Pdf Opera - Penne Matte

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Pdf Opera - Penne Matte
Naufrago
(Battute: 21223)
Il giovane guerriero si ferma alla base della collina che interrompe la
monotonia di una pianura erbosa senza limiti. Solleva lo sguardo grigio
di cenere verso il boschetto di querce robuste che occulta la sua meta. Il
brontolio dei tuoni ormai vicini nel loro rincorrersi segue il ritmo del tumulto di emozioni che gli scalpitano nell‟animo, tuttavia nulla traspare
da lineamenti incisi nella roccia tanto sono rigidi e determinati, se non il
leggero sollevarsi a scatti di uno zigomo.
La mano segnata da cicatrici scende all‟elsa dell‟arma appesa alla
cintura che rinserra in vita il semplice pettorale in cuoio bollito. Un fruscio dal sentore di minaccia e la lama abbandona docile il fodero.
Il fulgore di un lampo si riverbera sulla lama nera, metallo caduto
dalle stelle come l‟abominio che si nasconde in cima alla bassa altura, il
mostro che divora le ragazze dei clan che abitano le Terre Basse e con
esse il futuro dell‟intera sua gente.
Nelle orecchie il salmodiare arcano degli incantesimi che lo sciamano ha infuso nelle rune che ornano il „forte‟ della spada e le parole di
suo padre, «Rhodrhi fatti onore!», inizia la salita attento a non produrre
rumori con le suole degli stivali.
La giovane donna fissa perplessa il nulla fatto di lunghi steli di lavanda
che inghiotte la strada sterrata qualche metro di fronte al muso
dell‟automobile. La voce petulante del navigatore si ostina a ripetere
«Destinazione raggiunta!» ma i fanali a led rivelano solo un pendio che
riempie il parabrezza della macchina.
“Chi ha sbagliato?” si domanda mordendosi con canini perlacei un
labbro turgido, sovraccarico di rossetto di marca. “Il GPS o Madame?”.
Dita coronate da unghie che sono piccoli capolavori di „nail art‟
scostano una ciocca biondo platino dalla fronte increspata dal dubbio.
“Più probabile il computer di bordo, la Domina è di una pignoleria unica,
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soprattutto quando si tratta di fornire gli indirizzi dei clienti” si risponde
sporgendosi sopra volante e cruscotto.
Al lampo che seghetta improvviso l‟oscurità temporalesca della
notte, iridi dalla sfumatura pervinca colgono una massa dai contorni regolari tra le chiome confuse degli alberi schiaffeggiati dal vento di groppo: una casa!
Sollevata, spegne il motore, tuttavia non riesce a impedire a uno
scarafaggio di brividi di zampettarle maligno giù per la schiena nuda
mentre sostituisce le comode sneakers che ha indossato per guidare con
un paio di decolletés Prada in vernice scarlatta.
Il borbottio di un «Coraggio, Morwenna: il lavoro è lavoro» coincide
con lo sbattere nervoso di uno sportello la cui lampada di cortesia trae
barbagli rossastri dal tubino di lamé in cui la giovane è inguainata.
Augurandosi di non spezzare un tacco ideato per lucidi pavimenti
di marmo e non per sentieri sconnessi, imbocca il viottolo serpentino
che s‟inerpica su per il dolce declivio con il conforto della luce algida emessa dallo schermo dello smartphone.
Avvolto nel tuo bozzolo protettivo, un involucro che stravolge le leggi quantistiche del tempo e dello spazio, mediti sulla tua condizione pur nella piena consapevolezza che non hai alcuna via di fuga: sei un reietto e un naufrago.
Un reietto perché sei stato scacciato dalla tua casa e dal tuo mondo.
Hai osato disobbedire alla volontà benevola della Madre collettiva, spingendoti sino a uccidere un tuo fratello di covata. Hai affrontato l‟Ordalia
della redenzione, superandola, ma forse sarebbe stato meglio morire piuttosto che essere condannato all‟esilio perpetuo.
Un naufrago perché mentre vagavi nella galassia in cerca di un luogo decente dove abitare, una contrazione erratica dell‟Ipercontinuum etereo ti ha scaraventato nel bel mezzo di un sistema planetario rotante attorno a una microscopica stella gialla. Priva di controllo, la tua astronave è
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precipitata su questo insignificante pianeta, un grumo di polvere silicatica
bagnata da un liquido repellente, la cui specie dominante è costituita da
creature bipedi d‟infima intelligenza, appena capaci della più primitiva
tecnologia.
Grazie alla bontà della Prima Genitrice ti sei salvato dallo schianto
ma sei stato sul punto di morire d‟inedia sinché non hai scoperto che le
femmine fertili degli „esseri umani‟, così si definiscono questi immondi alieni, producono le sostanze biologiche necessarie al tuo sostentamento.
Nei primi tempi del tuo arrivo, eri costretto ad abbandonare il tuo rifugio per procurartele alla vecchia maniera, adesso che la loro società si è
evoluta oltre il livello arcaico delle comunicazioni a distanza, ti basta dare
loro „un colpo di telefono‟ e hanno la compiacenza di presentarsi spontaneamente.
Rhodrhi è giunto in cima alla collina. Tra i tronchi della sparuta famiglia
di alberi che corona il pianoro giace la conchiglia rotta in cui si annida
l‟abominio.
Sono passate più di duecento lune dal giorno in cui è piombato
ululando giù dal cielo azzurro eppure il metallo scintillante non mostra
alcun segno di ruggine o traccia di corrosione. “Possedessi un‟armatura
forgiata con quel materiale” riflette con una punta di bramosia, “sarei
invincibile! Potrei sfidare Gallchobhar, batterlo e diventare capo della
tribù. E dopo…”.
Si stringe nelle spalle muscolose. Non è tempo di perdersi in sogni
di vanagloria e di fantasticare sopra un fulgido destino. All‟interno di
quel guscio spezzato lo attende molto probabilmente l‟identica sorte che
ha falciato decine di guerrieri anche più abili di lui: la morte!
Il giovane ha un fremito istintivo, tuttavia costringe la paura ad
acquattarsi in un angolo della coscienza. Nocche sbiancate per la tensione si fondono con l‟elsa della spada, adattandosi alle increspature del
cuoio ancora ruvido.
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Accompagnato dalle lacrime in cui si sciolgono le nuvole tempestose, supera la manciata di passi che lo separa dall‟ingresso.
Una preghiera al Supremo e sparisce all‟interno.
Sbuffando per la fatica, Morwenna approda sotto il porticato antistante
al portone dell‟edificio nell‟attimo in cui le prime gocce di pioggia iniziano
a ticchettare contro le tegole in legno del loggiato.
Ai bagliori delle saette ha ricombinato nella mente le tessere di un
puzzle che raffigura l‟immagine di un grazioso villino di campagna – il
„buen retiro‟ di un uomo facoltoso, magari in età da pensione ma non
ancora pago di piaceri particolari – perciò non sa spiegarsi la strana inquietudine che l‟assale nell‟afferrare tra le punte dei polpastrelli il batacchio d‟acciaio brunito al centro della porta.
Si pente subito di averlo inquadrato nel chiarore fioco della sua
torcia improvvisata perché le appare un‟orribile testa zannuta di coccodrillo, da cui spuntano occhi sporgenti su peduncoli, circondati da un
cespuglio di tentacoli.
Forse è soltanto un‟impressione, un fantasma evocato da un cervello avvelenato dalla troppa adrenalina, ma le sembra di avvertire per
davvero una sensazione di viscido umidore sulla pelle a contatto della
mostruosità.
Al secondo picchiettio, l‟anta si spalanca senza preavviso, rivelando un corridoio illuminato da un minuscolo lampadario in opalina translucida che penzola dal soffitto.
«E‟ permesso? Posso entrare?» chiedono labbra tinte di viola che
esprimono il tono di preoccupata esitazione nel costatare che nell‟andito
non c‟è nessuno pronto ad accoglierle. «Mi manda l‟Agenzia „Basta uno
squillo‟» continua la giovane, calcando sulle ultime parole, quasi fossero
un passepartout miracoloso o un talismano di protezione. In effetti, in
numerose altre occasioni lo sono state, ma questa volta i tarli
dell‟incertezza si prodigano nel triturarne l‟effetto taumaturgico.
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«Si accomodi, la stavo aspettando» risponde una voce dal timbro
caldo e profondo. È impossibile stabilirne l‟età ma non riconoscere la
smania che la agita per quanto non vibri della voglia di sesso cui Morwenna è abituata.
Ha già oltrepassato la soglia quando realizza che l‟invito a entrare
non è stato percepito dai timpani delle sue orecchie bensì ha sollecitato
direttamente i neuroni della corteccia cerebrale.
Un artiglio di panico adamantino le agguanta il collo da cigno,
strozzandole il respiro.
Si volta, più che mai decisa ad abbandonare quel luogo sinistro e
affrontare l‟ira vendicativa di Madame, ma è già troppo tardi: il tonfo della porta che si rinserra davanti alle sue pupille dilatate dal terrore ricorda quello di una lastra di pietra che sigilla un sepolcro.
«Da questa parte» riprende con melliflua cortesia il suo misterioso
anfitrione. «La porta in fondo a destra».
Morwenna dapprima sente il tentacolo di una volontà invisibile insinuarsi nella sua scatola cranica quindi avvinghiarle la coscienza,
stroncando nell‟abbraccio delle sue spire ogni possibilità di resistere o
ribellarsi. Soggiogata, obbedisce.
Il ticchettio dei tacchi sul parquet assume il ritmo di una marcia
funebre.
Anche all‟epoca felice in cui cacciavi le prede nelle lande sabbiose del tuo
pianeta natale, ti ha sempre stupito costatare come una creatura così progredita nella scala evolutiva come sei tu rimanga comunque schiava di
una necessità primordiale qual è il nutrirsi. Eppure, quando si avvicina il
momento in cui le sue cellule hanno bisogno di rifornirsi dei loro costituenti
essenziali, l‟intero tuo corpo, materia carboniosa ed energia spirituale che
la anima, si concentra sull‟unico scopo di accontentarle.
Agiti i tentacoli sensoriali, percependo le prime molecole aromatiche
che annunciano l‟avvicinarsi del pasto. Ne assapori il gusto denso, distin-
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guendo una a una le singole fragranze che lo compongono. Inghiotti un
boccone d‟aria, impalpabile ma così pieno di sapidità che il tuo apparato
digerente ruggisce di piacere.
Devi ricorrere a tutta la tua determinazione per non balzare fuori dal
bozzolo per azzannare, sbranare e divorare la femmina che intravedi oltre
la nebbia vorticosa che ti racchiude.
Rhodrhi si ferma incerto su come comportarsi. Ha raggiunto la zona
centrale del rifugio dell‟abominio ma non ha trovato il mostro in agguato, bensì una sfera di caligine verdastra che turbina su se stessa in un
continuo crepitio di scintille arancioni.
Avanza con cautela verso la trottola di nebbia, valutando la situazione.
Uno schianto secco ai suoi piedi lo blocca. Trasalendo, abbassa lo
sguardo: ha spezzato un femore straziato da denti acuminati. Alla luminescenza irreale che emanano le pareti metalliche della tana, si accorge
che quelli che aveva ritenuto rami secchi o pezzi di legno sono in realtà
ossa e teschi umani frantumati, resi marroni dallo scorrere degli anni: la
superficie del pavimento ne è completamente ricoperta. Individua poi,
sparse qua e là, spade e lance rotte: le inutili armi dei suoi predecessori.
Un ghigno di amarezza si disegna su un volto che le ragazze trovano affascinante: i suoi avi avevano accolto la mostruosità caduta dalle
stelle come un essere soprannaturale, onorandolo e servendolo prima di
capire che non si trattava di una divinità bensì di una belva feroce!
Il guerriero strizza le palpebre poi si raddrizza, imponendosi di ragionare. Pochi istanti e si convince che, per quanto gli appaia assurdo,
l‟abominio si nasconde dentro la nebbia vorticante.
Prova a stanarlo, calpestando con rabbia calcolata altri poveri resti, ma non ottiene nessuna reazione. Scaglia allora un paio di ossa contro il globo stomachevole: spariscono nelle volute di foschia senza risultato.
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Rhodrhi serra la mandibola, stringendo i denti sino a sentirne lo
scricchiolio. Il nemico è astuto quanto feroce: vuole essere affrontato sul
proprio terreno.
Con una bestemmia, il guerriero agita furibondo la chioma di riccioli neri: a renderlo titubante non è il pensiero di un duello dall‟esito
forse per lui mortale piuttosto l‟ignoto in cui si cela il suo avversario.
Respira a fondo, detergendosi con il dorso della mano sinistra il
sudore che gli ruscella sulla fronte spaziosa. Mentre è intento a racimolare ogni particella di coraggio, intercetta lo sguardo scoccatogli da un
paio di orbite vuote: in esse gli appare vivido il luccichio smeraldino degli
occhi di Cerridwyn, la sua sorella minore. Tra un mese avrebbe compiuto sedici anni.
«Vendicami fratello!» è l‟urlo disperato che gli trafigge il cervello un
secondo prima che uno strillo gorgogli fuori dalla sfera di caligine. Il
guerriero non ne comprende il significato, tuttavia è indubbio che a lanciarlo sia stata una voce femminile in balia di un terrore folle.
Sberciando il proprio grido di sfida, Rhodrhi si tuffa nella nebbia.
Morwenna è una statua di ghiaccio di fronte a una palla nebulosa dalle
sfumature di putrido verde: come ipnotizzata, fissa le scintille di colore
arancione che guizzano all‟interno della sfera. Ogni molecola del suo
corpo si oppone al richiamo osceno che proviene da quel turbine di
bruma, ma la volontà è ridotta a una marionetta, un involucro senza
nerbo manovrato da una coscienza infinitamente superiore.
Nell‟attimo in cui viene assorbita dal sudario vorticante, la giovane
condensa la propria impotenza in un urlo che la paura rende stridulo:
«No! Aiuto!».
Un battito di cuore dopo, la mente impazzita di Morwenna s‟illude
di stare sognando: solo nella dimensione degli incubi, infatti, può esistere la mostruosità aliena che incombe su di lei, dilatando una bocca armata di denti sottili e uncinati come ami da pesca.
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La speranza ha breve durata: gocce reali di bava giallastra le
schizzano il viso disintegrato dall‟angoscia e duri artigli a tre dita le
strappano il vestito.
Intrappolata, prega di svenire ma anche quell‟estremo sollievo le
viene negato dall‟orrore deforme in procinto di stritolarle la testa tra le
mandibole.
La gola incapace di lanciare un‟ultima supplica, chiude gli occhi in
attesa del morso che significherà sì morte ma anche liberazione.
Finalmente! La preda è arrivata! Ancora un passo e la potrai ghermire.
Assapori con voluttà l‟istante in cui la tua presa mentale la trascina oltre
l‟involucro del bozzolo.
Eccola! Il tuo ventre affamato canta di felicità. Ora è tempo di saziarti!
Balzi in avanti, incapace di trattenerti per un altro istante. Allunghi
gli arti prensili schioccando le dita. Strappi in brandelli il rivestimento artificiale di un‟epidermide pallida e priva di protezioni naturali. Allarghi la
bocca, deciso a goderti il suono delle ossa che si spaccano sotto le zanne.
Un mugolio d‟anticipazione esce dalle tue fauci.
Rhodrhi si ferma attonito. Non tanto per l‟ambiente spoglio in cui si è
venuto a trovare, una grande caverna le cui pareti inconsistenti trasudano una luminescenza lattiginosa, quanto perché le descrizioni
dell‟abominio che si tramandano nella tribù non l‟hanno preparato alla
scena che ha di fronte.
A qualche metro da lui si agita furiosa una specie di formica dalle
dimensioni di un cavallo, il corpo ricoperto da ispidi peli castani e
squame brunastre. Dal torace segmentato, oltre a sei zampe da insetto,
spunta un paio di braccia le cui mani a tre dita stanno lacerando le vesti
di una ragazza bionda che immagina essere paralizzata dal terrore perché, incredibilmente, non prova né a difendersi né a fuggire. Il capo del
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mostro, spigoloso e dal contorno triangolare, su cui svettano due occhi
da gambero e si dimenano corti tentacoli, si sta chinando sulla sventurata per azzannarla.
Non è tempo di esitazioni o ripensamenti: urlando, il guerriero si
fionda all‟attacco.
Nell‟oscurità in cui si è ritratta in attesa della morte, la mente di Morwenna sta riflettendo che la testa in procinto di decapitarla è identica al
batacchio del portone quando un grido la distrae.
In risposta automatica, la giovane disserra le palpebre.
Proprio nell‟attimo in cui ti avventi per stritolare il cranio della preda, una
cacofonia di onde sonore ti avverte della presenza di un‟altra creatura aliena. Ruoti un peduncolo oculare per inquadrarla: è un maschio della
specie dominante. A giudicare dall‟aspetto e dall‟abbigliamento, appartiene all‟epoca in cui precipitasti su questo mondo. Pur stupite che un selvaggio primitivo abbia osato introdursi nel tuo rifugio per affrontarti, le tue
sinapsi nervose reagiscono con la consueta prontezza.
Ruggendo la tua ira per l‟interruzione, con una spinta mentale scaraventi di lato la femmina, quindi ti volti e salti al contrattacco, focalizzando la volontà contro lo sconsiderato aggressore.
D‟acchito, esperienza e raziocinio avvertono Rhodrhi che il duello sarà al
limite delle sue abilità di combattente. L‟obbrobrio, infatti, è fornito di riflessi più veloci di quelli umani: non ha neppure ridotto di un terzo la
distanza tra loro che già l‟abominio lo carica a sua volta, falciando l‟aria
con gli artigli.
Il guerriero scarta sulla sinistra, evitando di un soffio un colpo al
volto, poi affonda la spada nel tentativo di centrare il torace scoperto: il
braccio si pietrifica a metà del gesto. Digrignando i denti, si sforza di
contrastare la paralisi che l‟ha imprigionato, ma il tentativo fallisce: a
pochi pollici dal bersaglio, la lama vibra impotente nel pugno bloccato.
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Una garrota di puro terrore soffoca Rhodrhi nel comprendere che
il nemico dispone di armi invisibili assai più pericolose e letali di semplici zanne e artigli.
Accasciata sul pavimento opalescente di quel luogo così straniero ai suoi
sensi, Morwenna impiega qualche momento per ricomporre in uno
schema logico le informazioni assurde che le retine inviano al cervello:
un guerriero di foggia antica è comparso dal niente e ora lotta contro
l‟essere orribile che era in procinto di ucciderla.
Il miraggio di un‟insperata salvezza, però, sfavilla per un attimo infinitesimo prima di dissolversi: con raccapriccio, vede l‟uomo soccombere all‟incontrastabile forza di volontà dell‟avversario e immobilizzarsi.
Costernata, la giovane si lancia contro l‟alieno in un supremo impeto di ribellione. Vincendo il ribrezzo e la paura, le dita affusolate afferrano un lungo peduncolo oculare, lo stringono in una morsa e piegano,
piegano…
“Il tempo di un respiro e quest‟idiota raggiungerà i suoi altrettanto patetici
predecessori” pensi compiaciuto, intanto che ti appresti a squarciarlo con
un unghione.
Un dolore acuto ti coglie a tradimento, impedendoti di realizzare il
tuo proposito. Attonito, contempli le immagini trasmesse da un ocello prima tremolare confuse, quindi sparire in un buio affettato da lampi di atroce sofferenza.
Rotei subito l‟altro per scoprire che cosa ti stia succedendo. Nel
campo visivo appare un volto che brucia di un feroce odio primordiale: ti
sei scordato della femmina!
Il tuo furore esplode in un ululato di belva ferita, tuttavia l‟indigena
non si spaventa, anzi le sue appendici prensili abbrancano sollecite il tuo
restante organo della vista, incitate da un ringhio che ha perso qualsiasi
barlume d‟intelligenza.
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Non puoi permetterle di accecarti né hai tempo di sottometterla al
tuo volere: pur consapevole di rischiare di comprometterne la commestibilità, le tue estremità artigliate s‟inarcano per ucciderla…
Una fitta lancinante ti trapassa il cranio, riverberandosi dalla mandibola sino alla sommità della calotta chitinosa, devastandoti il cervello
con il suo distruggere le cellule nervose che incontra.
Uno spasimo mai provato ti annichilisce all‟unisono ragione ed essenza vitale.
Un panorama di dune ocra ti abbaglia, così tangibile che ti sembra
di poterlo calpestare, poi svanisce in una tenebra acida in cui piombi sciogliendoti in un flusso caotico di elettroni.
Il fiato corto per la tensione e l‟incredulità, Rhodrhi contempla
l‟abominio che sussulta negli spasmi della morte, la spada ancora conficcata nella testa. Sulla punta che emerge tra il ciuffo di tentacoli inerti,
una spalmatura di disgustoso sangue giallastro.
Battendosi il torace con i pugni, il guerriero erompe in un muggito
di vittoria: ha vendicato sua sorella e tutte le altre vittime!
All‟eco distorta dell‟urlo belluino si sovrappone una voce esitante
che mormora suoni a lui incomprensibili: la giovane gli sta parlando.
Soltanto adesso Rhodrhi si accorge di quanto abbia il viso grazioso
e sia fornita di un corpo sensuale, tuttavia non è la bellezza fisica ad affascinarlo: in quegli occhi pervinca che lo fissano sgranati legge sì gratitudine e ammirazione ma anche una personalità complessa, in cui candore e vizio si mescolano inestricabilmente, seducendolo.
Il seno nudo di Morwenna si solleva al ritmo di un respiro affannoso. Il
mostro sta rantolando ai suoi piedi; oltre la carcassa ributtante, il suo
salvatore sta abbaiando di trionfo.
«Ci sei riuscito: lo hai ucciso» balbetta la giovane non appena il
guerriero termina di esaltare la propria impresa.
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In tacita risposta al suo mormorio, una faccia maschia la scruta
con intensità. Nessun individuo della sua epoca l‟ha mai osservata con
quel misto di adorazione e desiderio che infiamma quelle iridi cinerine:
in esse si riflette smagliante l‟orgoglio della sua femminilità.
In quell‟intreccio di sguardi si fondono nel midollo due esseri che un abisso di più di trenta secoli di storia divide, ma emozioni e sentimenti
avvicinano al punto di non avere bisogno di parole per esprimere
l‟identico clamore di passioni che frastorna i loro spiriti.
In silenzio, si dirigono insieme verso la barriera vaporosa che li
separa dall‟esterno.
Sono entrambi consapevoli che li attende un futuro incerto perché
ignorano quale mondo troveranno fuori di lì, se il proprio o uno diverso,
tuttavia non esitano: sono ancora vivi e tanto loro basta.
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