed effetti
indesiderati dei beta-bloccanti
I β-bloccanti sono una classe di farmaci ampiamente utilizzata in clinica in quanto possiedono
diversi effetti terapeutici su vari distretti dell’organismo ed in particolare sul sistema
cardiovascolare.
Esistono dei β-bloccanti selettivi per un tipo di recettore ed altri non selettivi:
- Βeta-bloccanti non selettivi







-
PROPRANOLOLO
PINDOLOLO
TIMOLOLO
SOTALOLO
CARVEDILOLO
LABETALOLO
ESMOLOLO
Beta-bloccanti β1 specifici




METOPROLOLO
ATENOLOLO
ACEBUTOLOLO
BISOPROLOLO
Meccanismo d’azione
Questi farmaci hanno la proprietà di legarsi ai recettori beta-adrenergici ed innescare un
blocco di essi fungendo da antagonisti oppure in alcuni casi posso fungere da agonisti parziali
che si comportano in modo inverso all’agonista qualora esso sia presente, ma simulano la sua
azione in sua assenza. In tal modo inibiscono o attenuano le trasmissioni simpatiche verso gli
organi periferici dotati dei recettori beta e la loro azione essenziale è svolta sul cuore.
Azioni
 Riduzione della pressione arteriosa: meccanismo indiretto che dà risultati solo dopo un
certo periodo di tempo. Infatti i beta-bloccanti agiscono sul cuore riducendo la scarica
dei beta1 e quindi hanno effetto negativo sulla contrattilità e sulla frequenza che
quindi insieme provocano una riduzione netta della gittata cardiaca.
Inoltre essi vanno ad inibire anche i recettori beta1 presenti sulle cellule dell’apparato
iuxtaglomerulare (cellule dell’arteriola afferente) che secernono renina, la quale viene
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bloccata e di conseguenza viene fermata la cascata con riduzione della ritenzione
idrosalina, riduzione della contrattilità vasale e abbassamento delle RVP, riduzione del
volume sanguigno che va ad incidere nuovamente sulla gittata cardiaca che diminuisce
e provoca un abbassamento pressorio. Tuttavia questo meccanismo non è efficiente da
subito e paradossalmente all’inizio del trattamento di posso verificare anche fenomeni
ipertensivi per il blocco dei recettori vasodilatatori beta2 (nel caso di farmaci non
selettivi).
 Riduzione del lavoro cardiaco: viene abbassato il fabbisogno di ossigeno del miocardio
in quanto si ha una riduzione delle risposte cronotrope ed inotrope allo sforzo, si ha
inoltre un diminuito post-carico a seguito dell’abbassamento della pressione arteriosa.
I farmaci agonisti parziali come il pindololo dovrebbero essere evitati.
 Aumento della performance cardiaca in corso di scompenso non grave: questo effetto
che sembra paradosso vista la capacità del beta-bloccante di essere inotropo e
cronotropo negativo si spiega per la riduzione della continua scarica simpatica
conseguente ad uno stato di scompenso cardiaco
 Riduzione della pressione intraoculare: grazie ad una riduzione della secrezione di
umore acqueo
 Effetto antiaritmico: alcuni beta-bloccanti vengono considerati antiaritmici perché
diminuiscono la depolarizzazione in fase 4 e in tal modo deprimono l’automaticit{,
prolungano la conduzione AV e riducono la frequenza e la contrattilità cardiache.
Usi terapeutici
1. Ipertensione: i farmaci ad oggi più utilizzati per trattare l’ipertensione sono l’atenololo
e il metoprololo grazie alla loro azione selettiva sui recettori beta1 e quindi
direttamente sul cuore risparmiando l’apparato respiratorio che possiede i beta2 e
porterebbe a broncospasmo (che si verifica con i beta-bloccanti non selettivi).
I beta-bloccanti sono più efficaci nel trattare l’ipertensione nei soggetti bianchi e
giovani e in più sono molto utili nei pazienti ipertesi con aggravanti come tachiaritmie,
pregresso IMA, angina, insufficienza cardiaca cronica ed emicrania.
2. Angina pectoris: grazie alla loro azione cronotropa e inotropa negativa riducono il
fabbisogno miocardico di ossigeno e di conseguenza riducono le crisi anginose da
insufficiente ossigenazione. Il prototipo di farmaco per questo utilizzo è il propranololo
anche se oggi si preferiscono beta-bloccanti cardio selettivi come l’atenololo, il
metoprololo, l’acebutololo e il nadololo. Bisogna però tenere presente che tutti i betabloccanti ad alte dosi sono non cardioselettivi e possibili cause di effetti collaterali.
Si possono associare ai nitroderivati per favorire l’effetto ma bisogna fare attenzione al
Verapamil che blocca la conduzione AV e si può andare incontro ad arresto.
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3. Aritmie cardiache: i principali farmaci usati per le aritmie sono il propranololo,
l’esmololo e il metoprololo. Fanno parte degli antiaritmici di classe 2. Tra quelli di
classe 3 c’è un altro beta-bloccante che è il sotalolo.
4. Profilassi dell’emicrania
5. Trattamento del tremore essenziale
6. Controllo dell’ansiet{ e della tachicardia su base ansiosa
7. Coadiuvante nella terapia della tireotossicosi
8. Trattamento della cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva
9. Trattamento del feocromocitoma
10. Trattamento dell’infarto miocardico sospetto o conclamato: si utilizzano solo i
cardiospecifici
11. Profilassi dell’insufficienza coronarica per ridurre il rischio di reinfarto e della
morte cardiaca, inclusa la morte improvvisa, per coloro che sono sopravvissuti ad una
attacco di IMA.
12. Insufficienza cardiaca: principali usati nell’insufficienza cardiaca sono il metoprololo
e il carvedilolo. Vengono indicati nel trattamento di qualsiasi cardiopatia eccetto quelli
ad alto rischio ma senza sintomi e quelli con insufficienza cardiaca acuta. In più
trattamento dello scompenso cardiaco cronico stabile da moderato a grave in aggiunta
alle terapie standard nei pazienti anziani di età superiore ai 70 anni.
13. Glaucoma: viene utilizzato principalmente il timololo
Farmacocinetica
I beta-bloccanti sono attivi per via orale. Il propranololo è soggetto a esteso e variabile
metabolismo di primo passaggio.
Eventi avversi:
 Broncospasmo: per i farmaci non selettivi (propranololo), azione beta2
 Vasocostrizione periferica: inizialmente per i non selettivi, azione beta2
 Aumento della ritenzione di sodio
 Bradicardia: i farmaci con ISA (agonisti parziali) danno meno effetti bradicardizzanti
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 Ipotensione
 Stanchezza / Insonnia / Letargia / Allucinazioni (effetti sul SNC). I farmaci più
idrosolubili come atenololo e nadololo danno meno effetti avversi a livello centrale
perché non attraversano facilmente la barriera EE.
 Disfunzione sessuale
Precauzioni / Controindicazioni:
 Scompenso cardiaco grave senza sintomi o acuto (in quanto influenzano comunque in
negativo la cinetica cardiaca)
 Diabete: in quanto il beta bloccante riduce la tolleranza del sistema al glucosio
 Angina di Prinzmetal: tali farmaci sono efficaci in tutti i tipi di angina tranne in questo
in quanto i beta-bloccanti non possiedono un’azione vasodilatante e potrebbero
peggiorare il quadro visto che quest’angina è derivata da vasospasmo
 Bradicardia o blocco atrio-ventricolare
 Asma bronchiale o BPCO
 Impotenza
 Sindrome da sospensione: bisogna fare attenzione perché in alcuni casi alla sospensione
si possono avere fenomeni di tachicardia e ipertensione e talvolta anche aritmie
probabilmente per una aumentata sensibilizzazionedei beta-recettori rimasti bloccati
per lungo tempo. Necessaria una sospensione graduale. In particolare se sono stati
usati beta-bloccanti non dotati di ISA (attività agonistica parziale).
Il propranololo esiste in 2 forme differenti di stereoisomeri: L ed R. Una forma è dotata di
attività beta-bloccante mentre l’altra ne è sprovvista. Dal punto di vista chimico sono identici
tranne che per le proprietà ottiche. Ciò significa che anche una lievissima differenza può far
variare la farmacodinamica (legame ed interazione col recettore) variando anche
drasticamente l’effetto terapeutico.
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35. Approccio al trattamento dell’ipertensione e criteri di
scelta dei farmaci antiipertensivi anche in base a malattie
concomitanti
Schema dei principali trattamenti dell’ipertensione e loro meccanismi
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
Il trattamento dell’ipertensione ha lo scopo di ridurre la pressione sanguigna a valori ottimali
o normali ed è fondamentale curare anche gli stati di pre-ipertensione a causa dei possibili
eventi successivi a livello cardiaco e renale conseguenti ad uno stato pressorio costantemente
elevato. Il danno principale ha luogo nella parete dei vasi che causa problemi vascolari e in
seguito si hanno problemi di sovraccarico ematico a carico della pompa che è continuamente
sottoposta ad uno sforzo e al rene che si trova costantemente a filtrare sangue ad una
pressione elevata che con il tempo può portare a danni glomerulari.
È necessario prima di iniziare il trattamento antipertensivo valutare accuratamente la
situazione clinica del paziente e soprattutto la presenza di patologie concomitanti.
In un secondo momento si pianifica il trattamento con un singolo farmaco, o più spesso con un
approccio multifarmaco che si è visto estremamente efficace nel curare l’ipertensione.
In quest’ultimo passaggio è vantaggioso prendere in considerazione le associazioni
farmacologiche che abbiano insieme meno effetti collaterali e che portino ad un
aggiustamento migliore della pressione, in generale si ritiene che l’abbinamento ottimale sia
tra farmaci che hanno meccanismi d’azione complementari.
Trattamento ipertensivo nel corso di malattie concomitanti
 Pazienti
con angina
pectoris ad alto
rischio
andrebbero
trattati subito con
beta-bloccanti
visto che questi
riducono il
sovraccarico
cardiaco ed il
lavoro; in
alternativa ad
essi possono
essere utili anche
i calcioantagonisti che
provocano una vasodilatazione ed un rilassamento miocardico. Questi due farmaci
trovano impiego nell’angina anche indipendentemente dall’ipertensione. Altri farmaci
utilizzabili sono i diuretici e gli ACE-inibitori. Da evitare l’associazione diuretico +
calcio antagonista in quanto si ha un’eccessiva vasodilatazione che può portare perfino
a cardiopatia ischemica per iperattivazione del simpatico. Anche l’associazione betabloccante e calcio antagonista non diidropiridinico non è consigliata in quanto hanno
entrambi effetto inotropo e cronotropo negativo.
 Pazienti con diabete vengono trattati preferibilmente non con beta-bloccanti in quanto
questi riducono ulteriormente la tolleranza glucidica, ma si utilizzano ACE-I e Sartani
oltre ai diuretici. Non è mai opportuno associare i sartani con gli ACE-I in quanto
esaltano l’iperkaliemia.
 Pazienti con infarto ricorrente vengono trattati preferenzialmente con ACE-I e talvolta
diuretici.
 Nei pazienti con insufficienza cardiaca trovano impiego tutti i farmaci antipertensivi
come ACE-I, diuretici, beta-bloccanti e sartani, mentre non possono essere usati i calcio
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
antagonisti in quanto deprimerebbero ancora di più la già scarsa performance
cardiaca.
 A seguito di un precedenre infarto miocardico la cura ottimale contro l’ipertensione
sono i beta-bloccanti e gli ACE-I.
 Nella nefropatia cronica invece sono consigliati gli ACE-I e i sartani visto che
mantengono la perfusione renale adeguata mentre i beta-bloccanti tendono a ridurla e
i diuretici sfruttano un nefrone che è in cattive condizioni.
Approccio standard per i pazienti ipertesi senza altre patologie che possono interferire
NICE 2004
NICE 2006
Note alla linea guida NICE 2006
I°
DIURETICO
> 50 anni e/o razza nera:
1. mai betabloccanti come
Diuretico o Calcioantagonista
prima scelta
2.
Sartani ai pazienti che non
< 50 anni: ACEinibitore (se
tollerano ACEI
non tollerato: Sartano).
3.
Introdotti i nuovi criteri
II° Aggiungere BB
Aggiungere ACEinibitore (se
“razza” e “et{”
(ACEI in casi
non tollerato: Sartano) al
4.
I betabloccanti sono ancora
selezionati ossia se Diuretico o al
consigliati in ristrette
predisposizione al Calcioantagonista.
categorie di pazienti di
DM).
Aggiungere Diuretico o
giovane età: donne in vista di
Calcioantagonista
concepimento; soggetti
all’ACEinibitore (o al Sartano).
chiaramente simpaticotonici;
III° Aggiungere CAA
Diuretico + Calcioantagonista
pazienti in cui ACEi o ARBs
+ ACEinibitore (o Sartano).
siano controindicati o poco
tollerati
IV° Se non già usato,
Aggiungere Alfaboccanti o
aggiungere ACEI o betabloccanti
BB o farmaco
d’altra classe.
Principali classi di farmaci e loro impieghi terapeutici preferenziali
Classe di farmaci
Indicazioni
Controindicazioni
ACE-I
Nefropatia diabetica
Gravidanza
tipo I
Stenosi bilaterale arteria
Nefropatia non
renale
diabetica
Iperkalemia
Disfunzione ventr sx
Sartani
Nefropatia diabetica
Gravidanza
tipo II
Stenosi bilaterale arteria
Ipertrofia ventr sx
renale
Insuff cardiaca con
Iperkalemia
intolleranza a ACE-I
Calcio antagonisti
Anziani con
Insufficienza cardiaca
diidropiridinici
ipertensione sistolica
congestizia
isolata
Pz di razza nera
Diuretici
Anziani con
Gotta
ipertensione sistolica
isolata
Pz di razza nera
β-bloccanti
Post-infarto
Blocco di alto grado
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Precauzioni
Post-infarto
Insufficienza
Bradicardia severa
(<50/min)
BPCO
Raynaud
α-bloccanti
IPB
Incontinenza urinaria
α-agonisti centrali
Gravidanza (αmetildopa)
Incontinenza urinaria
α-agonisti
periferici
Quando gli altri farmaci
non possono essere
utilizzati
cardiaca
Malattia
vascolare
periferica
Diabete
Insufficienza
cardiaca
congestizia
Sd da astinenza
clonidina
Epatotossicità
Depressione
Ulcera peptica
attiva
La scelta tra i diversi ipertensivi si effettua sulla base di alcuni criteri:
1. La precedente esposizione ad un certo farmaco per il paziente o meno, in caso di
pregressa esposizione si considera il farmaco che è stato più efficace.
2. Tenere conto degli effetti dei farmaci sui fattori di rischio cardiovascolari in relazione
al profilo di rischio cardiovascolare del paziente.
3. La presenza di un danno d’organo subclinico, patologie cardiovascolari, renali o
diabete che possono essere trattati meglio con un farmaco rispetto ad un altro.
4. Presenza di particolari disordini che possono limitare l’uso di una certa categoria
5. Possibilità di interazione con farmaci di classi diverse
6. Costo del farmaco
Associazione di antipertensivi
L’associazione di tiazidici e ACE-I è ottimale;
infatti si compensa l’effetto sulla kalemia.
Gli ACE-I possono essere associati anche con i
calcio-antagonisti.
Altra associazione importante è quello tra
calcio-antagonisti e β-bloccanti (del tipo
nifedipina e amlodipina) che hanno effetti
tachicardizzanti.
Rischio iperkaliemia
- ACE-inibitori
Importante non associarli
- Sartani
- Inibitori renina
- Risparmiatori di potassio
Scheda tecnica ACE-INIBITORI
Controllare in particolare:
- Il rischio d’iperkaliemia in caso di associazione con diuretici risparmiatori di potassio.
Queste associazioni sono sconsigliate, a meno che non si impieghino basse dosi per trattare
un’insufficienza cardiaca;
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
- Il rischio d’insufficienza renale in caso di associazione con un diuretico ipokaliemizzante o
un FANS (compresi i coxib). Queste associazioni richiedono delle precauzioni d’uso col
mantenimento, in particolare, di una buona idratazione con controllo della funzionalità renale.
Se l’associazione ACE-inibitore + risparmiatore di potassio è giudicata necessaria in un
paziente geriatrico, la posologia dello spironolattone deve essere bassa:
• 12.5 mg/die senza superare i 25 mg/die, sotto stretto monitoraggio della funzionalità
renale e della kaliemia
• Lo spironolattone non deve per altro essere prescritto se la clearance della creatinina
è <30 ml/min o se la kaliemia è > 5 mmol/l
Scheda tecnica aliskiren
Potassio sierico: nei pazienti con ipertensione essenziale trattati con aliskiren da solo gli
aumenti del potassio sierico sono stati trascurabili e poco frequenti (0,9% rispetto a 0,6% con
placebo).
Tuttavia, in uno studio in cui aliskiren è stato usato in associazione con un ACEI in una
popolazione diabetica, gli aumenti del potassio sierico sono risultati più frequenti (5,5%).
Come con qualsiasi sostanza che agisce sul sistema renina-angiotensina, nei pazienti con
diabete mellito, nefropatia o insufficienza cardiaca è pertanto indicato il controllo routinario
degli elettroliti e della funzionalità renale.
In caso che un ACE-inibitore non porti a una riduzione significativa della pressione non è
ragionevole aumentare il dosaggio in quanto questi farmaci hanno curva dose-risposta piatta
(all’aumento della dose aumenta la durata d’azione, ma non l’ efficacia ipotensiva).
Farmaco senza curva dose-risposta in
termini di efficacia ipotensiva.
Con l’ incremento della dose aumenta
solo la durata d’ azione.
Farmaco senza curva dose-risposta in
termini di efficacia ipotensiva.
Con l’ incremento della dose aumenta
solo la durata d’azione.
I farmaci descritti come “FARMACO A” (ad es. enalapril) sono caratterizzati da una curva doserisposta piatta; infatti l’ aumento della dose (da 5 a 20 mg) non determina un aumento della
riduzione della pressione arteriosa, ma solo una miglior copertura delle 24 ore: pertanto i
farmaci con queste caratteristiche devono essere somministrati a dosaggio pieno.
Al contrario, i farmaci descritti come “FARMACO B” (ad es. diuretici) hanno una emivita
sufficientemente lunga per coprire le 24 ore (sia per caratteristiche farmacocinetiche che per
l’ utilizzo di sistemi di “slow release”) anche alle basse dosi e pertanto possono essere
somministrati a diverso dosaggio; aumentare la dose è possibile ma così aumenta anche il
rischio di effetti collaterali.
Gli ACE-I hanno una curva dose-risposta piatta in ambiente terapeutico; non si mai oltre i 20
mg.
Tipico esempio di errore medico è quello dell’ utilizzo di un ACE-inibitore a bassa dose; i bassi
dosaggi infatti sono stati introdotti in terapia per la terapia dello scompenso cardiaco, dove, in
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
considerazione della bassa pressione arteriosa del paziente, è necessario testare una piccola
dose proprio perché predittiva della dose piena, ma con scarsa durata d’azione in caso di
eccessiva ipotensione.
Anche in questi pazienti, una volta dimostrata la tollerabilità del farmaco con la bassa dose, è
necessario aumentare il dosaggio del farmaco ACE-inibitore.
Se tale ACE-I porta a riduzione della P.A. ma non raggiunge i valori normali: è dunque
ragionevole associare un altro farmaco antiipertensivo per raggiungere un controllo ottimale
della P.A.
Le associazioni più razionali sono con il diuretico e con i calcio-antagonisti.
L’ ACE-inibitore ha infatti dimostrato di avere un effetto additivo sulla pressione arteriosa con
il diuretico e con i calcio-antagonisti sia diidropiridinici che non diidropiridinici.
Meccanismi d’ azione dei farmaci antipertensivi
I diuretici determinano un aumento del SRA determinando una deplezione di volume mentre i
calcio-antagonisti e gli α-antagonisti sono vasodilatatori.
Gli ACE-I, sartani e β-bloccanti riducono l’attivit{ del SRA.
Si associano un farmaco di una classe che aumenta e uno di una classe che diminuisce il SRA.
I vasodilatatori aumentano il SNS (vasodilatazione chiama tachicardia).
Gli ACE-I, sartani, β-bloccanti e simpaticomodulatori riducono l’attivit{ del SNS.
Anche in questo l’associazione è tra farmaci con effetto opposto.
Alcune associazioni non sono corrette.
Un tipico esempio è l’ associazione di un beta-bloccante con un ACE-inibitore o un AT1antagonista, utile nel paziente con insufficienza cardiaca, ma assolutamente non efficace per
migliorare il controllo della pressione arteriosa.
Un'altra associazione inutile è quella tra un calcio-antagonista e il diuretico; i calcioantagonisti hanno un effetto natriuretico e pertanto non è logico associarli ai diuretici.
E’ ovvio che quando è richiesta la triplice o quadruplice terapia antiipertensiva è possibile
utilizzare insieme questi farmaci in quanto il singolo componente va ad interagire con gli altri
componenti dell’ associazione. Un’ associazione pericolosa è quella tra un α1-antagonista e la
clonidina in quanto il loro effetto si annulla reciprocamente e pertanto la pressione arteriosa
può persino riaumentare.
Non devono essere mai associati i beta-bloccanti con la clonidina: infatti l’ aumento
parossistico dei valori pressori che si osserva 18-36 ore dalla sospensione della clonidina può
essere peggiorato dalla simultanea somministrazione di un beta-bloccante.
Inoltre i beta-bloccanti non devono essere associati ai calcio-antagonisti non diidropiridinici in
quanto questi farmaci sommerebbero i rispettivi effetti cronotropi, dromotropi e inotropi
negativi.
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
In caso di associazione, per paura di eccessiva ipotensione, è utile ridurre la dose dell’ACEinibitore?
Se si riduce la dose di un ACE-inibitore, si riduce la sua durata d’ azione, ma non l’ efficacia
antiipertensiva al tempo di picco. Nel caso descritto, è quindi ragionevole tornare alla
monoterapia, in quanto probabilmente l’ associazione era una misura terapeutica eccessiva.
Se il paziente fosse stato in terapia con un Ca-antagonista (amlodipina 10 mg) che avesse
ridotto, ma non normalizzato, la pressione arteriosa (da 165-105 mmHg a 150-95 mmHg) e
avesse indotto la comparsa di edema premalleolare (evidente, ma non eccessivo), come vi
sareste comportati?
Avrei associato un ACE-inibitore o un sartano
Alcune associazioni, oltre ad avere un effetto di potenziamento sulla riduzione della pressione
arteriosa, possono avere anche un effetto favorevole sull’incidenza e/o gravit{ degli effetti
collaterali.
Associazione di Farmaci Antiipertensivi Potenzialmente Pericolosa
- -bloccante + clonidina
- -bloccante + Ca-antagonista non diidropiridinico
Emergenze ipertensive
L’emergenza ipertensiva è una situazione rara in cui la PAD è di oltre 150 mmHg (con la PAS
di oltre 210 mmHg) in un soggetto altrimenti sano o di 130 mmHg in un soggetto con
persistenti complicanze come encefalopatia, emorragia cerebrale, insufficienza ventricolare sx
o stenosi aortica.
L’obiettivo terapeutico è ridurre rapidamente la P sanguigna.
a) Nitroprussiato di sodio
La somministrazione e.v. di nitro prussiato causa una pronta
vasodilatazione con tachicardia riflessa determinando una ↓ della P
in tutti i pz.
Ha scarsi effetti al di fuori delsanguigna
sistema vascolare,
agendo in egual misura sulla muscolatura
liscia arteriosa e venosa (↓ il precarico).
E’ metabolizzato rapidamente (t1/2 di minuti) e per mantenere l’azione ipotensiva è necessaria
l’infusione continua; ha pochi effetti indesiderati a parte l’ipotensione da sovradosaggio.
Il metabolismo del nitro prussiato dà luogo a produzione di ioni cianuro, ma la tossicità da
cianuro è rara e può essere trattata con infusione di tisolfato di sodio, per formare tiocianato,
che è meno tossico e eliminato dal rene (però il nitro prussiato è tossico se somministrato per
via orale, perché è idrolizzato a cianuro).
b)Labetalolo
E’ un bloccante sia α che β e si somministra come bolo
endovenoso o in infusione nelle emergenze ipertensive.
Non causa tachicardia riflessa e comporta le controindicazioni di un β-bloccante non selettivo.
La limitazione maggiore è la sua lunga emivita, che preclude un rapido aggiustamento del
dosaggio.
c) Fenoldopam
E’ un agonista periferico del recettore della dopamina-1 che si
somministra per via endovenosa.
Mantiene o aumenta, al contrario di altri farmaci antiipertensivi parenterali, la perfusione
renale, mentre abbassa la P sanguigna.
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
Può essere usato con sicurezza in tutte le emergenze ipertensive, soprattutto nei pz con
insufficienza renale.
E’ controindicato nei pz con glaucoma.
d) Nicardipina
E’ un bloccante dei canali del calcio che può essere
somministrato per via endovenosa.
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36. Il ruolo dei beta-bloccanti nel trattamento
dell’insufficienza cardiaca
In passato si riteneva che in un paziente con insufficienza cardiaca fosse improponibile
iniziare un trattamento con beta-bloccanti sulla base della proprietà cronotropa e inotropa
negativa di questi ultimi. Infatti nel paziente con una performance cardiaca bassa sarebbe
abbastanza paradossale somministrare farmaci che riducano ulteriormente la cinetica del
cuore.
Tuttavia diversi studi hanno dimostrato che non solo i beta-bloccanti sono utili nel
trattamento dello scompenso migliorando i sintomi, ma permettono anche un netto
prolungamento di vita e riduzione della mortalità per cause cardiache.
Sono stati approvati principalmente 2 farmaci:
 METOPROLOLO: farmaco beta-bloccante selettivo per i β1
 CARVEDILOLO: farmaco beta-bloccante non selettivo
Essi migliorano i sintomi, la tolleranza allo sforzo fisico e la performance ventricolare.
Il meccanismo con cui tali farmaci possano eseguire tali effetti è ancora abbastanza
sconosciuto ma si pensa sia implicato il blocco o la riduzione dell’attivit{ simpatica centrale
diretta verso il cuore che è responsabile di un maggior dispendio energetico e di conseguenza
di un aumentato rischio di insufficienza coronarica.
Questi farmaci sono raccomandati nei pazienti che presentano una FE < 35% in associazione
con ACE-I, diuretici, sartani, ecc…
Uno studio di metanalisi ha permesso di valutare attentamente il progressivo beneficio dei
beta-bloccanti su pazienti in insufficienza cardiaca valutando la frazione d’eiezione del
ventricolo sinistro.
Sono stati presi 2 gruppi uno dei quali è stato trattato con beta-bloccanti (metoprololo) e
l’altro con terapia standard.
Si è visto che nei primi momenti la LVEF si riduceva e nel primo giorno subiva un deciso crollo
rispetto ai pazienti trattati con terapia standard, in un secondo momento a distanza di mesi la
performance cominciava a salire fino ad arrivare ai 3 mesi in cui la LVEF arrivava quasi a
raddoppiare rispetto al gruppo trattato con terapia standard.
Un successivo studio clinico caso-controllo prevedeva un gruppo trattato con dosi crescenti di
placebo ed un altro con dosi crescenti di carvedilolo. Il risultato è stato che gli aumenti di dose
del placebo non davano risultati positivi sulla performance cardiaca, mentre dosi crescenti di
carvedilolo davano un netto miglioramento dello stato cardiaco.
Esiste infatti un effetto dose dipendente del carvedilolo sulla LVEF.
Tuttavia l’utilizzo di beta-bloccanti in questi casi deve essere ben regolato e pianificato
considerando anche in dettaglio le condizioni del paziente. I criteri per l’utilizzo appropriato
dei beta-bloccanti sono:
1. Il trattamento va iniziato a dosaggio estremamente basso, circa meno di un decimo del
dosaggio di mantenimento, questo perché negli studi si è visto che inizialmente il
farmaco provoca una riduzione della LVEF sfavorevole.
2. L’aumento del dosaggio deve essere operato molto lentamente e nel corso di diverse
settimane. Se il raggiungimento del dosaggio pieno avviene troppo in fretta si possono
verificare peggioramenti dell’insufficienza con aumento degli edemi. Tuttavia anche un
aumento lento delle dosi può portare a ritenzione idrica, il che è un’indicazione alla
revisione del trattamento diuretico.
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3. I pazienti con livello funzionale classe IIIB e IV della NYHA vanno trattati con particolare
cautela.
4. Data la scarsa esperienza dell’utilizzo di tali farmaci nello scompenso cardiaco di
diagnosi recente è preferibile iniziare il trattamento una volta che la situazione
emodinamica e cardiaca si siano stabilizzate per un certo periodo di tempo.
NYHA Classification
1. Class I: Symptoms with more than ordinary activity
2. Class II: Symptoms with ordinary activity
3. Class III: Symptoms with minimal activity
1. Class IIIa: No Dyspnea at rest
2. Class IIIb: Recent Dyspnea at rest
4. Class IV: Symptoms at rest
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FARMACI IMPIEGATI PRINCIPALMENTE
NELL’IPERTENSIONE E NELL’ANGINA
PECTORIS
BLOCCANTI DEI CANALI DEL CALCIO
37. Classificazione, impieghi terapeutici ed effetti
indesiderati dei bloccanti dei canali del calcio
I bloccanti dei canali del calcio sono una classe farmaceutica molto utilizzata per curare
l’ipertensione e l’angina. Nell’ipertensione rivestono un ruolo di prima linea quando gli altri
farmaci di prima linea sono generalmente controindicati, mentre per l’angina rivestono un
ruolo importante a meno che non si sovrapponga un’insufficienza cardiaca grave.
I calcio antagonisti si possono suddividere in 3 classi:
1. Difenilalchilamine: il VERAPAMIL è l’unico farmaco della categoria. È il meno selettivo di
tutti i calcio antagonisti e presenta un’affinit{ sia per i canali sulla muscolatura liscia
vasale, sia sul miocardio. È usato per il trattamento dell’angina, delle tachiaritmie
sopraventricolari e della cefalea di tipo emicranico.
2. Benzotiazepine: il DILTIAZEM è l’unico membro della categoria, anch’esso svolge
un’azione sia sui canali cardiaci che vascolari, ma ha un’azione molto meno intensa sul
cuore e più intensa sui vasi rispetto al verapamil. È quello con cui si verificano con
minor frequenza gli effetti collaterali.
3. Diidropiridine: questa classe comprende farmaci di prima generazione come la
NIFEDIPINA e altri più nuovi di seconda generazione come l’AMLODIPINA, la FELODIPINA,
la NICARDIPINA, la NISOLDIPINA e l’ISRADIPINA. Questi farmaci sono selettivi per i canali del
calcio presenti sulla muscolatura liscia vascolare e pertanto hanno un ruolo importante
nel trattamento dell’ipertensione.
Meccanismo d’azione
I calcio antagonisti bloccano la corrente di calcio in ingresso nelle cellule miocardiche e
vascolari liscie mediante il blocco dei canali del calcio di tipo L in configurazione aperta. I
canali del calcio sensibili a tali farmaci sono quelli dipendenti dal voltaggio e quindi
contrastano la capacit{ contrattile del muscolo cardiaco e liscio. Hanno un’efficacia maggiore
se somministrati in pazienti tachicardici con canali del calcio aperti per maggior tempo, visto
che il farmaco agisce prevalentemente sui canali aperti.
Azioni:
 Riduzione della pressione arteriosa: questo effetto viene eseguito da tutti i calcio
antagonisti e principalmente dalle diidropiridine. Il meccanismo sopracitato è
responsabile della dilatazione dei vasi di resistenza (arteriole) e di una diminuzione
della RVP con conseguente abbassamento della pressione arteriosa. I farmaci
diidropiridinici però come la nifedipina e l’amlodipina avendo solo un effetto sui vasi
provocano una tachicardia diretta che può non essere indicata in pazienti con infarto
miocardico o ischemia a causa del cosiddetto “furto coronarico”. Questo fenomeno si
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010



verifica nel momento in cui si ha una vasodilatazione
periferica eccessiva e come conseguenza si hanno:
o Ipotensione che si ripercuote anche sul circolo
coronarico potendo diminuire l’apporto di ossigeno
o Ripartizione del flusso coronarico verso le coronarie
indenni visto che i vasi colpiti da ischemia non
rispondono ai calcio antagonisti
o Aumento del fabbisogno di ossigeno per tachicardia
riflessa
Questi 3 meccanismi sono responsabili di un peggioramento
dell’ischemia miocardica e per tale motivo si tende a non
dare diidropiridinici in pazienti con ischemia o infarto
recente.
Riduzione della contrattilità cardiaca: effetto
prevalentemente a carico del verapamil e del diltiazem con
prevalenza del verapamil. Questo farmaco ha una spiccata
affinità nei confronti dei canali del calcio presenti sul
miocardio ed è responsabile di una ridotta contrattilità a seguito dello stimolo
depolarizzante. È utile nei pazienti con angina per ridurre il fabbisogno di ossigeno, ma
è potenzialmente pericoloso nei pazienti con insufficienza cardiaca grave.
Controindicata l’associazione con beta-bloccanti che peggiorano la cinetica cardiaca.
Riduzione della conduzione atrio-ventricolare: questi farmaci vengono utilizzati anche
nelle aritmie soprattutto sopraventricolari in quanto rallentano il passaggio
dell’informazione dal nodo SA al nodo AV attraverso un’inibizione dei canali del calcio.
I farmaci con questa azione sono il verapamil e il diltiazem. Riducendo l’automatismo
cardiaco inducono bradicardia utile nei pazienti con angina (inoltre avendo anche
un’azione inotropa negativa aumentano la riduzione del fabbisogno d’ossigeno).
Effetto natriuretico: questi farmaci non necessitano dell’uso di un diuretico in pazienti
ipertesi.
Usi terapeutici
1. Ipertensione: possono essere usati tutti i calcio antagonisti, anche se si preferiscono in
pazienti altrimenti sani le diidropiridine grazie alla loro efficacia selettiva sui vasi.
Questi composti sono molto utili nel trattamento dei pazienti ipertesi con asma,
diabete, angina e/o vasculopatie periferiche.
2. Angina: ruolo importante del verapamil e del diltiazem grazie alla loro funzione
inotropa e cronotropa negativa riducendo il fabbisogno di ossigeno. Meno indicate la
nifedipina e la nicardipina a causa del furto coronarico, in ogni caso vanno usate con
molta attenzione. L’amlodipina non sembra avere effetti negativi sul cuore e pertanto
viene utilizzata senza problemi.
3. Angina variante di Prinzmetal: indicazione terapeutica ampiamente approvata ed
utile in quanto i calcio antagonisti riducono lo spasmo coronarico soprattutto il
diltiazem e sono ottimi per curare l’angina derivata appunto da uno spasmo
coronarico.
4. Tachiaritmie sopraventricolari: viene sfruttata l’azione inibente del verapamil e del
diltiazem sull’automatismo del nodo SA e sulla conduzione verso il nodo AV.
5. Insufficienza cardiaca congestizia: uso controverso e non del tutto raccomandato
soprattutto per le diidropiridine (responsabili del furto coronarico tranne
l’amlodipina) ma anche per il verapamil e diltiazem che abbassano decisamente la
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performance cardiaca ed in un paziente in cui essa è già soppressa possono essere
pericolosi. Assolutamente controindicati nell’ICC grave.
6. Emergenze ipertensive: viene usata la nicardipina
Farmacocinetica
Sono tutti farmaci assorbiti bene per via orale a parte il verapamil che ha una bassa
biodisponibilità orale e pertanto servono dosaggi più elevati. Si tratta di composti che hanno
mediamente un’emivita breve (3-8 ore) e pertanto per mantenere una concentrazione
adeguata servono più somministrazioni giornaliere (fino a 3), tuttavia oggi con le
formulazioni a cessione protratta è possibile ridurre l’intervallo a una volta al giorno.
La nifedipina e la nicardipina hanno una durata d’azione più breve rispetto all’amlodipina e
alla felodipina.
Tutte e 3 le classi vengono metabolizzate dal fegato ed in particolare dal CYP3A4 che viene
inibito dal succo di pompelmo e viene esaltato da barbiturici o eritromicina.
Il verapamil subisce un’esteso metabolismo epatico e pertanto in casi di cirrosi epatica deve
essere aggiustata la dose per evitare una maggiore incidenza di effetti collaterali.
I calcio antagonisti sono tutti influenzati dal pasto e il loro effetto in genere compare entro
un’ora a parte l’amlodipina e la felodipina che sono assorbite più lentamente ma hanno anche
una durata d’azione più lunga.
Vengono tutti escreti maggiormente per via urinaria tranne il diltiazem che è eliminato
principalmente per via fecale.
Effetti avversi
 Vasodilatazione eccessiva (vertigini, ipotensione, flushing, nausea)
 Edemi periferici (a causa dell’incremento di vasodilatazione anche venosa)
 Stipsi: effetto collaterale principale del verapamil (si presenta nel 10% dei soggetti)
Tra tutti quello con minor incidenza di effetti avversi è il diltiazem.
Il verapamil deve essere evitato nei casi di insufficienza cardiaca per il suo effetto inotropo
negativo. In questa situazione vanno usati con estrema cura anche gli altri calcio antagonisti.
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ALTRI FARMACI IMPIEGATI
PRINCIPALMENTE NELL’ANGINA
PECTORIS
ANTIANGINOSI NITRODERIVATI
38. Nitrati organici: meccanismo d’azione, impieghi
terapeutici, vie di somministrazione ed effetti indesiderati
I nitrati organici sono una categoria di farmaci che vengono usati essenzialmente nel
trattamento dell’angina pectoris.
L’angina pectoris è un dolore intenso ed urente al torace che si irradia al collo, alla mandibola,
al braccio e al dorso e deriva da un’ischemia miocardica e quindi un insufficiente apporto di
ossigeno al miocardio. Lo squilibrio deriva dal fatto che il miocardio in quel momento ha
bisogno di una quantità di ossigeno che il flusso coronarico non è capace di garantire, e ciò
scatena l’attivazione delle fibre nervose dolorifiche.
Questo squilibrio può derivare da attività fisica, vasospasmo o ostruzione dei vasi derivata da
placca aterosclerotica.
Esistono 3 tipi di angina:
 Angina stabile: fenomeni di dolore toracico frequenti ed esacerbati dallo sforzo fisico o
emotivo, assente a riposo o a seguito di nitroglicerina. Deriva da ateromasia
coronarica.
 Angina instabile: fenomeno a cavallo tra angina stabile ed infarto miocardico. Avviene
in tempi sempre più ravvicinati, dura più tempo e non sparisce col riposo o con la
nitroglicerina. Spesso compare a riposo.
 Angina variante di Prinzmetal: dolore toracico a seguito dello spasmo della
muscolatura liscia coronarica che compromette il flusso ematico al miocardio. Non è
detto che l’arteria in questione sia ateromasica. Viene trattata adeguatamente con
nitroderivati e calcio antagonisti.
Le basi della terapia antianginosa sono:
- Farmaci che riducono il fabbisogno di ossigeno: vasodilatatori, inotropi e cronotropi
negativi (beta-bloccanti e calcio antagonisti)
- Farmaci che aumentano il flusso ematico coronarico: vasodilatatori coronarici (nitrati).
I Nitrati organici sono farmaci che derivano dall’acido nitroso o dall’acido nitrico e sono sotto
forma di semplici esteri o alcoli. I principali usati per l’angina sono 3:
1. NITROGLICERINA
2. ISOSORBIDE DINITRATO
3. ISOSORBIDE MONONITRATO
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Meccanismo d’azione
I nitrati o nitriti svolgono la loro azione a seguito della loro
conversione intracellulare in NO, il quale provoca l’attivazione della
guanilato ciclasi che produce cGMP il quale induce la
defosforilazione della catena leggera della miosina provocando il
rilassamento delle fibre muscolari lisce.
Azioni
 Vasodilatatori coronarici: riducono le resistenze delle arterie
coronarie e quindi sono utili nel trattamento dell’angina
variante e delle altre forme di angina.
 Venodilatatori: azione prevalente sul sistema venoso che
provoca un ristagno maggiore di sangue nei vasi di
capacitanza riducendo il precarico. È evidente che questo
effetto può ripercuotersi negativamente sul cuore quando
c’è un sovradosaggio.
 Ridistribuzione del flusso ematico: viene privilegiato
l’afflusso verso le zone provviste di vasi stenotici e si ha una
miglioramento della perfusione.
 Vasodilatazione periferica: in piccola parte e soprattutto a dosaggi elevati si verifica
una riduzione delle resistenze arteriolari periferiche che possono portare a
ipotensione.
Usi terapeutici:
1. Angina: utilizzati in tutte e 3 le forme di angina ma con particolari attenzioni alle
formulazioni farmaceutiche che differiscono per l’inizio dell’azione e per la durata
dell’azione e questo in casi di angina può rivelarsi fondamentale.
Preparazioni terapeutiche e farmacocinetica
 Nitroglicerina:
o Compresse sublinguali o spray: inizio dell’azione in 2
minuti e durata d’azione per 25 minuti circa. È
fondamentale per trattare le emergenze e gli attacchi
acuti, non si usa nella terapia di mantenimento.
o Orale, a rilascio prolungato: 35 minuti per iniziare
l’azione e durata di 4-8 ore. Scarsamente usata.
o Transdermica: utilizzo di cerotti che vanno applicati in
determinate zone cutanee in modo che il contatto tra la
cute e il cerotto sia massimo (ad esempio evitare le
zone ricche di peli). Questa via agisce in circa 30 minuti
e dura dalle 8 alle 14 ore. È fondamentale nella terapia
di mantenimento
o Set per via endovenosa: viene utilizzato soltanto in
ospedale per le emergenze
 Isosorbide dinitrato:
o Sublinguale: agisce in 5 minuti ed ha una durata di
circa 1 ora
o Orale, a rilascio lento: agisce in 30 minuti e dura 8 ore. Viene utilizzata
essenzialmente questa preparazione per il trattamento di mantenimento
dell’angina. L’isosorbide viene metabolizzata più lentamente ed il suo effetto
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dura quindi più tempo anche perché dalla sua biotrasformazione vengono
prodotti metaboliti che possiedono ancora attività biologica.
 Isosorbide mononitrato:
o Orale, a rilascio lento: azione in 30 minuti e tempo d’azione di 12 ore. È
resistente alla demolizione epatica ed è per questo che dura a lungo. Anche
questa viene usata per la terapia di mantenimento.
La somministrazione di nitroderivati ha una cinetica di ordine zero e di conseguenza deve
essere data in quantità stabili per non provocare un sovraccarico ed un accumulo che
determina conseguenze tossiche. Tipicamente il cerotto transdermico effettua un rilascio
graduato tale da non dare un sovraccarico.
Effetti avversi:
 Cefalea: conseguenza della vasodilatazione meningea
 Astenia ed ipotensione posturale
 Manifestazioni cutanee: sempre associate alla vasodilatazione
 Tachicardia: ad alte dosi il farmaco può provocare una vasodilatazione eccessiva che
attiva il sistema simpatico a produrre noradrenalina che agisce in senso cronotropo e
inotropo positivo aumentando il fabbisogno di ossigeno e potendo paradossalmente
peggiorare l’angina
 Interazione col sildanefil: i 2 farmaci potenziano eccessivamente gli effetti
vasodilatatori e per tale motivo si consiglia un intervallo di almeno 6 ore tra le
somministrazioni.
 Metaemoglobinemia: dosaggi eccessivi provocano ossidazione del ferro con perdita
della capacità di trasporto dell’Hb.
Tolleranza
Alle azioni dei nitroderivati si sviluppa precocemente tolleranza per cui sono necessarie dosi
maggiori per avere gli stessi effetti terapeutici. Questa tolleranza sembra di tipo
farmacodinamico (dipendente dai recettori che si desensibilizzano, come nel caso degli
oppiacei, mentre una tolleranza farmacocinetica si presenta con i barbiturici che inducono gli
enzimi per il loro metabolismo e di conseguenza hanno una maggiore clearance).
In parte si verifica anche una dipendenza di tipo fisico.
Le strategie per evitare la tolleranza sono:
- Mantenere un periodo di tempo al giorno senza nitrati, circa 6-8 ore, tipicamente
notturne in quanto in questo periodo il cuore è sottoposto ad un minore stress.
- Per i cerotti transdermici la somministrazione deve essere fatta per 12 ore, in genere
di notte e al mattino non viene applicato.
- Nell’angina variante di Prinzmetal tuttavia c’è un peggioramento di prima mattina a
causa forse della secrezione di catecolamine circadiane e in questi pazienti l’intervallo
di tempo senza nitrati deve coincidere con il tardo pomeriggio.
I pazienti che continuano ad avere angina con nitroderivati possono trarre giovamento da un
ulteriore approccio farmacologico.
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39. Inquadramento dei farmaci impiegati nelle varie forme di
angina pectoris
I farmaci impiegati in angina pectoris non sempre riescono a
raggiungere un’efficacia terapeutica da soli ma spesso vengono
effettuate terapie multifarmacologiche ed in generale vengono
accoppiate 2 classi differenti di farmaci.
Le 3 categorie di farmaci utilizzati per l’angina sono:
- Nitroderivati
- Beta-bloccanti
- Calcio antagonisti
Esistono delle associazioni più vantaggiose di altre in pazienti sani e
in più in pazienti con altre patologie associate risulta opportuno
applicare una terapia rispetto ad un’altra.
Beta-bloccanti e Nitroderivati
Quest’associazione è ottimale per diversi motivi. Innanzitutto i
nitroderivati sono dei potenti vasodilatatori che quindi riducono la
pressione sanguigna e possono causare tachicardia riflessa, i betabloccanti tamponano quest’effetto visto che bloccano i recettori
beta1 cardiaco con conseguenze inotrope e cronotrope negative.
Inoltre i beta-bloccanti possono favorire la scarica alfa1 adrenergica
verso le coronarie favorendo lo spasmo, ma questo effetto è evitato dai nitroderivati che
permettono una vasodilatazione coronarica mantenuta.
Calcio antagonisti e beta-bloccanti
Quest’associazione è favorevole solo in certi casi. Infatti i beta-bloccanti sono inotropi negativi
e se associati a calcio antagonisti come il verapamil o il diltiazem possono abbassare
eccessivamente la performance cardiaca, per cui l’associazione corretta è beta-bloccante tipo
atenololo associato a nifedipina che è un calcio antagonista diidropiridinico specifico per la
muscolatura vasale e non cardiaca. Inoltre in questo caso l’eccessiva vasodilatazione della
nefedipina viene prevenuta dal beta-bloccante.
Calcio antagonisti e nitroderivati
Questo approccio può essere tentato nei casi di grave vasospasmo non responsivo al calcio
antagonista. Il razionale farmacologico sta nel fatto che il calcio antagonista riduce il
postcarico mentre il nitroderivato riduce il precarico abbassando notevolmente il fabbisogno
di ossigeno del cuore. Questa azione però ha dei limiti nel senso che entrambi i farmaci
inducono vasodilatazione e l’effetto sommato può portare anche ad una tachicardia riflessa
che peggiora l’angina. (In tal caso è meglio usare un calcio antagonista come il diltiazem
piuttosto che la nefedipina).
Terapia tripla
In caso di grave angina da sforzo si può tentare l’approccio triplo che però non è esente da
efetti collaterali anche gravi. Il razionale farmacologico prevede la riduzione del precarico col
nitroderivato, la riduzione del postcarico col calcio antagonista e la prevenzione della
tachicardia riflessa ed eccessiva vasodilatazione con i beta-bloccanti. Tuttavia in questo caso il
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calcio antagonista non deve assolutamente essere il verapamil o il diltiazem in quanto l’effetto
cronotropo ed inotropo negativo si sommerebbe con quello del beta-bloccante.
Nel caso di un paziente con concomitante patologia vengono preferite certe classi
farmacologiche rispetto ad altre:
 Paziente asmatico: non possono essere usati i beta-bloccanti
 Infarto miocardico acuto recente: non possono essere usati i calcio antagonisti
 Diabete: non vengono usati i beta-bloccanti perché peggiorano la tolleranza glucidica
 Ipertensione: i nitroderivati risultano meno efficaci
 Nefropatia cronica: sconsigliati o poco utili i beta-bloccanti
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FARMACI IMPIEGATI PRINCIPALMENTE
NELL’INSUFFICIENZA CARDIACA
CONGESTIZIA
DIGITALICI ED ALTRI INOTROPI
40. Farmaci inotropi: classificazione, meccanismi d’azione,
impieghi terapeutici ed effetti indesiderati
I farmaci inotropi sono una classe di farmaci impiegati essenzialmente nell’insufficienza
cardiaca congestizia per aumentare la performance cardiaca stimolando la contrattilità.
L’insufficienza cardiaca è una condizione in cui il cuore non è più in grado di pompare sangue
in maniera adeguata ai tessuti periferici a seguito di diversi possibili patologie che intaccano il
suo normale funzionamento. La perfusione può essere adeguata solo a costo di un aumento
delle pressioni, in tal caso si parla di insufficienza cardiaca compensata.
Nel momento in cui i meccanismi fisiologici di compenso non sono più validi per aggiustare la
performance e, anzi, riducono la funzionalità cardiaca stessa si parla di insufficienza cardiaca
scompensata.
Il sistema mette in atto 3 diversi meccanismi di riparazione ad uno scompenso:
1. Attivazione del sistema nervoso simpatico: a seguito della riduzione pressoria nei
barocettori aortici e carotidei. Con ciò si ha un aumento dell’inotropismo e della
frequenza cardiaca e in più si ha vasocostrizione periferica in modo da stimolare
l’aumento di postcarico e di precarico per favorire una maggior efficacia muscolare.
Tuttavia con il passare del tempo questo effetto risulta negativo (mentre all’inizio è
utile per il compenso) in quanto il cuore è sovraccaricato.
2. Attivazione dell’asse RAA: conseguente alla riduzione della perfusione renale e
all’attivazione simpatica si ha liberazione di renina e conseguente aumento delle RVP e
ritenzione idrica che rispettivamente aumentano sia il postcarico che il precarico. A
lungo andare sovraccaricano il cuore.
3. Rimodellamento miocardico: sostituzione progressiva di miociti con tessuto fibrotico
ed ipertrofia del miocardio. Le cavit{ diventano globose e l’ipertrofia parietale
associata alla distensione eccessiva non consentono a lungo andare un’eiezione
efficiente.
Il sistema cardiaco può essere aggiustato attraverso meccanismi farmacologici ed in tal caso
gli inotropi sono efficienti nel ripristinare parzialmente l’azione del cuore mediante un
aumento della capacità contrattile. Le altre classi di farmaci favoriscono la riduzione del
fabbisogno di ossigeno del cuore e i sintomi sistemici come edemi, dispnea e astenia (diuretici,
beta-bloccanti, ACE-I e sartani e in parte vasodilatatori diretti che ricoprono un ruolo del tutto
marginale). Nel complesso i farmaci contro l’ICC hanno come target terapeutico la
diminuzione dei sintomi, rallentare la progressione della malattia e favorire la sopravvivenza
riducendo la mortalità per cause cardiache.
Tra gli inotropi possiamo distinguere 3 classi
- Digitale
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-
Agonisti β adrenergici
Inibitori della fosfodiesterasi
DIGITALE
I farmaci digitalici sono detti anche glucosidi digitalici e devono il loro nome alla derivazione
dalla pianta digitale.
Questi farmaci potenziano l’attivit{ contrattile cardiaca ma hanno un indice terapeutico molto
basso e pertanto c’è una sovrapposizione tra dose efficace e dose tossica e l’intervallo
terapeutico è molto ristretto.
I principali farmaci sono:
 DIGOSSINA
 DIGITOSSINA
 BETA-METIL DIGOSSINA (analogo semisintetico della digossina)
Meccanismo d’azione
Questi farmaci agiscono modificando il potenziale elettrico della cellula miocardica in quanto
vanno a bloccare la pompa Na/K-ATPasi. La pompa svolge la funzione di mantenimento del
potenziale di riposo della cellula. In questo modo aumenta la concentrazione intracellulare di
sodio che entra dall’esterno seguendo il gradiente di concentrazione. Il calcio è il principale
responsabile della contrazione legandosi all’actina e qualsiasi situazione che fa aumentare il
calcio intracellulare libero provoca un aumento di inotropismo. I digitalici determinano un
aumento di contrattilit{ perché il calcio viene normalmente estruso dall’interno della cellula a
fine contrazione da diversi meccanismi (scambiatore Na/Ca; captazione attiva da parte del
mitocondrio e del reticolo sarcoplasmatico) e l’incremento di sodio derivato dal blocco della
pompa riduce il gradiente necessario per spingere il sodio dentro la cellula e il calcio fuori
dalla cellula e di conseguenza si avrà un maggior ristagno di calcio nell’ambiente
intracellulare che causa un marcato aumento di contrattilità.
In secondo luogo l’aumento di contrattilit{ provoca un aumento della gittata, una riduzione
della scarica simpatica e una diminuzione dell’asse RAA e di conseguenza si avr{ anche una
riduzione del fabbisogno d’ossigeno.
Azioni
La digossina è sicuramente il farmaco più utilizzato e favorisce la contrazione miocardica.
Usi terapeutici
1. Insufficienza cardiaca congestizia: la digossina è indicata nei pazienti con forte
disfunzione sistolica ventricolare sinistra che hanno già iniziato un trattamento con
diuretici, ACE-I e beta-bloccanti. Non è indicata in pazienti con IC diastolica o del cuore
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destro. Nei pazienti con insufficienza cardiaca lieve e moderata di solito non si
presenta la necessità di digossina visto che essi rispondono bene con diuretici ed ACE-I
Farmacocinetica
La digossina ha un’emivita molto breve e questo la rende utile perché sono ridotti i rischi di
effetti avversi a differenza della digitossina che ad oggi non viene più usata a causa
dell’elevata incidenza di reazioni collaterali. Inoltre la digossina ha anche un inizio dell’azione
molto breve e questo la rende disponibile ed utilizzabile nei casi di emergenza. Ci vorrà un
tempo corrispondente a circa 5-6 volte il T di emivita per raggiungere lo steady state ed un
tempo analogo per il wash out.
La digossina è idrofila e come tale viene eliminata direttamente nelle urine, mentre la
digitossina è ampiamente metabolizzata dal fegato e i suoi metaboliti possono avere effetti
tossici. Inoltre la digossina ha uno scarso tasso di legame con le proteine plasmatiche a
differenza della digitossina.
Effetti avversi
Esistono diversi effetti collaterali a seguito del trattamento con digitale e si parla spesso di
tossicità:
 Effetti cardiovascolari: l’effetto principale è un’aritmia progressivamente più severa in
funzione delle dosi che va da una diminuzione o blocco della conduzione del nodo AV,
alla tachicardia parossistica sopraventricolare, alla conversione di un flutter atriale in
una fibrillazione atriale, depolarizzazione ventricolare prematura, fibrillazione
ventricolare ed infine arresto cardiaco completo. Questo effetto pro-aritmico dipende
dalla stimolazione del tessuto di conduzione che viene anch’esso interessato
dall’aumentata conduttanza al calcio e risponde in modo anomalo.
 Effetti gastrointestinali: la digitale va ad agire sul centro chemocettore e provoca
nausea e vomito.
 Effetti sul SNC: cefalea, affaticamento, confusione, visione
offuscata, alterazione della percezione dei colori (xantopsia = visione
di colore giallo alterato con aloni scuri attorno).
Fattori predisponenti per la tossicità da digossina:
 Ipokaliemia: con concentrazioni plasmatiche basse di potassio
si verifica un’accentuazione della tossicit{ da digossina e quindi in
concomitanza con diuretici tiazidici, diuretici dell’ansa, corticosteroidi.
 Ipomagnesiemia e ipercalcemia
 Farmaci: amiodarone, chinidina, verapamil possono interferire
col legame con le proteina plasmatiche e aumentare la concentrazione
di digossina libera oppure interferiscono con l’eliminazione renale
 Ipotiroidismo, ipossia, insufficienza renale e miocardite.
Il paziente trattato con digossina è necessario che venga monitorato
adeguatamente e se insorge un possibile effetto collaterale del farmaco per differenziarlo da
un’altra situazione patologica è opportuno controllare i livelli di kaliemia e fare esami della
tiroide.
I livelli minimi efficaci di digossina sono 0,5-1 ng/mL. Si parla di effetti tossici quando si
superano i 2 ng/mL. Studi più recenti suggeriscono però un abbassamento del range ideale tra
0,5 e 0,8 ng/mL.
In un trial clinico in cui pazienti venivano trattati col placebo ed altri con la digossina non si è
assistito ad un declino della mortalità per cui si può affermare che la digossina non incide
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sull’aumento dell’aspettativa di vita, tuttavia si è visto che riduce nettamente
l’ospedalizzazione e quindi migliora la qualit{ di vita.
BETA AGONISTI
La DOBUTAMINA è il componente principale di questa classe di farmaci. Essa è l’agente
inotropo più usato dopo la digitale. Essa causa un aumento delle concentrazioni di cAMP
all’interno della cellula cardiaca, il quale d{ inizio ad una cascata fosforilativa che culmina
nella fosforilazione tramite una proteina chinasi del canale del calcio voltaggio dipendente che
si apre. In questo modo viene favorita la contrazione.
Essa viene somministrata per via endovenosa ed è utilizzata nel trattamento dell’ICC acuta in
ambiente ospedaliero.
INIBITORI DELLA FOSFODIESTERASI
Farmaci come il MILRINONE e l’AMRINONE sono utilizzati come inotropi sfruttando il loro
meccanismo di inibizione dell’enzima che degrada il cAMP ad AMP e di conseguenza vengono
incrementati i suoi livelli plasmatici che contribuiscono alla fosforilazione del canale del calcio
e all’ingresso dell’elettrolita nella cellula. Una terapia prolungata con questa classe di farmaci
si è visto che porta ad un incremento del tasso di mortalità, può essere utilizzata nel corso di
brevi trattamenti.
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FARMACI IMPIEGATI PRINCIPALMENTE
NELLE ARITMIE CARDIACHE
ANTIARITMICI DELLE CLASSI I-IV E ALTRI
41. Classificazione dei farmaci antiaritmici: impieghi
terapeutici e principali effetti indesiderati
Il cuore è dotato di una capacità
autonoma di generare l’impulso che
permette la contrazione del muscolo
e anche di trasportare questo
impulso attraverso un sistema di
conduzione verso tutte le porzioni
miocardiche.
Ogni qualvolta il sistema di genesi
dell’impulso o il sistema di
conduzione dell’impulso subiscono
dei danni o non risultano efficienti si
hanno dei disturbi del ritmo che
possono essere di diversa entità e
tipologia e contribuiscono al danno
cardiaco in base principalmente alla
posizione in cui si verificano.
Le basi su cui agiscono i farmaci antiaritmici sono essenzialmente l’ostacolo al verificarsi di
aritmie interagendo con i sistemi ionici di trasporto elettrolitico che sono i responsabili
dell’intero processo ritmico e contrattile del cuore.
Le aritmie possono suddividersi in 2 grandi gruppi dal punto di vista eziologico:
1) Aritmie che derivano da disturbi dell’automatismo (genesi dell’impulso)
a. Esaltato automatismo
b. Attività triggerata (post-potenziali)
2) Aritmie che derivano da disturbi della conduzione
a. Fenomeni di rientro
I disturbi dell’automatismo si verificano ogni volta che un focus ectopico di automatismo
prende il sopravvento sul controllore generale
che è il nodo SA, oppure se esistono problemi
intrinseci anatomici o funzionali nel nodo SA
che non gli permettono di mantenere una
frequenza di scarica elevata tale da controllare
gli altri foci di automatismo. Situazioni di
aumentato automatismo anomalo si verificano
anche in seguito a ischemia in quanto il
tessuto ischemico resta depolarizzato in
diastole visto che non possiede la pompa
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sodio-potassio attiva e quindi è più facile che un lieve stimolo porti il sistema al potenziale
soglia e a scaricare. Tuttavia bisogna tenere presente che esistono normalmente situazioni di
aumentato automatismo fisiologico come un aumento di scarica simpatica che attiva i
recettori beta e aumenta la frequenza.
Un altro disturbo della genesi dell’impulso è la presenza di post-potenziali che si verificano al
termine di un normale ciclo contrattile a livello della tarda fase 3 o della fase 4. Queste
situazioni si possono avere a seguito di un impulso di una certa entità che trova le fibre in uno
stato di periodo refrattario relativo e quindi eccitabili solo da un impulso potente. Queste fibre
miocardiche vanno incontro quindi ad un nuovo potenziale d’azione che viene definito:
- PPP: post-potenziale precoce (dopo 230 ms in fase 3) favoriti da ipokaliemia,
bradicardia e prolungamento della durata del potenziale d’azione.
- PPT: post-potenziale tardivo (dopo 300 ms e quindi in fase 4 dopo il normale ciclo)
sono favoriti da ipercalcemia e tachicardia. Anche la tossicità da digitale tende a dare
queste forme.
I farmaci utilizzati in questi casi sopprimono l’automaticit{ andando a bloccare i canali del
sodio o del calcio determinando così una riduzione della pendenza di depolarizzazione in fase 4
e/o facendo aumentare la soglia di scarica a un valore meno negativo. Il risultato dell’azione di
tali farmaci è una diminuzione della frequenza di scarica.
I disturbi della
conduzione vedono il
principale
responsabile nei
fenomeni di rientro
che sono situazioni in
cui si verifica un
blocco unidirezionale
di una via di
conduzione biforcata
(tipica situazione
delle fibre di
conduzione del
Purkinje).
Normalmente lo
stimolo viaggia in
entrambe le direzione della biforcazione. Se si verifica un blocco unidirezionale di una delle 2
vie a causa di aumento della refrattarietà o ad esempio per un infarto in quella zona, si ha la
possibile propagazione dell’impulso lungo una sola via in andata, tuttavia se la via di ritorno
della branca bloccata non è disattivata allora il primo impulso propagato nella prima fibra
risale la fibra bloccata in senso inverso e può causare un nuovo potenziale d’azione
determinando una contrazione anomala e impropria se questa zona non è più nel periodo
refrattario assoluto.
Esiste anche un tipo di rientro dovuto alla presenza di una via anomala anatomica
costantemente attivata che mette in comunicazione due porzioni del miocardio e scarica
indisturbata, non può essere trattata con i farmaci. È il tipico esempio della sindrome di WolffParkinson-White.
I farmaci utilizzati a tale scopo impediscono il rientro aumentando il periodo refrattario
effettivo e/o riducendo la velocità di conduzione in modo da convertire il blocco unidirezionale
in blocco bidirezionale. Infatti a tale scopo si utilizza la lunghezza d’onda dell’impulso di
rientro e si cerca di ridurre la velocit{ di conduzione. Infatti la wave length (fronte d’onda)
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presenta un’area (gap) in refrattariet{ assoluta, un’area eccitabile ed un’area in refrattariet{
relativa e lo scopo della terapia farmacologica è quello di abbassare la WL in modo tale da
riuscire a far collidere la testa del circuito di rientro con la coda elidendo così l’intero
fenomeno. Infatti in questo modo l’area iniziale depolarizzata si trover{ ancora in uno stato
refrattario a causa dell’allungamento del potenziale d’azione e non potr{ essere utile per
produrre un’ulteriore contrazione anomala.
Lo standard terapeutico del rientro è appunto ridurre la WL.
WL = velocità di conduzione x periodo refrattario effettivo (Vc x ERP)
WL = 0,25 sec x 120 cm/sec = 30 cm
Quindi si può agire sulla velocità di conduzione o sul ERP.
La Vc è un problema in quanto non esistono specifici farmaci che aumentino la velocità di
conduzione.
I farmaci attivi per aumentare ERP sono gli antiaritmici di classe III tra cui l’amiodarone in
primis perché essi abbassano la corrente in uscita del potassio in fase 3 prolungando il
potenziale d’azione nelle cellule a risposta rapida e quindi anche il ERP e di conseguenza il
WL. Gli antiaritmici di classe 1 invece favoriscono il rientro perché causano una riduzione
della velocità di conduzione.
Quest’ultima situazione è quella che si è verificata in uno studio effettuato su pazienti postinfartuati trattati alcuni con antiaritmici di classe I e altri con placebo in cui si verificò un
risultato negativo perché i pazienti trattati con antiaritmico presentavano un’aumentata
incidenza di mortalità. Questo quindi si spiega con il fatto che questa classe abbassa in modo
sconveniente la Vc.
In ogni caso però anche l’amiodarone non è del tutto sicuro in quanto aumenta il tratto QT del
tracciato ECG e di conseguenza espone ad un rischio maggiore di aritmie derivate da postpotenziali trigger, tipicamente le torsioni di punta.
Classificazione dei farmaci antiaritmici
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Questa classificazione presenta dei limiti in quanto non vengono compresi altri antiaritmici
come la digossina e l’adenosina e inoltre è impossibile riuscire a catalogare i singoli farmaci
secondo un meccanismo d’azione unico visto che molteplici usano diverse modalit{ d’azione.
Classe I
Questa si divide ulteriormente in 3 sottoclassi in base all’affinit{ del legame con il recettore e
alla velocit{ dell’interazione.
In generale a questa categoria appartengono farmaci che agiscono sui canali del sodio
bloccandoli e di conseguenza determinano una riduzione della velocità di elevazione della
fase 0 del potenziale d’azione. Essi quindi diminuiscono la velocit{ di conduzione e
l’eccitabilità.
Il loro utilizzo è andato via via diminuendo nel tempo in quanto essi possiedono un effetto
aritmico intrinseco soprattutto nei pazienti con cardiopatia ischemica e ridotta funzionalità
del ventricolo sinistro.
L’affinit{ di questi farmaci ai canali del sodio viene definita dipendente dall’uso o dallo stato e
con ciò si identifica la proprietà di tali farmaci di legarsi con maggiore affinità ai canali del
sodio in stato attivato o inattivato, l’affinit{ nei confronti della forma a riposo è minima. Ciò
permette una maggior efficacia terapeutica nelle porzioni di miocardio che hanno un elevato
automatismo lasciando indenni le altre che hanno canali del sodio a riposo in diastole.
Pertanto questa classe farmacologica è molto attiva sulle aritmie da aumentato automatismo
anomalo.
Variabili da considerare nel binding con il canale del sodio sono la frequenza cardiaca
(maggiore è e più grande sar{ l’efficacia) e l’ischemia (infatti il tessuto ischemico parzialmente
depolarizzato con questi farmaci che riducono la velocità di conduzione può inescare circuiti
di rientro).
I farmaci di classe IA il cui prototipo è la chinidina hanno la capacità di abbassare la velocità
di conduzione, aumentare il potenziale d’azione e aumentare il periodo refrattario effettivo, in
più riducono la polarizzazione massima (Vmax).
Possiedono una velocità di interazione con i canali del sodio intermedia, così come la capacità
di distacco del legame. Tempo di recupero dal blocco da 1 a 10 secondi.
I farmaci di classe IB i cui prototipi sono la lidocaina e la mexiletina hanno scarsi effetti sulla
velocità di conduzione e esplicano il loro ruolo nella riduzione della fase 3 del potenziale
d’azione accorciando il potenziale d’azione e in particolare la fase della ripolarizzazione. Non
interferiscono con Vmax. Hanno un’interazione rapida con i canali del sodio. Tempo di
recupero dal blocco minore di 1 sec.
I farmaci di classe IC il cui prototipo è la flecainide hanno ampi effetti di riduzione della
velocità di conduzione ma scarso effetto sulla durata del potenziale d’azione e sul periodo
refrattario effettivo. Si legano lentamente ai canali del sodio. Tempo di recupero dal blocco
maggiore di 10 secondi. Riducono Vmax.
In base al tempo di recupero dal blocco si stabilisce anche la proprietà del farmaco di essere
inotropo negativo (in tal caso il gruppo IC è il più efficace in questo effetto).
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CHINIDINA (IA)
Meccanismo d’azione: blocco dei canali del sodio allo stato attivato o
inattivato rallentando la sopraelevazione del la fase 0. Riduce anche la
pendenza della depolarizzazione spontanea in fase 4. Causa sospensione
terapia nel 30% dei casi.
Azioni:
- Classe I: inibisce le aritmie ectopiche e le aritmie ventricolari
causate da un incremento di automaticità normale. Il
potenziamento del PRE favorisce anche l’eliminazione del circuito
di rientro.
- Classe III: lieve effetto sulla corrente del potassio che viene ridotta
e causa quindi allungamento del potenziale d’azione.
- Vagolitico: aumento della frequenza cardiaca e della velocità di
conduzione (effetto che si vede principalmente nei soggetti
normali)
- Alfa-bloccante: promuove la vasodilatazione, la velocità di
conduzione AV, la frequenza cardiaca e l’attivazione simpatica
riflessa
- Antimalarico
Pertanto l’effetto complessivo sulla velocit{ di conduzione è variabile
mentre allunga la durata del complesso QRS e QT potendo causare attività
trigger.
Usi terapeutici: tachiaritmie atriali, giunzionali AV e ventricolari. Utile
anche dopo cardioversione della fibrillazione atriale o del flutter atriale (associata però
sempre a digitalici, beta-bloccanti e verapamil)
Farmacocinetica: il farmaco è assorbito rapidamente dopo somministrazione orale e va
incontro a metabolismo da parte del fegato, eliminato pe via renale. Se viene data 300-600 mg
ogni 6 ore si ottiene uno steady state dopo 24-48 ore.
Azioni avverse:
 Cardiologici: bradicardia o disturbi di conduzione AV, si tratta quindi di un farmaco
anche proaritmico. In più è in grado di dare tachiaritmie e in particolare torsioni di
punta, le quali possono anche sfociare in tachicardia ventricolare e fibrillazione
ventricolare fatale. Tali effetti sono aggravati dall’ipokaliemia.
 Gastroenterologici: nausea, vomito, diarrea
 Cinconismo: serie di sintomi derivati dall’assunzione di tale sostanza che deriva da una
pianta, si parla di offuscamento della visione, tinnito, cefalea, psicosi e
disorientamento.
 Interazioni con la digossina: spiazzamento dei recettori per la digossina e antagonismo
renale, la conseguenza è un aumento della digossina circolante.
 Ematologici: trombocitopenia e anemia emolitica.
PROCAINAMIDE (IA)
Farmaco simile alla chinidina, è un derivato dall’anestetico procaina. È somministrato per via
orale, meglio non infusione endovenosa perché può determinare ipotensione. Il metabolismo
epatico porta alla formazione dell’intermedio NAPA che ha scarso effetto sulla polarizzazione
massima, ma aumenta la durata del potenziale d’azione. È eliminata dal rene.
Può dare numerosi effetti collaterali e tossici: aritmie, asistolia, effetti sul SNC e reazione
simil-lupus nel 25-30% dei soggetti.
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DISOPIRAMIDE (IA)
Farmaco con azioni molto simili alla chinidina. Possiede effetto inotropo negativo accentuato
rispetto alle precedenti ed ha anche un’azione vasocostrittrice. Bisogna fare molta attenzione
nei pazienti con ICC che già hanno una ridotta performance cardiaca.
Viene somministrata per via orale e escreta immodificata dai reni.
Incidenza elevata di effetti avversi come azioni anticolinergiche (secchezza delle fauci,
offuscamento della vista, ritenzione urinaria, stipsi). Insieme alla procainamide è molto poco
utilizzata rispetto alla chinidina a causa dei suoi effetti avversi considerevoli.
LIDOCAINA (IB)
Farmaco anestetico che provoca una riduzione della fase 3 ed una
diminuzione della durata del potenziale d’azione e pertanto è poco utile
nelle aritmie sopraventricolari o giunzionali visto che non ha effetti
considerevoli sulla velocità di conduzione. Viene usata principalmente per
trattare le aritmie ventricolari derivate da un automatismo anormale
soprattutto nei pazienti con ischemia miocardica in quanto non esalta i
fenomeni di rientro visto che il tratto QT rimane normale. Il farmaco è
somministrato per via endovenosa perché la biodisponibilità orale è molto
bassa. Il farmaco è eliminato dal fegato.
L’indice terapeutico è buono a differenza della maggior parte degli altri
antiaritmici, tuttavia non è priva di effetti collaterali soprattutto a carico
del SNC (sonnolenza, confusione, agitazione, parola inceppata,
convulsioni).
FLECAINIDE (IC)
Dissociandosi lentamente dai canali ha effetti considerevoli anche come
inotropo negativo.
Viene usato solo in certe condizioni di aritmia ventricolare refrattaria agli
altri trattamenti. Sopprime la sopraelevazione rapida della fase 0 e rallenta la conduzione in
tutto il cuore. Ha effetto minore sulla durata del PA e del PRE. L’automaticit{ è ridotta
soprattutto per aumento del potenziale soglia. È data per via orale. Può aggravare aritmie
preesistenti e inoltre è vietata nell’insufficienza cardiaca.
Classe II
Questa classe comprende i beta-bloccanti che hanno anche uno scopo antiaritmico in quanto
diminuiscono la depolarizzazione della fase 4 e quindi deprimono l’automaticit{, prolungano
la conduzione AV e riducono la frequenza e la contrattilità.
I principali sono il PROPRANOLOLO, il METOPROLOLO e l’ESMOLOLO.
Azione:
- Effetti elettrofisiologici e miocardici: riduzione minima della velocità di
depolarizzazione e della durata del PA; diminuzione del periodo refrattario;
abbassamento della contrattilità.
- Effetti elettrocardiografici: riduzione della frequenza sinusale, aumento della durata
PR, normalità QRS, riduzione QT.
Gli effetti sono sostanzialmente indiretti e derivati da una sospensione dell’attivazione
adrenergica.
Vengono indicati nelle tachicardie sopra e ventricolari a seguito di attivazione adrenergica.
Trovano un particolare impiego nel post-infartuato.
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ClasseIII
Classe di composti di cui il principale è l’amiodarone. Questi farmaci hanno selettività per i
canali del potassio e inducono un blocco di essi in modo tale da prolungare la fase 3 di
ripolarizzazione. Essi dunque determinano un’aumento della durata del periodo refrattario e
del potenziale d’azione, la velocit{ di conduzione è ridotta in parte. Hanno tutti la potenzialit{
di indurre aritmie.
AMIODARONE
Si tratta di un farmaco lipofilo che contiene iodio.
Meccanismo d’azione: bloccante dei canali del potassio, ma non solo in quanto possiede
molteplici azioni differenti.
Azioni:
 Antiaritmico tipo III: riduce la depolarizzazione o la lascia
invariata, aumenta molto il PRE e aumenta il PA, abbassa la
velocità di conduzione. A livello elettrocardiografico si
manifesta un allungamento del tratto QT e QRS e anche PR. La
frequenza è ridotta.
 Bloccante fase 0
 Alfa e beta-bloccante: lieve azione vasodilatatrice centrale e
inotropa negativa.
 Calcio antagonista
 Inibitore di T3 e T4
Usi terapeutici: trattamento delle gravi tachiaritmie refrattarie
ventricolari e sopraventricolari. La sua utilità cinetica è limitata dalla
tossicità. Usato anche dopo cardioversione e come prevenzione della
morte improvvisa in pazienti con cardiomiopatia ipertrofica e nel postinfarto.
Farmacocinetica: biodisponibilità orale del 40-70%, l’inizio degli
effetti clinici si verifica con le attività beta-bloccanti entro 5-10 giorni,
mentre per le attività antiaritmiche servono come minimo 5-6
settimane. Ha un’emivita lunghissima dai 13 ai 103 giorni e la posologia
vede una dose da carico di 0,8-1,2 g/die per 2 settimane seguita da terapia di mantenimento
di 0,2 g/die per 5 giorni ogni settimana. La dose da carico in genere viene somministrata per
via endovenosa per raggiungere più rapidamente il volume di distribuzione e la dose di
mantenimento viene regolata in base alla clearance.
Il metabolismo epatico provoca un metabolita attivo detto desetilamiodarone.
Nel miocardio si ottiene una concentrazione maggiore 10-50 volte quella plasmatica.
Il 50% del farmaco viene eliminato subito entro 5-6 giorni dalla sospensione dagli organi
maggiormente perfuso e il resto nei successivi 25-120 giorni da tutti i tessuti.
Il farmaco viene accumulato in altri organi tra cui polmoni, fegato, tessuto adiposo, cute e
cornea.
Effetti avversi: sono numerosissimi e più della metà dei pazienti che iniziano il trattamento
subiscono effetti avversi così intensi da dover sospendere la somministrazione:
 Fibrosi polmonare (rara con meno di 300mg/die)
 Epatopatia (movimento degli enzimi epatici e raramente cirrosi)
 Cutanei (fotosensibilizzazione e cute bluastra da accumulo di iodio)
 Microdepositi corneali
 Ipertiroidismo / Ipotiroidismo
 Disturbi gastroenterici
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 Bradiaritmie e tachiaritmie (rare)
 Sintomi neurologici (tremori, atassia, capogiri, neuropatia, debolezza muscolare)
Si è visto inoltre che l’amiodarone non riduce l’incidenza di morte improvvisa né prolunga la
sopravvivenza in pazienti con ICC.
SOTALOLO
Si tratta di un farmaco dotato di un’intensa attivit{ anche beta-bloccante. Infatti esso si
presenta sotto forma di 2 stereoisomeri: il D-Sotalolo è un esclusivo antiaritmico, l’L-Sotalolo
è un antiaritmico e in più ha attività beta-bloccante.
Meccanismo d’azione: oltre al tipico meccanismo beta-bloccante si ottiene anche un
riduzione della corrente in uscita del potassio e pertanto si ha un effetto di aumento del
potenziale d’azione e soprattutto della durata della fase 3 di ripolarizzazione, allungando
anche il PRE.
Azioni: riduzione dell’inotropismo e della cinesi, effetto antiaritmico
Usi terapeutici: profilassi delle tachiaritmie parossistiche sopraventricolari; mantenimento
del ritmo sinusale dopo cardioversione di flutter/fibrillazione atriale; tachiaritmie
ventricolari minacciose o sintomatiche.
Effetti avversi: questo farmaco ha la più bassa incidenza di effetti avversi in assoluto, tuttavia
come tutti i farmaci che allungano il tratto QT si può avere un’aritmia come la torsione di
punta che può rivelarsi anche molto pericolosa.
DOFETILIDE
Si tratta di un farmaco principalmente utilizzato per trattare la fibrillazione atriale ed è uno
dei farmaci indicati per trattare questa patologia insieme ai beta-bloccanti e all’amiodarone. È
consigliato anche nei pazienti con aritmie e insufficienza cardiaca o coronaropatia e
scompenso del ventricolo sinistro. L’uso è limitato a pazienti ricoverati vista l’ampia variet{
ed entit{ di effetti avversi. Ha un’emivita di 10 ore e l’escrezione è principalmente con le
urine.
Classe IV
Questa classe è costituita dai calcio antagonisti ossia quei farmaci che bloccano i canali del
calcio e quindi saranno maggiormente interessati quei tessuti che sono dipendenti dalle
correnti del calcio per depolarizzarsi (tessuto di conduzione e nodi).
Azioni: vengono usati i farmaci non diidropiridinici come il VERAPAMIL e il DILTIAZEM che
possiedono diverse attività:
- Riduzione della frequenza
- Riduzione delle resistenze periferiche
- Riduzione delle resistenza coronariche
- Diminuzione della velocità di conduzione
- Riduzione di contrattilità.
Questi farmaci sono maggiormente attivi quando i canali sono attivati e quindi nei casi di
aumentata frequenza cardiaca.
Usi terapeutici: questa categoria è efficace nel trattare le tachiaritmie sopraventricolari visto
che riduce la velocità di conduzione e agisce molto sui tessuti a risposta lenta come il nodo SA.
Sono molto utili nel trattare la tachicardia sopraventricolare rientrante e per diminuire la
frequenza ventricolare nel flutter e nella fibrillazione atriale.
Farmacocinetica: il verapamil e il diltiazem sono assorbiti bene per via orale. Il verapamil
subisce un ampiio metabolismo epatico per cui quando esistono problemi a livello epatico è
giustificato aggiustare la posologia.
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Effetti avversi: controindicati nei pazienti con insufficienza cardiaca congestizia a causa del
loro effetto inotropo negativo. Possono causare diminuzione della pressione arteriosa per
vasodilatazione periferica responsabile anche di cefalea, edemi periferici e reazioni cutanee.
Altri farmaci antiaritmici
DIGOSSINA
Essa ha un’azione di riduzione del PRE sia sul miocardio atriale che ventricolare mentre ha
azione opposta sulle fibre del Purkinje e ciò permette di sfruttare l’uso di questo farmaco per
regolare la frequenza di risposta ventricolare agli impulsi provenienti da flutter o fibrillazione
atriale. A dosi tossiche può dare anche tachicardia e fibrillazione ventricolare.
ADENOSINA
È un nucleoside naturale che ad alte dosi ha azione di aumentare il periodo refrattario
effettivo, il potenziale d’azione e ridurre la velocit{ di conduzione principalmente a livello del
nodo AV. Per questo motivo è uno dei trattamenti di scelta per la tachiaritmia
sopraventricolare acuta per via endovenosa. Ha bassa tossicità ma causa vampate, dolore
toracico e ipotensione. Durata d’azione molto breve (15 secondi).
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FARMACI ANTIIPERLIPIDEMICI
ANTIIPERLIPIDEMICI
42. I farmaci impiegati per il trattamento delle iperlipidemie:
meccanismi d’azione, impieghi terapeutici ed effetti
indesiderati
I livelli sierici di lipoproteine condizionano profondamente la performance coronarica e
sembrano i principali responsabili degli accidenti cardiovascolari in quanto induttori e
propagatori della placca ateromasica. I livelli di colesterolo elevati sono proporzionali
all’incidenza di malattie coronariche e pertanto gli eccessi di colesterolo e trigliceridi
plasmatici devono essere combattuti.
Esistono 2 modalit{ per ottenere un miglioramento dell’assetto lipidico di un paziente:
- Terapia non farmacologica: è il primo step in tutti i casi, fondamentale è l’esercizio
fisico e il mantenimento di una dieta povera di colesterolo e di acidi grassi in
particolare saturi. È consigliata una dieta ricca di acido oleico e linoleico, una riduzione
dell’apporto calorico nelle persone in sovrappeso e una preferenza nel consumo di
carboidrati complessi, frutta e verdura.
- Terapia farmacologica: diversi approcci farmacologici possono essere tentati per
ridurre il rischio cardiovascolare ma di solito questa terapia ha inizio solo se il paziente
non trae beneficio dalla terapia non farmacologica oppure se non è disposto ad iniziare
una dieta o l’esercizio fisico. È comunque sempre necessario associare dieta ed
esercizio fisico per ridurre il rischio. Il tipo di terapia va adeguata ai livelli sierici di
colesterolo e trigliceridi.
Il target terapeutico dei farmaci ipocolesterolemizzanti è la riduzione del colesterolo
LDL plasmatico a concentrazioni accettabili e che riducono fortemente il rischio di
cardiopatia ischemica.
I lipidi
nell’organismo
sono presenti
sotto forma di
aggregati
lipoproteici
detti
lipoproteine
formate da un
core lipidico ed
una periferia fatta di fosfolipidi in cui sono immerse proteine specifiche che identificano i
composti e responsabili del riconoscimento recettoriale.
I chilomicroni sono le lipoproteine più voluminose e ad alto contenuto di TG prodotte
dall’intestino con i lipidi della dieta. Vanno in circolo e sono catturati dai tessuti periferici che
con la lipoproteina lipasi scindono i TG in acidi grassi che vengono internalizzati nelle cellule e
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
utilizzati come riserva energetica (tessuto adiposo) o per produrre ATP (muscolo). I residui
tornano al fegato.
Le VLDL hanno un elevato contenuto di trigliceridi e sono prodotte dal fegato utilizzando i TG
neosintetizzati e i residui lipidi
provenienti dai resti dei
chilomicroni. Vanno in circolo e si
privano progressivamente di TG
che vengono lasciati ai tessuti e si
formano dunque le IDL ed infine le
LDL che hanno una massima
concentrazione di colesterolo e suoi
esteri. Esse si vanno a legare ai
recettori specifici per le LDL
presenti sul fegato ma anche nei
tessuti periferici e proprio qui sono
responsabili del danno
aterosclerotico.
Le HDL giocano un ruolo inverso
perché vengono prodotte dal fegato
e inviate in circolo per catturare il
colesterolo in eccesso e riportarlo
al fegato in modo che venga
degradato.
Il rischio cardiovascolare è
direttamente proporzionale ai
livelli di LDL ed inversamente
proporzionale a quelli di HDL.
Per valutare il rischio complessivo
di un paziente si procede ad una
rilevazione ematica di:
- Trigliceridi
- Colesterolo totale
- Colesterolo HDL
Il colesterolo LDL si ricava attraverso la formula di Friedewald:
LDL = colesterolo TOT – (HDL + VLDL) con le VLDL che sono considerate il 20% dei
trigliceridi totali in un paziente in cui i TG sono meno di 200 mg.
Le cause di iperlipidemia possono essere sia esogene (dieta, obesità, mancanza di attività
fisica) che endogene cioè derivate da problemi genetici (iperlipidemie familiari). Nella
maggior parte dei casi però si sommano i fattori ambientali a quelli genetici.
Nei pazienti in cui oltre all’iperlipidemia esistono altri fattori predisponenti per rischio
cardiovascolare (fumo, ipertensione, diabete) devono essere iniziate terapie più aggressive.
I farmaci normalmente utilizzati nel trattamerto delle iperlipidemie sono:
- Statine
- Fibrati
- Acido nicotinico
- Resine
- Inibitori dell’assorbimento del colesterolo
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
Le statine sono i principali farmaci che permettono una riduzione del colesterolo LDL, mentre
i fibrati sono i principali farmaci che riducono i livelli di trigliceridi.
Statine
I farmaci utilizzati di questa classe sono:
- SIMVASTATINA : farmaco capostipite, più lipofila e formata da un anello lattonico che
viene idrolizzato per ottenere il farmaco attivo
- LOVASTATINA: anch’essa ha un anello lattonico
- PRAVASTATINA : è la più idrofila ed è attiva come tale
- FLUVASTATINA: idrofila e attiva come tale
- ATORVASTATINA : farmaco più potente della classe
- ROSUVASTATINA : farmaco molto potente
- CERIVASTATINA : è stata revocata a seguito del caso di rabdomiolisi acuta
Meccanismo d’azione
Questi farmaci hanno
struttura simile al
mevalonato che è un
intermedio della sintesi
endogena di colesterolo. Essi
competono tutti con esso
legandosi all’enzima HMGCoA reduttasi che è la tappa
limitante epatica per la
sintesi del colesterolo. In
questo modo l’enzima viene
bloccato e l’epatocita si trova
in deplezione di livelli di
colesterolo. Allora avviene
l’attivazione della trascrizione nucleare del gene che codifica per il recettore delle LDL che
viene tradotto in proteina ed esternalizzato sulla membrana plasmatica. In questo modo
aumentano i recettori epatici per le LDL che si legano maggiormente e riducono la loro
concentrazione plasmatica.
Azioni
Le statine hanno un’azione principale ipolipemizzante a carico delle LDL e riducono
lievemente anche i trigliceridi. Sono positive sulle HDL che aumentano e riducono fortemente
le VLDL. L’effetto principale è però la riduzione del colesterolo LDL (e totale).
Le statine però hanno anche una serie di azioni pleiotrope che non sempre sono favorevoli:
 Stimolazione della produzione di NO con conseguente vasodilatazione
 Aumento dell’attivit{ fibrinolitica
 Inibizione della proliferazione e migrazione delle cellule muscolari lisce
 Inibizione della proliferazione e migrazione dei macrofagi e della loro produzione di
metalloproteasi che tendono a demolire il cappuccio fibroso della capsula, in più
riducono anche la produzione di fattore tissutale che stimola l’evento trombotico
 Inibizione dell’adesione e aggregazione piastrinica
 Riduzione degli indici di infiammazione (PCR)
 Inibizione dell’attivit{ osteoclastica, dell’adipogenesi e della proliferazione delle cellule
nel tumore mammario, nel neuroblastoma, nel mesotelioma e nella leucemia mieloide.
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Si tratta pertanto di una classe di farmaci che previene in modo completo l’evento coronarico
acuto e si è visto che porta benefici sui pazienti con malattia coronarica con o senza
iperlipidemia, sui pazienti con iperlipidemia ma senza malattia coronarica e persino nei
pazienti con normale assetto lipidico e nessun evento coronarico.
Usi terapeutici
1. Ipercolesterolemia: ipercolesterolemia primaria o della dislipidemia mista, in
aggiunta alla dieta quando essa non è sufficiente. È comunque utile associare altri
farmaci in quanto si è visto che esisteva lo stesso un rischio di eventi coronarici, in più
è importante anche la dieta e l’attivit{ fisica. Viene impiegata nei pazienti con
ipercolesterolemia familiare in forma eterozigote perché gli omozigoti non possiedono
il recettore delle LDL e quindi non avrebbe effetto; in questi casi va associata un’altra
terapia.
a. Prevenzione primaria: pazienti con ipercolesterolemia grave o moderata e
suscettibili a primo intervento cardiovascolare traggono beneficio da questi
farmaci in senso di riduzione della morbilità e mortalità
b. Prevenzione secondaria: pazienti a seguito di infarto miocardico o angina
pectoris instabile e con livelli normali o elevati di colesterolo.
In ogni caso però si è visto che una fetta della popolazione trattata con statine non riesce a
raggiungere gli obiettivi terapeutici fissati dalle linee guida.
Farmacocinetica
La lovastatina e la simvastatina hanno una biodisponibilità orale del 30-50% e devono essere
metabolizzate per avere efficacia terapeutica.
La pravastatina e la fluvastatina invece hanno un assorbimento orale massimo e sono efficaci
come tali.
Tutte queste subiscono un consistente metabolismo di primo passaggio ed agiscono appunto
sul fegato come organo bersaglio. Vengono metabolizzate dal citorcomo P-450, alcune dalla
forma 3A4 e altre dal 2C9. Possono essere formati dei metaboliti che possiedono ancora
un’azione farmaceutica. L’escrezione avviene principalmente con la bile e le feci, ma esiste
anche una modalit{ d’escrezione urinaria. L’emivita è di circa 1,5-2 ore.
La lovastatina e la simvastatina a causa della loro lipofilia sono in grado di penetrare nel SNC.
La pravastatina è idrofila ed è l’unica che subisce un metabolismo sia epatico che renale.
L’atrovastatina ha una potenza molto elevata, ma dal punto di vista clinico la potenza ha poca
rilevanza e viene superata per importanza dall’efficacia. Infatti con un aumento di dose si può
compensare una ridotta potenza. Tuttavia esistono circostanze in cui l’IT è molto basso e
quindi viene preferito un farmaco con maggior potenza perché a dosi più basse è in grado di
raggiungere l’efficacia farmaceutica.
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Effetti avversi: sono stati segnalati pochi effetti avversi ma alcuni sono degni di nota
 Fegato: sono responsabili di movimento delle transaminasi e quindi è prudente
monitorare con cura i livelli sierici di transaminasi per evitare un danno epatico. Alla
sospensione del farmaco i livelli tornano nella norma. È sconsigliata la terapia in
pazienti con insufficienza epatica grave.
 Muscolo: qui si hanno gli effetti più gravi in quanto questi farmaci inducono miopatie e
raramente possono dar luogo anche a rabdomiolisi (necrosi di una porzione di
muscolo che determina una lisi delle fibre da cui escono in circolo tuti i componenti
citoplasmatici che si rivelano tossici). Nella maggior parte dei casi però tali effetti si
hanno solo nei pazienti con insufficienza renale o in quelli trattati con ciclosporina,
eritromicina…
I livelli di CPK andrebbero monitorati costantemente e anche un lieve dolore
muscolare associato ad aumento delle CPK dovrebbe essere tenuto in considerazione.
 Interazioni con altri farmaci: le statine aumentano l’emivita dei farmaci dicumarinici e
in tali pazienti va monitorato il PT. Durante assunzione di amiodarone, ketoconazolo,
eritromicina e inibitori delle proteasi l’emivita delle statine si allunga (perché agiscono
sul CYP3A4).
 Controindicazioni: in gravidanza non vanno mai prese statine e sono controindicate
anche nei casi di insufficienza epatica o miopatie. I bambini ed adolescenti dovrebbero
essere risparmiati da tale terapia.
Pertanto il paziente va controllato nel tempo tramite esame obiettivo, anamnesi e periodici
esami ematici in quanto si tratta di terapie che durano tutta la vita e devono essere sempre
seguite.
NNH: numero di pazienti trattando i quali si osserva una reazione avversa (rabdomiolosi o
aumento netto delle CPK) = 3400
NNT: numero di pazienti che devo trattare per prevenire eventi come stroke, infarto,
rivascolarizzazione, mortalit{… = 27
Per quanto riguarda la prevenzione di tali eventi bisogna tenere presente anche il costo della
terapia visto che le statine sono farmaci costosi e per ridurre il rischio cardiovascolare
l’associazione statina e clopidogrel (antiaggregante) risulta molto più costosa rispetto
all’aspirina (anch’esso antiaggregante) a parit{ di effetti terapeutici.
Acido nicotinico
Si tratta della niacina che viene impiegata essenzialmente per ridurre i trigliceridi ed il
colesterolo ma ha un’azioe preponderante sull’incremento dell’HDL.
Meccanismo d’azione: questo farmaco previene la lipolisi del tessuto adiposo bloccando la
lipasi-ormone sensibile e di conseguenza la liberazione degli acidi grassi dal tessuto adiposo è
fortemente ridotta. Il fegato utilizza tali acidi grassi per fabbricare le VLDL e visto che questi
non sono disponibili esso riduce la produzione di lipoproteine. L’effetto si ripercuote anche
sulle LDL visto che queste derivano dalle VLDL circolanti.
Azioni: l’azione è la riduzione sia dei trigliceridi che del colesterolo con aumento delle HDL.
Usi terapeutici: viene impiegata per il trattamento delle ipercolesterolemie gravi in
associazione ad altri farmaci. È molto efficace nel trattamento delle iperlipidemie familiari. È il
farmaco più potente nell’aumentare i livelli di HDL. Esistono preparazioni gi{ pronte di
lovastatina + niacina.
Farmacocinetica: viene assorbito per via orale e trasformato in nicotinamide che si lega al
NAD e così esplica la sua azione. La nicotinamide da sola non ha tali effetti.
Effetti avversi: rossore cutaneo intenso, sensazione di calore e prurito. Sembra anche favorire
l’iperuricemia e la gotta andando a ridurre l’escrezione nel tubulo renale di acido urico.
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Fibrati
I farmaci di questo gruppo impiegati sono:
- CLOFIBRATO: non disponibile per il commercio in Italia. È il più efficace nell’abbassare i
livelli di TG e LDL.
- BEZAFIBRATO
- GEMFIBROZIL
- FENOFIBRATO
Queste sostanze sono derivate dall’acido fibrico ed hanno un’importante azione di riduzione
dei livelli sierici di trigliceridi e parzialmente anche di LDL. Incrementano le HDL.
Meccanismo d’azione: si tratta di farmaci agonisti del PPARα che è un complesso proteico
che quando lega i substrati endogeni (acidi grassi o eicosanoidi) o i farmaci ipolipidemici si
attiva e si trasferisce nel nucleo legandosi al promotore del gene omonimo inducendone la
trascrizione. Tale gene regola la produzione di proteine coinvolte nel metabolismo lipidico tra
cui la lipoproteina lipasi e l’apoC-2 (proteina associata ai chilomicroni). In questo modo
aumenta la cattura di trigliceridi da parte del tessuto adiposo e il loro riconoscimento
mediante l’apoC-2, in questo modo si riducono nettamente i livelli circolanti di trigliceridi e
anche di colesterolo. L’aumento delle HDL è mediato dall’incremento della sintesi delle
proteine apo A1 e apo A2.
Usi terapeutici: dislipidemie con aumento di trigliceridi che non rispondono alla dieta;
ipercolesterolemie associate ad aumentati trigliceridi. Molto utili nel trattare l’iperlipidemia
tipo III, IV e V.
Farmacocinetica: sono totalmente assorbiti per via orale e si legano all’albumina. Sono
estesamente metabolizzati ed escreti con le urine.
Effetti avversi:
 Eruzioni cutanee
 Disturbi addominali
 Miotossicità: è consigliato non dare insieme statina e fibrato perché aumenta molto il
rischio di miopatie
 Interazioni con altri farmaci: aumento dell’attivit{ dei cumarinici.
 Controindicati in pazienti con disfunzione renale o epatica
Resine
Si tratta di resine a scambio ionico ed elevato peso molecolare, sono insolubili in acqua ed
agiscono nell’intestino.
Le principali resine sono:
- COLESTIRAMINA : composto principale e più utilizzato.
- COLESTIPOLO
- COLESEVELAM
Meccanismo d’azione: le resine hanno la capacità di legarsi agli acidi biliari formando un
complesso resina/acido insolubile e ad alto peso molecolare che viene direttamente escreto
con le feci. In questo modo inibiscono il ricircolo entero-epatico degli acidi biliari che
stimolano quindi il fegato a produrne di nuovi utilizzando il colesterolo immagazzinato
all’interno degli epatociti. Quando questa riserva viene meno viene stimolata la produzione
dei recettori delle LDL che sono esternalizzate sulla membrana e catturano le LDL
plasmatiche riducendo la loro concentrazione.
Azioni: riduzione del colesterolo LDL e aumento dell’HDL. Si è dimostrato un effetto sinergico
e utile dell’associazione di statine e resine. Scarsa azione sui trigliceridi.
Usi terapeutici: questi farmaci vengono impiegati nelle:
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1. Ipercolesterolemie di tipo IIA e IIB: Sono i farmaci di scelta in questi casi perché
riescono a ridurre marcatamente l’assetto lipidico, nei casi rari di omozigosi dei
pazienti con iperlipidemia IIA sono inutili in quanto il recettore delle LDL è assente o
totalmente inattivo e quindi non avviene l’effetto.
2. Le resine vengono anche utilizzate per lenire il prurito conseguente a ritenzione di sali
biliari per un’ostruzione delle vie biliari.
Farmacocinetica: sono attive per via orale, essendo molto grosse e insolubili in acqua non
vengono assorbite dall’intestino e svolgono appunto qui la loro funzione legandosi agli acidi
biliari.
Effetti avversi:
 Gastrointestinali: stipsi, nausea e meteorismo
 Alterazioni assorbimento: vengono alterati gli assorbimenti delle vitamine liposolubili
 Interazioni con altri farmaci: interferiscono con l’assorbimento intestinale di molti
farmaci tra cui tiroxina, warfarin, furosemide, tetraciclina, digossina e quindi rallenta o
annulla l’assorbimento di tali farmaci che risultano quindi inattivi. Questi farmaci
devono essere assunti 1-2 ore prima o 4-6 ore dopo.
Inibitori dell’assorbimento del colesterolo
Il principale farmaco utilizzato è l’EZETIMIBE.
Questo farmaco inibisce selettivamente l’assorbimento intestinale di colesterolo, sia quello
associato ai sali biliari sia quello ingerito con la dieta e quindi riduce drasticamente la quota di
colesterolo verso il fegato stimolando questo a catturare maggior colesterolo endogeno.
Abbassa l’LDL e aumenta l’HDL con minor effetto riducente sui trigliceridi.
Non presenta gli effetti di malassorbimento vitaminico delle resine.
I pazienti con insufficienza epatica non dovrebbero essere trattati con ezetimibe.
Il farmaco viene metabolizzato dal fegato con una reazione di fase II ed eliminato sia per via
biliare che renale.
Talvolta per aumentare l’efficacia si abbinano 2 farmaci:
- Niacina + Colestiramina = utile per le iperlipidemie di tipo II
- Statina + Colestiramina
- Statina + Niacina
Era stato provato anche un approccio con un farmaco inibitore della proteina che trasferisce
esteri al colesterolo (Torcetrapib) ma ha avuto un risultato negativo in quanto si è rivelato un
farmaco agonista dell’aldosterone e provocava ipertensione.
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FARMACI DELLA COAGULAZIONE DEL
SANGUE
INIBITORI DELL’AGGREGAZIONE PIASTRINICA, ANTICOAGULANTI E TROMBOLITICI
43. I farmaci antiaggreganti piastrinici
Gli antiaggreganti piastrinici sono farmaci ampiamente utilizzati per dirurre l’incidenza di
trombosi che è la maggior responsabile di ischemia miocardica, cerebrale e dell’embolia
polmonare. Le piastrine sono cellule fondamentali nel processo trombotico in quanto vengono
attivate e aderiscono alla parete del vaso, dopodichè richiamano altre piastrine e attraverso
una serie di processi si aggregano tra loro stimolando anche la cascata della coagulazione che
culmina nel consolidamento del tappo piastrinico primario con un reticolo di fibrina. Il
processo normalmente avviene a seguito di un danno endoteliale in cui viene esposto il
collagene sottoendoteliale che si lega alle piastrine mediante il fattore di von Willebrand. Le
cellule endoteliali normali producono prostaciclina e NO che sono responsabili dell’inibizione
del processo trombotico poiché la prostaciclina si lega alla membrana piastrinica e forma
cAMP che impedisce al calcio di fuoriuscire dai depositi ed attivare le piastrine.
A seguito di un danno endoteliale però la PGI viene a meno e il sistema si sbilancia verso una
fuoriuscita del calcio nelle piastrine. In più il legame con il collageno stimola anch’esso la
liberazione dei granuli piastrinici contenenti ADP, trombina, trombossano A2, serotonina e
PAF. Tutte queste sostanze agiscono attivando le piastrine circostanti in senso trombotico
legandosi a recettori appositi e stimolando la liberazione di calcio.
La liberazione di calcio dai depositi è responsabile di 3 azioni:
- Degranulazione con liberazione di serotonina, ADP e PAF che attivano altre piastrine
- Inizio della sintesi del trombossano A2 che ha una potentissima azione di
raggruppamento piastrinico
- Attivazione dei recettori per la glicoproteina IIb/IIIa che sono attivi nel processo di
aggregazione in quanto legano delle molecole di fibrinogeno che congiunge le piastrine
a 2 a 2 e progressivamente le fa aggregare formando un tappo.
A questo punto si sovrappone la coagulazione innescata dalla liberazione di fattore tissutale
conseguente al danno e si ha quindi la formazione di fibrina.
Normalmente questo processo una volta che è stato riparato il danno viene disgregato dai
fattori fibrinolitici come la plasmina che spezza le catene di fibrina in piccoli frammenti
liberando il tappo definitivamente.
Esistono numerosi processi patologici in cui l’attivazione piastrinica e i processi seguenti sono
innescati e si accumulano irreversibilmente fino a dare fenomeni ischemici. È il caso della
placca ateromasica che si rompe e scatena un trombo intravasale
Il meccanismo con cui agiscono gli inibitori dell’aggregazione piastrinica sono diversi ma il
target è l’inibizione dell’attivit{ del legame del fibrinogeno ai recettori IIb/IIIa:
- Inibizione della COX1 in modo da abolire la produzione di trombossani spostando
l’equilibrio verso la produzione di PGI (i trombossani favoriscono il legame della
glicoproteina con il fibrinogeno)
- Blocco diretto dei recettori della GpIIbIIIa
- Blocco dei recettori per l’ADP
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Alla prima categoria appartiene la “vecchia” aspirina (acido acetilsalicilico) mentre alla
seconda classe appartengono i nuovi farmaci anticorpi monoclonali diretti contro la
glicoproteina come abciximab, eptifibatide e tirofiban. All’ultima classe appartengono invece
due farmaci molto usati che sono il clopidogrel e la ticlopidina.
ACIDO ACETILSALICILICO
Meccanismo d’azione: l’acido acetilsalicilico (e non i salicilati!) determina un’acetilazione
dell’enzima COX-1 che lo rende irreversibilmente inattivo. Questo enzima serve per produrre
prostaglandine e trombossano A2 (a partire dalla prostaglandina H) ma l’effetto del farmaco
sembra sbilanciato verso l’inibizione della produzione di trombossani da parte della COX
piastrinica, piuttosto che verso quella di prostaglandine della COX endoteliale. La COX-1 è
attivata dall’acido arachidonico che proviene dall’azione della fosfolipasi della membrana
plasmatica a seguito del legame con fattori protrombotici come collageno e ADP. In questo
modo l’inibizione della produzione di trombossano blocca il processo di aggregazione
piastrinica.
Azioni: riduzione dell’aggregazione piastrinica
Usi terapeutici:
1. Trattamento profilattico dell’ischemia cerebrale transitoria, riduzione dell’infarto
miocardico ricorrente e della mortalità nei post-infartuati
Farmacocinetica: viene assorbita per via orale ma ha un’emivita molto breve di circa 15
minuti. Inizia direttamente la sua azione a livello del circolo portale ma la durata d’azione è
decisamente lunga in quanto l’inibizione della COX è irreversibile e dunque la sua durata
d’azione corrisponde alla vita media di una piastrina (7-10 giorni).
Di solito si dà una dose di carico seguita da una somministrazione quotidiana di
mantenimento. Spesso viene utilizzato insieme ad altri farmaci antiaggreganti come il
clopidogrel o l’eparina (anticoagulante). L’ibuprofene ed il paracetamolo si legano alla COX-1
con meccanismi diversi ma ostacolano il legame dell’aspirina e quindi assunzioni di aspirina
dopo aver preso tali farmaci annullano l’effetto dell’ASA (acido acetilsalicilico).
Effetti avversi: l’effetto avverso più comune è rappresentato dall’emorragia in quanto anche
dosi basse di aspirina riducono la formazione del tappo piastrinico e a seguito di un lieve
danno il tempo di sanguinamento aumenta. Tipici sono i sanguinamenti gastrointestinali
specialmente per le dosi alte o l’ictus emorragico (anch’esso a dosi alte).
CLOPIDOGREL e TICLOPIDINA
Meccanismo d’azione: questi 2 farmaci hanno la stessa modalit{ d’azione che prevede
l’interferenza del legame dell’ADP ai suoi recettori sulle piastrine e in tal modo si diminuisce
l’attivazione piastrinica e l’aggregazione mediata dalla glicoproteina IIb/IIIa.
Azioni: riduzione dell’aggregazione piastrinica
Usi terapeutici: prevenzione delle malattie cerebrovascolari, cardiovascolari e della malattia
vascolare periferica. Sono di uso comune durante il posizionamento di stent coronarici in
corso di infarto miocardico.
Farmacocinetica: vengono somministrati per via orale, la ticlopidina ha un assorbimento che
può interferire con il cibo, mentre il clopidogrel no. Si legano estesamente alle proteine
plasmatiche dopo l’assorbimento e vengono metabolizzate dal CYP a metaboliti attivi.
L’effetto massimo si raggiunge in 3-5 giorni. L’eliminazione è sia per via renale che fecale.
Effetti avversi: sanguinamenti prolungati e diarrea fastidiosa soprattutto con la ticlopidina.
Quest’ultima causa anche un effetto di neutropenia che deve essere prevenuto monitorando i
livelli di leucociti nel sangue. Questi farmaci possoo inibire il citocromo P-450 e quindi possoo
interferire col metabolismo del warfarin, fenitoina, fluvastatina e tamoxifene.
Un’altra reazione avversa segnalata per entrambi è la porpora trombotica trombocitopenica.
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ABCIXIMAB e FIBANI (Eptifibatide e Tirofiban)
Si tratta di farmaci nuovi con un meccanismo d’azione molto selettivo nei confronti del
complesso GpIIb/IIIa in quanto si tratta di anticorpi monoclonali che bloccano il legame del
fibrinogeno e del fattore di von Willebrand. Vengono di solito dati insieme a eparina o acido
acetilsalicilico in aggiunta all’intervento coronarico transcutaneo.
Effetti avversi possono essere emorragie specialmente se usati insieme ad anticoagulanti.
DIPIRIDAMOLO
Vasodilatatore coronarico antianginoso che viene somministrato insieme all’aspirina facendo
così aumentare i livelli di cAMP inibendo la sintesi di trombossano A2 ed esaltando quella di
PGI2. D{ un contributo marginale all’azione antitrombotica dell’ASA.
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44. Farmaci anticoagulanti
I farmaci anticoagulanti hanno la
proprietà di inibire la formazione
di fibrina a partire dal
fibrinogeno bloccando uno dei
passaggi della cascata della
coagulazione.
Esistono tipicamente 2
meccanismi d’azione:
1) Il farmaco si lega
direttamente ai fattori della
coagulazione e li inibisce
2) Il farmaco interferisce con
il sistema deputato alla
formazione dei fattori di
coagulazione.
Esistono diversi farmaci anticoagulanti che agiscono a diversi livelli, tuttavia ad oggi viene
utilizzato massimalmente uno solo di questi farmaci rispetto agli altri nonostante sia stato
uno dei primi ad essere scoperto, il warfarin. Esso ha un’efficacia molto elevata nel prevenire
gli episodi trombotici ma ha anche un IT molto basso e necessita quindi di molta attenzione e
monitoraggi frequenti delle concentrazioni ematiche.
Farmaci anticoagulanti principali:
 Eparina (non frazionata ad alto peso molecolare)
 Eparina a basso peso molecolare (LMWH)
 Anticoagulanti orali (warfarin e acenocumarolo)
 Inibitori diretti della trombina (irudina, ximelagatron, dabigatron)
 Inibitore diretto del fattore Xa (rivaroxaban)
EPARINA
Questo farmaco è stato per moltissimo tempo l’unico farmaco utilizzato per prevenire e
curare la malattia tromboembolica con un’efficacia elevata ma anche provvista di effetti
avversi considerevoli.
Meccanismo d’azione: l’eparina non frazionata è una grossa molecola idrofila polimerica che
si trova normalmente all’interno dei granuli contenuti nei mastociti insieme all’istamina e in
minima parte anche nei basofili. Il suo ruolo fisiologico non è ancora ben chiaro ma si sa che
interferisce con il processo coagulativo. L’eparina non frazionata utilizzata in clinica è di
derivazione animale e la sua lunghezza può variare anche se normalmente è molto lunga.
Viene somministrata come miscela di glicosaminoglicani anionici (sali calcici e sodici), è
fortemente acida.
La sua propriet{ è quella di legarsi selettivamente all’antitrombina 3 (ATIII) che è una
molecola ad azione inibitoria sulla cascata coagulativa in quanto si lega selettivamente al
fattore Xa e al fattore IIa impedendo la formazione di fibrina.
Sono necessari 5 monomeri della proteina per riuscire a legarsi all’ATIII in modo da inibire il
fattore Xa, tuttavia sono necessari ben 18 monomeri per riuscire a legare ed inibire la
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trombina. Comunque vista la notevole lunghezza della molecola si è visto che il rapporto tra
blocco del fattore Xa e della trombina è 1:1.
L’ATIII è normalmente in grado di inibire la trombina e il fattore Xa ma ad una velocit{ molto
inferiore rispetto a quando è legata all’eparina, infatti a seguito del legame cambia
conformazione e aumenta moltissimo l’affinit{.
Azioni:
 Inibizione della coagulazione mediante blocco della trombina, del fattore Xa. Questo
blocco della trombina è però indiretto perché è mediato dal legame con ATIII
 Allungamento del tempo di sanguinamento (aPTT perché viene interessata la via
intrinseca)
 Attivazione della lipoproteina lipasi (aumento della chiarificazione del sangue per
cattura dei lipidi in eccesso)
 Non agisce sulla trombina legata al coagulo
Usi terapeutici:
1. Profilassi della trombosi venosa postoperatoria per interventi selettivi
2. Pazienti nella fase acuta dell’infarto miocardico
3. Prevenzione della ritrombosi coronarica
4. Utilizzo nelle apparecchiature extracorporee (dialisi) per evitare la coagulazione
5. Donne in gravidanza con valvole artificiali o per la cura della TEV
Farmacocinetica: l’eparina non consente una somministrazione orale in quanto è altamente
idrosolubile e non attraversa le membrane. Le modalità di somministrazione sono parenterali:
- Sottocutanea: modalit{ più utilizzata con manifestazione dell’effetto in 1-2 ore
- Endovenosa: utilizzata nelle emergenze con effetto che si manifesta nell’arco di minuti.
Spesso viene somministrata in bolo endovenoso seguito da dosi più basse o infusione
continua per 7-10 giorni regolando la dose in base all’aPTT che deve essere al massimo
1,5-2,5 volte il valore dei controlli normali.
L’emivita dell’eparina è di circa 2 ore, viene legata alle proteina plasmatiche che la rendono
inattiva, il metabolismo ad opera del sistema reticolo-endoteliale che crea metaboliti inattivi
che vengono escreti con le urine. Il volume di distribuzione è basso e corrisponde all’incirca al
volume circolante ematico. Non passa la barriera placentare
Effetti avversi:
 Complicanze emorragiche: possibilità di sanguinamente eccessivi anche per piccole
ferite o anche perdite interne a causa dell’aumento dell’aPTT. Per prevenire questo
fenomeno il tempo di sanguinamento deve essere monitorato (anche se aPTT non
correla linearmente né con l’attivit{ antitrombotica né con la quantit{ di eparina
plasmatica). L’eccessivo sanguinamento viene tamponato attraverso la
somministrazione di protamina solfato che si lega all’eparina e forma un complesso
inattivo. Si tratta di un antagonismo chimico. È fondamentale però dare dosi molto
basse di protamina perché anch’essa possiede una minima attivit{ anticoagulante.
 Reazioni di ipersensibilità
 Trombosi: la somministrazione cronica può portare ad un’azione dell’attivit{ dell’ATIII
aumentando il rischio di trombosi, per minimizzare tale rischio si impiegano eparine a
basse dosi.
 Trombocitopenia da eparina: reazione molto pericolosa ma rara che si verifica a
seguito di una reazione autoimmune in cui vengono prodotte IgG contro il complesso
eparina/fattore piastrinico4 che in questo modo viene degradato e precipita. Le
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conseguenze sono da una parte trombocitopenia perché le piastrine vengono attaccate,
dall’altra paradossalmente si ha trombosi perché la precipitazione intravasale di tali
composti favorisce la coagulazione e l’aggregazione piastrinica. Sono reazioni che si
manifestano in genere tra il quinto e il 14° giorno dall’inizio della terapia.
In tali condizioni è necessario cambiare farmaco e utilizzare altri composti come la
irudina che è un inibitore diretto della trombina.
Esiste anche una modalità di insorgenza della trombocitopenia non immunologica che
compare entro i primi 5 giorni e non è grave.
La terapia va sospesa quando la conta piastrinica scende sotto le 100.000 al µL.
 Osteopenia
 Innalzamento degli enzimi epatici (nei primi 5-10 giorni)
 Controindicazioni: sconsigliata nei pazienti ipersensibili al farmaco, ai pazienti con
disturbi della coagulazione, alcolisti e pazienti che hanno subito interventi all’encefalo,
all’occhio e al midollo spinale.
EPARINE A BASSO PESO MOLECOLARE (LMWH)
La scoperta delle EBPM ha sostituito in gran parte l’utilizzo dell’eparina non frazionata nella
terapie e profilassi della malattia tromboembolica. Le principali eparine sono:
- Enoxaparina (capostipite)
- Tinzaparina
- Nadroparina
- Dalteparina
- Parnaparina
Esse vengono ottenute dalla depolimerizzazione chimica o enzimatica dell’eparina e
progressivamente hanno sostituito l’eparina non frazionata in quanto sono meno repsonsabili
di effetti collaterali.
Meccanismo d’azione: stesso dell’eparina con la differenza però che l’ATIII viene legata
selettivamente ma risulta efficace solo per inibire il fattore Xa mentre non ha azione inibitoria
indiretta sulla trombina. Viene inibito anche il fattore Xa associato alle piastrine oltre che
quello circolante. Questa caratteristica permette di ridurre il rischio di attivare le piastrine
quiescenti. Per questo motivo il rapporto tra attività anti Xa e anti IIa varia da 4:1 a 2:1.
Azioni: riduzione della coagulazione e conseguente prevenzione o cura dei fenomeni
tromboembolici
Usi terapeutici: vengono usate sempre di più e hanno soppiantato l’eparina, sono utili nel
trattamento post-operatorio di pazienti che hanno subito determinati interventi (es protesi
d’anca), trattamento e prevenzione di episodi di TVP, trattamento dell’IMA.
Farmacocinetica: ha una biodisponibilit{ più ampia dell’eparina e un’emivita più lunga come
dimostrato dalla capacità anti-Xa. La somministrazione è sottocutanea e la dose è
direttamente correlata al peso del paziente, infatti si è visto che l’efficacia è in relazione del
peso e pertanto la somministrazione avviene in base al peso del paziente senza bisogno di
monitoraggio da laboratorio nei primi giorni per aggiustamenti di dose.
Normalmente viene instaurata una terapia con somministrazione di una dose fissa 1 o 2 volte
al giorno e pertanto è molto comoda sia per gli ospedalizzati che per i non (soprattutto).
L’attivit{ antitrombotica è più prevedibile (anti-Xa U/mL) e anche le reazioni avverse sono
meno frequenti soprattutto l’emorragia in quanto l’EBPM non agisce sull’aPTT.
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Effetti avversi: il rischio di emorragia è molto minore e risulta molto bassa anche la
possibilità di trombocitopenia eparino-indotta, l’emocromo va fatto una volta nei primi 7
giorni, se il trattamento si prolunga oltre tale periodo è necessario fare analisi più frequenti.
Il costo di tale farmaco però è maggiore rispetto all’eparina non frazionata.
Normalmente una TVP viene trattata per 4-5 giorni con l’EBPM combinata al warfarin,
dopodichè la prima viene sospesa quando l’INR risulti maggiore di 2.0 per almeno 2 giorni.
FONDAPARINOUX
Nuovo farmaco ancora a livello sperimentale che agisce bloccando selettivamente il fattore Xa
ed è utile perché a differenza dell’EBPM viene somministrato non come miscela eterogenea
ma come composto puro. Il farmaco non è altro che la sequenza pentasaccaridica dell’eparina
responsabile del legame con l’ATIII, è stato sintetizzato in laboratorio e sembra avere effetti
analoghi.
WARFARIN E ACENOCUMAROLO
Questi 2 farmaci rappresentano gli anticoagulanti orali che sono usati estesamente nella
patologia attuale tromboembolica sia come trattamento che come prevenzione.
Hanno lo stesso meccanismo d’azione, differiscono per la loro emivita in quanto
l’acenocumarolo ha emivita più breve ed inoltre anche per la formulazione visto che il
warfarin è disponibile in compresse da 5 mg mentre l’acenocumarolo in compresse da 1 e 4
mg per cui l’utilizzo dipende molto anche dalle necessit{. Spesso l’utilizzo del warfarin
richiede la frammentazione in metà o in quarti.
Il warfarin esiste in 2 forme: S-Warfarin ed R-Warfarin, il primo è 4 volte più potente del
secondo.
Essi determinano una riduzione della capacità coagulativa inibendo certi fattori della
coagulazione dipendenti dalla vitamina K, utile per renderli attivi.
Meccanismo d’azione: questi farmaci si legano all’enzima vitamina K-epossido reduttasi e lo
inibiscono. Questo enzima è necessario
per ridurre la vitamina K una volta che
questa è stata ossidata a seguito della
reazione da cofattore per la γcarbossilazione di certi fattore della
coagulazione. Normalmente quindi la
vitamina K ha un ruolo essenziale
nell’attivare i fattori II, VII, IX, X che
altrimenti sarebbero inutilizzabili. Essi
infatti vengono carbossilati in
posizione gamma e per questa reazione
è necessario l’intervento adiuvante
della vitamina K.
Azioni: riduzione della capacità coagulativa nel giro di 8-12 ore e quindi con un tempo di
latenza molto più lungo rispetto alle eparine in quanto l’azione inibente avviene sui fattori
coagulativi neoformati e bisogna aspettare che quelli già presenti terminino la loro attività.
Inoltre ha anche una minima azione di inibizione della proteina C che possiede un’azione
anticoagulante.
Usi terapeutici:
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1. Fibrillazione atriale: è l’utilizzo più frequente del farmaco, in questo caso l’INR deve
stare tra 2 e 3
2. Valvulopatia mitralica e protesi biologiche: INR tra 2 e 3
3. Protesi valvolari meccaniche: INR tra 3 e 4,5
4. Prevenzione e trattamento del TEV: per la prevenzione primaria INR tra 1,5 e 2,5 per
quella secondaria INR 2-3 in quanto si è già avuto il fenomeno tromboembolico ed è
accettabile anche avere un rischio emorragico maggiore.
Farmacocinetica: essi hanno una elevata biodisponibilit{ orale e l’assorbimento non è
particolarmente influenzato dal cibo. Il warfarin si lega per il 99% alle proteine plasmatiche e
ciò impedisce la sua diffusione nel liquor, nelle urine e nel latte. Tuttavia riesce ad
attraversare la placenta. Viene metabolizzato ad intermedi inattivi dal P-450 epatico e dopo
essere stato coniugato con acido glucuronico è escreto con le urine e le feci.
Ha un basso volume di distribuzione. L’emivita plasmatica è di circa 36 ore per il warfarin a
differenza delle 10-12 ore dell’acenocumarolo.
L’inizio dell’azione si verifica in 8-12 ore ma per assistere ad un aumento evidente dell’INR
bisogna aspettare qualche giorno. È impossibile riuscire a stabilire una posologia corretta del
warfarin per tutti i pazienti a causa di variazioni farmacogenetiche individuali in primo luogo
e in più perché la variet{ della risposta è elevata visto che l’intervallo tra dose minima efficace
e dose minima tossica è molto piccolo (IT estremamente basso). Per tali motivi il trattamento
con warfarin va iniziato a dosi molto basse e proseguito in dosi relazionate alle modifiche dei
valori di INR. Possono esistere anche soggetti resistenti al warfarin.
In casi urgenti di solito il trattamento si inizia con warfarin 10 mg/die per 2 giorni e in seguito
5 mg/die per altri 2 giorni. Dopo 4 giorni si valuta l’INR e poi ogni 4-7 giorni.
In casi non urgenti si dà il warfarin 5 mg/die per 5-6 giorni e si fa l’INR al 5° giorno. Per un
anziano il dosaggio scende a 1,25-2,5 mg/die.
Effetti avversi:
 Emorragia: si tratta della principale e più pericolosa
reazione avversa che si verifica durante assunzione del
warfarin in quanto l’azione anticoagulante è molto
intensa. Le emorragie di piccola entità possono essere
trattate sospendendo il farmaco e somministrando
vitamina K. L’indice terapeutico è molto basso e si
possono avere eventi di ictus emrragico
paradossalmente per prevenire l’ictus ischemico
 Interazioni con altri farmaci: le interazioni sono molto numerose e con diversi farmaci.
L’associazione con l’acido acetilsalicilico è pericolosa in quanto amplifica l’effetto
anticoagulante e antitrombotico favorendo le emorragie; l’interazione con cimetidina,
amiodarone, cloramfenicolo, metronidazolo, disulfiram e l’intossicazione acuta d’alcol
potenziano l’effetto del warfarin in quanto questi farmaci competono con il warfarin
per gli enzimi metabolizzanti e ciò provoca un aumento di emivita; associazione con
barbiturici, griseofulvina e rifampicina e l’assunzione cronica di alcol invece sono
induttori enzimatici che aumentano il metabolismo del warfarin e riducono la sua
funzionalità. Bisogna inoltre tenere presente che gli antibiotici orali possono alterare la
flora batterica e dare una riduzione dell’assorbimento di vit K potenziando in modo
pericoloso gli effetti del warfarin.
 Controindicazioni assolute:
o Gravidanza: il warfarin è teratogeno e va assolutamente evitato nel primo
trimestre e nelle ultime settimane
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o Emorragia: entro 1 mese dall’insorgenza dell’evento, specie se a rischio vitale
 Controindicazioni maggiori:
o Non compliance del paziente
o Emorragia gastrointestinale e ulcera peptica attiva
o Ipertensione arteriosa non controllata
o Gravidanza (escluso il periodo di controindicazione assoluta)
o Alcolismo grave
o Grave insufficienza epatica: perché vengono prodotti in minor quantità i fattori
della coagulazione
o Malformazioni vascolari che possono causare emorragia
o Coagulopatie
o Recenti interventi chirurgici o traumi oculari o al SNC
o Gravi emorragie in terapie anticoagulanti
o Grave patologia neoplastica
 Controindicazioni minori: insufficienza renale, endocarditi, malattie psichiatriche,
varici esofagee, ernia iatale, diverticoli, malattie biliari, malattie ematologiche,
piastrinopenia.
Monitoraggio della terapia anticoagulante
Fondamentale tenere sempre presente il rapporto rischio-beneficio e per tale motivo si tiene
controllato l’INR (PT paziente / valore medio normale PT) elevato all’indice ISI. Il valore
normale dell’INR dovrebbe essere 1. In un paziente in TAO (terapia anticoagulante orale)
l’indice dovrebbe aggirarsi intorno al 2-3 (ideale 2,5). Infatti questo indice d{ un’idea
contemporaneamente del rischio ischemico e del rischio emorragico.
Prima di iniziare il trattamento con warfarin vanno fatti una serie di esami preliminari:
- Test coagulativi di base (PT, aPTT)
- Emocromo completo con piastrine e sideremia per identificare una possibile
condizione di anemia sideropenica e piastrinopenia
- Transaminasi, gammaGT, bilirubina, colinesterasi per valutare la funzionalità epatica
- Creatinina, glicemia, uricemia, colesterolo, trigliceridi
- Test di gravidanza in tutte le donne fertili
Fondamentale prima di iniziare la terapia anche istruire adeguatamente il paziente sulla dieta
da seguire, infatti vanno limitati i cibi contenenti vitamina K. Sono da evitare prezzemolo e
verze e bisogna prestare attenzione all’utilizzo di broccoli, cavolo, spinaci, asparagi, insalata
verde.
Importante per il paziente contattare subito il medico a seguito di emorragia o visione di
urine rosse e feci scure. Nel caso di ferita applicare una pressione forte con una garza sterile e
se non si arresta l’emorragia recarsi al pronto soccorso. È opportuno assumere
l’anticoagulante alla stessa ora ogni giorno in genere 1 ora prima di cena o 3 ore dopo cena.
In casi di sovradosaggio con INR elevato è necessario sospendere la terapia e somministrare
dosi di vitamina K.
Inibitori diretti della trombina
Questi farmaci sono abbastanza nuovi e molti di questi sono ancora in via di approvazione
farmaceutica ma comunque il loro ruolo anticoagulante è stato approvato e dimostrano una
certa efficacia. Essi inibiscono direttamente la trombina senza l’intermediario ATIII. In questo
modo riescono a bloccare anche la trombina legata al coagulo e quella appena liberata dalla
plasmina e di conseguenza hanno un effetto considerevole. Inoltre prevengono la
trombocitopenia da eparina e molto spesso vengono usati proprio come cura nei confronti di
questa complicanza. L’inibizione diretta della trombina provoca un blocco della formazione di
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fibrina e dei fattori V, VIII, XI e XIII. La trombina inoltre ha la capacità di legarsi alla
trombomodulina agendo da anticoagulante innescando la formazione della proteina C attiva.
I farmaci principali di questa classe sono:
- LEPIRUDINA: polipeptide strettamente correlato all’irudina, è usata nel trattamento
della trombocitopenia eparino indotta, somministrazione endovenosa
- DANAPAROID: somministrazione sottocutanea, è un inibitore del fattore Xa in modo molto
più potente che della trombina.
-
BIVALIRUDINA
ARGATROBAN
I vantaggi rispetto all’eparina sono la capacit{ di inibire la trombina legata, l’indipendenza dal
fattore ATIII, la possibile somministrazione per via orale e la prevenzione della
trombocitopenia eparino-indotta.
L’unico svantaggio considerevole è che non esistono inibitori diretti di tali effetti a differenza
del warfarin e dell’eparina.
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45. Farmaci trombolitici
Questa classe di farmaci ha un utilizzo non molto ampio in clinica perché si preferiscono usare
altri farmaci per il trattamento degli stati di tromboembolia. Tuttavia deve la sua efficacia al
potenziamento del meccanismo fibrinolitico che degrada i tappi di fibrina e permette quindi
una dissoluzione del trombo in certi casi.
Essi agiscono potenziando il processo di dissoluzione fisiologico della fibrina favorendo la
conversione del plasminogeno in plasmina.
I tre principali farmaci utilizzati a tale scopo sono:
-
Streptochinasi
Alteplasi
Urochinasi
Il meccanismo d’azione prevede un’attivazione diretta o indiretta della plasmina che a sua
volta scinde la fibrina, l’efficacia di tali farmaci aumenta se il trombo è recente in quanto con il
passare del tempo si verifica una resistenza del trombo all’azione fibrinolitica. Tuttavia la
fibrinolisi porta ad un incremento di
trombina liberata nelle vicinanza del trombo
e in questo modo può essere favorita
l’aggregazione piastrinica. Per tale motivo
vengono impiegati antiaggreganti piastrinici
o anticoagulanti.
Gli usi terapeutici di tali farmaci prevedono
l’embolia polmonare grave, la TVP, l’IMA, la
trombosi e l’embolia arteriosa periferica e
sono utili nel prevenire i coaguli nei cateteri
e negli shunt. Oggi però sono sempre meno
usati in quanto sono capaci di indurre
emorragia con un rischio più elevato
rispetto agli altri farmaci antitrombotici.
La somministrazione di solito avviene per via endovenosa anche se bisogna considerare che la
massima efficacia si ottiene con somministrazione intracoronarica (utile solo se non sono
passate più di 2-6 ore dall’evento acuto).
Un effetto avverso pericoloso è l’emorragia in quanto questi farmaci tendono ad agire
indistintamente sulla fibrina del coagulo patologico e su quella fisiologica di un normale tappo
antiemorragico. Per tale motivo si verificano spesso dei disturbi associati che prima erano
silenti per la presenza della normale coagulazione, ad esempio può verificarsi un
sanguinamento da ulcera peptica o da una ferita in via di guarigione. Sono controindicati
quindi in donne in gravidanza, ferite, anamnesi di accidente cerebrovascolare o tumore
metastatico.
ALTEPLASI (TPA)
Si tratta dell’attivatore tissutale del plasminogeno oggi ottenuto con le tecniche del DNA
ricombinante.
Meccanismo d’azione: ha bassa affinità sul plasminogeno libero plasmatico ed alta affinità
per quello legato alla fibrina in un trombo o in un tappo. Pertanto viene definita selettiva per
la fibrina e questo è un vantaggio rispetto alla streptochinasi che induce uno stato di
trombolisi generalizzata a causa dell’azione sul plasminogeno plasmatico libero.
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Usi terapeutici: tutti gli impieghi antitrombotici principali. Sembra più efficace della
streptochinasi per la dissoluzione dei trombi più vecchi e somministrata entro 3 ore
dall’episodio di ictus ischemico sembra migliorare molto la prognosi.
Farmacocinetica: emivita di 5 minuti per via endovenosa.
Effetti avversi: complicanze emorragiche
STREPTOKINASI
Meccanismo d’azione: non ha attività enzimatica, forma un complesso col plasminogeno e lo
trasforma in plasmina. Il complesso streptokinasi-plasminogeno degrada i tappi di fibrina ma
anche i fattori V e VII della coagulazione.
Usi terapeutici: TEP, TVP, IMA, trombosi arteriosa periferica, shunt occlusi.
Farmacocinetica: la terapia deve iniziare entro 4 ore dall’infarto miocardico e l’infusione
dura 1 ora.
Effetti avversi:
 Emorragia: a seguito della massiva attivazione del plasminogeno in plasmina si ottiene
una fibrinolisi generalizzata che può facilmente portare ad emorragia
 Ipersensibilità: la streptochinasi è un enzima presente nel corredo proteico dello
streptococco e pertanto essendo una sostanza estranea all’organismo facilmente viene
percepita come anomala e viene diretta una risposta immunitaria verso di essa. Si
possono avere reazioni cutanee, febbre e raramente anafilassi. Spesso gli individui
nella loro esperienza hanno avuto contatto con lo streptococco e quindi possiedono
anticorpi preformati che talvolta possono interferire con la normale attività della
streptokinasi.
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FARMACI DELL’EMOPOIESI
ANTIANEMICI E FATTORI DI CRESCITA
46. Impieghi terapeutici di ferro, acido folico, vitamina B12,
eritropoietina, fattori di crescita dei globuli bianchi
L’anemia è uno stato di carenza di emoglobina conseguente ad un ridotto numero di globuli
rossi o ad un contenuto di emoglobina totale per unità di volume ridotto. Le cause possono
essere molto diverse ed in base alle caratteristiche morfologiche si dividono vari gruppi di
anemie, i principali gruppi sono:
- Anemia microcitica: con globuli rossi particolarmente piccoli
- Anemia macrocitica: globuli rossi più grandi
L’anemia è uno stato che si può avere a seguito di una perdita ematica consistente (ferita,
mestruazioni eccessive, sanguinamento gastrointestinale cronico) o per una maggiore
necessità e insufficiente apporto dei nutrienti fondamentali per la costruzione
dell’emoglobina o dei globuli rossi stessi (gravidanza, carenze endocrine, carenze dietetiche),
in più può avvenire a seguito di un’emolisi massiva, di infezioni o di tumori.
Queste condizioni spesso possono essere trattate anche con infusioni ematiche allo scopo di
ripristinare un ematocrito adeguato, tuttavia si cerca di risalire alla causa dell’anemia e
trattarla con il farmaco adeguato che nel caso della carenza dietetica si tratta di
somministrazioni di ferro, acido folico, vitamina B12.
FERRO
Il ferro è un componente fondamentale dell’emoglobina situato nel gruppo eme che ha utilit{
nel catturare l’ossigeno. Una carenza di ferro deriva da una perdita acuta di sangue oppure a
un inadeguato apporto dietetico in momenti in cui ce n’è più bisogno (gravidanza, crescita).
Pertanto viene somministrato per eliminare la condizione di anemia microcitica ipocromica
come supplemento di ferro-solfato.
Gli effetti avversi più comuni sono i disturbi gastrointestinali dovuti ad un’irritazione locale.
ACIDO FOLICO
La carenza di acido folico deriva da diverse situazioni:
- Aumento del fabbisogno (gravidanza, allattamento)
- Scarso assorbimento intestinale per malattie dell’intestino tenue
- Alcolismo
- Trattamento con farmaci inibitori della diidrofolato reduttasi (metotrexato e
trimetoprim)
La carenza di acido folico si manifesta sotto forma di un’anemia megaloblastica in quanto i
precursori dei globuli rossi non riescono a dividersi e restano con un MCV molto alto. Questa
situazione deriva dall’essenziale ruolo dell’acido folico nel legame con fattori che determinano
la sintesi di purine e pirimidine, pertanto senza acido folico non vengono prodotte le basi
azotate e non posso essere formati i nucleotidi per la strutturazione del DNA e dell’RNA.
La conseguenza di ciò è che le cellule non riescono a dividersi e vengono immesse in circolo
come cellule grandi ancora immature. Viene somministrato per via orale e si assorbe bene nel
digiuno. Non sono stati segnalati effetti collaterali.
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Le dosi in eccesso vengono eliminate con le feci e con le urine.
VITAMINA B12 (COBALAMINA)
Molto spesso l’anemia megaloblastica deriva da una carenza di vitamina B12 piuttosto che da
carenza di acido folico ed il trattamento con solo acido folico porta con il tempo ad una grave
disfunzione e malattia neurologica mentre nei primi tempi viene mascherata questa carenza
dall’acido folico.
La carenza di cobalamina deriva da uno scarso assorbimento dovuto a incapacità delle cellule
parietali gastriche di produrre il fattore intrinseco che è utile nel legame di questa vitamina e
nel suo trasporto verso il midollo osseo. La disfunzione delle cellule parietali è una
condizione, tuttavia anche pazienti con resezione gastrica e quindi assenza di ghiandole del
corpo fondo soffrono di tali disturbi.
Il tipico caso di insufficiente captazione intestinale per mancanza di fattore intrinseco è
l’anemia perniciosa, ma sono possibili anche malattie de malassorbimento intestinale.
La cobalamina va somministrata per via orale nelle carenze dietetiche e per via
intramuscolare o sottocutanea profonda nell’anemia perniciosa.
Di norma il trattamento di un’anemia megaloblastica prevede un duplice approccio sia con
folato che con vitamina B12. La terapia nei pazienti con anemia perniciosa va continuata per
tutta la vita.
ERITROPOIETINA
È una glicoproteina prodotta normalmente dal rene che serve a stimolare la proliferazione e la
differenziazione dei precursori degli eritrociti in globuli rossi maturi. In determinate malattie
come l’insufficienza renale terminale, i pazienti con HIV e alcune neoplasie anemizzanti è
fondamentale somministrare eritropoietina esogena fabbricata sinteticamente.
Spesso per avere una risposta adeguata si somministra insieme al ferro.
Nei pazienti in dialisi si dà per via endovenosa, ma negli altri pazienti si preferisce la via
sottocutanea. Si possono avere alcuni effetti collaterali come mancanza di ferro e aumento
della pressione sanguigna a seguito sia dell’aumento delle RVP sia per aumento della viscosit{
del sangue.
FATTORI DI CRESCITA DEI GLOBULI BIANCHI
Questo gruppo include :
• varie interleuchine che principalmente hanno effetto sulla produzione e sulla
differenziazione dei linfociti;
• i fattori di stimolazione delle colonie, che giocano un ruolo maggiore nella differenziazione
di cellule in neutrofili, macrofagi, megacariociti (dai quali derivano le piastrine), gli eosinofili e
i basofili;
La maggior parte di questi fattori di crescita:
• è data da glicoproteine che mostrano una massa molecolare nella regione di 14 - 24 KDa;
• è prodotta da più di un tipo cellulare e molti mostrano ridondanza nella loro attività;
• molti regolatori possono stimolare la proliferazione di alcune linee cellulari emopoietiche.
Essi presentano i recettori per i fattori di crescita. Il numero di recettori per ogni fattore di
crescita è basso (meno di 500 per cellula) e la proliferazione può essere stimolata anche
quando solo una piccola porzione di questi è occupata.
L’ingegneria genetica ha consentito la produzione di forme ricombinanti di tutte le forme
conosciute . Questo ha facilitato lo sviluppo delle conoscenze sul processo emopoietico.
In molti casi , in vitro, è necessaria la presenza di una combinazione di fattori di crescita per
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ottenere la differenziazione di determinate linee cellulari, ma alcune esigenze di
mantenimento e di differenziazione delle cellule staminali si rispecchiano probabilmente
anche in vivo.
In vivo le cellule emopoietiche sono solitamente crescono in grappoli in stretta associazione
con vari tipi cellulari dello stroma del midollo osseo. che sembrano giocare un ruolo diretto
nella proliferazione e nella differenziazione delle cellule staminali.
- Le interleuchine come fattori di crescita emopoietica L’ interleuchina IL-3 è forse la IL più promettente da questo punto di vista. Essa sembra
essere in grado di stimolare non solo CFU-GEMM, ma anche i precursori di basofili, eosinofili e
piastrine.
- Il fattore stimolante le colonie di granulociti G-CSF è anche noto come PLURIPOIETINA e CSF-b.
Essa è sintetizzata da vari tipi cellulari e funziona come fattore di crescita e di differenziazione
per i neutrofili ed i loro precursori. Inoltre sembra attivare i neutrofili maturi. G-CSF sembra
agire in sinergia con altri fattori di crescita per stimolare crescita e differenziazione di varie
altre cellule emopoietiche progenitrici. In più questa citochina promuove la proliferazione e la
migrazione di cellule endoteliali.
Il recettore per G-CSF è :
• è un polipeptide transmembrana singolo trovato sulla superficie di neutrofili, vari
precursori emopoietici, piastrine, cellule endoteliali e varie leucemie mieloidi.
- Il fattore stimolante le colonie di macrofagi M-CSF serve come fattore di crescita, di differenziazione e di attivazione per i macrofagi ed i
loro precursori. E’ anche noto come CSF-1.
Questa citochina è prodotta da vari tipi cellulari.
- Il fattore stimolante le colonie di granulociti e macrofagi GM-CSF è anche noto come CSF-a o PLURIPOIETINA-a.
- Fattore di stimolazione delle colonie di granulociti e macrofagi (GM-CSF);
Esso assomiglia agli altri CSF. GM-CSF è prodotto da varie cellule e studi recenti hanno
indicato che le sue attività biologiche includono:
• fattore di proliferazione e di differenziazione delle cellule progenitrici emopoietiche,
particolarmente quelle che producono neutrofili (una varietà di granulociti) e macrofagi, ma
anche eosinofili, eritrociti e megacariociti. In vivo gli studi dimostrano anche l’abilit{ di questa
citochina di promuovere l’emopoiesi;
• attivazione delle cellule emopoietiche mature che si risolve in : aumentata attività
fagocitaria, microbicida, antitumorale ed in aumentata chemiotassi leucocitaria.
La molteplicità delle attività attribuite al GM-CSF e la sua ridondanza rendono difficile una
stima del suo più significativo ruolo fisiologico (questo è vero anche nel caso di molte altre
citochine).
- L’applicazione clinica dei fattori stimolanti le colonie La loro applicazione clinica è volta alla cura di tutte quelle malattie caratterizzate da una
produzione non ottimale di specifiche cellule del sangue .
• G-CSF e GM-CSF si sono dimostrate utili nel trattamento della neutropenia. La neutropenia è
una condizione caratterizzata dal decremento nella conta dei neutrofili nel sangue. I sintomi
clinici includono infezioni frequenti e serie che spesso necessitano dell’ospedalizzazione. La
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neutropenia può essere causata da vari fattori, fra cui: la neutropenia dovuta alla
somministrazione di chemioterapici in pazienti malati di cancro. Agenti chemioterapici (per
es. ciclofosfamide, doxorubicina e metotressato) spesso inducono la distruzione delle cellule
staminali e/o compromettono la loro differenziazione.
• Tutti e tre i tipi di CSF sono (o stanno probabilmente per essere) utilizzati nel trattamento
delle malattie infettive,
• di alcune forme di cancro e
• nella cura dei trapianti di midollo osseo, poichè essi stimolano la
differenziazione/attivazione dei globuli bianchi che hanno effetto su tali condizioni.G-CSF e
GM-CSF dopo il trapianto allogenico e autologo di midollo osseo accelerano il recupero dei
neutrofili.
Fra i prodotti attualmente in uso abbiamo:
Il FILGRASTIM è un G-CSF ricombinante umano (prodotto in E. Coli) approvato dal 1991 per la
neutropenia indotta dalla chemioterapia.
La somministrazione giornaliera in pazienti che ricevono la chemioterapia ha notevolmente
ridotto la leucopenia. La risposta specifica dei neutrofili dipende dal
numero di cellule progenitrici che sopravvivono ancora all’inizio del trattamento.
I neutrofili dei pazienti con neutropenia trattati con filgrastim mostrano anche fagocitosi e
chemiotassi, almeno per un certo periodo.
Il filgrastim si usa sia a scopo preventivo che in caso di patologie già conclamate.
E’ generalmente attivo in entrambe le circostanze.
Il filgrastim è solitamente somministrato per iniezione sottocutanea.
Il farmaco è generalmente ben tollerato.
Il più comune effetto collaterale è dato da un leggero male alla ossa .
Questo disturbo può essere alleviato per somministrazione di opportuni analgesici.
Interessante è la sua somministrazione in caso di leucemia mieloide , poichè queste cellule
esprimono i recettori per G-CSF. In alcuni casi G-CSF potrebbe anche promuovere la crescita
accelerata di queste cellule maligne.
Il filgrastim, inoltre, può essere utilizzato per combattere :
• la neutropenia severa cronica,
• la leucemia e
• l’AIDS.
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FARMACI PER IL TRATTAMENTO
DELL’ASMA E DELLA BPCO
BRONCODILATATORI ED ALTRI FARMACI PER IL TRATTAMENTO DELL’ASMA E
DELLA BPCO
47. Classificazione dei farmaci impiegati nel trattamento
dell’asma
L’asma è una malattia infiammatoria cronica delle vie aeree (bronchi e bronchioli) che si
manifesta con diversi sintomi come dispnea, senso di costrizione toracica, respiro sibilante e
tosse. Agli esami di funzionalità respiratoria si nota una marcata diminuzione del VEMS
durante l’attacco acuto. Questa patologia provoca tali sintomi a seguito di:
- Contrazione della muscolatura liscia bronchiale (broncocostrizione)
- Iperreattività bronchiale a seguito di stimoli esterni anche di lieve entità
- Aumento delle secrezioni mucose con formazione di tappi di muco
- Ampia reazione infiammatoria che interessa tutta la parete del bronco con principale
contributo di eosinofili, basofili e mastociti che producono mediatori potenti flogistici.
A questa infiammazione cronica segue anche un rimodellamento delle pareti bronchiali
con ipertrofia della muscolatura liscia che peggiora il flusso aereo.
L’asma è una patologia che colpisce milioni di persone e non è caratterizzata da un andamento
persistente, ma piuttosto da riesacerbazioni degli attacchi broncospastici, la cui frequenza e
intensit{ è utilizzata per classificare la gravit{ dell’asma.
La gravità delle manifestazioni cliniche è correlata al grado di ostruzione bronchiale ma può
essere percepita in maniera diversa da individui differenti.
I farmaci antiasmatici oggi utilizzati in terapia sono:
- Beta2 agonisti
- Cortisonici
- Anticolinergici
- Inibitori delle fosfodiesterasi
- Stabilizzatori di membrana
- Antagonisti dei leucotrieni
- Nuovi farmaci
Beta2 agonisti
Si tratta di una classe di farmaci che agonizza la noradrenalina la quale agisce sui recettori β2
della muscolatura bronchiale come rilassante e provoca quindi broncodilatazione.
Esistono 2 classi di beta-agonisti:
 A breve durata d’azione (short acting):
o TERBUTALINA
o SALBUTAMOLO
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010

A lunga durata d’azione (long acting):
o FORMOTEROLO
o SALMETEROLO
Meccanismo d’azione: i beta2 agonisti agiscono legandosi selettivamente ai recettori beta2 e
provocano una trasduzione del segnale che culmina nella produzione di cAMP, il quale ha una
serie di azioni come aumento dell’attivit{ dei canali del potassio, aumento dello scambio
sodio/calcio e aumento dell’attivit{ della pompa sodio/potassio. Tutti questi effetti agiscono
come riduzione dell’eccitabilit{ della fibra muscolare liscia che tende a rilassarsi e migliorare
il broncospasmo.
Azioni:
 Rilasciamento della muscolatura liscia bronchiale
 Attenuazione della reattività bronchiale aspecifica (riduzione responsività agli agenti
spasmogeni e sensibilità dei recettori sensitivi)
 Attenuazone della reattività bronchiale specifica (minor liberazione di mediatori ma
scarsa attività antiflogistica)
 Aumento della clearance mucociliare
 Riduzione della permeabilità vascolare
 Forse riduzione della sintesi mastocitaria di istamina
L’azione prevalente però è il rilassamento della muscolatura liscia, mentre non agisce per
ridurre l’infiammazione, ragione per cui sono necessari altri farmaci specifici.
I long acting sembrano possedere anche un’attivit{ antinfiammatoria.
Usi terapeutici:
1. Asma lieve-moderata: si utilizzano al bisogno i short acting che hanno lo scopo di
migliorare il flusso nell’attacco acuto, ma non nella prevenzione cronica.
2. Asma medio-grave: si preferiscono i long acting in quanto assicurano una protezione
maggiore e anche durante la notte, è opportuno associare un cortisonico.
3. Crisi asmatiche severe: vengono usati i short acting a dosi elevate durante gli attacchi
acuti ma è sempre necessario associare un cortisonico.
4. BPCO
Farmacocinetica: i farmaci short acting come il salbutamolo e la terbutalina vengono
somministrati preferenzialmente a livello inalatorio in modo che la loro azione sia diretta
all’epitelio dei bronchi, in tal modo si riducono anche gli effetti periferici da accumulo.
Vengono utilizzate bombolette pressurizzate predosate con sostanza in polvere da inalare.
Esistono anche altre modalità di somministrazione come la via orale e la via endovenosa che
sono molto meno usate. La via orale ha un’incidenza molto più elevata di effetti collaterali
mentre la via endovenosa viene usata in ospedale per le emergenze.
I short acting hanno inizio dell’azione in 1-5 minuti e la broncodilatazione persiste per 2-6 ore
mentre i long acting hanno un inizio d’azione in 1-20 minuti e prolungano la loro azione
broncodilatatrice fino ad oltre 12 ore.
I long acting sono chimicamente simili al salbutamolo però hanno una catena laterale lipofila
che permette loro un’interazione col recettore di maggiore durata e a questo devono la loro
più lunga durata d’azione.
La modalit{ di somministrazione inalatoria prevede l’utilizzo di queste pompe pressurizzate
contenenti particelle da inalare che sono di dimensioni comprese tra 1-5 µ, dimensione ideale
per penetrare nell’albero respiratorio e legarsi ai recettori bronchiali. Le particelle di
dimensioni maggiori come 10 µ impattano contro l’orofaringe e non sono efficaci anche
perché vengono assorbite dall’apparato gastroenterico e sono reponsabili di effetti avversi.
Così come le particelle più piccole di 1 µ raggiungono gli alveoli ma vengono respinte con
l’aria espirata.
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È pertanto consigliato nell’erogazione di tali farmaci l’utilizzo di un distanziatore che
permette l’impatto delle molecole più grosse nelle pareti dello strumento e l’ingresso delle
particelle di giuste dimensioni nell’albero respiratorio. L’uso di tale dispositivo ha ridotto gli
effetti indesiderati da assorbimento intestinale improprio.
Effetti avversi:
 Tachicardia: effetto principale dovuto ad un assorbimento improprio che determina
una lieve interazione con i recettori β1 cardiaci provocando tachicardia
 Tremori muscolari
 Ipokaliemia
 Stimolazione della glicolisi e della lipolisi (alterazione del metabolismo glucidico)
 Desensibilizzazione dei recettori beta adrenergici con conseguente tolleranza (effetto
meno documentato e più incerto)
Cortisonici
I glucocorticoidi hanno un utilizzo importante nell’asma medio-grave come terapia cronica
per ridurre l’infiammazione che determina broncospasmo.
Sono utilizzati:
- FLUTICASONE
-
MOMETASONE
BECLOMETASONE
BUDESONIDE (recente)
CICLESONIDE (farmaco recentissimo utilizzato come profarmaco che libera il principio
attivo ed è scevro da effetti collaterali)
Meccanismo d’azione: i glucocorticoidi vanno ad agire sui meccanismi dell’infiammazione
determinando una riduzione della sintesi e del rilascio di citochine, modulano la sintesi di
fattori di crescita e proteasi, inibiscono direttamente la fosfolipasi 2 responsabile del
metabolismo dell’acido arachidonico con produzione di molti mediatori flogistici, inibiscono
l’espressione della NO-sintetasi inducibile, riducono gli effetti dei radicali liberi, endoteline,
albumine e IgE e inibiscono il reclutamento di cellule infiammatorie.
Azione: effetto antinfiammatorio e immunosoppressivo, risulta un trattamento
sintomatologico e non eziologico. Regressione dell’edema della mucosa, dela permeabilit{ dei
capillari e della liberazione di LT.
Usi terapeutici: farmaci di prima scelta in pazienti con asma di grado moderato-severo che
hanno necessità di un agonista beta-adrenergico più di 2 volte alla settimana. Sono farmaci di
scelta anche quando la terapia con beta2-agonisti ha dato una scarsa risposta. È importante
nel trattamento dell’asma persistente.
Farmacocinetica:
- Via sistemica: viene impiegata questa modalità di somministrazione quando il paziente
ha un’asma severa e non ha avuto alcuna risposta dal beta2-agonista short acting. È
tanto valida la via endovenosa quanto quella orale. Nel caso di riacutizzazione grave si
procede a 50 mg di prednisone per 7 giorni.
È importante considerare però che nel trattamento dell’asma persistente i cortisonici
sistemici hanno poca efficacia
- Via inalatoria: è fondamentale la somministrazione inalatoria di cortisonici in pazienti
con asma persistente. Il trattamento può essere fatto per lunghi periodi a basse dosi o
per brevi periodi ad alte dosi. Anche l’incidenza degli effetti avversi periferici è
diminuita con questa via. Si ottiene una riduzione dei sintomi e delle riacutizzazioni,
miglioramento del quadro funzionale respiratorio e delle alterazioni
anatomopatologiche.
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I farmaci inalatori hanno ridotto il bisogno di corticosteroidi per via sistemica. Tuttavia una
grossa parte del farmaco viene bloccata nell’orofaringe e come tale viene deglutita e assorbita
dall’intestino e responsabile di effetti avversi, molti dei farmaci utili però subiscono un
notevole metabolismo epatico di primo passaggio e quindi gli effetti avversi non sono
importanti.
Gli steroidi sistemici vengono dati per via orale (prednisone) o endovenosa
(metilprednisolone), una volta ottenuto il miglioramento si sospende la terapia (1-2
settimane).
Anche in questo caso si consiglia il distanziatore.
Effetti avversi (conseguenti a somministrazione inalatoria):
 Candidiasi orofaringea: parti del cortisonico depositate hanno azioni antinfiammatorie
e immunosoppressorie e possono indurre un’infezione da opportunisti.
 Disfonia
 Tosse e broncocostrizione da CFC (clorofluorocarburi): sono sostanze utilizzate nelle
bombolette pressurizzate. Oggi non si verificano più questi effetti perché i CFC sono
stati sostituiti con altre sostanze.
 Reazioni sistemiche: solo elevati dosaggi possono portare a reazioni sistemiche come
azione sull’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e soppressione ipofisaria. È possibile avere
anche reazioni osteoporotiche a seguito di trattamenro prolungato e intenso.
Per via inalatoria la migliore soluzione per evitare gli effetti indesiderati è l’utilizzo del
distanziatore o un accurato lavaggio della cavità orale dopo uso del farmaco.
Anticolinergici
- IPRATROPIO BROMURO
- OSSITROPIO BROMURO
Si tratta di sostanze derivate dall’atropina che vengono utilizzate nel trattamento dell’asma.
Meccanismo d’azione: queste sostanze si legano ai recettori M1 ed M3 sulla parete
bronchiale e determinano un’inibizione della stimolazione vagale con conseguente riduzione
della reattività epiteliale, riduzione delle secrezioni e blocco della broncocostrizione, tuttavia
non sono broncodilatanti come i beta agonisti ma stoppano solo il broncospasmo.
Usi terapeutici: utilizzati nei casi in cui l’asma non possa essere trattata con beta agonisti a
causa di gravi aritmie o cardiopatia ischemica oppure anche semplicemente in casi in cui il
beta agonista è mal tollerato per reazioni avverse. In alcuni casi vengono associati a beta2
agonisti in preparazioni farmaceutiche preformate (ipratropio + salbutamolo) che
permettono la riduzione della dose dei beta agonisti abbassando la possibilità di effetti
avversi.
Farmacocinetica: la somministrazione è esclusivamente inalatoria visto lo scarso
assorbimento per via orale. Solo il 10% entra nelle vie aeree mentre il restante 90% entra nel
canale alimentare ed escreto con le feci immodificato. Solo l’1% del farmaco è assorbito,
metabolizzato ed escreto con le urine.
Effetti avversi: praticamente nessuno, solo a volte un senso di gusto spiacevole in bocca. Per
questo motivo è indicato in gravidanza e nelle situazioni comprendenti altri stati patologici.
Solo a volte possono presentarsi tachicardia, midriasi e alterazioni del detrusore che inducono
una ritenzione urinaria. Normalmente è sconsigliato nei pazienti ipertrofia prostatica ben
Inibitori delle fosfodiesterasi
- TEOFILLINA
- XANTINE
Farmaci utilizzati per moltissimo tempo, avevano un ruolo fondamentale in passato, tuttavia
non si sa bene ancora la modalit{ con cui possano indurre una riduzione dell’asma.
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Meccanismo d’azione: essi inibiscono le fosfodiesterasi e di conseguenza determinano un
innalzamento delle concentrazioni di cAMP e cGMP. Altre ipotesi sono l’interferenza con
l’ingresso del calcio e il blocco dei recettori per l’adenosina.
Azioni: l’aumento di tali mediatori sembra agire sul rilassamento del muscolo liscio
bronchiale e sulla riduzione delle cellule infiammatorie e del rilascio di mediatori (soprattutto
per inibizione della PDE IV). L’azione globale è quindi un rilasciamento della muscolatura
liscia e una parziale attività antinfiammatoria.
Usi terapeutici:
- Attacchi acuti asmatici insieme ai beta2-agonisti
- Asma cronico negli steps iniziali associata sempre ad un cortisonico inalatorio di fondo
come rafforzamento della terapia antiflogistica. Nelle fasi finali sempre associata a
cortisonici inalatori ad alte dosi e beta2-agonisti short acting all’occorrenza.
Farmacocinetica: la somministrazione generalmente è orale e l’assorbimento dipende dalla
formulazione. Esiste una formulazione non a lento rilascio ed una a lento rilascio (2 volte al
giorno) che viene utilizzata maggiormente in quanto rilascia dosi minime di teofillina e un
assorbimento graduale che permette di raggiungere la dose terapeutica senza avere picchi
tossici. La teofillina è fortemente metabolizzata dal fegato e il metabolismo è elevato nei
fumatori che quindi possono trarre pochi benefici dall’uso di teofillina.
Può essere somministrata anche per via endovenosa in casi gravi per risolvere l’attacco acuto.
Effetti avversi:
 Cefalea
 Nausea e vomito
 Pirosi e dolore epigastrico
 Accentuazione del reflusso gastro-esofageo
Questi effetti si verificano per concentrazioni plasmatiche maggiori di 20 mg/L mentre la dose
terapeutica efficace è compresa tra 10 e 20 mg/L. pertanto si può affermare che la teofillina
abbia un IT basso. Nei casi di sovradosaggio marcato o alterazioni dell’assorbimento si
possono verificare anche reazioni avverse fatali:
 Convulsioni
 Aritmie ventricolari gravi
Stabilizzatori di membrana
- CROMOGLICATO
- NEDOCROMILE
Meccanismo d’azione: questi farmaci sono stati ampiamente studiati ma non si è arrivato
ancora a comprendere adeguatamente il meccanismo d’azione. Si sa che sono considerati
stabilizzatori di membrana nel senso che riducono la reattività di cellule epiteliali, mastociti e
cellule nervose sensoriali per inibizione dei flussi transmembrana degli ioni cloro e calcio con
conseguente inibizione del rilascio di mediatori proinfiammatori da mastociti ed altre cellule.
Azione:
 Riduzione dell’iperreattivit{ bronchiale a qualsiasi stimolo esogeno
 Azione protettiva nei confronti di stimoli allergici e non (metacolina, istamina, ASA,
bradichinina, esercizio fisico, aria fredda…)
Usi terapeutici: essi vengono impiegati negli stati di asma cronico per prevenire gli attacchi e
non sono utili negli attacchi acuti. Vengono usati spesso in combinazione con beta agonisti,
teofillinici e corticosteroidi inalatori per ridurre il dosaggio di tali farmaci. È di particolare
rilievo il loro impiego in età pediatrica ed in gravidanza a causa delle reazioni avverse
estremamente rare ed efficace ruolo di prevenzione.
Farmacocinetica: utilizzo inalatorio. Il cromoglicato non va mai fatto ingerire perché
altrimenti agirebbe sui mastociti gastrointestinali. Subisce eliminazione urinaria.
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Reazioni avverse: sono molto rare, lievi e transitorie. La più comune è una sensazione
spiacevole al gusto seguita da cefalea, nausea e vomito.
Antagonisti dei leucotrieni
I leucotrieni sono dei mediatori chimici prodotti dall’enzima lipossigenasi presente negli
eosinofili, neutrofili e nelle piastrine. Essi derivano dal metabolismo dell’acido arachidonico.
Esistono diversi leucotrieni: il LTB4 è un potente chemiotattico dei neutrofili ma non ha azioni
respiratorie, mentre i cisteinil-leucotrieni (LTC4, LTD4, LTE4) hanno importanti azioni a
livello bronchiale in quanto si legano ai recettori specifici per i cisteinil-LT e mediano la
contrazione della muscolatura liscia, la permeabilità capillare, la formazione di edema
interstiziale e la secrezione mucosa. Quindi sono tutti pro-asmatici e sono i mediatori prodotti
in un secondo momento nella reazione allergica dopo l’istamina. Essi hanno una potenza 1000
volte maggiore dell’istamina nell’indurre broncospasmo e sono i responsabili del
mantenimento della reazione allergica una volta che l’istamina è stata consumata tutta.
Esistono pertanto dei farmaci che bloccano selettivamente questo recettore e inibiscono la
funzione pro-asmatica dei LT:
- MONTELUKAST
- ZAFIRLUKAST
Meccanismo d’azione: inibizione competitiva del legame con il recettore
Azioni:
 Inibizione del broncospasmo
 Protezione dalla reazione asmatica immediata e ritardata indotta da stimolo antigenico
 Broncodilatazione in pazienti con asma cronico
 Asma da sforzo
 Asma da aspirina e FANS
 Asma indotta da inspirazione di aria fredda
Usi terapeutici: il montelukast trova indicazione come farmaco aggiuntivo nei pazienti affetti
da asma cronico lieve-moderato in cui i corticosteroidi inalatori e i beta agonisti non
permettono un controllo adeguato delle crisi asmatiche. È molto utile nella profilassi
dell’asma qualora essa abbia una componente importante nell’insorgenza dopo esercizio
fisico.
Farmacocinetica: somministrazione orale, il montelukast ha assorbimento buono
indipendente dal cibo e con biodisponibilità del 70% mentre lo zafirlukast ha assorbimento
interferito col cibo e insieme ad esso biodisponibilità del 40%.
Entrambi raggiungono il picco plasmatico in 2 ore. Il montelukast viene somministrato una
volta al giorno la sera prima di coricarsi, mentre lo zafirlukast necessita di 2 somministrazioni
giornaliere lontano dai pasti. Entrambi hanno metabolismo epatico ed escrezione fecale.
I metaboliti intermedi dello zafirlukast sono inattivi mentre hanno attività non specificata
quelli del montelukast.
Effetti avversi:
 Effetti cutanei
 Reazioni di ipersensibilità di vario tipo: anafilassi, orticaria, edema, prurito, rush
 Danno epatico: tipicamente con il montelukast si possono verificano innalzamenti delle
transaminasi ma anche della fosfatasi alcalina e della gamma-GT, quindi si ha un danno
epatocellulare e colestatico.
 Vasculite eosinofilica (Churg-Strauss): molto rara
 Gastrointestinali: diarrea, dispepsia, secchezza delle fauci, vomito, nausea
 Muscoloscheletrici: artralgia, mialgia
 Cardiovascolari: aumentata tendenza al sanguinamento, ecchimosi, palpitazioni
 SNC: sonnolenza, capogiri, insonnia, parestesie, convulsioni
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 Astenia, malessere.
Nuovi farmaci
-
-
Nuovi corticosteroidi inalatori: monosomministrazione giornaliera (mometasone) e
attivazione locale (cicloesanide) con minori effetti collaterali a lungo termine.
Anticorpi monoclonali umanizzati anti IgE: efficaci nell’asma e nella rinite allergica,
indicata nell’asma grave per ridurre le riacutizzazioni.
Il primo farmaco di questo gruppo è l’OMALIZUMAB che è destinato a pazienti adulti e
adolescenti con asma allergico grave persistente con insufficiente controllo nonostante
la migliore terapia possibile (corticosteroidi e beta agonisti). Attualmente però il suo
dosaggio è limitato dall’alto costo, dalle limitazioni sul dosaggio e dai dati disponibili
dagli studi clinici ancora insufficienti. Esso si lega al recettore delle IgE sulla superficie
di mastociti e basofili impedendo il legame dell’IgE e quindi blocca la liberazione di
mediatori flogistici.
Inibitori della PD4 (roflumilast, cilomilast): effetto broncodilatatore e
antinfiammatorio, efficaci come CSI a basse dosi, indicati in particolari fenotipi come
pazienti senza eosinofilia.
Terapia della broncopneumopatia cronica ostruttiva
I farmaci utilizzati nella BPCO hanno lo scopo principale di ridurre la broncostruzione e il
miglioramento del flusso aereo soprattutto i parametri del flusso espiratorio (VEMS) che sono
estesamente alterati in tale patologia.
Vengono usati normalmente i beta2 agonisti e gli anticolinergici per favorire la
broncodilatazione. Solitamente viene data una somministrazione combinata di salbutamolo e
ipratropio. I corticosteroidi per via inalatoria sono meno utilizzati e vengono comministrati
solo nei casi in cui la risposta dilatatoria all’antimuscarinico e al beta agonista sia incompleta
o insoddisfacente.
Gli steroidi a lunga durata d’azione sono utili in quanto permettono la riduzione della
frequenza delle somministrazioni.
48. Approccio terapeutico all’asma bronchiale in relazione
allo stadio della malattia
L’asma in base alla frequenza degli episodi e alla gravit{ dei sintomi viene suddivisa in:
 Intermittente: sintomi presenti meno di una volta alla settimana con brevi
riacutizzazioni. Sintomi notturni presenti meno di 2 volte al mese. FEV1 > 80% con
variabilit{ minore del 20%. L’indice di Tiffeneau può essere minore del 70%.
 Persistente:
o Lieve: sintomi che si verificano più di una volta a settimana ma meno di una
volta al giorno con riacutizzazioni che possono interferire con le attività
quotidiane. I sintomi notturni sono presenti più di 2 volte al mese. FEV 1 > 80%
con variabilità tra 20-30%. L’indice di Tiffeneau è minore del 70% (incapacità
ventilatoria ostruttiva)
o Moderata: sintomi quotidiani e notturni più di una volta a settimana. Il paziente
ha necessit{ di utilizzo dei beta agonisti a breve durata d’azione tutti i giorni.
L’IT è sotto il 70% e il FEV1 è compreso tra 60-80% con variabilità maggiore del
30%
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o Severa: sintomi continui e notturni frequenti, attività fisica limitata, IT minore
del 70% con FEV1 minore del 60% con variabilità maggiore di 30%.
In base a questa classificazione l’asma è stata suddivisa in 4 livelli:
1. Lieve intermittente
2. Lieve persistente
3. Moderata persistente
4. Severa persistente
Asma lieve intermittente (Livello 1)
La terapia prevede uso di broncodilatatori beta2 agonisti a breve durata d’azione nelle
occasioni di necessità fino a 1 volta al giorno.
Nessuna terapia a lungo termine è indicata
Asma lieve persistente (Livello 2)
La terapia prevede l’uso di beta2 agonisti short acting all’occorrenza associati a
corticosteroidi a dose standard per inalazione o degli stabilizzatori di membrana
(cromoglicato e nedocromile)
Asma moderata persistente (Livello 3)
La terapia a questo livello prevede corticosteroidi ad alte dosi per inalazione o corticosteroidi
a dosi standard associati a beta2 agonisti a lunga durata d’azione.
Sono sempre previsti i beta2 agonisti short acting all’occorrenza.
Asma severa persistente (Livello 4)
La terapia prevede corticosteroidi per via inalatoria ad alte dosi + terapia regolare con
broncodilatatori long acting.
Il beta2 agonista short acting all’occorrenza nell’attacco acuto. È opportuno quindi effettuare
dei cicli sequenziali di uno o più farmaci tra:
 Beta2 agonisti long acting
 Teofillina orale a rilascio prolungato
 Ipratropio o ossitropio
 Beta2 agonisti breve durata a rilascio modificato
 Cromoglicato o nedocromile
Asma molto severa persistente (Livello 5)
La terapia principale è l’utilizzo di corticosteroidi per os. I beta2 agonisti per gli attacchi gravi
associati però sempre a corticosteroidi ad alte dosi per inalazione; broncodilatatori a lunga
durata; prednisolone per os.
Sindromi broncospastiche
 Broncospasmo occasionale da sforzo: utilizzo di beta2 agonisti short acting
 Broncospasmo prevalentemente notturno: beta2 agonisti a rilascio modificato o
teofillinici
 Broncospasmo continuo che non risponde ai soli beta2 agonisti: beta2 agonisti più
anticolinergici oppure teofillinici + cortisonici per inalazione o per os.
Male asmatico
Si tratta di uno stato in cui si verifica un episodio di asma bronchiale di entità tale da mettere
a rischio la vita del paziente. In questi casi di emergenza si usa il beta2 agonista per inalazione
o endovena + cortisonici endovena o intramuscolo + ossigenoterapia.
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Gravità
Step 1:
Lieve Intermittente
Step 2:
Lieve Persistente
Step 3:
Moderata Persistente
Farmaci quotidiani per il
controllo
Nessuno
Altre opzioni (in ordine di
efficacia globale)
Nessuna
Glucocorticoidi inalatori
(< 500µg/die) anche in
singola dose giornaliera
Glucocorticoidi inalatori
(200-1000 µg)
+
Beta2 agonisti inalatori a
lunga durata d’azione


Antileucotrieni
Cromoni

Glucocorticoidi
inalatori (500-1000
µg) + antileucotrieni

Glucocorticoidi
inalatori (500-1000
µg) + teofillina a lento
rilascio

Step 4:
Severa Persistente
Glucocorticoidi inalatori
(>1000 µg)
+
Beta2 agonisti a lunga durata
d’azione
+ uno di questi se necessario:
- Antileucotrieni
- Teofillina a lento
rilascio
- Glucocorticoidi orali
(solo dopo aver
ottimizzato tutto il
resto)
Glucocorticoidi
inalatori a dosi più
alte (> 1000 µg)
Valutare possibili fattori
aggravanti o che possono
rendere la malattia non
controllata (aderenza al
trattamento, fattori psicosociali, esposizione ad
allergeni, RGE, rinosinusite,
sensibilit{ ad ASA…)
In tutti gli steps vanno usati i beta2 agonisti short acting all’occorrenza (durante l’attacco
acuto).
Trattamento dell’asma nella prima infanzia e nel bambino
Utilizzo dei beta2 agonisti short acting nei casi acuti
Gravità
Livello 1
Livello 2
Livello 3
Farmaci di fondi giornalieri Altre opzioni
Nessuno
Nessuno
Glucocorticoidi a bassa dose
- Antileucotrieni
per via inalatoria
- Cromoni
Glucocorticoidi per via
 Glucocorticoidi per via
inalatoria a dose media
inalatoria a basso
dosaggio + beta2
agonisti a lunga
durata d’azione
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

Livello 4
(autorizzati dopo i 4
anni)
Glucocorticoidi a
basso dosaggio +
antileucotrienici
(autorizzati dopo 6
mesi)
Glucocorticoidi a
basso dosaggio
inalatori + teofillina a
lento rilascio
Glucocorticoidi a dosi elevate
per via inalatoria
+
uno dei seguenti se
necessario:
- Beta2 agonisti a lunga
durata d’azione
- Antileucotrienici
- Teofillina
- Glucocorticoidi per via
orale
I pazienti affetti da riacutizzazioni frequenti (più di una volta ogni 4-6 settimane) o gravi
dovrebbero essere considerati da secondo livello.
Per tutti i livelli è necessario controllare l’adesione allo schema terapeutico e alle misure di
profilassi ambientale nei soggetti allergici.
Per il livello 2 una volta ottenuto un miglioramento della condizione e un controllo della
situazione per almeno 3 mesi si consiglia di ridurre progressivamente il dosaggio del
glucocorticoide o dell’altro trattamento di fondo.
Nel livello 3 in caso di scarsa risposta a dosi basse di corticosteroide associato ad un altro
farmaco si consiglia di aumentare la dose del cortisonico fino a raggiungere le dosi medie.
La scelta del farmaco deve sempre tenere in considerazione l’età del paziente e le condizioni
cliniche associate.
Asma in gravidanza
Il feto è più a rischio per un cattivo controllo dell’asma piuttosto che per gli effetti collaterali
dei farmaci antiasmatici.
I beta2 agonisti, i corticosteroidi inalatori, la teofillina sia orale che endovenosa (monitorando
le concentrazioni plasmatiche), i corticosteroidi orali sono farmaci il cui utilizzo è approvato
in gravidanza. Gli antileucotrieni sono controindicati in gravidanza.
Durante l’allattamento è opportuno continuare il trattamento con antiasmatici.
Modalità di somministrazione inalatoria dei farmaci antiasmatici
È opportuno prescrivere l’utilizzo di dispositivi che permettono la collisione delle particelle
più grosse con le pareti dello strumento per evitare che queste impattano con l’orofaringe e
possano dare origine a effetti avversi.
I normali strumenti per l’erogazione del farmaco sono:
- Aerosol (Metered dose inhaler)
- Diskus (Accuhaler)
- Turbohaler
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ALTRI FARMACI DELL’APPARATO
RESPIRATORIO
FARMACI PER LA RINITE ALLERGICA E LA TOSSE
49. Farmaci per la rinite allergica (antiistaminici anti-H1,
agonisti alfa-adrenergici, cromoni, corticosteroidi)
La rinite allergica è una patologia su base allergica che si manifesta come un’irritazione della
mucosa nasale e la tipica sintomatologia comprende prurito nasale, starnuti, rinorrea liquida
e congestione nasale. L’attacco di solito viene scatenato a seguito del contatto con l’allergene
previa sensibilizzazione dell’individuo all’allergene stesso. Il processo prevede un primo
contatto con l’antigene contro cui viene diretta una risposta che provoca l’esternalizzazione
dei recettori per le IgE sui mastociti per cui una volta che ritorna il contatto con l’antigene si
ha una risposta immunitaria anomala di ipersensibilità e liberazione di una enorme quantità
di IgE da plasmacellule attivate che si legano ai mastociti e provocano la liberazione di
istamina, leucotrieni, prostaglandine e altri mediatori flogistici.
Il risultato è una vasodilatazione nasale che provoca edema e quindi rinorrea associata a
congestione per secrezione mucosa ghiandolare, starnuti e prurito per alterazioni della
mucosa e conseguente esposizione dei recettori sensitivi agli stimoli esterni. Associato a
questo spesso si ha anche una costrizione bronchiolare responsabile di attacchi d’asma.
I principali farmaci utilizzati per combattere gli attacchi di rinite allergica sono:
- Antiistaminici
- Alfa-adrenergici
- Cromoni
- Corticosteroidi
Si è visto che la somministrazione sistemica di tali farmaci poteva dare degli effetti avversi e
pertanto c’è stata una sempre più intensa specializzazione sulla somministrazione topica
intranasale che sembra poter alleviare bene i sintomi senza problemi sistemici.
Antiistaminici
Questi farmaci hanno la capacità di bloccare il recettore H1 dell’istamina a cui si lega il
mediatore ed è responsabile della maggior parte degli eventi allergici. Alleviano efficacemente
gli starnuti e la rinorrea e associati ai decongestionanti sono un’ottima terapia anche per la
congestione nasale. I farmaci più utilizzati di questa classe sono:
-
DIFENIDRAMINA
CLORFENIRAMINA
LORATIDINA
FEXOFENADINA
Essi differiscono tra loro per la capacità di indurre sedazione come effetto avverso e per la
durata d’azione variabile tra i vari farmaci.
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Agonisti alfa-adrenergici
Questi farmaci i cui 2 componenti più usati sono la FENILEFRINA e l’OSSIMETAZOLINA (con
durata d’azione molto più lunga) hanno la capacit{ di legarsi ai recettori alfa1 delle arteriole
dilatate della mucosa nasale e comportano una vasocostrizione limitando l’aumento di
permeabilit{ e quindi l’entit{ dell’edema nasale e della congestione. Vengono infatti
denominati decongestionanti nasali.
La somministrazione può essere inalatoria con rapido inizio d’azione e ridotti effetti sistemici
oppure orale con maggiore durata d’azione ma aumento dell’incidenza di effetti sistemici.
Molto spesso si usano in associazione agli antiistaminici, però il loro uso non dovrebbe essere
troppo prolungato in quanto al termine del loro utilizzo spesso si può verificare una
congestione da rimbalzo e quindi non sono ottimali per un trattamento a lungo termine.
Corticosteroidi
Questi farmaci come FLUTICASONE, FLUNISOLIDE , BECLOMETASONE e TRIAMCINOLONE sono
efficaci in questa patologia solo se somministrati come spray nasali topici. Il loro
assorbimento sistemico per via nasale è bassissimo e quindi possono essere utilizzati anche
per lunghi periodi senza avere effetti avversi. Sono considerati farmaci sicuri.
Molto spesso risultano più efficaci degli antiistaminici nel controllo dei sintomi nasali sia da
rinite allergica che non allergica.
Possono esistere effetti avversi topici come irritazione nasale, sanguinamento nasale, mal di
gola e raramente candidosi in quanto i cortisonici hanno un potente effetto
immunosoppressivo.
Cromoni
Principalmente viene usato il CROMOGLICATO che può essere molto utile se somministrato
prima del contatto con l’antigene in quanto è uno stabilizzatore di membrana ed evita la
degranulazione e la fuoriuscita di mediatori flogistici e allergici.
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50. Farmaci sedativi della tosse
I farmaci impiegati per sedare la tosse chiaramente non vengono utilizzati in tutti i pazienti
che presentano la tosse in quanto questa è un meccanismo fisiologico di clearance bronchiale.
Questi farmaci vengono impiegati nelle condizioni in cui la tosse è molto intensa e provoca
dolore toracico e affaticamento o nella tosse secca e stizzosa che ostacola il sonno, oltre ai casi
in cui viene stimolata non a seguito della sua attività di clearance ma per meccanismi diversi
che interessano disfunzioni del SNC.
Esistono diversi farmaci usati a tali scopi e sono:
- Codeina, Idrocodone, Idromorfone
- Destrometorfano
- Benzonatato, Dropropizina, Levodropropizina
Stimolo dei
terminazioni
sensitive nelle
vie. resp
Fibre nervose
stimolono I
centri tosse al
bulbo
Fibre escono
dal bulbo ai
mus. Insp.,
mus. Della
glottide, mus.
Esp.
Causa: 1)veloce
profonda insp.
2) rapida esp. a
glottide chiusa
3) rapida apertura del
glottide con
vibrazione delle
La CODEINA, l’IDROCODONE e l’IDROMORFONE sono tutti oppiacei che possono presentare azione
corde vocali
antitussigena in quanto diminuiscono la sensibilità del centro della tosse nel SNC agli stimoli
periferici e riducono la secrezione mucosa. Queste azioni si verificano per dosaggi inferiori
rispetto a quelli necessari per ottenere l’effetto analgesico.
La codeina ha la capacità di essere un antitussigeno a differenza della morfina in quanto nella
prima è presente un gruppo –CH3 che maschera un –OH in posizione 3, il quale è
fondamentale per l’attivit{ analgesica, mentre nella morfina è smascherato e prevale l’effetto
analgesico su quello antitussivo.
La morfina possiede un gruppo –OH sul carbonio 6 che se schermato migliora l’attivit{
analgesica.
Esistono pazienti con polimorfismi genici che interferiscono con il metabolismo della codeina
la quale non viene trasformata in morfina e mantiene solo gli effetti antitussivi.
al versante opposto esistono pazienti detti ultra-metabolizer che presentano un’elevata
funzionalità del CYP2D6 e possono intensificare la trasformazione a morfina esaltando gli
effetti tossici di sedazione.
La codeina viene metabolizzata dal citocromo CYP2D6 per il 20% e viene trasformata al
composto attivo morfina; il restante 80% viene metabolizzato dal CYP3A4 e forma composti
inattivi eliminati con le urine.
Il DESTROMETORFANO è un oppiaceo che ha perso quasi del tutto la capacità analgesica mentre
ha una forte azione antitussigena. Esso sopprime la risposta del centro della tosse. Non ha
proprietà analgesiche, né rischio di tossicodipendenza e causa meno stitichezza della codeina.
È metabolizzato dal CYP2D6 a destrorfano e in gran parte dal CYP3A4 a 3-metossimorfinano.
Altri farmaci sono la DROPROPIZINA e la LEVODROPROPIZINA ed essi agiscono principalmente in
periferia riducendo lo stimolo all’evocazione del riflesso della tosse.
Esistono anche farmaci che vengono impiegati nel trattamento antitussivo spesso associati a
fluidificanti per favorire la fuoriuscita di espettorato viscoso e denso difficile da far uscire.
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FARMACI ANTIULCERA
FARMACI CHE INIBISCONO LA SECREZIONE ACIDA ED ALTRI FARMACI
ANTIULCERA
51. Classificazione, meccanismi e criteri d’impiego dei
farmaci antiacidi e antiulcera
L’ulcera peptica è una patologia gastroduodenale che insorge a seguito di 3 principali eventi:
- Infezione da Helicobacter Pylori
- Aumento della secrezione acida gastrica
- Riduzione dei meccanismi di protezione della mucosa gastrica
Può originarsi sia a livello duodenale che a livello gastrico, principalmente nelle porzioni
antrali e meno frequentemente nel corpo-fondo.
È una condizione spiacevole che provoca dolore addominale, stillicidio cronico di sangue,
dispepsia. Se si complica possono verificarsi 3 condizioni molto pericolose: perforazione,
emorragia e stenosi.
L’approccio terapeutico prevede l’eradicazione dell’infezione da Helicobacter Pylori,
l’inibizione della secrezione gastrica acida e la protezione dela mucosa dello stomaco.
La secrezione gastrica acida avviene a livello delle cellule parietali presenti sul corpo-fondo
dello stomaco. Esse possiedono una pompa ATP-asica che scambia H+ con K+ liberando i
protoni nel lume gastrico e facendo entrare potassio dentro la cellula. Contemporaneamente
esiste un canale del cloro che fa fuoriuscire lo ione nel lume in modo tale che si coniughi con il
protone per formare HCl.
La secrezione gastrica viene stimolata da diversi fattori:
 Recettore muscarinico: l’acetilcolina si lega e stimola la secrezione
 Recettore H2 istaminico: l’istamina ha una funzione importante nella secrezione
gastrica e favorisce soprattutto la secrezione gastrica notturna
 Recettore gastrinico: la gastrina liberata dalle cellule G della mucosa antrale si lega a
questi recettori e stimola la secrezione acida
 Recettore per PGE2: la prostaglandina E2 ha un’azione opposta perché inibisce la
secrezione gastrica e ha un effetto protettivo sulla mucosa.
L’istamina legandosi al recettore stimola l’adenilato ciclasi e la formazione di cAMP che attiva
proteine chinasi, la prostaglandina inibisce questo enzima. L’acetilcolina e la gastrina invece
agiscono aumentando il flusso di calcio intracellulare
I farmaci principali utilizzati per trattare
l’ulcera peptica sono:
- Bloccanti dei recettori H2
dell’istamina
- Inibitori di pompa protonica
- Prostaglandine
- Antimuscarinici
- Antiacidi
- Farmaci protettivi della mucosa
- Antibatterici (contro HP)
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Antagonisti dei recettori H2
Questi farmaci sono stati ampiamente utilizzati per il trattamento dell’ulcera ma ad oggi sono
stati soppiantati dagli inibitori di pompa protonica (PPI) che sembrano agire in modo più
completo e con meno effetti avversi.
I farmaci utilizzati di questo gruppo sono:
- CIMETIDINA (capostipite)
- RANITIDINA
- FAMOTIDINA
- NIZATIDINA
Meccanismo d’azione: bloccano in modo reversibile con un antagonismo il recettore H2
dell’istamina e agiscono su tutti i recettori H2 dello stomaco, dei vasi e della altre sedi, tuttavia
il loro effetto prevalente si svolge sulla mucosa gastrica e soprattutto non possiedono effetti
anti H1 e quindi non hanno alcun potere antiallergico.
Azioni: questi farmaci riducono la secrezione gastrica acida soprattutto derivata dal legame di
istamina e gastrina, mentre sono meno efficienti nella riduzione della secrezione acida indotta
da acetilcolina. L’inibizione di questo recettore ha anche uno scopo di riduzione della
secrezione di gastrina in quanto sulle cellule secernenti gastrina sono presenti recettori H2 e
pertanto la secrezione di gastrina viene fortemente ridotta. Sono estremamente efficaci nel
prevenire la secrezione acida notturna ma anche basale e a seguito dell’ingestione di cibo.
Usi terapeutici:
1. Ulcera peptica: impiego principale degli antagonisti dell’istamina. Essi favoriscono la
diminuzione della secrezione acida e della progressione dell’ulcera. Tuttavia possono
essere responsabili di una ricaduta dopo sospensione, per evitare questo è importante
associare una terapia anti-HP. Generalmente per guarire un’ulcera impiegano 8
settimane.
2. Ulcere acute da stress: di solito vengono somministrate per via endovenosa
3. GERD: la malattia da reflusso gastro-esofageo ha visto l’utilizzo per moltissimo tempo
di tali farmaci che sono efficaci nella riduzione del bruciore, però oggi sono stati
sostituiti quasi completamente dagli inibitori di pompa perché si è visto che il 50% dei
pazienti trattati con inibitori di H2 non trae beneficio.
Farmacocinetica: sono tutti somministrati per via orale e si distribuiscono ampiamente in
tutto l’organismo (entrando nella placenta e nel latte materno) e sono escreti con le urine.
La cimetidina che è il capostipite ha un’emivita breve che aumenta nell’insufficienza renale.
Viene metabolizzata dal sistema epatico microsomiale delle ossidasi miste per il 30% ed
essendo un processo molto lento può interferire con il metabolismo di altri farmaci
prolungando la loro durata d’azione (warfarin, diazepam, fenitoina, chinidina, carbamazepina,
teofillina, imipramina). Il rimanente 70% è escreto immodificato con le urine.
La ranitidina è un farmaco più potente e con emivita più lunga. Ha effetti collaterali minimi e
non inibisce il sistema delle ossidasi a funzione mista per cui non interferisce con altri
farmaci.
La famotidina ha una potenza molto maggiore della cimetidina e maggiore della ranitidina.
La nizatidina è simile come potenza alla ranitidina ma differisce dalle altre in quanto non è
metabolizzata dal fegato e viene escreta direttamente dal rene.
Effetti avversi (soprattutto dovuti alla cimetidina):
 Cefalea, capogiri, diarrea e dolore muscolare sono gli effetti più comuni ma sempre di
lieve entità e non richiedono la sospensione del trattamento
 Allucinazioni e confusione si presentano solo per dosi elevate in pazienti anziani e
soprattutto per somministrazioni endovenose
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 Effetti endocrini: la cimetidina è un antiandrogeno non steroideo e stimola la
formazione di ginecomastia, galattorrea e riduzione del numero di spermatozoi. In più
aumenta la secrezione di prolattina.
 Interazione con altri farmaci: la cimetidina rallenta il metabolismo dei farmaci
metabolizzati dal sistema P-450.
 Tutti i farmaci di questa classe a parte la famotidina inibiscono il metabolismo di primo
passaggio dell’etanolo. Inoltre alcuni farmaci come il ketoconazolo non vengono
assorbiti perché necessitano di un ambiente acido.
Inibitori di pompa protonica (PPI)
Si tratta della classe di farmaci in assoluto più utilizzata ad oggi per il trattamento di ulcere,
esofagiti, GERD e condizioni ipersecretive a causa della maggior potenza rispetto agli
antiistaminici e ai minori effetti collaterali.
I farmaci di questo gruppo utilizzati sono:
- OMEPRAZOLO (capostipite)
-
LANSOPRAZOLO
PANTOPRAZOLO
RABEPRAZOLO
ESOMEPRAZOLO
Meccanismo d’azione: questi farmaci agiscono sullo step finale della produzione di HCl in
quanto inibiscono selettivamente la pompa H/K a livello delle cellule parietali gastriche.
Azioni: riduzione della secrezione acida (90%) sia basale che stimolata. Di solito l’inibizione
dell’acido inizia 1-2 ore dopo la somministrazione per il lansoprazolo e leggermente prima
con l’omeprazolo. Si stima che la guarigione di un’ulcera peptica con tali farmaci impieghi
circa 4 settimane.
Usi terapeutici:
1. Ulcera peptica: soprattutto è molto efficace nell’ulcera duodenale attiva. In più hanno
dimostrato una riduzione del rischio di sanguinamento a seguito di ingestione di FANS
o aspirina.
2. Esofagite erosiva
3. Sindromi ipersecretive: coma la sindrome di Zollinger-Ellison in cui un gastrinoma
indice un’iperproduzione di gastrina che stimola la secrezione acida
4. GERD: di prima scelta nel trattamento della malattia da reflusso gastro-esofageo
5. Utilizzo insieme a regimi antimicrobici per l’eradicazione di Helicobacter Pylori.
Farmacocinetica: tutti gli inibitori di pompa vengono somministrati per via orale con una
formulazione di profarmaco rivestito da una capsula resistente all’azione dei succhi gastrici,
altrimenti il farmaco sarebbe distrutto dall’acidit{. Così arriva nel duodeno e qui si libera della
capsula e viene assorbito entrando in circolo fino a giungere ai canalicoli secretori delle
cellula parietali dello stomaco. A questo punto viene convertito nel farmaco attivo che
reagisce con un residuo di cisteina della pompa protonica e la inibisce irreversibilmente.
L’emivita del farmaco è abbastanza bassa, ma la durata d’azione è molto lunga in quanto
l’inibizione della pompa è irreversibile e bisogna aspettare almeno 18 ore affinchè vengano
sintetizzate nuove pompe attive.
Questi farmaci sono escreti nelle urine e in parte nelle feci.
Il pantoprazolo è l’unico ad essere disponibile anche per la somministrazione endovenosa.
Effetti avversi: questi farmaci sono ben tollerati e non presentano particolari effetti avversi.
Tuttavia è sorto il dubbio che l’inibizione della pompa porti ad una continua secrezione di
gastrina in senso compensatorio e si è visto che nei modelli animali può insorgere un tumore
carcinoide, il pericolo però sembra non sussistere per gli umani.
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Essi inoltre possono stimolare la proliferazione batterica perché alzano il pH.
In più i PPI interferiscono col metabolismo di warfarin, fenitoina, diazepam e ciclosporina.
Un ultimo effetto avverso può essere il malassorbimento della vitamina B12 che richiede un
ambiente acido per essere assorbita.
Prostaglandine
Esiste un farmaco che è il MISOPROSTOLO che è efficace nell’aumento della protezione della
mucosa gastrica attraverso la secrezione di muco e bicarbonato e l’inibizione della secrezione
di HCl. È un agonista della PGE2 che svolge naturalmente questa funzione.
Si è rivelato molto utile insieme al lansoprazolo per la prevenzione delle ulcere gastriche
indotte dai FANS. Tuttavia il ruolo antiacido è molto più scarso rispetto agli inibitori di pompa
e agli antagonisti H2 nel trattamento delle ulcere peptiche. Non è possibile quindi l’uso
profilattico di misoprostolo tranne nei pazienti che assumono cronicamente FANS e sono ad
alto rischio di ulcera da FANS. Esso è clinicamente utile per la riduzione della secrezione acida
solo per dosi molto più alte.
Non è possibile utilizzarlo in gravidanza a causa delle contrazioni uterine. Gli effetti avversi
più comuni dipendenti dalla nausea sono diarrea e vomito.
Antimuscarinici
La DICICLOMINA è un farmaco antimuscarinico che come tale quindi blocca la secrezione acida
ed interferisce con la motilità intestinale. Può essere usato come farmaco aggiuntivo nel
trattamento dell’ulcera peptica e della sindrome di Zollinger-Ellison. In ogni caso a seguito dei
suoi effetti avversi notevoli (aritmie, ritenzione urinaria) il suo uso è limitato.
Antiacidi
Si tratta di una classe di farmaci che esplica la sua azione solo a livello chimico e quindi sono
palliativi dei sintomi di bruciore ma non interferiscono con la produzione acida.
Le caratteristiche per un buon antiacido sono:
- Elevata capacità tamponante
- Discreta durata d’azione
- Privo di effetti sistemici
- No effetto rebound
- Buona palatabilità
Azioni e impieghi: questi farmaci sono formulazioni chimiche di basi deboli che si legano
all’HCl per formare acqua ed un sale abbassando quindi l’acidit{ gastrica locale e
temporaneamente. Inoltre sembra che riducano anche l’attivazione del pepsinogeno in
pepsina che richiede un pH minore di 4 e con gli antiacidi sembra che il pH possa alzarsi sopra
tale soglia inattivando la pepsina.
-
IDROSSIDO DI ALLUMINIO AL(OH)3
IDROSSIDO DI MAGNESIO MG(OH)2
CARBONATO DI CALCIO CACO3
BICARBONATO DI SODIO NAHCO3
L’idrossido di alluminio e di magnesio sono ampiamente utilizzati in quanto hanno potere
neutralizzante più intenso dei sali di calcio e sodio e inoltre questi non vengono assorbiti e
non danno effetti sistemici come invece può fare il bicarbonato di sodio che crea lieve alcalosi
metabolica.
Gli antiacidi contenenti magnesio ed alluminio possono essere impiegati per curare l’ulcera
peptica duodenale, ma sono meno indicati per le ulcere gastriche acute.
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Gli antiacidi sembrano anche poter favorire la creazione di un film protettivo e la secrezione
di prostaglandine. Tuttavia possono portare a ipergastrinemia perché i sali di calcio stimolano
la liberazione di gastrina. Un’altra azione è l’assorbimento degli acidi biliari (perché il pH è tra
4 e 7) utile nel caso di reflusso duodeno-gastrico.
Effetti avversi: tra gli effetti indesiderati principali ci sono la stipsi indotta da idrossido di
alluminio e la diarrea indotta da idrossido di magnesio, pertanto un accoppiamento dei 2
farmaci sembra utile nel regolare la funzionalità intestinale. Il legame al fosfato da parte degli
antiacidi con alluminio può portare ad ipofosfatemia.
Il sodio bicarbonato può dare alcalosi metabolica ed in più libera CO2 provocando eruttazioni
e flatulenza. L’assorbimento dei cationi in genere non è un problema se la funzionalit{ renale
è mantenuta. Il carbonato di sodio però può aggravare l’ipertensione o l’ICC mentre il
carbonato di calcio associato a cibi ad alto contenuto di calcio può portare ipercalcemia.
Farmaci protettivi della mucosa
Questi farmaci detti citoprotettori potenziano l’attivit{ protettiva della mucosa, riducono
l’infiammazione e fanno guarire le ulcere esistenti.
SUCRALFATO
Si tratta di un farmaco che associa l’idrossido di alluminio con il sucrosio solfato. Ha la
capacità di legarsi alle proteine con carica positiva delle cellule epiteliali sia della mucosa sana
che della mucosa necrotica (quindi in sito di ulcera) e crea un gel protettivo consistente utile
come barriera che previene la liberazione di HCl nel lume e contemporaneamente ostacola la
digestione della mucosa gastrica da parte della pepsina. In più stimola la secrezione di
prostaglandine e bicarbonato potenziando l’azione protettiva.
L’utilizzo pertanto è ottimale nel trattamento cronico per la guarigione dell’ulcera peptica
come terapia di mantenimento per prevenire le ricadute.
Richiede un pH acido per l’attivit{ quindi non deve essere somministrato insieme a anti-H1 o
antiacidi. Si assorbe molto poco nel circolo, è ben tollerato ma può dare interferenze
metaboliche con altri farmaci.
BISMUTO COLLOIDALE
Praticamente ha le stesse caratteristiche del sucralfato facendo guarire le ulcere peptiche
efficacemente mediante un legame con le proteine delle cellule necrotiche e sane formando un
film attivo e stimolando la secrezione di muco, bicarbonati e prostaglandine.
Ha anche una rilevante azione antimicrobica.
Può simulare una melena in quanto ha la caratteristica di colorare le feci di nero.
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52. Farmaci per l’eradicazione di Helicobacter Pylori
L’infezione da Helicobacter Pylori è una delle infezioni più frequenti in assoluto e si stima che
il 20-30% della popolazione mondiale sia infettata da questo batterio.
Si tratta di un Gram – che è la principale causa di gastrite cronica, ulcera peptica gastrica e
duodenale, linfoma gastrico ed ha un ruolo favorente nell’adenocarcinoma gastrico.
Ciò ha portato a studi mirati all’eradicazione del batterio la cui terapia è una delle poche ad
essere preventiva o efficace nel trattare certi tumori.
La trasmissione del batterio sembra essere per via oro-fecale o oro-orale.
Per rilevare la presenza del batterio possono essere usati test non invasivi di facile e rapido
utilizzo come l’urea breath test o l’esame sierologico, oppure esistono test invasivi come
l’esame istologico a seguito di biopsia gastrica.
Il trattamento farmacologico di questa infezione comprende una serie di farmaci che ad oggi
vengono utilizzati insieme in una triplice terapia o talvolta in una quadruplice terapia che
sembrano in grado di eradicare il 80-90% delle infezioni da HP avendo anche una buona
efficacia sulla ricaduta.
Molti farmaci possono essere usati per trattare l’infezione da HP:
- Composti del bismuto
- Amoxicillina
- Tetracicline
- Claritromicina
- Metronidazolo
- Inibitori di pompa protonica
I composti del bismuto sono adiuvanti degli antibatterici in quanto aumentano la protezione
della membrana della mucosa gastrica, mentre gli inibitori di pompa sembrano utili nel ruolo
di riduzione dell’acidit{ e possibile miglioramento di una gastrite cronica o di un’ulcera
associata all’infezione.
Attualmente la terapia per un’eradicazione di circa il 90% continuativa per 2 settimane
può essere triplice:
INIBITORI DI POMPA + METRONIDAZOLO O AMOXICILLINA + CLARITROMICINA
Oppure quadruplice:
BISMUTO SUBSALICILATO + METRONIDAZOLO + TETRACICLINA + ANTAGONISTA DEL RECETTORE
H2 O PPI
Il trattamento con un solo farmaco è meno efficiente e consente un tasso di eradicazione del
20-30% dei casi a differenza della politerapia che raggiunge anche il 90% di eradicazione.
Terapia continuativa per un ciclo di 7 giorni (eradicazione 80%):
1. PPI + Metronidazolo + Amoxicilllina
2. PPI + Claritromicina + Amoxicillina
3. PPI + Claritromicina + Metronidazolo (nel caso di allergia all’amoxicillina)
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ALTRI FARMACI DELL’APPARATO
DIGERENTE
ANTIEMETICI. FARMACI DELLA MOTILITÀ E DELL’ASSORBIMENTO INTESTINALE
53. Farmaci antiemetici
Il vomito è una condizione altamente spiacevole per l’individuo che può verificarsi
frequentemente a seguito di diversi stimoli esogeni (mal di moto, gravidanza, epatite…) ma in
questi casi il trattamento farmacologico non è utile. Gli unici casi in cui si utilizza una terapia
appropriata per il vomito è la chemioterapia antineoplastica che nel 70-80% dei pazienti
induce vomito.
È importante una terapia antiemetica in questi casi perché oltre ad essere una condizione
spiacevole può portare il paziente ad un rifiuto del trattamento antineoplastico
potenzialmente curativo ed oltre a questo è possibile anche che un vomito continuo e cronico
porti a disidratazione, sbilanciamenti elettrolitici e perdita di nutrienti.
Il vomito da chemioterapia dipende dal tipo di farmaco (cisplatino è il più emetizzante in
assoluto), dalla dose, dalla modalità di somministrazione e dalle variabili del paziente.
I meccanismi che innescano il vomito sono gli stimoli che giungono a due specifiche regioni
del tronco encefalico e del midollo spinale:
- Zona chemocettrice situata alla base del quarto ventricolo che risponde a stimoli
presenti nel sangue e nel liquor in quanto non è dotata di barriera EE e pertanto
sensibile agli stimoli ematici. Essa è la zona di innesco.
- Centro del vomito localizzato nella formazione reticolare laterale del midollo che
coordina i meccanismi motori alla base del vomito. Esso risponde alla stimolazione del
centro superiore, del sistema vestibolare (responsabile del mal di moto), della periferia
(faringe e tratto gastrointestinale) e delle strutture corticali.
I farmaci chemioterapici antineoplastici agiscono principalmente attivando la zoa
chemocettrice una volta distribuiti nel circolo, ma possono facilmente anche attivare il centro
del vomito attraverso una liberazione della serotonina dalla mucosa intestinale a seguito di un
danno cellulare che si va a legare ai recettori 5HT3 delle fibre afferenti vagali e splancniche
che scaricano al centro del vomito ed evocano il riflesso. Anche i recettori della dopamina D2
sono interessati nell’evocazione di questo riflesso.
Principali farmaci antiemetici
- Fenotiazine
- Bloccanti del recettore della serotonina 5HT3
- Benzamidi sostituite
- Butirrofenoni
- Benzodiazepine
- Corticosteroidi
- Cannabinoidi
- Bloccante del recettore della neurochinina/sostanza P
Fenotiazine
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
Si tratta di un gruppo di farmaci i cui principali componenti sono PROCLORPERAZINA e
TIETILPERAZINA. Esse agiscono bloccando i recettori D2 della dopamina, sono efficaci nel
trattamento del vomito da chemioterapici con bassa o intermedia attività emetizzante come il
fluorouracile. Innalzando le dosi si ha miglioramento degli effetti tuttavia insorgono anche
effetti avversi come ipotensione, irrequietezza, sintomi extrapiramidali e sedazione.
Bloccanti dei recettori della serotonina 5-HT3
Questi occupano un ruolo importante in queste situazioni in quanto hanno una lunga durata
d’azione e sono risultati efficaci contro tutte le terapie emetizzanti.
Essi bloccano questo recettore della serotonina sia nell’encefalo (zona chemocettrice) sia in
periferia (fibre afferenti vagali) riducendo marcatamente lo stimolo del vomito.
I principali farmaci usati sono:
- ONDANSETRON
- DOLASETRON
- GRANISETRON
- PALONOSETRON
Con l’ondansetron e il granisetron si è vista una riduzione del 50-60% del vomito nei pazienti
in terapia con cisplatino.
Possono essere somministrati in dose singola prima della chemioterapia sia per via orale che
per via endovenosa.
Questi farmaci sono metabolizzati dal fegato e le dosi vanno aggiustate per i pazienti con
insufficienza epatica. Sono eliminati con le urine.
Un comune effetto collaterale è la cefalea e in alcuni casi possono presentarsi anche
alterazioni dell’ECG con allungamento del tratto QT.
Sono farmaci molto costosi.
Benzamidi sostituite
La METOCLOPRAMIDE è l’unico componente del gruppo e svolge la sua azione in modo molto
efficace bloccando i recettori D2 della dopamina a livello centrale ed esplica il suo effetto
principale riducendo la capacità emetizzante del cisplatino. Essa attraversa la barriera EE e
quindi dà effetti avversi importanti extrapiramidali, sedazione e diarrea (essendo
antidopaminergico è parzialmente procinetico) e in più sembra avere un’azione
iperprolattinemizzante. Uso limitato per le importanti reazioni avverse.
Butirrofenoni
- DOMPERIDONE
- DROPERIDOLO
- ALOPERIDOLO
È una classe di farmaci antagonisti del recettore D2 della dopamina. Sono antiemetici
moderatamente efficaci. Spesso il droperidolo è usato in endoscopia per sedazione insieme a
oppiacei e BDZ. Prolungano l’intervallo QT e sono indicate solo nei pazienti che non
rispondono ad altre terapie. Il domperidone non attraversa la barriera EE e non dà effetti
collaterali extrapiramidali. Agisce sull’epifisi, ipofisi e CTZ che sono al di l{ della barriera.
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
Benzodiazepine
LORAZEPAM e ALPRAZOLAM hanno potenza antiemetica alquanto bassa. Benefici utili per
sedazione, ansiolitici e amnesici. Possono essere usate nel vomito anticipatorio.
Corticosteroidi
Normalmente vengono impiegati il DESAMETASONE ed il METILPREDNISOLONE che da soli hanno una
certa capacità antiemetica ma di solito vengono associati ad altri farmaci potenziando l’azione.
Forse il loro meccanismo implica un blocco della secrezione di prostaglandine. Possono dare
insonnia e iperglicemia nei diabetici.
Cannabinoidi
DRONABINOLO e NABILONE possono essere usati come antiemetici ma non di prima linea a causa
dei loro effetti collaterali di sedazione, allucinazioni, disforia, vertigini e disorientamento. Utili
nella terapia moderatamente emetizzante. Oggi però i cannabinoidi sintetici non passano la
barriera EE e quindi possono essere usati in quanto non causano effetti sul SNC ma
conservano l’effetto antiemetico.
Bloccante del recettore della neurochinina/sostanza P
Si tratta di una classe di farmaci molto recente di cui fa parte l’APREPITANT che agisce sul
recettore dell’encefalo NK1 che lega la sostanza P (normale mediatore). In questo modo si
verifica una riduzione della capacità emetizzante agendo direttamente sulla zona
chemocettrice centrale.
Di solito si somministra insieme al desametasone e al
palonosetron e subisce un esteso metabolismo epatico da parte
del CYP3A4 sul quale ha azione anche di induttore. Perciò da
un lato rallenta il metabolismo degli altri farmaci ma dall’altro
induce l’enzima e quindi certi farmaci possono avere
un’emivita ridotta (warfarin).
Stipsi e affaticamento sono gli effetti avversi principali.
Molto spesso gli antiemetici acquistano efficacia maggiore se
associati e inoltre l’associazione riduce anche i potenziali
effetti collaterali. Normalmente i corticosteroidi vengono
associati a qualsiasi classe di antiemetici e migliorano l’effetto
oltre a ridurre gli effetti avversi. Con la metoclopramide
vengono dati anche antistaminici per ridurre le azioni
extrapiramidali o corticosteroidi per combattere la diarrea
indotta da questo farmaco.
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54. Farmaci lassativi e purganti
I lassativi sono farmaci che agiscono aumentando la motilità intestinale e spesso sono farmaci
ad uso personale che vengono utilizzati anche in eccesso rispetto alle necessità.
Essi si suddividono in base al meccanismo d’azione in:
- Lassativi Irritanti / Stimolanti
- Lassativi formanti massa
- Emollienti delle feci
Irritanti / Stimolanti
In questo gruppo sono presenti sostanze che agiscono stimolando la motilit{ dell’intestino e la
velocità di fuoriuscita del contenuto in parte per azione irritante e in parte per azione
propriamente stimolante. Fanno parte di questo gruppo:
- OLIO DI RICINO : irritante per l’intestino
- CASCARA, SENNA, ALOE: contengono emodina che stimola l’attivit{ del colon con un ritardo
nell’inizio dell’azione di 6-8 ore
- BISACODILE : potente stimolante del colon
Come effetti avversi possono dare crampi addominali e disturbi dell’omeostasi idrosalina.
Tuttavia l’attivit{ purgante è molto più potente e rilevante rispetto all’attivit{ idrosalina.
Formanti massa
Comprendono i colloidi idrofili che hanno la caratteristica di non venire digeriti e di assorbire
e trattenere una notevole quantit{ d’acqua in modo da dilatare le pareti del colon e provocare
un incremento di motilità.
-
-
AGAR, METILCELLULOSA , SEMI DI PSILLIO , CRUSCA
PURGANTI SALINI : magnesio solfato e magnesio idrossido sono sali non assorbibili che
arrivano nel colon con una grande quantit{ d’acqua e distendono il colon provocando
la defecazione entro 1 ora
GLICOLE POLIETILENICO : usata come soluzione per il lavaggio del colon in previsione di un
intervento endoscopico o radiologico.
LATTULOSIO : lassativo osmotico disaccaride in grado anche di ridurre l’encefalopatia
epatica nel cirrotico a causa dell’inibizione della secrezione di NH3 da parte dei batteri
intestinali
Emollienti delle feci
In questo gruppo sono compresi agenti di superficie che si emulsionano con il contenuto
dell’intestino e producono feci più morbide facilitandone il transito.
-
DOCUSATO SODICO
OLIO DI VASELINA (PARAFFINA LIQUIDA )
SUPPOSTE DI GLICERINA
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55. Farmaci della motilità gastrointestinale: procinetici,
antidiarroici
I farmaci utilizzati per trattare la diarrea agiscono come fattori che riducono la motilità
intestinale o come adsorbenti. Infine esistono anche farmaci che diminuiscono il trasporto di
liquidi ed elettroliti.
Agenti antimotilità
In questa categoria sono presenti 2 farmaci ampiamente utilizzati nel controllo della diarrea:
-
LOPERAMIDE
DIFENOSSILATO
Questi 2 farmaci sono derivati dalla meperidina che ha azioni di tipo oppiaceo sull’intestino
legandosi ai recettori per gli oppiacei presinaptici sui neuroni del sistema nervoso enterico e
bloccano la liberazione di acetilcolina riducendo la peristalsi.
A dosi abituali sono privi di effetti analgesici ma come effetti collaterali possono presentarsi
sedazione, crampi addominali e capogiri. Visto che possono provocare megacolon tossico
sono controindicati nei bambini e nei pazienti con coliti di grado elevato.
Adsorbenti
Questi farmaci comprendono il CAOLINO, la PECTINA, la METILCELLULOSA, L’ATTAPULGITE ATTIVATA e il
SILICATO DI MAGNESIO ED ALLUMINIO . Essi sono ampiamente usati contro la diarrea ma la loro
efficacia non è stata provata da studi clinici specifici.
Forse essi agiscono adsorbendo le tossine ed i microrganismi intestinali e/o rivestendo e
proteggendo la mucosa intestinale. Sono molto meno efficaci degli agenti antimotilità. Oltre a
causare stipsi possono dare anche interferenze con l’assorbimento di altri farmaci.
Farmaci che modificano il trasporto di liquidi ed elettroliti
Si è visto che i FANS come l’ASA permettono una riduzione dell’entit{ della diarrea. Forse
l’effetto è associato ad una riduzione della secrezione di prostaglandine.
Il bismuto subsalicilato è utilizzato per la diarrea del viaggiatore e riduce la secrezione di
liquidi nel colon. La sua azione è probabilmente dovuta alla componente salicilata.
Farmaci procinetici
Sono farmaci che stimolano la motilità gastrointestinale.
Dal punto di vista farmacologico si dividono in:
- agenti antidopaminergici (antagonisti dei recettori D2 della dopamina)
- agenti antidopaminergici con proprietà serotoninergiche (antagonisti dei rec.D2/agonisti
dei rec 5-HT4)
- agenti serotoninergici (agonisti dei rec 5-HT4)
La METAPRONAMIDE rappresenta il prototipo dei procinetici: esso ha effetto antiemetico ma non
può essere considerato un lassativo.
I setroni hanno effetto solo antiemetico e non sono procinetici (ONDASETRON è un antagonista
del rec 5-HT3): determinano infatti stipsi.
E’ dunque importante distinguere tra 5-HT3 antagonisti che inibiscono la liberazione di Ach e
inducono stipsi e agonisti del rec. 5-HT4 che funzionano da procinetici (attualmente non ne
esistono in commercio).
Il DOMPERIDONE è un bloccante dei recettori D2 della dopamina e ha azione antiemetica e solo
blanda procinetica (non ha alcuna azione sui recettori serotoninergici).
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La LEVOSULPIRIDE ha azione sul recettore sul recettore serotoninergico e a basse dosi ha azione
procinetica, a alte dosi ha azione neurolettica.
Farmaci per il trattamento delle IBD
Gli obiettivi clinici comprendono il controllo delle esacerbazioni, il mantenimento della
remissione e il trattamento di complicanze specifiche.
I farmaci utilizzati appartengono a diverse classi.
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OBESITÀ
Una persona è definita obesa quando il suo Indice di Massa Corporea (Body-mass index, BMI) è
superiore a 30 kg/m2, quando il BMI è superiore a 40 parliamo di obesità grave, che è una
forma di obesità che implica un serio rischio per la salute;
L’obesit{ è associata ad un aumento della mortalità prematura e della mortalità per malattie
cardiovascolari;
Le linee guida internazionali consigliano innanzitutto una modifica delle abitudini di vita
(dieta, attività fisica) e successivamente la terapia farmacologica.
I farmaci attualmente disponibili per il trattamento dell’obesit{ sono la sibutramina (Revocata
nel 2009), l’orlistat e (il nuovo) rimonabant (Revocato nel 2008).
ORLISTAT
L’orlistat è un inibitore della lipasi gastrica e pancreatica e riduce l’assorbimento dei grassi
del 30%;
Lo scarso assorbimento sistemico comporta una biodisponibilit{ di circa l’1%;
Il farmaco viene escreto immodificato con le feci;
Le reazioni avverse principali sono a carico dell’apparato gastrointestinale con diarrea e
steatorrea;
La terapia va sospesa se dopo 12 settimane non si è perso almeno il 5% di peso;
La riduzione media del peso corporeo è del 2,7%, e sembra che riduca anche l’incidenza del
diabete di tipo II. Non esistono dati che dimostrino la riduzione della mortalità e della
morbilità correlate all’obesit{.
SIBUTRAMINA
È un inibitore della ricaptazione delle monoamine e agisce a livello centrale. Aumenta il senso
di sazietà. Aumenta la termogenesi anche se questo effetto è secondario nella riduzione del
peso.
Subisce estensivo effetto di primo passaggio epatico e si trasforma in amine ancora più
potenti della molecola progenitrice;
Il farmaco e i metaboliti vengono escreti con le urine;
Le reazioni avverse principali sono insonnia, nausea e costipazione. Il suo rischio
cardiovascolare resta incerto;
La riduzione media del peso corporeo dopo un anno di terapia è stato del 4,6% e non ha effetti
sulla glicemia e sulla colesterolemia. Il suo effetto è maggiore quando associata a modifiche
delle abitudini di vita.
Il farmaco è stato revocato per problemi di sicurezza nel 2009.
RIMONABANT
È il primo antagonista del recettore endogeno dei cannabinoidi CB1. Sembra che l’effetto
dimagrante sia dovuto all’aumento della termogenesi, all’aumento del consumo di ossigeno
nel muscolo scheletrico, alla riduzione della lipogenesi nel fegato e negli adipociti ecc;
Viene metabolizzato a livello epatico ed escreto attraverso la bile;
Il farmaco e i metaboliti vengono escreti con le urine;
La riduzione media del peso corporeo dopo un anno di terapia con 20 mg è stato di 4,6 kg
anche se, alla sospensione del trattamento, gran parte dei pazienti ha riacquistato il peso
perduto. Sembra che sia in grado di migliorare il profilo lipidico;
Un problema di sicurezza emerso recentemente riguarda il rischio di oltre 2 volte rispetto al
placebo di reazioni psichiatriche gravi (inclusa la tendenza al suicidio);
Il farmaco è stato revocato per problemi di sicurezza nel 2008.
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FARMACI ANTINFIAMMATORI
GLUCOCORTICOIDI
56. Azioni farmacologiche, impieghi terapeutici ed effetti
indesiderati dei glucocorticoidi
I glucocorticoidi sono ormoni prodotti dalla corticale del surrene ed in particolare dalla zona
fascicolata centrale. L’ormone naturale prodotto è il cortisolo che è responsabile di
innumerevoli azioni sistemiche a carico di diversi apparati e viene secreto con picchi
circadiani il cui culmine è al mattino intorno alla 8. La sua azione principale è l’aumento della
concentrazione ematica di glucosio al fine di rendere disponibili le riserve energetiche per
affrontare gli stress quotidiani ed in quantità più elevate per superare gli stress acuti come
traumi, operazioni chirurgiche, dolori. Pertanto ha azione metabolica ma possiede anche una
fondamentale azione antinfiammatoria e immunosoppressiva che è la principale caratteristica
sfruttata in farmacologia. Le altre azioni generalmente sono responsabili degli effetti tossici
del cortisolo e visto che i recettori per i glucocorticoidi sono sparsi in tutti i tessuti gli effetti
tossici possono essere innumerevoli.
Oltre al cortisolo sono stati sintetizzati molti composti che hanno azioni analoghe al cortisolo
e sono utilizzati per trattare pazienti con diverse condizioni patologiche come stati
infiammatori cronici, malattie reumatiche, allergie alcune forme di cancro o nella terapia
sostitutiva.
Questi cortisonici di sintesi si differenziano tra loro per:
 Durata d’azione
 Attività mineralcorticoide
 Potenza antinfiammatoria
I principali corticosteroidi impiegati in clinica sono:
 IDROCORTISONE (cortisolo naturale)






PREDNISONE
PREDNISOLONE
METILPREDNISOLONE
TRIAMCINOLONE
FLUPREDNISOLONE
BETAMETASONE
 DESAMETASONE
L’idrocortisone viene preso come standard con attivit{ antinfiammatoria = 1 e attivit{
mineralcorticoide = 1. La dose orale equivalente è 20 mg.
Farmaco
Attività antiinfiammatoria
Ritenzione
H2O/Na+
Dose orale
equivalente (mg)
Idrocortisone
1
1
20
Prednisone
4
0.3
5
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Prednisolone
5
0.3
5
Metilprednisolone
5
0
4
Triamcinolone
5
0
4
Fluprednisolone
15
0
1.5
Betametasone
25-40
0
0.6
Desametasone
30
0
0.75
Meccanismo d’azione
Le modalit{ molecolari d’azione non sono ancora ben chiare. I glucocorticoidi si legano al
recettore specifico per il cortisone. Il legame al recettore può scatenare 2 tipi di reazioni:
1) Azione genomica: modalità con cui il recettore associato al cortisonico forma un dimero
e viene trasportato all’interno del nucleo (spesso il recettore è intracitoplasmatico) e
qui una porzione interna del recettore si lega a determinate regioni promotrici di geni
che codificano per diverse proteine come la lipocortina-1 e l’inibitore del recettore
dell’IL-1 e anche l’IL-10. Esiste però anche una serie di geni che possono essere
silenziati dal complesso recettore/cortisone come tutti i geni coinvolti nella
produzione di citochine, mediatori, molecole di adesione pro-flogistiche soggette a
regolazione da parte di fattori di trascrizione nucleari come NFKB e AP-1.
Le attività genomiche infatti possono essere suddivise in processi di:
 Transattivazione: in cui una porzione che lega il DNA va direttamente a legarsi
a sequenze nucleotidiche dei promotori dei geni bersaglio.
 Transrepressione: effettuabile sia direttamente attraverso interazione con
sequenze nucleotidiche repressive ma anche mediante l’interferenza con fattori
di trascrizione come NF-kB o AP-1 bloccando la loro azione positiva sul
promotore.
Gli effetti antinfiammatori e immunomodulatori dipendono in gran parte dall’interazione con
fattori di trascrizione come NF-kB e AP-1.
Le azioni genomiche andando ad influire direttamente sul DNA richiedono ore o giorni per il
verificarsi degli effetti e quindi sono a lenta insorgenza.
Un tipico esempio di effetto genomico è l’inibizione della sintesi della COX-2 da parte delle
cellule dell’infiammazione.
2) Azione non genomica: si tratta di un’attivit{ che si compie in modo molto più veloce e in
tempi più brevi, non interessa la trascrizione genica e riguarda l’interazione con un
recettore transmembrana anche se ci sono alcune ipotesi dell’esistenza di recettori
citoplasmatici anche per questo gruppo. A seguito del legame si verificano i
meccanismi di trasduzione del messaggio intracellulalre senza interessare il DNA. Un
tipico esempio è il blocco della fosfolipasi A2.
Quest’attivit{ può essere svolta con la presenza del solo glucocorticoide e in tal caso si
tratta di una reazione diretta, ma anche con la presenza di un co-agonista e in tal caso è
una modalità indiretta.
Alcuni tra gli effetti rapidi non genomici sono:
 Modulazione dell’eccitabilit{ neuronale e della neurotrasmissione
 Effetti sul comportamento
 Inibizione del reclutamento di leucociti nelle articolazioni infiammate in
pazienti con AR (attività antinfiammatoria)
 Stimolazione della funziona endoteliale prevenendo la formazione della
placca ateromasica per induzione dell’enzima eNOS.
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Effetto genomico
Effetto non genomico
(soppressione gene COX-2)
(inibizione di fosfolipasi A2)
METILPREDNISOLONE
no
si
FLUTICASONE
si
no
MOMETASONE
si
no
BUDESONIDE
si
no
BECLOMETASONE DIPR.
si
no
BECLOMETASONE
si
si
PREDNISOLONE
si
no
IDROCORTISONE
si
si
TRIAMCINOLONE
si
si
ACETONIDE
Esistono dei casi in cui sono presenti alterazioni geniche delle conformazioni dei recettori dei
glucocorticoidi e in questo modo non si ha più una risposta adeguata. Le implicazioni cliniche
possono essere varie:
- Resistenza all’azione dei glucocorticoidi
- Neoplasie
- Alterazioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene
- Alterazioni metaboliche
- Alterazioni delle funzioni cardiovascolari
- Disfunzioni immunitarie
- Comportamento
Si è visto a seguito di appropriati studi clinici che nei pazienti con asma resistente agli steroidi
e colite ulcerosa resistente anch’essa al trattamento corticosteroideo che questi individui
avevano un aumentata espressione di una particolare isoforma del recettore G, cioè hGRβ
riscontrata sia nel liquido di lavaggio bronchiale e nei linfociti delle vie aeree sia nella mucosa
intestinale. In più si è visto che tale recettore sembra coinvolto anche nell’insorgenza
dell’artrite reumatoide.
Azioni
Elenco delle principali azioni dei glucocorticoidi:
- METABOLICA
o Aumento lipolisi
o Aumento gluconeogenesi
o Aumento catabolismo proteico per rendere disponibili gli aminoacidi come
scheletri per la sintesi glucidica (tranne nel fegato)
o Aumento glicogenolisi
o Nel muscolo inibisce l’uptake di glucosio che altrimenti si ridurrebbe e favorisce
l’utilizzo di acidi grassi per ricavare energia essendo questi maggiormente
mobilizzati dal tessuto adiposo per aumento di lipolisi (azione sulla lipasi
ormone-sensibile) verso i visceri (aumento del grasso viscerale).
Le conseguenze dannose di queste azioni metaboliche possono essere l’iperglicemia
che porta ad un’insulino-resistenza ed un diabete mellito, l’obesit{ viscerale, la
dislipidemia.
- ANTINFIAMMATORIA e IMMUNOSOPPRESSORE
o Redistribuzione dei leucociti verso altri compartimenti corporei come il tessuto
linfatico, eliminandoli dal circolo soprattutto linfociti, macrofagi, basofili ed
eosinofili. I neutrofili sono risparmiati mentre le piastrine e gli eritrociti
aumentano (potendo anche causare fenomeni trombotici in eccesso).
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
-
-
-
-
o Riduzione della sintesi della COX-2 che previene la produzione di
prostaglandine e trombossani utili nei meccanismi infiammatori
o Blocco della fosfolipasi A2 ad opera della lipocortina che aumenta a seguito dei
glucocorticoidi in circolo
o Interferenza con la degranulazione dei mastociti e dei basofili riducendo la
produzione di istamina e tutte le risposte allergiche
o Inibizione della capacità di linfociti e macrofagi di rispondere agli stimoli
mitogeni e antigenici
o Riduzione della vasodilatazione e della fuoriuscita di liquidi
o Riduzione della produzione di anticorpi, citochine e fattori del complemento
circolanti.
È evidente che un’eccesso di glucocorticoidi può portare ad una maggior suscettibilit{
alle infezioni e ad un rallentamento della guarigione delle ferite.
VASOCOSTRITTRICE
o I cortisonici aumentano leggermente la sensibilità agli stimoli vasopressori
(angiotensina e catecolamine) e diminuiscono la dilatazione NO mediata
o Hanno anche una lieve azione mineralcorticoide, soprattutto alcuni
corticosteroidi di sintesi e pertanto stimolano il riassorbimento di sodio e acqua
dal rene con sovraccarico idrico e possibili edemi.
I risultati di un eccesso di corticosteroidi possono essere ipertensione arteriosa e
ipertrofia cardiaca
OSSEA
o Aumento dell’attivit{ osteoclastica per ricavare aminoacidi utili nelle
gluconeogenesi
o Riduzione dell’attività osteoblastica
o Riduzione dell’assorbimento intestinale di calcio
o Aumentata escrezione urinaria di calcio
o Riduzione della sintesi di ormoni sessuali (che favoriscono la deposizione
ossea).
Il risultato sul metabolismo osseo è normalmente il principale effetto indesiderato di
una terapia a lungo termine con corticosteroidi in quanto favorisce e velocizza i
processi che portano ad osteoporosi.
ENDOCRINA
o Inibizione della pulsatilità di LH ed FSH provocano nella donna amenorrea,
ipogonadismo e sindromi simili all’ovaio policistico
o Iperproduzione di androgeni determinano iperandrogenismo femminile che si
manifesta con irsutismo ed acne
o Riduzione della produzione di TSH
o Inibizione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene attraverso un abbassamento nella
secrezione di CRH e ACTH che provoca con il tempo una soppressione
surrenalica potenzialmente fatale se la terapia viene interrotta drasticamente.
Questo effetto si presenta solo se la somministrazione è cronica, a dosi elevate e
continuativa senza giorni di sosta.
NEUROLOGICA
o Il sistema nervoso centrale possiede molti recettori per i glucocorticoidi
soprattutto a livello dell’ippocampo, dell’amigdala che controllano
l’apprendimento, il comportamento, l’umore e la memoria. Per questo
nell’eccesso di cortisonici (ma anche nel difetto) si possono verificare riduzione
della concentrazione e della memoria, insonnia, labilità emotiva, irritabilità e
depressione resistente ad ogni tipo di terapia farmacologica.
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
Usi terapeutici
1. Terapia antinfiammatoria/immunosoppressiva
a. Asma
b. Reazioni allergiche (rinite allergica, da farmaci, da siero, da trasfusione)
c. Malattie su base infiammatoria-autoimmunitaria
i. Artrite reumatoide
ii. Malattie infiammatorie intestinali (RCU e MC)
iii. Malattie varie del tessuto connettivo
iv. Reazioni di rigetto
In generale può essere utilizzata come terapia contro le forme di infiammazione
caratterizzate da gonfiore, rossore, calore e tensione specialmente nelle articolazioni e
nella cute (in questi casi vengono usate preparazioni per uso topico).
2. Terapia sostitutiva
a. Insufficienza surrenalica primitiva (morbo di Addison): in questo caso è
necessaria la somministrazione di idrocortisone altrimenti il paziente va
incontro a morte. Si tratta di una malattia a carattere autoimmune in cui viene
diretta una reazione contro la corticale del surrene che viene progressivamente
distrutta. In genere si somministra con un dosaggio giornaliero in cui 2/3 della
dose vengono dati al mattino e l’ultimo terzo al pomeriggio per cercare di
seguire il ritmo circadiano della secrezione del cortisolo. Per elevare l’attivit{
mineralcorticoide è opportuno somministrare anche fludrocortisone.
b. Insufficienza surrenalica secondaria: derivata da una patologia a carico
dell’ipofisi o dell’ipotalamo che non sono più in grado di secernere ACTH e CRH
e la produzione di cortisolo ricomincia quando viene somministrata
corticotropina. In ogni caso si usa l’idrocortisone. In questa situazione
comunque la secrezione mineralcorticoide è meno interessata perché l’ACTH
controlla soprattutto la zona reticolare e fascicolata della corticale del surrene
piuttosto che la glomerulare dove sono prodotti mineralcorticoidi.
c. Iperplasia corticosurrenale congenita: condizione in cui si ha un blocco
enzimatico a livello della catena di reazioni che catalizzano la formazione di
steroidi a partire dal colesterolo. In questo caso sono bloccati enzimi che però
non compromettono la produzioni di androgeni e per questo si manifesta con
iperandrogenismo femminile. Si utilizza l’idrocortisone in modo tale da fornire
al paziente la giusta dose di ormoni inibendo l’asse ipotalamo-ipofisi così da
ridurre gli stimoli che esaltano la secrezione di androgeni.
3. Diagnosi della sindrome di Cushing: utile il test al desametasone ad alte dosi che è in
grado di andare a bloccare il sistema ipotalamo-ipofisi che quindi non produce più
corticotropine (ad alte dosi sopprime anche le tropine secrete dall’adenoma
ipofisario). Se il cortisolo si abbassa allora siamo di fronte ad una malattia di Cushing
(adenoma ipofisario secernente ACTH), se la secrezione non si ferma siamo di fronte
invece ad un adenoma secernente surrenalico.
4. Accelerazione della maturazione polmonare: il beclometasone viene utilizzato per
accelerare lo sviluppo di surfattante nei nati prematuri per evitare la sindrome da
distress respiratorio acuto del neonato. Viene quindi somministrato alla madre 48 ore
prima del parto e una seconda dose 24 ore prima.
5. Terapia antineoplastica:
a. Neoplasie ematologiche (linfoma di Hodgkin e leucemia linfocitica acuta)
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b. Anti-edema (per i tumori primitivi o metastatici che determinano edema
cerebrale)
c. Terapia profilattica del vomito indotto da chemioterapici
Farmacocinetica
Le vie di somministrazione sono diverse e in genere tutti i cortisonici possono essere
somministrati attraverso diverse vie:
- Via orale: tutti i cortisonici sono attivi per via orale
- Via endovenosa: alcuni composti possono essere dati in endovena per ottenere un
raggiungimento del target terapeutico in un tempo più ristretto
- Via intramuscolare: utile per ottenere effetti prolungati di preparazioni in sospensione
- Via intrarticolare
- Via topica
- Aerosol
In genere tutte queste modalità di somministrazione prevedono un assorbimento sistemico.
Una volta assorbiti vengono coniugati per il 90% alle proteine plasmatiche, in parte
all’albumina ma soprattutto alla globulina legante i cortisonici (CBG). Essi vengono
metabolizzati dagli enzimi epatici e pertanto pazienti con disfunzioni epatiche possono avere
un’allungamento dell’emivita dei composti. Essi vengono coniugati con acido glucuronico ed
escreti con le urine.
Il prednisone è l’unico che può essere somministrato nelle donne in gravidanza perché non ha
effetto sul feto. Il prednisone viene convertito nel fegato della madre a prednisolone
(composto attivo) ma non agisce sul feto. Il prednisolone prodotto dalla madre entra nel feto
ma viene subito biotrasformato in prednisone.
Farmaco
Via orale
Via parenterale
Via topica
Idrocortisone
+
+
+
Prednisone
+
Prednisolone
+
+
+
Metilprednisolone
+
+
+
Triamcinolone
+
+
+
Fluprednisolone
+
Betametasone
+
+
+
Desametasone
+
+
+
La posologia dei glucocorticoidi rende necessaria la valutazione dell’efficacia
antinfiammatoria, della durata d’azione e soprattutto dell’azione mineralcorticoide. Inoltre va
dosato per i vari momenti della giornata. È opportuno somministrare cortisonini a giorni
alterni in modo tale da evitare la soppressione dell’asse ipotalamo-ipofisi.
Effetti avversi
 Osteoporosi (principale evento avverso che non può essere prevenuto dalla
somministrazione a giorni alterni). I pazienti sono invitati a prendere supplementi di
calcio e vitamina D
 Sindrome di Cushing
 Iperglicemia e diabete mellito
 Aumento del rischio di infezioni
 Aumento dell’appetito
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
 Disturbi emotivi
 Ipertensione
 Edema
 Ulcere peptiche
 Glaucoma e cataratta
 Ipokaliemia
 Irsutismo
 Interazione con altri farmaci (necessita aggiustamento delle dosi)
È fondamentale che la terapia venga sospesa in modo graduale in quanto durante la terapia il
sistema ipotalamo-ipofisi-surrene è inibito e soppresso e pertanto se si interrompe
improvvisamente la terapia si ha una situazione di insufficienza surrenalica acuta che può
essere anche mortale.
Principali farmaci utilizzati per il trattamento delle IBD
Farmaco
Preparazioni orali
Preparazioni iniettabili
Altre preparazioni
100-1000 mg
100 mg (clistere)
125 mg (schiuma)
25 mg (soluzione)
Prednisolone sodio fosfato
20 mg
5 mg (soluzione)
20 mg (soluzione)
20 mg (clistere)
Metilprednisolone acetato
20-40 mg
Idrocortisone sodio
succinato
Prednisone
5 mg
25 mg
Metilprednisolone sodio
succinato
4 mg
8-20-40 mg
Farmaco
Prednisolone
metasulfobenzoato
Tixocortolo
pivalato
Budesonide
Beclometasone
dipropionato
Fluticasone
propinato
Assorbimento
intestinale
+
+
+++
+
±
+++
+++
+++
+++
250 mg
(rettale)
9 mg (orale)
1-4 mg (rettale)
1-2 mg (rettale)
20 mg (orale)
Metabolismo
epatico di I
passaggio
Dose
quotidiana
20 mg (orale)
20 mg (rettale)
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Cortisonici topici
I principali cortisonici utilizzati per uso topico sono l’idrocortisone, il cortisone e il
corticosterone. Questi composti hanno diverso grado di assorbimento in base alla
formulazione farmaceutica, alla porzione della cute in cui sono applicati (se lo spessore dello
strato corneo è consistente l’assorbimento sar{ più difficile), alle caratteristiche del paziente e
al grado di sudorazione. Per esempio la somministrazione scrotale e sulla fronte hanno una
capacità di assorbimento elevata.
Nel grafico concentrazione-tempo è
possibile vedere che rispetto alla
somministrazione orale il Cmax è molto
ridotto visto che l’assorbimento sistemico
è limitato, il tmax è aumentato ed il
raggiungimento del picco di
concentrazioni è spostato a destra, l’AUC è
ridotta sempre perché la biodisponibilità
orale è molto maggiore che quella topica
che agisce principalmente a livello locale e
meno sistemico, il t1/2 è aumentato.
Il picco della somministrazione topica è ritardato in quanto hanno influenza la forma
farmaceutica differente, lo spessore dello strato corneo, il livello di macerazione dello strato
corneo e la zona di applicazione (generalmente il cortisone penetra meglio nelle aree in cui
sono presenti più annessi cutanei).
Metodiche per la valutazione della potenza dei glucocorticoidi
- Test di vasocostrizione
- Test di eritema indotto dai raggi UV
- Test di eritema indotto dal lipopolisaccaride batterico
- Test di atrofia cutanea (derivati con scarsa attività antiproliferativa)
- Altri test (misurazione dello spessore cutaneo, acne…)
In base alla potenza i glucocorticoidi topici si possono dividere in:
 Superpotenti: betametasone dipropionato, clobetasolo propionato
 Potenti: desossimetasone, amcinonide
 Potenza medio-alta: betametasone valerato, fluticasone propionato
 Potenza media: clocortolone pivalato, desossimetasone
 Potenza medio-bassa: idrocortisone butirrato
 Potenza moderata: aclometasone, desonide
 Potenza bassa: idrocortisone, desametasone, metilprednisolone, prednisolone
Effetti avversi locali:
- Alterazioni atrofiche (atrofia steroidea, telangiectasia, strie)
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- Infezioni (herpes, candida, microbi occulti)
- Alterazioni oculari (cataratta e glaucoma)
- Effetti farmacologici (dipendenza e tachifilassi)
- Acne, alterazioni pigmentarie…
Questi effetti dipendono soprattutto dalla capacità antiproliferativa ed immunosopressoria. Il
rischio è proporzionale alla dose, alla potenza e alla durata del trattamento.
L’incidenza di effetti sistemici è abbastanza rara e soprattutto si manifesta con alterazioni
dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Di solito si può verificare per quantità croniche elevate,
composti molto potenti e ampia superficie di applicazione. I neonati e i bambini sono più
soggetti a queste reazioni.
Per prevenire l’assorbimento sistemico elevato è opportuno evitare di dare cortisonici ad alta
potenza nelle zone ad alta permeabilità, evitare di prolungare trattamenti inefficaci, utilizzare
cortisonini con potenza minima a controllare la malattia.
È opportuno anche somministrare 2 farmaci con meccanismi d’azione distinti per ridurre le
dosi oppure 2 farmaci distinti o identici sequenziali.
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FARMACI ANTINFIAMMATORI NON STEROIDEI (FANS) E ANTIGOTTOSI
57. Classificazione, meccanismo d’azione, impieghi
terapeutici ed effetti indesiderati dei FANS
L’infiammazione è una reazione fisiologica dell’individuo ad un evento avverso volta ad
eliminare l’agente traumatico che può essere un microrganismo, una sostanza chimica o un
trauma tissutale che necessita di una riparazione.
Esistono però dei processi in cui l’infiammazione gioca un ruolo atipico e si scatena a seguito
di agenti innocui come i pollini in caso di allergia oppure a seguito di azioni autoimmuni come
l’artrite reumatoide. In tal caso l’infiammazione non porta ad alcun beneficio ed è necessario
sopprimerla altrimenti si hanno dei danni ai tessuti coinvolti.
L’infiammazione è innescata da una serie di agenti molecolari detti fattori proflogistici che
favoriscono la flogosi in tutte le sue componenti (vascolare, molecolare e cellulare).
Le prostaglandine giocano un ruolo fondamentale
nell’infiammazione e infatti la maggior parte dei
farmaci antinfiammatori basa la sua azione
molecolare sull’inibizione della produzione di
prostaglandine. Esse derivano dal metabolismo
dell’acido arachidonico che genera i prostanoidi
(prostaglandine, trombossani e prostacicline)
attraverso l’induzione dell’enzima ciclo-ossigenasi
(COX) espresso in una grande quantità di tessuti
costitutivamente e in altri la sua presenza è
inducibile dall’infiammazione.
Le prostaglandine svolgono diversi ruoli fisiologici:
- Aumentano la sensibilizzazione dei recettori periferici ai mediatori algogeni e allo
stasso tempo favoriscono anche la trasmissione degli impulsi dolorifici periferici al
SNC e di conseguenza hanno un’azione stimolante il dolore.
- Innalzano la temperatura corporea agendo sui meccanismi di termoregolazione
centrali a livello ipotalamico e quindi sono piretiche.
- Sono alla base di meccanismi infiammatori attraverso il reclutamento di cellule
infiammatorie, aumento della permeabilità vasale e fuoriuscita di liquidi.
- Le prostacicline (altri prostanoidi) hanno azioni antitrombotiche e sono prodotte dal
normale endotelio.
- I trombossani (altri prostanoidi) favoriscono l’aggregazione piastrinica agendo
localmente sulle piastrine e favorendo l’influsso di calcio e la loro degranulazione. In
altri tessuti però possono indurre costrizione della muscolatura liscia.
- Le prostaglandine (soprattutto la PGE2) ha un ruolo protettivo sulla mucosa gastrica
aumentando la produzione di muco in modo da proteggerla dall’esposizione all’acido.
- Le prostaglandine agiscono stimolando la perfusione renale e favorendo una costante
filtrazione glomerulare.
- Le prostaglandine sembrano avere un’azione induttrice sulla proliferazione delle
cellule della mucosa colica favorendo la genesi di polipi e accelerando la
trasformazione maligna.
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Esistono 2 vie che portano al metabolismo dell’acido arachidonico:
 Via della ciclossigenasi: bersaglio della terapia antinfiammatoria. Esiste in 2 isoforme,
una detta costitutiva perché presente normalmente in molti tessuti (COX-1) ed una
detta inducibile perché presente costitutivamente in meno tessuti ma a seguito dello
stimolo flogistico viene iperespressa. Essa produce prostaglandine, prostacicline e
trombossani.
 Via della lipossigenasi: essa ha la funzione di produrre leucotrieni che hanno azione
chemiotattica e broncocostrittrice.
COX-1
È un enzima presente costitutivamente in rene, stomaco, intestino, piastrine ed endotelio. In
presenza di alcuni stimoli infiammatori la sua azione può essere potenziata.
La maggior parte dei FANS agiscono inibendo la COX-1 ma non selettivamente e quindi hanno
un’azione anche sulla COX-2. Il bersaglio dell’azione farmacologica è la riduzione della
produzione di prostaglandine a scopo antinfiammatorio, analgesico ed antipiretico.
Quest’enzima agisce proteggendo la mucosa gastrica ed intestinale e favorisce la perfusione
renale oltre a permettere la coagulazione del sangue quando necessaria e mantenere una
normale attivit{ antiagregante dell’endotelio.
COX-2
Enzima presente costitutivamente in SNC, epitelio tracheale, testicolo e ovaio, rene. Esso è
estesamente inducibile dall’infiammazione comparendo anche in macrofagi e monociti, cellule
endoteliali, sinoviociti e condrociti, fibroblasti (cellule principalmente responsabili
dell’attivit{ infiammatoria e riparativa).
Essa favorisce la perfusione renale e la produzione di prostaglandine a livello nervoso.
Per molto tempo si è studiato il meccanismo d’azione dei 2 enzimi e si è visto che essi
presentavano 2 diverse forme di siti recettoriali per il substrato e quindi si è potuto
sintetizzare dei FANS selettivi per la COX-2 risparmiando la COX-1. Questi farmaci sono detti
coxib e sono selettivi per l’enzima inducibile dall’infiammazione. Per anni si è pensato che
l’attivit{ di inibizione enzimatica de
i FANS non selettivi avesse effetti benefici a seguito dell’inibizione della COX-2 e invece ci
fosse un’incidenza maggiore di effetti collaterali inattivando la COX-1. Oggi questa distinzione
è stata rivista e si è dimostrato che anche i coxib non sono sicuri in quanto aumentano il
rischio di infarto miocardico ed ictus ischemico e pertanto molti di questi farmaci sono stati
ritirati dal commercio. È vero però che i coxib riducono la tossicità gastrointestinale, ma non
hanno effetti molto diversi nella tossicità epatica e renale.
I FANS sono un gruppo eterogeneo di sostanze che si differenzia per:
- Capacità antinfiammatoria
- Capacità antipiretica
- Capacità analgesica
- Capacità antitrombotica
- Capacità chemiopreventiva antitumorale
I principali composti antinfiammatori non steroidei sono:
 Acido acetilsalicilico e altri salicilati
 Derivati dell’acido propionico
 Derivati dell’acido acetico
 Oxicami
 Fenamati
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 Altri farmaci non selettivi
 Coxib
 Paracetamolo
Principali effetti collaterali dei FANS
 Dipendenti dal meccanismo d’azione
o Tossicità gastrointestinale
o Disfunzione endoteliale e piastrinica (azione antiaggregante / azione
protrombotica)
o Disfunzioni cardiovascolari (ipertensione / insufficienza cardiaca)
 Non dipendenti dal meccanismo d’azione
o Tossicità renale
o Tossicità epatica
o Tossicità midollare
o Reazioni allergiche
Acido acetilsalicilico e altri salicilati
L’ASA è il FANS in assoluto più utilizzato e più conosciuto avendo capacità elevate sia dal
punto di vista antinfiammatorio, antipiretico e analgesico. Tuttavia altri FANS più recenti
vengono costantemente paragonati all’ASA per fare i confronti con l’efficacia relativa delle
diverse 3 azioni e anche per valutare la possibile minor conseguenza di effetti avversi.
Meccanismo d’azione
L’ASA inibisce irreversibilmente la ciclossigenasi (sia 1 che 2) acetilandola. L’ASA viene però
velocemente deacetilato dalle esterasi dell’organismo e viene convertito in salicilato che
mantiene azioni analgesiche, antipiretiche e antinfiammatorie inibendo la sintesi di PGE2 nei
centri termoregolatori dell’ipotalamo e nei tessuti periferici. Riducono anche la
sensibilizzazione agli stimoli dolorifici per riduzione delle PGE2.
Azioni
- Antinfiammatoria
- Analgesica: soprattutto per il dolore di lieve media intensità non associato a
provenienza viscerale (per la quale sono più efficaci gli oppiacei) direttamente
collegato all’infiammazione.
- Antipiretica: riduce il punto di settaggio del centro termoregolatorio ipotalamico
abbassando la temperatura corporea che viene dissipata attraverso la sudorazione
- Azioni respiratorie: l’ASA determina aumento della ventilazione alveolare in quanto i
salicilati disaccoppiano la fosforilazione ossidativa e di conseguenza si produce meno
ATP e si mantiene in circolo più CO2 che stimola un’iperventilazione che può portare
ad alcalosi respiratoria normalmente controllata dal tampone renale.
- Effetti sulle piastrine: riducendo la produzione di trombossano A2 si riduce il rischio
aggregante e trombotico. Basse dosi permettono l’inibizione della COX selettiva sulle
piastrine lasciando incolume l’enzima endoteliale.
Usi terapeutici
1. Antipiretico ed analgesico: cefalea, artralgia, mialgia, artrite reumatoide, gotta. Oltre
all’ASA vengono usati salicilato di sodio, di colina, di colina e magnesio.
2. Applicazioni esterne: applicato topicamente per trattare calli e epidermofitosi
3. Applicazioni cardiovascolari: inibizione dell’aggregazione piastrinica e riduzione
incidenza di angina e coronaropatia. Esso facilita anche la chiusura del dotto arterioso
pervio in quanto la PGE2 sembra la principale molecola coinvolta nel mantenimento
della pervietà del forame
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4. Carcinoma del colon: l’utilizzo di ASA sembra utile nella prevenzione dell’incidenza del
cancro colon-rettale.
Farmacocinetica
L’assorbimento per via topica è molto efficace soprattutto per i salicilati.
L’assorbimento per via orale avviene passivamente nello stomaco e nell’intestino (soprattutto
in quest’ultimo in quanto il pH è più alto e viene favorita la dissoluzione delle compresse, nello
stomaco viene assorbito soprattutto lontano dai pasti visto che l’ASA
è un acido debole e a pH acido gastrico non si dissocia e viene
assorbito maggiormente).
La via endorettale è utile per i bambini che soffrono di vomito.
Attraversano la barriera EE e la placenta.
A basse dosi i salicilati mostrano un’elevata efficacia analgesica e
antipiretica, ma per avere una buona azione antinfiammatoria sono
necessarie dosi più alte.
Col dosaggio analgesico si ha una cinetica di primo ordine e
un’emivita di circa 3,5 ore mentre col dosaggio antinfiammatorio gli
enzimi del metabolismo si saturano e si ha una cinetica di ordine
zero con allungamento dell’emivita fino a 15 ore. La saturazione degli
enzimi avviene con un trattamento da alcuni giorni a una settimana.
L’ASA viene idrolizzato in salicilati dalle esterasi e questi vengono
inviati al fegato dove sono coniugati con composti idrosolubili ed
eliminati col rene. Essendo acidi deboli possono interferire con
l’eliminazione dell’acido urico.
Effetti avversi
 Gastrointestinali: i tipici sintomi avversi gastrointestinali
sono sofferenza epigastrica, nausea, vomito e sanguinamento
microscopico. In alcuni casi può esserci lo smascheramento di
un’ulcera latente che inizia così a dare segni di sé e soprattutto a sanguinare. Ci sono
situazioni che favoriscono il danno gastrointestinale come:
o Presenza di ulcera peptica
o Gastrite e presenza di HP
o Terapia con aspirina e anticoagulanti
o Età avanzata
o Dose, tipo e durata della terapia con FANS
o Sesso femminile
o Disturbi digestivi da uso pregresso di FANS
L’attivit{ dell’ASA è peculiare per lo stomaco in quanto va a bloccare la COX-1
costitutiva entrando facilmente nella mucosa per il pH acido e qui si dissocia venendo
intrappolata e aumentando gli effetti tossici.
Le strategie per prevenire il danno gastrointestinale sono diverse e tra le principali c’è:
o Ottimizzazione della posologia
o Profilassi con PPI o misoprostolo
o Inibizione selettiva della COX-2
o Assuzione del farmaco dopo un pasto e con abbondanti quantità di liquidi
o Forma farmaceutica (forme tamponate o enteric coated in modo che queste non
vengano assorbite nello stomaco ma nell’intestino)
o Composti non acidi, analgesici antinfiammatori con diverso meccanismo
d’azione, preparazioni a rilascio ritardato.
 Cardiovascolari: innanzitutto l’ASA determina una riduzione della produzione di
TXA2 e quindi aumenta il tempo di sanguinamento e pertanto non dovrebbe essere
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010







preso per almeno una settimana prima di un intervento chirurgico. Inoltre in terapia
anticoagulante dovrebbero essere ridimensionate le dosi.
I FANS sembrano coinvolti anche in un aumento della frequenza delle ricadute in
pazienti che hanno gi{ avuto un’insufficienza cardiaca congestizia ma vista l’azione
prevalente dell’ASA sulla COX-1 questa possibilità è praticamente nulla.
Inoltre i FANS possono essere implicati anche in una sindrome ipertensiva o in un
possibile peggioramento dell’ipertensione in quanto favoriscono la vasocostrizione
renale e l’aumentato riassorbimento di elettroliti e acqua che determina un
sovraccarico idrico nei vasi. È per questo che il trattamento cronico con FANS in
pazienti in terapia antipertensiva può destabilizzare i valori raggiunti con la terapia.
Questo perché i FANS intervengono riducendo la capacità natriuretica dei diuretici,
riducono la produzione delle prostaglandine mediata dai beta-bloccanti e inibiscono gli
ACE-I in quanto riducono la produzione di bradichinina e prostaglandine responsabili
di vasodilatazione renale. Spesso associazione di FANS a farmaci antipertensivi può
portare a aggravamenti della situazione ed in alcuni casi anche a insufficienza cardiaca.
È evidente però che il ruolo dell’ASA in tutto ciò è molto modesto in quanto la sua
azione prevalente su COX-1 limita i danni renali e favorisce uno stato antitrombotico.
Renali: non c’è differenza sulla tossicit{ renale da parte sia degli inibitori di COX-1 che
di COX-2. I meccanismi di tossicità renali sono ben documentati sia per gli anti COX-1
che per quello COX-2. Si possono quindi presentare
o Edemi e ritenzione idrosalina
o Iperkaliemia
o Insufficienza renale acuta
o Sindrome nefrosica
Esistono tuttavia fattori di rischio predisponenti all’insorgenza di complicanze renali
come il diabete mellito, le nefropatie croniche, l’et{ avanzata, l’ipertensione, il
trattamento con farmaci antipertensivi, l’insufficienza cardiaca, la cirrosi epatica.
Epatici: tipicamente tutti i FANS danno tossicità epatica soprattutto ad alte dosi, ma
con differenza tra i vari tipi di farmaci. La tossicità epatica si manifesta come dose
dipendente ma può anche essere idiosincrasica cioè il paziente è intollerante alla
molecola e si verifica una reazione spropositata che causa danno epatico dove viene
metabolizzato il farmaco. I fattori di rischio per epatotossicità sono uso di altri farmaci
epatotossici (antitubercolari), età anziana, donne, pazienti con artrite reumatoide e
pazienti con enzimi epatici già elevati e quindi con danno epatico preesistente.
Respiratori: a dosi elevate l’ASA può portare a iperventilazione eccessiva con alcalosi
respiratoria che necessita di un compenso renale. Tuttavia a dosi tossiche causano una
depressione respiratoria con un misto di acidosi respiratoria e metabolica
scompensata.
Metabolici: a dosi molto elevate si verifica un disaccoppiamento della fosforilazione
ossidativa che determina una produzione eccessiva di calore.
Ipersensibilità
Sindrome di Reye: si verifica tipicamente nei bambini che presentano infezioni virali
sovrapposte. In alcuni rari casi si può presentare un’epatite fulminante ed è per questo
motivo che si preferisce trattare i bambini col paracetamolo.
Tossicità da sovradosaggio: in casi lievi si parla di salicismo che è caratterizzato da
nausea, vomito, iperventilazione, cefalea, confusione mentale, capogiri e tinnito
(scampanellio o rombo nelle orecchie). In casi gravi si aggiungono sintomi come
allucinazioni, irrequietezza, delirio, convulsioni e coma. Oltre i 50 mg/dL si inizia a
parlare già di intossicazione.
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Derivati dell’acido propionico
-
IBUPROFENE
NAPROXENE
FENOPROFENE
KETOPROFENE
FLURBIPROFENE
OXAPROZIN
Si tratta di una classe di composti molto usata ultimamente in quanto si è visto che hanno una
tossicità gastrointestinale minore rispetto all’ASA e quindi sono usati come prima scelta nel
trattamento dell’artrite reumatoide e dell’osteoartrite. Hanno un’importante azione
antinfiammatoria, antipiretica e analgesica. Agiscono inibendo reversibilmente la
ciclossigenasi. Sono assorbiti dopo somministrazione orale e si legano all’albumina.
L’oxaprozin è quello con il tempo di dimezzamento più lungo e può essere dato 1 volta al
giorno.
Come effetti avversi i più comuni sono disturbi gastrointestinali.
Derivati dell’acido acetico
- INDOMETACINA
- SULINDAC
- ETODOLAC
Sono farmaci con azioni antiflogistiche e analgesiche, non si usano per abbassare la febbre.
Sono inibitori reversibili della COX e vengono usati poco comunemente (soprattutto
l’indometacina) a causa dei suoi numerosi ed importanti effetti avversi. Il sulindac e l’etodolac
invece hanno effetti avversi assimilabili a quelli degli altri FANS e quindi vengono usati più
spesso. L’utilizzo dell’indometacina è riservato ai pazienti con artrite gottosa acuta, spondilite
anchilosante e osteoartrite dell’anca.
Oxicami
- MELOXICAM
- PIROXICAM
Usati nel trattamento dell’AR, della spondilite anchilosante e dell’osteoartrite. La tossicit{
gastrointestinale del meloxicam è minore del piroxicam e inoltre il meloxicam è relativamente
selettivo per la COX-2 ma solo a basse dosi.
Fenamati
- ACIDO MEFENAMICO
- MECLOFENAMATO
Non molto diversi dagli altri FANS
Altri farmaci non selettivi:
-
DICLOFENAC: indicato nell’artrite reumatoide, osteoartrite e spondilite anchilosante.
Più potente dell’indometacina e del naproxene. Si accumula nel liquido sinoviale
KETOROLAC: non molto diverso dagli altri FANS, utile per via intramuscolo nel
trattamento del dolore post-operatorio e topicamente per la congiuntivite allergica.
TOLMETINA e NABUMETONE: stessa potenza dell’ASA ma minori effetti avversi
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-
-
Diflunisal: derivato dall’ASA non viene idrolizzato a salicilato e quindi non causa
intossicazione. È più potente dell’ASA come antinfiammatorio e analgesico ma non ha
propietà antipiretiche perché non penetra nel SNC.
NIMESULIDE: FANS più utilizzato in assoluto al mondo con un’attivit{ antinfiammatoria,
analgesica e antipiretica molto potenti. Sembra avere una parziale selettività per la
COX-2. Ha una discreta tollerabilità gastrica ma è epatotossico. Studi recenti hanno
rilevato una sua epatotossicità maggiore rispetto agli altri FANS. Pertanto adesso viene
indicato il nimesulide come trattamento di seconda scelta ed è importante limitare il
periodo d’utilizzo. Non è stato revocato perché l’utilizzo degli altri FANS avrebbe
comunque aumentato il rischio di gastrotossicità.
Coxib
Si tratta della classe di FANS selettivi per la COX-2 che hanno avuto un importante utilizzo
subito dopo la loro scoperta in quanto si è dimostrato che potevano ridurre il rischio di
sanguinamenti gastrointestinali. Questo è vero, ma si è poi verificato anche un aumento
dell’incidenza di infarto miocardico e ictus ischemico oltre a ipertensione e fenomeni di
insufficienza renale ed epatica. Questi eventi hanno portato al ritiro dal commercio di
numerosi coxib. Il motivo di queste reazioni avverse può ritrovarsi i diversi punti:
- La mancata interferenza con la COX-1 provoca un’aumentata probabilit{ di eventi
trombotici in quanto la produzione di trombossano
è incontrastata visto che la COX-2 non è presente
sulle piastrine.
- È possibile che l’acido arachidonico venga dirottato
dalla COX-2 alla lipossigenasi con produzione di
specie radicaliche che peggiorano lo status
endoteliale e la sua secrezione normale di PGI2
- Ipertensione derivata dall’interferenza con il rene
(anche per i FANS normali)
Il farmaco tipico di questa classe è il CELECOXIB che inibisce
la COX-2 in modo reversibile e tempo-dipendente. È stato
approvato per il trattamento dell’AR e osteoartrosi.
Ha un’incidenza di effetti avversi gastrointestinali minore
rispetto ai FANS non selettivi ma può avere effetti
nefrotossici in ugual misura rispetto ai FANS ed effetti
cardiovascolari di uguale entità o maggiore rispetto ai FANS non selettivi.
Infatti il farmaco va evitato in pazienti con insufficienza renale cronica, cardiopatia grave,
deplezione di volume o insufficienza epatica.
Paracetamolo
Questo farmaco fa parte di una classe di FANS che non possiedono un effetto
antinfiammatorio ma hanno attività antipiretica marcata e analgesica.
Meccanismo d’azione: il PARACETAMOLO inibisce la produzione di PG a livello del SNC e non
agisce sulle COX dei tessuti periferici impedendo un effetto antiflogistico. Non influenza
l’azione delle piastrine e non allunga il tempo di sanguinamento.
Usi terapeutici: è il farmaco di scelta nei pazienti che soffrono di disturbi gastrici o per i quali
il prolungamento del tempo di sanguinamento è un pericolo. Chiaramente ha azione solo
antipiretica e analgesica. È il FANS più utilizzato nei bambini a causa della sua particolare
innocuità a dosi terapeutiche e per trattamenti non prolungati e scongiura il rischio di
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sindrome di Reye nei bambini con infezioni virali. In più non antagonizza il farmaco
uricosurico probenecid.
Farmacocinetica: ben assorbito per via orale e viene metabolizzato dal fegato in composti
inattivi tranne una piccola frazione che si trasforma in un composto altamente reattivo e
pericoloso che però a dosi terapeutiche normali viene inattivato legandosi al glutatione.
Effetti avversi: il farmaco è praticamente privo di effetti collaterali a dosi terapeutiche. Si
possono raramente avere reazioni allergiche e riduzioni della conta leucocitaria. Con dosi
elevate di paracetamolo si verifica la saturazione dei meccanismi del glutatione e quindi
l’intermedio reattivo e pericoloso si accumula potendo dare reazioni molto gravi anche fatali
come necrosi epatica e necrosi tubulare renale o coma ipoglicemico.
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58. Farmaci per il trattamento della gotta
La gotta è una patologia derivata da un’eccesso di acido urico nel sangue (iperuricemia) a
seguito di diversi processi che interferiscono con la normale eliminazione dell’acido urico o
della sua produzione. La gotta può essere considerata una malattia delle articolazioni in
quanto l’acido urico si deposita nello spazio sinoviale sotto forma di cristalli che vengono
sottoposti ad un’azione macrofagica di fagocitosi. La fagocitosi però è inefficace e si verifica in
ultima analisi una lisi del macrofago ed eliminazione del lisosoma contenente i cristalli, il
quale ha un forte potenziale chemiotattico e dirige una risposta infiammatoria verso
l’articolazione interessata mobilitando i leucociti dalla periferia. Questo processo se non
adeguatamente trattato porta ad un artrite gottosa caratterizzata da rigidità articolare e
intenso dolore negli attacchi acuti.
L’acido urico è il prodotto terminale del metabolismo delle purine che vengono prima
convertite in xantine dalla xantino-ossidasi e poi in acido urico. Il pH basso dell’articolazione
stimola la precipitazione dei cristalli di urato (urato di sodio è il principale derivato dal
metabolismo purinico). L’abbassamento del pH è dovuto anche all’aumento di produzione del
lattato da parte dei tessuti sinoviali interessati dall’infiammazione.
Il trattamento della gotta può essere attuato con diversi approcci:
1. Inibizione della produzione di acido urico
2. Aumento dell’escrezione tubulare renale di acido urico
3. Inibizione della mobilizzazione dei leucociti verso lo spazio sinoviale
4. Trattamento antalgico ed antinfiammatorio
La gotta può essere suddivisa in
- Gotta acuta: in genere si tratta di un attacco improvviso caratterizzato da un dolore
molto intenso all’articolazione interessata ed è dovuta ad un consumo eccessivo di
alcol, ad un eccessiva assunzione di cibi contenenti purine o ad una malattia del rene.
In questi casi vengono usati farmaci che riducono il movimento dei leucociti verso
l’articolazione e FANS per ridurre il dolore e l’infiammazione. Meglio non utilizzare
come FANS l’ASA perché è un competitore dell’acido urico per il meccanismo della
secrezione tubulare prossimale degli acidi.
- Gotta cronica: in genere dovuta a problemi genetici (come un aumento della velocità
della formazione di purine), insufficienza renale, sindrome di Lesch-Nyhan o eccessiva
produzione di acido urico a seguito di terapia antitumorale. In questi casi la terapia
dello stato cronico e la profilassi degli eventi acuti vengono trattati con farmaci
inibitori della produzione di acido urico e con farmaci uricosurici che aumentano
l’escrezione renale di acido urico e la sua eliminazione.
COLCHICINA
È un farmaco utilizzato durante l’attacco acuto di gotta. Non è un analgesico benchè riduca il
dolore all’articolazione. Non riesce a bloccare il procedere della gotta verso l’artrite gottosa
ma è profilattica nei confronti degli attacchi acuti.
Meccanismo d’azione: la colchicina si lega alla tubulina ed interferisce con le funzioni
collegate al citoscheletro cellulare. Pertanto il movimento di chemiotassi dei leucociti sarà
impedito e contemporaneamente anche il legame con il fuso mitotico impedirà la replicazione
cellulare. Inibisce anche la sintesi e la produzione di leucotrieni.
Usi terapeutici: è stato molto utilizzato negli attacchi acuti di gotta anche se oggi è stato
rimpiazzato dall’utilizzo dell’indometacina (FANS) in grado di ridurre efficacemente sia il
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
dolore che la infiammazione e in più inibisce il reclutamento di leucociti. Oggi viene usata
nella prevenzione degli attacchi ricorrenti.
Farmacocinetica: somministrata per via orale. Viene assorbita bene da tratto
gastrointestinale, a volte si può trovare in formulazioni associate al probenecid. Subisce
ricircolo biliare e viene escreta nelle feci o nelle urine.
Effetti avversi: impieghi cronici di colchicina provocano diarrea, vomito, nausea,
agranulocitosi, alopecia, miopatia, anemia aplastica. Il farmaco non va usato in gravidanza.
ALLOPURINOLO
Farmaco molto utilizzato nella gotta cronica e nell’iperuricemia in generale.
Meccanismo d’azione: è un derivato purinico che si lega alla xantino-ossidasi e blocca la
produzione di acido urico a partire dalla xantina. In questo modo non viene più prodotto acido
urico e ciò è positivo anche nei confronti della deposizione dei cristalli in quanto i precursori
dell’acido urico (xantine) sono più idrosolubili e precipitano di meno.
Usi terapeutici: viene utilizzato per l’iperuricemia primaria della gotta e secondaria ad
esempio da insufficienza renale o da trattamento antineoplastico. Si preferisce usarlo nei
pazienti con predisposizione ai calcoli uratici, eccessiva eliminazione di acido urico o
insufficienza renale.
Farmacocinetica: buon assorbimento per via orale. Subisce un metabolismo epatico che
forma ossipurinolo anch’esso attivo come antigottoso. L’emivita dell’allopurinolo è di 2 ore
mentre quella dell’ossipurinolo di 15 ore per cui basta una somministrazione giornaliera.
Escrezione con urine e feci.
Effetti avversi: normalmente gli effetti indesiderati si presentano nel 3% dei pazienti ma
sono molto ben tollerate e sono reazioni da ipersensibilità come rash cutanei.
Possono presentarsi anche disturbi gastrointestinali e diarrea.
Durante i primi tempi è frequente che si verifichino attacchi acuti quindi è consigliabile
associare nel primo periodo anche colchicina o FANS. L’allopurinolo interferisce col
metabolismo della mercaptopurina (antineoplastico) e dell’azatioprina (immuosoppressore)
e quindi è necessario ridurre le dosi di questi 2 farmaci.
PROBENECID E SULFINPIRAZONE
Questi due farmaci sono gli uricosurici più utilizzati nel trattamento della gotta cronica
assieme all’allopurinolo. Essi sono acidi organici deboli che agiscono sul pH del tubulo renale
riducendo la dissociazione dell’acido urico in urati che altrimenti verrebbero riassorbiti
associati ad anioni che verrebbero escreti. In questo modo si evita il riassorbimento degli
urati e viene favorita l’eliminazione dell’acido urico. In pazienti con funzione renale
conservata sono i farmaci di scelta, altrimenti si preferisce l’allopurinolo (usato anche in corso
di anamnesi positiva di calcoli di urati o eccessiva escrezione di acido urico).
Essi sono tollerati in genere molto bene a parte alcuni casi di sofferenza gastrica con il
sulfinpirazone. Il probenecid riduce la secrezione tubulare della penicillina e quindi prolunga
la sua emivita (a volte viene appunto utilizzato insieme alla penicillina per potenziare la sua
attivit{). Inibisce anche l’escrezione di naproxene, ketoprofene e indometacina.
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FARMACI PER LA TERAPIA DELL’ARTRITE REUMATOIDE
59. Classificazione, meccanismo ed effetti indesiderati dei
farmaci per l’artrite reumatoide
L’artrite reumatoide è una patologia a carattere autoimmune che si manifesta con una
progressiva infiammazione delle articolazioni che conil tempo crea erosione cartilaginea ed
ossea fino a portare ad artrosi agli stadi finali. Solitamente è associata ad eziologia genetica e
la patogenesi è autoimmune. Probabilmente vengono messe in atto delle risposte immunitarie
dirette contro normali antigeni presenti nello spazio articolare.
I farmaci utilizzati per trattare questa condizione patologica sono diversi in base ai
meccanismi d’azione:
 FANS: farmaci di prima istanza nel controllo dell’infiammazione del dolore
 Farmaci antireumatici modificatori della malattia (DMARDs)
 Farmaci anti-TNFα
 Farmaci anti IL-1
FANS
L’utilizzo dei FANS nell’artrite reumatoide è supportato da ampi studi clinici e una storia
molto lunga di utilizzo. I principali FANS utilizzati sono l’acido acetilsalicilico, i derivati
dell’acido propionico, gli oxicami, il diclofenac, la tolmetina e il nabumetone, il diflunisal e i
coxib. Quasi tutte le classi dei FANS possono essere impiegate per trattare l’AR.
Chiaramente la loro capacità antinfiammatoria riduce la produzione di mediatori flogistici e il
richiamo di cellule immunitarie permettendo una stabilizzazione della situazione articolare ed
una prevenzione dell’ulteriore distruzione cartilaginea ed ossea.
Farmaci modificatori della malattia reumatica
Si tratta di una classe farmacologica (DMARDs) detta anche farmaci antireumatici ad azione
lenta per distinguerli dai FANS il cui effetto si manifesta in breve tempo. Con tali farmaci
invece l’effetto può non presentarsi prima di 3-4 mesi. Questi farmaci vengono utilizzati
essenzialmente per quelle forme di artrite reumatoide che non rispondono adeguatamente ai
FANS. Essi a differenza dei FANS possono arrestare la progressione della malattia e hanno
anche un potenziale riparativo. Normalmente si inizia il trattamento con un farmaco
tradizionale come il metotrexato, poi se la risposta è insoddisfacente si passa a farmaci più
nuovi come la leflunomide e i farmaci anticitochinici.
METOTREXATO
Si tratta di una molecola ampiamente conosciuta ed utilizzata nell’artite reumatoide. In realt{
è un immunosoppressore e quindi per questo è molto efficace nell’AR che è una malattia a
carattere autoimmune. Viene utilizzato a dosi molto più alte per indurre una soppressione
delle cellule in proliferazione per la terapia antineoplastica.
Il farmaco è un inibitore della diidrofolato-reduttasi che blocca la disponibilità di enzimi che
necessitano di folato per funzionare e quindi viene impedita la formazione di adenina,
guanina, timidina, metionina e serina. In ultima analisi l’incapacit{ di sintetizzare DNA e RNA
porta la cellula a morte.
Rispetto agli altri farmaci questo ha un inizio dell’azione più breve (3-6 settimane).
Si somministra 1 volta a settimana in modo da ridurre al minimo gli effetti avversi.
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Alcuni effetti collaterali possono essere ulcerazioni delle mucose, nausea e per trattamenti
cronici possono svilupparsi citopenie (soprattutto riduzione di leucociti), cirrosi epatica e
infezioni.
LEFLUNOMIDE
Si tratta di un farmaco più recente rispetto al metotrexate ed il suo utilizzo è stato approvato
per trattare l’artrite reumatoide
Meccanismo d’azione: si tratta di una molecola che va ad inibire un enzima chiamato
diidroorotato deidrogenasi (DHODH) presente in eccesso sui leucociti proliferanti
nell’infiammazione. Questo enzima catalizza una reazione fondamentale per la sintesi di
pirimidine e principalmente dell’uridina e della timidina. Normalmente i linfociti quiescenti
non necessitano di molte quantità di questo enzima e quindi sono insensibili al trattamento
con leflunomide, mentre i linfociti in proliferazione (e in generale tutte le cellule in rapida
espansione con una frequenza elevata di fasi G1 dove viene sintetizzato l’enzima) hanno una
quantità enorme di enzima e su questo si basa la specificità del farmaco per i linfociti
proliferanti a seguito del riconoscimento dell’antigene presentato dalle APC.
Riducendo la quantità di uridina e quindi anche di timidina si ha uno stop proliferativo per
mancanza di basi azotate da integrare nel DNA e quindi soppressione immunitaria.
Azioni: questo farmaco oltre a ridurre l’avanzamento della malattia e prevenire quindi la
distruzione ulteriore di cartilagine ed osso può favorire dei processi di remissione.
Usi terapeutici: impiegata nell’artrite reumatoide spesso sostituendo il metotrexato oppure
anche in associazione con esso.
Farmacocinetica: bene assorbita per via orale, si lega all’albumina ed ha un’emivita di 14-18
giorni e per questo necessita di una dose di carico. Viene convertita nel fegato ad un
metabolita attivo.
Effetti avversi: può dare reazioni cutanee, alopecia, ipokaliemia, cefalea, diarrea e nausea.
Non deve essere somministrata in gravidanza per i suoi possibili effetti teratogeni.
CLOROCHINA E IDROSSICLOROCHINA
Questi farmaci si usano per il trattamento dell’artrite reumatoide che non risponde ai FANS o
più spesso in associazione ai FANS per ridurre il dosaggio generale dei farmaci. Questi farmaci
sono utilizzati nel trattamento antimalarico.
D-PENICILLAMINA
Si tratta di un analogo della cisteina e rallenta la progressione della malattia e le
manifestazioni dell’artrite. I suoi impieghi sono sempre meno frequenti a causa degli effetti
collaterali importanti come problemi dermatologici, nefrite e anemia aplastica.
Di solito viene impiegata quando il trattamento coi Sali d’oro è inefficace e prima di iniziare la
terapia steroidea.
SALI D’ORO
Questi farmaci sono utilizzati nell’artrite reumatoide per impedire la progressione della
malattia ma non consente la remissione. Le preparazioni disponibili sono l’aurotiomalato
sodico e l’aurotioglucosio. Essi agiscono inibendo la fagocitosi dei macrofagi delle sostanze
all’interno dei lisosomi e questo sembra ritardare la progressione della distruzione ossea e
cartilaginea. Gli effetti avversi gravi e il costo notevole sono responsabili di un utilizzo non
massivo da parte dei reumatologi.
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Farmaci anti TNF-α
Questi farmaci selettivi sono importanti per la cura della malattia e in parte anche per la
remissione di essa. Infatti l’IL-1 e il TNFα svolgono un ruolo di prim’ordine nell’artrite
reumatoide e infatti vengono iperprodotti dai macrofagi sinoviali che spingono le cellule
sinoviali a produrre collagenasi con conseguente degradazione della cartilagine e del tessuto
osseo.
ETANERCEPT
È un inibitore selettivo del TNFα e si trova sotto forma di anticorpo monoclonale diretto
contro il mediatore impedendo così il suo legame ai recettori nei tessuti bersaglio.
Ha un ruolo fondamentale nella riduzione della progressione dell’artrite reumatoide e
psoriasica. Ad oggi si pensa che il miglior approccio all’AR sia l’utilizzo di un anti-TNF con il
metotrexato.
Meccanismo d’azione: anticorpo IgG diretto contro una porzione del TNF tale da legarlo e
inibire il suo legame con il recettore. Non è selettivo però e blocca anche il TNFβ. La terapia a
lungo termine è dubbia in quanto il TNF ha azioni fondamentali di modulazione della risposta
immunitaria contro le infezioni e contro il cancro.
Farmacocinetica: somministrazione sottocutanea 2 volte a settimana. Emivita di 115 ore e
Cmax in 72 ore.
Effetti avversi: non sono stati segnalati effetti avversi specifici, può causare a volte
infiammazione a livello del sito di iniezione.
INFLIXIMAB
Altro farmaco inibitore del TNFα che è stato approvato per il trattamento della colite ulcerosa
e del morbo di Crohn visto che nei preparati istologici di mucosa colica in pazienti con IBD si è
trovato un aumento di TNF. Inoltre viene usato anche nell’AR per ridurre i sintomi, migliorare
la performance fisica e bloccare la progressione.
Spesso viene utilizzato in associazione col metotrexato.
Ha somministrazione endovenosa ed un’emivita di 9,5 giorni.
A lungo termine possono presentarsi anticorpi contro il farmaco a meno che non sia associato
al metotrexato. Durante l’iniezione si possono avere febbre, brividi, prurito o orticaria. Si
manifestano a lungo andare anche tutti i segni di soppressione midollare. Non è ancora chiaro
se un trattamento a lungo termine possa predisporre al linfoma.
ADALIMUMAB
Si tratta di un altro farmaco ad azione anti TNFα ma che viene riservato ai pazienti che non
rispondono a uno o più DMARDs. Viene infatti usato per le forme moderate-severe.
Il meccanismo d’azione però è leggermente diverso in quanto si lega al recettore per il TNF e
lo inibisce e quindi non permette il legame del ligando naturale.
Viene somministrato a livello sottocutaneo e può causare cefalea, nausea, eruzioni cutanee o
reazioni a livello del sito di iniezione.
Farmaci anti IL-1
ANAKINRA
Si tratta di un farmaco che lega l’IL-1 essendo un anticorpo monoclonale e stimola la riduzione
dei sintomi e rallenta la progressione della patologia. Anch’essa è efficace nei pazienti adulti
che non rispondono ad una o più DMARDs nei casi moderati-severi. Può essere usato in
monoterapia o in associazione con DMARDs.
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AUTACOIDI E ANTAGONISTI DEGLI
AUTACOIDI
ANTISTAMINICI
60. Farmaci antistaminici
L’istamina è una sostanza che ha ampie funzioni nell’organismo ed è il bersaglio dell’azione di
farmaci che inibiscono la sua attività.
L’istamina regola la risposta allergica e immunitaria, l’infiammazione, la secrezione gastrica
acida e la neurotrasmissione in alcune zone del cervello.
L’istamina si trova praticamente in tutti i tessuti ma è distribuita irregolarmente con
prevalenza di concentrazione nelle zone a contatto con l’ambiente esterno come i polmoni, la
cute e l’apparato digerente. Essa viene sintetizzata dal’enzima presente in tutte le cellule che
dà una decarbossilazione dell’aminoacido istidina, formando così l’istamina.
Questa è conservata all’interno di granuli complessati con eparina e anioni polisolfato
all’interno dei mastociti e dei granulociti basofili e liberata all’occorrenza. L’istamina non
immagazzinata va incontro a degradazione da parte delle MAO molto velocemente e non può
essere utilizzata.
La liberazione dell’istamina prevede uno stimolo evocativo che può essere il danno cellulare
conseguente al freddo, una tossina batterica, un trauma, il veleno d’api e soprattutto una
reazione allergica o anafilattica.
L’istamina agisce legandosi a 4 tipi diversi di recettori: H1,2,3,4. I primi 2 sono i principali e
distribuiti in tutto l’organismo, mentre gli ultimi 2 sono presenti solo in poche cellule e non si
conosce ancora con precisione la loro funzione biologica. Pertanto il bersaglio dell’azione
terapeutica sono H1 e H2. Esistono dei fenomeni indotti dall’istamina che coinvolgono
esclusivamente il recettore H1 ed altri che coinvolgono solo il recettore H2, tuttavia in alcuni
casi alcune azioni coinvolgono entrambi i recettori.
I 2 recettori principali agiscono mediante meccanismi d’azione diversi in quanto il recettore
H1 coinvolge la via dei polifosfatidilinositoli mentre l’H2 coinvolge il cAMP e quindi gli
antistaminici saranno selettivi per l’uno o per l’altro recettore.
Durante l’allergia si verificano 4 azioni essenziali mediate dalla liberazione di istamina:
- Vasodilatazione
- Contrazione della muscolatura liscia (asma)
- Stimolazione delle secrezioni
- Stimolazione delle terminazioni nervose sensoriali
Queste reazioni possono essere responsabili di una semplice risposta allergica se coinvolgono
un particolare distretto o una certa zona limitata, oppure possono dare una reazione
anafilattica se coinvolgono tutto l’organismo. La differenza tra le 2 situazioni sta nel punto in
cui viene liberata l’istamina, se essa è rilasciata in un luogo facilmente accessibile al sistema
circolatorio è più facile si sviluppi una reazione anafilattica che può portare allo shock. Lo
shock anafilattico si tratta con iniezione di adrenalina che ha gli effetti opposti dell’istamina.
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
Azioni mediate dal recettore H1:
1. Aumento delle secrezioni esocrine: nel naso e nei bronchi con sintomi respiratori
2. Contrazione della muscolatura liscia bronchiale: provoca asma
3. Contrazione della muscolatura liscia intestinale: causa crampi e diarrea
4. Attivazione delle terminazioni nervose sensitive: causa prurito e dolore
Azioni mediate dal recettore H2:
1. Secrezione acida gastrica
Azioni mediate da entrambi i recettori:
1. Abbassamento della pressione arteriosa per riduzione delle RVP attraverso
vasodilatazione per aumento di produzione di NO e cGMP
2. Effetto cronotropo positivo (solo H2) e inotropo positivo (H1 e H2)
3. Dilatazione e aumento di permeabilità dei capillari che porta all’essudazione di
liquidi e alla tipica risposta tripla: formazione del pomfo, arrossamento, eritema.
Antiistaminici H1
Sono una classe di farmaci che antagonizzano il recettore H1 dell’istamina e non bloccano la
produzione o la liberazione di istamina come fa invece il cromoglicato utilizzato per il
trattamento dell’asma. Esistono farmaci di prima e seconda generazione.
Prima generazione:
-
PROMETAZINA
DIFENIDRAMINA
DIMENIDRINATO
TERFENADINA
CICLIZINA
Seconda generazione
-
CETIRAZINA
LORATIDINA
FEXOFENADINA
ACRIVASTINA
I farmaci di prima generazione vengono usati ancora spesso in quanto sono più economici ed
efficaci tuttavia possiedono un potenziale sedativo visto che penetrano all’interno della
barriera EE e inoltre hanno la caratteristica di interagire anche con altri recettori differenti
come i colinergici, α-adrenergici e serotoninergici.
I farmaci di seconda generazione sono selettivi per i recettori H1, non attraversano la barriera
EE e hanno meno effetti collaterali.
Azioni
Le azioni di tutti questi composti sono pressochè simili con la variabilità del fatto che ognuno
possiede caratteristiche specifiche forse perché ha un margine di interazione diverso anche
con recettori colinergici, adrenergici e serotoninergici.
Usi terapeutici:
1. Condizioni allergiche e infiammatorie: l’inibizione dei recettori H1 permette una
prevenzione dell’attacco allergico dovuto a degranulazione dei mastociti sensibilizzati
dal legame con un’IgE. Farmaci d’elezione per il trattamento della rinite allergica e
dell’orticaria. Non sono efficaci per l’asma perché l’istamina è soltanto uno dei
mediatori coinvolti nella patologia.
2. Cinetosi e nausea: essi insieme alla scopolamina sono i farmaci più utilizzati per
trattare la cinetosi sia da componente chemocettrice sia da componente vestibolare.
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
Farmaci con queste caratteristiche sono difenidramina, dimenidrinato, ciclizina,
meclizina e idrossizina.
3. Sonniferi: benchè non sia la loro prima attività certi composti di questo gruppo come la
difenidramina e la doxilamina (tutti composti di prima generazione) hanno proprietà
sedative e inducono il sonno. È ovvio che in pazienti in cui l’attivit{ di vigilanza è
cruciale non devono essere usate.
Farmacocinetica
Sono assorbite bene per via orale con un buon volume di distribuzione. Cmax dopo 1-2 ore.
L’emivita è di 4-6 ore tranne per la meclazina che ha emivita 12-24 ore.
Tutti i composti di prima generazione ed alcui di seconda come la desloratidina e la loratidina
sono metabolizzati dal CYP450, mentre la cetirazina è eliminata immodificata con le urine e la
fexofenadina è eliminata quasi immodificata nelle feci.
L’azione ha inizio 1-3 ore dopo la somministrazione orale e la durata dell’effetto è di circa 24
ore e in tal modo è possibile ridurre la somministrazione ad una volta al giorno.
È necessario che gli antistaminici H1 vadano somministrati preventivamente all’attacco
allergico piuttosto che in seguito in quanto nel primo caso hanno molta più efficacia.
Effetti avversi
 Sonnolenza: tutti gli antistaminici di prima generazione portano questo effetto e in più
possono verificarsi altre azioni a livello del SNC come astenia, tinnito, capogiri,
incoordinazione, visione offuscata e tremori. La sedazione è meno comune nei farmaci
di seconda generazione
 Effetti anticolinergici: secchezza delle fauci, ritenzione urinaria, tachicardia sinusale
 Effetti antiadrenergici alfa1: ipotensione, vertigini e tachicardia riflessa
 Effetti antiserotoninergici: aumento dell’appetito
 Interazioni tra farmaci: è necessario fare attenzione all’alcol perché gli antistaminici
potenziano l’effetto sedativo. Fondamentale non dare antistaminici in pazienti in
terapia con inibitori delle MAO.
 Sovradosaggio: si verifica raramente, i bambini sono i più soggetti e gli effetti più
pericolosi sono quelli a carico del SNC con allucinazioni, eccitazione, atassia e
convulsioni.
Antiistaminici H2
Questa classe di farmaci viene impiegata per il trattamento dell’ulcera peptica per ridurre la
produzione di istamina che va ad agire sulla produzione di acido cloridrico e sulla
stimolazione della produzione di gastrina da parte delle cellule G che esalta ulteriormente la
produzione acida. Essi non hanno affinità per il recettore H1.
-
CIMETIDINA
RANITIDINA
FAMOTIDINA
NIZATIDINA
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
ANTIEMICRANICI
61. Farmaci antiemicranici
L’emicrania è una condizione patologica caratterizzata da cefalea intensa e pulsante che
colpisce molte persone con prevalenza del sesso femminile.
Si deve distinguere dalle altre 2 forme di cefalea che sono la cefalea a grappolo caratterizzata
da dolore continuo, lancinante e penetrante e la cefalea tensiva con un dolore sordo,
persistente e con la continua sensazione di tensione alla testa.
I pazienti che soffrono di emicrania di grado elevato sono soggetti a attacchi mensili
solitamente monolaterali di intensità moderata e severa.
Esistono 2 tipi di emicrania:
- Emicrania senza aura: comprende l’85% delle forme di emicrania e si caratterizza
per una cefalea intensa che dura da 2-72 ore. Questi sintomi sono aggravati dall’attivit{
fisica e accompagnati da nausea, vomito, fotofobia e fonofobia.
- Emicrania con aura: l’intensit{ dell’attacco è simile alla precedente ma si differenzia
per la presenza di sintomi neurologici precedenti all’attacco di cefalea. L’aura può
essere di tipo visivo, sensoriale, motorio o coinvolgere disturbi della parola. La forma
prevalente è quella visiva. Essa può essere diagnosticata appena insorge l’aura. I
sintomi prodromici durano 20 minuti.
La base biologica dell’emicrania è una vasodilatazione sistemica e cerebrale delle arterie che
provoca la liberazione a livello cerebrale di sostanze algogene come la sostanza P.
normalmente l’emicrania con aura prevede una riduzione della perfusione all’estremo
posteriore dell’emisfero coinvolto, poi progressivamente si espande alle regioni circostanti e
in avanti fino alla corteccia. Questa ipoperfusione rende conto della riduzione globalizzata
dell’attivit{ neuronale. A questa fase segue l’iperperfusione, dopo l’attacco cefalico.
I farmaci utilizzati per trattare gli attacchi acuti di emicrania sono specifici e aspecifici.
Quelli aspecifici comprendono:
- FANS: vengono utilizzati normalmente per ridurre il dolore (ASA, naproxene,
meclofenamato)
- ANTIEMETICI : proclorperazina
- OPPIACEI : impiegati solo se il trattamento con FANS non ha avuto effetto
La terapia specifica comprende:
- Triptani
- Diidroergotamina
Triptani
Questo gruppo di farmaci sono agonisti del recettore 5-HT1D della serotonina determinando
vasocostrizione e riduzione della liberazione di neuropeptidi infiammatori.
-
SUMATRIPTAN
NARATRIPTAN
RIZATRIPTAN
ELETRIPTAN
ALMOTRIPTAN
ZOLMITRIPTAN
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
Questi farmaci sono altamente efficaci nel ridurre la cefalea in quanto si riesce a trattare
positivamente il 70% dei pazienti con emicrania. Sono agonisti del recettore 5-HTD1 della
serotonina e svolgono azioni vasocostrittrici che si oppongono alla vasodilatazione arteriosa
responsabile dell’emicrania.
Il recettore implicato è situato sui nervi periferici situati nei vasi encefalici e sembrano
implicati nella modulazione del dolore cefalico. La nausea può essere un effetto collaterale ma
di entità molto minore rispetto alla diidroergotamina.
Il sumatriptan si somministra per via sottocutanea, intranasale o orale mentre tutti gli altri
hanno una somministrazione per via orale.
L’insorgenza dell’effetto richiede 20 minuti per via endovenosa e 1-2 ore a seguito di
somministrazione orale. Hanno breve durata d’azione e emivita di 2 ore. Solitamente dopo 2448 ore la cefalea ricompare ma questa azione può essere prevenuta mediante un’altra
somministrazione. Il rizatriptan e l’eletriptan sono più efficienti del sumatriptan che è il
capostipite. Il naratriptan e l’almotriptan sono meglio tollerati.
Diidroergotamina
La DIIDROERGOTAMINA è un derivato dell’ergotamina e si somministra per via endovenosa ed
agisce anch’esso come vasocostrittore ed è sempre un agonista della serotonina agente sullo
stesso recettore dei triptani. Essa però sottopone il paziente ad una maggior incidenza di
nausea come effetto collaterale. Efficacia simile al sumatriptan.
È controindicata in pazienti che soffrono di disturbi vascolari periferici o disturbi coronarici.
È più efficace se somministrata durante la fase prodromica piuttosto che durante la cefalea in
atto.
Farmaci per la profilassi
Per prevenire gli attacchi emicranici acuti vengono utilizzati diversi farmaci:
- Β-BLOCCANTI (propranololo è il farmaco di scelta, ma anche nadololo e timololo.
- ANTIDEPRESSIVI TRICICLICI (amitriptilina)
- ANTICONVULSIVI (divalproato)
- CALCIO ANTAGONISTI (Verapamil)
Questi farmaci tendono a vasocostringere prevenendo gli attacchi emicranici caratterizzati da
vasodilatazione. Vanno dati nella fase asintomatica.
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
ORMONI E FARMACI DELLA TIROIDE E
DEL PANCREAS
ORMONI E FARMACI DELLA TIROIDE
62. Farmaci per il trattamento dell’ipotiroidismo
L’ipotiroidismo è una condizione clinica caratterizzata da bradicardia, intolleranza al freddo e
rallentamento fisico e mentale con tendenza all’aumento di peso. Questi segni sono correlati
ad una scarsa funzione tiroidea che generalmente viene attaccata da processi autoimmuni
(come nel caso della tiroidite di Hashimoto) e vede una progressiva distruzione del tessuto
tiroideo con aumento consecutivo dei livelli di TSH e TRH. Esistono però anche dei casi di
ipotiroidismo secondario derivati da problemi ipotalamici e ipofisari che non permettono il
rilascio adeguato della tireotropina e del TRH che regolano e coordinano le azioni della
tiroide.
Gli ormoni della tiroide sono 2:
- Triiodotironina T3
- Tiroxina T4
Entrambi vengono immessi in circolo anche se prevalentemente il T4 che raggiunge i tessuti
bersaglio in cui viene deiodurato enzimaticamente a T3 che è la forma dotata di maggior
efficacia. Il T3 entra all’interno della cellula e si lega a recettori intracitoplasmatici stimolando
la produzione di RNA e la successiva sintesi proteica.
L’ipotiroidismo è trattato con LEVOTIROXINA (T4); il farmaco si somministra una volta/gg in
considerazione del suo lungo tempo di dimezzamento mentre lo stato stazionario si raggiunge
dopo 6-8 settimane.
La tossicità è direttamente legata ai livelli di T4 e si manifesta con nervosismo, palpitazioni
cardiache e tachicardia, intolleranza al caldo e perdita di peso inspiegata.
È possibile utilizzare anche il T3 sotto forma di LIOTIRONINA che viene somministrata per via
endovenosa. Il target terapeutico per misurare l’efficacia è l’abbassamento del TSH, in tal caso
il trattamento farmacologico ha avuto effetto.
Farmacocinetica della levotiroxina
- Assorbimento a carico del tratto superiore del tenue
- Legame a proteine plasmatiche (quota libera 0,05%)
- t1/2 = circa 190 ore, con un lieve incremento nell'ipotiroidismo e una moderata riduzione
nell'ipertiroidismo
Quota Metabolismo
Sede Escrezione
80%
Deiodinazione
(tess.periferici)
Tess. periferici
15%
Glucuronoconiugazione
epatica
Bile
5%
Nessuno
Intestino
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Gli ormoni tiroidei superano con difficoltà la barriera placentare e solo in minima quantità
vengono escreti nel latte materno.
Farmacologia clinica
- Terapia di scelta: L-tiroxina
- Circa 80% della L-T4 viene assorbita, dopo somministrazione per via orale
- Emivita: circa 7 giorni
- Solo l’assunzione giornaliera garantisce livelli costanti di T3
- La desiodazione periferica di T4 (pro-ormone) è la fonte della produzione di T3
- La T3 ha un’affinit{ per i recettori 10 volte < alla T4 (forma attiva)
- Rispetto alle altre preparazioni di ormoni tiroidei, la natura di pro-ormone della T4 offre il
vantaggio che il pz. regola da sé, in modo fisiologico, la produzione dell’ormone attivo, la T3
(via deiodinasi)
- Disponibilità di prodotti commerciali standardizzati (dosi disponibili individuali)
- Gli effetti collaterali sono rarissimi (eccipienti: lattosio)
- Possibile eccesso di dose: tireotossicosi factitia
Dose terapeutica
- negli adulti: 1.0-1.6 mg/kg (intervallo 50-200 mg/die)
- nei bambini, possono essere opportune dosi più elevate
NB: La dose iniziale può essere inferiore alla dose teorica, aggiustando poi ad intervalli regolari
la stessa, fino a raggiungere la dose efficace.
Avvertenze
- Nelle persone anziane, la dose iniziale deve essere bassa ed aggiustata ad intervalli variabili
(es. settimane), fino a raggiungere la dose teorica.
- Spesso è opportuno essere prudenti, specialmente in presenza di patologie croniche; ad
esempio, nei pz. con patologie cardiache o vascolari, i tempi di ripristino dell’eutiroidismo
debbono essere lunghi, ed adeguatamente sottoposti a controllo
- Il miglioramento clinico si può apprezzare in poche settimane (oppure in mesi in quelli con
mixedema)
Come si misura l’efficacia della terapia
- Misurazione di TSH, FT4, FT3 nel sangue:
o Il TSH rappresenta il marcatore ideale dell’efficacia della terapia.
o I valori “normali”, con gli attuali metodi, sono 0.35-4.5 mU/mL
o L’obiettivo della terapia sostitutiva è quello di ripristinare valori “normali”
o Misurazione di parametri biologici dell’azione ormonale: colesterolo totale ed HDL,
CPK, SHBG, osteocalcina, ecc.
- Valutazione funzionali d’organo: ECG, RX torace, ecc.
La concentrazione del TSH definisce, in genere, l’adeguatezza della terapia sostitutiva con L-T4
- Obiettivo ragionevole della terapia sostitutiva: TSH 1-3 U/mL
- Valutazione clinica:
o Correzione dei segni e sintomi del mixedema
o Utilità di punteggi e questionari, specialmente nelle forme subcliniche
o Riduzione del volume del gozzo (es. T. Hashimoto) (valutazione clinica e/o ecografica)
- Nei pazienti con ipotiroidismo centrale (secondario) la dose è generalmente inferiore a
quella necessaria nell’ipotiroidismo primario.
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- Necessità di aggiustamento delle dosi:
o Gravidanza (>), allattamento (>), malattie intercorrenti(<), interferenza di farmaci(> <),
patologie gastrointestinali (>), sindrome nefrosica (>)
Terapia con L-T4 nei pazienti con CHD
- nei Pz con CHD è opportuno iniziare con basse dosi, a crescere (es. step di 12-25 g ogni 4-8
settimane)
- infatti la terapia può aumentare il fabbisogno cardiaco di O2, aumentare la contrattilità
miocardica e la F.C.
- D’altra parte, teoricamente la L-T4 dovrebbe ridurre le RVP ed il VTD, riducendo così il
consumo di O2
- Uno studio retrospettivo eseguito su un’ampia casistica ha dimostrato un’incidenza del 5% di
angina, un peggioramento (16% dei casi) in coloro che soffrivano già di angina ed un
miglioramento dei sintomi nel
38% dei casi (10.961, prima dell’uso di b-blocc, Ca-antag e di L-T4)
- Oggi è possibile trattare efficacemente i Pz con CHD (schema a step crescenti)
- Esistono casi in cui non è possibile superare una certa dose, a causa dell’esacerbarsi di
angina, ecc.
Intolleranza alla L-T4
Pazienti occasionali possono manifestare, all’inizio del trattamento, ansia, palpitazioni,
sudorazioni, ed altri sintomi suggestivi di uno stato ipertiroideo, senza segni biochimici di
ipertiroidismo o tireotossicosi (TSH “soppresso”).
In questi casi tentare, dopo aver ridotto le dosi, una progressione scalare molto lenta, a
“piccoli passi”.
Possibili spiegazioni possono essere un’anemia, un’intolleranza al lattosio (presente come
diluente), la presenza di altre sostanze negli eccipenti.
Circostanze associate con alterato fabbisogno di L-T4
Ridotto fabbisogno:
Pazienti anziani
Terapia androgenica
Aumentato fabbisogno:
Gravidanza
Malassorbimento
Farmaci e supplementi nutrizionali
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63. Farmaci per il trattamento dell’ipertiroidismo
L’ipertiroidismo è una condizione clinica caratterizzata da palpitazioni, tachicardia, aritmie
cardiache, dimagrimento, nervosismo, tremori e produzione eccessiva di calore.
È conseguente a processi che provocano un aumento della presenza in circolo di ormoni
tiroidei (T3 e T4) e può derivare sia da un’iperfunzione della tiroide (morbo di GravesBasedow, adenoma tossico, gozzo multinodulare secernente) sia da un’iperfunzione
dell’ipofisi nella secrezione di TSH (ipertiroidismo secondario) anche se è una condizione
molto più rara. Nel primo caso il TSH è ridotto a causa della soppressione ipofisaria da parte
degli ormoni tiroidei e nel seconso caso si ha un aumento del TSH associato a livelli elevati di
FT3 e FT4.
L’approccio terapeutico all’ipertiroidismo può interessare diversi siti d’azione in base alle
modalità di produzione e attivazione degli ormoni.
Infatti la tiroide è formata da follicoli in cui è contenuta la colloide che contiene tireoglobulina
associata agli ormoni inattivi legati alla proteina. Le cellule tiroidee captano perifericamente
lo iodio sotto forma di ione ioduro
che deve essere trasformato in I2
molecolare dall’azione della
perossidasi che è fondamentale
nella produzione di ormoni tiroidei,
altrimenti se non fosse disponibile
lo iodio molecolare sarebbe
impossibile sintetizzare gli ormoni.
Lo iodio molecolare entra nel
follicolo in cui è stata sintetizzata
precedentemente la tireoglobulina
e si lega ai residui di tirosina
attraverso un processo di
iodurazione. A questo punto si
forma una condensazine tra i
residui di iodotirosina e si ottiene l’ormone attivo T3 o T4 legato ancora alla tireoglobulina. A
seguito dello stimolo da parte del TSH si ha una scissione proteolitica e vengono liberati gli
ormoni attivi soprattutto il T4 che ha maggior affinità recettoriale. A seguito della liberazione
e dell’ingresso in circolo si sviluppa un’inibizione della secrezione di ulteriore TSH e TRH. A
dosi farmacologiche anche la dopamina, la somatostatina e i glucocorticoidi possono
diminuire la secrezione di TSH.
Esistono 3 tipi di approcci al trattamento dell’ipertiroidismo:
L’approccio farmaceutico può essere a diversi livelli:
 Riduzione del trasporto dello iodio: Perclorato
 Blocco della iodurazione: Tionamidi (Propiltiouracile, Metimazolo, Carbimazolo)
 Blocco della perossidasi: Tionamidi (propiltiouracile, Metimazolo, Carbimazolo)
 Azione ormonale: analoghi della tiroxina (Dibromotirosina)
 Blocco della deiodurazione periferica: Propiltiouracile
 Blocco della liberazione ormonale: Ioduro
L’approccio chirurgico si basa sulla rimozione della tiroide in toto o di parti della tiroide nei
casi in cui il trattamento farmacologico non è consigliato o non ha avuto effetti a causa delle
notevoli dimensioni dell’adenoma.
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Esiste anche un approccio radiometabolico ed è costituito dallo Iodio131 (I131) che è un
radionuclide in grado di emettere raggi beta e gamma e pertanto attraverso meccanismi di
ionizzazione può distruggere selettivamente le porzioni di tiroide ipercaptanti lo iodio e
quindi quelle iperattive associate all’ipertiroidismo.
Pertanto i farmaci utilizzati per l’ipertiroidismo sono:
 Propiltiouracile
 Carbimazolo
TIONAMIDI
 Metimazolo (Tapazole)
 Potassio perclorato (Pertiroid)
 Metimazolo + Dibromotirosina (Bromazolo)
 Dibromotirosina (Bromotiren)
 Iodio 131
 Beta-bloccanti
 Ioduro
Tionamidi
-
PROPILTIOURACILE (non disponibile in Italia)
- METIMAZOLO
- CARBIMAZOLO (non disponibile in Italia)
Meccanismo d’azione: questi farmaci agiscono impedendo la iodurazione, la perossidazione
dello ioduro a iodio molecolare inibendo la tireoperossidasi (TPO) e la condensazione dei
residui di iodotirosina. In più il propiltiouracile ha anche un’azione periferica di riduzione
della deiodurazione del T4 in T3 impedendo quindi l’attivazione dell’isoforma più efficace.
Essi possiedono residui –SH che si legano agli enzimi endogeni bloccando la loro funzione.
Il bersagio di questi farmaci è essenzialmente tiroideo.
Anche il propranololo ha un’azione simile alla propiltiouracile ma non per attivit{ betabloccante.
Azioni: riduzione della produzione e della liberazione di ormoni tiroidei e in più riduzione
dell’efficacia degli ormoni già in circolo per inibizione della deiodurazione.
Usi terapeutici:
1. Morbo di Graves
2. Adenoma tossico
3. Gozzo multinodulare secernente
Il fatto che abbiano un’insorgenza piuttosto lenta impedisce l’utilizzo di questi farmaci
durante la crisi tireotossica.
Farmacocinetica
propiltiouracile
metimazolo
Legame alle proteine
plasmatiche
75% (circa)
Nullo
Emivita plasmatica
75 minuti
4-6 ore
Emivita farmacodinamica
>> emivita plasmatica
(~12-24 h)
>> emivita plasmatica
(~40 h)
Volume di distribuzione
20 litri (circa)
40 litri (circa)
Frequenza di
somministrazione
1-4 volte al giorno (tid)
1-2 volte al giorno (sid)
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Passaggio transplacentare
Basso
Aumentato
Livello nel latte materno
Basso
Aumentato
Le tionamidi hanno un buon assorbimento gastrointestinale ma hanno emivita breve. La
propiltiouracile ha bisogno di parecchie somministrazioni al giorno mentre il metimazolo è
sufficiente somministrarlo una volta al giorno visto che la sua emivita plasmatica è più alta,
ma soprattutto perché la sua emivita farmacodinamica è lunghissima (circa 40 ore) visto che
il suo legame con i recettori è duraturo e determina una soppressione a lungo termine.
Il propiltiouracile è preferito in gravidanza perché non attraversa la placenta e non si
presenta nel latte materno mentre il metimazolo ha entrambe le capacità.
La posologia del tapazole (metimazolo) prevede somministrazione come dose iniziale
giornaliera di 15 mg per gli adulti con ipertiroidismo di grado lieve, 30-40 mg per il grado
moderato e 60 mg per ipertiroidismo severo. La quantità giornaliera deve essere suddivisa in
modo da essere somministrata 3 volte al giorno alla distanza di 8 ore ciascuna. La dose di
mantenimento varia da 5-15 mg/die.
Per i bambini la dose iniziale deve essere di 0,4 mg/Kg di peso corporeo suddivisa in 3 dosi da
somministrare 3 volte al giorno alla distanza di 8 ore. La dose di mantenimento è la metà di
quella iniziale.
Effetti avversi:
 Febbre e artralgia: bisogna valutare la sospensione del trattamento perché possono
essere indice di danno immunitario (anche se non molto frequente come effetto)
 Agranulocitosi: indicazione primaria per la sospensione del farmaco in caso di febbre,
faringite e altri segni d’infezione. In caso di agranulocitosi è necessario ospedalizzare il
paziente e trattarlo con antibatterici ad ampio spettro
 Danno epatico: monitorare gli indici di danno epatico sia colestatico che epatocellulare
infatti il propiltiouracile tende a dare danno colestatico potendo anche manifestarsi
sotto forma di ittero con urine scure e feci chiare, il metimazolo tende a dare danno
epatocellulare con innalzamenti delle transaminasi. È opportuno sospendere il
trattamento in presenza di sintomi a rischio di una delle 2 condizioni.
 Lupus e altre forme di vasculiti (soprattutto con propiltiouracile)
 Prurito, eruzioni cutanee, disturbi gastrointestinali (effetti minori)
Gli effetti avversi possono essere determinati dall’inibizione delle perossidasi in periferia:
- Lattoperossidasi: riduzione attività antibatterica
- Perossidasi gastriche: aumento acidità gastrica e secrezione di pepsinogeno
- Mieloperossidasi: immunosoppressione
- Idroperossidasi nella sintesi delle PG: accumulo di prodotti ossidati e xenobiotici
- Flavin-monossigenasi: alterazione del gusto e odorato per danno alla mucosa olfattiva.
Trattamento dell’ipertiroidismo in gravidanza
L’ipertiroidismo in gravidanza è un grave disturbo in quanto se non è trattato genera
problemi alla madre come insufficienza cardiaca, pre-eclampsia e crisi tireotossica durante o
dopo il parto; al feto provoca ipertiroidismo, aumento dei parti pretermine, dei nati morti e
della mortalità perinatale.
Le donne in gravidanza vengono trattate con antitiroidei oppure con un ablazione chirurgica
subtotale (in caso che il dosaggio del propiltiouracile superi i 400 mg/die).
Le donne in età fertile non in gravidanza vengono in genere sottoposte al trattamento
radiometabolico o chirurgico. Importante è evitare la gravidanza per i 4 mesi successivi al
trattamento con radioiodio.
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È da preferire il propiltiouracile come antitiroideo in gravidanza perché ha una solubilità
minore in acqua, si lega di più alle proteine plasmatiche e ha una minore ionizzazione a pH
7.4, tutto ciò giustifica una minor penetrazione nella barriera placentare rispetto al
metimazolo, un minor passaggio nel latte materno ed un minor passaggio alla tiroide fetale.
Alcuni effetti avversi sul feto possono essere ipotiroidismo con gozzo.
Trattamento radiometabolico
Lo IODIO 131 è captato attivamente dalle cellule tiroidee iperfunzionanti e ha la caratteristica
di emettere radiazioni beta e gamma. Le principali responsabili del danno sono le radiazioni
beta che penetrano nel tessuto e causano ionizzazione con conseguente necrosi cellulare.
Il vantaggio è che viene captato anche da cellule ectopiche e quindi è potenzialmente
utilizzabile nelle metastasi (se sono ancora in grado di captare lo iodio).
Meccanismo d’azione: attività ionizzante che provoca interazioni con le funzioni cellulari
come produzione di radicali ossidanti e legame al DNA che provocano in ultima analisi la
morte della cellula.
Azioni: nelle prime fasi il radioiodio determina necrosi cellulare, reazione infiammatoria,
distruzione dei follicoli, dismissione in circolo di ormoni tiroidei. Dopo un certo periodo di
terapia provoca fibrosi e inibizione dell’attivit{ tiroidea.
Usi terapeutici:
1. Morbo di Basedow: si tratta della prima indicazione al trattamento radiometabolico
insieme alla chirurgia e agli antitiroidei. Se il trattamento con antitiroidei fallisce o per
reazioni avverse o allergie del paziente o per rifiuto alla terapia si passa al radioiodio
(70% dei casi) e questo viene impiegato anche quando c’è la controindicazione al
trattamento chirurgico (patologie concomitanti, rifiuto del paziente). Trova un ruolo di
prim’ordine nel trattamento dell’oftalmopatia associata all’ipertiroidismo.
2. Gozzo nodulare tossico e adenoma tossico (di Plummer): è una delle prime scelte
insieme a tiroidectomia.
Se nel Basedow ci sono alti livelli di anticorpi anti-TSH (TRAb) è indicato il trattamento
radiometabolico a dosi ablative.
Indicazioni al pretrattamento con antitiroidei nel morbo di Basedow:
i pazienti con ipertiroidismo subclinico o i giovani non affetti da patologie cardiovascolari e
con ipertiroidismo lieve non vanno trattati preventivamente con tireostatici.
I pazienti con grave ipertiroidismo, età avanzata e gravi malattie cardiovascolari vanno
trattati con antitiroidei precedentemente al radioiodio allo scopo di un raggiungimento
dell’eutiroidismo più veloce e una prevenzione del temporaneo peggioramento della
tireotossicosi dovuta alla lisi delle cellule tiroidee con messa in circolo degli ormoni.
Il pretrattamento va sospeso 3 giorni prima dell’inizio della terapia radiometabolica.
Indicazioni al pretrattamento con antitiroidei nel gozzo nodulare tossico:
solo in casi selezionati perché il pretrattamento provoca l’accumulo di radioiodio anche nei
tessuti extranodulari non più funzionalmente inattivi e quindi aumenta il rischio di un
ipotiroidismo post-terapeutico.
È necessario sospendere l’eventuale trattamento in atto almeno 3 settimane prima della
terapia radiometabolica e verificare che le zone autonome abbiano ripreso la loro funzione e
che le zone normali siano inibite. A volte è opportuno sommonistrare liotironina (T3) per
bloccare il tessuto tiroideo normale.
Farmacocinetica
Lo iodio è sotto forma di NaI ed ha un’emivita di 5-6 giorni, mentre l’emiperiodo effettivo è di
8 giorni. Il periodo effettivo di emivita è 8 giorni ma la radioattivit{ nei tessuti ha un’emivita
di 5 giorni in quanto dipende sia dall’emivita fisica ma anche dall’emivita biologica (correlata
alla velocità di eliminazione dal tessuto che concentra radioiodio, le tionamidi possono
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
modificare questo periodo). Decade in xenon che è prontamente eliminato. È contenuto in
casseforti piombate in medicina nucleare. Può essere somministrato:
- In compresse gelatinose: viene consegnato ogni 3 giorni e possiede 3 dosi tarate da
utilizzare nei 3 giorni.
- In soluzione: consegnato ogni settimana contenente 8 giorni di taratura.
La concentrazione del farmaco è specificatamente nella tiroide con risparmio delle altre
strutture.
L’obiettivo terapeutico è il raggiungimento di un eutiroidismo (con 1 dose unica se possibile)
entro 1-2 mesi, nel caso di oftalmopatia però il target è l’ablazione del tessuto in tempi rapidi.
La dose al bersaglio nel morbo di Graves è 80-120 Gy, ma se presente oftalmopatia si eleva a
150-200 Gy. Per quanto riguarda la dose si può usare una dose singola ablativa, tante piccole
dosi o una dose variabile a seconda della dosimetria.
Alla 24° ora si fa il test di captazione dello I per vedere eventuali inibizioni della captazione.
Effetti avversi generali:
 Deterministici
o Tiroiditi
o Scialoadeniti
o Paralisi delle corde vocali per edema perineurale del nervo ricorrente
o Depressione midollare
o Fibrosi polmonare
o Oligospermia, azospermia, nausea e vomito per dosi elevate
 Stocastici
o Aumento del rischio carcinogenetico
Effetti avversi locali:
 Ipotiroidismo (a 10 anni nel 70% dei soggetti)
 Tiroidite da raggi (tireotossicosi dopo 7-10 giorni)
 Scialoadenite
 Edema della regione del collo
 Peggioramento dell’oftalmopatia
Controindicazioni:
1. Gravidanza in atto o allattamento
2. Età minore di 18 anni
3. Gozzo nodulare di grosse dimensioni (chirurgia)
4. Tireotossicosi senza ipertiroidismo o ipertiroidismo con bassa captazione
5. Ipertiroidismo subclinico nella tiroidite di Hashimoto
6. Morbo di Basedow con noduli dominanti non captanti e con possibile grado di
malignità.
L’allergia allo iodio non è una controindicazione in quanto le dosi utilizzate per la terapia
radiometabolica sono molto inferiori rispetto alla normale dose di iodio assunta con la dieta.
Gravidanza e allattamento
Prima di iniziare la terapia assicurarsi dell’assenza dello stato gravidico.
Evitare concepimento per 4 mesi dopo interruzione del trattamento (sia per uomo che per
donna). Nel caso di gravidanza entro i 4 mesi o esposizione al radioiodio in gravidanza
bisogna rilevare la dose di esposizione del nascituro e confrontarla con quella della vita
quotidiana, in più tenere conto del periodo di gravidanza (la tiroide si forma alla 12°
settimana e sarebbe distrutta dal radioiodio che si concentrerebbe in vescica).
Sotto ai 100 mSv non si prende in considerazione l’aborto, oltre si guardano i casi
individualmente.
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Sospensione dei prodotti contenenti iodio prima del trattamento:
- Multivitaminici
- Epettoranti, dimagranti, disinfettanti, dentifrici, tinture e tutti i prodotti iodati
- Tintura di iodio
- Mezzi di contrasto radiografici
- Amiodarone: interferisce con la funzione tiroidea e deve essere sospeso 3-6 mesi o più
prima del trattamento
Dopo al trattamento con radioiodio le terapie che si possono instaurare sono:
 Tionamidi: solo in casi selezionati e non prima di 7 giorni dal termine del trattamento
 Beta-bloccanti: propranololo, atenololo, metoprololo, nadololo utili per il controllo dei
sintomi acuti di ipertiroidismo
 Glucocorticoidi: per prevenire il peggioramento dell’oftalmopatia da radioiodio
 FANS: possibile utilizzo
Beta-bloccanti
Questi farmaci sono impiegati nel trattamento delle crisi tireotossiche per ridurre gli effetti
periferici dell’eccesso di ormoni come palpitazioni, tachicardia, aritmie, nervosismo, eccessiva
produzione di calore.
Nei pazienti con problemi cardiaci o affetti da asma può essere utilizzato il verapamil.
Ioduro
Questo farmaco inibisce il trasferimento dello iodio sui residui di tirosina e quindi riduce il
rifornimento dei depositi di tireoglobulina. Esso inibisce anche la liberazione di ormoni
tiroidei ma con meccanismi ancora sconosciuti.
Esso viene scarsamente utilizzato in monoterapia ma può essere molto utile nelle crisi
tireotossiche o prima di un intervento chirurgico alla tiroide in quanto riduce la
vascolarizzazione tiroidea.
Viene somministrato per via orale e alcuni effetti avversi possono essere dolore alla gola o alla
bocca, eruzioni cutanee, ulcerazioni delle membrane mucose e gusto metallico in bocca.
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ANTIDIABETICI
64. Insulina ed analoghi
L’insulina è una proteina formata da 2 catene polipeptidiche legate insieme da ponti disolfuro.
Essa viene prodotta in forma inattiva come pro-ormone (pro-insulina) dopodichè viene
trasformata in insulina attiva e peptide C che vengono entrambi secreti dalle cellule β del
pancreas. L’insulina svolge normalmente un ruolo di controllore dell’omeostasi glucidica nel
sangue e a seguito di ciò favorisce l’accumulo di sostanze energetiche di deposito attraverso
diverse vie metaboliche.
Viene normalmente secreta in risposta a stimoli diversi di cui il principale è la glicemia,
quando questa si eleva ad esempio a seguito di un pasto si verifica un’attiva secrezione di
insulina dalle cellule beta-pancreatiche attraverso un meccanismo complesso: il glucosio
entra nelle cellule beta tramite trasportatori GLUT-2 non dipendenti da insulina e qui entra
nella cascata glicolitica per formare glucosio-6-P e intermedi successivi. Il risultato è una
produzione di ATP che determina un blocco del canale del potassio, il quale rimane recluso
dentro la cellule e provoca una depolarizzazione fino a valori tali da aprire canali del calcio
che permettono la secrezione dell’insulina e del fattore C.
Il monitoraggio della secrezione di insulina viene fatta mediante il rilevamento del peptide C
in quanto la rilevazione dell’insulina non è accurata perché non distingue la proinsulina
dall’insulina.
Nel momento in cui la glicemia si innalza fino a superare i 200 mg/dl in condizioni postprandiali (dopo 2 ore da test da carico di glucosio) e oltre i 126 mg/dl in condizioni a digiuno
si parla di diabete mellito. Gli altri 2 markers utili per far diagnosi di diabete mellito sono
l’emoglobina glicata HbA1c che normalmente è sotto al 6% dell’Hb totale e invece nel
diabetico supera il 7% e la glicosuria cioè la quantità di glucosio eliminata con le urine che
normalmente dovrebbe essere nulla.
Pertanto il diabete si può definire come un’alterazione del metabolismo glucidico associata a
valori elevati di glicemia che predispongono ad una serie di sindromi differenti che daranno
origine alle tipiche complicanze del diabete se non viene trattato cioè neuropatia, nefropatia,
retinopatia e patologie cardiovascolari.
Il diabete viene diviso in 2 categorie (ad oggi viene ampliato a 4 categorie)
1. Diabete I (insulino dipendente): deriva da una distruzione immuno-mediata delle
cellule del pancreas endocrino e quindi c’è assenza di insulina
2. Diabete II (insulino resistente): deriva da una resistenza dei tessuti periferici all’azione
dell’insulina e benchè in un primo momento il pancreas cerchi di compensare elevando
i livelli di insulinemia, più tardi le cellule beta vanno incontro a disfunzione e si
riducono determinando carenza di insulina.
3. Diabete MODY (associato ad alterazioni geniche)
4. Diabete gestazionale (insorto durante gravidanza)
Obiettivi nel trattamento del diabete:
- Controllo glicemico (glicemia preprandiale 90-130 mg/dl e glicemia postprandiale
< 180 mg/dl)
- HbA1c < 7%
- Pressione arteriosa < 130/80 mmHg
- Colesterolo HDL > 40 mg/dl
- Colesterolo LDL < 100 mg/dl
- Trigliceridi < 150 mg/dl
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Tutte queste precauzioni sono utili al fine di ridurre al minimo il rischio di complicanze del
diabete sia acute che croniche, uno studio recente ha dimostrato l’importanza della
prevenzione sia primaria che secondaria attraverso il dosaggio dell’HbA1c: una riduzione di
un punto percentuale dell’emoglobina glicata comporta il 35% della riduzione delle
complicanze.
Insulina
L’insulina è stata utilizzata come farmaco per anni estraendola dal pancreas bovino e suino.
Oggi viene impiegata essenzialmente l’insulina umana ottenuta tramite metodiche di
ricombinazione del DNA utilizzando colture di E. Coli e lieviti geneticamente modificati con
l’inserimento del gene umano per la produzione dell’insulina.
In più quest’insulina umana è stata ulteriormente modificata alterando la disposizione degli
aminoacidi o la coniugazione con altre sostanze per renderla più efficace alle
somministrazioni.
Le principali insuline sintetiche utilizzate in terapia antidiabetica sono:
- INSULINA REGOLARE
- INSULINA LISPRO
- INSULINA ASPARTATO
Insuline a inizio rapido e azione ultrabreve
- INSULINA GLULISINA
- INSULINA ISOFANO NPH SOSPENSIONE
Insuline ad azione intermedia
- INSULINA ZINCO PROTRATTA
- INSULINA GLARGINA
Insuline ad azione prolungata
- INSULINA DETEMIR
Meccanismo d’azione
Le insuline si legano ai recettori specifici nei tessuti bersaglio e qui determinano diverse
risposte. In primo luogo l’interazione col recettore provoca un’autofosforilazione ed
un’attivazione della cascata chinasica che culmina nella fosforilazione di proteine bersaglio
come l’esternalizzazione dei trasportatori del glucosio e l’attivazione di enzimi deputati al
metabolismo del glucosio che entra nella glicolisi e ciclo di Krebs per arrivare alla
fosforilazione ossidativa con produzione di ATP. Inoltre in certi tessuti come l’adipe possono
essere stimolati gli enzimi che creano acidi grassi e la conseguente sintesi di trigliceridi da
immagazzinare nel tessuto adiposo. Nel muscolo o nel fegato possono essere stimolati gli
enzimi per la glicogenosintesi e la captazione delle proteina specialmente nel muscolo. Il fine
di tutto ciò è l’accumulo di riserve energetiche. In più però il meccanismo chinasico giunge
anche alla fosforilazione di fattori di trascrizione che entrano nel nucleo e mediano la
trascrizione di specifici geni coinvolti nel metabolismo del glucosio. L’insulina presenta anche
alcune azioni mitogene e pertanto deve sempre essere somministrata con prudenza.
Al fine di combattere il diabete e quindi ridurre la glicemia vengono esternalizzati i recettori
GLUT-4 dipendenti dall’insulina presenti nel muscolo e nel tessuto adiposo.
I GLUT-2 sono presenti nel pancreas, fegato, rene e intestino, i GLUT-1 sono ubiquitari e
responsabili della maggior captazione glucidica (specialmente negli eritrociti). I GLUT-3
invece sono nel SN e nella placenta mentre i GLUT-5 sono deputati all’assorbimento del
fruttosio nell’intestino e nel rene.
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Azioni
Fegato
Muscolo
Aumento trasporto
glucosio intracell
Inibizione lipolisi
Inibizione
gluconeogenesi
Aumento sintesi
trigliceridi
Aumento sintesi
glicogeno
Aumento sintesi
proteica
Adipe
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
Usi terapeutici
1. Diabete mellito tipo I: uso principale e fondamentale per consentire la vita al paziente
2. Diabete mellito tipo II: uso secondario che risulta necessario quano il diabete tende a
peggiorare e la performance pancreatica declina
3. Situazioni di emergenza (crisi iperglicemiche)
4. Diabete post-pancreatectomia
5. Diabete gestazionale
Farmacocinetica
La cinetica delle varie forme di insulina varia notevolmente in base alla loro struttura e alla
loro preparazione. Fondamentali sono le differenze nella durata d’azione e nel tempo d’inizio
dell’azione che dipendono da dimensioni, composizione dei cristalli e sequenza aminoacidica
dell’insulina e inoltre da sede di iniezione, dose, flusso ematico, temperatura e attivit{ fisica.
Tutte le insuline vengono somministrate per via parenterale perché la via orale porta ad una
veloce degradazione dell’ormone a causa degli enzimi peptici. Così le somministrazioni
preferenziali sono sottocutanea ed endovenosa solo nei casi acuti e di una certa gravità per
ridurre il tempo d’inizio dell’azione.
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Il volume di distribuzione corrisponde in linea di massima al volume del LEC.
Il metabolismo è epatico e l’eliminazione è renale.
L’emivita è dell’ordine di minuti.
Ad oggi sono state proposte anche somministrazioni attraverso aerosol o spray che
consentono l’assorbimento dell’insulina nel letto alveolare o nella mucosa buccale.
Preparazioni di insulina a inizio rapido e ad azione ultrabreve
Questa classe comprende insuline che agiscono in tempi molto brevi e durano molto poco.
- Insulina regolare: viene iniettata sottocute oppure in endovena quando ci sono
situazioni di emergenza. Essa si trova come insulina zinco-cristallina solubile ad azione
breve. Viene rilasciata sottocute e il fatto di entrare in circolo più o meno velocemente
dipende dagli eccipienti utilizzati (zinco rallenta l’assorbimento). Essa viene depositata
sotto forma di esameri stabilizzati dallo zinco e per essere funzionale gli esameri
devono essere ricondotti a monomeri ed è per questo che sono necessari circa 30
minuti dall’inizio dell’azione.
- Insulina lispro: questa insulina differisce dalla forma regolare in quanto c’è
un’inversione in posizione 28 e 29 degli aminoacidi lisina e prolina e questo piccolo
cambiamento è responsabile di un’azione molto più rapida e una durata d’azione più
breve. Infatti la somministrazione di questi composti sottocutanei è sempre sotto
forma di momoneri ma questi sono meno stabili e già a concentrazioni più alte iniziano
a disgregarsi in monomeri permettendo un inizio d’azione più veloce (15 minuti) e una
durata d’azione più breve. Essa ha sostituito la regolare per l’infusione dell’insulina
prima dei pasti in quanto è più veloce e dura di meno riducendo il rischio di
ipoglicemia. I livelli massimi si presentano infatti 30-90 minuti dopo l’assunzione a
differenza dell’insulina regolare che ha il Tmax ai 50-120 minuti.
- Insulina aspartato: molto simile alla lispro con durata d’azione molto breve
- Insulina glulisina: essa è sovrapponibile alla lispro e all’aspartato ma ha una durata
d’azione leggermente inferiore a entrambe.
La lispro è l’unica adatta alle somministrazioni immesse nelle pompe a rilascio continuo
sottocutaneo per la sua scarsa capacità di formare esameri.
Generalmente queste insuline vengono somministrate insieme a insuline a lunga durata
d’azione e mai in monoterapia, esse mimano l’increzione fisiologica postprandiale
dell’insulina.
Preparazioni di insulina ad azione intermedia
In questa classe ci sono:
- Insulina lenta: precipitato amorfo di insulina con ione zinco associata al 70% di
insulina ultralenta. Insorgenza dell’effetto massimo è a volte più lenta rispetto
all’insulina regolare ma la sua durata d’azione è più lunga
- Insulina isofano NPH sospensione: si tratta di una preparazione di insulina zinco
associata coniugata con protamina a pH neutro. La protamina ha la caratteristica di
rallentare notevolmente l’assorbimento del composto e quindi l’insulina ha una durata
d’azione intermedia. Va somministrata sempre per via sottocutanea e mai endovenosa.
Generalmente si dà con insulina regolare. È stato preparato anche un composto simile
detto insulina lispro protamina neutra (NPL) da utilizzare in associazione solo a
insulina lispro.
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Preparazioni di insulina ad azione prolungata
In questa classe ci sono:
- Insulina zinco protratta: detta anche insulina ultralenta, caratterizzata da insulina
zinco cristallina in tampone acetato. Ciò permette un rilascio molto lento e una durata
d’azione lunga con prolungato effetto ipoglicemizzante.
- Insulina glargina: essa ha un punto isoelettrico più basso rispetto a quello
dell’insulina normale e quindi dopo somministrazione precipita a pH corporeo a livello
del sito di iniezione e rallenta molto il suo assorbimento. Ha inizio d’azione più lento
rispetto a NPH e durata d’azione molto lunga e costante non determinando mai picchi
insulinici responsabili degli effetti avversi come ipoglicemia.
- Insulina detemir: legame nella catena laterale con un acido grasso. Si combina con
l’albumina a livello del sito d’iniezione ed ha propriet{ simili alla glargina. È stata
recentemente autorizzata al commercio in Europa.
Alcune di queste insuline vengono spesso associate in combinazioni premiscelate.
Il trattamento con queste insuline può essere sia standard che intensivo. Il trattamento
standard prevede 2 somministrazioni giornaliere per diminuire la glicemia e l’emoglobina
glicata, ma per avere riduzione più intensa e copertura maggiore nei confronti delle
complicanze è più opportuno usare il trattamento intensivo con dosi massiccie. È evidente che
col trattamento intensivo sono più frequenti crisi ipoglicemiche ma la copertura contro le
complicanze è maggiore.
Effetti avversi:
 Ipoglicemia: problema principale, più frequente nelle preparazioni che subiscono dei
picchi di insulina. È il problema della terapia intensiva (soprattutto in anziani e
bambini)
 Allergia: il problema è stato ormai del tutto risolto
 Lipodistrofia: a livello della sede di iniezione sottocutanea
 Aumento di peso
Importante il monitoraggio della glicemia, dell’Hb1Ac e dei livelli di glucosio postprandiale
(nuiovo parametro di cui si tiene in considerazione e di cui si sono viste le utilità).
Nuove forme di terapia insulinica: (ricerca)
- Trapianto di pancreas
- Trapianto di cellule beta pancreatiche
- Nuove vie di somministrazione orale, rettale, nasale
- Preparazioni in monomeri o dimeri
Terapia di un attacco acuto di iperglicemia chetoacidosica
- Apporto idrico
- Potassio (perché l’insulina induce ingresso di potassio dentro la cellula e quindi a volte
può essere necessario somministrare potassio esogeno in casi di eccessi di insulina)
- Insulina endovena
- NaHCO3- se pH arterioso è sotto 7.0
- Misure di supporto: sondino nasogastrico, catetere vescicale, antibiotici, ossigeno
- Monitoraggio: glicemia, kaliemia, pH arterioso, ECG, polso, pressione, respirazione,
vigilanza
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65. Farmaci impiegati nel trattamento del diabete di tipo II
Il diabete tipo II viene trattato in prima linea con ipoglicemizzanti orali. Essi hanno una
massima efficacia nel paziente diabetico da non più di 5 anni e che abbia all’incirca sui 40
anni. In pazienti con malattia più avanzata si rende opportuno somministrare insieme agli
ipoglicemizzanti orali anche insulina soprattutto quando la performance beta-pancreatica
inizia a decadere.
I farmaci ipoglicemizzanti orali possiedono diversi meccanismi d’azione:
- Secretagoghi di insulina
o Sulfaniluree
o Analoghi della meglitinide
- Sensibilizzatori all’insulina
o Biguanidi
o Tiazolidindioni o Glitazoni
- Inibitori dell’alfa-glucosidasi
o Acarbosio e Miglitolo
- Ormoni gastrointestinali
o Exenatide
Sulfaniluree
Questi farmaci sono dei secretagoghi di insulina perciò aumentano la secrezione di insulina d
parte delle cellule beta pancreatiche.
- TOLBUTAMIDE
- GLIBURIDE (Glibenclamide)
- GLIPIZIDE
- GLIMEPIRIDE
Meccanismo d’azione: questi farmaci agiscono sulle cellule beta del pancreas legandosi in
modo selettivo ai canali del K inibendoli. In questo modo la corrente in uscita del potassio
viene bloccata e si ha una depolarizzazione che porta all’apertura dei canali del Ca e alla
liberazione dell’insulina. Sono agonisti del normale meccanismo di secrezione dell’insulina
mediato dall’ATP.
Azioni:
 Stimolazione della secrezione di insulina
 Aumento dei recettori dell’insulina
 Aumento della sintesi dei trasportatori di glucosio
 Riduzione dei livelli sierici di glucagone
 Riduzione clearance epatica dell’ormone (forse)
Usi terapeutici: diabete tipo II tranne i pazienti con insufficienza epatica e renale
Farmacocinetica: sono assorbiti bene per via orale e si legano alle proteine plasmatiche, sono
metabolizzati dal fegato o dal rene. La tolbutamide ha la durata d’azione più breve (6-12 ore)
mentre le altre ce l’hanno in media di 24 ore.
Reazioni avverse:
 Aumento di peso
 Ipoglicemia
 Iperinsulinemia
 Controindicazioni: insufficienza epatica e renale perché sono le sedi di metabolismo e
se non sono funzionanti si rischia l’ipoglicemia severa. Inoltre passano la barriera
placentare e possono svuotare il pancreas fetale di insulina.
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Analoghi della meglitinide
- REPAGLINIDE
- NATEGLINIDE
Sono molto simili alle sulfaniluree sia come meccanismo d’azione che come azioni ed usi
terapeutici. La differenza sta nella farmacocinetica in quanto hanno inizio d’azione più veloce
e durata più breve. Sono molto efficaci nella liberazione postprandiale di insulina. Molto più
attivi se associati a metformina o glitazoni piuttosto che in monoterapia.
Sono ben assorbiti per via orale e eliminati con la bile.
L’incidenza dell’ipoglicemia come effetto avverso è molto più bassa. Tuttavia si presentano
diversi effetti di interazioni con altri farmaci. I farmaci che inibiscono il CYP3A4 possono
aumentare l’effetto ipoglicemizzante e viceversa quelli che inducono gli enzimi.
Uno degli effetti avversi principali resta l’aumento di peso.
Devono essere usati con cautela nei pazienti con insufficienza epatica.
Esistono anche farmaci come il DIAZOSSIDO che hanno effetti opposti alle sulfaniluree in
quanto attivano i canali del potassio e oltre a indurre blocco della secrezione di insulina
provocano anche dilatazione della muscolatura liscia.
Biguanidi
Il biguanide utilizzato è la METFORMINA. Questo farmaco agisce come sensibilizzatore
all’insulina in quanto favorisce l’attivit{ dell’insulina nei pazienti in cui c’è resistenza
periferica all’ormone.
Meccanismo d’azione: la metformina agisce migliorando la risposta del bersaglio cellulare
all’insulina senza aumentare la secrezione pancreatica dell’ormone.
Azioni:
 Inibizione della gluconeogenesi epatica: responsabile di per sé della maggior parte del
glucosio ematico presente nel diabetico di tipo II
 Aumento dell’uptake periferico di glucosio per azione sul GLUT-4
 Aumento dell’utilizzo intesinale degli zuccheri (che vengono quindi assorbiti in misura
minore)
 Riduzione dell’iperlipidemia (necessarie 4-6 settimane)
 Perdita di peso a seguito della riduzione dell’appetito
 Riduzione netta della mortalità cardiovascolare da complicanze diabetiche
 Azione stimolante la produzione di acido lattico
Usi terapeutici: viene usata come prima scelta nel trattamento del diabetico di tipo II di
nuova diagnosi e può essere usata sia da sola sia in associazione con altri ipoglicemizzanti ma
anche con l’insulina stessa. In quest’ultimo caso è necessario ridurre le dosi perché si può
andare incontro a ipoglicemia.
Un altro impiego terapeutico della metformina è l’ovaio policistico in cui si è visto che un
aumento della sensibilizzazione periferica all’insulina può migliorare i cicli ovulatori e forse
favorire la gravidanza.
Farmacocinetica: ben assorbita per via orale e non si lega alle proteine plasmatiche e non
viene metabolizzata. Le concentrazioni più alte sono nella saliva e nella parete
gastrointestinale. Viene eliminata con le urine. L’emivita è di 1,5-4,5 ore e possiede un’alta
clearance renale.
Effetti avversi:
 In gran parte disturbi gastrointestinali
 L’ipoglicemia è molto meno frequente che con le sulfaniluree perché non c’è una
massiva liberazione di insulina così come è assente l’iperinsulinemia.
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 Acidosi lattica: raramente si può presentare questo effetto avverso in quanto il farmaco
agisce stimolando la produzione di acido lattico. In generale si è visto che lo stimolo
alla produzione di acido lattico si ha sui pazienti diabetici in trattamento per la
insufficienza cardiaca e per questo essi non devono assumere metformina
 Controindicazioni: insufficienza renale, insufficienza epatica, insufficienza cardiaca,
insufficienza respiratoria (perché in caso di acidosi metabolica mancherebbe il
compenso polmonare). Un’altra controindicazione è l’alcolismo, le infezioni di grado
severo e la gravidanza.
 Utilizzo per lungo periodo di metformina può portare a interferenza con
l’assorbimento della vitamina B12.
Tiazolidindioni o Glitazoni
Questi farmaci sono anch’essi sensibilizzatori dell’insulina al pari della metformina. Sono stati
però riscontrati casi gravi di epatotossicità letale che hanno eliminato certi prodotti
farmaceutici dalla vendita. Ad oggi sono disponibili:
- PIOGLITAZONE
- ROSIGLITAZONE
Meccanismo d’azione: non si sa ancora bene come questi possano influire sulla riduzione
delle complicanze del diabete mellito II ma le ipotesi sono diverse. Infatti si sa che i glitazoni si
legano ai recettori nucleari PPARγ e quindi vanno a stimolare direttamente la trascrizione
genica di geni che codificano per proteine ed enzimi responsabili del controllo dell’omeostasi
glucidica e lipidica.
Azioni:
 Aumento sintesi di adipochine: regolazione della crescita degli adipociti e aumento
della loro sensibilit{ all’insulina (importante in prevenzione secondaria del diabete in
pazienti obesi)
 Aumento sensibilizzazione insulina: nel fegato, nel muscolo e nel tessuto adiposo
 Miglioramento dell’ipertrigliceridemia, iperglicemia e iperinsulinemia (infatti questi
non aumentano la secrezione basale di insulina) aumento dei livelli di HDL.
 Sviluppo del grasso sottocutaneo (sia per azione di mobilitazione degli acidi grassi sia
per aumento dell’edema)
Usi terapeutici: diabete di tipo II soprattutto in pazienti anche obesi. Un altro uso è l’ovaio
policistico nelle donne per favorire l’ovulazione e la possibile gravidanza.
Farmacocinetica: sono assorbiti per via orale ed entrano nel circolo legati estesamente
all’albumina sierica. Subiscono un ampio metabolismo ad opera del cit P-450 e alcuni
metaboliti conservano l’attivit{ questi metaboliti sono escreti con le urine mentre il farmaco
d’origine è eliminato nella bile. Normalmente il pioglitazone può essere usato in monoterapia
o in associazione ad altri ipoglicemizzanti orali o insulina. Il rosiglitazone invece può venire
associato ad altri ipoglicemizzanti ma non all’insulina a causa dell’aumentata incidenza di
edema.
Effetti avversi: il problema degli effetti avversi e della tossicità si rifà alla capacità di questi
composti di legarsi ai PPAR non solo di tipo γ presenti sulle cellule adipose, cellule beta
pancreatiche, cellule endoteliali e macrofagi, ma anche ai recettori α e δ. I PPARα sono situati
nel fegato, cuore, muscolo scheletrico e vasi. Pertanto i maggiori effetti avversi si avranno per
interazione con i PPARα:
 Epatotossicità: necessario controllare le transaminasi prima di iniziare la terapia e ogni
2 mesi per il primo anno e poi periodicamente.
 Aumento ponderale: sia per l’incremento del grasso sottocutaneo sia per l’edema da
ritenzione idrica
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 Complicanze cardiovascolari: si è vista un’aumentata incidenza di torsioni di punta
all’ECG, forse il meccanismo edemigeno peggiora la performance cardiaca
 Cefalea, anemia
 Controindicazioni: allattamento
 Le donne che assumono contraccettivi orali e prendono glitazoni possono rimanere
incinte in quanto questo riduce le concentrazioni plasmatiche dei contraccettivi orali.
 In pazienti che assumono il farmaco insieme all’insulina o ad altri ipoglicemizzanti
orali devono ridurre le dosi di entrambi i farmaci per evitare ipoglicemia.
Acarbosio e Miglitolo
Questi 2 farmaci non hanno un’attivit{ favorente sull’increzione di insulina o sull’aumento
della sua sensibilizzazione nei tessuti periferici.
Meccanismo d’azione: essi si legano agli enzimi α-glucosidasi massimamente concentrati
nell’orletto a spazzola della mucosa del tenue impedendo così la maggior parte
dell’assorbimento di carboidrati che non vengono scissi in disaccaridi e glucosio e pertanto si
riduce la glicemia postprandiale. Essi agiscono anche sull’α-amilasi pancreatiche che
impedisce la degradazione dell’amido in oligosaccaridi.
Azioni: riduzione della glicemia postprandiale, non si ha ipoglicemia a meno che non ci sia un
trattamento concomitante con sulfaniluree o insulina. In caso di ipoglicemia è consigliato dare
al paziente glucosio piuttosto che saccarosio perché quest’ultimo subisce lo stesso destino
degli oligosaccaridi e viene scarsamente assorbito.
Usi terapeutici: diabete mellito tipo II
Farmacocinetica: l’ACARBOSIO è scarsamente assorbito, viene metabolizzato dai batteri
intestinali e alcuni metaboliti sono assorbiti ed escreti con le urine. Il MIGLITOLO si assorbe
molto bene ma non esercita effetti sistemici. Si assumono all’inizio del pasto.
Effetti avversi: flatulenza, diarrea e crampi addominali. Essi riducono la biodisponibilità di
metformina. Non devono essere usati in pazienti con IBD, ulcerazioni del colon o ostruzione
intestinale.
Exenatide
Si è dimostrato che l’assunzione di glucosio per via orale determina un’increzione di insulina
da parte delle cellule pancreatiche molto maggiore rispetto all’insulina secreta in risposta a
glucosio endovenoso. Questo comportamento si spiega per la presenza di ormoni
gastrointestinali come GLP-1 (glucagon like peptide) e il GIP (gastric inhibitor peptide) situati
principalmente sulle pareti del tenue.
Questa modalit{ di secrezione dell’insulina viene detta “via dell’incretina”.
Il GLP-1 è velocemente metabolizzato in vivo da parte delledipeptil-peptidasi4 (DPP4) che
sono presenti in vari tessuti come intestino e rene.
Il GLP-1 inoltre sopprime la secrezione di glucagone e la produzione di glucosio, aumenta il
tempo di svuotamento gastrico e riduce la sensazione di fame.
Farmaci analoghi al GLP-1 sono stati formati per far fronte all’iperglicemia del diabete tipo II:
- EXENATIDE: analogo sintetico del GLP-1
- LIRAGLUTIDE : altro analogo del GLP-1 ma ancora in via di sperimentazione
- SITAGLIPTIN e VIDAGLIPTIN : inibitori delle DPP4 e quindi aumentano l’emivita dei GLP1 e GIP.
L’exenatide deve essere somministrata per via parenterale.
Ha breve durata d’azione e richiede una somministrazione frequente.
È ben tollerata e solo in un piccolo numero di pazienti è stata rilevata nausea.
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ORMONI SESSUALI E FARMACI DEL
METABOLISMO OSSEO
ESTROGENI, PROGESTINICI E ANDROGENI
66. Estrogeni, progestinici e contraccettivi orali
Gli estrogeni e i progestinici sono ormoni prodotti normalmente dall’ovaio e in parte dal
surrene e da altri tessuti. Essi governano la funzione riproduttiva, il concepimento, lo sviluppo
ed il mantenimento dei caratteri sessuali primari e secondari.
I farmaci contenenti queste preparazioni ormonali trovano impiego nella contraccezione, nel
trattamento sostitutivo per ipogonadismo o in post-menopausa e nell’osteoporosi.
Il ciclo ovarico e mestruale
Nella fase follicolare del ciclo ovarico
l'ipofisi rilascia quantità modeste di FSH e
di LH in risposta alle stimolazioni
provenienti dall'ipotalamo; in questa fase le
cellule del follicolo immaturo dispongono
di recettori per l'ormone FSH ma non per
quelli per l'ormone LH.
Le molecole di FSH inducono
l'accrescimento da cinque a sette follicoli
ovarici e le cellule di tale struttura in
sviluppo producono estrogeni. Il follicolo
più grande secerne inibina che serve a
fermare i follicoli sopprimendo la
produzione di FSH. Questo follicolo dominante continua a crescere, e diventa presto
competente per l'ovulazione. Una bassa concentrazione di estrogeni da parte del follicolo
mantiene la secrezione di gonadotropine ipofisarie (FSH , LH) a livelli parimenti modesti
attraverso un meccanismo di feedback negativo.
Questi rapporti ormonali si modificano in modo radicale e bruscamente nella fase ovulatoria
quando il ritmo della secrezione di estrogeni da parte del follicolo in sviluppo inizia a crescere
molto rapidamente; per un controllo feedback positivo aumenteranno notevolmente anche le
gonadotropine (FSH, LH). Ormai la maturazione del follicolo è arrivata a un punto tale che
questa struttura dispone di recettori per l'ormone LH e può rispondere a questa molecola
segnale che determina nel follicolo stesso la definitiva maturazione; l'ovulazione si verifica
circa 24 ore dopo la comparsa del picco di LH, in seguito all'ovulazione, LH stimola la
formazione del corpo luteo, una particola struttura cicatriziale che funziona come ghiandola
endocrina.
I follicoli producono estrogeni; tali estrogeni iniziano la formazione di un nuovo strato di
endometrio nell'utero, identificato come l'endometrio proliferativo.
Se fecondato, l'embrione sarà impiantato all'interno di questa polpa ospitale.
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Quando il follicolo è maturato, secerne abbastanza estradiolo da portare al rilascio
dell'ormone luteinizzante (LH). In un ciclo medio questo rilascio di LH avviene intorno al
dodicesimo giorno e può durare 48 ore.
Il rilascio di LH fa maturare l'ovulo e indebolisce la parete del follicolo ovarico. Questo
processo porta all'ovulazione: il rilascio dell'ovulo maturo, la cellula più grande del corpo (con
un diametro di circa 0.5 mm).
Le tube di Falloppio devono catturare l'ovulo e fornire il posto per la fertilizzazione. Un
caratteristico muco chiaro e filante viene secreto dalla cervice, pronta ad accettare lo sperma.
Il corpo luteo è il corpo solido che si forma nelle ovaie dopo che l'ovulo è stato rilasciato dalle
tube di Falloppio, è cresciuto e si è diviso. Dopo l'ovulazione, il follicolo residuo si trasforma
nel corpo luteo con l'aiuto di ormoni secreti dall'ipofisi. Questo corpo produrrà progesterone
ed estrogeni per approssimativamente due settimane. Il progesterone gioca un ruolo chiave
nel convertire l'endometrio proliferativo in un rivestimento accogliente per un'eventuale
impianto e per le prime fasi della gravidanza. Esso innalza anche la temperatura corporea da
un quarto a mezzo grado centigrado.
L'ovulo, se sarà stato fecondato, viaggerà come blastula attraverso le tube di Falloppio fino
alla cavità uterina e si impianterà 6 o 12 giorni dopo l'ovulazione.
Un segnale precoce viene dato dalla gonadotropina corionica (HCG), ormone che si può
misurare con un test di gravidanza. Esso ha un ruolo importante nel mantenere il corpo luteo
"vivo" e capace di produrre ancora progesterone.
Senza gravidanza (e quindi senza HCG) il corpo luteo scompare, e il livello di progesterone
crolla. Ciò determina l'inizio di un nuovo ciclo mestruale.
ESTROGENI
L’ormone con maggior efficacia è l’Estradiolo prodotto dall’ovaio, gli altri estrogeni sono
l’estrone e l’estriolo che vengono prodotti e secreti in minor misura da altri tessuti come
fegato e soprattutto il surrene.
Tra gli estrogeni di sintesi ampiamente utilizzati in terapia c’è l’Etinilestradiolo che è presente
nella maggior parte delle preparazioni contraccettive, esso subisce un minor metabolismo di
primo passaggio e dunque è più efficace ed ha un assorbimento maggiore rispetto ai composti
naturali.
Principali estrogeni di utilizzo farmacologico:






ESTRADIOLO
ETINILESTRADIOLO
ESTRIOLO
ESTRONE
MESTRANOLO
DIETILSTILBESTROLO
Meccanismo d’azione
Gli estrogeni si legano selettivamente ai recettori degli estrogeni situati principalmente a
livello nucleare nei siti bersaglio e pertanto l’azione degli estrogeni è la trascrizione genica e la
sintesi di nuovo RNA. Esistono 2 sottotipi di recettori estrogenici alfa e beta ed essi mediano
diversi comportamenti trascrittivi. L’affinit{ dei vari composti è diversa per uno o per l’altro
recettore e pertanto possono generare risposte diverse. Il meccanismo utilizzato per la
trasduzione del segnale è anch’esso variabile e può variare da un intervento della proteina G
associata ad un secondo messaggero o all’aumento di produzione di NO.
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Azioni
 Regolazione del ciclo ovarico e mestruale
 Sviluppo e mantenimento dei caratteri sessuali primari e secondari
 Effetti metabolici:
o Aumento sintesi HDL e riduzione LDL
o Aumento secrezione di colesterolo nella bile e riduzione di Sali biliari con
possibile rischio di calcolosi biliare
o Aumento della produzione di proteina trasportatrice della tiroxina, di
transcortina e di proteina legante gli ormoni sessuali (SHBP)
o Aumento della sintesi dei recettori per il progesterone
o Aumento sintesi dei fattori di coagulazione II, VII, IX, X
o Riduzione dell’antitrombina III
o Aumento della sintesi di fibrinogeno
Questi ultimi effetti sono responsabili dell’aumentato rischio cardiovascolare di tali farmaci
con una probabilità incrementata di avere fenomeni tromboembolici e ischemici.
Usi terapeutici
1. Contraccezione: normalmente questi farmaci vengono impiegati in associazione a
progestinici e il loro bersaglio per prevenire la gravidanza è l’inibizione
dell’ovulazione, consentendo comunque la normale mestruazione. Il composto in
assoluto più utilizzato in questo campo è l’estrogeno di sintesi etinilestradiolo.
2. Terapia ormonale sostitutiva in post-menopausa: questa terapia con estrogeni deve
essere effettuata per periodi molto brevi e solo in condizioni di necessità in quanto si è
visto che in tali pazienti i rischi di malattia cardiovascolare tendono a superare i
benefici dovuti al miglioramento dei fenomeni vasomotori che determinano le tipiche
vampate di calore in quanto gli estrogeni bloccano la secrezione anomala di
noradrenalina dall’ipotalamo, al miglioramento dell’osteoporosi in quanto gli estrogeni
inibiscono il riassorbimento osseo ma al contempo non favoriscono la deposizione, al
miglioramento dell’atrofia postmenopausale che si verifica a carico della vulva, della
vagina , dell’uretra e del trigono vescicale. Ad oggi la terapia sostitutiva per
l’osteoporosi non si effettua più perché esistono altri rimedi terapeutici più efficaci e
scevri da rischi patologici.
Solo utilizzati in terapia acuta di breve durata e sintomatologica.
3. Terapia ormonale sostitutiva in ipogonadismo primario: può accadere che giovani
donne vadano incontro a fenomeni di ipofunzionalità delle ovaie determinate da difetti
di crescita o anomalie varie e pertanto queste pazienti necessitano di estrogeni
associati a progesterone per mantenere i caratteri sessuali primari e secondari e
stabilire una normalizzazione del ciclo ovarico potendo anche consentire l’ovulazione e
la gravidanza.
Farmacocinetica
Questi composti sono somministrati per via orale oppure anche per via transdermica,
sublinguale e intramuscolare.
Gli estrogeni naturali come l’estradiolo utilizzato tipicamente in terapia sostitutiva quando è
assunto per via orale subisce un notevole metabolismo intestinale ed epatico di first pass che
tende a ridurre in parte la sua potenza e la sua efficacia. Esso è rapidamente metabolizzato dal
fegato ed eliminato nella bile e quindi sottoposto a circolo entero-epatico. I prodotti inattivi
vengono poi eliminati anche con le urine oltre che con le feci. Ha emivita di pochi minuti,
mentre la durata d’azione è notevolmente più lunga.
Gli estrogeni di sintesi come l’etinilestradiolo o il mestranolo vengono somministrati per via
orale, cutanea o intramucosa e subiscono molto meno il metabolismo di primo passaggio da
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parte del fegato e dell’intestino. In questo modo hanno un’efficacia maggiore. Somministrati
per via transcutanea mediante appropriati cerotti transdermici bypassano direttamente il
filtro epatico e sono molto efficaci. Essendo altamente liposolubili vengono immagazzinati nel
tessuto adiposo e rilasciati progressivamente e questo modo permette una durata d’azione
molto più lunga e potenza superiore. L’emivita dell’etinilestradiolo è di circa 13-27 ore mentre
il mestranolo è prontamente convertito a etinilestradiolo.
Gli estrogeni sono trasportati nel sangue legati alla globulina trasportante gli ormoni sessuali
e per aumentare la biodiponibilità sono disponibili vie di somministrazioni alternative alla via
orale:
 Cerotti transdermici
 Via intravaginale
 Iniezione
Sono idrossilati nel fegato e coniugati, entrano nell’intestino e subisono un ricircolo enteroepatico, i prodotti inattivi vengono escreti con le urine.
Effetti avversi
 Nausea e vomito
 Sanguinamento uterino postmenopausale
 Problemi tromboembolici
 Infarto miocardico
 Carcinoma mammario
 Carcinoma endometriale (effetto risolvibile mediante somministrazione di
progestinici)
 Carcinoma cervicale (possibile conseguenza dell’assunzione di dietilstilbestrolo in
figlie di donne che avevano assunto il farmaco nelle prime fasi di gravidanza)
 Interazione farmacologica con fenobarbital, rifampicina e ampicillina aumentano il
metabolismo degli estrogeni e riducono l’efficacia.
PROGESTINICI
Il progesterone è il normale ormone prodotto sia dall’ovaio che dai testicoli e in entrambi i
sessi dalle ghiandole surrenali. Nelle femmine il progesterone favorisce lo sviluppo di una
mucosa secretiva attraverso l’ipertrofia delle ghiandole e la spiralizzazione delle arterie
uterine in modo da generare un gel appropriato per l’impianto dell’embrione nella parete
uterina. Esso è controllato dalla tropina ipofisaria LH che governa l’ovulazione. Una volta
effettuata l’ovulazione il progesterone assume un ruolo cardine nel ciclo ovarico in quanto
permette la soppressione delle gonadotropine evitando una nuova ovulazione e favorisce
l’impianto dell’embrione. Esso viene prodotto attivamente dal corpo luteo, ma se non avviene
la fecondazione progressivamente il corpo luteo si atrofizza e la produzione di progesterone
scende fino a livelli tali da disinibire le gonadotropine e provocare una mestruazione seguita
da un nuovo ciclo ovulatorio.
Progestinici utilizzati in terapia:







PROGESTERONE
NORGESTREL
LEVONORGESTREL
NORGESTIMATO
DESOGESTREL
GESTODENE
MEDROSSIPROGESTERONE
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
 NORETINDRONE
Meccanismo d’azione
Sovrapponibile a quello degli estrogeni mediante legame ai recettori nucleari e stimolazione
della trascrizione di RNA.
Azioni:
 Controllo del ciclo ovarico e della gravidanza (se si instaura la gravidanza il
progesterone continua ad essere prodotto dalla placenta per impedire un’ulteriore
ovulazione)
 Sviluppo di un endometrio secretivo
 Metaboliche: aumento del glicogeno epatico, riduzione del riassorbimento di Na per
competizione con l’aldosterone, aumento della temperatura corporea, riduzione dei
livelli plasmatici di alcuni aminoacidi, aumento dell’escrezione urinaria di azoto,
aumento dei livelli di LDL e riduzione di quelli di HDL.
Usi terapeutici:
1. Contraccezione: spesso in associazione con estrogeni e posologia crescente durante il
ciclo ovarico.
2. Insufficienza ovarica come terapia sostitutiva
3. Controllo dei sanguinamenti uterini
4. Trattamento della dismenorrea
5. Soppressione della lattazione dopo il parto
6. Trattamento dell’endometriosi
7. Trattamento dei carcinomi dell’endometrio
Farmacocinetica
Il progesterone naturale viene scarsamente usato in terapia a causa della sua bassa
biodisponibilità per rapido metabolismo. I progestinici sintetici invece sono più stabili al
metabolismo di primo passaggio e vengono quindi usati più frequentemente e a dosi più
basse. I derivati idrossi e medrossiprogesterone vengono somministrati per via
intramuscolare e hanno durata d’azione rispettivamente di 1-2 settimane e 1-3 mesi. La
durata degli altri progestinici è di 1-3 giorni.
Effetti avversi
 Edema
 Depressione
 Tromboflebite ed embolia polmonare
 Acne, irsutismo, aumento ponderale (in quanto molti di questi progestinici di sintesi
hanno somiglianza spiccata al testosterone e quindi sembrano provocare effetti simili
androgenici sulle femmine)
 Carcinoma mammario in associazione con un estrogeno ???
CONTRACCEZIONE
 Estroprogestinici orali (monofasici, bifasici, trifasici)
 Estroprogestinici TTS
 Soli progestinici orali (“minipillola”)
 Pillola del giorno dopo
 Nuvaring (anello vaginale)
 Dispositivi intrauterini
Per effettuare la contraccezione sono possibili diversi meccanismi come prevenzione
dell’ovulazione, blocco della gametogenesi o della maturazione del gamete, interferenza con la
gestazione. I contraccettivi orali hanno una massima efficacia sull’inibizione dell’ovulazione e
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
sono tra i più utilizzati in assoluto vista anche la loro scarsissima frequenza di insuccesso ed
eventi di gravidanze indesiderate.
Vengono usati in persone sane e relativamente giovani.
La sicurezza della contraccezione viene misurata con l’indice Pearl e anno/donna.
Estroprogestinici orali
Questa classe di farmaci anticoncezionali è la più utilizzata e associa in una pillola dosi di
estrogeni con dosi di progestinici.
Meccanismo d’azione: gli estrogeni bloccano la secrezione di FSH mentre i progestinici
bloccano la secrezione di LH e di conseguenza in ultima analisi il risultato sar{ un’abolizione
della ovulazione. In più il progestinico stimola il normale sanguinamento alla fine del ciclo e
l’ispessimento della mucosa uterina per produzione di muco denso che impedisce l’accesso
allo sperma.
Queste preparazioni non variano in base all’estrogeno che normalmente è l’etinilestradiolo
ma cambiano in base al tipo di progestinico utilizzato. Infatti i progestinici sono di diverse
categorie e sono stati prodotti progestinici di prima, seconda e terza generazione.
Le principali associazioni sono:
 Etinilestradiolo + progestinici di II generazione (Norgestrel, Levonorgestrel)
 Etinilestradiolo + progestinici di III generazione (Desogestrel, Gestodene,
Norgestimate)
 Etinilestradiolo + Drospirenone: il drospirenone è un progestinico nuovo derivato
dallo spironolattone molto efficace ed in più grazie alla sua blanda attività antiritentiva
per somiglianza allo spironolattone è impiegato per evitare la ritenzione idrica e la
tendenza all’aumento ponderale tipica delle pazienti che assumono estroprogestinici
orali. (es YASMINE)
Farmacocinetica: la pillola va assunta per 21 giorni (28 giorni nelle formulazioni associate a
placebo) al fine di indurre le mestruazioni negli ultimi 7 giorni. Esistono 3 regimi di
associazioni estroprogestiniche:
 Monofasiche: dose fissa di estrogeno e di progestinico in ogni compressa. Esempio
EUGYNON (II gen), PRACTIL (III gen)
 Bifasiche: dose fissa di estrogeno e dose crescente di progestinico a partire dalla
seconda metà del ciclo. Esempio DUEVA (confetto di 2 colori)
 Trifasiche: la dose dell’estrogeno aumenta a met{ ciclo e la dose del progestinico
aumenta progressivamente (modalità più usata). Esempio TRYGINON (confetto di 3
colori).
Progestinici orali (minipillola)
Le preparazioni contenenti solo progestinici (in generale norgestrel o noretindrone) vengono
scarsamente utilizzate dalle pazienti in quanto non sono altrettanto efficaci come gli
estroprogestinici nella contraccezione ed il rischio di gravidanza indesiderata è piuttosto alto.
Hanno la necessità di essere somministrati tutti i giorni senza interruzione e se viene saltato
un giorno il trattamento non è più efficace. Essi agiscono alterando la mucosa uterina in modo
da evitare che gli spermatozoi possano salire verso le tube in quanto viene prodotto uno
spesso strato di muco e secrezioni. L’endometrio inoltre viene reso inadatto all’accoglienza
dell’embrione. Non c’è interferenza con la lattazione.
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Estroprogestinici somministrati per via transdermica (TTS)
Questi farmaci vengono assorbiti per via transdermica a seguito del posizionamento di un
cerotto adesivo contenente preparazioni estroprogestiniche. Nel caso del cerotto EVRA sono
contenuti etinilestradiolo e norelgestromina (metabolita attibo del norgestimato) ma in altri
casi possono essere somministrate anche capsule sottocutanee a rilascio lento di
levonorgestrel che hanno un’efficacia quasi simile alla sterilizzazione e durano per circa 5
anni senza necessit{ di assumere la dose giornaliera. Hanno un’efficacia molto elevata nella
contraccezione. Nel caso dell’Evra le concentrazioni plasmatiche sono costanti per tutto il
periodo di attività del dispositivo (3 settimane)
L’assenza del passaggio epatico consente di utilizzare dosi molto più basse. La tollerabilit{ e la
compliance sono superiori rispetto agli anticoncezionali orali.
L’efficacia ed il controllo del ciclo sono uguali a quelli degli anticoncezionali orali.
Estroprogestinici per via vaginale (NUVARING)
Si tratta di un anello che viene posto in sede vaginale ed ha la capacità di secernere dosi di
etinilestradiolo e etonorgestrel (metabolita del desogestrel) ed ha una buona efficacia, in
assoluto è quasi uguale a quella degli anticoncezionali orali.
Questo dispositivo consente l’utilizzo di bassi dosaggi per l’eliminazione del passaggio epatico
e inoltre ha un buon controllo del ciclo perché interferisce direttamente con l’endometrio. È
ben tollerato.
Dispositivi intrauterini medicati
Preparazioni come MIRENA hanno la capacit{ di essere impiantati all’interno della cavit{
uterina e sono impregnati di levonorgestrel che sembra avere solo azioni locali senza effetti
sistemici di potenziale interazione con l’asse endocrino. In tal modo viene rilasciato
levonorgestrel in modo costante e con durata d’azione di ben 5 anni. L’efficacia è elevatissima
e può benissimo essere usato anche da donne in terapia sostitutiva postmenopausale con soli
estrogeni. In più trova indicazioni anche per il controllo della metrorragia e dell’iperplasia
endometriale a seguito di terapia estrogenica.
Pillola del giorno dopo
Si tratta di un abortivo e non di un contraccettivo, infatti questa viene assunta a seguito di un
rapporto sessuale non protetto o nel quale il metodo contraccettivo risulta inefficace o
difettoso entro e non oltre le 72 ore dal rapporto stesso.
La preparazione farmaceutica tipica è la LEVONELLE che contiene levonorgestrel.
Viene somministrata in 2 compresse: la prima è opportuno che venga somministrata 12 ore
dopo il rapporto ma non più di 72 ore, la seconda 12 o 16 ore dopo la prima. Se la paziente
vomita entro 3 ore dall’assunzione di una compressa ne va presa subito un’altra. Il prodotto
può essere somministrato in qualunque periodo del ciclo a meno che non ci sia un ritardo
della mestruazione. Dopo l’uso del farmaco si consiglia una contraccezione con dispositivi di
barriera fino alla mestruazione successiva. Il farmaco non controindica la continuazione della
terapia contraccettiva ormonale.
Altri farmaci solo abortivi e non anticoncezionali sono
 RU486: progestinico che una volta avvenuta la fecondazione impedisce l’impianto
 UNIPRISTAL: è la pillola della settimana dopo e contiene antagonisti dei progestinici
permettendo un espulsione dell’embrione che non è più stabilmente attaccato all’utero.
Altri farmaci post-coitali utilizzano estrogeni presi entro 72 ore dopo il coito e prolungati 2
volte al giorno per 5 giorni. In alternativa etinilestradiolo e norgestrel entro 72 ore più altre 2
dosi nelle seguenti 12 ore. Si può usare anche una singola dose di mifepristone.
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Altri farmaci
È il caso di DIANE che è una pillola contenente estroprogestinici ma che non possiede attività
anticoncezionale. È formata da etinilestradiolo + ciproterone che non è un antiandrogeno (con
anche parziale attivit{ progestinica) per cui è utile nel trattamento dell’acne e dell’irsutismo
androgeno-dipendente. Esso blocca i recettori intracellulari degli androgeni. Come effetto
collaterale ha la contraccezione.
Effetti avversi della terapia estroprogestinica
Gli effetti avversi si è visto che sono dovuti in parte alla componente estrogenica ed in parte a
quella progestinica.
 Cardiovascolari: sono i più importanti da considerare e sembra che l’incidenza dei
fenomeni tromboembolici sia aumentata in generale ma soprattutto nelle donne in età
superiore a 35 anni, fumatrici e ipertese (perciò con numerosi fattori di rischio per
malattia cardiovascolare). È stato dimostrato che questi effetti sono più frequenti con
gli anticoncezionali di III generazione. Gli eventi che possono avvenire sono:
o Trombosi venosa
o Embolia polmonare
o Infarto miocardico
o Ictus
o Tromboflebite
o Ipertensione
 Metabolici: talvolta può esserci una diminuzione dell’assorbimento intestinale di
carboidrati alterando il profilo di tollerabilità al glucosio. Avviene generalmente anche
un aumento di peso sia per la ritenzione di liquidi dovuta ai progestinici sia per la
dislipidemia. Infatti mentre gli estrogeni da soli causano aumento di HDL e riduzione di
LDL, associati ai progestinici danno un aumento di colesterolo e di trigliceridi.
 Ginecologici: mastopatia e mastodinia
 Nervosi: cefalee intense, emicrania, vertigini, alterazioni della vista, esacerbazioni
dell’epilessia
 Epatici: adenoma epatico, ittero colestatico
 Vari: nausea, cefalee, irritabilità, pesantezza alle gambe, tensione al seno, emorragie
intermestruali, variazioni della secrezione vaginale, oligomenorrea o amenorrea,
alterazioni della libido, irritazione oculare, umore depresso, ipersensibilità, ritenzione
di liquidi, litiasi biliare.
 Cancerogenicità: possibile evento tumorale alla cervice uterina (soprattutto con un
progestinico) e alla mammella (anche se non sono stati ancora provati). Aumento
dell’incidenza di tumori benigni al fegato.
Controindicazioni assolute:
- Epatopatie
- Ittero colestatico
- Turbe del metabolismo lipidico
- Vasculopatie
- Gravidanza
- Carcinoma dell’apparato genitale o di altre sedi dipendenti da estrogeni
Controindicazioni relative
- Ipertensione
- Epilessia
- Alterata tolleranza glucidica
- Emicrania
- Lattazione
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-
Micosi genitali
Giovane età
Importante verificare il rapporto rischio/beneficio.
Effetti POSITIVI
 Contraccezione sicura (0,5-1/100 anni-donna per EP)
 Nessun dolore mestruale
 Riduzione incidenza del carcinoma ovarico
 Riduzione incidenza del carcinoma endometriale (aumentata con solo estrogeni)
 Riduzione del rischio di osteoporosi
 Riduzione dell’insorgenza di cisti ovariche
 Riduzione insorgenza delle cisti benigne del seno
 Miglioramento dell’acne
Effetti NEGATIVI
 Aumento incidenza carcinoma della cervice uterina
 Aumento dei rischi cardiovascolari
 Aumento della ritenzione idrica
 Sovrappeso
 Diminuzione desiderio sessuale
 Secchezza vaginale
 Calcolosi biliare
 Epatomi benigni
 Carcinoma mammario ???
Prima di cominciare la terapia anticoncezionale è necessario effettuare alcune indagini nella
donna come anamnesi generale (neoplasie mammarie, uterine, ovariche, patologie
cardiovascolari, diabete, fumo, altri farmaci induttori enzimatici come il fenobarbital e
rifampicina), esame ginecologico (pressione arteriosa, gravidanza, esame mammella e PAP
test), esami ematochimici (fattori di coagulazione, profilo lipidico, glicemia, funzionalità
epatica e renale.
Comportamento in caso di dimenticanza dell’assunzione del contraccettivo orale:
nel caso della pillola estroprogestinica con meno di 12 ore di ritardo assumerne un’altra e poi
prendere regolarmente la dose successiva, oltre le 12 ore è consigliato prendere un’altra
pillola come sopra ma non è più assicurata l’efficacia e quindi si può cambiare metodo.
Nella pillola progestinica gi{ con più di 3 ore di ritardo si ha perdita dell’efficacia e bisogna
cambiare metodo.
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67. Modulatori e antagonisti dei recettori degli estrogeni
Questa famiglia di farmaci fa parte del gruppo di farmaci detto SERM (modulatori selettivi dei
recettori degli estrogeni). Essi sono stati per tempo interpretati erroneamente in quanto si
pensava che avessereo una funzione antiestrogenica. In realtà si è scoperto che questi
composto hanno azione pro-estrogenica o anti-estrogenica in base al tessuto su cui agiscono.
Per esempio il tamoxifene è un composto che si comporta come antagonista degli estrogeni a
livello mammario e agonista estrogenico a livello dell’endometrio per cui induce remissione
del carcinoma mammario e iperplasia endometriale che può sfociare in neoplasia.
TAMOXIFENE
È stato il primo farmaco di questa categoria.
Il farmaco si comporta come un competitore dell’ormone naturale al recettore degli estrogeni
e viene utilizzato in ormonoterapia antitumorale per il tumore della mammella come cura
palliativa in donne in postmenopausa.
Gli effetti avversi più frequenti sono vampate di calore, nausea e vomito. A volte si presentano
irregolarità mestruali e sanguinamenti vaginali.
Aumenta l’incidenza dell’iperplasia endometriale e in un trattamento cronico che dura per
molto tempo è possibile che si sviluppi un carcinoma endometriale. Per tale motivo l’utilizzo
del tamoxifene è stato ridimensionato ed ha portato a ridurre la durata della terapia.
RALOXIFENE
È un modulatore estrogenico di seconda generazione derivato dal tamoxifene che svolge la
sua azione principale nel prevenire l’osteoporosi riducendo il turnover osseo globale e il
riassorbimento. Non aumenta però la densit{ ossea. Esso non ha azioni sull’endometrio e
quindi può essere usato più tranquillamente. Abbassa i livelli sierici di colesterolo totale ed
LDL ma non agisce sull’HDL.
Tuttavia si sono verificati aumenti di incidenza di malattie cardiovascolari, anche se i benefici
sembrano superare questi rischi.
È utilizzato solo a scopo antiosteoporotico ma può anche ridurre l’incidenza del carcinoma
mammario in post-menopausa. Tuttavia non viene utilizzato come trattamento del carcinoma
mammario.
Viene assorbito bene per via orale, si coniuga subito con acido glucuronico nel fegato e si lega
alle proteine plasmatiche. Subisce un ricircolo entero-epatico che in ultima analisi gli
permette di venire escreto attraverso le feci mediante la bile.
Effetti avversi: eventi cardiovascolari al pari di tamoxifene ed estrogeni, interazione con
colestiramina che riduce l’assorbimento, interazione col warfarin potenziando l’effetto
anticoagulante. Le donne che sono in gravidanza o che hanno avuto episodi di TVP non
dovrebbero assumere il raloxifene.
TOREMIFENE
Farmaco nuovo che trova impiego nel trattamento del carcinoma mammario metastatico nelle
donne in post-menopausa. Ha proprietà molto simile al tamoxifene tuttavia è esente dagli
effetti collaterali a carico dell’endometrio.
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CLOMIFENE
È un agonista parziale degli estrogeni facente parte sempre del gruppo SERM e sfrutta questa
caratteristica per interagire con l’asse endocrino ipotalamo-ipofisi-gonadi aumentando la
secrezione di gonadotropine e di GnRH. In questo modo il farmaco viene utilizzato per indurre
l’ovulazione nelle pazienti con infertilit{ associata a cicli anovulatori, ma è inefficace per le
donne con infertilità per ipogonadismo primitivo o secondario a problemi ipotalamici o
ipofisari.
Alcuni effetti avversi possono essere vampate di calore, aumento di volume dell’ovaio e
disturbi visivi.
MIFEPRISTONE
Si tratta di un antagonista del progesterone e quindi fa parte di una categoria farmacologica
differente. È detto anche RU486 ed è un antagonista con in parte una funzione di agonista
parziale. Esso viene impiegato come farmaco abortivo in quanto interagisce con la gravidanza
eliminando il legame del progesterone alle strutture uterine e la produzione di hGC.
I pericoli di questo farmaco sono eccessivi sanguinamenti vaginali e possibilità di aborto
incompleto. La somministrazione di PGE2 o di misoprostolo permette di portare
normalmente a termine la gravidanza.
Può essere usato anche come contraccettivo e in tal caso si usa assumendolo a metà del ciclo
ovarico 1 volta al mese nella fase in cui i livelli di progesterone tendono ad elevarsi.
Ha anche potenzialità anti-glucocorticoide.
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68. Ormoni sessuali e loro antagonisti
ESTROGENI e PROGESTINICI (vedi tesina 66)
ANDROGENI
Gli androgeni sono ormoni secreti dal testicolo ed in particolare dalle cellule di Leydig oltre
che dall’ovaio in piccola parte e dalle ghiandole surrenali di entrambi i sessi.
Il prodotto principale è il testosterone ma vengono secreti anche altri androgeni in misura più
piccola come il diidrotestosterone (DHT), l’androstenedione e il diidroepiandrosterone
(DHEA). La secrezione del testosterone è stimolata dall’LH che a sua volta è stimolato dal
GnRH, mentre l’FSH agisce promuovendo la spermatogenesi e legandosi alle cellule del Sertoli.
Le azioni generali del testosterone sull’organismo sono:
- Sviluppo dei caratteri sessuali primari
- Spermatogenesi
- Aumento della sintesi proteica e dell’emoglobina a livello muscolare
- Riduzione del riassorbimento osseo.
Le preparazioni sintetiche hanno la capacit{ di aumentare la durata d’azione e di scindere la
componente mascolinizzante da quella anabolizzante.
Principali molecole di androgeni utilizzati in terapia:
-
TESTOSTERONE
FLUOXIMESTERONE
DANAZOLO
NANDROLONE
- STANOZOLOLO
Meccanismo d’azione
Al pari degli altri ormoni steroidei il testosterone e i suoi derivati si legano ai recettori degli
androgeni a livello nucleare e stimolano la trascrizione di RNA e la sintesi proteica.
In molti tessuti il testosterone viene utilizzato socì com’è ma in altri necessita della
conversione a diidrotestosterone da parte della 5α-reduttasi per essere attivo ed utilizzabile e
questa conversione avviene principalmente nelle strutture sessuali primarie (prostata,
vescichette seminali, epididimo) e nella cute. Il legame del DHT ai recettori scatena reazioni
con molta più efficacia.
In altri tessuti come il cervello, il tessuto adiposo e il fegato il testosterone è convertito in
estradiolo da parte dell’aromatasi. Gli analoghi del testosterone non possono essere
trasformati in DHT e quindi hanno effetti sbilanciati maggiormente verso l’anabolizzante.
Usi terapeutici
1. Ipogonadismo: sia nei casi primitivi che secondari cioè da disfunzioni testicolari o
ipotalamo-ipofisarie. In questi casi il testosterone sostituisce l’ormone mancante
compiendo tutte le azioni necessarie.
2. Effetti anabolizzanti: utile per trattare l’osteoporosi senile e le gravi ustioni o per
controbilanciare il catabolismo eccessivo da parte dei corticosteroidi. Utile anche per la
remissione di patologie debilitanti croniche
3. Crescita: viene dato ai bambini in associazione ad altri ormoni per stimolare la crescita
scheletrica in corso di nanismo ipofisario.
4. Endometriosi: utilizzo nelle femmine per trattare gli sviluppi ectopici di mucosa
endometriale ed evitare sanguinamenti. Tipicamente viene usato il donazolo a questo
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scopo. In ogni caso gli effetti avversi sono aumento di peso, acne e irsutismo,
abbassamento della voce, aumento della libido, riduzione del seno e ipertricosi
5. Usi non approvati: il farmaco può essere usato anche a scopi anabolizzanti per
aumentare la massa magra, la forza muscolare e l’aggressivit{ negli atleti. In alcune
pubblicazioni è stato proposto come farmaco antinvecchiamento anche se ciò non è
stato dimostrato.
Farmacocinetica
Il testosterone non viene dato per via orale perché subisce un esteso metabolismo di primo
passaggio epatico e dunque viene somministrato per altre vie che possono essere varie:
- Intramuscolare
- Gel o cerotto transdermico
- Compresse buccali
Anche i suoi esteri come il testosterone cipionato o enantato sono somministrati per queste
vie e hanno un rapporto tra funzione mascolinizzante e funzione anabolizzante di 1:1.
I derivati sintetici del testosterone come il fluoximesterone sono assorbiti bene per via orale e
hanno un’emivita più lunga e una durata d’azione maggiore. Essi sono privi della capacit{ di
essere convertiti a DHT e quindi hanno una bassa capacità sul sistema riproduttivo e non
inducono la pubertà. Essi pertanto hanno un rapporto androgeno/anabolizzante di 1:2
venendo essenzialmente usati come anabolizzanti.
Effetti avversi:
 Nelle femmine
o Acne, irsutismo, abbassamento della voce, riduzione delle dimensioni del seno,
ipertricosi, calvizie, eccessivo sviluppo muscolare e possibili alterazioni
mestruali.
 Nei maschi
o Priapismo, impotenza, diminuzione della spermatogenesi, riduzione delle
dimensioni testicolari, ginecomastia. Importante l’effetto degli androgeni
sull’aumento del volume della prostata e la possibile evoluzione in IPB
 Nei bambini
o Sviluppo sessuale accelerato e chiusura delle epifisi cartilaginee in un’et{ in cui
le ossa lunghe devono ancora crescere
 Effetti generali
o Aumento del colesterolo LDL e riduzione dell’HDL (possibile aumento di rischio
cardiovascolare)
o Ritenzione idrica e conseguente edema
 Negli atleti
o Uso improprio di questi composti come steroidi anabolizzanti, tipicamente
vengono usati il DHEA, il nandrolone o lo stanozololo. Può verificarsi la
saldatura precoce delle epifisi, l’arresto della crescita, la riduzione dei testicoli,
anormalità epatiche, aumento dell’aggressivit{ e fenomeni psicotici.
ANTAGONISTI DEGLI ANDROGENI
Questa classe di farmaci possiede azioni che antagonizzano la normale attività di testosterone
e suoi derivati mediante o il blocco dei recettori o l’arresto della produzione.
Alcuni farmaci come il ketoconazolo che è un antimicotico inibisce parecchi enzimi del
citocromo P-450 e di conseguenza anche alcuni enzimi coinvolti nella sintesi degli steroidi
sessuali.
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
FINASTERIDE
Farmaco selettivamente usato nell’ipertrofia prostatica benigna e agisce bloccando l’attivit{
della 5α- reduttasi responsabile della trasformazione del testosterone in DHT. In questo modo
riduce le dimensioni della prostata e migliora i sintomi come ritenzione urinaria e disuria.
Sono di solito necessari 6-12 mesi di trattamento prima che la ghiandola sia diminuita in
modo soddisfacente.
Gli effetti collaterali della finasteride sono la riduzione della libido e dell’eiaculazione
Un altro inibitore della reduttasi è la Dutasteride.
CIPROTERONE ACETATO E FLUTAMIDE
Questi antiandrogeni agiscono come inibitori competitivi degli androgeni a livello della cellula
bersaglio. Il ciprotene acetato è utilizzato per trattare l’irsutismo nelle donne mentre la
flutamide è impiegata nel trattamento del cancro prostatico.
BICALUTAMIDE E NILUTAMIDE
Altri antiandrogeni molto efficaci che vengono somministrati per via orale ed hanno impiego
per il trattamento del cancro prostatico in metastasi.
Trattamento dell’iperplasia prostatica benigna
 Antagonisti alfa1 adrenergici: terazosina, doxazosina, tamsulosina e alfuzosina
mitigano l’ostruzione in uscita della vescica riducendo la tensione della muscolatura
liscia prostatica a livello della prostata, della capsula prostatica e del collo della vescica.
Effetti collaterali: ipotensione ortostatica e capogiri.
 Inibitori della 5-alfa reduttasi: finasteride e dutasteride agiscono riducendo le
dimensioni della ghiandola prostatica. Di solito è necessario un trattamento per 6-12
mesi prima che le dimensioni della prostata siano ridotte in modo sufficiente da
migliorare i sintomi.
Effetti collaterali: riduzione della libido e dell’eiaculazione
 Terapia combinata: la terapia combinata di 2 farmaci provenienti dalle 2 classi
sovracitate produce la riduzione maggiore dei sintomi della IPB come la ritenzione
urinaria, l’insufficienza renale o le infezioni ricorrenti del tratto urinario.
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FARMACI IMPIEGATI NELL’OSTEOPOROSI
69. Farmaci per il trattamento dei disturbi del metabolismo
osseo
Il metabolismo osseo è governato da diversi ormoni che sono la vitamina D, il PTH e la
calcitonina. Chiaramente anche il calcio ha un ruolo predominante nella formazione della
matrice ossea inorganica. Il metabolismo osseo è normalmente mantenuto in misura regolare
bilanciando la quota mineraria presente nell’osso con la quota di calcio libera in circolo per
assolvere ai processi enzimatici. Nelle patologie ossee si ha uno squilibrio tra l’azione dei
diversi fattori.
Le principali patologie ossee che possono essere trattate farmacologicamente sono:
- Rachitismo
- Osteoporosi
- Malattia di Paget
- Neoplasie
L’osteoporosi è una patologia in cui si ha una riduzione della massa ossea associata ad
alterazioni della microarchitettura ossea che determinano un’aumentata fragilit{ delle ossa ed
una notevole predisposizione alle fratture.
Si manifesta in entrambi i sessi tipicamente in età avanzata, ma può manifestarsi anche in età
più giovane. Sono particolarmente colpite le donne in post-menopausa per la carenza di
ormoni estrogeni protettori dell’osso.
L’esame standard per rilevare l’osteoporosi è la densitometria ossea da cui si rileva la BMD
che viene definita la densità ossea. Se essa è maggiore di 2,5 al di sotto del valore medio di
BMD normale dell’adulto si parla dunque di osteoporosi.
Oltre a questo si ha un deterioramento progressivo della microarchitettura.
Il ruolo centrale nell’osteoporosi è a carico del rimodellamento osseo.
Il clinico può prevenire l’osteoporosi mediante 2 meccanismi:
- Generico: aumento dell’apporto dietetico di vitamina D, calcio, attivit{ fisica e
astensione dal fumo e dall’alcol.
- Specifico: a seguito del test di densitometria può prendere in considerazione l’inizio di
un trattamento con farmaci antiosteoporotici in modo preventivo.
I pazienti a rischio di osteoporosi devono astenersi dall’assunzione di farmaci che aumentano
il metabolismo osseo come i glucocorticoidi.
Blocco dell’attivit{ degli osteoclasti e del riassorbimento osseo
 Bifosfonati
 Calcio e vitamina D
 Modulatori selettivi del recettore degli estrogeni (SERM)
 Estrogeni (fortemente in discussione)
 Calcitonina
Promozione dell’attivit{ degli osteoblasti e deposizione ossea
 Teriparatide e PTH
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Bifosfonati
Questa classe di farmaci è fondamentale per il trattamento delle malattie ossee in cui c’è un
eccesso di riassorbimento e quindi osteoporosi e morbo di Paget.
I bifosfonati sono composti analoghi al pirofosfato inorganico, ma differiscono da esso per la
sostituzione del legame P-O-P con il legame P-C-P che è resistente alle pirofosfatasi e
all’ambiente acido permettendo una normale funzionalità.
Esistono bifosfonati di prima generazione:
- ETIDRONATO
- CLODRONATO
E altri di seconda generazione caratterizzati dall’aggiunta di un atomo di N che li rende più
potenti:
-
ALENDRONATO
PAMIDRONATO
RISEDRONATO
IBANDRONATO
- ZOLEDRONATO
Meccanismo d’azione: questi farmaci si legano all’idrossiapatite presente all’interno della
matrice ossea e qui rimangono per moltissimi anni. Essi svolgono la loro funzione attraverso 3
possibili meccanismi che cooperano insieme:
 Inibizione della pompa protonica osteoclastica necessaria per la dissoluzione
dell’idrossiapatite
 Riduzione della formazione e attivazione degli osteoclasti
 Aumentata apoptosi degli osteoclasti.
Azioni: i precedenti meccanismi d’azione sono responsabili di un rallentamento del
riassorbimento mediato dagli osteoclasti e di un conseguente guadagno netto di deposizione
ossea in quanto gli osteoblasti perdono l’inibizione e aumentano la loro deposizione.
L’effetto dell’alendronato dura circa 10 anni ma si è visto però che al termina del trattamento
ricompare osteoporosi.
Esiste anche un meccanismo per cui i bifosfonati si legano agli osteoblasti e favoriscono la
differenziazione di tali cellule verso la formazione di osteociti. Questo insieme all’inibizione
degli osteoclasti conduce ad una riduzione marcata del metabolismo e del turnover osseo che
col tempo potrebbe rendersi resistente al trattamento con bifosfonati stessi. Per questo
motivo all’inizio si era pensato di utilizzare tali composti solo per le lesioni ad alto turnover
come il Paget e l’osteoporosi, ma con l’avvento dei nuovi amino-farmaci potenti si è potuto
avere un effetto benefico anche sulle lesioni metastatiche di mieloma, k polmonare,
mammario e prostatico.
Usi terapeutici:
1. Osteoporosi
2. Morbo di Paget
3. Compromissioni ossee di origine neoplastica (mieloma multiplo e metastasi ossee da
carcinoma mammario)
È quindi un utilizzo estremamente utile nei casi di iperattivazione degli osteoclasti.
Farmacocinetica
A parte il pamidronato che viene somministrato per via endovenosa, gli altri vengono assunti
per via orale benchè la biodisponibilità sia molto bassa. Infatti si stima che solo il 1-5% della
quota assunta venga assorbita per scendere a meno dell’1% nei casi di presenza di calcio.
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L’emivita plasmatica è inferiore alle 2 ore, mentre l’emivita della quota incorporata nell’osso
può superare i 10 anni.
I bifosfonati vanno assunti per via orale al mattino almeno 1 ora prima della colazione con
abbondanti quantità di acqua. Questo è importante perché la piccola quota assorbita può
subire ulteriormente una riduzione dell’assorbimento se associata al cibo. In più è
conveniente non sdraiarsi per 30 minuti dopo l’assunzione.
L’eliminazione avviene per via renale e pertanto i pazienti con problemi renali dovrebbero
essere risparmiati dall’uso di bifosfonati.
L’alendronato è il tipico bifosfonato usato per l’osteoporosi e viene legato all’idrossiapatite
dell’osso rimanendovi perfino 12 anni. La componente che penetra in profondit{ nell’osso si è
dimostrata non essere attiva, ma la parte efficace è solo quella che si lega in superficie all’osso.
Non è metabolizzato ed escreto come tale nelle urine.
il farmaco non si lega solo agli osteoclasti ma anche agli osteoblasti.
Le alternative vie di somministrazione sono:
- 1 volta al giorno orale
- 1 o più volte alla settimana orale
- Infusione endovenosa ad intervalli di 3-12 mesi (generalmente questa metodica viene
impiegata per i pazienti con carcinomi ipercalcemizzanti)
Eventi avversi:
 Diarrea, nausea, dolori addominali
 Ulcere esofagee (alendronato, etidronato, risedronato): questi effetti avversi si è visto
che hanno una prevalenza nei pazienti che non hanno seguito adeguatamente le norme
di assunzione orali.
 Osteomalacia (etidronato)
 Osteonecrosi della mandibola (ONM): si tratta di un fenomeno visto da poco tempo che
viene scatenato dall’utilizzo cronico di tali composti soprattutto di seconda
generazione in pazienti con associate neoplasie maligne e caratterizzato da anomala
ulcerazione delle mucosa fino a rendere visibili porzioni della mandibola o della
mascella, dolore o gonfiore della parte ossea interessata, infezione spesso
accompagnata da infiltrato purulento.
Il fenomeno sembra scatenato particolarmente dal zoledronato o pamidronato
somministrati per via endovenosa. È importante che il paziente informi il proprio
dentista e mantenga un’adeguata igiene orale astenendosi dal fumo. Certe situazioni
come le estrazioni dentarie o i corticosteroidi possono favorire l’insorgenza di tale
complicanza.
SERMS
I modulatori delettivi del recettore degli estrogeni hanno una potenzialità importante dal
punto di vista terapeutico nei confronti dell’osteoporosi. Alcuni composti come il RALOXIFENE
agiscono agonizzando gli estrogeni a livello dell’osso e dunque determinano una riduzione
marcata del riassorbimento e del metabolismo mentre in altri tessuti fungono da antagonisti
degli estrogeni (ad esempio nella mammella il raloxifene è un antagonista degli estrogeni e
sembra ridurre il rischio di carcinoma mammario).
In più il raloxifene non ha effetti sull’endometrio a differenza degli estrogeni normali.
Essi sono molto efficaci nell’inibizione degli osteoclasti contribuendo alla riduzione
dell’incidenza delle fratture tranne che nell’anca ove prevale osso corticale, in queste sedi è
necessario agire anche sugli osteoblasti per promuovere la deposizione ossea e in questo i
bifosfonati hanno una potenzialità maggiore.
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Il raloxifene è a tutti gli effetti potenzialmente un farmaco utilizzabile nella terapia sostitutiva
post-menopausale riuscendo ad evitare la maggior parte degli effetti collaterali degli
estroprogestinici (cioè osteoporosi, carcinoma mammario e iperplasia endometriale).
Tuttavia il rischio tromboembolico non varia molto rispetto agli estrogeni tradizionali.
Un altro farmaco nuovo è il LASOFOXIFENE (ridotto rischio di fratture tranne anca).
Teriparatide
Si tratta di un frammento ricombinato del PTH umano utilizzato per il trattamento
dell’osteoporosi. La TERIPARATIDE è un farmaco ampiamente attivo che riduce il
riassorbimento della colonna vertebrale e limita le fratture in tutte le ossa. Un confronto con
l’alendronato ha permesso di mettere in evidenza una maggior capacit{ di prevenire le
fratture e una maggior capacit{ di aumento di massa ossea vertebrale rispetto all’alendronato.
È il primo farmaco per l’osteoporosi che può aumentare la massa ossea.
Apparentemente però sembrerebbe un controsenso visto che il PTH è il principale stimolo al
riassorbimento osseo. Infatti se dato continuamente porta ad una frantumazione dell’osso, ma
se è dato 1 volta al giorno a livello sottocutaneo esalta la deposizione ossea aumentando la
performance degli osteoblasti, l’aumento del riassorbimento renale e dell’assorbimento
intestinale di calcio e l’eliminazione renale di fosfato.
Inoltre previene l’apoptosi degli osteoblasti prolungando il loro periodo di attività.
È molto efficace anche nell’osteoporosi indotta da glucocorticoidi.
Calcitonina
La calcitonina di salmone è un farmaco somministrato per via nasale e ben tollerato dalle
donne in post-menopausa. Il farmaco riduce il riassorbimento osseo, stabilizza l’architettura e
migliora la performance riducendo il dolore. Tuttavia a lungo andare crea tolleranza.
Essa agisce selettivamente sugli osteoclasti riducendo la funzionalit{ dell’orletto a spazzola e
quindi previene il riassorbimento. Essa però non comporta un aumento della deposizione.
Effetti collaterali: rinite, epistassi, infiammazione nasale, nausea, gonfiore alle mani, orticaria
e crampi addominali. Possono formarsi anticorpi contro la calcitonina di salmone.
Vitamina D
Viene somministrata in aggiunta ad altri trattamenti antiosteoporotici perché altrimenti la sua
funzione da sola non è rilevante. Essa viene assorbita dall’intestino e stimola la deposizione di
calcio nell’osso e l’assorbimento intestinale e renale.
Calcio
Terapia aggiuntiva insieme ai trattamenti fondamentali. Non sembra di grande aiuto nel
migliorare la struttura dell’osso trabecolare ma sembra utile nel rallentare la perdita d’osso
corticale. Di solito viene assunto 1 g/die che rappresenta ¼ della quota assunta con 1 litro di
latte.
Estrogeni
Il loro impiego contro l’osteoporosi è fortemente in discussione in quanto essi hanno molti
effetti collaterali, infatti ad oggi si riserva il trattamento con estrogeni solo per brevi periodi e
in terapia sostitutiva contro i disturbi della menopausa. Pertanto attualmente non sono usati
per curare esclusivamente l’osteoporosi.
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PRINCIPI DI TERAPIA ANTIMICROBICA
CLASSIFICAZIONE DEI FARMACI ANTIMICROBICI E CRITERI GENERALI D’IMPIEGO
DEI FARMACI ANTIMICROBICI
70. Classificazione, meccanismi e spettri d’azione dei farmaci
antimicrobici (generalità)
La terapia antimicrobica si basa sulla conoscenza della specie batterica e sulla selettività dei
meccanismi antimicrobici abbassando al minimo la tossicità sui tessuti sani. Infatti i principi
essenziali della terapia sono le differenze strutturali e funzionali tra le specie microbiche e
l’organismo umano. Tuttavia questa selettivit{ non è assoluta, ma relativa e per questo è
necessaria un’accuratezza elevata nella scelta e nella somministrazione del farmaco.
Per avere un’efficacia biologica l’antimicrobico deve essere presente in determinate
concentrazioni in certe sedi dell’organismo.
Classificazione dei composti antimicrobici in base alla modalit{ d’azione e all’intervento sui
microrganismi:
 Farmaci che inibiscono la sintesi della parete cellulare (penicilline, cefalosporine,
vancomicina)
 Farmaci che alterano la permeabilità di membrana provocando fuoriuscita di
composti cellulari (polimixina, amfotericina, nistatina)
 Farmaci che alterano la struttura dei ribosomi inibendo così la sintesi proteica
(cloramfenicolo, tetracicline, macrolidi)
 Farmaci che inibiscono la sintesi proteica legandosi specificamente alla subunità
ribosomiale 30S (aminoglicosidi)
 Farmaci che alterano il metabolismo degli acidi nucleici (rifamicine e chinoloni)
 Farmaci che bloccano le vie metaboliche essenziali per i microrganismi
(sulfamidici, trimetoprim)
 Analoghi degli acidi nucleici (zidovudina, ganciclovir, aciclovir) si legano agli enzimi
virali necessari alla sintesi del DNA bloccandoli.
Normalmente la via di somministrazione di questi farmaci è la via orale, anche se esiste la
possibilità di un utilizzo di una via parenterale come nel caso degli antibiotici che sono
scarsamente assorbibili per via orale o nei casi che richiedono un trattamento per lungo
tempo.
Gli antibiotici hanno diversi gradi di affinità nei confronti dei microbi e si distinguono 2 specie
di antibiotici:
- Batteriostatici: questi farmaci hanno la capacità di inibire la proliferazione batterica e
far rimanere la colonia batterica ad uno stato stazionario. In questi casi comunque è la
risposta immunitaria del paziente che deve essere in grado di abbattere i
microrganismi presenti.
- Battericidi: essi sono generalmente attivi a dosi più alte dei batteriostatici e
determinano la morte del microbo senza un contributo fondamentale del sistema
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immunitario dell’ospite. Tuttavia essendo in genere necessarie dosi più alte espongono
i pazienti ad un maggior rischio di tossicità.
In base alla capacit{ dell’antibiotico di essere selettivo per una specie o avere azione
antimicrobica contro più specie si suddividono i farmaci secondo spettri d’azione:
 Spettro ristretto: l’antibiotico è selettivo contro uno specifico microrganismo oppure
contro una classe ristretta. È il caso dell’isoniazide che è selettiva per i micobatteri.
 Spettro esteso: l’antibiotico è efficiente contro diverse specie microbiche e tipicamente
contro un numero di gram + e anche una porzione di gram -. Un esempio è
l’ampicillina.
 Spettro ampio: si tratta di farmaci che agiscono contro un numero molto elevato di
specie microbiche ma la loro somministrazione può alterare la quantità e il tipo di
microbi residenti tale da dare una modificazione della flora batterica e la possibilità di
infezioni opportunistiche come da candida. Tipico esempio sono le tetracicline
Di primaria importanza per la conoscenza della specie microbica e della sua responsività al
trattamento farmacologico è l’allevamento in coltura e la risposta agli antibiotici.
Per ovviare a questo problema si effettua di regola l’antibiogramma che è un metodo di analisi
della responsività del farmaco che si vuole testare alla specie microbica estratta dal campione
e che è necessario trattare.
Per evidenziare la possibilità di trattare un microbo con un certo antibiotico si guarda la
capacità che ha il farmaco di eliminare o stabilizzare la replicazione del microrganismo:
-
Sensibile S: l’infezione causata dal ceppo microbico può essere trattata con quel
farmaco al dosaggio usuale raccomandato
Intermedio I: l’infezione può essere trattata con tale farmaco ma solo ad un dosaggio
più alto di quello usuale
Resistente R: l’infezione non può essere trattata con quel farmaco perché si è sviluppata
una forma di resistenza del microbo all’azione dell’antibiotico. La resistenza è un
fenomeno complesso che può essere messo in atto per diversi motivi e attraverso
diverse vie.
Una volta utilizzato l’antibiogramma per mettere in evidenza le eventuali resistenze del
microbo si utilizza ancora tale metodo per valutare le caratteristiche farmacodinamiche dei
farmaci (relazione tra concentrazione del farmaco e effetti antimicrobici). Il metodo prevede
l’utilizzo di una serie di provette in cui sono immesse quantit{ standard di coltura e si
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aggiunge ad ogni provetta una quantità crescente di farmaco antimicrobico. A questo punto
possono essere rilevati 2 parametri molto importanti:
1. Concentrazione minima inibente (MIC): è la quantit{ dell’antibiotico necessaria per
interrompere la proliferazione batterica e quindi rappresenta il valore di quantità
antibiotica presente nella provetta che mostrerà un arresto della crescita microbica.
2. Concentrazione minima battericida (MBC): è la quantità minima di farmaco
necessaria a ridurre del 99,9% la popolazione microbica e quindi necessaria per
l’uccisione praticamente completa di tutta la colonia batterica nella provetta.
Per quanto riguarda il dosaggio di questi farmaci è opportuno tenere in considerazione le
relazioni farmacodinamiche e farmacocinetiche del farmaco tra cui risultano fondamentali la
MIC e la MBC.
Però la MIC presenta comunque dei limiti dovuti al fatto che si tratta di una prova in vitro e i
fattori in vivo risultano ben diversi e molteplici situazioni possono interagire. Infatti la MIC
non tiene conto del:
- Velocità di battericidia
- Dipende dall’entit{ dell’inoculo
- Farmacocinetica del composto (fondamentale la considerazione del Vd in quanto può
capitare che in provetta l’agente sia efficace ma in vivo si scontra con le propriet{ di
distribuzione nei liquidi biologici può avvenire che la concentrazione nella sede
richiesta sia inferiore per una distribuzione in periferia)
- Effetto post antibiotico
- Azioni farmacologiche aggiuntive dell’antibiotico in vivo
- Immunocompetenza dell’ospite.
Tra le propriet{ farmacodinamiche più importanti ci sono l’effetto battericida che può essere
in relazione sia al tempo che alla concentrazione.
Esistono alcuni antibiotici come gli aminoglicosidi e i fluorochinoloni che esibiscono una
maggior efficienza battericida se la MIC viene superata da 4 a 64 volte e pertanto questi
farmaci vengono definiti concentrazione-dipendenti perché l’aumento della loro
concentrazione plasmatica è correlata all’aumento dell’uccisione della specie batterica. In
questi farmaci risulta importante l’ampiezza compresa tra la MIC e la Cmax del farmaco.
Esistono però altri farmaci come le penicilline, i macrolidi, i glicopeptidi e la clindamicina che
non esibiscono un effetto battericida maggiore se la loro concentrazione viene elevata da 4 a
64 volte la MIC. Però si è visto che questi farmaci aumentano la capacità battericida col tempo,
cioè maggiore è il tempo in cui viene mantenuta una concentrazione sopra la MIC e maggiore
sarà la risposta battericida. Questi antibiotici vengono definiti tempo dipendenti.
Con questi farmaci è più importante il T che la Cmax. Per questo i pazienti con infezioni di
grado severo che necessitano ad esempio di penicilline vengono tratati con infusione continua
di questi farmaci piuttosto che con dosaggio intermittente.
I parametri farmacocinetici di interesse quindi sono:
- Cmax / MIC
- T > MIC
- AUC / MIC il rapporto ottimale dovrebbe essere intorno a 25.
Un’altra caratteristica farmacodinamica è rappresentata dall’effetto post antibiotico (PAE).
Esso viene definito come la soppressione persistente della crescita microbica che si manifesta
quando i livelli di antibiotico scendono sotto la MIC. Si tratta quindi di un intervallo di tempo
necessario alla coltura per raggiungere una fase di espansione logaritmica.
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Più questo intervallo sar{ ampio e maggiore sar{ stato l’effetto antimicrobico del farmaco e
pertanto in vivo saranno necessarie frequenze di somministrazione minori. Se invece
l’intervallo è breve significa che saranno necessarie in vivo delle dosi più frequenti per far in
modo che resti inibita la proliferazione batterica più a lungo. Ad esempio gli aminoglicosidi e i
fluorochinoloni mostrano un PAE più lungo nei confronti dei batteri Gram -.
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71. Principi generali per l’uso appropriato dei farmaci
antimicrobici in terapia e in profilassi
Una volta stabilita l’origine infettiva di una patologia di un paziente bisogna ricorrere ad una
terapia farmacologica antimicrobica che possa essere efficace nel trattare la condizione
morbosa e riportare alla normalità le condizioni cliniche del paziente.
Nel fare ciò è essenziale seguire un criterio standard utile per definire il trattamento
appropriato attraverso delle indicazioni per la scelta:
 Identità del microrganismo
 Sensibilità del microbo ad un determinato farmaco
 Sede dell’infezione
 Fattori legati al paziente
 Sicurezza del farmaco
 Costo della terapia
Identità del microrganismo
Fondamentale come primo step l’identificazione dell’agente patogeno di solito mediante un
campionamento del microbo da un sito dell’organismo e la costruzione di un terreno di
coltura sul quale vengono eseguite operazioni identificative come la colorazione Gram o
l’identificazione diretta del DNA o dell’RNA microbico. Molto spesso oltre alla coltura vengono
impiegate metodiche sierologiche che permettono l’identificazione di una certa specie
microbica nell’organismo mediante la rilevazione di anticorpi o antigeni specifici nel sangue
del paziente.
Tuttavia si possono presentare dei casi in cui la gravit{ dell’infezione del paziente non
permetta l’impiego di un tempo prolungato per effettuare le analisi e per questo motivo viene
effettuata una cosiddetta terapia “empirica”. Si inizia la terapia dopo che si sono estratti dei
campioni da inviare all’analisi di laboratorio ma prima dell’arrivo dei risultati.
La scelta del farmaco è dipendente dalla sede di infezione e dall’anamnesi del paziente.
Generalmente quindi in infezioni acute si utilizzano antibiotici ad ampio spettro per cercare di
avere un’efficacia terapeutica nei confronti della maggior parte delle specie microbiche,
tuttavia si deve tenere in considerazione anche la possibile tossicità maggiore degli antibiotici
ad ampio spettro e qui entra in gioco l’anamnesi del paziente. Per esempio un paziente con
sospetta meningite in età infantile è più probabile la presenza dello streptcocco agalactiae
piuttosto che lo streptococco pneumoniae e questo è rilevante perché il primo risulta
sensibile alla penicillina G a differenza del secondo.
Sensibilità del microbo ad un determinato farmaco
È evidente che le proprietà strutturali e funzionali dei diversi microrganismi interferiscono
con la possibile efficacia terapeutica e pertanto è necessario tenere presente la categoria di
farmaci impiegata per certi microbi piuttosto che per altri.
Oltre a questo fattore bisogna tenere presente il possibile evento di una resistenza agli
antibiotici da parte di un ceppo batterico.
La resistenza è un fenomeno complesso e viene definita come l’incapacit{ di arrestare la
crescita batterica alla concentrazione massima di un antibiotico che è tollerata dall’ospite.
Questo indica perciò che il microbo non può essere sconfitto dal farmaco visto che la dose
massima tollerata dal paziente non è in grado di eliminarlo e l’aumento di dose risulterebbe
tossico per l’induviduo.
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Alcuni microbi sono intrinsecamente resistenti ad un farmaco come i gram negativi alla
vancomicina però esistono delle situazioni in cui si sviluppa una resistenza ad un antibiotico
che all’inizio non era presente.
Questo fenomeno deriva da diverse possibili alterazioni che possono generare dei ceppi
resistenti alla terapia che vengo premiati dalla selezione naturale rendendo inutile l’azione
positiva iniziale del farmaco in quanto si sviluppa una nuova crescita microbica resistente alla
prima terapia.
La resistenza de novo può avvenire per:
- Mutazioni genetiche spontanee che alterano il DNA della cellula e portano lo sviluppo
di una resistenza all’azione del farmaco
- Interazione con un altro microrganismo che determina il rilascio di DNA che viene
captato dal microbo iniziale che determina resistenza. L’esempio tipico è l’infezione di
un batterio da parte di un fago (trasduzione mediata dal fago, trasformazione,
coniugazione).
La modificazione genica del microbo può portare a diverse situazioni che mediano la
resistenza:
 Modificazione di strutture bersaglio: alterazioni dei recettori per determinati antibiotici
ad esempio lo streptococcus pneumoniae resistente ai farmaci beta-lattamici perché
viene modificato il bersaglio recettoriale
 Ridotta permeabilità al farmaco: in molti casi ci sono dei microbi responsivi al farmaco
grazie a strutture canalicolari attraverso cui il farmaco entra ed esplica la sua azione. Il
blocco di alcuni canali come le acquaporine a seguito di trasformazione genica induce
resistenza.
 Aumento dell’efflusso dell’antibiotico: presenza di una proteina modificata che stimola
l’estrusione del farmaco dall’interno della cellula. Può essere anche un’iperfunzione
della pompa che estrude l’antibiotico.
 Inattivazione enzimatica: sono presenti delle forme di resistenza per cui il farmaco non
agisce adeguatamente in quanto il microbo produce degli enzimi che degradano il
farmaco. L’esempio tipico è la produzione delle beta-lattamasi che inibiscono le
penicilline e le cefalosporine. Oppure la produzione di acetiltranferasi che
trasferiscono un gruppo acetile all’antibiotico inibendo il cloramfenicolo o gli
aminoglicosidi oppure ancora le esterasi che idrolizzano l’anello lattonico dei
macrolidi.
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Per tale motivo è ragionevole iniziare una terapia antibiotica che sia efficace ma se possibile
non prolungarla per molto tempo vista la possibilità di selezionare ceppi resistenti.
Sede dell’infezione
Sempre da tenere in considerazione il luogo in cui avviene l’infezione poiché questo deve
essere adeguatamente raggiunto dal medicinale e per fare ciò deve avere una
vascolarizzazione efficace. Tuttavia in alcuni casi le strutture capillari si oppongono al
passaggio delle molecole come nel caso della barriera ematoencefalica o dei capillari della
prostata e del corpo vitreo. Questi capillari sono dotati di giunzioni serrate tra le cellule che
non permettono alcun attraversamento dentro queste giunzioni e quindi le molecole non
liposolubili non possono raggiungere l’encefalo.
Le caratteristiche del farmaco per permettere una penetrazione adeguata sono:
- Liposolubilità: carattere essenziale per il passaggio attraverso le membrane e in
specifico dentro la barriera ematoencefalica. Farmaci come i chinoloni e il
metronidazolo possono normalmente attraversare la barriera ma i beta lattamici non
possono passare e restano fuori. Tuttavia durante alcuni stati patologici infiammatori
come una meningite la barriera diventa meno serrata e anche i beta lattamici possono
passare a dosi terapeutiche nel SNC.
- Peso molecolare: maggiore sarà il PM e minore sarà la capacità di attraversare la
barriera ematoencefalica
- Legame alle proteine plasmatiche: più il farmaco ha tendenza a legarsi alle proteine e
meno sarà disponibile per attraversare la barriera.
Fattori legati al paziente
Esistono una serie di condizioni in cui versa il paziente che possono predisporre o meno ad
una efficace risposta antimicrobica piuttosto che ad una riduzione dell’efficacia e una tossicit{.
Per tali ragioni bisogna tenere in considerazione:
 Età del paziente: i pazienti anziani hanno probabilmente
una ridotta funzione epatica, renale ed immunitaria e
pertanto bisogna prestare attenzione alle dosi e
monitorare la situazione.
 Sistema immunitario: benchè i batteriostatici e i
battericidi esercitino una funzione predominante
sull’eliminazione dei microbi il ruolo predominante è
sempre a carico del sistema immunitario. In alcuni casi
però le difese immunitarie sono diminuite come l’et{,
l’alcolismo, il diabete, l’infezione da HIV e la
malnutrizione. In questi pazienti saranno necessarie
dosi più elevate per raggiungere l’efficacia.
 Insufficienza renale: i pazienti con ridotta funzione
renale visibili dal valore di filtrazione glomerulare con
clearance della creatinina tendono ad avere una ridotta
eliminazione con possibile ristagno dei farmaci in
circolo e genesi degli effetti tossici o collaterali. Pertanto
è necessario ridurre la dose o utilizzare principalmente
farmaci non ad eliminazione renale.
 Insufficienza epatica: visto che il fegato è il principale
organo del metabolismo dei farmaci se è alterato può
comportare aumento del farmaco in circolo provocando
effetti collaterali.
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


Scarsa perfusione: in certi siti la perfusione è minore che in altri, sia fisiologicamente
sia a seguito di condizioni patologiche come il diabete in cui c’è una riduzione di flusso
agli arti inferiori.
Gravidanza: condizione critica per l’assunzione di antimicrobici a causa delle possibili
conseguenze dannose a carico del feto. Tutti i farmaci antimicrobici passano la
placenta. In generale gli effetti avversi sono rari ma alcune classi sono controindicate
per la possibile teratogenicità ed embriotossicità come le tetracicline e i
fluorochinolonici. In base a ciò è stata stilata una lista di composti farmaceutici ai quali
è stata assegnata una lettera A,B,C,D,X dove A risulta essere un farmaco senza alcuna
controindicazione in gravidanza e X un farmaco teratogeno. Ad esempio i betalattamici si trovano in classe B e vengono normalmente usate in gravidanza per
tutelare la salute della madre e del bambino. Le tetracicline e i fluorochinolonici sono
in classe D.
Allattamento: una madre che allatta ha il rischio del passaggio del farmaco attraverso il
latte, anche se in piccole quantità ma la dose totale a volte può essere tale da causare
danni.
Sicurezza del farmaco
I farmaci come la penicillina sono quasi del tutto innocui in quanto interagiscono con unsito
specifico del microbo non presente nell’organismo. Altri farmaci come il cloramfenicolo ha
proprietà potenzialmente tossiche in quanto interagisce con strutture e bersagli tipici anche
di altre specie cellulari appartenenti all’organismo e per questo motivo è responsabile di più
effetti tossici e deve essere utilizzato nelle condizioni pericolose a rischio di letalità.
Oltre a ciò bisogna sempre considerare anche la presenza di fattori predisponenti
nell’individuo che possono peggiorare la tolleranza del farmaco e aumentare gli effetti avversi
(come insufficienza epato-renale).
Costo della terapia
Se sono disponibili una serie di farmaci per trattare una condizione morbosa e possiedono
tutti la stessa efficacia terapeutica non è opportuno utilizzare il farmaco più costoso ma la
scelta ricadrà sul farmaco più economico.
Errori di scelta
 Trattamento di un’infezione virale con antibiotici: erroneamente un paziente che
presenta febbre viene trattato con antibiotici. È una mancanza in quanto in primo
luogo si può esporre il paziente ad una tossicità da farmaco inutile ed inoltre è
possibile selezionare dei ceppi di microbi resistenti commensali che si sviluppano e si
moltiplicano determinando un’infezione opportunista.
Molto spesso le infezioni che danno febbre sono di origine virale e in questi casi
l’antibiotico non ha effetto.
 Trattamento di una febbre aspecifica
 Trattamento alla cieca di un’infezione
 Trattamento con farmaci inefficaci in vitro o incapaci di raggiungere il sito di infezione
 Trattamento con farmaci tossici quando altri meno tossici sono sufficienti
 Trattamento con farmaci costosi quando ne sono presenti di più economici di pari
efficacia
 Uso combinato non giustificato
 Uso profilattico non giustificato
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Uso degli antibiotici in associazione
È possibile e giustificato usare delle associazioni di antibiotici a scopo terapeutico in quanto si
è visto che in certe condizioni la combinazione dei 2 farmaci ha un risultato superiore rispetto
alla terapia singola. Questi vantaggi però sono rari e vanno usati quindi solo in certe
condizioni ad esempio la tubercolosi che trova vantaggio in una terapia multifarmacologica.
Ad esempio l’associazione di beta-lattamici e aminoglicosidi sembra molto utile e supera il
trattamento con i farmaci singoli.
Esistono però anche delle interazioni sfavorevoli in quanto diversi antibiotici possono agire
quando i microbi si stanno moltiplicando (batteriostatici) e se si aggiunge un battericida si
toglie dal pool un numero considerevole di batteri che si replicano portando ad
un’interferenza negativa tra i 2 farmaci.
Uso degli antibiotici a scopo profilattico
Gli antibiotici non vengono normalmente usati per prevenire un’infezione per i vari motivi
sopracitati però esistono certe condizioni in cui la profilassi è molto utile:
1. Prevenzione delle infezioni da streptococco in pazienti con cardiopatia reumatica. A
volte c’è necessit{ anche di anni di trattamento.
2. Pretrattamento dei pazienti che si devono sottoporre a interventi odontoiatrici e sono
portatori di protesi come valvole cardiache artificiali o protesi ortopediche per
prevenire l’infezione a livello delle protesi.
3. Prevenzione della tubercolosi o della meningite in pazienti che vivono a stretto
contatto con individui infetti.
4. Trattamento prima di certi interventi chirurgici come operazioni sull’intestino, alcuni
interventi ginecologici e sostituzioni di articolazioni. Sempre per prevenire il rischio di
infezione
5. Trattamento della madre con zidovudina per proteggere il feto nel caso che la madre
sia sieropositiva per HIV.
Complicazioni della terapia antibiotica
Esistono 2 tipi diversi di complicanze:
 Ipersensibilità: condizioni imprevedibili dal tipo di trattamento e che possono avvenire
con qualsiasi farmaco e derivano da iperreattività sia nei confronti del principio attivo
ma anche talvolta nei confronti degli eccipienti.
 Tossicit{ diretta: interferenza con meccanismi tipici dell’ospite, ad esempio è possibile
il verificarsi si ototossicità durante il trattamento con aminoglicosidi per alterazioni
delle funzioni delle membrane delle cellule del Corti.
 Sovrainfezioni: è possibile che in regimi di chemioterapia soprattutto si verifichino
alterazioni della flora batterica residente nel tratto respiratorio superiore e nel tratto
intestinale e urinario e in questo modo è possibile che certi microrganismi vengano
selezionati e diano origine ad una sovrainfezione.
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ANTIBATTERICI
ANTAGONISTI DEI FOLATI
72. I farmaci antimicrobici antagonisti dei folati
(classificazione, meccanismo d’azione, spettro antibatterico,
impieghi terapeutici ed effetti indesiderati)
L’acido folico è una sostanza di fondamentale importanza per l’organismo umano in quanto è
un cofattore enzimatico per la produzione di pirimidine, purine e alcuni aminoacidi. Tuttavia
l’uomo non è in grado di produrlo e lo deve assumere dall’esterno attraverso i cibi sotto forma
di vitamina. Molto batteri sono però impermeabili all’acido folico e di conseguenza per vivere
necessitano di una sintesi autonoma del composto. Questi batteri sono il bersaglio degli
antibiotici antagonisti dei folati perché vanno a competere con il substrato vero degli enzimi
deputati alla formazione dell’acido folico e inibiscono quindi la produzione di RNA e DNA
determinando un effetto batteriostatico.
Le principali classi farmacologiche sono:
- Sulfamidici
- Trimetoprin
- Cotromoxazolo
Sulfamidici
Questi farmaci sono stati ampiamente usati in passato per trattare soprattutto le infezioni
urinarie e il tracoma, anche se raramente in monoterapia. Sono ancora utilizzati per il loro
basso costo. I principali sulfamidici possono essere suddivisi in base alla loro durata d’azione:
- Durata d’azione breve:
o SULFATIAZOLO
-
Durata d’azione intermedia:
o SULFAMETOXAZOLO
o SULFAMOXOLO
o SULFADIAZINA
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-
Durata d’azione lunga:
o SULFADIMETOXINA
o SULFAMETOXIPIRIDAZINA
-
Durata d’azione lunghissima:
o SULFAMETOPIRAZINA
o SULFADOXINA
Meccanismo d’azione
Questi farmaci determinano un’inibizione della produzione di acido folico a partire dal blocco
della conversione del suo precursore, l’acido para-aminobenzoico (PABA) che viene utilizzato
da parte dell’enzima batterico diidropteroato sintetasi per produrre appunto acido folico. Il
bersaglio dei sulfamidici è proprio questo enzima.
Spettro antibatterico
- Enterobacteriacee del tratto urinario
- Nocardia
- Malaria e toxoplasmosi (sulfadiazina + pirimetamina)
Resistenza
La resistenza può avvenire a seguito di mutazioni spontanee o indotte da fagi per cui viene
alterata la diidropteroato sintetasi o può avvenire una riduzione della permeabilità cellulare
ai sulfamidici o in alternativa un aumento della produzione naturale del substrato naturale
(PABA)
Usi terapeutici:
1. Ustioni: prevenzione della colonizzazione da parte di batteri della cute ustionata
2. Nocardiosi: la nocardia può determinare ascessi cerebrali e polmoniti soprattutto nei
pazienti immunodepressi. Si impiega sulfadiazina.
3. Infezioni urinarie: il sulfisoxazolo è molto efficace
4. Tracoma: applicazione topica congiuntivale di sulfacetamide
5. Malattie infiammatorie intestinali: utilizzo selettivo della sulfasalazina che non viene
assorbita dall’intestino e viene scissa in sulfapiridina e aminosalicilato, il quale
possiede azione antinfiammatoria.
Farmacocinetica
I sulfamidici sono tutti assorbiti bene per os con l’eccezione della sulfasalazina che non viene
assorbita dall’intestino ed è quindi utile nei casi di IBD (l’assorbimento della sulfasalazina può
causare problemi negli acetilatori lenti). La somministrazione endovenosa è risparmiata per i
pazienti che non possono assumere sulfamidici per via orale. Hanno emivita molto lunga (2.5150 ore). Le preparazioni topiche vengono impiegate nel trattamento preventivo delle ustioni
(mafenide e sulfadiazina argentica).
I sulfamidici si distribuiscono bene in tutti i volumi liquidi dell’organismo attraversando
anche la placenta e la barriera ematoencefalica.
Vengono metabolizzati dal fegato con acetilazione a livello dell’N4 e trasformati in composti
inattivi ma sempre in grado di precipitare a pH neutro o acido. L’escrezione avviene per
filtrazione glomerulare.
Effetti avversi:
 Cristalluria: è possibile che si formino dei cristalli con il metabolita del sulfamidico che
precipita a pH neutro o acido urinario con conseguente nefrotossicità. Tuttavia una
adeguata idratazione e l’alcalinizzazione delle urine sembrano risolvere il problema.
Composti più recenti come il sulfametoxazolo hanno meno rischi di causare
cristalluria.
 Ipersensibilità: eruzioni cutanee, angioedema e sindrome di Stevens-Johnson, più
comune quest’ultima coi composti a lunga durata d’azione.
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 Alterazioni ematopoietiche: considerando la natura fortemente ossidante sono
maltollerati dai pazienti con carenza della G6PDH e in questi pazienti si può verificare
anemia emolitica.
 Ittero nucleare: problema che colpisce soprattutto i bambini in cui la bilirubina legata
all’albumina viene spiazzata dai sulfamidici ed entra in circolo. Nei bambini non
essendo ancora efficaci i meccanismi di demolizione della bilirubina si ha ittero.
 Interazioni farmacologiche: si è visto un aumento del tempo di protrombina e quindi
interferenza positiva col warfarin, anche con la tolbutamide e del metotrexato sempre
per la capacit{ dei sulfamidici di spiazzare l’albumina.
 Controindicazioni: neonati e bambini, donne in gravidanza, pazienti che ricevono
metenamina.
Trimetoprin
Farmaco molto simile ai sulfamidici
Meccanismo d’azione: il farmaco blocca la diidrofolato reduttasi che è quell’enzima batterico
responsabile della trasformazione dell’acido folico nella sua forma attiva e quindi blocca la
tappa a valle dello step bloccato dai sulfamidici. L’enzima è presente anche nelle cellule
dell’organismo ma ha una selettivit{ per il farmaco solo quello batterico.
Spettro antibatterico
Più o meno lo stesso dei sulfamidici anche se ha una potenza 20-50 volte maggiore che i
sulfamidici e per tale ragione viene impiegato da solo nelle infezioni urinarie o nelle prostatiti
e vaginiti batteriche.
Resistenza
Avviene resistenza se si modifica la diidrofolato reduttasi (come normalmente nei gram
negativi) ma anche se avviene un’aumentata produzione di enzima.
Usi terapeutici: sovrapponibili con i sulfamidici anche se possono essere usati in
monoterapia. L’associazione tra TRIMETOPRIN e sulfametoxazolo viene denominata
cotrimoxazolo che è un farmaco inibitore dell’acido folico con efficacia ed impieghi molto
superiori ai 2 farmaci singolarmente.
Farmacocinetica: concentrazioni elevate in prostata e vagina per pH tendenzialmente più
basso. Entra nel liquor e viene escreto con le urine, talora immodificato.
Effetti avversi: tipici eventi da carenza di folati. Questi effetti possono essere tamponati con la
somministrazione di acido folinico che agisce aumentando la quantità di acido folico
nell’individuo ma non viene assorbito dai batteri.
Cotrimoxazolo
Farmaco generato dall’associazione tra trimetoprin e
sulfametoxazolo. Ha un’attivit{ antibatterica maggiore che i
2 farmaci singolarmente.
Meccanismo d’azione: inibizione dei 2 enzimi
contemporaneamente.
Spettro antibatterico:
- Infezioni del tratto urinario
- Infezioni dell’albero respiratorio
- Polmonite da Pneumocystis jeroveci
- Infezioni sistemiche da salmonella resistenti
all’ampicillina o al cloramfenicolo
Resistenza: più scarsa che nei casi singoli perché in questo
caso dovrebbe avvenire la modifica di entrambi gli enzimi.
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Impieghi terapeutici:
1. Polmonite da Pneumocystis jeroveci
2. Infezioni respiratorie: efficace contro Haemophilus influenzae ed alternativa al
trattamento della Legionella
3. Infezioni gastrointestinali: shigellosi e salmonellosi non tifoide. Efficace anche nel
trattamento dei portatori di salmonella typhi.
4. Listeriosi: meningite causata dalla listeria
5. Infezioni delle vie urinarie e della prostata
Farmacocinetica: il COTRIMOXAZOLO è più liposolubile e con Vd più ampio che il
sulfametoxazolo. Viene somministrato per via orale. Unico caso di somministrazione
endovenosa è il paziente con grave polmonite da Pneumocystis jerovaci.
Effetti avversi:
 Dermatologici
 Gastrointestinali: nausea, vomito, glossite, stomatite
 Ematologici: anemia megaloblastica, leucopenia e trombocitopenia. Effetti risolti con la
somministrazione di acido folinico. Nei pazienti con carenza di G6PDH si può
presentare anemia emolitica derivata dal sulfametoxazolo.
 Pazienti con HIV: febbre da farmaco, eruzioni, diarrea
 Interazioni farmacologiche: warfarin, fenitoina, metotrexato possono aumentare le
loro concentrazioni.
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INIBITORI DELLA SINTESI DELLA PARETE CELLULARE
73. Le penicilline e le cefalosporine (classificazione,
meccanismo d’azione, spettro antibatterico, impieghi
terapeutici ed effetti indesiderati)
Gli inibitori della sintesi della parete cellulare sono un gruppo di antibiotici che agiscono come
battericidi in quanto debilitano la parete cellulare presente come struttura esterna dei batteri
e assente nelle cellule umane. In questo modo viene esposta la membrana cellulare batterica
che risulta molto più instabile e il batterio viene lisato anche a seguito dell’autoproduzione di
sostanze dette autolisine.
Per agire distruggendo la parete batterica è necessario che i batteri siano in fase proliferativa
altrimenti l’azione risulta molto più blanda.
I principali composti farmaceutici utilizzati sono:
- Penicilline
- Cefalosporine
- Carbapenemi
- Monobattami
- Altri antibiotici
- Inibitori della beta-lattamasi
Penicilline
Questo gruppo di farmaci è stato il capostipite della terapia antibatterica a partire dalla
Penicillina G estratto dal micete Penycillum crisogenum ed utilizzato per trattare a maggior
parte delle infezioni mediate da Gram positivi.
Esse sono anche il gruppo meno pericoloso dal punto di vista degli effetti avversi e della
tossicità anche se un problema importante e crescente che si sta delineando è quello della
resistenza agli antibiotici mediata dalla produzione di beta-lattamasi in primo luogo ma anche
a seguito di altri meccanismi.
Meccanismo d’azione
Le penicilline agiscono sui batteri che presentano una parete
cellulare fatta di peptidoglicano.
Questa sostanza è formata dall’unione di molti frammenti di
glicano legati tra loro da legami peptidici. I gram positivi hanno
una spessa parete di peptidoglicano che viene mostrata
direttamente come bersaglio dei farmaci, mentre i gram negativi
hanno uno strato esterno di lipopolisaccaride che scherma la
parete cellular e quindi sono più resistenti all’azione dei betalattamici. Tuttavia questi ultimi presentano dei canali porosi
attraverso cui passano i farmaci in questione e possono agire
parzialmente sulla sintesi del peptidoglicano.
Le penicilline come tutti i beta lattamici possiedono una
struttura chimica peculiare formata dal cosiddetto anello
lattamico costituito da 3 atomi di C ed uno di N, questo anello fa parte di una struttura più
ampia detta acido-6-aminopenicillanico che viene legata ad un residuo R diverso per ogni
penicillina e responsabile di:
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- stabilità del composto in ambiente acido
- suscettibilità agli enzimi degradanti
- spettro antibatterico.
Normalmente esistono delle proteine batteriche che legano le penicilline (PBP) che si trovano
in ambiente intracellulare nei gram positivi (e quindi è necessario che le penicilline
attraversino la parete) e all’interno della barriera del lipopolisaccaride nei gram negativi.
Queste proteine sono degli enzimi che catalizzano la formazione di legami peptidici tra
frammenti adiacenti di peptidoglicano e conferiscono la resistenza della parete. Le penicilline
impediscono proprio quest’ultimo passaggio della transpeptidazione con conseguente
instabilit{ della parete batterica. A questo punto la membrana batterica è esposta all’esterno e
visto che sembra molto più suscettibile alle variazioni di osmolarità inizia a far entrare liquidi
in eccesso e va incontro a lisi. Il processi di lisi però è coadiuvato anche dalla presenza di
autolisine prodotte dal batterio stesso che amplificano la rottura della membrana cellulare.
Normalmente queste autolisine sono implicate nel rimodellamento della membrana, ma visto
che la parete non c’è più queste inducono inevitabilmente la lisi della cellula.
Tuttavia le PBP sono anche i principali responsabili della resistenza alle penicilline, un
esempio è lo stafilococcus aureus che è diventato resistente alla meticillina proprio a seguito
di un’alterazione genica delle PBP che non legano più l’antibiotico.
Spettro antibatterico
Normalmente le penicilline iniziali hanno avuto un ruolo solo nella lisi dei batteri gram
positivi, mentre l’apparente impermeabilit{ dei gram negativi per il lipopolisaccaride li ha resi
più resistenti.
 Penicilline naturali
o PENICILLINA G: prima penicillina utilizzata (benzilpenicillina) utile nelle
infezioni da cocchi gram + e gram -, bacilli gram + e spirochete. È suscettibile
all’azione delle beta-lattamasi.
o PENICILLINA V: ha lo stesso spettro della precedente solo che non è usata in
batteriemia per l’alta MIC a scopi battericidi. Di conseguenza viene impiegata
solo per le infezioni orali soprattutto per anaerobi contro cui è efficace. Resiste
all’acidit{ gastrica. Agisce anche sul bacillus anthracis.
 Penicilline antistafilococciche
o
o
o
o
o
METICILLINA
NAFCILLINA
OXACILLINA
CLOXACILLINA
DICLOXACILLINA
Questi composti sono attivi contro gli stafilococchi che sono normalmente produttori
di penicillinasi e questi antibiotici sono quindi resistenti all’azione delle beta-lattamasi.
La meticillina è scarsamente utilizzata anche se è stata il capostipite perché ha
un’elevata tossicità e inoltre si sono sviluppati col tempo dei ceppi meticillio resistenti
responsabili di molte infezioni nosocomiali che si trattano quindi con ciprofloxacina o
rifampicina.
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
Penicilline a spettro esteso
o AMOXICILLINA
o AMPICILLINA
Queste penicilline sono le più utilizzate in quanto presentano uno spettro d’azione
esteso nei confronti dei bacilli gram negativi e soprattutto per la listeria
monocitogenes che è responsabili di gravi infezioni respiratorie oltre ad avere lo
spettro tipico della penicillina G. L’amoxicillina viene usata anche a scopo profilattico
nelle estrazioni dentarie. Agisce contro E.coli e hemofilus.
Il problema della resistenza si fa sempre più pericoloso per la presenza di una
penicillinasi prodotta da un plasmide. In tal caso è possibile comunque rimediare al
problema somministrando gli inibitori della beta-lattamasi e cioè
AMOXICILLINA + ACIDO CLAVULANICO
AMPICILLINA + SULBACTAM

Penicilline antipseudomonas
o CARBENICILLINA
o TICARCILLINA
o PIPERACILLINA
Si tratta di una classe di penicilline che hanno un’azione preponderante verso le
infezioni da pseudomonas aeruginosa oltre ad altri bacilli gram negativi tranne le
klebsielle. Per escludere il problema delle resistenze si danno insieme inibitori delle
beta lattamasi:
TICARCILLINA + ACIDO CLAVULANICO
PIPERACILLINA + TAZOBACTAM
La piperacillina è quella con azione più potente tra tutte.
 Penicilline e aminoglicosidi
Il binomio sembra in gran parte molto favorevole all’azione antibatterica in quanto le
penicillina aprono la strada verso l’ingresso di altri antibiotici che altrimenti non
potrebbero penetrare per la presenza del peptidoglicano come gli aminoglicosidi.
Importante però non somministrarli nella stessa infusione perché le penicilline hanno
carica negativa e gli aminoglicosidi positiva per cui possono complessarsi formando
composti inattivi.
Impieghi terapeutici:
1. Polmonite pneumococcica: penicillina G + inibitori delle beta lattamasi o altra terapia
2. Sifilide: penicillina G molto attiva e non si sono osservate resistenze
3. Gonorrea: penicillina G, ma se producono penicillinasi si passa a ceftriaxone e
spectinomicina.
4. Infezioni da stafilococchi: meticillina e altre
5. Listeriosi, infezioni respiratorie, profilassi delle estrazioni dentarie: ampicillina e
amoxicillina
6. Pseudomonas e molti gram negativi: piperacillina
Resistenza
Il fenomeno della resistenza alle penicilline è un grave problema che può derivare sia dalla
struttura fisiologica di un batterio che non permette alle penicilline di penetrare come i
micoplasmi, sia per difetti genetici acquisiti lungo il percorso in ceppi che normalmente erano
sensibili alla penicillina. Esistono 3 possibilità di resistenza:
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-
Produzione di beta-lattamasi che degradano l’anello lattamico ed inattivano il farmaco.
Questi però possono essere trattati con la penicillina unita all’inibitore delle beta
lattamasi.
Riduzione della permeabilità al farmaco
Alterazione delle PLP: questo meccanismo è responsabile
della meticillino resistenza agli antibiotici.
Farmacocinetica
La via di somministrazione dipende ampiamente dalla capacità di
resistere al succo gastrico.
- Via endovenosa o intramuscolare: ticarcillina,
carbenicillina, piperacillina, ampicillina + sulbactam,
ticarcillina + acido clavulanico, piperacillina + tazobactam.
- Via orale: penicillina V, amoxicillina da sola e con acido
clavulanico.
- Forme di deposito: procaina penicillina G e benzatina
penicillina G date per via intramuscolo e depositate con
conseguente assorbimento breve e duraturo.
L’assorbimento è in genere incompleto nel tratto gastroenterico
tranne l’amoxicillina che viene quasi completamente assorbita e
quindi non è utile nel trattare le infezioni intestinali.
La presenza di cibo rallenta l’assorbimento e quindi è meglio
assumerle 30-60 minuti prima dei pasti o 2-3 ore dopo i pasti.
La distribuzione è ampia e penetra nella placenta senza causare
danni, l’osso e la barriera ematoencefalica sono meno permeabili e
le concentrazioni raggiunte in tali luoghi sono terapeuticamente
insufficienti a meno che non siano infiammati.
L’escrezione avviene per via renale in parte per filtrazione glomerulare ed in parte per
secrezione tubulare attiva, in pazienti con compromissione della funzione tubulare è
preferibile aggiustare la posologia. Il tempo di emivita della penicillina G è normalmente 30
minuti-1 ora ma in insufficienza renale può arrivare a 10 ore.
Il probenecid inibisce la secrezione tubulare di penicillina.
Le penicilline resistenti all’acido gastrico sono l’ampicillina, l’amoxicillina, la penicillina V
mentre la G è labile.
Reazioni avverse:
le reazioni collaterali alle penicilline sono molto rare e blande eleggendo le penicillina ai
farmaci antibiotici più sicuri. Infatti gli effetti di tipo A (tossici) sono praticamente inesistenti.
Quelli di tipo B (ipersensibilità) sono i maggiori.
 Ipersensibilità: problema più importante in quanto si può verificare eruzione
maculopapulare, angioedema fino all’anafilassi. Il responsabile del danno è il
metabolita della penicillina (acido penicilloico) che si comporta da aptene.
 Diarrea: spesso per alterazione dei microrganismi intestinali, non è da escludere una
colite pseudomembranosa da clostridium difficile
 Nefrite
 Neurotossicità: possono esserci convulsioni se il farmaco è somministrato per via
endovenosa e soprattutto nei pazienti epilettici
 Tossicit{ ematologica: riduzione dell’agglutinazione e possibilit{ maggiori di
sanguinamento
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 Tossicità da cationi: visto che le preparazioni normali prevedono sodio e potassio in
genere può verificarsi un sovraccarico di questi ioni in circolo e ad esempio un eccesso
di sodio può dare ipokaliemia.
Cefalosporine
Le cefalosporine sono molecole semisintetiche assai simili alle penicillina, sono sempre betalattamici.
Meccanismo d’azione: identico alle penicilline
Spettro antibatterico
Le cefalosporine sono inefficaci contro stafilococchi meticillino resistenti, listeria, clostridium
difficile ed enterococchi.
Esistono 4 diverse generazioni di cefalosporine dalla prima alla quarta in ordine cronologico e
con effetti anche differenti:
 Prima generazione
o CEFALEXINA : somministrazione orale contro la faringite
o CEFAZOLIN : penetra bene nell’osso
Sono attive contro klebsiella, proteus mirabilis e escherichia coli. Oltre a cocchi gram +
come gli stafilococchi e gli streptococchi
 Seconda generazione
o CEFACLOR: può causare malattia da siero
o CEFOXITINA : buona attività contro gli anaerobi, utile in sepsi addominale e sepsi
ginecologica
o CEFUROXIMA : emivita più lunga e attraversa la barriera EE e viene usata contro
la bronchite e la polmonite.
o CEFUROXIMA AXETIL : somministrazione orale 2 volte al giorno, attiva contro i
produttori di beta-lattamasi.
Questi farmaci comprendono anche un’attivit{ contro l’hemofilus, l’enterobacter e
alcune neisserie mentre l’attivit{ con i gram positivi è leggermente più debole. Infatti
con l’aumento della generazione si ha minore efficacia sui gram +.
Cefoxitina e cefotetan hanno scarsa azione sull’hemofilus.
 Terza generazione
o CEFOTAXIMA
o CEFTAZIDIMA
o CEFTRIAXONE
Si tratta di una classe di composti molto utile nel trattamento delle malattie infettive
che hanno una marcata affinità verso la maggior parte dei gram negativi, tutti quelli
della seconda generazione più microrganismi enterici e serratia. Ad oggi il ceftriaxone
è il farmaco di scelta per le meningiti insieme alla cefotaxima.
La ceftazidima è utile contro pseudomonas.
Il ceftriazone ha emivita più lunga tra tutte le cefalosporine (6-8 ore).
 Quarta generazione
o CEFEPIMA : via parenterale, ampio spettro antibatterico contro streptococchi e
stafilococchi (sensibili a meticillina), enterobatteri, E.coli, klebsiella,
pseudomonas.
Resistenza
Stessi meccanismi di resistenza per le penicilline.
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Farmacocinetica
Quasi tutte le cefalosporine devono essere somministrate per via intramuscolare o
endovenosa, tranne alcune come cefalexina, cefaclor, cefuroxima.
Si distribuiscono ampiamente nei fluidi corporei tuttavia la penetrazione della barriera EE
non è dipendente da infiammazione per la prima e seconda generazione, infatti solo le cefalo
di terza generazione possono attraversarla con o senza infiammazione. Per questo ceftriazone
e cefotaxima sono utilizzate per combattere la meningite da hemofilus. La cefalozima trova
impiego nella profilassi prima della chirurgia. Capacit{ di penetrare nell’osso e nella placenta.
Eliminazione per secrezione tubulare o filtrazione glomerulare. Aggiustare le dosi in caso di
insufficienza renale. Cefoperazone e ceftriazone vengono eliminati con la bile e pertanto sono
di scelta nella terapia in pazienti nefropatici.
Effetti avversi:
 Manifestazioni allergiche: anche soggetti che hanno avuto allergie alle penicilline non
dovrebbero assumere cefalosporine.
 Intolleranza all’etanolo: effetto disulfiram simile per alcune cefalosporine di seconda e
terza generazione.
 Sanguinamento: a causa della presenza del gruppo metiltiotetrazolo nella catena
laterale può esserci un effetto anti vitamina K che si manifesta con sanguinamenti e
ipoprotrombinemia.
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74. Carbapenemi, monobattami e vancomicina (meccanismo
d’azione, spettro antibatterico, impieghi terapeutici ed effetti
indesiderati)
I principali composti farmaceutici utilizzati a scopo antibatterico con meccanismo di
inibizione della sintesi della parete cellulare sono:
- Penicilline
- Cefalosporine
- Carbapenemi
- Monobattami
- Vancomicina
- Inibitori della beta-lattamasi
Carbapenemi
Si tratta di un gruppo antibatterico caratterizzato da un uso tendenzialmente specialistico e
ospedaliero. Sono beta-lattamici con il più ampio spettro d’azione in grado di resistere a
diverse specie di batteri producenti beta-lattamasi.
- IMIPENEM
- MEROPENEM
Il meccanismo d’azione è analogo alle penicillina ma lo spettro terapeutico è più ampio in
quanto vengono compresi nella capacità battericida anche gram positivi e negativi che
producono beta-lattamasi, un gran numero di anaerobi e lo pseudomonas aeruginosa.
Essi sono diversi dal punto di vista chimico rispetto alle penicilline in quanto il gruppo legato
all’atomo di zolfo è sostituito da un atomo di carbonio.
Il meropenem presenta attivit{ antibatterica simile all’imipenem.
Non sono efficaci per per i produttori di metallo-beta lattamasi e quindi non utilizzabili ad
esempio per stafilococchi meticillino resistenti.
Come usi terapeutici sono ottimali per la terapia empirica visto l’ampio spettro d’azione.
Farmacocinetica: vengono somministrati per via endovenosa e pentrano in tutti i fluidi
dell’organismo compreso il liquor soprattutto se le meningi sono infiammate. A livello
dell’orletto a spazzola delle cellule del tubulo renale sono presenti enzimi tra cui la
deidropeptidasi che trasforma l’imipenem in un metabolita inattivo nefrotossico. Per ovviare
a questo problema si somministra insieme ciliastatina che inibisce l’enzima.
Il meropenem non subisce metabolismo. In tal modo entrambi i farmaci possono essere usati
per le infezioni urinarie.
Effetti avversi: nausea, vomito, diarrea. Eosinofilia e neutropenia più raramente rispetto agli
altri beta-lattamici.
Monobattami
Di questi composti l’unico disponibile è l’AZTREONAM che possiede diverse peculiarità, prima
di tutto si tratta di beta lattamici che possiedono solo l’anello lattamico e non sono condensati
ad altri anelli. Hanno uno spettro antibatterico più ristretto rispetto ai carbapenemi e i loro
bersagli principali sono le enterobacteriacee, i gram negativi aerobi compreso pseudomonas.
Non è efficace contro gram + e anaerobi.
A causa dello spettro ristretto non viene impiegato in terapia empirica.
Si somministra per via endovenosa o intramuscolare, può accumularsi in pazienti in
insufficienza renale. Alcuni effetti avversi possono essere flebite.
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Il vantaggio è che è scarsamente immunogeno e quindi è una valida alternativa per i pazienti
allergici alle penicilline.
Vancomicina
La VANCOMICINA è un importante antibiotico. Si tratta di un glicopeptide triciclico che agisce
anch’esso indebolendo la parete batterica.
Meccanismo d’azione
Il farmaco agisce inibendo la produzione di fosfolipidi utili per la sintesi della parete ed inoltre
altera la fase di transglicosilazione del peptidoglicano determinando una debolezza della
parete cellulare che si ripercuote sulla membrana e determina in ultima analisi lisi batterica.
Spettro antibatterico
Il farmaco è risultato essenziale nel trattamento delle infezioni da parte di stafilococchi aureus
ed epidermidis meticillino resistenti e enterococchi. È stato per molto tempo un farmaco
salvavita in questi pazienti che erano resistenti agli altri
antibiotici. Tuttavia ultimamente si sono verificati
preoccupanti fenomeni di resistenza nei suoi confronti
come per gli enterococchi e questo ha determinato una
limitazione del suo utilizzo ai casi gravi e
potenzialmente fatali.
Il farmaco viene somministrato per via endovenosa
però può essere anche dato per via orale se si vuole
trattare la colite pseudomembranosa da clostridium
difficile o stafilococchi. Viene usato anche nei portatori
di protesi valvolari come terapia preventiva.
Oggi sono stati scoperti nuovi inibitori della sintesi della
parete come il LINEZOLID e l’associazione QUINOPRISTIN
/ DALFOPRISTIN per infezioni da parte di microrganismi
resistenti alla vancomicina. Di solito i ceppi resistenti si ritrovano nelle infezioni nosocomiali.
La vancomicina associata agli aminoglicosidi può essere molto utile nel trattamento
dell’endocardite infettiva.
Resistenza
I meccanismi della resistenza possono essere dovuti a:
- Riduzione della permeabilità del farmaci
- Alterazione delle strutture deputate al legame con farmaco
L’eziologia di questi eventi è da ricercare sempre nella mutazione spontanea o nell’azione di
un plasmide o a seguito dell’interazione con un fago.
Farmacocinetica
Somministrazione endovenosa per infusione lenta e visto che non si assorbe oralmente è
usata per trattare il clostridium difficile quando il metronidazolo non ha dato effetti.
Spesso si usa insieme al ceftriaxone. Va aggiustata la posologia per problemi renali.
Emivita plasmatica 6-10 ore.
Eliminazione per filtrazione glomerulare.
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Effetti avversi: sono un problema perché gli effetti indesiderati della vancomicina non sono
pochi e possono essere anche di una certa entità:
 Febbre
 Brividi
 Flebite
 Vampate
 Shock (in conseguenza a somministrazioe endovenosa per liberazione di istamina)
 Ototossicità e nefrotossicità se somministrate spesso insieme ad un altro farmaco
come gli aminoglicosidi. In caso di insufficienza renale può portare ad un sovraccumulo
che determina perdita dei capelli
Inibitori delle beta-lattamasi
Si tratta di farmaci che normalmente non hanno alcun
effetto antibatterico ma possiedono un anello beta lattamico
che si lega specificamente alle beta-lattamasi batteriche e le
inibisce in modo che l’attivit{ anti-betalattamica scompaia.
Vengono somministrati insieme a composti antibiotici attivi
e con proprietà antibatteriche:
- ACIDO CLAVULANICO (associato a amoxicillina e
ticarcillina)
- SULBACTAM (associato a ampicillina)
- TAZOBACTAM (associato a piperacillina)
BATTERIURIA ASINTOMATICA
Va considerata la possibilità di trattarla in gravidanza. In genere si usa il cotrimoxazolo ma
anche fluorochinolonici se non hanno avuto effetto le cefalosporine. Tuttavia i
fluorochinolonici sono di classe C e possono causare tossicità fetale.
L’amoxicillina è in categoria B e più sicura
FARINGOTONSILLITE PEDIATRICA
Di solito il trattamento con antibiotico viene iniziato solo sotto pressante richiesta del
genitore. Si segue uno score prestabilito. Nel caso sia opportuno intervenire con l’antibiotico
la scelta si indirizza verso l’amoxicillina. In caso di allergia si usano i macrolidi.
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INIBITORI DELLA SINTESI PROTEICA
75. I farmaci antimicrobici che interferiscono con la sintesi
proteica: classificazione
I farmaci inibitori della sintesi proteica batterica agiscono andando ad inibire determinati
passaggi nel processo di sintesi proteica ad opera dei ribosomi delle cellule batteriche.
I ribosomi batterici sono costituiti da una porzione 50S ed una inferiore di 30S mentre nel
complesso è 70S a differenza del ribosoma umano che in tutto è 80S (e quindi di dimensioni
più grandi) e ha subunità di 40S e 60S.
Queste piccole differenze sono responsabili della selettività dei meccanismi antibatterici
propri degli inibitori della sintesi proteica batterici piuttosto che sui ribosomi delle cellule
dell’organismo. Tuttavia i ribosomi mitocondriali umani sono molto simili ai ribosomi
batterici e questo fatto è responsabile degli effetti avversi che si verificano per cross-reazione
con i ribosomi umani.
La classificazione di questi composti è la seguente:
 Tetracicline
o Doxiciclina
o Tetraciclina
o Minociclina
o Demeclociclina
 Aminoglicosidi
o Amikacina
o Gentamicina
o Neomicina
o Netilmicina
o Streptomicina
o Tobramicina
 Macrolidi
o Azitromicina
o Claritromicina
o Eritromicina
o Telitromicina
 Cloramfenicolo
 Clindamicina
 Quinupristin / Dalfopristin
 Linezolid
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76. Tetracicline e cloramfenicolo: meccanismo d’azione,
spettro antibatterico, impieghi terapeutici ed effetti
indesiderati
Tetracicline
Si tratta di una classe di farmaci antibatterici ad ampio spettro e quindi efficaci su un numero
molto elevato di batteri. Esse consistono di 4 anelli condensati con un sistema di doppi anelli
coniugati. Le differenze di efficacia clinica tra le varie tetracicline dipende dal tipo di
sostituzione che avviene a livello degli anelli.
- DOXICICLINA
- TETRACICLINA
- MINOCICLINA
- DEMECLOCICLINA
Meccanismo d’azione
Le tetracicline sono farmaci che penetrano all’interno dei batteri sensibili ad esse e si legano
al complesso 30S del ribosoma batterico impedendo all’aminoacil-tRNA di legarsi al
complesso ribosoma-mRNA. In questo modo si inibisce la sintesi proteica batterica in modo
reversibile. Il farmaco penetra nel batterio attraverso meccanismi passivi ma anche grazie a
pompe attive.
Spettro antibatterico
Le tetracicline sono attive su un gran numero di batteri gram negativi, gram positivi,
micoplasmi, clamidie, rickettsie e altri microrganismi diversi dai batteri.
Impieghi terapeutici:
1. Infezioni da clamidia: chlamidia trachomatis causa uretrite non gonococcica, malattia
infiammatoria pelvica e linfogranuloma venereo. La psittaci è responsabile di forme di
polmonite. Per il trattamento di queste infezioni si usa doxaciclina o azitromicina
2. Polmonite da micoplasma: micoplasma pneumoniae contribuisce all’insorgenza di
infezioni respiratorie soprattutto nelle persone che vivono a stretto contatto con altre.
Utile anche l’eritromicina
3. Malattia di Lyme: spirocheta borrelia causa questa malattia a seguito del trasferimento
dell’infezione dopo il morso di una zecca infetta. Questa può evolvere in eruzioni
cutanee, cefalea, febbre fino a meningoencefalite e artrite. Una singola dose di
doxiciclina può prevenire questa condizione
4. Febbre esantematica delle montagne rocciose: infezione da rickettsie con brividi, febbre,
dolori ossei e articolari. È indicato anche un trattamento profilattico dopo morso di
zecca.
5. Colera: doxiciclina contro vibrio cholorae che si moltiplica nella mucosa intestinale e
produce la tossina che causa diarrea. Tuttavia il trattamento migliore rimane sempre
una terapia di reinstaurazione liquida.
Resistenza
Il fenomeno della resistenza è possibile con le tetracicline in quanto possono verificarsi
diversi meccanismi che non permettono più di rispondere al farmaco come:
- Incapacità di accumulare il farmaco per la presenza di canali associati al magnesio che
mediano l’efflusso mediante una proteina plasmidica di resistenza TetA.
- Inattivazione enzimatica del farmaco
- Produzione di proteine batteriche che impediscono il legame della tetraciclina.
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Ad oggi gli stafilococchi produttori di penicillinasi sono resistenti anche alle tetracicline.
Farmacocinetica
Le tetracicline sono tutte somministrate per via orale anche se il loro assorbimento non
sempre è completo. L’assunzione di cibi grassi o contenenti latte ostacola notevolmente
l’assorbimento a causa della propriet{ chelante delle tetracicline che genera quindi degli
addotti inattivi che precipitano e non possono essere assorbiti. Stessa situazione si presenta
con gli antiacidi che contengono ioni come sodio, alluminio e magnesio che si legano al
farmaco e impediscono l’assorbimento.
La doxiciclina e la minociclina vengono totalmente assorbite per via orale.
Per la somministrazione parenterale si preferisce la doxiciclina.
Le tetracicline si distribuiscono ampiamente ma si concentrano in fegato, milza, rene e cute e
si accumulano preferenzialmente nei tessuti ricchi di calcio come i denti e le ossa oltre ai
tessuti tumorali che contengono più calcio. L’attraversamento della barriera EE è possibile
solo per la minociclina anche in assenza di infiammazione ma comunque non in dosi
sufficienti a raggiungere l’efficacia terapeutica. Tutte attraversano la barriera placentare.
Le tetracicline sono glucuronate dal fegato e sottoposte ad un ricircolo entero-epatico con il
quale rientrano in circolo e vengono escrete con le urine. L’unica ad essere escreta con le feci è
la doxiciclina che quindi può essere utilizzata nelle infezioni delle vie urinarie.
Effetti avversi:
 Epigastralgia: può essere ridotto se il farmaco è assunto insieme a cibi tranne latticini.
 Effetti sui tessuti calcificati: può dare ipoplasia dei denti se assunta in età pediatrica e
un temporaneo arresto della crescita.
 Colorazione bluastra della cute: visto che la cute è una delle sedi in cui si accumula il
farmaco si possono originare processi ossidativi che portano ad un colore blu nelle
zone di deposito. Anche i denti.
 Epatotossicità: può essere fatale in donne gravide con alte dosi di tetracicline
 Fototossicità: più frequente con doxiciclina e tetraciclina si sviluppa eritema solare se
ci si espone al sole
 Problemi vestibolari: minociclina si concentra nell’endolinfa vestibolare e può dare
nausea, vomito e confusione.
 Pseudotumor cerebri: sindrome simile ad un tumore cerebrale per presentazione con
ipertensione endocranica con cefalea e offuscamento della visione.
 Sovrainfezioni: crescita esagerata di candida o stafilococchi intestinali
 Controindicazioni: gravidanza, allattamento, bambini di età inferiore a 8 anni,
nefropatici (tranne la doxicillina che ha escrezione fecale).
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Cloramfenicolo
Il CLORAMFENICOLO è un farmaco che ha avuto un ampio impiego contro la salmonella typhi,
anaerobi e rickettsie. Ad oggi il suo uso è piuttosto limitato per la scarsa tollerabilità.
Meccanismo d’azione
Il cloramfenicolo si lega alla subunità 50S dei ribosomi batterici penetrando mediante pori
passivi o attivi ed inibisce il passaggio della peptidil transferasi che trasferisce il peptide
nascente sul nuovo aminoacido e libera il tRNA. In tal modo viene bloccata la sintesi proteica.
Tuttavia le interferenze possibili con i ribosomi mitocondriali sono responsabili dei notevoli
effetti avversi.
Spettro antimicrobico
Antibiotico ad ampio spettro attivo anche contro le rickettsie. Ha eccellente attività nei
confronti degli anaerobi ma non ha effetto su pseudomonas aeruginosa.
Esso è a basse dosi un batteriostatico mentre ad alte dosi diventa un battericida.
Resistenza
L’acetil coenzima A transferasi è un enzima derivato da un plasmide che inattiva il
cloramfenicolo e non gli permette di penetrare nelle cellule.
Farmacocinetica
Può essere somministrato sia per via endovenosa che per via orale. Il farmaco si distribuisce
prontamente in tutto l’organismo dopo un buon assorbimento intestinale. Entra nel liquor
senza problemi. Il farmaco inibisce le ossidasi a funzione mista del fegato e per questo
prolunga l’emivita di molti composti farmacologici demoliti da tali enzimi. Viene trasformato
in un glucuronide e come tale escreto tramite secrezione tubulare. Solo una piccola quota del
farmaco è eliminato per filtrazione glomerulare.
Effetti avversi:
 Sindrome del bambino grigio: la glucuronazione nel bambino non è ancora efficiente
così come la funzione renale che è ancora sottosviluppata. Ne consegue che il farmaco
si accumula fino a livelli che inibiscono la funzione dei ribosomi mitocondriali. Da ciò
ne deriva denutrizione, depressione del respiro, collasso cardiovascolare, cianosi
(bambino grigio) e morte in casi gravi.
 Disturbi gastrointestinali: spesso in associazione alla terapia antibiotica si utilizzano
anche fermenti lattici per tentare di ristabilire la flora intestinale (fermenti resistenti
agli antibiotici che si stanno somministrando)
 Anemia: anemia emolitica associata a basse dosi di G6PDH
 Interazioni farmacologiche: molto importanti perché può bloccare il metabolismo di
warfarin, fenitoina, clorpropamide e tolbutamide aumentando le concentrazioni di
queste sostanze nel sangue per prolungamento della loro emivita.
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77. I macrolidi: meccanismo d’azione, spettro antibatterico,
impieghi terapeutici ed effetti indesiderati
I macrolidi sono una classe di antibatterici che interferiscono sempre con la sintesi proteica e
sono formati da anelli di lattoni legati a uno o più desossizuccheri. Tra questi l’eritromicina è il
capostipite ed è stata fondamentale per il trattamento di quei pazienti che avevano mostrato
resistenza alle penicilline.
-
ERITROMICINA
AZITROMICINA
CLARITROMICINA
TELITROMICINA
Meccanismo d’azione
Questi farmaci si vanno a legare specificamente ad un sito della subunità 50S ribosomiale
impedendo l’attivit{ transferasica dei tRNA da un sito all’altro del ribosoma. Probabilmente
intervengono anche nella transpeptidazione e determina quindi un’inibizione della sintesi
proteica. A basse dosi ridultano batteriostatici mentre a dosi più alte sono battericidi.
Spettro antimicrobico
In linea di massima non è molto diverso da quello delle penicilline.
- Eritromicina: usata principalmente nei pazienti con allergia alle penicilline
- Claritromicina: efficace per i bersagli dell’eritromicina in più hemofilus, chlamidia,
legionella, moraxella e helicobacter per i quali sembra avere attività superiore rispetto
all’eritromicina
- Azitromicina: sebbene sia meno efficace contro gli streptococchi e stafilococchi è più
attiva nei confronti di hemofilus, moraxella e legionella e in generale nelle infezioni
respiratorie. È il farmaco ideale (a parte il costo) per le infezioni urinarie da chlamidia
trachomatis.
- Telitromicina: simile all’azitromicina
Usi terapeutici:
1. Infezioni da chlamidie: nelle infezioni uretrali l’eritromicina è un’alternativa alle
tetracicline. È di scelta nelle infezioni che si verificano in gravidanza
2. Polmonite da micoplasma: eritromicina e tetracicline molto efficaci, anche azitromicina
3. Sifilide: in pazienti allergici alle penicilline
4. Difterite: eritromicina e penicillina sono utili per trattare lo stato di portatore
5. Malattia dei legionari (legionellosi): azitromicina è il farmaco di scelta
Per quanto riguarda l’eritromicina bisogna considerare il fatto che ha anche altre attività oltre
a quella antibatterica e infatti è:
- Procinetico: perché si va a legare ai recettori intestinali della motilina
- Proaritmico: blocca i canali HERG del potassio e contemporaneamente può fungere da
antiaritmico.
- Potente inibitore della CYP3A4: può dare importanti interazioni farmacologiche
Resistenza
I meccanismi di resistenza riscontrati si rifanno a:
 Incapacità del microrganismo di captare il farmaco o per la presenza di una pompa di
efflusso
 Diminuita affinità recettoriale del sito sul rRNA per una metilazione di un residuo
adeninico
 Presenza di un’esterasi plasmidica che distrugge l’eritromicina
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Farmacocinetica
L’eritromicina viene assunta per via orale ed ha un buon assorbimento. Tuttavia per resistere
all’acidit{ gastrica deve essere somministrata in compresse gastroresistenti. Gli altri macrolidi
sono stabili a pH acido gastrico e vengono assorbiti efficacemente. Il cibo interferisce con
l’assorbimento della eritromicina e azitromicina ma può favorire quello della claritromicina.
L’azitromicina è disponibile anche per via endovenosa, ma la preparazione endovenosa
dell’eritromicina è associata ad un alta probabilit{ di tromboflebite.
Essi si distribuiscono in tutto l’organismo anche se tendono ad accumularsi nel fegato. Non
passano nel liquor in quanto sono molecole grandi. Penetrano facilmente nel liquido
prostatico. L’eritromicina si accumula nei macrofagi. I livelli sierici di azitromicina sono bassi
e tende ad accumularsi nei neutrofili, macrofagi e fibroblasti.
L’emivita dell’eritromicina è 2 ore, la claritro 3,5 ore, l’azitromicina è quella con più lunga
emivita con più di 40 ore e la telitromicina 13 ore.
La conversione in un metabolita inattivo provoca in tutti i macrolidi l’interazione con le
ossidasi epatiche prolungando il tempo di emivita di molti farmaci come teofillina,
ciclosporina, warfarin, acido valproico. L’eritromicina è quella con meno effetto di questo tipo
perché non viene convertita nel metabolita.
L’escrezione è per via biliare per l’eritromicina e l’azitromicina soggette poi al ricircolo
enteroepatico e all’eliminazione renale. La claritromicina invece viene escreta sia dal fegato
che dal rene ed è necessario aggiustare le dosi.
Effetti avversi:
 Epigastralgia: principalmente da eritromicina, si consiglia di provare con
claritromicina e azitromicina
 Ittero colestatico: forse a seguito di una reazione di ipersensibilit{ all’estolato
(eccipiente)
 Ototossicità: eritromicina ad alti dosaggi
 Controindicazioni: attenzione ai pazienti con disfunzione epatica e renale
 Interazioni: con un numero elevato di farmaci.
L’attivit{ antibatterica dell’eritromicina è molto minore che quella procinetica e pertanto a
volte il farmaco può essere usato off label cioè al di fuori della categoria in cui è classificato.
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78. Gli aminoglicosidi: meccanismo d’azione, spettro
antibatterico, inpieghi terapeutici ed effetti indesiderati
Questa classe di antibiotici è stata per anni il capisaldo della terapia anti bacilli gram negativi
aerobi ma la loro rilevabile tossicità associata ha portato ad una sostituzione con
cefalosporine III, fluorochinolonici e imipenem/cilastatina.
La natura policationica non consente un passaggio adeguato atttraverso le membrane
cellulari.
-
AMIKACINA
GENTAMICINA
NEOMICINA
STREPTOMOCINA
TOBRAMICINA
NETILMICINA
Meccanismo d’azione
Il meccanismo di tutti gli aminoglicosidi è l’inibizione della subunit{ 30S ribosomiale. Essi
penetrano allinterno del batterio mediante un trasporto mediato dall’ossigeno dopodichè il
farmaco si lega alla subunità 30S prima che si formi il complesso ribosomiale completo e
pertanto si ha un’incapacit{ di assemblare correttamente le due parti e oltre a questo si
verifica anche un errore di lettura del codice dell’mRNA con interpretazione errata e sequenze
di stop che portano alla formazione di proteine tronche ed inattive.
L’associazione con i beta lattamici può favorire l’ingresso degli aminoglicosidi nel batterio.
Spettro antibatterico
Tipicamente usati nel trattamento empirico delle infezioni che si sospettano essere sostenute
da batteri gram negativi aerobi compreso pseudomonas. L’effetto non è possibile sugli
anaerobi perché non possiedono un meccanismo di trasporto del farmaco mediato
dall’ossigeno e così per aumentare l’efficacia in genere si associa un farmaco beta-lattamico o
attivo comunque contro gli anaerobi.
Sono battericidi.
Usi terapeutici:
1. Tularemia: francisella tularensis contratta dai cacciatori durante la caccia al coniglio
che dà gravi forme polmonitiche. Viene trattata con gentamicina.
2. Infezioni causate da enterococchi: gentamicina o streptomicina in associazione a
vancomicina o penicillina G in quanto gli enterobatteri sono soggetti a frequenti
episodi di resistenza farmacologica.
3. Infezioni dovute a pseudomonas aeruginosa: tobramicina da sola o in combinazione con
una penicillina anti-pseudomonas come piperacillina. Di solito lo pseudomonas non
colpisce persone sane ma piuttosto immunocompromessi o soggetti che hanno avuto
una grave ustione.
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Resistenza
Può avvenire frequentemente e attraverso diversi meccanismi:
 Riduzione della funzionalità del trasportatore ossigeno dipendente
 Alterazioni del sito di legame sulla subunità 30S
 Sintesi di enzimi associati a plasmidi che degradano il farmaco
Farmacocinetica
Tutti gli aminoglicosidi a parte la neomicina vengono somministrati per via parenterale vista
la loro natura policationica che ostacola l’assorbimento e il passaggio attraverso le membrane
biologiche. La neomicina avendo effetti fortemente nefrotossici non può essere data per via
parenterale e quindi viene data o topicamente o per via orale per trattare le infezioni delle vie
digestive prima di un intervento chirurgico.
Essi hanno una capacità battericida concentrazione e tempo dipendente ed inoltre possiedono
anche un effetto post-antibiotico che gli consente di essere somministrati 1 sola volta al
giorno a differenza dei casi di endocardite infettiva in cui il dosaggio va suddiviso in dosi
ripartite ogni 8 ore.
La distribuzione è scarsa, può raggiungere il liquor ma a concentrazioni non sufficienti per
effetti terapeutici anche quando esse si trovano infiammate. Possono essere somministrate
per via intratecale o intraventricolare ad eccezione della neomicina.
Si accumulano anche nell’endolinfa, nella perilinfa e nella corticale renale dove svolgono la
maggior parte dei loro effetti tossici. Attraversano tutti la placenta e si possono accumulare
nel feto.
Sono tutti rapidamente escreti nelle urine senza essere metabolizzati principalmente per
filtrazione glomerulare.
Effetti avversi:
 Ototossicità: problema importante che può portare anche ad una sordità irreversibile
ed è dovuto all’accumulo degli aminoglicosidi all’interno dell’endolinfa e alla
potenzialit{ di causare danni alle cellule del Corti. L’associazione con un altro farmaco
ototossico come un diuretico dell’ansa può aumentare fortemente il rischio.
Si possono avere anche disturbi dell’equilibrio e vertigini.
 Nefrotossicit{: l’accumulo degli aminoglicosidi compromette i meccanismi di trasporto
e il danno può andare da un lieve deterioramento renale ad una grave necrosi tubulare
acuta.
 Paralisi neuromuscolare: evento che si verifica a seguito della somministrazione
intraperitoneale o intrapleurica di aminoglicosidi forse a seguito della riduzione del
rilascio di acetilcolina dalle terminazioni e anche per desensibilizzazione del terminale
postsinaptico dove ci sono i recettori per Ach.
 Reazioni allergiche: dermatite da contatto è frequente dopo somministrazione topica
di neomicina.
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CHINOLONI E ANTISETTICI DELLE VIE URINARIE
79. I chinolonici: classificazione, meccanismo d’azione,
spettro antibatterico, impieghi terapeutici ed effetti
indesiderati
I chinolinici sono un gruppo di farmaci antibatterici che comprendono diverse generazioni
che si differenziano per l’efficacia antibatterica e per il diverso spettro antibatterico.
I fluorochinolonici sono composti più recenti che hanno dimostrato una maggior efficacia
terapeutica rispetto ai chinoloni standard e il primo farmaco fluorurato ad essere utilizzato è
stato la norfloxacina e quindi dalla seconda generazione in poi.
Essi hanno avuto un ampio utilizzao verso molte specie batteriche anche perché sono molto
ben tollerati e non hanno importanti effetti avversi, tuttavia lo sviluppo di farmacoresistenze
ha comportato una riduzione nell’utilizzo di tali farmaci.
Prima generazione:
- ACIDO NALIDIXICO
Seconda generazione:
- CIPROFLOXACINA (farmaco di riferimento ed in assoluto più utilizzato)
- NORFLOXACINA (capostipite dei fluorurati)
- OFLOXACINA
Terza generazione:
-
LEVOFLOXACINA
GATIFLOXACINA
MOXIFLOXACINA
SPARFLOXACINA
Quarta generazione:
- TROVAFLOXACINA (revocato a seguito di grave epatotossicità)
Meccanismo d’azione
Questi farmaci hanno la potenzialit{ di penetrare all’interno dei batteri sensibili mediante
porine che fanno aumentare la concentrazione intracellulare del farmaco e pertanto sono
molto efficaci anche per quei batteri che trascorrono gran parte della vita all’interno delle
cellule come clamidie, micoplasmi e legionelle. Essi poi si vanno a legare alla topoisomerasi II
(DNA girasi) nei gram negativi ed inibiscono il superavvolgimento del DNA, mentre nei gram
positivi si legano alla topoisomerasi IV che è responsabile del disavvolgimento delle 2 eliche
per permettere la duplicazione e la trascrizione. In questi modi viene impedito il normale
ritorno allo stato conformazionale di doppia elica e il batterio muore.
I chinolonici infatti sono dei battericidi soprattutto associati ad alte concentrazioni.
Spettro antibatterico
 Prima generazione: attività contro i gram negativi (hemofilus, pseudomonas,
moraxella, legionella e anche gonorrea, non sono efficaci per la sifilide), oggi sono poco
utilizzati perché soppiantati dalle generazioni successive più efficaci. Si usano per le
infezioni non complicate del tratto urinario.
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


Seconda generazione:
ampliamento dello spettro
verso cocchi gram positivi
(pneumococco), clamidie e
micoplasmi.
Terza generazione:
miglioramento generale
dell’attivit{ della seconda
generazione nei confronti
di tutti i bersagli
terapeutici
Quarta generazione:
copertura ampliata nei confronti dei gram positivi, mantengono la copertura verso i
gram negativi e acquisiscono capacità contro gli anaerobi.
Usi terapeutici
1. Infezioni respiratorie presistenti: la ciprofloxacina è un’alternativa ai beta lattamici
quando questi presentano resistenza in quanto la ciprofloxacina ha solo una scarsa
attività anti pneumococco. Si usano però soprattutto quelli di terza generazione.
2. Infezioni delle vie urinarie: non sono mai farmaci di prima scelta perché prima vengono
utilizzati
sulfametossazolo e
trometoprin. Può essere
impiegata la
ciprofloxacina e anche la
norfloxacina per infezioni
gravi e persistenti ma
anche non complicate. La
norfloxacina non può
essere usata per le
infezioni sistemiche. Le
prostatiti da escherichia
coli sono trattate
selettivamente con
levofloxacina.
3. Antrace: farmaco di scelta per la profilassi e il trattamento dell’antrace, l’alternativa è
la doxiciclina.
4. Gonorrea: la ciprofloxacina è attiva sia nei confronti di penicillinasi produttori che non
produttori.
5. Infezioni gastrointestinali: trattamento delle diarree acute dovute ai patogeni enterici.
6. Infezioni sistemiche: ciprofloxacina
Resistenza
Il fenomeno della resistenza si è messo in evidenza attraverso una seri di mutazioni
spontanee che hanno determinato 2 meccanismi per l’inefficacia del farmaco:
 Alterazione dell’accumulo intracellulare (le porine sono alterate oppure c’è un maggior
efflusso)
 Alterazione della girasi o della topoisomerasi che non rispondono più al chinolone.
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Farmacocinetica
Somministrazione per via orale ma c’è possibilità di uso parenterale per ciprofloxacina,
levofloxacina e ofloxacina. Le altre sono assunte oralmente.
La norfloxacina viene assorbita in quantità molto minori rispetto agli altri fluorochinolonici.
Il calcio e cationi come ferro e zinco possono interferire con l’assorbimento (infatti assunzione
di latte o yogurt riduce l’assorbimento).
Quelli con emivita più lunga consentono una somministazione monogiornaliera.
I chinoloni hanno una efficacia concentrazione dipendente e infatti si è visto che la capacità
battericida aumenta notevolmente raggiungendo concentrazioni pari a 30 volte la MIC. Infatti
il rapporto AUC/MIC è vicino a 100.
La distribuzione è massima nel liquido prostatico, nello sperma, nel rene e nella bile. In minor
misura nei tessuti orali, polmone e ossa.
I metaboliti si ritrovano nella bile ma anche nelle urine.
Effetti avversi:
generalmente sono pochi e ben tollerati:
 SNC: nausea, capogiri e cefalea. Inoltre sembra che abbassino la soglia delle convulsioni
e pertanto i pazienti epilettici devono essere trattati con molta accuratezza.
 Nefrotossicità: pazienti sottoposti a dosi eccessive hanno manifestato cristalluria
 Fototossicità: si è verificata una aumentata incidenza di eritemi o eruzioni cutanee in
esposizione al sole, consigliabili schermi protettivi.
 Rotture tendinee: sono stati descritti casi di rottura del tendine di Achille dopo
assunzione di fluorochinolonici. Il rischio relativo di tendinite è 3.7. i segni sono dolore
importante e improvviso, mentre sono meno frequenti edema e difficoltà al
movimento. Il trattamento di durata media prima della comparsa di tendinite è
approssimativamente 8 giorni anche se si è dimostrata la possibilità di inzio dei
sintomi anche 2 ore dopo la prima dose. Per questa complicanza esistono dei fattori di
rischio concomitanti come uso di corticosteroidi, insufficienza renale, emodialisi e
trapianti. Gli anziani sono più esposti in quanto in questo periodo sono più frequenti le
infezioni urinarie e si fa più uso di fluorochinolonici.
 Epatotossicità: soprattutto nel caso della trovafloxacina che oggi appunto è stata
revocata.
 Torsioni di punta: questi farmaci possono interagire con i canali HERG del potassio e
causare quindi torsioni di punta per allungamento del tratto QT e potenzialmente sono
proaritmici. Per questo dovrebbero essere evitati in pazienti predisposti ad aritmie o
che assumono farmaci antiaritmici.
 Controindicazioni: gravidanza e allattamento perché si è visto che si possono
sviluppare artropatie fetali.
 Interazioni farmacologiche: ciprofloxacina, ofloxacina e enoxacina possono bloccare il
citocromo P-450 causando un aumento dell’emivita della teofillina, warfarin, caffeina e
ciclosporina. La cimetidina interferisce con l’eliminazione dei fluorochinolonici.
L’enoxacina provoca convulsioni se data insieme all’antinfiammatorio fenoprofene.
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
80. I farmaci per le infezioni delle vie urinarie:
classificazione, meccanismo d’azione, spettro antibatterico,
impieghi terapeutici ed effetti indesiderati
Le infezioni delle vie urinarie sono un problema molto comune soprattutto per gli anziani e
per le donne in gravidanza. Per infezioni delle vie urinarie si intende in genere cistite acuta
non complicata e pielonefrite. I batteri maggiormente responsabili sono in primo luogo
escherichia coli seguito in misura molto minore da stafilococcus saprofiticus, klebsiella
pneumoniae e proteus mirabilis.
Queste infezioni vengono trattate con uno dei composti detti antisettici delle vie urinarie che
comprendono:
- Acido nalidixico
- Metenamina
- Nitrofurantoina
Essi non raggiungono concentrazioni antibatteriche in circolo e pertanto sono efficaci
nell’eradicare le infezioni del tratto urinario alto e basso senza dare effetti sistemici.
Acido nalidixico
L’ACIDO NALIDIXICO è un chinolone di prima generazione attivo principalmente sui gram
negativi bacilli del tratto urinario. Non è fluorurato. È somministrato per via orale e si ritrova
nelle urine come metabolita.
Metenamina
Meccanismo d’azione
La METANEMINA svolge la sua azione antibatterica a pH urinario acido di 5.5 o più basso se è
più alto di tale soglia il farmaco non ha effetto. Il farmaco viene sottoposto all’azione dell’acido
e viene convertito in ione ammonio e formaldeide. È proprio la formaldeide il responsabile
della tossicità batterica in quanto molti batteri sono sensibili alla formaldeide. La reazione è
abbastanza lenta e richiede in media 3 ore. Non si sviluppa resistenza ed è opportuno non
somministrarla in pazienti con catateri permanenti.
Associata ad acido mandelico aumenta la sua attività visto che si abbassa il pH urinario.
Spettro antibatterico
È efficace per le infezioni delle vie urinarie inferiori ma meno efficiente per quelle superiori. È
utilizzata per il trattamento cronico soppressivo. Esistono alcuni batteri come proteus che
idrolizzano l’urea alcalinizzando le urine e pertanto sono resistenti al farmaco.
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Farmacocinetica
Viene assunta per via orale. Essa produce nelle urine anche ione ammonio insieme a
formaldeide e questo implica che in pazienti con problemi epatici che non riescono quindi a
metabolizzare efficacemente l’urea ci possa essere una elevata concentrazione di ioni
ammonio che possono essere dannosi per il SNC.
Si distribuisce in tutti i liquidi dell’organismo ma anche se viene assorbita a pH 7.4 non è
attiva e quindi non c’è tossicit{ sistemica. È eliminato con le urine.
Effetti avversi
 Sofferenza gastrointestinale
 Albuminuria, ematuria e reazioni cutanee (ad alte dosi)
 Controindicazioni: la metanemina mandelato è controindicata nei pazienti con
insufficienza renale perché l’acido mandelico può precipitare peggiorando la
nefropatia; non somministrare la metanemina insieme ai sulfamidici in quanto questi
ultimi reagiscono con la formaldeide.
Nitrofurantoina
La NITROFURANTOINA è utilizzata meno frequentemente nel trattamento delle infezioni
urinarie in quanto ha un ristretto spettro antibatterico e risulta tossica.
Esso entra nel batterio e inibisce determinati enzimi ed altera il DNA, ciò comporta nella
maggior parte dei casi un effetto batteriostatico. È utile contro escherichia coli ma per i batteri
gram negativi ci può essere qualche resistenza. I cocchi gram positivi sono molto sensibili.
Effetti avversi comprendono disturbi gastrointestinali, polmonite acuta e problemi
neurologici.
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ANTIMICOBATTERICI
81. Farmaci antitubercolari (classificazione, meccanismo
d’azione, spettro antibatterico, impieghi terapeutici ed effetti
indesiderati)
I micobatteri sono batteri che presentano alcune caratteristiche peculiari come la presenza di
uno strato esterno alla parete fatto di acidi micolici che non permettono una adeguata
colorazione Gram ma una volta colorati il trattamento con acidi non permette più la
scoloritura e per questo sono definiti acido-resistenti.
- Antimicobatterici per la tubercolosi
- Antimicobatterici contro batteri atipici
Il micobatterio si localizza a livello intracellulare e soprattutto si ritrova all’interno dei
macrofagi e pertanto serve un farmaco che riesca a penetrare dentro ai batteri. Oggi per la
tubercolosi vengono indicati 5 farmaci di prima linea ed una serie di farmaci di seconda linea.
TUBERCOLOSI
Si tratta di una patologia infettiva responsabile della maggior parte delle infezioni mondiali ed
è anche una importante causa di mortalità. Il batterio in questione è il micobacterium
tubercolosis ed è potenzialmente in grado di causare danni polmonari, renali, ossei e
meningei. La sua replicazione è molto lenta e quindi il trattamento va da un minimo di 6 mesi
fino a 2 anni.
Ad oggi la tubercolosi è ritornata un problema importante per la società in quanto:
- Sono aumentati i flussi migratori di popolazioni in cui la TBC è ancora endemica
- Sono aumentati i pazienti immunodepressi a seguito di trapianti o terapia
antitumorale
Il primo farmaco impiegato per trattare la tubercolosi fu la streptomicina ma questa andò
subito incontro a diverse resistenze e pertanto ad oggi è necessario instaurare un trattamento
di polichemioterapia e non un solo farmaco sempre per le potenziali resistenze ad almeno un
composto.
- Isoniazide
- Rifampicina
- Pirazinamide
Farmaci di prima linea
- Etambutolo
- Streptomicina
- Acido aminosalicilico
- Capreomicina
- Cicloserina
- Etionamide
Farmaci di seconda
linea
- Fluorochinoloni
- Macrolidi
A causa delle frequenti resistenze per il trattamento della TBC non si usa mai un farmaco da
solo ma vengono almeno impiegati 2 farmaci diversi. Il trattamento della malattia si estende
per molto tempo anche dopo il termine della malattia per tentare di eradicare anche le forme
silenti nascoste dentro i macrofagi.
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
Oggi il trattamento a breve termine prevede isoniazine + rifampicina e pirazinamide per 2
mesi e successivamente isoniazide e rifampicina per i 4 mesi successivi. A questo schema
possono essere aggiunti l’etambutolo o la streptomicina.
ISONIAZIDE
L’isoniazide è il farmaco antitubercolare più potente ed il suo utilizzo ha rivoluzionato
l’approccio alla tubercolosi che è divenuta una malattia curabile.
Si tratta dell’idrazide dell’acido isonicotinico che è un analogo di sintesi della piridossina.
Tuttavia non può essere somministrato in monoterapie nella TBC attiva in quanto si sono
verificate numerosissime resistenze.
Meccanismo d’azione
Il farmaco penetra nel micobatterio e agisce attivandosi attraverso una catalasi-perossidasi
batterica che altrimenti non permetterebbe la trasformazione attiva del farmaco. Qui il
farmaco agisce inibendo alcuni enzimi che catalizzano la formazione degli acidi micolici che
servono per la sintesi della barriera esterna che consente la resistenza agli acidi del
micobatterio. In questo modo si ha un’azione batteriostatica per i batteri in fase di quiescenza
ed una batteriolisi con i microbi in fase replicativa.
Spettro antibatterico: fondamentale in politerapia contro il micobacterium tubercolosis ma
anche per il kansasii.
Resistenza
È mediata da alcune conseguenze come:
- Alterazione della KatG (la proteina che permette l’attivazione del profarmaco in
isoniazide)
- Alterazioni delle proteine trasportatrici di gruppi acilici
- Sovraespressione dell’enzima InhA (tipico bersaglio del farmaco)
Farmacocinetica
Il farmaco viene somministrato per via orale e l’assorbimento è buono ma può essere
ostacolato dal cibo soprattutto carboidrati o antiacidi contenenti magnesio e alluminio.
La distribuzione è in tutti i liquidi e preferenzialmente nei tessuti caseosi tipici dei granulomi
tubercolari. La penetrazione nel LCR è analoga alla penetrazione sistemica.
L’isoniazide è sottoposta ad acetilazione da parte del fegato. Esistono differenze genetiche a
proposito del processo di acetilazione. Il carattere di acetilatore rapido è autosomico
dominante e viene interpretato come capacità di eliminare maggiormente i composti
metaboliti inattivi. Gli acetilatori lenti invece determinano una maggior eliminazione del
farmaco come tale piuttosto che nelle forme di metaboliti inattivi.
L’epatopatia cronica fa diminuire il metabolismo dell’isoniazide e le concentrazioni vanno
ridimensionate.
L’eliminazione prevede un escrezione per filtrazione glomerulare.
Effetti avversi: (generalmente incidenza bassa a parte per le ipersensibilità sempre possibili)
 Neurite periferica: il meccanismo con cui si verifica la neurite (che si manifesta con
parestesie) è una modalità particolare in cui sembra che il farmaco si associ ad una
riduzione della piridossina (vitamina B6). Il fenomeno viene trattato con
somministrazione di piridossina. Nel latte materno il farmaco può raggiungere
concentrazioni tali da causare una perdita di piridossina nel feto. Se la trasmissione nel
latte è inferiore al 20% si può continuare normalmente l’allattamento.
 Epatite ed epatotossicit{: si può sviluppare un’epatite che può risultare fatale. Il
meccanismo sembra dovuto ad un’azione di un metabolita tossico della
monoacetilidrazina formata durante il metabolsimo dell’isoniazide. Più frequente negli
anziani e in quelli che assumono rifampicina.
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 Interazione con farmaci: può potenziare gli effetti avversi della fenitoina perché
inibisce il suo metabolismo.
 Altri effetti avversi: disturbi mentali, convulsioni, neurite ottica. Le reazioni di
ipersensibilità comprendono eruzioni cutanee e febbre.
RIFAMPICINA
La rifampicina è il farmaco antitibercolare per eccellenza e possiede una potenza battericida
molto maggiore che l’isoniazide. Tuttavia non viene somministrato mai da solo per la
possibilità elevata di sviluppare resistenze. È attivo anche contro hemofilus influenzae da solo
e anche micobatteri atipici come il kansasii e il leprae. La rifabutina (analogo sintetico) ha
attività anche sul micobacterium avium.
Esiste anche una forma modificata detta RIFAMIXINA che viene utilizzata per trattare le forme
intestinali come la diarrea del viaggiatore visto che non viene assorbita dall’intestino.
La RIFABUTINA è un’altra sostanza del gruppo della rifampicina che non ha azioni di induttore
enzimatico e dovrebbe quindi essere considerata nel trattamento dei pazienti in terapia per
HIV.
Meccanismo d’azione
La rifampicina entra nella cellula batterica e si lega selettivamente all subunità beta della
RNA-polimerasi DNAdipendente determinando un blocco della sintesi di RNA nella tappa di
iniziazione. È specifico per le cellule procarioti.
Spettro antibatterico: micobatteri tipici e atipici, hemofilus
Resistenza: si può verificare facilmente resistenza a causa di :
- Alterazione del sito di legame alla RNA polimerasi
- Riduzione dell’accumulo intracellulare
Farmacocinetica
Il farmaco si assorbe attivamente per via orale e si distribuisce in tutti i liquidi. Nel liquor si
distribuisce anche senza infiammazione delle meningi. È captato dal fegato e sottoposto a
ricircolo enteroepatico ed eliminato in parte con la bile ed in parte con le urine in forma di
metaboliti ed in forma di farmaco immodificato. L’accumulo epatico provoca un effetto di
induzione enzimatica sul citocromo P-450 ed aumenta il metabolismo del farmaco stesso ma
anche di altri farmaci.
Visto che possiede dei gruppi cromofori le secrezioni possono assumere un colore arancione
ed il paziente deve essere avvertito di questa possibilità (urine e
lacrime).
Effetti avversi:
 Nausea e vomito
 Eruzioni cutanee
 Febbre
 Interazione con altri farmaci: diminuzione del tempo di
dimezzamento di ketoconazolo, warfarin, sulfaniluree,
prednisone, propranololo, chinidina, contraccettivi orali,
digitossina.
PIRAZINAMIDE
Si tratta sempre di un farmaco antitubercolare di prima scelta utilizzato insieme all’isoniazide
e alla rifampicina.
Meccanismo d’azione
Rimane sostanzialmente ignoto anche se si sa che viene introdotto all’interno del batterio ed
idrolizzato enzimaticamente ad acido pirazinoico che è la forma attiva. Certi batteri resistenti
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non possiedono la pirazinamidasi. È molto efficace non solo per i batteri liberi ma anche per
quelli incorporati nei lisosomi acidi e nei macrofagi.
Farmacocinetica
Si distribuisce ampiamente in tutto l’organismo, penetra nel LCR e subisce esteso
metabolismo epatico. Eliminato con la bile e con le urine.
Effetti avversi:
 Tossicità epatica
 Ritenzione di urati: è possibile che ci sia un’interferenza con l’eliminazione renale degli
urati e pertanto si può sviluppare gotta.
ETAMBUTOLO
Si tratta di un farmaco batteriostatico che viene impiegato per il trattamento della tubercolosi
essendo specifico per micobacterium tubercolosis e kansasii. Non essendo battericida deve
essere assunto insieme ad altri farmaci che possono essere quindi la pirazinamide, l’isoniazide
e la rifampicina.
Meccanismo d’azione
Entra nel batterio ed inibisce l’arabinosil transferasi un enzima importante per la sintesi
dell’arabinogalattano della parete cellulare micobatterica.
Farmacocinetica
Il problema della resistenza non è rilevante se assunto insieme ad altri farmaci
Viene assorbito per via orale e diffonde a tutto l’organismo penetrando anche nel LCR in
concentrazioni adeguate per la terapia della meningite tubercolare.
Sia il farmaco immodificato che i metaboliti vengono escreti per secrezione tubulare e
filtrazione glomerulare.
Effetti avversi:
 Neurite ottica: perdita progressiva dell’acutezza visiva che si manifesta con una
difficoltà a distinguere il rosso dal verde. La sospensione del farmaco fa regredire i
sintomi.
 Peggioramento della gotta
Confronto del margine terapeutico dei farmaci antitubercolari di prima linea.
L’indice terapeutico è alto per l’isoniazide e la rifampicina mentre è più ristretto per
pirazinamide, etambutolo e streptomicina e quindi questi farmaci devono essere usati con più
attenzione.
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Farmaci di seconda linea
Questi farmaci sono definiti di seconda linea perché o sono meno efficaci rispetto ai
precendenti oppure perché vengono impiegati per la loro attività ampia su micobatteri atipici.
La streptomicina è stato il primo antibiotico ad essere usato per la TBC tuttavia aveva il
difetto di essere attivo solo sui microrganismi extracellulari e in più si sviluppano
velocemente resistenze.
 ACIDO AMINOSALICILICO: scarsamente usato perché mal tollerato. Inibisce il PABA nella
biosintesi dei folati
 CAPREOMICINA : inibisce la sintesi proteica per via parenterale. Si impiega soprattutto
per il trattamento della TBC resistente a farmaci. Attenzione all’ototossicit{ e
nefrotossicità.
 CICLOSERINA : è un farmaco batteriostatico che interferisce con la sintesi della parete
batterica che coinvolge la D-alanina. Si distribuisce in tutti i liquidi e anche nel LCR. È
escreta con le urine sia immodificata che sotto forma di metabolita.
 ETIONAMIDE: farmaco analogo strutturale dell’isoniazide che inibisce l’acetilazione di
quest’ultima aumentando quindi la sua emivita. Metabolizzata ed escreta con l’urina.
Tra gli effetti avversi ci sono irritazione gastrica, epatotossicità e neuropatie
periferiche trattabili con la vitamina B6 (piridossina)
 FLUOROCHINOLONI : attivi contro microrganismi atipici o batteri resistenti a più
farmaci. Trovano un impiego importante la Gatifloxacina e la Moxifloxacina
abbreviando la durata della terapia necessaria.
 MACROLIDI : azitromicina e claritromicina vengono usati col complesso etambutolo e
rifabutina per il micobacterium avium intracellulare. Per i pazienti con HIV si
preferisce l’azitromicina per evitare al massimo l’interazione con i farmaci
antiretrovirali.
MDR-TB: multi drug resistance, batteri resistenti ad almeno isoniazide e rifampicina
XDR-TB: resistenza che si sviluppa durante terapia (extensively drug resistance)
Questi ultimi sono resistenti a rifampicina isoniazide e fluorochinoloni oltre a qualsiasi
farmaco di seconda linea. Queste forme non rispondono ai 6 mesi di terapia e possono
richiedere fino a 2 mesi aggiuntivi con farmaci più tossici, meno potenti e più costosi.
Chemioprofilassi della TBC
Il trattamento profilattico della TBC dovrebbe essere effettuato sia nei pazienti che hanno
un’infezione latente o inattiva sia in quelli che sono a stretto contatto con pazienti patologici.
Normalmente per vedere la preesistente esposizione al batterio si fa il test alla tubercolina
che viene somministrata per via intradermica e si guarda la reazione cutanea che ne consegue.
Se si forma un eczema significa che il paziente ha avuto il contatto con il micobatterio e può
essere in uno stato di infezione latente o inattiva. In questo caso il paziente dovrebbe seguire
una profilassi farmacologica di 6-9 mesi con isoniazide o di 4 mesi con rifampicina se
l’isoniazide non può essere usata. In pazienti affetti da HIV è stata proposta una terapia
giornaliera di 2 mesi con rifampicina e pirazinamide.
Dovrebbero essere sottoposti a profilassi i pazienti con:
- Test positivo alla tubercolina (area cutanea > 5 mm) e segni di infezione in atto
- Soggetti con test positivo (area cutanea > 10 mm) non immunocompromessi con
fattori di rischio ma senza evidenza della malattia.
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-
Pazienti con malattia tubercolare all’anamnesi ma in cui la malattia è al momento
inattiva.
- Familiari che sono a stretto contatto con pazienti tubercolotici e che hanno un test
negativo dovrebbero essere esposti a 6 mesi di isoniazide specialmente i bambini. Se il
test è positivo si dovrebbe allungare il trattamento a 12 mesi.
- Pazienti con TBC inattiva che non hanno ricevuto un trattamento adeguato dovrebbero
assumere isoniazide per 1 anno
- I tossicodipendenti devono assumere isoniazide per 12 mesi, se ci sono ceppi resistenti
si passa a rifampicina e pirazinamide o a dosi elevate di pirazinamide ed etambutolo
con o senza un fluorochinolone.
L’isoniazide dovrebbe essere data agli adulti 300 mg al giorno e ai bambini 10 mg/Kg.
Il rischio principale è sempre l’epatite. Utile la somministrazione di piridossina in soggetti
suscettibili alla neuropatia.
Se patologie epatiche in atto o reazioni avverse all’isoniazide si d{ rifampicina per 4 mesi.
Nelle donne in gravidanza la profilassi dovrebbe essere spostata dopo il parto.
Nuovi farmaci anti-TBC
Agiscono inibendo l’ATP-sintetasi specifica del micobatterio
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LEBBRA
Si tratta di una condizione patologica rara negli Stati Uniti ma molto frequente in certe zone
del mondo, si stima infatti che circa il 70% dei casi di lebbra si verifichino in India.
Il microrganismo incriminato è il Micobacterium Leprae che viene trasmesso per contatto
cutaneo o secrezioni nasali in quanto si concentra preferibilmente nelle secrezioni nasali e
sulla cute formando lesioni superficiali.
Viene consigliato un trattamento triplo per l’eradicazione della malattia:
- Dapsone
- Clofazimina
- Rifampicina
DAPSONE
Si tratta di un farmaco simile ai sulfamidici ed è batteriostatico nei confronti di M. Leprae ma
possono esserci resistenze. Esso è efficace anche contro la polmonite da pneumocistis jiroveci.
Meccanismo d’azione: antagonista della sintesi dell’acido folico legandosi al PABA
Farmacocinetica: è ben assorbito per via orale e si distribuisce ampiamente con
concentrazioni elevate nella cute. Entra nel circolo entero-epatico ed è sottoposto ad
acetilazione. Viene eliminato con le urine sia in forma immodificata che come metabolita.
Effetti avversi:
 Emolisi, metaemoglobinemia: in quanto è un forte ossidante e risulta tossico nei
pazienti con carenza della G6PDH.
 Neuropatie periferiche
 Eritema nodoso delle labbra: complicanza grave che viene trattata con corticosteroidi
o talidomide.
CLOFAZIMINA
È un colorante fenazinico che si lega al DNA e ne inibisce la funzione di stampo per la
successiva replicazione. Esso ha anche un forte potenziale ossidoreduttivo e può portare alla
formazione di radicali che danneggiano il batterio stesso.
Agisce sul micobacterium leprae ed ha una certa attivit{ nei confronti dell’avium
intracellulare.
Il farmaco ha anche attività antinfiammatoria e pertanto non determina la comparsa di
eritema nodoso delle labbra.
Assorbito per via orale si accumula nei tessuti ma non entra nel SNC.
Effetti avversi:
 Colorazione rosso-bruna della cute
 Eosinofilia
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ANTIMICOTICI
ANTIMICOTICI
82. Farmaci antifungini sistemici: classificazione,
meccanismo d’azione, spettro antibatterico, impieghi
terapeutici ed effetti indesiderati
Le infezioni sostenute da funghi sono definite micosi e si differenziano in:
- Micosi sottocutanee (o sistemiche)
- Micosi cutanee
Molto gravi e di fondamentale importanza per un trattamento adeguato sono quelle
sistemiche. I miceti sono cellule eucariotiche e possiedono una parete di chitina anziché di
peptidoglicano. Il costituente più frequente della membrana è l’ergosterolo anziché il
colesterolo presente sulle membrane cellulari biologiche. In questo caso l’ergosterolo è un
bersaglio micotico specifico che esonera in parte i farmaci dalla tossicità delle cellule
dell’organismo. Le micosi sono sempre più frequenti a causa della maggior incidenza di
trapianti ed immunosoppressioni, virus HIV, farmaci chemioterapici antitumorali.
I farmaci antimicotici vengono somministrati soprattutto per via sistemica nel caso delle
infezioni sistemiche e topicamente nel corso di infezioni cutanee, unica eccezione è la
griseofulvina che viene assorbita e poi si ridistribuisce alla cute.
MICOSI SISTEMICHE
- Amfotericina B
- Flucitosina
- Fluconazolo
- Itraconazolo
- Ketoconazolo
- Caspofungin
- Voriconazolo
AMFOTERICINA B
Si tratta di un farmaco antifungino molto utilizzato in ospedale per le infezioni gravi ed è di
prima scelta nonostante i noti effetti avversi. Talvolta è usata in associazione con la flucitosina
in modo da limitare le dosi di amfotericina.
Meccanismo d’azione: le molecole di amfotericina si legano
all’ergosterolo della membrana plasmatica dei miceti e ne
provocano l’apertura consentendo agli elettroliti di iniziare un
flusso diretto per il potassio verso l’esterno e il sodio all’interno. Da
questo ne deriva morte cellulare.
Spettro antimicotico: molto efficace nei confronti di certi
organismi come
 Candida albicans
 Histoplasma capsulatum
 Cryptococcus neoformans
 Coccidioides, Blastomyces
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 Alcuni tipi di aspergillo
 (attivo per il trattamento della leishmaniosi)
Resistenza: essa si può verificare solo se il micete subisce una riduzione del contenuto di
ergosterolo.
Farmacocinetica: il farmaco viene somministrato per via endovenosa ad infusione lenta e nel
trattamento delle meningiti fungine può essere scelta la pericolosa via intratecale. Per ridurre
la tossicità renale sono state fatte preparazioni in cui l’amfotericina è coniugata a fosfolipidi e
colesterolo a formare dei liposomi che riducono decisamente l’incidenza delle complicanze
renali, tuttavia a causa del loro costo elevato non vengono utilizzate di frequente ma solo nelle
emergenze e nei pazienti che proprio non tollerano l’amfotericina standard.
Il farmaco si distribuisce nei liquidi ma scarsamente nel LCR, si lega alle proteine plasmatiche
e l’eliminazione è principalmente urinaria sove permangono per molto tempo i metaboliti ma
anche biliare.
Effetti avversi:
 Febbre e brividi (scompaiono con le somministrazioni ripetute)
 Nefrotossicità: riduzione della funzione tubulare e glomerulare, perdita di potassio,
aumento creatininemia e iperazotemia che si aggrava se sono assunti altri nefrotossici
come aminoglicosidi o ciclosporina.
 Ipotensione: accompagnata da ipokaliemia
 Anemia: soppressione parziale della produzione eritrocitaria
 Effetti neurologici
 Tromboflebite: l’aggiunta di eparina può alleviare il problema.
FLUCITOSINA
È un farmaco efficace contro le candidosi, criptococcosi e cromoblastomicosi. Presenta un
sinergismo spiccato con l’amfotericina B.
Meccanismo d’azione: la flucitosina entra nella cellula fungina
grazie ad una specifica permeasi che non si trova nei mammiferi e
quindi non entra nelle cellule dell’organismo. Esso è un
antimetabolita pirimidinico sintetico e quindi come tale viene
trasformato dalla cellula micotica in 5-FU ed in seguito a 5FdUMP in modo da essere convertita in dTMP da incorporare
come nucleotide nel DNA. Tuttavia il 5-FdUMP non è riconosciuta
adeguatamente dal sistema enzimatico fungino e si ha un arresto
della sintesi dei nucleotidi timidinici con blocco della sintesi del
DNA. In seguito il composto viene incorporato nell’RNA come 5FdUTP ma in questo modo si ha un’alterazione dell’RNA che
blocca la sintesi proteica. Si tratta quindi di un fungistatico.
Spettro antimicotico:
 Cromoblastomicosi (associata all’itroconazolo)
 Criptococcosi e Candidosi (associata all’amfotericina B)
Resistenza: si sviluppa resistenza quando si alterano gli enzimi
coinvolti nella produzione di 5-FU a partire da 5-FC, oppure per
l’aumento di sintesi di citosina. La resistenza è un fenomeno raro
quando viene impiegata insieme ad altri farmaci antimicotici.
Farmacocinetica: l’assorbimento è per via orale con distribuzione a tutto l’organismo e
raggiunge bene il LCR. Nell’organismo si rileva la presenza di 5-FU probabilmente prodotta
per il metabolismo dei batteri intestinali della 5-FC e alcuni effetti avversi fanno riferimento
proprio alla fluorouracile.
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
Viene escreta mediante filtrazione glomerulare e deve essere aggiustata la dose nei
nefropatici.
Effetti avversi:
 Neutropenia reversibile
 Trombocitopenia
 Depressione midollare (a volte) (attenzione alla gravidanza e ai pazienti che sono
sottoposti a radiazioni o chemioterapici che riducono la produzione midollare)
 Disfunzione epatica: danno sia epatocellulare che colestatico
 Disturbi gastrointestinali: può esserci una colite, nausea vomito e diarrea sono
frequenti.
KETOCONAZOLO
È il primo farmaco della famiglia degli Azoli che oggi è stato rimpiazzato da altri farmaci più
nuovi che hanno minori effetti collaterali perché più selettivi per la cellula fungina ed inoltre
hanno spettro più ampio.
Meccanismo d’azione: il ketoconazolo come gli altri azolici
inibisce la C-14alfa-demetilasi che è un enzima fondamentale
nella trasformazione del lanosterolo ad ergosterolo. È un
enzima del complesso P-450. L’ergosterolo pertanto non viene
prodotto e si ha un’alterazione della membrana fungina.
Tuttavia il farmaco non è selettivo e si è visto che inibisce
anche la sintesi degli steroidi sessuali e del cortisolo per cui dà
problemi e complicanze endocrine.
Spettro antimicotico:
 Histoplasma (istoplasmosi polmonare, ossea, cutanea e
dei tessuti molli)
 Blastomices
 Candida
 Coccidioides
Non è attivo per gli aspergilli. Resta un farmaco di seconda scelta per il trattamento delle
micosi mucocutanee.
Resistenza: è un problema crescente, si sono messi in evidenza dei ceppi che hanno
alterazioni della demetilasi e non sono sensibili quindi al ketoconazolo. In più alcuni funghi
hanno capacità di espellere il derivato azolico.
Farmacocinetica: assorbito adeguatamente per via orale viene assorbito dalla mucosa
gastrica in modo efficiente soprattutto grazie all’acidit{. Tutti i composti che aumentano il pH
determinano una riduzione dell’assorbimento del farmaco. Esso si lega alle proteine
plasmatiche e si distribuisce ma non entra nel liquor. È metabolizzato dal fegato ed escreto
nella bile. I livelli urinari sono estremamente bassi e non è possibile utilizzarlo per le micosi
delle vie urinarie.
Effetti avversi:
 Allergie
 Effetti gastrointestinali: nausea, vomito, diarrea
 Effetti endocrini: ginecomastia, dismenorrea, impotenza e riduzione della libido
 Effetti epatici: si possono avere aumenti di transaminasi ma sono rare le forme
epatitiche gravi.
 Interazioni farmacologiche: essendo un inibitore di un enzima del complesso P-450 va
inevitabilmente ad agire anche sul fegato riducendo la funzione delle ossidasi e di
conseguenza aumenta il tempo di dimezzamento e la durata d’azione di molti farmaci
metabolizzati da questo complesso come fenitoina, warfarin, ciclosporina e
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
tolbutamide. La rifampicina è un induttore enzimatico e di conseguenza riduce la
durata d’azione del ketoconazolo e degli altri azoli.
Non si può somministrare insieme all’amfotericina B in quanto l’azione inibente la
sintesi di ergosterolo del ketoconazolo rende inutile l’amfotericina B
 Teratogeno: controindicato in gravidanza
FLUCONAZOLO
Derivato azolico più recente che ha grossi impieghi terapeutici perché non possiede gli effetti
dannosi endocrini del ketoconazolo ed ha spettro più ampio.
Meccanismo d’azione: analogo al ketoconazolo
Spettro antimicotico:
 Criptococcus neoformans
 Candidemia
 Coccidioidomicosi
 Candidosi mucocutanee
Viene impiegato anche come profilattico dopo il trapianto di midollo osseo per evitare le
infezioni fungine opportunistiche.
Resistenza: segnalati fenomeni in pazienti con HIV
Farmacocinetica: assorbito per via orale senza interferenze col pH gastrico a differenza del
ketoconazolo ed inoltre riesce ampiamente a distribuirsi nel liquor sia a meningi infiammate
che normali. Può essere somministrato anche per via endovenosa. È scarsamente
metabolizzato e escreto con le urine immodificato. A volte è necessario modificare le dosi per i
nefropatici.
Effetti avversi: non possiede gli effetti indesiderati endocrini e non inibisce il citocromo P450. Tuttavia possono esserci alcune interazioni con altri farmaci metabolizzati dal complesso
enzimatico del fegato.
Può dare nausea, vomito ed eruzioni cutanee. L’epatite è rara.
Come tutti gli azoli è teratogeno e non va usato in gravidanza.
ITRACONAZOLO
Si tratta di un composto azolico più recente che è diventato molto utile a causa del suo ampio
spettro antimicotico.
Il meccanismo d’azione è analogo agli altri azoli.
È il farmaco di prima scelta nel trattamento di:
 Blastomicosi
 Aspergillosi
 Sporotricosi
 Paracoccidioidomicosi
 Istoplasmosi (efficace anche in pazienti con AIDS)
Il farmaco viene assorbito per via orale ma risente dell’acidit{ gastrica che serve per
solubilizzarlo. Il cibo può interferire con certe preparazioni. Si lega alle proteine plasmatiche e
viene metabolizzato in un intermedio che mantiene un certo grado di attività antimicotica.
Viene poi espulso con le feci e nelle urine si ritrovano concentrazioni bassissime del farmaco
originario per cui non è necessario aggiustare le dosi nei nefropatici.
Si distribuisce bene in tutti i tessuti ma non raggiunge concentrazioni utili nel liquor.
Gli effetti avversi comprendono nausea, vomito, eruzioni cutanee, ipokaliemia, ipertensione,
edema e cefalea. Non deve essere usato in gravidanza.
Può rallentare il metabolismo di anticoagulanti orali, chinidina e statine.
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VORICONAZOLO
È un nuovo farmaco azolico ad ampio spettro che viene utilizzato nei casi di:
 Aspergillosi invasiva
 Infezioni gravi da scedosporium apiospermum
 Specie di fusarium
È attivo per via orale e penetra nel SNC. Viene eliminato per metabolismo epatico e si ritrova
nella bile come composto inattivo.
Gli effetti avversi sono analoghi a quelli degli altri azoli, in più si manifestano dei problemi
visivi appena dopo l’assunzione.
CASPOFUNGIN
È il primo farmaco approvato con funzione antimicotica della classe delle echinocandine.
Meccanismo d’azione: inibisce la produzione del D-glicano che è un componente essenziale
della parete micotica causando quindi lisi e morte cellulare.
Spettro antimicotico: limitato a aspergillo e candida.
È il farmaco di prima scelta nei pazienti che non hanno risposto agli azoli o all’amfotericina.
Farmacocinetica: il farmaco non è assorbito per via orale e quindi va dato esclusivamente
per via parenterale. Si lega estesamente alle proteine plasmatiche ed ha emivita di circa 10
ore.
Il catabolismo avviene per idrolisi ed N-acetilazione da parte del fegato con escrezione in
egual misura dalle urine e dalle feci.
Effetti avversi: febbre, eruzioni cutanee, nausea, flebiti, vampate di calore (mediate dalla
liberazione di istamina).
Non deve essere somministrato insieme a ciclosporina. È molto costoso.
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83. Farmaci antifungini topici
Le infezioni cutanee fungine sono dette dermatofitosi e sono associate ad infezioni da parte di
funghi che crescono principalmente sulla superficie cutanea utilizzando cheratina come
sostanza nutritiva.
In questo caso quindi si preferiscono le somministrazioni topiche di antifungini in modo da
massimizzare l’azione localmente.
MICONAZOLO, CLOTRIMAZOLO, ECONAZOLO
Si tratta di derivati azolici che risultano estremamente tossici da somministrare per via orale
o parenterale e pertanto il loro impiego si limita all’utilizzo cutaneo topico. Essi hanno lo
stesso meccanismo d’azione degli altri azoli e anche lo stesso spettro antimicotico del
ketoconazolo.
Impiego in:
 Dermatiti da contatto
 Irritazione vulvare ed edema
Il miconazolo ha causato emorragie in pazienti che assumevano warfarin anche per via topica
e quindi è sconsigliato il suo utilizzo in pazienti in TAO.
Nel trattamento delle candidosi vulvari non c’è una marcata differenza con la nistatina.
NISTATINA
La nistatina è un antibiotico polienico che ha un meccanismo d’azione e una struttura chimica
che richiama l’amfotericina. Trova un impiego topico nelle candidosi.
La sua estrema tossicità non consente la somministrazione parenterale. Tuttavia può essere
dato per via orale in quanto l’assorbimento gastrointestinale è trascurabile e il farmaco si
ritrova del tutto nelle feci. Si usa oralmente per trattare le candidosi orali o intestinali.
Gli effetti avversi sono molto rari non essendoci assorbimento ma talvolta possono comparire
nausea e vomito.
GRISEOFULVINA
Si tratta di un farmaco antifungino che agisce principalmente contro le dermatofitosi delle
unghie e della cute. Tuttavia topicamente non ha effetto e pertanto per agire sui tessuti
superficiali deve essere ingerito ed assorbito per poi essere depositato attraverso il circolo nei
tessuti ricchi di cheratina.
In questa sede svolge la sua azione che è quella di bloccare la formazione del fuso mitotico
impedendo la replicazione fungina e di conseguenza è un fungistatico.
Il trattamento deve essere prolungato per almeno 6-12 mesi
Agisce efficacemente contro:
 Trichophyton
 Microsporum
 Epidermophyton
 Tigna non responsiva ad altri antibiotici
Viene assunto come preparazione di cristalli finissimi e l’assorbimento aumenta se assunto
insieme a cibi ricchi di grassi.
È possibile una resistenza data dalla perdita del sistema di captazione energetica.
È un induttore del citocromo P-450 ed aumenta il metabolismo di molti farmaci tra cui gli
anticoagulanti orali potendo renderli inefficaci.
Viene escreto attraverso il rene, può dare dei problemi a livello epatico.
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È controindicata nei pazienti con porfiria perché può aggravare gli attacchi acuti. I pazienti in
trattamento non devono assumere sostanze alcoliche perché il farmaco potenzia gli effetti
dannosi dell’alcol.
È risultata teratogena in animali da laboratorio.
Ad oggi è stata completamente rimpiazzata dalla terbinafina per la cura delle dermatofitosi
delle unghie.
TERBINAFINA
Si tratta di un farmaco essenzialmente utilizzato per il trattamento delle dermatofitosi e
soprattutto delle onicomicosi (infezioni fungine delle unghie).
È meglio tollerato e più efficiente in questo campo che la griseofulvina e l’itroconazolo, inoltre
ha anche una durata della terapia molto inferiore rispetto alla griseofulvina (3 mesi).
Il meccanismo d’azione prevede l’inibizione della squalene epossidasi responsabile della
formazione dell’ergosterolo. Per inibire la squalene epossidasi umana sono necessarie dosi
molto più elevate del farmaco.
Lo spettro d’azione è attivo contro i dermatofiti e la candida.
Viene somministrata per via orale, si lega alle proteine plasmatiche e viene depositata sulla
cute, unghie e nell’adipe. L’emivita è di 200-400 ore, il che indica un probabile rilascio
ritardato del farmaco da questi tessuti. Viene escreta nelle urine. Si può ritrovare in parte nel
latte materno ed è quindi sconsigliata nelle donne in allattamento.
Tra gli effetti avversi ci sono:
 Disturbi gastrointestinali (nausea, vomito, dispepsia)
 Eruzioni cutanee
 Disturbi visivi e del gusto
 Alterazioni enzimi epatici
La rifampicina riduce i suoi livelli ematici mentre la cimetidina li aumenta.
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ANTIPROTOZOARI E ANTIELMINTICI
ANTIMALARICI E ANTIAMEBICI; ANTIELMINTICI
84. Farmaci antimalarici: classificazione, meccanismo
d’azione, spettro antibatterico, impieghi terapeutici ed effetti
indesiderati
La malaria è una malattia infettiva acuta che si genera a seguito della puntura di una zanzara
infetta che rilascia protozoi nel sito di iniezione che poi vengono trasportati in circolo. Si
tratta di una malattia molto pericolosa e presente in modo endemico in alcune zone del
mondo. Il parassita incriminato appartiene al genere Plasmodium e può essere di 4 tipi:
- Plasmodium falciparum: agente più importante e più frequente che causa la malaria
maligna o terzana
- Plasmodium vivax: responsabile della terzana benigna e causa una forma più lieve
della malattia
- Plasmodium malariae: responsabile della malaria quartana, di comune riscontro
nelle regioni tropicali.
- Plasmodium ovale: di raro riscontro
Tuttavia possono esistere facilmente anche infezioni di più microrganismi
contemporaneamente e per questo si rende necessario un trattamento multifarmacologico.
La malaria maligna è una patologia che si manifesta classicamente con febbre alta persistente,
ipotensione ortostatica ed eritrocitosi massiva (responsabile di un accumulo di globuli rossi
negli arti inferiori che provocano gonfiore e rossore). L’eritrocitosi può facilmente ostruire i
capillari e determinare fenomeni ischemici fatali se non si interviene prontamente.
Il periodo di incubazione è di:
- 7-14 giorni per il falciparum,
- 8-14 giorni per vivax e ovale (per alcuni ceppi di vivax l’incubazione si può protrarre
per 8-10 mesi, per ovale tale periodo può essere ancora più lungo)
- 7-30 giorni per malariae
Nel caso di malaria post-trasfusionale (oggi evento rarissimo) si ha un’incubazione
proporzionale al numero di parassiti trasfusi e al tipo.
La chemioprofilassi inadeguata può prolungare il periodo di incubazione.
Il ciclo vitale del plasmodium prevede una fase extraumana di replicazione sessuata e
maturazione a sporozoita nella zanzara. La zanzara punge e libera gli sporozoiti che sono
diretti al fegato. Entrano negli epatociti e qui si verifica una prima fase di replicazione
asessuata che li trasforma in schizonti. Gli schizonti epatocitari sono formazioni composte di
moltissimi parassiti replicanti, questi vanno poi incontro a rottura ed immissione in circolo di
merozoiti i quali penetrano ognuno in un globulo rosso infettandolo. All’interno dei globuli
rossi i merozoiti diventano trofozoiti maturi ed immaturi e a questo punto inizia un’altra fase
di replicazione asessuata con schizonti più piccoli rispetto alla fase epatocitaria e vengono
nuovamente prodotti merozoiti che lisano il globulo rosso e sono pronti ad infettare un nuovo
eritrocita. In alcuni casi però i merozoiti prodotti si trasformano in gametociti maschile e
femminile che vengono prelevati dalla zanzara femmina al cui interno si ha la fase di
riproduzione sessuata e la formazione di sporozoiti.
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I parassiti si collocano all’interno del globulo rosso perché necessitano dell’emoglobina per il
loro nutrimento e la scindono
in aminoacidi. Tuttavia i
gruppi eme vengono liberati e
sarebbero tossici per il
parassita se non fosse che essi
vengono accumulati in
composti detti emozoine non
più tossici.
Farmaci utilizzati contro
l’infezione acuta e per la
profilassi:
- Primachina
- Clorochina
- Chinina
- Meflochina
- Pirimetamina
- Sulfamidici (sulfadossina)
- Artemisina
- Proguanil
- Doxaciclina
Questi si dividono in composti ad azione immediata o quasi (clorochina, chinina, meflochina)
e in composti ad azione più ritardata (pirimetamina, proguanil, sulfamidici).
Chiaramente i farmaci hanno dei bersagli diversi in base alla fase evolutiva del parassita in
quanto certi farmaci agiscono nelle forme esoeritrocitarie, mentre altri sono selettivi per i
parassiti contenuti all’interno degli eritrociti.
PRIMACHINA (schizonticida tissutale)
È una 8-aminochinolina che elimina le forme esoeritrocitarie primarie di plasmodium
falciparum e vivax e quelle secondarie di vivax e ovale. È l’unico farmaco in grado di curare del
tutto la malaria da vivax e ovale, il quale può rimanere insediato nel fegato per molto tempo
dopo la scomparsa dagli eritrociti. È attivo però solo per le forme tissutali ed ematiche e non è
efficace per le forme di schizonti intraeritrocitari.
Essa riesce anche ad avere un’azione sui gametociti eliminandoli, qualunque sia il tipo di
plasmodium e in questo modo interrompe anche la trasmissione della malattia. Visto che non
possiede azione anti-schizonte eritrocitario viene associata ad altri farmaci.
Meccanismo d’azione: non è ancora del tutto noto ma si pensa che abbia un’azione ossidante
per questi parassiti provocando la loro lisi. Tuttavia questi effetti ossidanti si ritorcono anche
sull’organismo stesso e può comparire emolisi e metaemoglobinemia.
Tutte le specie di plasmodium possono instaurare una resistenza alla primachina.
Farmacocinetica: è ben assorbita per via orale e non si concentra nei tessuti, è rapidamente
ossidata in composti intermedi che hanno attività antimalarica, non si sa quale sia il vero
intermedio schizonticida.
Effetti avversi:
 Anemia emolitica: soprattutto in pazienti con deficit di G6PDH a causa dell’attivit{
ossidante del farmaco
 Disturbi gastrointestinali: specie se associata a clorochina
 Metaemoglobinemia: occasionale
 Agranulocitosi in pazienti affetti da LES o AR
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 Controindicata in gravidanza
CLOROCHINA (schizonticida ematico)
Si tratta di una 4-aminochinolina che è stata il fondamento terapeutico della malaria causata
dal falciparum. Oggi il problema delle resistenze alla clorochina ha ridimensionato il suo
utilizzo. Essa agisce sulla fase intraeritrocitaria del parassita ed è selettiva per le forme
asessuate. È meno efficace nei confronti di vivax.
Meccanismo d’azione: il meccanismo è complesso in quanto il farmaco penetra negli
eritrociti e nel plasmodio. Il plasmodio possiede un vacuolo acido in cui avviene la
degradazione dell’Hb ad aminoacidi. La clorochina essendo una base debole penetra nel
vacuolo e non riesce più ad uscire per intrappolamento ionico. In questo modo viene
aumentato il pH del vacuolo che risulta quindi inefficace nella degradazione dell’Hb.
Contemporaneamente però agisce anche legandosi all’eme liberato dall’Hb e impedendo alle
molecole di eme di aggregarsi a formare la emozoina. L’accumulo di eme e il pH elevato del
vacuolo sono tossici per il parassita e ne risulta una lisi sia del parassita che dell’eritrocita.
Sembra essere implicato anche un terzo fattore che è l’ostacolo alla formazione del DNA. Il
meccanismo sembra accomunare diversi farmaci come la meflochina e la chinidina.
Resistenza: il fenomeno della clorochino-R sta diventando un problema grave in quanto
sempre più specie di plasmodium sono resistenti al farmaco. Il meccanismo sembra mediato
dalla formazione di una glicoproteina P legata alla membrana del parassita responsabile
dell’estrusione del farmaco. Tale glicoproreina sembra coinvolta anche in fenomeni di
resistenza ai farmaci antitumorali. Si è visto che il verapamil e la ciclosporina riducono
l’esternalizzazione della proteina.
Impieghi terapeutici:
 Malaria da falciparum
 Malaria da vivax (meno efficace)
 Amebiasi extraintestinale
 Azione antinfiammatoria: impiego occasionale nell’AR e nel LES.
Farmacocinetica: viene somministrata oralmente e necessita di circa 5 giorni per curare la
malaria da falciparum sensibile. Si distribuisce in tutto l’organismo concentrandosi negli
eritrociti, nel fegato, nei reni, nei tessuti contenenti melanina, nella milza, nei polmoni e nei
leucociti. Pertanto ha un ampio Vd. Raggiunge il SNC e attraversa la placenta. È dealchilata
dalle ossidasi a funzione mista del fegato ed escreta con le urine. La velocità di escrezione
aumenta se si acidificano le urine.
Effetti avversi:
 Basse dosi: quasi nessuno
 Alte dosi: fastidio intestinale, prurito, cefalea, disturbi visivi (si consiglia esame
oftalmoscopico periodico). Si può avere riduzione della colorazione del letto ungueale
e delle mucose. Usare cautela in pazienti con alterazione della funzionalità epatica e
con problemi cardiaci in quanto si lega ai recettori canali HERG del potassio potendo
causare aritmie. Può aggravare le dermatiti da Sali d’oro.
Pazienti con porfirie o psoriasi non dovrebbero assumerla perché potrebbe esacerbare
gli attacchi.
CHININA (schizonticida ematico)
Questo farmaco viene impiegato essenzialmente per le emergenze insieme al suo
stereoisomero chinidina. Può essere data in urgenza per via endovenosa anche se
normalmente è assunta per via orale.
Il meccanismo d’azione è l’inibizione della formazione dell’emozoina.
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Usi terapeutici: il farmaco è usato solo nei casi severi di malaria resistenti ad altri
antimalarici come la clorochina. Attualmente in caso di resistenza alla clorochina si
somministra chinina + pirimetamina + sulfamidico.
Essa si distribuisce in tutto l’organismo e può raggiungere il feto. L’alcalinizzazione delle urine
riduce la sua escrezione.
Effetti avversi:
 Cinconismo: serie di sintomi caratterizzati da nausea, vomito, tinnito e vertigini, sono
tutti sintomi reversibili e non sono un motivo di sospensione della terapia.
 Anemia emolitica: in caso di test di Coombs positivo che indica anemia emolitica è
necessario interrompere il trattamento
 Interazioni farmacologiche: potenziamento dei bloccanti neuromuscolari, aumento dei
livelli di digossina.
 Il suo assorbimento è ritardato se assunta insieme ad antiacidi contenenti alluminio
 Fetotossicità
MEFLOCHINA (schizonticida ematico)
Si tratta di un farmaco che viene impiegato singolarmente nel trattamento della malaria da
plasmodium falciparum resistente agli altri farmaci.
Meccanismo d’azione: ancora ignoto ma sembra danneggiare la membrana del parassita.
Usi terapeutici: malaria da falciparum singolarmente quando è resistente ad altri farmaci.
Farmacocinetica: è assorbita bene per via orale e si distribuisce nel polmone e nel fegato. Ha
un tempo di dimezzamento di 17 giorni perché si concentra nei tessuti ed è sottoposto ad un
ricircolo enteroepatico ed enterogastrico. Subisce esteso metabolismo ed è eliminato con le
feci.
Le reazioni avverse prevedono: nausea, vomito, capogiri fino a disorientamento, depressione
e allucinazioni. Può verificarsi una complicanza cardiaca come aritmie o arresto cardiaco se
data insieme alla chinina.
Sono state identificate forme di resistenza.
PIRIMETAMINA (schizonticida ematico e sporontocida)
Essa è un inibitore della sintesi dell’acido folico ed è impiegato per la risoluzione
dell’infezione e guarigione radicale.
Il farmaco in più ha anche un’azione sporontocida per cui uccide i parassiti nell’intestino della
zanzara (quando essa assume il farmaco insieme al sangue umano) riducendo drasticamente
la trasmissione della malattia.
Il meccanismo d’azione è il blocco della diidrofolato reduttasi del plasmodio, per inibire quella
umana servono dosi molto più elevate.
Da sola è efficace contro il falciparum. Viene impiegata anche contro il malariae ed ha un
impiego clinico anche contro l’infezione da toxoplasma gondii associata ad un sulfamidico.
Come effetti avversi si può presentare un’anemia megaloblastica in caso che le dosi siano
eccessive e che ci sia un’interferenza con la produzione dei globuli rossi. Questa anemia può
essere antagonizzata con leucovirina.
ARTEMISINA (schizonticida ematico)
Si tratta di un farmaco estratto da una pianta che ha la capacità di agire inibendo il
plasmodium falciparum ed è impiegato nelle forme di resistenza a più farmaci e nelle infezioni
di grado severo. Spesso per il trattamento acuto si utilizzano chinina e derivati dell’artemisina
(provenienti sempre dalla stessa pianta cinese).
Il meccanismo d’azione sembra essere la produzione di radicali liberi nel vacuolo acido e
l’interazione con proteine della membrana parassitaria.
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
Sono disponibili formulazioni orali, rettali ed endovenose ma l’emivita molto breve non
consente il suo utilizzo in chemioprofilassi.
Metabolizzate dal fegato ed eliminate con la bile.
Effetti avversi comprendono nausea, vomito e diarrea ma in generale è un farmaco privo di
effetti collaterali evidenti. A dosi molto elevate può dare allungamento del tratto QT.
FANSIDAR
Associazione di pirimetamina e sulfadossina. Si tratta di uno schizonticida ematico.
Chemioprofilassi antimalarica
Ad oggi i viaggi in regioni e zone colpite da malaria prevedono la profilassi sia
comportamentale che farmacologica, tuttavia questa non è sempre efficace e sicura al 100% a
causa delle possibili resistenze dei plasmodi ma anche della inadeguata compliance del
paziente sia per posologia inadeguata sia per gli effetti collaterali fastidiosi. In alcuni casi la
profilassi crea anche tossicità e per questo motivo è sconsigliata in certi pazienti.
Nella scelta del trattamento profilattico vanno presi in considerazione:
- Itinerario (zone più o meno a rischio)
- Rischio di acquisizione di plasmodi clorochino-R
- Precedenti reazioni allergiche ai farmaci antimalarici
- Condizioni di salute e attività svolta dal viaggiatore.
Sempre necessario associare profilassi comportamentale.
I farmaci vanno assunti a partire da 1-2 settimane prima del viaggio (oppure 1-2 giorni prima
se si usa il proguanil o la doxiciclina), vanno continuate durante il viaggio e non vanno sospese
prima di 4-5 settimane dopo il ritorno dal viaggio. Devono essere assunti a stomaco pieno e
con abbondanti quantità di acqua.
Nell’ambito delle clorochino-resistenze l’OMS ha suddiviso le aree di destinazione in 3
categorie:
 A: zone in cui la malaria non è frequente e non c’è stata ancora resistenza. Il farmaco di
scelta è la clorochina
 B: zone in cui non è frequente la malaria ma in cui sono stati segnalati casi di farmacoresistenza. Il trattamento può essere fatto con clorochina da sola oppure associata a
proguanil portando con sé una scorta di dose terapeutica di meflochina oppure con
associazione di pirimetamina e sulfamidico.
 C: malaria endemica ed elevati livelli di clorochino-resistenza. Profilassi raccomandata
con meflochina optando in casi di controindicazioni con clorochina + proguanil.
Il trattamento con la meflochina consiste in una compressa a settimana a partire da 1
settimana prima della partenza, seguita da dosi settimanali durante il viaggio
(preferibilmente allo stesso giorno ogni settimana) e prolungata per 4 settimane dopo
la partenza dall’area endemica. Per prevenire la selezione di ceppi resistenti alla
clorochina è sconsigliato prolungare la terapia oltre i 3 mesi.
Zone a basso rischio (America centrale, Cina): clorochina
Zone a medio rischio (India, Nepal, Pakistan): clorochina + proguanil o clorochina da sola
Zone ad alto rischio (Africa sub-sahariana, bacino amazzonico): meflochina, doxiciclina o
proguanil + clorochina.
I gruppi particolarmente a rischio sono le donne in gravidanza e i bambini:
- Gravidanza: aumento di rischio di parto pretermine, aborto e mortalità neonatale e
morte della madre. Sono sconsigliati i viaggi in tutte le zone a rischio malarico
soprattutto clorochino-R. Se il viaggio non si può rimandare si fa una profilassi molto
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
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attenta con clorochina da sola o associata a proguanil, dopo le 12 settimane si può
usare anche meflochina. È opportuno che le donne fertili non abbiano una gravidanza
fino a 3 mesi trascorsi dopo il termine del ciclo profilattico con meflochina e per 1
settimana con doxiciclina.
Allattamento: frammenti di farmaci passano nel latte materno ma sono inefficienti per
trattare il lattante che va sottoposto alla profilassi normale adeguata all’et{.
Pediatria: i bambini sono a rischio di contrarre la malaria e di svilupparla in un modo
grave. È sempre sospettabile una malaria quando il bambino torna da un posto
tropicale con febbre alta. I bambini piccoli dovrebbero evitare tali viaggi. La profilassi
ideale è la clorochina e il proguanil. La doxiclina è sconsigliata prima degli 8 anni,
mentre la meflochina è sconsigliata sotto i 3 mesi mentre il complesso pirimetaminasulfamidico è sconsigliato sotto il mese.
Queste raccomandazioni vanno effettuate per i viaggiatori che soggiornano per un mese,
oltre al mese bisogna rivolgersi alle unità sanitarie locali per le modalità della
continuazione del trattamento (per evitare le resistenze).
Se si sospetta la malattia si fa l’esame diretto del sangue. Se il campione non mostra nulla
ma il soggetto è sospetto si proseguono le analisi ematiche ogni 12-24 ore per 3 giorni.
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85. Farmaci antiamebici: classificazione, meccanismo
d’azione, spettro antimicrobico, impieghi terapeutici ed
effetti indesiderati
L’amebiasi è una patologia infettiva derivata dall’infezione da parte di Entamoeba Histolytica
che viene acquisita dall’esterno attraverso l’ingestione di acque o cibi contaminati da residui
fecali contenenti cisti dell’ameba. Infatti l’E. Histolytica è un protozoo che subisce un ciclo
vitale esterno al corpo sotto forma di cisti resistenti all’ambiente esterno ed un ciclo vitale
interno all’organismo sotto forma di trofozoita che si replica. L’ameba giunge sotto forma di
cisti fino all’intestino
crasso e qui viene
liberata la forma attiva
cioè i trofozoiti che si
moltiplicano ed invadono
la parete intestinale del
crasso ulcerandola
oppure si limitano a
nutrirsi delle specie
batteriche presenti
nell’intestino. I trofozoiti
sono poi trasportati
lentamente verso il retto
dove si riformano le cisti
originarie ed essi
vengono espulsi con le
feci sotto forma di cisti.
L’amebiasi può essere manifestata clinicamente sotto forma di:
- Infezione acuta
- Infezione cronica
La presentazione sintomatologica può essere molto varia dall’assenza di sintomi ad una
diarrea lieve per arrivare ad una dissenteria fulminante.
La terapia non è rivolta solo al paziente patologico ma anche al portatore che può fungere da
serbatoio.
Classificazione dei farmaci amebicidi
 Amebicidi luminali: agiscono solo nei parassiti del lume intestinale (iodochinolo,
dilossanide furoato, paromomicina)
 Amebicidi sistemici: agiscono sui parassiti dislocati nella parete intestinale e nel
fegato (responsabili dell’ascesso epatico amebico) (clorochina, emetina e
deidroemetina)
 Amebicidi misti: hanno una duplice azione (metronidazolo)
Molto spesso per effettuare un trattamento completo contro l’ameba è necessario
somministrare i farmaci antiamebici insieme ad antibiotici in modo tale da ridurre la flora
batterica intestinale che è un substrato utilizzato dall’ameba per nutrirsi. Vengono usati
tetraciclina e paromomicina.
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METRONIDAZOLO
Il metronidazolo è un farmaco amebicida misto con molteplici funzioni non solo nel
trattamento dell’amebiasi. Esso è tossico non solo per le amebe ma anche per i microrganismi
anaerobi compresi i batteri e per le cellule ipossiche e anossiche.
Meccanismo d’azione: alcuni parassiti protozoari anaerobi comprese le amebe possiedono
proteine trasportatrici di elettroni a basso potenziale redox che partecipano alla rimozione
degli elettroni dopo le reazioni metaboliche. Il metronidazolo possiede un gruppo azotato che
accetta elettroni formando dei composti ridotti citotossici che si legano alle proteine e al DNA
e determinano lisi dell’ameba.
Usi terapeutici:
 Infezione da Entamoeba histolytica (sopprime i trofozoiti)
 Infezione da Trichomonas vaginalis
 Infezione da Giardia lamblia
 Infezioni da cocchi anaerobi e bacilli anaerobi gram negativi (bacterioides) e gram
positivi (clostridi)
 Colite pseudomembranosa (farmaco di scelta)
 Ascessi cerebrali causati da questi microrganismi
 Helicobacter Pylori
Resistenza: non è un problema terapeutico ma alcuni ceppi di trichomonas hanno dimostrato
resistenza.
Farmacocinetica: il metronidazolo viene assorbito per via orale insieme
ad un amebicida luminale come la dilossanide furoato e l’abbinamento
assicura un’efficacia di guarigione superiore al 90%. Si distribuisce bene
in tutti i tessuti e liquidi. Raggiunge concentrazioni terapeutiche nei
liquidi vaginali e seminali, nella saliva, nel latte materno e nel LCR. Il
metabolismo dipende dall’ossidazione della catena laterale e successiva
glucuronazione.
Il trattamento con induttori del sistema enzimatico delle ossidasi come il
fenobarbital fa aumentare il metabolismo del farmaco mentre la
cimetidina che lo inibisce allunga la durata d’azione. Il farmaco si
accumula nei pazienti con epatopatia lieve. Viene escreto con le urine.
Effetti avversi:
 Gastrointestinali: nausea e vomito, epigastralgie e crampi
addominali
 Senso di sapore metallico
 Moniliasi orale (infezione da parte di un lievito)
 Problemi neurotossici (raramente)
 Assunzione con alcol dà effetto simil-disulfiram
IODOCHINOLO
Si tratta di un amebicida luminale efficace contro i trofozoiti luminali e anche le cisti di
entamoeba histolytica. Gli effetti avversi comprendono eruzioni cutanee, diarrea e neuropatia
periferica. Anche una neurite ottica può avvenire.
DILOSSANIDE FUROATO
Utile nei portatori asintomatici delle cisti. È sempre un amebicida luminale.
Viene assunta per via orale e poi idrolizzata nella mucosa intestinale. Il 90% del farmaco viene
assorbito ma non è efficace perché la porzione attiva è quella che non viene assorbita. Quel
90% dei assorbimento sistemico sembra responsabile dei pochi effetti collaterali come
flatulenza, secchezza delle fauci, prurito e orticaria. È controindicato nelle donne gravide.
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
PAROMOMICINA
Si tratta di un antibiotico aminoglicosidico che non viene praticamente assorbito per via orale
e quindi agisce esclusivamente sul lume. Pur avendo un effetto amebicida diretto
probabilmente per interazione con la membrana del parassita e fuoriuscita di componenti
essenziali, svolge la sua azione antiamebica mediante l’eliminazione della flora intestinale. In
questo modo riduce il substrato nutritizio delle amebe. Ha azione anche sulla tenia.
Alcuni effetti avversi possono essere sofferenza gastrointestinale e diarrea.
CLOROCHINA
Antiamebico sistemico che elimina i trofozoiti dalla parete intestinale e dagli ascessi epatici.
Insieme al metronidazolo e alla dilossanide furoato svolge la sua azione antiamebica nelle
infezioni gravi già disseminate al fegato e alla parete intestinale. Non ha azioni sul parassita
nel lume. Viene impiegata estesamente anche nella malaria.
EMETINA E DEIDROEMETINA
Sono farmaci alternativi per il trattamento dell’amebiasi e svolgono il loro ruolo interagendo
con la sintesi proteica bloccando l’allungamento della catena. Sono alcaloidi dell’ipecacuana e
il loro utilizzo è praticamente scomparso a causa dei loro effetti avversi importanti.
La deidroemetina è più tollerata che l’emetina.
La via preferita è l’iniezione intramuscolare. L’emetina si concentra nel fegato dove persiste
per un mese dopo una singola somministrazione. L’emivita è di 5 giorni.
Essi sono presentano una certa tossicità ed il trattamento con tali farmaci non dovrebbe
prolungarsi oltre i 10 giorni.
Tra gli effetti sfavorevoli ci sono dolore al sito di iniezione, nausea, cardiotossicità, debolezza
neuromuscolare, capogiri ed eruzioni cutanee.
Riepilogo del trattamento amebicida nei vari casi:
1. Portatore asintomatico di cisti: iodochinolo o paromomicina o dilossanide furoato
2. Diarrea / dissenteria extraintestinale: metronidazolo + iodochinolo o paromomicina o
dilossanide furoato
3. Ascesso amebico epatico: clorochina + metronidazolo o emetina
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86. Farmaci per la terapia delle infezioni da nematodi,
trematodi e cestodi: classificazione, meccanismo d’azione,
impieghi terapeutici ed effetti indesiderati
Gli elminti o vermi sono una categoria di agenti infettivi pluricellulari che colpisce l’uomo.
Esistono 3 specie di vermi interessanti per la patologia umana:
- Nematodi: si tratta di vermi veri e propri con una bocca, un apparato digerente ed un
ano, provocano infezioni intestinali ma anche del sangue e dei tessuti vari
- Trematodi: si tratta di platelminti a forma di foglia che si classificano in base
all’organo che infettano (distomi epatici, distomi polmonari…)
- Cestodi: possiedono un corpo piatto e si attaccano direttamente all’intestino. Sono
segmentati e non possiedono bocca e tubo digerente come i trematodi. Le maggiori
appartenenti a questo genere sono le tenie.
NEMATODI
I farmaci per il trattamento dei nematodi sono
- Mebendazolo
- Pirantel pamoato
- Albendazolo
- Ivermectina
- Dietilcarbazina
- Tiabendazolo
MEBENDAZOLO
Meccanismo d’azione: si lega ai microtubuli ed impedisce il loro assemblaggio nello
scheletro completo, in più inibisce la captazione di glucosio. Il verme quindi viene paralizzato
ed eliminato con le feci.
Usi terapeutici:
 Tricuriasi
 Ascaridiasi
 Anchilostomiasi
 Ossiuriasi
Farmacocinetica: è praticamente insolubile in soluzione acquosa e viene assunto come
pastiglie da masticare ma l’assorbimento è molto scarso proprio perché deve avere un effetto
massimo sull’apparato gastroenterico ed evitare la tossicit{ sistemica. Se si vuole che venga
assorbito maggiormente deve essere assunto insieme ad un pasto con cibi ricchi di grassi.
Effetti avversi: praticamente privo di tossicità anche se si possono presentare dolori
addominali e diarrea. È controindicato nelle donne in gravidanza per possibili effetti
teratogeni ed embiotossicità.
PIRANTEL PAMOATO
Meccanismo d’azione: agisce inibendo la depolarizzazione perché si lega ai recettori
nicotinici del sistema neuromuscolare del parassita e li rende costantemente attivi. In tal
modo il verme si paralizza e viene eliminato con le feci.
Usi terapeutici:
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 Ascaridiasi
 Ossiuriasi
 Anchilostomiasi
Farmacocinetica: è assorbito per via orale e agisce nel tratto intestinale
Effetti avversi: sono molto lievi e comprendono nausea, vomito e diarrea.
TIABENDAZOLO
Meccanismo d’azione: interazione con i microtubuli
Usi terapeutici:
 Strongiloidiasi
 Trichinelliasi
 Larva migrante cutanea
Farmacocinetica: viene assunto per via orale ed assorbito. È idrossilato nel fegato ed
eliminato con le urine.
Effetti avversi: anoressia, vertigini, nausea e vomito. È stata segnalata una patologia a carico
del SNC. Ci sono stati casi di eritema multiforme e sindrome di Steven-Johnson che hanno
avuto anche casi fatali. Controindicato in gravidanza
IVERMECTINA
Meccanismo d’azione: si lega ai canali del cloro del parassita e li rende costantemente attivi
eliminando il cloro
all’esterno. In tal modo
provoca una
depolarizzazione del
parassita che si paralizza.
Usi terapeutici:
 Oncocercosi (prima
scelta)
 Strongiloidiasi (una
tra le prime scelte)
 Larva migrante
cutanea.
Farmacocinetica:
assorbimento per via orale
ma non passa nel LCR. Non
va dato in caso di
meningite perché può
entrare nel SNC e dare
effetti collaterali.
Effetti avversi:
controindicato in
gravidanza ed in
meningite.
DIETILCARBAMAZINA
Meccanismo d’azione:
immobilizzazione delle
microfilarie rendendole suscettibili ai meccanismi di difesa dell’ospite.
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Usi terapeutici:
 Filariasi (farmaco di prima scelta associato in genere all’albendazolo)
Farmacocinetica: assorbito dopo somministrazione orale ed escreto con le urine.
Effetti avversi: alcalosi urinaria ed insufficienza renale sono responsabili della riduzione del
dosaggio. Le reazioni avverse in genere sono proporzionali alle reazioni dell’ospite agli
organismi uccisi e quindi si possono avere febbre, malessere, reazioni cutanee, mialgia,
artralgia e cefalea.
TREMATODI
Il farmaco d’elezione per il trattamento dei trematodi (che nel nostro continente sono
praticamente inesistenti) è il Prazinquantel.
PRAZIQUANTEL
Meccanismo d’azione: agisce stimolando i canali del calcio in modo tale da paralizzare il
verme.
Usi terapeutici: schistosomiasi e altre infezioni da trematodi. Viene talora utilizzato anche
per le infestazioni da cestodi come la cisticercosi.
Farmacocinetica: assorbimento buono per via orale, e penetra nel liquor. Ha tempo di
dimezzamento molto breve perché ampiamente metabolizzato dal fegato. Si ritrova nella bile.
L’eliminazione avviene con la bile e con le urine. I metaboliti non sono attivi.
Effetti avversi: sonnolenza, capogiri, anoressia, malessere. È sconsigliato nella gravidanza.
Sono state descritte interazioni farmacologiche dovute ad aumento del metabolismo con
desametasone, carbamazepina e fenitoina. Cimetidina invece aumenta il praziquantel.
Controindicato nella cisticercosi oculare perché potrebbe danneggiare l’organo.
CESTODI
I principali farmaci usati per i cestodi sono:
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-
Niclosamide
Albendazolo
NICLOSAMIDE
Meccanismo d’azione: inibisce la produzione energetica per blocco della conversione
anaerobia dell’ADP in ATP per cui il parassita si trova senza energia. Contemporaneamente
sono però necessari dei lassativi in quanto è fondamentale eliminare tutti i frammenti del
verme e non solo lo scolice in quanto se alcuni frammenti inerti sono lasciati nell’intestino
possono essere assorbiti e dare cisticercosi. Non è attivo per le uova di tenia.
Farmacocinetica: somministrazione orale con un lassativo
Effetti avversi: mai assumere alcol per almeno 1 giorno dopo la somministrazione del
farmaco.
ALBENDAZOLO
Questo farmaco agisce come gli altri derivati benzimidazolici sui nematodi interferendo con i
microtubuli, tuttavia svolge il suo ruolo più importante nei cestodi e nella cisticercosi.
Usi terapeutici:
 Cisticercosi
 Malattia idatidea
Farmacocinetica: assorbito per via orale. L’assorbimento aumenta se assunto insieme a cibi
ad alto contenuto lipidico. Metabolizzato ampiamente dal fegato ed escreto con le urine.
Alcuni metaboliti mantengono l’attivit{.
Effetti avversi: quando è usato per le infestazioni da nematodi è di breve durata (1-3 giorni)
e non dà effetti avversi a parte un po’ di nausea e cefalea.
Quando è usato nella malattia idatidea in cui necessita di 3 mesi c’è il rischio di epatotossicit{
e raramente agranulocitosi e pancitopenia. Per il trattamento delle forme del SNC si associano
effetti avversi dovuti alla reazione infiammatoria come cefalea, vomito, ipertermia,
convulsioni ed alterazioni mentali.
Non deve essere dato in gravidanza e nei bambini sotto i 2 anni.
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ANTIVIRALI
FARMACI IMPIEGATI NELL’INFEZIONE DA HIV E ALTRI ANTIVIRALI
87. Classificazione dei farmaci antivirali
I virus sono parassiti endocellulari obbligati che non possiedono una parete propdia né una
membrana cellulare ma sono formati da una capsula glicoproteica detta capside contenente il
materiale genetico sotto forma di DNA o di RNA. Essi necessitano assolutamente della cellula
ospite per vivere e non sono in grado di compiere processi metabolici. Sfruttano le funzioni
metaboliche della cellula ospite e si replicano avvalendosi di molti processi metabolici
dell’organismo.
Per questo motivo esistono molti farmaci antivirali ma pochi sono selettivi per il ciclo di
replicazione virale in quanto inevitabilmente vengono colpite anche le funzioni metaboliche
dell’organismo.
La terapia antivirale è ulteriormente complicata dal fatto che i sintomi si manifestano in uno
stadio tardivo quando già i virus si sono estesamente replicati e in una fase in cui gli antivirali
possiedono una minor efficacia terapeutica.
Alcuni farmaci antivirali hanno scopo profilattico.
Solo alcuni gruppi di virus rispondono ai farmaci antivirali disponibili.
Per semplificazione i farmaci antivirali sono stati raggruppati in base ai virus bersaglio.
Per le epatiti il farmaco di scelta è certamente l’IFN; poi a seconda del virus coinvolto (HAV,
HBV, HCV) è diverso l’approccio farmaceutico; in caso di infezione da HCV si associa all’ IFN la
ribavarina mentre in caso di infezione da HBV il farmaco di scelta è la lamivudina.
Tra gli antierpetici molto importante è aciclovir che si utilizza per infezioni meno gravi come
herpes labiale (in formulazione topica) o infezioni erpetiche in pz immunodepressi
(formulazioni per via sistemica).
Il valaciclovir viene scisso per idrolisi in valina e aciclovir ed è un pro farmaco dell’aciclovir.
Altri farmaci importanti sono il foscarnet e il ganciclovir.
Per l’infezione da HIV si utilizzano inibitori della trascrittasi inversa, inibitori delle proteasi,
inibitori della fusione e inibitori dell’integrasi.
I più recenti sono efavirenz e enfuvirtide.
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Trattamento delle infezioni respiratorie virali
Le infezioni respiratorie principali sono l’influenza di tipo A e di tipo B oltre al virus
respiratorio sinciziale (VRS). Il trattamento preferenziale per l’influenza però è il vaccino, i
farmaci antivirali vengono impiegati quando i pazienti sono allergici al vaccino, quando il
vaccino non copre la variante virale infettante e quando i pazienti non sono vaccinati ma sono
a rischio come persone che vivono in case di riposo.
Si possono suddividere in diverse categorie:
- Inibitori della neuroaminidasi
- Inibitori della denudazione virale
- Ribavirina
AMANTADINA E RIMANTADINA
Si tratta di farmaci della classe degli inibitori della denudazione virale.
Lo spettro terapeutico è limitato all’influenza A e sono inefficaci per la forma B. sono
ugualmente efficaci sia nel trattamento che nella prevenzione.
Essi riducono la gravità e la durata dei sintomi se
somministrati entro le prime 48 ore dopo l’esposizione al
virus. Nessuno dei 2 ostacola la risposta immunitaria al
vaccino antinfluenzale e possono essere dati entrambi in
aggiunta al vaccino.
Sono efficaci nel 70-90% per prevenire l’infezione se il
trattamento è iniziato al momento dell’esposizione al virus.
Meccanismo d’azione: non è ben noto ma si pensa che il
farmaco vada ad interagire con la proteina M2 della membrana
virale che funge da canale ionico. Il canale è utile nella fusione
della membrana virale con la membrana cellulare e quindi essi
impediscono l’ingresso del virus nella cellula. (inibizione della
formazione dell’endosoma).
Farmacocinetica: vengono assorbite dopo somministrazione
orale. L’amantadina entra nel SNC mentre la rimantadina non penetra nel liquor. La
rimantadina è sottoposta ad esteso metabolismo epatico mentre l’amantadina viene escreta
immodificata con le urine.
Effetti avversi: per l’amantadina riguardano soprattutto il SNC. Si possono avere insonnia,
vertigini e atassia. Usato con cautela nei pazienti con disturbi psichiatrici, aterosclerosi
cerebrale, epilessia o alterata funzione renale.
La rimantadina non entrando nel SNC ha meno effetti neurologici.
Entrambi provocano alterazioni gastrointestinali.
Devono essere usati con cautela nelle donne in gravidanza perché alcuni studi le hanno
evidenziate come embriotossiche.
ZANAMIVIR E OSELTAMIVIR
Si tratta di farmaci inibitori delle neuroaminidasi. Essi impediscono la liberazione di nuovi
virioni dalla cellula infettata in quanto la neuroaminidasi si lega alla membrana cellulare e
determina la fuoriuscita dei virioni con conseguente lisi cellulare.
Sono efficaci sia per l’influenza A che B e non interferiscono con la risposta immunitaria a
seguito del vaccino contro influenza A. sono stati proposti nei confronti dell’H5N1 (aviaria).
Essi prevengono l’infezioni se somministrati prima dell’esposizione mentre hanno un effetto
modesto se somministrati entro le prime 24-48 ore dall’inizio dell’infezione.
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Alleviano i sintomi dell’influenza e riducono la durata mediana di 1,5 giorni. La loro efficacia è
stata dimostrata in soggetti altrimenti sani se il trattamento è iniziato entro 48 ore
dall’insorgenza dei sintomi.
Meccanismo d’azione: inibendo la neuroaminidasi i virioni si accumulano sulla superficie
interna della membrana cellulare ma non riescono a fuoriuscire.
Farmacocinetica: l’oseltamivir è un profarmaco attivato dal fegato. Assunto per via orale. Lo
zanamivir non è attivo per via orale ma solo per via inalatoria o intranasale.
Sono eliminati immodificati con le urine.
Effetti avversi:
- Oseltamivir: disturbi gastrointestinali
- Zanamivir: irritazione nasale e del tratto respiratorio potendo anche causare asma.
Non va usato in pazienti asmatici o in BPCO.
Resistenza: si sono verificati negli ultimi anni episodi di virus con mutazioni della
neuroaminidasi che sono resistenti ai farmaci. Tuttavia sembrano virus più innocui.
RIBAVIRINA
Si tratta di un composto molto attivo nei confronti sia dei virus a RNA che a DNA.
È efficace nel trattamento dei lattanti affetti da VRS e anche in combinazione con l’interferone
per il trattamento dell’epatite C.
Meccanismo d’azione: è un derivato della guanosina e viene trasformato nei derivati 5’fosfati tra cui il più importante è il trifosfato che esercita la sua azione inibendo la formazione
di GTP e prevenendo il rivestimento dell’mRNA virale e bloccando l’RNA polimerasi RNAdipendente.
I virus che hanno già mRNA preformati sono parzialmente resistenti al trattamento con
ribavirina.
Farmacocinetica: efficace per via orale ed endovenosa, l’assorbimento è aumentato se
assunto insieme a cibi grassi.
Nelle infezioni respiratori si utilizza sotto forma di aerosol come nel caso del VRS. La
distribuzione del farmaco è in tutti i tessuti ma si è dimostrata una impenetrabilità del SNC.
Farmaco è eliminato con le urine.
Effetti avversi: a seguito di assunzione orale si verifica anemia dose-dipendente. Descritto
anche aumento della bilirubina.
L’aerosol sembra essere più sicuro. Importante il monitoraggio.
Controindicata in gravidanza per possibili effetti teratogeni.
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88. I farmaci per l’infezione da HIV: classificazione,
meccanismi d’azione ed effetti indesiderati
Un tempo il trattamento dell’HIV era volta a ridurre la frequenza delle
infezioni opportunistiche.
Un notevole progresso nella terapia anti-HIV si è avuta a partire dal
1996, con l’introduzione degli inibitori della proteasi e successivamente
degli inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa.
È stato l’inizio dell’era della “highly active antiretroviral therapy”
(HAART), cui ha fatto seguito un significativo prolungamento della
sopravvivenza e la riduzione di infezioni opportunistiche e di decessi.
Se la HAART viene iniziata precocemente dopo l’infezione da HIV ed
utilizzata
costantemente, la percentuale di sopravvivenza a 5 anni supera il 90%.
L’attuale terapia dell’infezione da HIV è dunque basata su varie
combinazioni di farmaci appartenenti alle seguenti classi:
• Inibitori nucleosidici della trascriptasi inversa (NRTI)
• Inibitori non-nucleosidici della trascriptasi inversa (NNRTI)
• Inibitori delle proteasi (PI)
• Inibitori della fusione
• Inibitori dell’integrasi (nuova classe)
La raccomandazione attuale per la terapia iniziale è somministrare due volte NRTI con un PI o
un NNRTI. La scelta della combinazione appropriata si basa sulle caratteristiche genotipiche e
fenotipiche del virus, sulla carica virale, sui fattori propri del pz come i sintomi della malattia
e le malattie concomitanti, sull’impatto delle interazioni farmacologiche e sulla facilit{ di
aderenza al regime terapeutico.
I principi che guidano la politerapia sono:
- aumentare al massimo l’inibizione della replicazione virale
- minimizzare la tossicità dei farmaci
Farmaci anti-HIV
Inibitori nucleosidici della trascriptasi inversa Inibitori delle proteasi
 saquinavir
 zidovudina
 ritonavir
 stavudina
 indinavir
 didanosina
 nelfinavir
 lamivudina
 amprenavir
 abacavir
 opinavir/ritonavir
 tenofovir
Inibitori della fusione:
 zalcitabina
 enfuvirtide
Inibitori non-nucleosidici della trascriptasi inv.
Inibitori
dell’integrasi
 efavirenz
 raltegravir (da poco in
 nevirapina
commercio)
 delavirdina
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I) Inibitori nucleosidici della trascriptasi inversa (NRTI)
Gli NRTI sono analoghi dei ribosidi naturali (nucleosidi o nucleotidi
contenenti ribosio) e sono privi del gruppo 3’-idrossile; quando tali
farmaci entrano nella cellula essi sono fosforilati ai corrispondenti
analoghi trifosfato che sono incorporati preferenzialmente nel
DNA virale ad opera della trascrittasi inversa; dato che il 3’idrossile è assente non può formarsi il legame 3’-5’ fosfodiestere
tra un nucleoside trifosfato entrante e la catena di DNA in
formazione ponendo termine all’allungamento della catena del
DNA.
L’affinit{ per la DNA polimerasi dell’ospite è minore anche se si
ritiene che molti degli aspetti tossici degli NRTI siano dovuti
all’inibizione della DNA polimerasi mitocondriale in taluni tessuti.
E’ importante stare attenti alla tossicit{ additiva quando si
somministra più di un NRTI.
Ad eccezione della lamivudina e abacavir tutti gli altri sono stati
associati a casi di epatossicità potenzialmente letale, caratterizzata
da acidosi lattica ed epatomegalia con steatosi.
Tali farmaci agiscono all’interno della cellula dunque non si può fare il monitoraggio delle conc
plasmatiche.
ZIDOVUDINA (AZT)
E’ approvata per l’uso nei bambini e negli adulti e per prevenire l’infezione prenatale nelle donne
in gravidanza ed è raccomandata anche per la profilassi.
Per esercitare la sua attività antivirale deve essere trasformata nel corrispondente nucleoside
trifosfato dalla timidina chinasi dei mammiferi
Riduce la carica virale e aumenta il numero delle cellule CD4+.
E’ bene assorbito dopo somministrazione orale; se è assunto con il cibo i livelli massimi
possono essere più bassi ma non è influenzata la quantità totale di farmaco assorbito.
Il passaggio della BEE è eccellente e il farmaco ha un t1/2 plasmatico di circa 1 h e un t1/2
intracellulare di circa 3 h.
La maggior parte è coniugata con acido glucoronico nel fegato ed escreta nelle urine.
Nonostante la sua apparente specificità è tossica per il midollo osseo; nei pz che ne ricevono
dosi elevate si presentano anemia e leucopenia di severe; sono frequenti anche cefalee e
convulsioni (pz in fase avanzata).
La tossicità è potenziata dalla contemporanea somministrazione di probenecid, paracetamolo,
lorazepam e cimetadina.
DIDANOSINA (DDL)
E’ somministrata in associazione ad altri farmaci antivirali e ha dimostrato di essere efficace
negli adulti e bambini.
Dopo essere entrata nella cellula ospite è biotrasformata in ddATP che è incorporata nella
catena del DNA e
causa l’interruzione dell’allungamento della catena.
A causa della sua labilità in ambiente acido si somministra in forma di compresse masticabili
tamponate o in una soluzione tampone; l’assorbimento è buono se assunta a digiuno mentre il
cibo causa diminuzione dell’assorbimento.
Penetra nel LCR ma in misura minore di AZT.
Riassunti Farmacologia - © Luca Croci – 2010
Un effetto tossico importante è la pancreatite che può essere fatale e richiede il monitoraggio
dell’amilasi sierica; la tossicit{ che limita la dose è la neuropatia periferica.
ZALCITABINA (DDC)
E’ usata in associazione all’AZT.
E’ trasformata nel trifosfato attivo che blocca l’allugamento della catena.
Si assorbe bene per via orale ma il cibo o gli antiacidi a base di magnesio/alluminio riducono
l’assorbimento.
Si distribuisce in tutto l’organismo, ma l’ingresso del LCR è più basso che AZT.
L’urina è la principale via di escrezione.
Eruzioni cutanee e stomatiti sono comuni ma si risolvono con il trattamento ripetuto; la
neuropatia periferica è la principale reazione tossica.
STAVUDINA (D4T)
Deve essere trasformata nel trifosfato che inibisce la trascrittasi inversa e causa interruzione
dell’allungamento della catena del DNA.
Si assorbe quasi completamente dopo ingestione orale e non è influenzato dal cibo.
Passa attraverso la BEE e viene eliminato in genere per via urinaria.
La reazione tossica più importante e comune è la neuropatia periferica.
LAMIVUDINA (3TC)
E’ approvata per il trattamento dell’HIV in associazione con AZT ma non deve essere usata con
ddC.
Ha buona biodisponibilit{ dopo somministrazione orale e dipende dal rene per l’escrezione; è
ben tollerato.
ABACAVIR
E’ un analogo della guanosina disponibile per l’uso nei bambini e negli adulti con AIDS che non
tollerano i trattamenti di uso corrente o che non hanno risposto ad essi.
E’ bene assorbita per via orale.
Gli effetti collaterali comuni comprendono disturbi GI, cefalea e vertigini; i soggetti
sensibilizzati non devono essere trattati nuovamente con il farmaco a causa del rischio di
reazioni avverse gravi.
TENEFOVIR
E’ convertito dagli enzimi cellulari a difosfato che rappresenta l’inibitore della trascrittasi
inversa.
Può manifestarsi resistenza crociata con altri NRTI.
Deve essere assunto con il cibo per aumentare la biodisponibilità.
L’eliminazione è renale.
I disturbi GI sono frequenti e comprendono nausea, diarrea e vomito.
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II) Inibitori non-nucleosidici della trascriptasi inversa (NNRTI)
I NNRTI sono inibitori non competitivi ed altamente selettivi della trascrittasi inversa di HIV1; si legano all’enzima a livello di un sito adiacente al sito attivo, determinando una
modificazione conformazionale che induce l’inibizione dell’enzima.
Non necessitano dell’attivazione da parte degli enzimi cellulari.
Il loro vantaggio principale consiste nell’assenza di effetto sui precursori delle cellule
ematiche dell’ospite e nell’assenza di resistenza crociata con NRTI.
Presentano delle caratteristiche comuni quali R crociata, interazioni farmacologiche, elevata
incidenza di reazioni da ipersensibilità comprese le eruzioni cutanee.
NEVIRIPINA
E’ utilizzata in combinazione con altri farmaci antiretrovirali per il trattamento delle infezioni
da HIV-1 negli
adulti e nei bambini e riduce il rischio di trasmissione verticale durante la gravidanza.
E’ bene assorbita per via orale e il suo assorbimento non è influenzato da cibo e antiacidi.
E’ lipofilico e penetra nel feto, nel latte materno e nel SNC.
L’eliminazione è renale.
Gli effetti collaterali più frequentemente osservati sono rappresentati da eruzioni cutanee,
febbre, cefalea e aumento delle transaminasi sieriche (rischio di epatotossicità fatale).
Sono state riscontrate reazioni avverse cutanee di grado severo come la Sindrome di StevenJohnson e la necrosi epidermica tossica.
Aumenta il metabolismo degli inibitori delle proteasi (ma non sono necessaria aggiustamenti
di dosaggio), contraccettivi orali ketoconazolo, metadone, chindina, teofillina e warfarin.
DELAVIRDINA
E’ utilizzata in associazione a AZT e ddl.
E’ rapidamente assorbita dopo somministrazione orale e non è influenzata dalla presenza di
cibo; è legata all’albumina plasmatica in modo quasi totale.
L’eliminazione è sia per via fecale che urinaria.
L’effetto collaterale più comune è l’eruzione cutanea; sono stati segnalati anche nausea,
vertigini e cefalea.
Inibisce il metabolismo dei farmaci che dipendono dal citocromo P-450 compresi tutti gli
inibitori delle proteasi
EFAVIRENZ
Comporta un incremento della conta delle cellule CD4+ e una riduzione della carica virale,
effetti
comparabili a quelli ottenibili dagli inibitori delle proteasi in combinazione con NRTI.
Dopo somministrazione orale risulta ben distribuito, compreso a livello del SNC; la
biodisponibilit{ aumenta con l’assunzione del farmaco con cibo ricco di grassi.
A dosi terapeutiche risulta legato all’albumina plasmatica in modo quasi totale; un t1/2 di oltre
40 h fa sì che
si raccomandi la singola somministrazione giornaliera.
La maggior parte degli effetti collaterali è tollerabile ed è a carico del SNC comprese vertigini,
cefalea, sogni vividi e perdita della concentrazione; quasi la metà dei pz trattati lamenta questi
disturbi che in genere si risolvono nell’arco di alcune settimane.
L’eruzione cutanea è un altro effetto collaterale comune.
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III) Inibitori della proteasi
Sono farmaci molto potenti che hanno cambiato il decorso della malattia.
Meccanismo d’azione
Sono inibitori reversibili dell’aspartil proteasi dell’HIV,
responsabile della scissione della poliproteina virale in un certo
numero di enzimi essenziali e diverse proteine strutturali.
Mostrano inoltre un’affinit{ di 100 volte superiore verso enzimi
dei virus HIV-1 e HIV-2 rispetto a quella per proteasi umane; ciò
è responsabile della loro tossicità selettiva.
L’inibizione impedisce la maturazione delle particelle virali e
comporta la produzione di virioni non infettanti.
Il trattamento di pz naive (cioè che non hanno mai ricevuto una
terapia contro HIV) con un inibitore delle proteasi (ad eccezione
del saquinavir che ha biodisponibilità bassa) e due NRTI
comporta la riduzione della
carica virale fino a valori non rilevabili nel 60-95% dei pz.
Farmacocinetica
La maggior parte presenta una scarsa biodisponibilità orale; i cibi ricchi di grassi aumentano
la biodisponibilità di alcuni di essi come nelfinavir e saquinavir), mentre la riducono per
indinavir.
Sono tutti substrati del CYP3A4; il metabolismo è esteso e solo una piccola quota è escreta
nelle urine immodificata.
L’aggiustamento dei dosaggi non è necessario in presenza di deterioramento della funzione
renale
La distribuzione in alcuni tessuti è influenzata dal fatto che gli inibitori della proteasi sono
substrati per la gpP, una pompa di efflusso per molti farmaci; la presenza di questa pompa nei
cellule dei capillari cerebrali può limitare l’accesso nel SNC.
Sono quasi del tutto legati alle proteine plasmatiche, in particolare alla gp acida α1 (che
aumenta in risposta a traumi e interventi chirurgici).
Effetti avversi
Gli inibitori delle proteasi possono causare parestesie, nausea, vomito e diarrea.
Possono manifestarsi anche alterazioni del metabolismo del glucosio e dei lipidi, compresi
diabete, ipertriglicerolemia e ipercolesterolemia.
La somministrazione cronica di questi farmaci comporta la ridistribuzione del grasso
corporeo, che prevede la perdita di grasso alle estremità e il suo accumulo a livello
addominale e alla base del collo (“gobba del bisonte”) e ingrandimento del seno.
Resistenza
Si manifesta sottoforma di accumulo di mutazioni graduali del gene della proteasi; le
mutazioni iniziali determinano la ridotta abilità del virus a replicarsi; tuttavia man mano che
le mutazioni si accumulano emergono virioni con livelli di R elevati nei confronti delle
proteasi
Interazioni farmacologiche
Essi sono potenti inibitori degli isoenzimi CYP; ad es. si può sedazione eccessiva da
midazolam, sanguinamento da warfarin, depressione respiratoria da fentanil.
In aggiunta gli induttori degli isoenzimi CYP possono comportare l’abbassamento a valori
subottimali dei livelli plasmatici degli inibitori delle proteasi, contribuendo a fallimento
terapeutico; perciò vanno evitati farmaci come rifampicina, barbiturici e carbamazepina.
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SAQUINAVIR
Presenta una bassa biodisponibilità che può essere aumentata con la formulazione in capsule
molli, con l’associazione con ritonavir e con l’assunzione con cibi ricchi di grassi.
La diffusione nei tessuti è considerevole e l’eliminazione avviene principalmente per
metabolismo, seguito dall’escrezione biliare.
Il suo t1/2 è 7-12 h e dunque richiede dosaggi multipli giornalieri.
La delavirdina inibisce il suo metabolismo e ne aumenta i livelli plasmatici; la rifampicina,
l’efavirenz e la nevirapina aumetano invece il suo metabolismo e devono essere evitati.
Gli effetti collaterali più comuni comprendono cefalea, fatica, diarrea, nausea e altri disturbi
GI.
RITONAVIR
Dopo somministrazione orale la biodisponibilità è del 60% e non è influenzata da cibo; ha
però gusto sgradevole (sono necessari supplementi).
Ha un t1/2 di 3-5 h; i principali meccanismi di eliminazione sono metabolismo e escrezione
biliare.
E’ utilizzato come ottimizzatore farmaceutico degli inibitori della proteasi in quanto è un
inibitore degli isoenzimi del citocromo P-450.
Effetti collaterali sono nausea, vomito e diarrea.
INDINAVIR
E’ molto efficace sia in pz naive che già trattati e determina effetti prolungati in associazione
con gli inibitori della trascrittasi inversa.
E’ bene assorbito per via orale ed è il farmaco meno legato alle proteine (60%); è necessario
l’ambiente acido dello stomaco per l’assorbimento (è ridotto con l’assunzione di cibi).
Presenta metabolismo e clearance epatica e il dosaggio deve essere ridotto in presenza di
insufficienza epatica.
Presenta un t1/2 molto breve (1,8 h).
E’ un farmaco ben tollerato, con i soliti sintomi GI e la cefalea che sono gli effetti collaterali
predominanti; la particolarità è la tendenza a causare nefrolitiasi e iperbilirubinemia (è
importante idratazione adeguata).
Risulta inoltre particolarmente gravosa la ridistribuzione del grasso corporeo.
NELFINAVIR
E’ un inibitore delle proteasi non peptidico; è bene assorbito e non richiede restrizioni rigide
all’uso di cibi o liquidi.
Subisce il metabolismo per opera di molti isoenzimi CYP e il suo t1/2 è di 5 h.
La diarrea è l’effetto collaterale più comune e può essere controllata con l’utilizzo di
loperamide.
AMPRENAVIR
E’ utilizzato in combinazione con almeno due NRTI.
Il suo lungo t1/2 consente la somministrazione 2 volte/gg, ma le grandi dimensioni e il numero
di capsule (sedici) al gg può ridurre la compliance del pz; la somministrazione concomitante
con ritonavir riduce la complessità del regime terapeutico.
LOPINAVIR
Mostra benefici nei pz che non hanno risposto ad altri inibitori della proteasi.
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Possiede una biodisponibilità intrinseca bassa, migliorata però dalla introduzione di una
basse dose di ritonavir nella formulazione.
E’ ben tollerato e le reazioni avverse più comuni sono a livello dell’apparato GI.
Gli induttori enzimatici e iperico devono essere evitati perché riducono le concentrazioni
plasmatiche del lopanivir.
ATAZANAVIR
E’ bene assorbito per via orale e il cibo aumenta il suo assorbimento e la sua biodisponibilit{.
E’ altamente legato alle proteine e subisce un estesa biotrasformazione dal CYP3A4; è escreto
principalmente nella bile.
Il suo t1/2 è di 7 h, tuttavia necessita di una singola somministrazione giornaliera.
E’ un inibitore competitivo della glucoronil transferasie l’ittero rappresenta un effetto
collaterale noto
A livello cardiaco determina prolungamento di PR e rallenta il battito cardiaco.
Riepilogo
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IV) Inibitori della fusione virale
L’enfuvirtide è un inibitore della fusione dell’HIV; affinché il
virus possa entrare nella cellula ospite, deve fondere la sua
membrana con quella della cellula ospite: ciò viene realizzato
attraverso modifiche conformazionali della gp41, che si ha nel
momento in cui HIV si lega alla cellula dell’ospite.
L’enfuvertide lega la gp41 impedendo la modifica
conformazionale.
La sua biodisponibilit{ per iniezione sottocutanea è di circa l’ 85%.
Spesso si hanno reazioni al sito di iniezione; negli studi clinici di fase III è stato segnalato un
aumento del tasso di polmoniti batteriche nei pazienti trattati con enfuvirtide rispetto ai
controlli.
Altri effetti avversi comuni nei pazienti trattati con il farmaco comprendono neuropatia
periferica, insonnia, inappetenza e perdita di peso, mialgia e linfoadenopatia.
L’enfuvirtide (in associazione ad altri antiretrovirali) è indicata per il trattamento
dell’infezione da HIV in pazienti gi{ trattati in cui vi sia prova di replicazione virale
nonostante il trattamento antiretrovirale continuato.
E’ un farmaco molto costoso.
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89. Farmaci per il trattamento delle epatiti virali
I virus delle epatiti - A, B, C, D, E - presentano ciascuno una patogenesi che implica in modo
particolare la replicazione negli epatociti e la loro distruzione.
HBV e HCV sono le cause più comuni di epatiti croniche, cirrosi e K epatocellulare e
rappresentano le uniche forme per le quali sia disponibile un trattamento terapeutico.
L’HBV si tratta con interferone α e lamivudina anche se tale terapia combinata non è più
efficace della lamivudina in monoterapia.
L’HCV risponde all’associazione interferone α e ribavirina.
Interferoni
Costituscono una famiglia di gp inducibili naturali che interferiscono con la capacità dei virus
di infettare le cellule; la loro attività è maggiore in vitro, in vivo l’attivit{ antivirale si è rivelata
deludente.
Sono sintetizzati attraverso la tecnologia del DNA ricombinate; ne esistono tre tipi (α, β, γ).
L’IFN Α-2B è stato approvato per il trattamento dell’HBV e HCV, dei condilomi acuminati,
nonché di tumori quali leucemia a cellule capellute e sarcoma di Kaposi.
L’IFN Β ha dimostrato efficacia nel trattamento della sclerosi multipla.
Meccanismo d’azione
Non è completamente chiaro ma pare coinvolga l’induzione di enzimi nella cellula ospite che
inibiscono la traduzione dell’RNA virale e infine causano la degradazione dell’mRNA e del
tRNA virali.
Farmacocinetica
L’IFN non è attivo per via orale ma può essere somministrato per via sottocutanea, e.v. e a
livello della lesione; una quota molto piccola si rileva nel plasma e tale presenza non è
correlata alle risposte cliniche.
La captazione cellulare e il metabolismo a livello epatico e renale sono responsabili della
scomparsa degli IFN nel plasma; si ha una trascurabile eliminazione per via renale.
Il fissaggio dell’IFN a molecole di polietilenglicole prolunga il suo t1/2, al punto che può essere
impiegato a un dosaggio di una volta a settimana.
Effetti avversi
Comprendono sintomi di tipo influenzale al momento dell’iniezione come febbre, brividi,
mialgia, atralgia e disturbi GI: tali effetti cessano con le somministrazioni successive.
Le principali tossicità comprendono depressione del midollo osseo come granulo citopenia,
neurotossicità con sonnolenza e disturbi del comportamento, un grado severo di stanchezza e
perdita di peso, disordini autoimmuni come tiroidite e problemi cardiovascolari (insufficienza
cardiaca congestizia).
Rare sono ipersensibilità acuta e insufficienza epatica.
Lamivudina
E’ un analogo della citosina e inibisce sia la DNA polimerasi di HBV sia la trascrittasi inversa di
HIV.
Deve essere fosforilata dagli enzimi cellulari dell’ospite alla forma trifosfato (forma attiva) che
inibisce in modo competitivo la DNA polimerasi di HBV a concentrazioni che presentano
effetti trascurabili sulla DNA polimerasi dell’ospite.
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Il t1/2 intracellulare del trifosfato è più lungo di molte ore rispetto a quello plasmatico e ciò
consente una somministrazione diradata; il trattamento cronico è associato con la riduzione
dei livelli di DNA dell’HBV
nel plasma, con il miglioramento dei marker biochimici e con la riduzione dell’infiammazione
epatica.
La LAMIVUDINA è assorbita in modo adeguato dopo somministrazione orale e si distribuisce in
tutto l’organismo.
Il suo t1/2 è di 9 h circa; il 70% è escreto immodificato nelle urine.
In presenza di insufficienza renale di grado moderato (clearance della creatinina inferiore a 50
mL/min) si rende necessaria la riduzione delle dosi.
E’ molto ben tollerata, con rare segnalazione di cefalea e vertigini.
Ribavirina
La RIBAVIRINA è un analogo sintetico della guanosina; è efficace nei confronti di un ampio
spettro di virus a RNA e a DNA.
E’ approvato in USA e in Europa l’uso combinato di ribavirina + interferone- 2b (oppure,
più di recente ribavirina + interferone- 2a) per il trattamento dell’epatite cronica C.
La ribavirina viene prima trasformata nei derivati 5'-fosfato, il prodotto più importante dei
quali è il composto ribavirina-trifosfato, che si è supposto eserciti la sua azione antivirale
inibendo la sintesi di mRNA
virale.
La ribavirina è efficace per via orale ed endovenosa; l’assorbimento del farmaco aumenta se
esso è assunto con cibi grassi.
Si utilizza in aerosol nel trattamento delle infezioni da VRS.
Studi sulla distribuzione del farmaco nei primati hanno mostrato ritenzione in tutti i tessuti,
salvo l'encefalo.
Il farmaco e i suoi metaboliti sono eliminati nelle urine.
Gli effetti collaterali descritti nella somministrazione di ribavirina comprendono una anemia
dose – dipendente (monitoraggio con emocromo); è stato anche descritto un aumento della
bilirubina.
A causa degli effetti teratogeni negli animali da esperimento, la ribavirina è controindicata in
gravidanza
Adefovir
L’ADEFOVIR è un analogo nucleotidico fosforilato ad adefovir difosfato, che è quindi
incorporato nel DNA virale: ciò porta all’interruzione dell’ulteriore sintesi di DNA impedendo
la replicazione virale.
Si somministra una volta/gg ed è escreto con le urine (45% sottoforma di composto attivo); la
clearance è influenzata dalla funzionalità renale.
Nei pz trattati con adefovir si manifesta sia la riduzione della carica virale sia il miglioramento
della funzionalità epatica; in circa il 25% dei pz la sua sospensione può avere come risultato
l’esacerbazione severa dell’epatite.
Non presenta interazioni farmacologiche significative ma deve essere usato con cautela nei pz
con I.R.
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Entecavir
E’ un analogo della guanosina efficace contro i ceppi di HBV resistenti alla lamivudina.
Dopo fosforilazione intracellulare compete con il substrato naturale per il legame alla
trascrittasi inversa.
Risultano migliorate infiammazione e cicatrizzazione.
Si somministra una volta al giorno.
Subisce sia filtrazione glomerulare sia secrezione tubulare ed è metabolizzato in maniera
limitata; la funzionalità renale deve essere valutata periodicamente e devono essere evitati
farmaci nefrotossici.
I pz devono essere tenuti sotto stretta osservazione dopo la sospensione del trattamento a
causa della possibile insorgenza di epatiti di grado severo.
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90. Farmaci attivi contro i virus erpetici
Gli herpes virus sono associati a un'ampia gamma di malattie, per es., herpes facciale,
encefalite virale e infezioni genitali, queste ultime particolarmente pericolose per il neonato
durante il parto.
I farmaci efficaci contro questi virus realizzano le loro azioni nella fase acuta dell'infezione
virale e sono privi di effetto nella fase latente.
Con l’eccezione del foscarnet, sono tutti analoghi delle purine o delle pirimidine e inibiscono la
sintesi del DNA.
ACICLOVIR
L’aciclovir è diventato uno dei farmaci virali più prescritti grazie alla sua efficacia nei
confronti degli herpes virus (HSV-1 e HSV-2, HZV e EBV).
L’uso più comune è nella terapia delle infezioni genitali da herpes; si somministra anche a
scopo profilattico ai pz sieropositivi prima del trapianto del midollo e dopo quello cardiaco
per proteggere tali individui
durante i trattamenti immunosoppressivi dopo un trapianto.
Meccanismo d’azione
E’ un analogo della guanosina a cui manca una parte della zucchero e viene monofosforilato
all'interno della cellula dalla timidina kinasi, enzima codificato dagli herpes virus; l'analogo
monofosfato viene trasformato nelle forme di- e trifosfato dalle cellule dell’ospite.
L'aciclovir trifosfato compete con la desossiguanosina trifosfato (dGTP) come substrato per la
DNA polimerasi virale, viene incorporato esso stesso nel DNA virale, provocando
l'interruzione prematura della catena di DNA; il legame irreversibile della catena nascente che
contiene l'aciclovir con la DNA polimerasi virale inattiva l'enzima (è meno efficace nei
confronti dell’enzima dell’ospite).
Farmacocinetica
La somministrazione può avvenire per via endovenosa, orale o topica (l’efficacia delle
applicazioni topiche è però dubbia); il farmaco si distribuisce bene in tutto l'organismo,
liquido cefalorachidiano compreso.
L'aciclovir viene parzialmente metabolizzato in un composto inattivo.
L'eliminazione nelle urine avviene sia per filtrazione glomerulare sia per secrezione tubulare
(si accumula nei pazienti con insufficienza renale).
Effetti avversi
Gli effetti collaterali dipendono dalla via di somministrazione.
Per esempio, l'applicazione topica può essere seguita da irritazione locale; dopo
somministrazione orale possono presentarsi cefalea, diarrea, nausea e vomito.
Nei pazienti che ricevono alte dosi del farmaco o in quelli disidratati la somministrazione
endovenosa può essere seguita da una temporanea alterazione della funzione renale.
Resistenza
In alcuni ceppi virali resistenti sono state trovate timidina kinasi e DNA polimerasi alterate o
carenti.
Si manifesta resistenza crociata con altri farmaci simili.
GANCICLOVIR
La mancanza di effetti degli analoghi nucleosidici disponibili sulle infezioni da
citomegalovirus (CMV) ha portato alla sintesi dell’analogo dell'aciclovir, ganciclovir
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E’ attualmente disponibile per il trattamento della retinite da CMV nei pz
immunocompromessi e per la
profilassi del CMV nei pz trapianti.
Il ganciclovir viene attivato mediante la trasformazione nel nucleoside trifosfato da parte di
enzimi virali e cellulari; il citomegalovirus è carente di timidina kinasi e, perciò, forma il
trifosfato attraverso un’altra via.
Il nucleotide inibisce la DNA polimerasi virale in modo competitivo e può essere incorporato
nel DNA
riducendo la velocità di allungamento della catena.
Viene somministrato per via endovenosa e si distribuisce a tutto l'organismo, LCR compreso.
L’escrezione nelle urine avviene per filtrazione glomerulare e per secrezione tubulare; come
l'aciclovir, il
ganciclovir si accumula nei pazienti con insufficienza renale.
Gli effetti avversi comprendono una neutropenia dose dipendente di grado elevato; il
trattamento combinato con zidovudina può aggravare la neutropenia.
Negli animali da esperimento, il ganciclovir è cancerogeno nonché embriotossico e teratogeno.
Sono stati trovati ceppi di CMV resistenti che presentano bassi livelli di ganciclovir trifosfato.
FOSCARNET
A differenza della maggior parte dei farmaci antivirali, il foscarnet non è un analogo purinico o
pirimidinico; è un derivato del pirofosfato.
Nonostante la sua ampia attività antivirale in vitro, è approvato solo per il trattamento della
retinite da citomegalovirus nei pazienti immunodepressi infetti da HIV, specialmente se
l’infezione è resistente al ganciclovir.
Agisce inibendo irreversibilmente le DNA e RNA polimerasi virali, ponendo così termine
all’allungamento della catena.
Una mutazione della struttura della polimerasi è responsabile dei virus resistenti (non è
comune la R crociata
tra foscarnet e ganciclovir o aciclovir).
Si assorbe scarsamente per via orale e deve essere iniettato per via endovenosa; deve essere
somministrato frequentemente per evitare recidive quando si abbassano le concentrazioni.
Si disperde in tutto l’organismo; una quota maggiore del 10% penetra nella matrice ossea che
poi lascia lentamente.
Il farmaco progenitore viene eliminato nelle urine per filtrazione glomerulare e secrezione
tubulare.
Gli effetti avversi comprendono nefrotossicità, anemia, nausea e febbre; in seguito a
chelazione con cationi bivalenti, si osservano anche ipocalcemia e ipomagnesiemia.
Oltre a ciò, sono state descritte ipokaliemia, ipofosfatemia, convulsioni e aritmie.
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Riepilogo dei principali agenti virali
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BIBLIOGRAFIA ed ICONOGRAFIA
-
Howland, Mycek. Le basi della farmacologia. Zanichelli
Goodman & Gilman. Le basi farmacologiche della terapia. Il manuale. Mc-Graw Hill.
Materiale didattico utilizzato a lezione e disponibile per gli studenti di Medicina e Chirurgia
Appunti di lezione
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