Siena ed il primo rinascimento ungherese

Transcript

Siena ed il primo rinascimento ungherese
SIENA ED IL PRIMO RINASCIMENTO UNGHERESE.
Più volte è stata di già affacciata l’ipotesi che le forme dell’arte
ungherese nella prima metà del secolo X V non siano state deter­
minate esclusivamente dai suoi rapporti collo sviluppo dell’ arte
veneziana geograficamente confinante o di quella fiorentina entrata
già in una fase di influssi decisiva, — ma che abbiano attinto specialmente dall’arte senese, derivandone impulsi fecondi ed influenze
durevoli.
Anche senza voler tener conto d ell’ importanza centrale
derivata alla metropoli della Toscana meridionale dalla posizione
tenuta da essa nel Trecento, la relazione tra l ’arte ungherese e
quella senese sembra voluta da una necessità storica interna. Nei
secoli X III, X IV e X V l’influenza artistica di Siena non si arresta
ai confini politici della fiorente repubblica. La multiforme attività
p. e. di Sim one Martini è per così dire il simbolo dell’ espansione
dell’arte senese. E invero lo vediamo lavorare quasi contempora­
neamente a Siena, ad Avignone, a Napoli. M a mentre il lirismo
della pittura di Siena delicatamente affinato per l’influenza di
Simone Martini s ’incontra a metà strada collo stile aulico della
anazionale corte di Avignone, le gemme della sua arte sbocciate
alla corte angioina, in quella Napoli che non seppe conquistarsi
mai una posizione predominante nel campo d ell’arte, conservarono
sempre in qualche modo il loro carattere senese. Gli stati del­
l’Europa settentrionale — la Francia, le province franco-sveve,
quelle renane e della Vesfalia, la Baviera, 1’ Austria, la Boem ia1 —
in quanto ebbero a subire l ’influenza dell’ arte senese, la subirono
di solito nell’ edizione avignonese; 1’ Ungheria invece grazie alla
comune dinastia degli Angiomi la ebbe per una via più diretta
attraverso Napoli, ed in u n ’ edizione più genuina.
Si inizia così un lungo e fecondo processo storico-culturale,
di cui ad onta della preponderante ed universale influenza dell’arte
1
D vorak M ., D ie M iniatoren des Johann von N eum arkt. Jah rb u ch d e r kulturhistorischen
Sam m lungen d. allerh. K aiserhauses.
C orvin a X .
4
50
EN RICO HORVÀTH
fiorentina, si risentono gli effetti fino al tramonto d ell’ epoca degli
H unyadi, in u n ’ epoca cioè quando l ’arte senese aveva già perduto
persino gli ultimi ricordi d ell’egemonia artistica un giorno esercitata,
e quando le relazioni d ell’ Ungheria coi centri culturali d ell’ occi­
dente e del m ezzogiorno occidentale erano state bruscamente
troncate dalla scimitarra turca. Per di più questo processo storico
culturale non si esaurisce nel sem plice ricevimento e nella sem plice
cessione di elem enti etnicam ente e psicologicam ente estranei.
Ciò che è dimostrato all’ evidenza, oltre che dalla durata secolare di
tali relazioni, specialm ente dal fatto che esse non si limitano al
campo d ell’arte, ma accompagnano ed incrociano anche correnti
storico-politiche, spirituali, etico-religiose.
*
Apre la serie degli ungheresi memorabili per 1 loro rapporti
con Siena, la figura leggendaria di quel misterioso antipapa Callisto
IV che nel secolo ebbe nom e presum ibilm ente Giovanni Ungaro,
e di cui Spinello Aretino ci tramandò il ritratto in una delle lunette
della Sala di Balia o Sala dei Priori nel Palazzo pubblico di Siena.
M a già m olto più sicuri possiam o procedere n ell’esame della coope­
razione e delle relazioni tra Lodovico il Grande angioino Re
d ’Ungheria e Santa Caterina da Siena. Sappiamo dalle lettere
della santa sen ese1 com e essa vedesse assicurata la potenza della
Santa Sede soltanto nel caso di u n ’alleanza del Pontefice con Lodovico il Grande e colla Repubblica di Venezia. Tuttavia Santa
Caterina non figura tra i personaggi prediletti dall’iconografia
ungherese del m edio evo. Santa Elisabetta d ’Ungheria gode invece
di grandi sim patie nella pittura senese. G li affreschi p. e. della
Chiesa di Santa Maria di D onna R egina,11 affreschi dovuti certa­
m ente al pennello di un trecentista senese, o a quello di un allievo
napoletano di Sim one M artini, sono per noi ungheresi di grande
interesse non soltanto per il loro soggetto — che è lo sposalizio di
Santa Elisabetta d ’Ungheria — ma specialmente perché nella
biologia dei tipi e nella rappresentazione dei costum i, tradiscono
una innegabile influenza ungherese. Tanto, che siamo costretti a
supporre o un soggiorno in Ungheria del loro non ancora identi­
ficato autore senese, o alm eno dei rapporti molto stretti tra lui ed il
1 S. C aterin a da S iena, L e le tte re con proem io di N . T om aseo. F irenze, 1860.
2 B erteaux E ., L ’a rt siennois à N ap les au X IV sied e . R evue archeologique, 1900. — Idem ,
S a n ta M aria di D o n n a R egina e l’a rte senese a N apoli nel secolo X IV (D ocum enti p e r la storia e p er le
a rti delle provincie n ap o litan e. N uova Serie. Voi. I. N apoli 1899. T a v . V I.).
51
SIENA ED IL PR IM O RINASCIM ENTO UNGHERESE
seguito ungherese di Maria, Regina di N apoli. Infatti è noto com e
Maria — figliola del Re d ’Ungheria Stefano V, ed ava della dinastia
ungherese degli angioini — amasse circondarsi sempre di nobili
ungheresi. Ligia alle tradizioni della corte di N apoli, questa regina
ungherese comm ise il disegno e l’esecuzione del suo m onum ento
funebre ad un maestro senese, e precisamente a quel T in o da
S ien a,1 celebre discepolo di Giovanni Pisano, a cui si deve la
facciata del Battistero di San Giovanni, esistente sotto il coro del
D uom o di Siena. Si potrebbe obbiettare a questo punto che se gli
affreschi ora menzionati della chiesa di Santa Maria di Donna
Regina offrono preziose testimonianze circa le strette relazioni
dinastiche esistenti allora tra l ’Ungheria e Napoli, — ben poco
provino però nei riguardi della popolarità artistica di Santa Elisabetta d ’Ungheria. M a l ’obbiezione non regge se si tenga conto
del bel frammento di polittico conservato nella collezione Perkins,
del primo decennio del secolo X V , e dovuto a T addeo di Bartolo,’
rimontante pertanto ad un’epoca in cui quei rapporti dinastici e di
parentela oramai più non esistevano. Il frammento che porta la
didascalia E lizabeta Lusitaniae Regina Ungariae è noto soltanto
dal 1913, ed è della migliore epoca del maestro. Il drappeggio
monumentale del manto, lo sfondo oro, l’incorniciatura gotica
sanno ancora del tradizionalismo trecentista, ma l ’esuberanza e la
gioia di vita condensate nella rappresentazione della realtà e dei
suoi dettagli, nei fiori, nei visi più pieni ecc., tradiscono di già
l’indirizzo più moderno dell’ incipiente Quattrocento. Dobbiam o
deplorare vivamente la perdita delle parti mancanti del polittico,
perché così ci riesce im possibile di caratterizzare pienam ente le
relazioni ungheresi-senesi sulla scorta dell’iconografia di Santa
Elisabetta d ’Ungheria e di Santa Caterina da Siena la quale appare
in quasi tutte le ancone senesi di sim ile argomento. M olto più
evidente è la relazione di Frà Bernardino, di questo santo che con
S . Caterina tanto fedelm ente testim onia l’importanza politica della
«civitas virginis» nel secolo X V , — con Sigism ondo Re d ’Ungheria.
Risulta dagli «acta sanctorum», che egli avesse rapporti quotidiani
con Sigism ondo quando questi fu a Siena negli anni 1432 e 1433.
Fu uno dei suoi intim i. L o accompagnò a Roma alle feste del­
l’incoronazione, e diffuse ed appoggiò con grande zelo l’idea della
crociata propugnata dal sovrano.
1 Supino, A rchivio storico d e ll'a rte , 1895. — F raknói Vilmos, M aria napolyi kiralyné sirem léke
Il m onum ento fun eb re di M aria regina di N apoli), A rchaeologiai É rtesitò, 1905, pag. 385.
2 M ason-Perkins E., A lcuni d ip in ti senesi sconosciuti o inediti. R assegna d ’a rte , 1913, p. 122.
4
52
ENRICO HORVÀTH
M a Siena era anche centro importante di studi secolari, e
com e tale essa esercitò sempre grande fascino sui giovani ungheresi
che si recavano a studiare all’estero. Lodovico Zdekauer1 ci dice
che nel 1332 il rettore degli scolari ultramontani era un ungherese :
Jacomo d ’Ungheria. I nomi di Dominus Albertus de Ungaria e di
Ambrosius d ’Ungaria natus Berrardi, in cui c ’imbattiamo nei secoli
seguenti, ci dicono com e il m otto «cor tibi magis Siena pandit»
valesse anche per l ’Ungheria. N ella Chiesa poi di San D om enico,
tra gli stem mi ed i nomi di illustri casate tedesche, scolpiti
sulle pietre tombali della cosidetta Cappella dei Tedeschi, ne
troviamo uno ungherese, di sapore em inentem ente storico, quello
di «Verbewczy». La relativa pietra tombale ci dice che la causa
della sua morte si fu una ferita riportata in rissa. E diffatti a Siena
era diventato proverbiale il temperamento eccitabile e sanguinico
degli ungheresi. Però non credo che le parole messe in bocca ad
un funzionano della repubblica il quale doveva trattare di questioni
alimentari cogli «scholares» — i quali durante tutto il medioevo si
dimostrarono un elem ento difficilm ente maneggiabile — , cioè :
vorrei inanzi (piuttosto) conversare cholli U n g a ri2 debbano riferirsi
direttam ente agli studenti ungheresi. Si riferiscono piuttosto ai
mercenari ed ai soldati di ventura ungheresi che nel secolo X IV ,
seguendo l ’esem pio dei loro compagni d ’arme tedeschi, inglesi
ed irlandesi, taglieggiavano a vicenda la capitale della Toscana
m eridionale, militarmente debole e pressocché indifesa. Per
chiarire la questione, riuscirà di grande aiuto l’elenco dei mercenari
e dei condottieri ungheresi in Italia al quale attende con coscienza
e zelo lo storico ungherese Paolo Lukcsics.
L e influenze artistiche che ad onta delle distruzioni dei secoli
seguenti si possono rintracciare nei riguardi del Trecento nei m onu­
menti d ’arte ungheresi non si possano identificare secondo persone,
ma portano tutte la cappa d ell’anonim o.3 Pochissim o sappiamo
dei maestri senesi che secondo ogni probabilità vissero ed operarono
anche in Ungheria, eccezione fatta per Pietro senese incisore del
gran sigillo aureo di Carlo Roberto angioino Re d ’Ungheria, e più
tardi vice-governatore del comitato di Szepes, e per un suo fratello
minore di nom e N icola. Troviam o un caso analogo anche per
Siena, dove i docum enti ci parlano tra gli anni 1380 e 1422 di un
1 Z d ek au er L odovico, L o stu d io senese nel R inascim ento. M ilano, H oepli, 1894.
2 L anczy G y u la, Sienai dolgok (Q uestioni senesi), Szazadok ; 1895, p . 113.
3 G erev ich T ib o r, A regi m agyar m uvészet európai helyzete (Il posto te n u to in E u ro p a d a l­
l’antica a rte ungherese). M inerva, 1923, p. 109.
SIENA ED IL PR IM O RINASCIM EN TO UNGHERESE
53
Giovanni di Giacom o d ’Ungheria pictor e aurifex, e che com e
primo governatore e capitano del popolo venne ad occupare nella
sua patria adottiva anche alte cariche politiche. Fu più volte
nell’alto consiglio della repubblica chiamatovi dalla fiducia ora del
terzo di città ora del terzo di San M artino ma rappresentandovi
sempre gli interessi dei «popolani». Il capitanato del popolo era
d ’altronde un’ istituzione di sapore preminentemente democratico
ed assomigliava in m olto a quella del «tnbunus plebis» romano.
Tra il capitano del popolo ed il podestà erano continui 1 contrasti
di competenza. Il capitano del popolo era di solito anche il com an­
dante della milizia ed il duce delle truppe della repubblica. M a ciò
non avvenne né nel 1394 né nel 1403 quando Giovanni d ’Ungheria
ebbe la carica di capitano del popolo. Egli compare la prima volta
nel 1383 nei libri dello Spedale di Santa Maria della Scala col
nome di Giovanni di Giacom o d ’Ungheria e coll’aggettivo di
«dipentore» una volta, ed u n ’ altra di «dipentore e orafo».1 Suppo­
niamo pertanto che anche lui, com e gli altri maggiori pittori senesi
abbia coltivato più rami dell’arte e sia stato pratico in più tecniche.
N el m edesimo anno, l’Archivio delle Riformagioni registra il
nome di Nanni di G iacom o,2 ma è certo che si tratta della stessa
persona, tanto più che in un docum ento posteriore figurano
avvicendati tutti e due ì nom i. Q uesto Giovanni di G iacom o,
chiamato d ’Ungheria non dobbiamo confonderlo coll’intagliatore
ed intarsiatore Nanni Unghero vissuto cent’anni più tardi a
Firenze, dove scolpì le panche ed il rivestim ento ligneo murale
della sagrestia di Santa Croce, i lavori d ’intaglio decorativo del­
l’organo della Santissima Annunziata, e la statua in legno dipinto
e dorato della chiesa di Santo Spirito, sui disegni di Jacopo Sansovino. Il Giovanni di Giacom o senese doveva aver raggiunto un
certo tal grado di agiatezza negli ultimi decenni del Trecento
perché nel 1385 vende per 70 fiorini un suo podere ; nel giugno
poi dello stesso anno paga 9 fiorini di imposta, somma molto
rilevante per quei tem pi. Il 21 marzo 1386 sposa Angela, figlia
di Andreino di Francesco cospicuo cittadino di Siena che gli
porta in dote 450 fiorini d ’oro. A giudicare dagli avvenimenti
successivi, il nostro Giovanni si era imparentato con una famiglia
di popolani molto influente, perché comincia appunto allora la
sua carriera politica, ed avviene allora la sua elezione a consigliere.
1 A rchivio di Stato, L ib ro di legati e testam en ti dello Sp ed ale di S anta M aria della Scala, I, fol.
6 7 e 72.
2 Ibidem , L ib ro delle R iform agioni ad a n n u m 1383. Voi. 7, classe J.
54
ENRICO HORVÀTH
Siccom e poi per la elezione a consigliere si esigevano 10 anni di
dom icilio in città, otteniamo col 1376 un importante terminus
ante quem. D u e anni più tardi ( 1388) venne am messo alla Compagnia
di San M artino e di Sant’Antonio, segno che lo si considerava
com e vero cittadino senese. Per questa Compagnia egli dipinse
anche un quadro.1 Eletto poi priore-governatore per il bimestre
settem bre-ottobre 1388, fa parte del supremo consiglio della città,
del Concistorio, essendo capitano del popolo Sim one di N iccolò
Cortajo.11 La durata della carica di priore era fissata in due soli
m esi, perché coloro che ne venivano insigniti erano veri schiavi
del loro ufficio, al punto che venivano rinchiusi nel Palazzo pubblico
e potevano ricevere i concittadini o i membri delle loro famiglie
una sola volta alla settimana. Questi due mesi dovevano significare
necessariamente un periodo di pausa forzata per quei priori che
fossero artisti nella vita privata. E infatti non abbiamo nessuna
notizia riferibile ad opere che Giovanni d ’Ungheria avesse finite
mentre era priore-governatore (ciò che fu ancora altre quattro
volte) o capitano del popolo. Q ueste restrizioni non toccavano ì
consiglieri. Com e consigliere il nostro Giovanni prese parte ai
lavori della com m issione tecnica per ì lavori del D uom o nel 1388.3
Si trattava di decidere se affidare a Jacomo del T hongio od a
M ariano d ’Angelo Romanelli l’esecuzione delle statue in legno
destinate ad ornare il coro della Cattedrale. La maggioranza della
com m issione si pronunciò per il Mariano d ’Angelo. A ll’argomento
si riferisce un contratto tra il menzionato scultore ed il consiglio
d ell’Opera del D uom o, nel quale figurano i nomi dei seguenti
artisti : Luca di T om m è, Cristofano Binduccio, Paolo di Giovanni
Fei, Jacopo del Pellicciaio e Giovanni di Jacomo, detto Giovanni
d'O ngaria dipentore. Tra gli artisti che rappresentavano il fior fiore
d ell’arte senese d ell’epoca troviamo pertanto il nostro connazionale
considerato da loro com e compagno di pan merito e di pari rango.
M a mentre conosciam o abbastanza bene Luca di Tom m è grazie
al suo quadro di battaglia esistente nella Sala del M appamondo
del Palazzo pubblico e rappresentante la sconfitta della cosidetta
«compagnia inglese», grazie al suo polittico figurante Sant’Anna
con due sante donne e ad un suo pentittico segnato, posseduti
1
M ilanesi G ., D o cu m en ti sulla sto n a d ell’a rte senese. Siena, 1853, I, p. 41. — L ib ro d ’e n tra ta
e u scita della C om pagnia di S . A n to n io e S . M artin o 1388. Biblioteca p ubblica di Siena, fol. 31.
8 A rchivio di S ta to , L ib ro L eo n e delle R iform agioni ad a n n u m 1388, fol. 20.
3
M ilanesi, o. c., I, p. 354. — A rchivio d ell’O p era del D uom o. M em oriale del C am erlengo,
segn. 0 10, fol. 9, 1388 giugno.
SIENA ED IL PR IM O RINASCIM EN TO UNGHERESE
55
dalla Pinacoteca di Siena ; mentre ci è noto lo «Sposalizio di Santa
Caterina di Alessandria» di G iacom o del Pellicciaio (Pinacoteca,
Nro 145) e sappiamo della sua cooperazione all’esecuzione della
facciata del battistero di San Giovanni (chiesa inferiore sotto la
Cattedrale), — e conosciam o la squisita madonna in marmo di
Paolo di Giovanni Fei, ornante l’altare Piccolom ini del D uom o,
la sua madonna sul primo altare in Santa Maria della Scala, la sua
tavola nella prima cappella a destra nella navata traversale di San
D om enico e finalmente la sua «Nascita della Vergine» nella Pinaco­
teca ; e mentre si possono attribuire a Cristofano Binduccio se non
altro, almeno le m ezze figure rappresentanti santi che si vedono
nel secondo vestibolo dello Spedale della Scala, — vane sono state
le nostre ricerche per trovare un’ opera che si potesse sicuramente
attribuire a Giovanni d ’Ungheria. In mancanza di una base posi­
tiva, possiamo formarci per il m om ento u n ’idea approssimativa
dell’autorità e del valore artistico dei lavori de! N ostro, basandoci
unicamente sull’analogia che sarà esistita tra 1$ sue opere, e quelle
or ora enumerate dei suoi compagni d ’arte. Ritroviamo il nostro
Giovanni d ’Ungheria in compagnia di nomi non m eno illustri
il 5 febbraio d ell’anno seguente, quando il consiglio d ell’Opera
del D uom o invitati i 17 artisti più autorevoli dello Stato, tiene
una conferenza per discutere la riedificazione del campanile. La
com m issione presieduta da T addeo di Bartolo prese in esame i
progetti presentati, per dare la palma a quello di G iovannino di
Cecco. N ei relativi verbali il N ostro è detto N anni, chiamato
N anni d'Ongaria, dipentore.1 Per l’anno 1390 rintracciai nel­
l’archivio dell’Opera del D uom o alcuni ordini di pagamento al suo
nome per lavori non precisati e certamente di poco conto, eseguiti
nella Cattedrale.2 N el febbraio dell’anno seguente il Giovanni
d ’Ungheria oramai pittore senese riconosciuto ed uom o politico
di parte popolana, stipula un contratto di compra-vendita con
Francesco Piccolomini discendente da una delle più illustri famiglie
di Siena, dalla quale doveva derivare anche Papa Pio II. Si trattava
della trascrizione di una parte della casa in cui aveva abitato fino
allora Giovanni d ’Ungheria. La casa era nel terzo di San Giovanni
in vicinanza della Cattedrale, nella via chiamata anche oggi, di
Vallepiatta. N el 1392 il N ostro paga 18 fiorini d ’oro di imposta.
S e nel 1385 ne aveva pagati 9, dobbiam o presupporre un notevole
1 Idem , p. 318. M em oriale del C am erlengo 0 . 10, fol. 69.
2 A rchivio d ell’O pera del D u om o. L ib ro e n tra ta e uscita, 1390, fol. *>3.
56
ENRICO HORVÀTH
aum ento dei suoi beni. N el 1393la Balia incarica il pictorem expertum
civitatis Senarum , Johannes di dipingere un quadro per il Palazzo
P u b b lico.1 N ello stesso anno la fiducia dei popolani del terzo di
San M artino lo fa nuovamente priore-governatore”, con Bartolo
Suti e Binduccio di Francesco, ed in quest’occasione è detto
«aurifex». Il 23 luglio 1393 vende al rettore della chiesa di Sant’
Andrea, Domino Piero, una terra che possedeva nel com une di
M ontecchio. Il 17 settembre il consiglio dà ordinazione ai pittori
Cristofano Binduccio e M atteo di Pietro, di dipingere su Porta
Camolha lo stemma di G iovanni Galeazzo Visconti. La mercede
pattuita è di 20 fiorini d ’oro, e figurano da periti estimatori Paolo
di Giovanni e G iovanni di G iacom o.
A nche se M atteo di Pietro non fosse identico coll’umbro
M atteo di Pietro di G ualdo, del quale si possono identificare in
Assisi alcune opere ma la di cui attività senese è ancora molto
incerta, ì nomi di Binduccio e di Paolo di Giovanni Fei sono ben
sufficenti per indicarci l’alta considerazione in cui era tenuto il
nostro Giovanni d ’Ungheria negli ambienti artistici senesi.3 Siamo
sempre nel 1393, ed il Nostro viene eletto nella com m issione che
doveva studiare ed eseguire i disegni per l’ingresso solenne di
Giovanni Galeazzo V isconti. Certamente non gli saranno state
affidate in questa com m issione mansioni amministrative, ma avrà
dovuto dare il suo concorso a lavori di indole artistica e decorativa.4
N el bimestre gennaio-febbraio d ell’anno seguente fu eletto capitano
del popolo senese, ottenendo così la massima carica che la repub­
blica della Toscana meridionale poteva offrire ad un cittadino di
parte popolana. Com e capitano del popolo egli gode dei diritti che
erano riservati al podestà il quale veniva scelto tra la nobiltà e tra
il patriziato dello Stato. 5 Per gli anni seguenti ci restano di Giovanni
d Ungheria poche notizie relative a pagamenti di imposte, finché
nel 1400 lo troviamo implicato in un affare alquanto disaggradevole
che però conferma u n ’altra volta la considerazione in cui il Nostro
era tenuto dai reggitori dello Stato. N el 1400 egli viene inviato as­
siem e ad un certo M aestro Sim one nel com une di Cesinalongha col­
l’incarico di condurre a termine per conto della repubblica la
costruzione del «cassaro». Si riferisce a questa m issione una lettera
1
2
3
4
5
A rchivio di S ta to . D eliberazioni del concistorio 1392'93. C L X IV . fol. 17.
Ibidem , fol. 28.
Idem , C L X V L , fol .6 .
Ibidem , fol. 23. b.
Ib id em . L ib ro L eo n e delle R iform agioni, X X II. fol. 40.
SIENA ED IL PR IM O RIN A SCIM EN TO UNGHERESE
57
molto interessante in data 17 settem bre1 del vice-castellano di
Cesinalongha (Sinalungo), Andrea Punghiam in cui riferisce al
G overno com e si siano dovute dem olire parecchie case per via
della costruzione del «chassaro», e com e per questo m otivo sia sorto
un forte fermento tra i contadini dei dintorni i quali vogliono la
morte del colpevole. Abbiam o sullo stesso argomento una seconda
lettera del vice-castellano Andrea Punghiam al consiglio senese,
lettera di contenuto molto sorprendente2. N e ricaviamo che il
nostro Giovanni d ’Ungheria si era profondamente offeso e che
tra i due maestri i dissidi erano all’ordine del giorno. Punghiani
dal canto suo cercava di mandare avanti la costruzione del cassaro,
anche a costo della propria vita. Peccato che queste due lettere non
siano sufficenti per farci capire i motivi di questi incidenti e del
successivo malcontento. Sta in ogni m odo il fatto che il consiglio
di Siena dovette essere soddisfatto dell’opera del Nostro, perché
questi nel 1416 ottiene un incarico analogo relativamente al
«chassaro» di Ginori.
Col principio del nuovo secolo com incia anche per Giovanni
d ’Ungheria un nuovo e fecondo periodo di vita. Durante tutto un
decennio ci imbattiamo quasi continuam ente nel suo nome nei libri
di conti del consiglio dell’Opera del D uom o. Troviam o traccia di
ben 14 ordinazioni che gli vengono fatte, alcune delle quali di non
poca importanza. D op o un periodo di stasi, un fresco soffio di vita
e di attività era penetrato nell Opera del D uom o. Siena cioè, conscia
della potenza che rappresentava e dei ricchi mezzi ecomom ici di cui
disponeva, ed a buon diritto fiera della sua arte, aveva concepito il
progetto di una chiesa colossale : aveva pensato di servirsi della
Cattedrale, allora quasi com pletam ente finita, per farne la base di
una costruzione di proporzioni veramente babeliche, nella quale la
Cattedrale com e ci è conservata oggi, non doveva essere che la cro­
ciera. Coir esecuzione di questo disegno ì senesi si ripromettevano
di sorpassare anche il celebre D uom o d ell’odiata Firenze. Vi si
accinsero nel 1339 con grande slancio, avendo per guida nell’im ­
presa prima il genio creativo di Landò di Pietro e poi quello di G io ­
vanni di Agostino, avendo dalla loro tutto l ’appoggio delle autorità
e del popolo. N el 1348 i lavori dovettero venire abbandonati a causa
della terribile pestilenza, un nem ico ancora più pericoloso e più
inesorabile di Firenze, la quale portò un colpo mortale alla vita di
1 Ibidem , Filza X X X IX , 1400, 17 settem b re.
2 Ibidem . 4 otto b re.
38
ENRICO HORVÀTH
tutto lo Stato, attaccandolo sin alle radici. D ate queste condizioni si
dovette ricorrere ad una soluzione m olto più modesta per quanto
relativamente perfetta, dovuta alla genialità di quel Giovannino di
Cieccho che abbiamo incontrato in uno dei verbali della com m is­
sione per l ’Opera del D uom o. N ei primi anni del secolo X V avviene
un im provviso cambiamento. San Bernardino il quale era riuscito
a scuotere ancora una volta — e forse per l’ultima — la repubblica
ed a spronarla all’azione, aveva m esso al servizio della causa della
Cattedrale gigantesca tutto il fascino, tutto il fuoco purificatore
della sua invadente eloquenza. I fattori dirigenti sono presi da uno
slancio e da un fervore che ci fa pensare ai periodi più brillanti e più
fecondi nella storia della repubblica. I libri di conti e gli annali del­
l ’Opera del D uom o si gonfiano. L e ordinazioni si susseguono alle
ordinazioni. Innanzi agli artisti d ell’epoca si spalanca una larga vi­
sione di splendidi fini da raggiungere ed in quest’azione — com e
stanno ad attestarlo i libri dell’Opera del D uom o — spetta un posto
relativamente distinto e ben meritato al nostro Giovanni di Giacom o
d ’Ungheria. Il suo nom e ricorre due volte nei libri di conti del 1401 :
ha otto fiorini per la pittura di un quadro, ed altrettanti per lavori di
pittura eseguiti nel coro del D u o m o .1 N e ll’anno seguente il consi­
glio dell’Opera del D uom o si vale della sua opera ben cinque volte.
Particolarmente interessante è già la prima notizia relativa al 1402:
per la pittura di un palium il N ostro riscuote alla cassa dell’Opera
13 fiorini d ’oro. Q uest’ordinazione e questo lavoro devono certa­
m ente essere messi in relazione con qualche festa del Palio. II palium fornito dal N ostro non sarà stato ordinato per necessità litur­
giche, ma piuttosto per i bisogni di una delle tradizionali e popolari
feste del Palio, per venire cioè offerto in premio in m ezzo a pom ­
pose cerimonie, al vincitore della corsa.2 N on molto dopo ha ses­
santa soldi per la pittura di una volta del coro sopra l ’ingresso alla
sagrestia. Riesce difficile stabilire se questa notizia alquanto laco­
nica ( una voltarella sopra il choro della passina ( ?) della sagrestia) si
riferisca effettivam ente alla volta o non piuttosto alla lunetta posta
sopra la porta della sagrestia, lunetta che oggi non si vede perché
coperta dall ’organo fabbricato nel 1457 da Pietro Scotto l’U nghero.3
L e due notizie susseguenti si riferiscono a lavori eseguiti nella
sagrestia, e ci parlano della versatilità del N ostro. N el primo caso si
tratta della pittura e della doratura di due «paradistraguli» (?), nel
1 A rchivio d ell’O pera del D u o m o . L ib ro e n tra ta e uscita, 1401, fol. 53 e 64.
3 Ibidem . 1402, fol. 3 1 .'
3 M ilanesi, o. c., I, p. 41. — L isini A ., Il D u o m o di Siena, Siena, 1911, p. 316.
SIENA ED IL PR IM O R IN A SCIM EN TO UNGHERESE
59
secondo della pittura e della doratura di dodici candelabri ; per
questi due lavori egli ha 1 1 fiorini d ’o ro.1 L o troviamo m enzionato
anche relativamente ai lavori per il coro.3 L ’anno seguente non lo
troviamo nei libri dei conti d ell’Opera, forse perché quell’anno sarà
stato nuovamente capitano del p op olo.3 Tra i priori eletti con lui si
trovava un altro pittore, Pietro di G iovanni di Becarello, e Petroccio
Petrucci, da cui derivò Pandolfo Petrucci, che più tardi si fece si­
gnore assoluto di Siena, e che fu detto il M agnifico. Particolarmente
interessante è una notizia del 1404, nella quale il N ostro viene m en­
zionato u n ’altra volta com e orafo e com e tale eseguisce la doratura
di una delle statue del Coro.4 U n ’altra ordinazione gli viene data in
occasione della festa dell’«apostoIica rosada».5
La serie dei lavori eseguiti dal N ostro nel 1404 è chiusa da
u n ’ordinazione per il coro di importanza certamente maggiore,
giacché egli ne ritrae una mercede di 14 fiorini d ’oro.6 I libri del
D uom o lo ricordano tanto nel 1405 che nel 1406.7 N el 1406 è nuo­
vamente eletto priore, ciò che si ripete nel 1407 e nel 1415. U na no­
tizia contenuta nelle Revisioni delle Ragioni ricorda i maestri G io­
vanni di Giacom o e Cristofano di Francesco, ma questa volta com e
architetti.8 Sorge ora la domanda se questo maestro Giovanni di
Giacom o menzionato com e architetto sia identico al N ostro. N el
corso delle m ie ricerche senesi non sono riuscito a rintracciare nes­
suna notizia colla quale appoggiare questa identificazione. È bensì
vero che possediamo notizie positive le quali confermano l ’attività
edili zia spiegata da Giovanni d ’Ungheria, ed a questo riguardo
basterà riferirci al caso di Cesinalongha ; ma ci consiglia a proce­
dere guardinghi il fatto che oltre al «dipentore'), nei libri d ell’Opera
del D uom o c ’imbattiamo m olto di frequente nel nom e di un G io­
vanni di G iacom o, maestro di pietra. H o separato accuratamente
dalle altre le notizie relative a quest’ultim o, anzi com unico unica­
mente con riserva la notizia relativa alla ricostruzione della Fonte
Branda, non potendosi escludere assolutam ente l ’esistenza di un
terzo maestro dello stesso nom e. U na raccolta manoscritta di noti­
zie conservata nella Biblioteca Com unale di Siena e dovuta a Ro­
1
. 2
3
4
5
6
7
8
A rchivio d ell’O p era del D u om o. L ib ro e n tra ta e uscita, 1402, fol. 51 e 51 b.
Ibidem . 1402, fol. 35 b.
A rchivio di S tato . L ib ro Leone delle R iforinagioni ad a n n u m 1403, X X II. fol, 65.
A rchivio d e ll’O pera del D u om o. L ib ro e n tra ta e uscita, 1404, fol. 46.
Idem , fol. 71.
Idem , fol 72.
Idem , 1405 fol. 71 b, e 1406 fol 37.
Revisioni delle ragioni ad dn n u m 1406, voi. V.
60
ENRICO HORVÀTH
magnoli (14 volumi del principio del secolo X IX ) ricorda infatti
un maestro G iovanni di G iacom o detto d ’acqua, il quale nel 1382
avrebbe stipulato col Consiglio generale di Siena un contratto per
la fornitura d ell’acqua alla Fonte Gaia (Fonte di cam po). M olto più
a buon diritto si potrebbe identificare con G iovanni d ’Ungheria
questo maestro d ’acqua, che l’om onim o maestro di pietra. Infatti un
docum ento pubblicato già dal M ilanesi 1 ci insegna com e Johannes
Jacobi il quale in quel tem po lavorava a Ginori, fosse stato richia­
mato a Siena per dare il cambio a T urino di Sano occupato allora
coi lavori della Fontana di cam po (Fonte Gaia) ; e Giovanni di Gia­
com o dovette provvedere a farsi sostituire ai lavori di costruzione
del «chassaro» di G inori. Siccom e poi nel caso della fabbrica del
«chassaro» di Cesinalongha è fuor di dubbio la identità delle persone
del pittore e d ell’architetto, potrem m o con certo diritto rivendicare
a G iovanni di G iacom o d ’Ungheria i docum enti portanti il nom e di
G iovanni di G iacom o d ’acqua. Sappiam o di un quarto Giovanni di
G iacom o, ed anche di un quinto. A ll’uno si attribuisce la bella
cancellata in ferro battuto del Palazzo pubblico, all’altro la facciata
di Santa Maria di Fontegiusta ed alcuni mosaici nel D uom o. Ma
questi due vissero nella seconda metà del secolo. In ogni modo è
certo che l ’unghero creò delle belle cose, e com e pittore e come
orafo e com e architetto, e che ebbe sempre importanti ordinazioni.
N elle fonti egli è ricordato ora com e dipentore ora com e orafo.
Com e orafo lo ricorda un docum ento d ell’Opera del D uom o ancora
nel 1 4 1 4 / Ordinazioni rimontanti al 1409 ci possono dare u n ’idea
della sua attività di orafo. D i questi docum enti si occupò esaurien­
tem ente A . Lisini in un articolo sull’oreficeria senese scritto in oc­
casione dell’esposizione del 1904. L e fonti parlano di alcuni oggetti
di argento smaltati, di una statua argentea di Santa Sabina. Secondo
u n ’altra fonte Chaterino di Chorsino offrì nel 1409 ben 22 fiorini
d ’oro per un oculum eseguito per conto della Cattedrale di S ien a.3
L e nostre fonti tacciono poi fino al 1422, nel quale anno Nanni
d ’Ungheria figura com e venditore in molti contratti di compravendita. Sem bra che il vecchio artefice sia intento a regolare il suo
patrimonio, forse in vista di disposizioni testam entarie4. E queste
sono le ultim e notizie che possediam o circa la vita del Nostro.
Siam o riusciti a seguirne le vicende della vita per 40 anni (1382—
1
2
3
4
M ilanesi, o. c . II, p . 24.
A rchivio d e ll’O p era del D u o m o . C artap eco ra n ro 1225. 1414.
L isini A ., N otizie di orafi e di oggetti di orificeria senesi. A rte antica senese, 1905, p. 666.
A rchivio di S ta to . L ib ri di gabelle n ell’archivio di c o n tra tti, 1422, fol. 2 0 ,6 5 , e 1421, fol. 30.
SIENA F.D II. PR IM O R IN A SCIM EN TO UNGHERESE
61
1422). Ricche sono le informazioni che possediam o circa i m om enti
più importanti della sua vita, ciò che non avviene m olto di frequente
nell’epoca in cui visse (fine del T recento e principio del Quattrocento). Ma purtroppo, altrettanto scarse sono le notizie sulla sua
arte. E non siamo riusciti ancora ad identificare nessuna delle sue
opere. Nella cappella di San Andreino a Rapolano si conserva un
quadro a tempera rappresentante la Vergine, e che dell’iscrizione
molto guasta dal tem po lascia ancora leggere la parola . . . Jovanne . . . L o stile si adatta alle esigenze dell’arte della fine del se­
colo X IV ; il santo poi al quale è dedicata la cappella ci fa pensare
al suocero del N ostro, ad Andreino di Francesco, per il santo del
quale avrebbe potuto forse essere stato fatto il quadro. M a l’esame
più accurato della scritta ha accertato che le lettere precedenti la
parola Jovanne, danno . . . u l t i . . . Per tal m odo l ’autore del quadro
non può essere che Paolo di G iovanni Fei (Paulus Johannis), col
quale ci siamo di già incontrati e precisam ente in relazione con
Giovanni d Ungheria. Com e Paolo di G iovanni, anche il N ostro
avrà appartenuto a quel gruppo di pittori di transizione, 1 quali
fedeli custodi ed eredi delle tradizioni artistiche dei due Lorenzetti,
erano chiamati a tenere la pittura senese sulla parabola di una con­
tinua ascesa. Q uesto processo di fattiva conservazione faceva capo
a Taddeo di Bartolo. E sono appunto le pitture di quest ultim o, e
quelle del già menzionato Giovanni di Paolo, quelle di Luca T om m è
e di Giacom o del Pellicciaio che ci possono dare per analogia una
idea di quella che doveva essere l’arte di G iovanni d ’Ongaria.
Dipenderà dal risultato di ulteriori ricerche se ci sarà dato di com ­
pletare la cornice finora ottenuta con un contenuto artistico indivi­
dualmente determinato.
U n o dei rami dell’arte di G iovanni d ’Ongaria, e precisam ente
l ’oreficeria, viene continuato da un suo figlio di nom e G iacom o di
Giovanni. La prima notizia che abbiamo di lui è del 1414, quando
il padre, Johannes Jacobi pictor et aurifex de Senis lo m ette a studio
nella bottega dell’orafo francese, maestro Bartolomeo di Piero, dove
il giovane fa un tirocinio gratuito di due anni, Ritroviam o il suo
nome soltanto nel 1423 in una lettera spedita il 16 giugno di quel­
l’anno da Roma al Consiglio di S ie n a .1Sembra dunque che il giovane
abbia trovato troppo ristretto l ’orizzonte senese, ed abbia seguito
l’esempio degli artisti i quali si portavano a Roma e lavoravano senza
interruzione per la corte pontificia. Inizia la serie di questi artisti
1 G ayc, C arteggio in ed ito d ’artisti ecc, F iren ze 1840, 1, p. 98. — M ilanesi, II, p . 116.
ENRICO HORVÀTH
62
Barnaba di D onato, che lavora sotto Urbano V e sotto Gregorio X I,
seguito dall’orafo Giovanni di Bartolo sotto Urbano V I, e da Mar­
tino Conti da Siena sotto Bonifazio I X .1 L ’orafo senese che lavo­
rasse in seguito per la corte di Roma sarà stato certam ente Giacomo
di Giovanni d ’Ungheria, che lavorò sotto M artino V. Finora non ci
è riuscito di mettere nessun lavoro in relazione coll’attività senese o
romana del N ostro. N on possiam o che affacciare delle ipotesi. Così
per esem pio a M ontalto, in quel di Siena, esiste un pacificale di
lavoro italiano ma con dei motivi ornamentali insoliti per l’Italia, e
che com e fu di già rilevato dal prof. T iberio G erevich, mostra delle
affinità col Calvario del Re M attia Corvino, conservato nel Tesoro
della Cattedrale di Esztergom . D ifficile è resistere alla tentazione di
non voler attribuire questo incrociamento di forme alla generazione
di artisti ungheresi-senesi sorta nella Toscana meridionale, perché
in questo m odo uscirebbe dall’isolamento in cui si trova anche il
Calvario di Esztergom . M a naturalmente si tratta per il m omento
di una sem plice ipotesi.
*
D u e furono le vie che mi condussero al com plesso di questioni
prospettate nelle pagine precedenti. L una mi venne indicata da
G aetano M ilanesi, nobile patriotta senese e maestro insuperato nella
ricerca delle fonti storico-artistiche. Senonché delle notizie suelencate, egli si servì unicam ente per chiarire una questione che inte­
ressava esclusivam ente la pittura senese del Cinquecento, per sepa­
rare cioè l ’opera di G iacom o Pacchiarotti da quella di Girolamo del
Pacchia. In questa occasione venne a cadere un p o’ di luce anche
sulla figura del padre di Girolamo del Pacchia, sulla figura cioè di
Giovanni da Zàgràb, altrimenti G iovanni delle Bombarde. Si m ise
sulle tracce del M ilanesi da parte ungherese anche Ignazio Waisz,
il quale riferì dei risultati ottenuti sull'oramai cessato giornale quo­
tidiano «Nemzet», in un articolo sfuggito in m odo veramente in­
com prensibile all’attenzione degli studiosi. Ciò avveniva nel 1880.
U na copia di quel giornale venne trovata nel lascito di Arnoldo
Ipolyi, il fondatore della storia d ell’arte ungherese. Assurge ad im ­
portanza di sim bolo il fatto, che dopo quasi un secolo di ricerche
m etodiche e critiche, i punti di partenza ci sono dati dai risultati
ottenuti da quei due lontani pionieri : dal M ilanesi e dall’Ipolyi.
Giovanni da Zàgràb e Girolam o del Pacchia, dei quali si parlerà
1 L isim A ., o. c. p. 665.
SIENA ED IL PR IM O R IN A SCIM EN TO UNGHERESE
63
nelle pagine seguenti, sono ricordati una sola volta nella letteratura
ungherese della storia dell’arte, e precisamente nella biografia di
Beatrice d ’Aragona scritta da Alberto B erzeviczy.1
M olto significativa è già l ’occasione in relazione alla quale
appare per la prima volta nei docum enti degli archivi di Siena il
nom e di Giovanni da Zàgràb. D ’altronde, l ’anno 1432—33 segna
una data memorabile dal punto di vista delle relazioni senesi-un­
gheresi. Fu appunto allora che Sigism ondo Re d ’Ungheria ed Im­
peratore germanico, passò più mesi nella ghibellina Siena, circon­
dato da numeroso e brillante seguito ungherese del quale faceva
parte anche il m enzionato Giovanni da Zàgràb, ingegniere di cam po,
fonditore di bombarde e di campane. Ma molto anteriori a questo
prolungato soggiorno sono le prime relazioni del Re d ’Ungheria
colla fiera repubblica ghibellina. Rimontano al 17 maggio 1414, nel
quale giorno Re Sigism ondo chiede che gli vengano mandati i piani
dello Spedale di Santa Maria della Scala, tuttora esistente. (F ig. 1)
Ed il concistorio senese si affretta a corrispondere alla richiesta del
sovrano. Siam o pertanto indotti a supporre che nella Reggia di Buda
fosse potuta esistere una copia di questa bella costruzione gotica,
che si impone aU’ammirazione dello studioso e del laico nella stessa
Siena, ricca di tante altre splendide architetture gotiche. U n altro
ricordo del soggiorno senese di Sigism ondo ci è dato da una tavo­
letta dipinta, del 1433, che rappresenta l ’incoronazione di S igi­
smondo ad Imperatore romano, con intento manifestamente ritrat­
tistico.’ (Fig. 2) D e ll’anno seguente è il disegno o la statua fatti per il
mosaico del pavimento della Cattedrale. Il mosaico ci rappresenta
Sigism ondo in m ezzo ai grandi del regno (F ig.3). Le ricerche del M i­
lanesi hanno assodato che il mosaico fu condotto sul disegno di D om e­
nico di Bartolo. M a viceversa un docum ento leggibilissim o ad attendi­
bilissim o conservato nell’archivio della Cattedrale (Contratti et deliberationi E. 5 fol. 4 : . . . che uno maestro Domenicho dipentore
hahhi certa statua o uno disegno el quale e simile alla faccia della cesa­
rea maestà) accenna in primo luogo ad una statua. N e deriva inoltre
che il disegno (o la statua) non vennero fatti per servire da m odello
al mosaicista del pavimento, giacché il consiglio d ell’Opera del
D uom o portò la decisione relativa al ritratto del Re soltanto nel
1434, quando cioè Sigism ondo aveva lasciato Siena già da lungo
tem po. Altra dovette essere in origine la destinazione di questo
1 Berzeviczy A lbert, B ea tn x lciralyné (L a regina Beati ice d ’A ragona), B udapest 1908, p. 278.
2 L a sala della m ostra e il m useo delle T av o lette d ip in te della B iccherna e della Gabella. E d i­
zione del Regio A rchivio di S ta to . S ien a, 1911, p. 69.
64
ENRICO HORVÀTH
disegno ritratto dal vero. E forse non erriamo supponendo che
D om enico di Bartolo abhia dipinto il ritratto del Re, o che lo abbia
anche scolpito in marmo (com e lascia credere il docum ento su men­
zionato d ell’Archivio della Cattedrale) e forse anche gettato in
bronzo. (I senesi erano artisti universali, e godevano tutti fama di
ottimi fonditori in bronzo). Questa grande versatilità è una delle
qualità caratteristiche anche del nostro Giovanni da Zàgràb, che al
riguardo ci appare com e un vero mago. Ci si presenta nel 1433 com e
m gegniere militare di Sigism ondo, ed in tale veste stipula un im ­
portante contratto col G overno di Siena relativamente alla fornitura
di piom bo, di salnitro e di polvere pirica. Egli fa parte del seguito
più intim o del re, il suo nome figura di solito in trascrizione unghe­
rese (Zàgràb invece che Zagreb alla croata) : tutto ciò lascia sup­
porre che egli facesse parte della Corte del Re già nella capitale
Buda, e che quel «da Zàgràb» fosse un epiteto di vecchia data, sosti­
tuito poi ben presto a Siena da quell’altro «delle Bombarde». E diffatti quasi sempre lo troviamo indicato com e «magister campanarum et bombardarum». D el quarto decennio del Quattrocento è
l ’unica opera segnata e datata di Giovanni da Zàgràb o delle B om ­
barde: u n ’acquasantiera applicata alla seconda colonna a sinistra
nella Chiesa di Santa Maria di Fontegiusta. Armoniosamente snelle
le forme del bacino ornato di motivi decorativi di linguaggio pretta­
m ente quattrocentesco, e sostenuto da una mano che l ’artista fa
uscire in maniera originalissima dall’interno della colonna. S u l­
l’orlo del bacino in m inuscole gotiche si legge la seguente iscrizione :
g io v a m i delle bombarde f e d i 143 . . . La cifra indicante l’unità, è pur
troppo illeggibile. N el 1441 il concistorio della città lo impiega per
tre mesi com e fonditore di cannoni, con una paga di dieci fiorini
d ’oro. N on risulta dal passo in questione se la paga di dieci fiorini
fosse per un solo m ese, o per tutto il periodo dell’impiego. Credia­
m o che si avvicini al vero la seconda ipotesi, perché uno stipendio
annuo di 120 fiorini sarebbe stato una somma enorme per quei
tem pi. Segue ora una grande lacuna nei riguardi delle notizie che
abbiamo sul Nostro ; e invero in mancanza di dati positivi, difficile
ci riuscirebbe di identificare col Giovanni delle Bombarde quel
Giovanni di Rinaldo intagliatore e bronzista menzionato nel 1445
(Entrata e uscita dello spedale 1445, fol. 41). Più misteriosa ancora
è una notizia del 1462 (fascicolo di presta delle Riformagioni 1462)
che ricorda chiaramente un Giovanni delle Bombarde. Il fatto che
diede occasione all’annotazione è assolutamente indifferente per
noi, e non ci dà nessuna indicazione circa l’attività artistica del
65
SIENA ED IL PR IM O RINASCIM EN TO UNGHERESE
nostro bombardiere. N el frattempo il nostro Giovanni da Zàgràb
sarà stato anche a Piacenza ; infatti le vecchie guide ce lo presen­
tano spesso coll’appellativo di «piacentino». Siam o pertanto indotti
a supporre un ritorno in Ungheria ed un nuovo soggiorno in patria
del Nostro, ciò che spiegherebbe il vuoto riscontrato nelle notizie
senesi. E infatti la notizia che segue ora in ordine cronologico
sembra giustificare pienamente la nostra ipotesi. In un protocollo
senese il Nostro figura il 24 gennaio 1470 com e incaricato e procu­
ratore di un certo Pietro A dam o A ndree de N e v a Villa ex partibus
Hungariae. £ una notizia importante, anche perché viene nuova­
mente a dimostrare ed a confermare l’origine ungherese del N ostro.
Non vi può essere nem m eno nessun dubbio quale sia la città unghe­
rese indicata dal docum ento col nom e di N eva Villa. N on può trat­
tarsi qui di nessuna delle varie Ujvàr, Ujvàros, U jhely ecc., e nem ­
meno di Ujvidék in favore della quale starebbe la sua vicinanza a
Zagabria. Si tratta in questi casi di colonie e di città recenti, o se
esistenti nell’epoca che trattiamo, tanto insignificanti da non lasciar
supporre nessun loro rapporto coll allora sì alta civiltà di Siena. In
una sua polemica sostenuta contro Ladislao Fehérpataky, il bene­
meritissimo professore Aladàr Ballagi ha già dimostrato molti anni
or sono, che il nome di N ova Villa, col quale il Fehérpataky aveva
cercato di identificare la città di Bàrtfa—Ujfalu, non poteva riferirsi
che alla città di Ig lò .1 La città si chiama in lingua slovacca N ovaves,
in tedesco : Neudorf, N euendorf, N eudòrfel. A questi nomi ben
corrisponde quello latineggiante degli italiani : Nova Villa. In d o­
cumenti tedeschi figura spesso anche una variante Nevendorf, che
spiegherebbe egregiamente la forma N eva Villa riscontrata nel d o­
cum ento senese. L e città dello Scepusio nell’Ungheria settentrio­
nale, grazie alla loro fiorente industria mineraria, erano già nel se­
colo XI I I centri importanti di tutti i rami e di tutte le tecniche della
fusione e della lavorazione dei metalli. E dai m onum enti scritti
nonché dai docum enti conservati negli archivi dei comitati confi­
nanti collo Scepusio, risulta che il vero centro, il vero emporio di
queste tecniche della fusione dei metalli era per l ’appunto Iglò.
Collo sviluppo della tecnica della fusione teneva passo la fabbrica­
zione di campane, di cannoni, di armi da fuoco portatili, e natural­
m ente l’oreficeria. In questo riguardo, accanto a Gòlniczbànya,
1 Fehérpataky Laszló, M agyarorszàgi v iro so k regi szam adàskònyvei (G li antichi libri di conti
delle città d e llU n g h e ria ), B udapest, 1886, p. 378. — R elativa recensione di A ladar B allagi, A rchaeologiai É rtesitó , 1886, p. 177.
C o rv in a X .
5
66
ENRICO HORVÀTH
Késmàrk, Lò'cse ed a Korompa, figura sempre in prima linea Iglò,
cioè la nostra misteriosa N eva Villa. Anche se non possedessimo il
protocollo d ell’Archivio di Stato di Siena, in cui Giovanni delle
Bombarde comparisce nuovamente ed improvvisamente sulla scena
senese com e procuratore di Pietro Adamo di Andrea di Neva Villa,
— avremmo altri motivi per credere che il nostro maestro di cam­
pane e di bombarde proveniente dal centro dell'industria metallica
ungherese, dopo essere stato assunto alla corte di Sigism ondo, fosse
capitato a Siena col seguito del Re. M a ci pare che riusciremo ad
appoggiare più solidam ente questa nostra supposizione coi fatti che
verremo enumerando in seguito.
In un docum ento della città di Odorin, vicina ad Iglò, è
ricordato nel 1263 uno Stefanus Aurifaber, il quale sarà stato cer­
tamente uno di quegli orafi reali, ai quali erano stati donati in
ricompensa dei lavori eseguiti, o terre o usufrutti di terre. N el
Trecento poi il già menzionato Pietro di Siena, figlio di Sim one
di Siena, era assurto ad importanza storica negli eventi del­
l’Ungheria col nom e di Petrus G allicus. N el 1330 è vice-castellano
dei castelli di Szepes e Subló. Tra il 1333 e il 1336, in premio del
grande sigillo aureo che aveva inciso per Carlo Roberto d ’Angiò
Re d ’Ungheria, il sovrano lo crea vice-governatore del comitato di
Szepes. A d un suo fratello minore, di nom e N icola, è stato attribuito
il gran pacificale della chiesa parrocchiale di Iglò.' (F ig. 4)
A nche se non vi fossero le due lettere N G a facilitare ed a giusti­
ficare la attribuzione del pacificale a N icolaus Gallicus, — la tecnica,
lo stile ed i dettagli iconografici indicano concordi l’origine italiana,
ed escludono qualsiasi altra attribuzione. Sul piede poi del paci­
ficale si legge : N o v a Villa, Iglò, ciò che conferma pienamente la
nostra ipotesi. Antichissim i sono pertanto ì rapporti artistici tra
Siena ed Iglò, rimontando essi al secolo XI I I . Quanto poi alla
fusione di campane, ci dice il Di'vald che più di quaranta campane
esistenti nello Scepusio e nei comitati limitrofi, sono opera di
maestri di Iglò. Sappiam o anche che Lodovico il Grande angioino
Re d ’Ungheria ordinò la grande campana di Visegràd al fonditore
di campane di Iglò, Corrado Gaal, che in cambio ottenne nel 1334
l’esenzione dalle im poste. La campana più antica della Cattedrale
di Szepeshely è del 1426 e porta la seguente iscrizione : A nno t
Dom ini t M illesimo t C C CC t X X V I t Johannes "t Glocken1
Di'vald K o rn él, Szepes varm egye m uvészeti emlékei (M o n u m e n ti d ’a rte del c om itato di
Szepes), II I, Ip arm uvészet, B u d ap est, 1907, p. 15.
67
SIENA ED IL PR IM O RIN A SC IM EN TO UNGHERESE
giesser T von t den f N everdorf (sic).' D op o il 1426 questo
maestro Ciovanni non figura più nei libri e nei docum enti delle
città dello Scepusio ; ma egli è evidentem ente identico con quel
magister Ciovanni menzionato nel 1413, che rappresenta la città
di Iglò innanzi al convento di Jàsz in una causa contro alcuni
nobili di Màrkusfalva. La grande analogia nell’esecuzione autorizza
a credere che anche il fonte battesimale di Ruszkin sia opera del
maestro G iovanni. (F ig. 5) Porta l’iscrizione : A nno domini millesimo
quadragesimo vicesimo sepiimo t hic fons baptismi fusus est in onore
sancte agnetis t sancte agneti ora prò nobis. H i l f got maria beruf.'
Maestro Giovanni viene m enzionato l’ultima volta dai docu­
menti di Iglò nel 1426, rispettivamente nel 1427, am m esso che
gli si possa attribuire il fonte battesimale di Ruszkin. Egli abban­
dona l’Ungheria settentrionale e dopo un probabile soggiorno a
Buda, appare a Siena al seguito del Re Sigism ondo d ’U ngheria.’
Ma il protocollo in cui Giovanni delle Bombarde ci si presenta
com e procuratore di Pietro Adamo di Andrea da N eva Villa, è del
1470. Elementi di incertezza disturbano la trama della sua vita,
complicati ancora più dalla notizia del matrimonio del maestro,
tenuto conto dell’età avanzata in cui doveva trovarsi allora. Egli
sposa Antonia, figliola di Antonio di D om enico del Zazzera. D u e
anni più tardi ha dal concistorio u n ’ordinazione per due cannoni.
N el 1477 quando aveva di già varcati i settanta, gli nasce un figlio.
M uore nel 1478. D evo riconoscere che questa biografia, quale la
si ricava dai docum enti, presenta m olte inverosimiglianze, e che
alcune di queste, com e per esem pio la lunga assenza, il tardo
matrimonio, la nascita di un figliolo, sembrano insormontabili e
non conciliabili colla realtà. Q ueste contraddizioni sono però facil­
m ente eliminabili, se si tagli brevi manu in due questa vita ecces­
sivamente lunga e se si suppongano due maestri di campane e di
bombarde omonimi (padre e figlio). Q uesto taglio cesareo non va
però considerato com e un arbitrario procedim ento di m etodo,
potendosi appoggiare con una discreta dose di probabilità che si
ottiene dall’esame della firma del citato protocollo del 1470. La
firma è la seguente : Johannes, quidam Johannis (sic) de Zachabria,
1 H radszky Jo sep h u s, Initia, p rogressus ac praesens statu s C ap ituli S cepusiensis. S zepesvaralja, 1901, p. I I I .
2 Di'vald K ., o. c. I l i , p . 10.
3 II nostro m aestro non va confuso con un secondo m aestro G iovanni, vissuto m olto più tardi,
al quale si riferiscono i docum enti del 1475, 1481, 1483 e del 1486, rip o rtati da! Di'vald, e che è identico
col fonditore di cam pane G iovanni W agner. I d o cu m en ti com provano però la id entità delle città in d i­
cate coi nom i di Iglò, N ova Villa e di N euesdorf.
5*
68
ENRICO HORVÀTH
magister bombardorum et campanarum habitator ad praesens civitatis
Senarum . L ’ordinazione di due cannoni, m enzionata più su, è
intestata al maestro G iovanni di G iovanni da Z à g rà b .1 In ambedue
i casi il soggetto è G iovanni figlio di G iovanni. N on può essere che
lui, il figlio, quel G iovanni che fa la sua comparsa nel 1470, che
sposa Antonia e che muore nel 1478. Questa nostra supposizione
può venire appoggiata anche con delle considerazioni stilisticocritiche. A Siena nella Chiesa di Santa Maria di Fontegiusta, nella
quale — com e sappiamo — si conserva l’acquasantiera di Giovanni
delle Bombarde, è un ciborio di bronzo di squisite qualità artistiche
attribuito dalle vecchie guide con certa preferenza a Giovanni delle
Bombarde (F ig. 6). D a principio avevo creduto ad una confusione
co ll’acquasantiera, tanto più che errori di questo genere sono abba­
stanza frequenti nelle guide. Ed invero le differenze di stile tra
l’acquasantiera del quarto decennio del Quattrocento ed il ciborio
di bronzo, in cui sono evidenti le prime tracce d ell’inizio dell’epoca
più splendida del Rinascim ento, sono im m ense. M a am m ettendo
l’esistenza di due maestri om onim i, la difficoltà e l’equivoco spari­
scono da sé stessi. Attribuiremo pertanto al Giovanni delle Bom ­
barde junior le notizie posteriori al 1470, ed egli così potrà venire
considerato anche com e l’autore del ciborio di bronzo della Chiesa
di Santa Maria di Fontegiusta. Q uesto attinge le sue forme dalla
nuova maniera del Brunelleschi, trascurando com pletam ente lo
spirito gotico che sì profonde radici aveva appunto a Siena. N ella
costruzione tettonica svela eloquentem ente ed in maniera sorpren­
dente l’influenza classica. La quale circostanza, unita al calcolo
esatto e prudente delle proporzioni ci porta istintivam ente a
Firenze, maestra allora del nuovo indirizzo. M olto istruttivo risulta
il confronto di questo ciborio col capolavoro ben più ricco — sia
per dim ensioni che per struttura e decorazione — eseguito
dieci anni più tardi dal Vecchietta, per l’altare della Cattedrale.
Q uest’ultim o ad onta delle proporzioni maggiori e della tecnica
più evoluta, dà decisam ente u n ’im pressione di maggiore sveltezza,
di maggiore snellezza, un’impressione più gotica. Al confronto, il
ciborio di Fontegiusta è più pesante, più pacato, più razionale, più
povero di fantasia. M anca assolutam ente di criteri organici il
passaggio dal piede a calice, alla parte mediana di struttura architet­
tonica a forma di tem pietto. L o stilobate sporgente senza nessun
passaggio dalla base della parte mediana riesce incom prensibile.
1 M ilanesi, II, p . 349.
SIENA ED II. PR IM O RINASCIM ENTO UNGHERESE
69
Queste osservazioni sono motivate unicamente dal confronto col
lavoro del Vecchietta, e non vogliono significare affatto una clas­
sificazione di valore assoluto. Tanto è vero che il ciborio di bronzo
fu oggetto di ammirazione generale nel 1904 in occasione dell’espo­
sizione dell’arte antica senese allestita nel Palazzo pubblico,
occupando il primo posto tra gli oggetti del genere esposti.' Nella
sobrietà delle sue forme, nella loro relativa pesantezza, nei dettagli
della decorazione ci pare di poter riconoscere i derivati di un con­
cetto di stile e di forma straniero, forse ungherese. £ un fatto che
questi elementi decorativi si riscontrano continuamente nell’antica
oreficeria ungherese. Che la fama di Giovanni da Zàgràb (e qui
naturalmente non si può parlare che del Giovanni delle Bombarde
junior) abbia presto varcato i confini della repubblica senese, e che
egli sia stato in relazione coi mecenati più celebri dell’epoca, ci è
dimostrato da una lettera di Giovanni a Lorenzo dei M edici, in cui
informa il Magnifico di aver equipaggiato con schioppi, con spade
e pugnali 55 uomini invece di quaranta. La lettera porta la seguente
firma : Johannes bombardarius da Zagabria. N on possiam o tacere
che nel Trecento senese figura un Giovanni di Giovanni da M odena
maestro di Bombarda. "Inoltre alcune lettere dirette nel 1487 al con­
siglio della città di Lucca menzionano un bronzista di nome Johannes
Francisci. La già menzionata raccolta manoscritta di notizie che si
conserva nella Biblioteca di Siena identifica quest’ultim o col nostro
Giovanni delle Bombarde, e spiega l ’attributo Francisci, colla univer­
sale versatilità e popolarità di Francesco di G iorgio M artini; ipotesi
non da escludersi perché avveniva abbastanza di spesso nel Quattrocento che gli artisti usassero non il nom e del padre ma quello del
loro maestro (p. e. Piero di Cosim o). Il Romagnoli autore della
menzionata raccolta manoscritta di notizie, propende anzi a sup­
porre una collaborazione del nostro Giovanni identificato da lui
col bronzista Giovanni di Francesco, all’esecuzione degli angeli
di Francesco di G iorgio che ornano l’altare maggiore della Catte­
drale. Ma oggi che sappiamo esattamente la data della morte di
Giovanni delle Bombarde da Zagabria junior, dobbiam o neces­
sariamente rinunciare a questa ipotesi quanto mai lusinghiera per
il Nostro.Soltanto un esame accurato delle campane e di altri oggetti
artistici in bronzo esistenti sul territorio di Siena potrà dare la
prova decisiva alla nostra ipotesi. S e com e suppongo, riuscissim o
1 Ricci C o rrado, Il palazzo p u b b lico e la m ostra d ell’a rte antica senese. B ergam o, 1904, p . 64.
2 A rchivio di S tato . L ib ro delle R iform agioni. 1389. L X IV .
70
EN RICO HORVÀTH
a trovare dei m onum enti che per la tecnica della fusione, per i
dettagli decorativi e per la forma delle lettere nelle iscrizioni
mostrassero somiglianze col fonte battesimale di Ruszkin o colla
campana di Szepeshely, e se questi punti di contatto venissero
ancora appoggiati da eventuali affinità di nome, — la storia della
cultura ungherese si arricchirebbe di un elem ento prezioso e
duraturo. Per il m om ento possiam o ritenere com e certa l ’origine
ungherese di G iovanni delle Bombarde senior e com e dimostrati,
grazie alle notizie relative a Giovanni delle Bombarde junior, gli
stretti rapporti artistici tra Siena ed Iglò, tra questi due centri
rispettivam ente della lavorazione italiana ed ungherese dei m etalli.
T u tto ciò ci è di sprone a continuare le nostre ricerche anche
perché il nom e di Giovanni da Zàgràb ricorre nella letteratura
locale senese m olto più frequentem ente di quello che lascino
credere le poche notizie d ’archivio pubblicate finora. Data la sua
versatilità spiccatamente universale egli trova il posto che giu­
stam ente gli spetta in quella famosa generazione di artisti senesi
che si continua nei coetanei più giovani del Marrina e del Barile,
e che trova all’apice del suo sviluppo Baldassare Peruzzi.
N el 1477, un anno prima della sua morte, nasce a Giovanni
un figliolo, Girolam o di G iovanni, ricordato spesso col nom e di
Girolam o di maestro delle Bombarde ed in arte conosciuto col
nom e di Girolam o del Pacchia. Trattando della sua arte si entra
nel bel m ezzo dei problemi artistici italiani, e si batte per di più
un terreno ben noto dopo le ricerche scientifiche del M ilanesi.
La figura di Girolam o del Pacchia suole rimanere ingiustam ente
all’oscurq, con vantaggio di quelle dei coetanei ed emuli Sodoma
e Beccafum i. La causa di questo trattamento va ricercata in primo
luogo nella classificazione degli artisti fatta dal Vasari. Con del
Pacchia si varcano le soglie dell’arte classica del Rinascimento.
£ il Rinascim ento senese che dà la cornice alla sua arte.
L ’egemonia m ondiale artistica che era stata assicurata a Siena da
D uccio e da Sim one M artini, era irreparabilmente tramontata
circa il 1500. Anzi ad onta d ell’alto livello rappresentato dai suoi
artisti, non si può parlare nem m eno di uno stile locale senese, di
un indirizzo organico localm ente circoscritto. Chi si attiene più
docilm ente all’indirizzo artistico preesistente è ancora il Sodom a.
Il m olle sentim entalism o della scuola di Leonardo desta in lui gli
accordi fondamentali liricamente attenuati dell’arte senese. Il meno
senese è D om enico Beccafumi che com e individualità artistica è
certamente il più originale dei tre ed a cui si deve l ’importante
SIENA ED IL PRIMO RINASCIMENTO UNGHERESE
71
ingrediente della chiassosa fantasia ferrarese. La sua arte si allon­
tana un pochino dall’ambiente senese silenzioso e compassato.
Come se le madonne ed i santi di Lippo Memmi o di Pietro Lorenzetti si stringessero timidamente innanzi a lui nei loro ampi manti.
Girolamo, l’unico dei tre che sia nato a Siena, studia a Firenze
ed a Roma ; il suo m ento consiste nell’aver trapiantato in terreno
senese la monumentalità classica delle composizioni di Fra Bar­
tolomeo. La seconda scuola lombarda rappresentata dal Sodoma,
doveva condurre dal punto di vista storico in un vicolo cieco ; lo
stile del Beccafumi precede il suo secolo ed in molti riguardi si
affanna già dietro ad effetti barocchi. N el mezzo sta Girolamo del
Pacchia come rappresentante del Rinascimento classico, come
depositario dei risultati dell’arte di Roma e specialmente di Firenze,
che davano appunto la linea normale dell’arte dell’epoca. Non di
rado troviamo i tre pittori l’uno accanto all’altro nelle chiese di
Siena, dove sanno farsi valere meglio che nelle tele custodite nelle
quadrerie. In questi casi si presenta subito quel tertium comparationis, col quale si possono armonizzare gli elementi eterogenei
or ora indicati, si presenta cioè quella coloritura calda ed armoniosa,
che forma la bellezza eterna della vecchia scuola senese. Già una
visita alla Chiesa di Santa Maria del Carmine restaurata dal
Peruzzi, ci convince della stabilità della tavolozza senese. Qui il
contributo del Pacchia è dato da un’ancona rappresentante l’ascen­
sione di Cristo, ancona che risente ancora dell’influenza de! Quattrocento e che ricorda Bernardino Pintuncchio, il quale appunto a
Siena ebbe a lasciare tracce durature della sua arte. Ma l’influenza
del Pinturicchio non è esclusiva, potendosi scorgere anche quella
del Perugino specialmente nei tipi dei visi. Infatti sappiamo che
Girolamo nutriva speciale simpatia per il Perugino, ciò che ci è
confermato anche da documenti. Le nostre fonti tacciono circa
l’autore e circa la data dell’ancona in parola, motivo per cui essa
non di raro viene attribuita a Giacomo Pacchiarotti. Questa somi­
glianza di nomi è stata molte volte fonte di confusione nelle ricerche
relative a Girolamo del Pacchia. L ’ancona, in cui è evidente anche
l’influenza del Signorelli, e che quindi deve essere posteriore al
1509, epoca del soggiorno romano del Pacchia, è una sintesi di
quello che di meglio producevano in quell’epoca i pittori della
Cappella Sistina. Il quadro susseguente, datato e segnato del
Pacchia, è l’ancona della Chiesa di San Cristoforo a Siena. Altra
è la fisonomia di questa tela. N el frattempo il Pacchia era stato a
Firenze, e le creazioni di Frà Bartolomeo erano state per lui fonte
72
ENRICO HORVATH : SIENA ED IL PR IM O RIN A SCIM EN TO UNGHERESE
di indimenticabili ispirazioni. La rigida com posizione del soggetto
chiuso rigorosamente in forma triangolare, le gigantesche figure
dei santi, il drappeggio m onum entale, la riduzione al minimo
necessario degli accessori architettonici e di paesaggio, sembrano
presi direttamente dalla bottega del famoso frate-pittore fiorentino.
Sono frutti d ell’arte senese unicam ente la madonna colla maravigliosa delicatezza con cui piega la testa, ed il bambino allegramente
irrequieto. La faccia della Vergine ci riporta ad un tondo del M useo
delle B elle Arti di Budapest attribuito spesso a Girolamo, ma anche
al Beccafumi e ad altri maestri senesi. N el quadro in questione il
concetto m aestoso ricordante il frate fiorentino resta alquanto
ridotto dal caso di forza maggiore rappresentato dalla forma tonda
ma d ’altraparte le analogie fisionom iche sono evidenti al punto
che dobbiam o supporre uno stesso m odello. Siccom e poi quel viso
non ritorna più nell’opera del maestro, otteniamo nell’anno 1508
un sicuro punto di partenza per l ’attribuzione e per la datazione
del tondo. N ella salutazione angelica conservata nella Galleria di
Siena si fondono in unità sinteticam ente organica la grandezza
d ell’ideologia artistica fiorentina e la sua concezione m onum entale
da una parta, e dall’altra la delicatezza senese col suo caldo colorito.
Enrico H orvàth.
( Versione dall’ungherese di L . Z .)
Fig. I. Siena, Spedale di Santa Maria della Scala.
Fig. 2. Tavoletta senese del 1433, rappresentante l’incoronazione
ad imperatore romano di Sigismondo di Lussemburgo, re d ’Ungheria.
Fig. 3. Siena-Cattedrale. Mosaico rappresentante l'imperatore Sigismondo
di Lussemburgo, Re d’Ungheria, in mezzo ai grandi del regno.
Fig. 4. Iglò (Ungheria settentrionale)-Chiesa parrocchiale. Nicola Gallico
(Nicola di Simone di Siena), Pacificale.
Fig. 5. Ruszkin (Ungheria settentrionale). Giovanni delle Bombarde senior,
Fonte battesimale.
Fig. 6. Siena-Chiesa di Santa Maria di Fontegiusta.
Giovanni delle Bombarde junior, Ciborio.