l`uomo finisce dove inizia il cittadino - Informa

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l`uomo finisce dove inizia il cittadino - Informa
che, mentre sul territorio “pubblico” delle piazze dispone il proprio “servizio
d'ordine”, sul web offre al proprio “pubblico” affezionato (potere e repressione
compresi) la voce dei propri politicanti e dei propri infami per hobby.
Ciò che lo stato teme e il motivo per cui l'Italia tutta dispiega il “proprio”
braccio armato attorno ai siti della Tav noi crediamo e speriamo bene di immaginarlo.
L'UOMO FINISCE DOVE INIZIA IL CITTADINO
Potremmo continuare all'infinito con questo tenore di invettiva, ed è quello che
faremo, con parole e azioni, del corso e del senso delle nostre vite...
Ma dove vanno a finire le parole di un discorso colmo d'amore e di rabbia come
è da sempre il nostro discorso? Dove si disperdono nella speculazione e nella
chiacchiera; dove e come invece si fanno nuclei di condensazione di altre parole e
gesti complici di amore e di rabbia?
Questa domanda da sola meriterebbe una riflessione a sé e una risposta aperta fatta,
come dicevamo, di parole e azioni.
I militari sono uomini e donne armati dallo stato per fare la guerra. E' talmente
ovvio, o per lo meno è stato ovvio e lampante a generazioni di cui questo presente
aberrato e aberrante non ha più memoria, che il solo fatto di doverlo ribadire
rinfocola la nostra rabbia e il nostro disgusto. Non mancheremo di descrivere in
seguito le ragioni e le modalità con cui secondo noi il dominio ha egregiamente
dissolto nella coscienza delle persone il ruolo di servi assassini dei militari, il modo in
cui ha confuso lo sguardo delle persone fino a svuotare di senso la stessa parola
guerra, stravolgendo la realtà fino al punto che quei pochi pignoli che ancora
conoscono l'attualità dei conflitti in corso li scambiano per missioni di pace,
operazioni umanitarie ecc...
“La guerra è pace” non è più solo una citazione.
Oggi possiamo cominciare/continuare col rendere inequivocabile il senso del
nostro grido di rabbia qui ed ora.
Noi non siamo semplicemente contro la presenza militare in strada, non
semplicemente contro l'esistenza dell'esercito, non contro uno stato di cose ingiusto,
da riformare o sovvertire nell'ottica di un'utopica riforma in chiave libertaria della
società.
Noi odiamo lo stato in tutte le sue manifestazioni: dalle istituzioni totali alle
forze armate; dal dispotismo delle dittature al buonismo cittadinista, più o meno
cattocomunista, più o meno socialdemocratico e via dicendo.
In queste ed altre aberrazioni istituzionali odiamo il fondamento dell'autorità.
Disprezziamo la pretesa di qualcuno di regolare l'andamento della vita di “tutti” gli
“altri” attraverso le armi spietate della legge, della società, degli uomini armati per
ordinare altri uomini, quale che siano la cosmologia, la filosofia morale (laica o
religiosa che sia) o l'ordinamento sociopolitico e le modalità che animano l'impianto
autoritario del caso.
Non sappiamo che farcene dell'indignazione di chi sa solo ravvisare nel nostro
discorso delle mere fondatissime e giustissime critiche al malfunzionamento e alle
derive inumane dell'attualità cittadina.
Noi vogliamo coltivare l'autentica natura antiautoritaria del nostro odio per lo
stato e i suoi militari.
E vogliamo incontrare complici di questo odio lucido sui più disparati sentieri
della lotta per amore di libertà.
“Ci vuole un odio, un odio che rimane. Non basta sapere che abbiamo cominciato bene.”
Dal testo della canzone il delirio di G. Gaber
Armi pubbliche, male comune
I militari fanno la guerra; i militari sono la guerra. O quantomeno ne sono
l'espressione diretta in termini fisici, operativi e funzionali all'interno della società
civile stessa. Ci teniamo a precisarlo perché non si pensi che il nostro disprezzo si
limiti a rivolgersi alle divise: quella che abbiamo appena chiamato società civile, e
che prima abbiamo chiamato persone, è complice e attrice di guerra, sfruttamento,
tortura e morte. Lo è con il proprio silenzio, con la propria inebetita
inconsapevolezza, con la propria becera e ottusa violenza che si fanno consenso,
opinione pubblica, massa sociale di manovra.
A Firenze in questi giorni i militari, e con loro la guerra, sono stati portati a
presidiare e perlustrare le strade della città e questo ci fa schifo e ci fa incazzare. Ci fa
schifo e ci fa incazzare in un modo lucido, profondo e consapevole che vogliamo
provare a descrivere con chiarezza e inequivocabilità.
Questi spietati giovanotti dallo sguardo ebete (militari di leva, in servizio o
sbirri prestati all'esercito che siano) portano a passeggio i muscoli, le armi e gli
equipaggiamenti dello stato nelle strade della città. Sono in mezzo a noi per
osservarci, controllarci ed eventualmente reprimerci. Sono in mezzo a noi affinché
noi possiamo vederli, temerli, obbedire alle regole o essere puniti.
Ci preme non tralasciare nessun particolare, per cui precisiamo che non a caso
abbiamo parlato di strade. Noi crediamo fermamente che le strade non siano dello
stato, che non ce ne sia concesso l'uso in un modo per cui l'autorità/istituzione del
caso abbia luogo e legittimità di regolamentare/contenere il tenore del nostro
atteggiamento nell'attraversarle/viverle. Parimenti noi riteniamo con forza che le
strade non siano ascrivibili all'inganno sinistro del “bene comune”. Cioè del luogo
“pubblico” in quanto appartenente ad un inconsistente concetto di collettività che nei
fatti coincide con la cittadinanza, cioè con coloro che se ne guadagnano il diritto
attraverso l'obbedienza e la delega della rappresentanza democratica. Per noi le strade
non sono, le strade ci sono e basta. Le strade ci sono in quanto luogo che appartiene
di volta in volta alla libertà di chi le attraversa, di chi le popola. In questo senso, e
solo in questo senso, possiamo finalmente chiamarle come vorremmo: le nostre
strade, le strade di ognuno, le strade di chiunque. Un luogo che diventa pubblico,
della cittadinanza, è invece un luogo dell'obbedienza e della sudditanza di tutti, in
definitiva un luogo di nessuno.
La nostra non è un'astrazione filosofica/concettuale con la quale esprimiamo
un'opinione e una velleità politica. Che le strade (come tutto il mondo del resto) siano
“nostre” lo sa benissimo, e forse meglio di noi, chi ci comanda e ci reprime.
Altrimenti per quale motivo sarebbero necessarie al potere almeno sei categorie di
infami in divisa (vigili, guardie giurate, polizia, carabinieri, finanzieri, militari ecc..)
per mantenerne la proprietà e il controllo/gestione, che non a caso si chiama “ordine
pubblico”? Altrimenti per quale motivo lo stato e il capitale avrebbero bisogno di
migliaia di telecamere per spiare e registrare i nostri gesti e i nostri movimenti? La
proprietà è un furto, privata o pubblica che sia. E anche in questo caso
quest'affermazione perde nell'attualità il suo sapore citazionista. E la conservazione di
tutto lo spazio di libertà che ci è stato rubato dallo stato necessita di tutto
l'armamentario di diavolerie tecnologiche e misure coercitive di cui le ronde militari
sono solo la più recente manifestazione di fatto.
Ancora una volta queste ovvietà si scontrano con l'orrendo inferno della buona
fede del cittadinismo democratico e delle sue più efferate buone intenzioni.
Il buon cittadino, quello che ha tutti i documenti in regola, quello che produceconsuma-crepa senza avere niente da nascondere, quello che non ha niente da temere
dallo stato, si sente fiero e tutelato al cospetto delle telecamere, degli sbirri, delle
“armi pubbliche” in genere; al cospetto della dea legalità e del messalino burocratico,
nondimeno dei militari. Come è riuscito il dominio a renderli inerti all'autorità, ciechi
alla realtà e ad imbottire loro il cervello di puttanate? Ha messo in campo le sue armi
più micidiali: l'istruzione pubblica, il bombardamento mediatico, il diritto e l'accesso
diffuso alla merce di stato (cultura e reddito compresi, ma questa è un'altra storia...).
Dicevamo che chi ci comanda e ci reprime sa meglio di noi che ogni luogo
appartiene di fatto alla libertà di ognuno. Dicevamo che per questo, nel rubare alla
libertà di ognuno le strade (e tutto il resto) utilizza armi e soldati. Ora diciamo che
mentre ci rapinano ci prendono per il culo dicendoci che le strade sono pubbliche, i
soldati sono i nostri soldati, le loro armi sono al nostro servizio, lo stato è la nostra
patria, la guerra è la nostra guerra, la schiavitù del lavoro e l'elemosina dello stato
sociale sono i nostri diritti. Ci vogliono convincere che lo stato siamo noi, e che
qualunque cosa esso prenda o faccia lo prendiamo e lo facciamo noi per noi. Ma chi è
questo noi? Il dominio ha educato e plagiato gli uomini al punto da far scordare loro
Noi riteniamo che se lo stato ci tiene così tanto a contenere e regolare le forme
consentite di espressione della rabbia delle persone, che se lo stato si adopera così
bene per riassorbirla e riciclarla in indignazione e scontento domato sia perché lo
stato sa molto bene che questa rabbia esiste. Lo stato e il potere in generale
conoscono bene la propria iniquità, la propria infamia. E conoscono ancora meglio, e
ancora meglio di noi la potenzialità distruttiva della rabbia di ogni individuo e di tutti
gli individui. Per questo la studiano, la temono, cercano di arginarla, spostarla e,
quando non è possibile, di colpirla con la repressione. Fior di sociologi, politologi e
bruti in divisa sono arruolati al soldo dello stato per far guerra culturale e di quartiere
a chi si divincola dal potere, per emanciparsi nella lotta dallo svilente annichilimento
della propria e altrui cittadinanza.
Ci diano pure di paranoici o di esaltati ma noi pensiamo che di rabbia in giro ce
ne sia molta e che, sia che questa si esprima o meno, chi ci comanda ne abbia paura.
Crediamo che non sia un caso che il potere si armi di strumenti sempre più affilati per
contenerla e per colpirla, specie in momenti storici così opprimenti per una città
vetrina ormai invivibile come Firenze; specie alla vigilia di eventi istituzionali
provocatori (come il vertice Nato in programma a Firenze). Questo non per dire che
ci aspettiamo granché dalla rabbia compressa e narcotizzata di una società frustrata,
livida di rancore, ma miseramente pacificata. Ma per ribadire con forza che se questa
rabbia e questo rancore si facessero odio lucido e attivo nei confronti di un nemico
più che mai riconoscibile, allora sì che il potere avrebbe molto da perdere. Questo
vorremmo, questo temono...
Non a caso c'è ancora qualcos'altro che i militari fanno a Firenze: proteggono i
cantieri della Tav e le stazioni ferroviarie. Pattugliano i presidi fisici e simbolici di
questa mostruosa grande opera di devastazione e sfruttamento, e già che ci sono
sfollano anche i senza tetto e i venditori abusivi di fazzoletti e souvenir dalle stazioni.
Già che ci sono transennano i binari dei treni per impedire a chiunque di avvicinarsi
alle vetture sprovvisto dell'esoso biglietto.
Anche in questo caso la “grande opera” è opera pubblica, è opera del pubblico,
opera fatta e voluta da e per il cittadino fatto stato. Che orrore! Anche in questo caso
il cittadino ha il diritto di dissentire, di costituirsi in questa forma sgradevole anche
nel nome che è il “comitato cittadino contro la Tav”. Il comitato è cittadino, e in
quanto tale avanza la propria istanza di partecipazione alla propria neutralizzazione.
Le armi del cittadino sono la protesta civile e la bella e sana magistratura democratica
toscana. Il comitato cittadino si adopera per “operare la Tav” con i propri criteri,
secondo i progetti e le proposte dei propri periti integerrimi alla legge a all'autorità,
illuminati dal bene comune. Che disgusto!
E' ovvio che lo stato e gli interessi del capitale non hanno bisogno di guardarsi
le spalle da questi onesti indignati cittadini dalle spalle polverose per la decennale
immobilità.
Ed è altrettanto ovvio che il potere non teme neanche una certa baldanzosa gioventù
attacco da parte di un qualsiasi seguace del califfato alla sinagoga di Sant’Ambrogio a
Firenze o a qualche altro simbolo dell’imperialismo italiano, cosa che se peraltro mai
avvenisse ci farebbe ricercare le cause più nella connivenza dello Stato italiano con
l’eccidio palestinese da parte degli israeliani e con le “guerre umanitarie” finora
portate avanti nei paesi islamici più che farci soccombere nella paranoia della
“minaccia terroristica”, non possiamo fare a meno di continuare a schifarci.
Ma chi è più stronzo? E' più stronzo chi istiga al becero odio razziale, alla paura
dell'altro; chi cerca con successo di far credere a migliaia di persone che un manipolo
di coglioni italiani armati fino ai denti vada a spasso tra la gente per proteggerla da
temibili negri sanguinari che nessuno ha mai visto se non in tv? Oppure è più stronzo
chi ci crede, chi ha paura di armi lontane, di assassini invisibili, sentendosi però
tutelato dalle armi onnipresenti degli assassini pubblici, dei nostri soldati? La
stronzaggine dell'uno fa leva sulla stronzaggine dell'altro. E la violenza ordinata di
questa complicità si incarna nella figura del soldato: pulito, stirato, composto; il
soldato saluta, controlla, reprime e uccide i passanti con la stessa cortese aria di
sufficienza, con la stessa paga oraria; ed esprime la stessa alienazione compiaciuta di
chi in strada ce lo mette, di chi se lo tiene.
E ancora: i militari a Firenze garantiscono ordine pubblico e legalità.
Reprimono e deterrono con zelo e abnegazione ogni forma di protesta illegale, ogni
sorta di ribellione o insubordinazione. Le scritte sui muri, l'attacchinaggio abusivo, le
manifestazioni e i presidi non autorizzati, i gesti e gli atteggiamenti sospetti di essere,
più o meno violentemente, contro il potere e l'ordine costituito e l'autorità sono
prevenuti, individuati e colpiti dalla divisa e dal soldato, circondati dalla riverenza e
dalla complicità dell'opinione pubblica.
Un bravo cittadino sa che può e deve andare a votare i propri padroni. E se è
scontento può sempre esprimersi nelle mille ridicole e umilianti forme consentite del
dissenso civile.
Un onesto lavoratore, quando si incazza, rimane seduto alla scrivania dell'ufficio a cui
si è incatenato da solo. Ma dal suo “telefono elegante” clicca “non mi piace” su
“faccialibro” se si parla di licenziamenti di operai o aumento di stipendio ai politici.
Poi, già che c'è, clicca “mi piace” agli “angeli del bello” che ripuliscono la facciata
del palazzo dove lavora dalla scritta “guerra allo stato e al capitale”.
Se poi la sua annosa schiavitù gli avrà meritato la chiave di uno squallido
tugurio in centro, la sera tornando a casa chiamerà gli sbirri con il solito telefono
elegante per segnalare la presenza di un vandalo che scrive “mai più schiavi del
lavoro” sulla facciata del palazzo dove vive, per l'imbiancatura della quale ha appena
pagato 200 euro di quota condominiale.
Il bravo cittadino, quando decide di “disobbedire civilmente”, durante un corteo
toglie il cappuccio a quello che gli hanno insegnato a chiamare cattivo black bloc
consegnandolo agli sbirri.
di essere ognuno un individuo e tutti persone; ognuno libero di fatto e non per diritto;
ognuno differente in un modo per cui sono proprio l'individuo e la propria differenza
il territorio stesso dell'uguaglianza e dell'essere plurale e di pari dignità.
Per farlo ha sostituito all'individuo, alla persona in quanto tale, la categoria di
cittadino. E' cittadino colui che possiede i documenti a cui ha diritto e che ha
l'obbligo di esibire a richiesta. E' cittadino colui che ottiene per diritto ovvero per
concessione e/o elemosina i diritti di cittadinanza. E' cittadino colui che si attiene alle
regole, sottostà alla legge e assolve ai propri doveri e obblighi civici. In questo senso
il cittadino è il “pubblico” dell'unico vero attore di questo dramma tragicomico:
l'autorità.
Le strade che prima noi abbiamo chiamato nostre vengono spacciate per
pubbliche, cioè luogo del pubblico “pagante”, del cittadino obbediente. Lo spettacolo
raccapricciante che viene oggi proposto al pubblico-cittadino sulla scena delle proprie
strade è vario ma sempre violento, squallido e ripetitivo.
Ecco cosa succede per le strade di Firenze (e non solo). Sbirri di ogni sorta
pattugliano armati le strade per impedire a chicchessia di sedersi sui marciapiedi (le
panchine le hanno tolte i datori di lavoro degli sbirri): un buon cittadino ha ben
imparato che se si vuole sedere può farlo al tavolino di uno degli innumerevoli
localetti del cazzo del centro, ovviamente seduto composto, vestito bene e
consumando prodotti a caro prezzo (meglio se km0, ci si sente più buoni). Già,
perché un buon cittadino è pulito, si comporta in modo ordinato (che brutta parola...),
è bello (cioè ha un aspetto ordinato) e, soprattutto, paga. Paga le bevute, la sedia su
cui appoggiare civilmente il culo, paga le telecamere che controllano che faccia il
bravo, paga lo sbirro che lo tiene legato a quella sedia a suon di manganellate, multe e
sorrisi. Un buon cittadino non odia lo sbirro e il militare anzi, saluta il soldato
“buongiorno e buonasera”, d'altronde sono o non sono i nostri soldati? Sono o non
sono loro che proteggono il “nostro aperitivo”?
Gli sbirri, e oggi anche i militari, impediscono ai “balordi” di dormire in strada.
Un buon cittadino, uno che lavora onestamente e, se non ci riesce, piange
onestamente miseria agli aguzzini dell'assistenza sociale potrà certamente pagarsi una
casa, farsi assegnare un alloggio popolare o alle brutte dormire alla caritas o sulla
pietosa branda di qualche pretaccio annoiato. Un buon cittadino è schiavo del
padrone che lo fa sgobbare per pochi soldi con cui pagarsi una scatola di cemento in
cui schiaffare un merdoso letto Ikea su cui crollare esausto dopo aver passato le ore di
tempo libero a lucidare le superfici. Un onesto cittadino è ben contento di vedere i
propri soldati che scacciano, picchiano, arrestano e non di rado uccidono i senza tetto,
i vagabondi e ogni sorta di “sbandato”. D'altronde in strada non si dorme, è una cosa
brutta e sporca: se vogliono un posto dove dormire devono lavorare, far pietà a
qualcuno oppure morire in maniera civile e ordinata come si conviene ad un onesto
cittadino.
Gli uomini in divisa catturano, arrestano e reprimono spacciatori e drogati. Un
cittadino sano sa bene di avere il diritto di sballarsi solo con le droghe prodotte,
prescritte e spacciate dallo stato. Un cittadino civilmente vizioso e opportunamente
viziato può ben scegliere tra una vasta gamma di tabacchi, alcolici, psicofarmaci ecc..
E se farà il bravo con un piccolo investimento e tanta buona volontà potrà anche
aprire un'attività commerciale dove spacciare a piene mani per conto della
mafia/monopolio di stato. Il cittadino sano, civilmente drogato e onestamente
spacciatore applaudirà agli sbirri a caccia di spacciatori di merci illegali (droghe,
borsette contraffatte o accendini che siano), colpevoli innanzi tutto di essere evasori
fiscali. Una brava casalinga con gli occhi ribaltati, la bocca schiumante e il fegato
spappolato di diazepam, xanax e rum, bacerà le mani al finanziere o al soldato che
arresterà suo figlio per avergli trovato della droga addosso. Il soldato consumerà o
spaccerà ciò che ha sequestrato a suo figlio, e il pargolo sarà salvo. Lo stato con il
carcere, il sert e il reinserimento sociale lo restituirà all'abbraccio di mammina come
un cittadino pulito e nuovo.
E poi cos'altro fanno i militari per le strade? Quando non aiutano le vecchine a
parcheggiare al riparo dai divieti di sosta, spesso e volentieri controllano i documenti
alla gente. E' superfluo precisare che li controllano prevalentemente agli immigrati. E
che gioia per il cittadino vedere riconosciuta nero su bianco la propria identità su un
pezzo di carta, con allegata anche la propria foto con quella bella messa in piega! Un
cittadino in quanto tale ha una carta d'identità, se possibile ha anche una patente e un
passaporto. Ce li ha per diritto e di conseguenza ha diritto a farsi sfruttare, a farsi
vendere qualunque cosa, a vendere qualunque cosa, a farsi ammalare/curare, a
“muoversi liberamente” in un villaggio turistico in Kenya per tre settimane all
inclusive, a votare, a passeggiare per la strada sventolando con soddisfazione la
propria carta d'identità in faccia al nostro soldato. Se poi è stanco ha diritto a
schiantare il culo sulla solita seggiola della solita Ikea del primo localaccio che
incontra, ce ne sono per tutti i gusti nel villaggio turistico a Km0 che è diventata
Firenze! Sempre seduto su quella seggiola pagherà nel prezzo del suo spritz (all
inclusive bevuta e spettacolo) la scena edificante di una squadraccia di merdosissimi
nostri soldati che fermano un immigrato senza documenti. Se lo spettacolo è scadente
lo vedrà allontanare dalla piazza a male parole o a pedate. Ma se lo show si fa
avvincente, lo sbirro zelante provvederà ad appuntare sul petto al malcapitato un bel
decreto di espulsione e a chiamare altri colleghi sbirri che si adoperino a deportare
l'immigrato (guai a chiamarlo persona..) in questura, per poi rinchiuderlo per mesi in
un CIE. Ci rifiutiamo di credere che chiunque si ricordi di essere persona, chiunque
sappia di essere individuo, possa gioire di fronte a questa pratica quotidiana dello
stato per mano dei suoi soldati.
Chi si compiace di questa scena, nell'omuncolo seduto al tavolino del bar, è la
propria cittadinanza. Perché di questo stiamo parlando: di cittadinanza, cioè di
legittimità civile ad esistere in un luogo, in una città appunto. In Italia essere
sprovvisti di documenti non è reato e non viene punito penalmente. Non si è
delinquenti bensì irregolari, clandestini. La parola immigrato si riferisce al cittadino
di un'altra città, di un altro luogo, che si è sottratto per bisogno, desiderio o necessità
alla propria cittadinanza di provenienza e di diritto. E' uno degli innumerevoli
individui a cui è stata sottratta la libertà di attraversare quelle che noi vorremmo
essere le nostre strade e che ci hanno rubato (a noi e a lui) per renderle strade
pubbliche, cioè di nessuno.
I cittadini, aperitivanti e non, hanno diritto ad attraversare civilmente le
pubbliche strade di un certo numero di città. Dove non si è cittadini si è clandestini, si
è irregolari, si è fuori luogo, cioè non aventi diritto ad avere luogo.
La condizione di non cittadino, sia essa una necessità o una scelta, è
inammissibile per lo stato (anche per lo stato di origine dell'immigrato, il quale era
cittadino quando si trovava “a casa sua”). Reato o no, spogliarsi della galera
individuale della cittadinanza è una condizione che va identificata, catturata,
rinchiusa, torturata, sfruttata al bisogno e espulsa sotto forma di una forma qualunque
cittadinanza di un qualunque “altrove”.
Lo stato permette ai barconi di arrivare in Italia facendo affari con gli stati di
provenienza degli immigrati e degli scafisti. Lo stato e il capitale raccolgono i
clandestini ricattabili per farli lavorare sotto padroni italiani o immigrati “regolari”
(cittadini “colorati”) a 2 euro l'ora per il tempo necessario, li rastrella nelle strade per
poi lucrare sulla gestione dei CIE in cui li rinchiude e li fa torturare dalle più svariate
associazioni umanitarie (Caritas, Croce Rossa, Misericordia ecc...). Lo stato li
reimmette clandestini nelle strade pubbliche per poterli sfruttare nuovamente al
bisogno o rispedirli al “loro paese” se non servono più. Salvo ovviamente raccontare
ai propri cittadini che sarebbe meglio bombardare i barconi per salvare gli immigrati
dallo sfruttamento schiavista degli scafisti!
Ma torniamo all'onesto cittadino seduto a bere il suo spritz. Non è difficile
interpretare il suo ghigno compiaciuto di fronte al soldato accalappia-clandestini al
lavoro: - Meno male che ci sono le forze dell'ordine ad arginare quest'invasione delle
strade. D'altronde questi clandestini potrebbero ben accettare la propria condizione di
cittadini a casa propria. E se a casa loro c'è la guerra ci penseranno gli stati potenti a
bombardarli per restituire loro la pace. E se a casa loro c'è miseria ci penseranno i
nostri soldati a lanciare loro dagli elicotteri qualche pacco di pasta scaduta e qualche
stabilimento di qualche “nostra” bella azienda che li faccia lavorare onestamente.
Insomma, che vogliono? Vengono qui a rubarci i nostri diritti, i nostri doveri e il
nostro sfruttamento? Restassero a casa propria a piangere per i propri diritti,
ottenendoli o morendo civilmente come facciamo noi qui da noi!
Come se non bastasse l'animo, già reazionario di per sé, dell'onesto cittadino è
fomentato dal mortifero terrorismo mediatico sul rischio terrorismo islamico. Ogni
immigrato sembra avere il volto minaccioso dell'Isis e il telespettatore tremebondo
plaude ai militari scesi in strada per proteggerlo dai terroristi.
Senza volerci dilungare nel poco interessante calcolo delle probabilità di un