Il pericoloso Progetto J.

Transcript

Il pericoloso Progetto J.
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IL PERICOLOSO PROGETTO J.
Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo
Associazione di Enti Locali per l’Educational e la Cultura - Ente Formatore per Docenti
Istituzione Promotrice della Staffetta di Scrittura Bimed/Exposcuola in Italia e all’Estero
Partendo dall’incipit di Giancarlo Cavallo e con il coordinamento
dei propri docenti, hanno scritto il racconto gli studenti delle scuole
e delle classi appresso indicate:
Liceo Classico “C. Botta” di Ivrea – classi II beta/II delta
Liceo Scientifico “Alfonso Gatto” di Agropoli (SA) – classe V ginn. sez. C
IIS “G. Filangieri” di Cava dei Tirreni (SA) – classe IIA
Istituto Superiore Liceale “Matilde di Canossa” di Reggio Emilia – classe IIL
Liceo “Chris Cappell College” di Anzio (RM) – classe IIA
I.I.S. “G.B. Ferrari” di Este (PD) – classe IIA
I.I.S. “Majorana” sezione liceale di Moncalieri (TO) – classi IH/VE/VC
Liceo Scientifico “Campus Don Bosco” di Tremestieri Etneo (CT) – classe IA
Liceo “A. Galizia” di Nocera Inferiore (SA) – classe IF
Editing a cura di: Aida Arbia
Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo Associazione di Enti Locali
Ente Formatore per docenti accreditato MIUR
Il racconto è pubblicato in seno alla Collana dei Raccontiadiecimilamani
Staffetta Bimed/Exposcuola 2013
La pubblicazione rientra tra i prodotti del Percorso di Formazione per Docenti “La Scrittura
Strumento indispensabile di evoluzione e civiltà” II livello. Il Percorso di Formazione è promosso
dal MIUR Dipartimento per l’Istruzione Direzione Generale per il Personale Scolastico Ufficio
VI e si organizza in interazione con l’Istituto Comprensivo “A. De Caro” di Lancusi/Fisciano (SA)
Direzione e progetto scientifico
Andrea Iovino
Monitoraggio dell’azione
e delle attività formative collegate
Maurizio Ugo Parascandolo
Responsabili di Area per le comunicazioni, il
coordinamento didattico, l’organizzazione
degli Stages, le procedure e l’interazione con
le scuole, le istituzioni e i fruitori del Percorso
di Formazione collegato alla Staffetta 2013
Linda Garofano
Marisa Coraggio
Andrea Iovino
Area Nord
Area Centro
Area Sud
Segreteria di Redazione
e Responsabile delle procedure
Giovanna Tufano
Staff di Direzione
e gestione delle procedure
Angelo Di Maso, Adele Spagnuolo
Responsabile per l’impianto editoriale
Aida Arbia
Grafica di copertina:
Valentina Caffaro Rore, Elisa Costanza
Giuseppina Camurati, Iulia Dimboiu, Giulia
Maschio, Giulio Mosca, Raffaella Petrucci,
Dajana Stano, Angelica Vanni - Studenti
del Corso di Grafica dell’Istituto Europeo
di Design di Torino, Docente Sandra Raffini
Impaginazione
Bimed Edizioni
Relazioni Istituzionali
Nicoletta Antoniello
Piattaforma BIMEDESCRIBA
Gennaro Coppola
Amministrazione
Rosanna Crupi
I libretti della Staffetta non possono essere in alcun modo posti in distribuzione Commerciale
RINGRAZIAMENTI
I racconti pubblicati nella Collana della
Staffetta di Scrittura Bimed/ExpoScuola
2013 si realizzano anche grazie al contributo erogato in favore dell’azione dai
Comuni che la finanziano perché ritenuta
esercizio di rilevante qualità per la formazione delle nuove generazioni. Tra gli
Enti che contribuiscono alla pubblicazione della Collana Staffetta 2013 citiamo: Siano, Bellosguardo, Pisciotta,
Cetara, Pinerolo, Moncalieri, Susa, SaintVincent, Castellamonte, Torre Pellice, Castelletto Monferrato, Forno Canavese,
Rivara, Ivrea, Chivasso, Cuorgnè, Santena, Agliè, Favignana, Lanzo Torinese. Si
ringrazia, inoltre, il Consorzio di Solidarierà Sociale “Oscar Romero” di Reggio
Emilia, Casa Angelo Custode di Alessandria, Società Istituto Valdisavoia s.r.l. di
Catania, Associazione Culturale “Il Contastorie” di Alessandria, Fondazione
Banca del Monte di Rovigo.
La Staffetta di Scrittura riceve un rilevante contributo per l’organizzazione
degli Eventi di presentazione dei Racconti 2013 dai Comuni di Bellosguardo,
Moncalieri, Ivrea, Salerno, Pinerolo, Saint
Vincent, Procida e dal Parco Nazionale
del Gargano/Riserva Naturale Marina
Isole Tremiti.
Si coglie l’occasione per ringraziare i tantissimi uomini e donne che hanno operato
per il buon esito della Staffetta 2013 e
che nella Scuola, nelle istituzioni e nel
mondo delle associazioni promuovono
l’interazione con i format che Bimed annualmente pone in essere in favore delle
nuove generazioni. Ringraziamenti e
tanta gratitudine per gli scrittori che annualmente redigono il proprio incipit per
la Staffetta e lo donano a questa straordinaria azione qualificando lo start up
dell’iniziativa. Un ringraziamento particolare alle Direzioni Regionali Scolastiche
e agli Uffici Scolastici Provinciali che si
sono prodigati in favore dell’iniziativa. Infine, ringraziamenti ossequiosi vanno a S.
E. l’On. Giorgio Napolitano che ha insignito la Staffetta 2013 con uno dei premi
più ambiti per le istituzioni che operano
in ambito alla cultura e al fare cultura, la
Medaglia di Rappresentanza della Repubblica Italiana giusto dispositivo Prot.
SCA/GN/0776-8 del 24/09/2012.
Partner Tecnico Staffetta 2013
Si ringraziano per l’impagabile apporto
fornito alla Staffetta 2013:
i Partner tecnici
UNISA – Salerno, Dip. di Informatica;
Istituto Europeo di Design - Torino;
Cartesar Spa e Sabox Eco Friendly
Company;
ADD e EDT Edizioni - Torino;
il partner Must
Certipass, Ente Internazionale Erogatore
delle Certificazioni Informatiche EIPASS
By Bimed Edizioni
Dipartimento tematico della Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo
(Associazione di Enti Locali per l’Educational e la Cultura)
Via della Quercia, 64 – 84080 Capezzano (SA), ITALY
Tel. 089/2964302-3 fax 089/2751719 e-mail: [email protected]
La Collana dei Raccontiadiecimilamani 2013 viene stampata in parte su
carta riciclata. È questa una scelta importante cui giungiamo grazie al contributo di autorevoli partner (Sabox e Cartesar) che con noi condividono il
rispetto della tutela ambientale come vision culturale imprescindibile per chi
intende contribuire alla qualificazione e allo sviluppo della società contemporanea anche attraverso la preservazione delle risorse naturali. E gli alberi sono
risorse ineludibili per il futuro di ognuno di noi…
Parte della carta utilizzata per stampare i racconti proviene da station di
recupero e riciclo di materiali di scarto.
La Pubblicazione è inserita nella collana della Staffetta di Scrittura
Bimed/Exposcuola 2012/2013
Riservati tutti i diritti, anche di traduzione, in Italia e all’estero.
Nessuna parte può essere riprodotta (fotocopia, microfilm o altro mezzo)
senza l’autorizzazione scritta dell’Editore.
La pubblicazione non è immessa nei circuiti di distribuzione e commercializzazione e rientra tra i prodotti formativi di Bimed destinati
unicamente alle scuole partecipanti l’annuale Staffetta di Scrittura
Bimed/ExpoScuola.
PRESENTAZIONE
dedicato alle maestre e ai maestri
… ai professori e alle professoresse,
insomma, a quell’esercito di oltre mille
uomini e donne che anno dopo anno
ci affiancano in questo esercizio straordinario che è la Staffetta, per il sottoscritto, un miracolo che annualmente
si ripete. In un tempo in cui non si ha la
consapevolezza necessaria a comprendere che dietro un qualunque prodotto vi è il fare dell’essere che è, poi,
connotativo della qualità di un’esistenza, la Staffetta è una esemplarità su
cui riflettere. Forse, la linea di demarcazione che divide i nativi digitali dalle
generazioni precedenti non è nel fatto
che da una parte vi sono quelli capaci
di sentire la rete come un’opportunità
e dall’altra quelli che no. Forse, la differenza è nel fatto che il contesto digitale che sempre di più attraversa i nostri
giovani porta gli individui, tutti, a ottenere delle risposte senza la necessità
di porsi delle domande. Così, però, è
tutto scontato, basta uno schermo a risolvere i nostri bisogni… Nel contempo,
riflettere sul senso della nostra esistenza
è sempre meno un bisogno e il soddisfacimento dei bisogni ci appare come
il senso. Non è così, per l’uomo, l’essere,
non può essere così.
Ritengo l’innovazione una delle più rilevanti chiavi per il futuro e, ovviamente, non sono contrario alle LIM, a
internet e ai contesti digitali in generale, sono per me un motore straordinario e funzionale anche per la relazione
tra conoscenza e nuove generazioni,
ma la conoscenza è altro, non è mai e
in nessun caso l’arrivo, l’appagamento
del bisogno… La conoscenza è nella
capacità di guardare l’orizzonte con la
curiosità, il piacere e la voglia di conquistarlo, questo è! Con la staffetta il
corpo docente di questo Paese prova
a rideterminare una relazione con l’orizzonte, con quel divenire che accomuna
e unisce gli uomini e le donne in un afflato di cui è parte integrante il compagno di banco ma, pure, il coetaneo che
a mille chilometri di distanza accoglie la
tua storia, la fa sua e continua il racconto della vita insieme a te… In una
visione di globalizzazione positiva.
Tutto questo ci emoziona anche perché è in questo modo che al bisogno
proprio (l’egoismo patologico del nostro tempo), si sostituisce il sogno di
una comunità che attraverso la scrittura, insieme, evolve, cresce, si migliora. E se è vero come è vero che
appartiene alla nostra natura l’essere
parte di una comunità, la grande
scommessa su cui ci stiamo impegnando è proprio nel rideterminare
con la Staffetta una proficua interazione formativa tra l’innovazione e la
cultura tipica dei tanti che nell’insegnare hanno trovato… il senso.
Dedico questo breve scritto ai docenti ma vorrei che fossero i genitori e
gli studenti, gli amministratori e le imprese, la comunità e l’attorno, a prendere consapevolezza del fatto che è
proprio ri/partendo dalla Scuola che
potremo determinare l’evoluzione e la
qualificazione del nostro tempo e
dello spazio in cui viviamo. Diamoci
una mano, entriamo nello spirito della
Staffetta, non dividiamo più i primi
dagli ultimi, i sud dai nord, i potenti
dai non abbienti…
La Staffetta è, si, un esercizio di scrittura che attraversando l’intero impianto curriculare qualifica il contesto
formativo interno alla Scuola e, pure,
l’insieme che dall’esterno ha relazione
organica e continuativa con il fare
Scuola, ma la Staffetta è, innanzitutto,
un nuovo modo di esprimersi che enuclea nella possibilità di rendere protagonisti quanti sono in grado di
esaltare il proprio se nel confronto,
nel rispetto e nella comunanza con
l’altro.
Andrea Iovino
L’innovazione e la Staffetta: una opportunità per la Scuola
italiana.
Quando Bimed ci ha proposto di
operare in partnership in questa importante avventura non ho potuto far a
meno di pensare a quale straordinaria
opportunità avessimo per sensibilizzare un così grande numero di persone sull’attualissimo, quanto per molti
ancora sconosciuto, tema di “innovazione e cultura digitale”.
Sentiamo spesso parlare di innovazione, di tecnologia, di Rete e di 2.0,
ma cosa sono in realtà e quali sono le
opportunità, i vantaggi e anche i pericoli che dal loro utilizzo possono derivare?
La Società sta cambiando e la
Scuola non può restare ferma di
fronte al cambiamento che l’introduzione delle nuove tecnologie ha
portato anche nella didattica: cambia il metodo di apprendimento e
quello di insegnamento non è che una
conseguenza naturale e necessaria
per preparare gli “adulti di domani”.
Con il concetto di “diffusione della
cultura digitale” intendiamo lo svi-
luppo del pensiero critico e delle
competenze digitali che, insieme all’alfabetizzazione, aiutano i nostri ragazzi
a districarsi nella giungla tecnologica
che viviamo quotidianamente.
L’informatica entra a Scuola in modo
interdisciplinare e trasversale: entra
perché i ragazzi di oggi sono i “nativi
digitali”, sono nati e cresciuti con tecnologie di cui non è più possibile ignorarne i vantaggi e le opportunità e
che porta inevitabilmente la Scuola a
ridisegnare il proprio ruolo nel nostro
tempo.
Certipass promuove la diffusione della
cultura digitale e opera in linea con le
Raccomandazioni Comunitarie in materia, che indicano nell’innovazione e
nell’acquisizione delle competenze digitali la vera possibilità evolutiva del
contesto sociale contemporaneo.
Poter anche soltanto raccontare a
una comunità così vasta com’è quella
di Bimed delle grandi opportunità che
derivano dalla cultura digitale e dalla
capacità di gestire in sicurezza la re-
lazione con i contesti informatici, è di
per sé una occasione imperdibile. Premesso che vi sono indagini internazionali da cui si evince l’esigenza di
organizzare una forte strategia di ripresa culturale per il nostro Paese e
considerato anche che è acclarato il
dato che vuole l’Italia in una condizione di regressione economica proprio a causa del basso livello di
alfabetizzazione (n.d.r. Attilio Stajano,
Research, Quality, Competitiveness.
European Union Technology Policy for
Information Society II- Springer 2012)
non soltanto di carattere digitale, ci è
apparso doveroso partecipare con
slancio a questo format che opera
proprio verso la finalità di determinare
una cultura in grado di collegare la
creatività e i saperi tradizionali alle
moderne tecnologie e a un’idea di digitale in grado di determinare confronto, contaminazione, incontro,
partecipazione e condivisione… I
docenti chiamati a utilizzare una piattaforma telematica, i giovani a inventarsi un pezzo di una storia che poi
vivono e condividono grazie al web
con tanti altri studenti che altrimenti,
molto probabilmente, non avrebbero
mai incontrato e, dulcis in fundo, le
pubblicazioni…
Il libro che avrete tra le mani quando
leggerete questo scritto è la prova
tangibile di un lavoro unico nel suo
genere, dai tantissimi valori aggiunti
che racchiude in sé lo slancio nel liberare futuro collegando la nostra storia,
le nostre tradizioni e la nostra civiltà
all’innovazione tecnologica e alla
cultura digitale. Certipass è ben lieta
di essere parte integrante di questo
percorso, perché l’innovazione è cultura, prima che procedimento tecnologico.
Il Presidente
Domenico PONTRANDOLFO
INCIPIT
GIANCARLO CAVALLO
Semaforo rosso
Rosso. Quanto tempo dura un semaforo rosso: trenta secondi, un minuto, due?
Sono qui fermo da un tempo che mi sembra infinito. In fondo è notte, non circola
nessuno, avrei potuto ignorarlo questo maledetto rosso e passare lo stesso. Ma
non l’ho fatto, mi sono bloccato. E adesso mi accorgo che è verde, eppure resto
fermo: in pieno giorno sarebbe già partita la sarabanda di clacson, urla e improperi, talmente forte da riuscire a sollevare di peso l’automobile, a farla ripartire
suo malgrado. Mi sembra strano, angosciante, questo vuoto, questo silenzio; ma
è notte, non c’è nessuno, solo io, il rumore costante del motore al minimo e questo
semaforo che meccanicamente continua a modulare rosso verde giallo, rosso
verde giallo, rosso…
Era una donna. Non c’è dubbio che fosse una donna. Le scarpe nere col tacco,
l’oro sottile della cavigliera, le gambe esili e nude, la gonna corta. Era una
donna, una giovane donna. Certo, l’ho vista solo per pochi secondi nel cono di
luce degli anabbaglianti, ma è stato sufficiente per capire che si trattava di una
giovane donna. Quella “cosa”, quell’“oggetto”, disteso, abbandonato sull’asfalto, come un sacco di stracci vecchi, come un fragile ramo caduto, era proprio una donna, una giovane donna.
Io non mi sono fermato. L’ho vista e non mi sono fermato. Perché? Perché non c’era
il semaforo rosso, perché ho avuto paura, perché di sicuro ci penserà qualche
altro. Perché mi è sembrato di scorgere un’ombra. Con tutti i malintenzionati che
ci sono in giro, magari era una trappola, si legge tutti i giorni sui quotidiani, fingono un incidente per poi rapinarti. No, io non ci sono caduto, io no!
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Ma adesso sono qui, fermo al semaforo, inebetito: forse era viva, ho percepito
un lieve movimento, forse aveva bisogno d’aiuto, forse era solo svenuta, forse..
Forse qualcuno l’aveva picchiata, violentata forse. Mi è sembrato di vedere il
rosso del sangue sull’asfalto, ma forse mi sono sbagliato, sarà stata una suggestione. Accendo la radio, cerco un notiziario, niente, non dicono niente di questa
aggressione, di questo incidente.
Forse sono ancora in tempo. Forse potrei tornare indietro, in meno di cinque minuti
sarei di nuovo lì. Forse potrei chiamare il 113, la Croce rossa. Invece resto qui,
paralizzato, assisto da spettatore ipnotizzato alla lotta tra la mia coscienza civica e il mio vigliacco istinto di sopravvivenza, incapace di prendere una qualunque decisione, mentre il semaforo continua a riverberare nell’abitacolo la sua
monotona sequenza tricolore: rosso verde giallo, rosso verde giallo, rosso…
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CAPITOLO PRIMO
Era una notte
Prima di poter tornare indietro, sono costretto a rimanere davanti al semaforo
perennemente rosso. Il senso di colpa aumenta. Preso da un’indescrivibile follia,
faccio una brusca inversione di marcia per arrivare presto alla mia meta. Il mio
unico pensiero è raggiungere al più presto la donna per poterla aiutare. Mentre
sono in auto tutto sembra rallentare e il panico cresce sempre di più dentro di me.
Mille domande urlano nella mia testa: «Avrei dovuto fermarmi?»
«Starà bene?, se starà male sarà solo per colpa mia?»
Lungo la strada inizio a prendere coraggio, ma quando arrivò la donna era sparita. Niente che possa far pensare ad un soccorso da parte della Croce Rossa.
La notte è ormai calata e decido di non tornare a casa quella sera. Voglio scendere al più presto da quella macchina, allontanarmi dalla strada. Vedo un pub:
un luogo scuro illuminato qua e là da qualche scritta a led colorata. Si riconoscono a malapena le persone e l’arredamento. Cerco di apparire il più sicuro
possibile ma la mia totale estraneità si legge anche in quel buio.
Mi avvicino al bancone. Non so cosa ordino, né quanto.
Bevuto l’ultimo sorso di un drink rossastro mi alzo e, a passi incerti e pesanti, raggiungo la porta.
Sono le quattro e mezza e le strade sono deserte. Con quel poco di lucidità che
mi è rimasta raggiungo la macchina e guido sotto la debole luce della luna. Sono
ormai le cinque e gli effetti dell’alcool iniziano a farsi sentire: ho mal di testa e voglia di vomitare. Faccio pochi chilometri e arrivo sotto il palazzo del mio ufficio,
l’unico posto dove rifugiarmi.
Faccio molta fatica a infilare la chiave nella toppa. Finalmente sono alla mia postazione. Appoggio un braccio alla scrivania e mi sorreggo fino alla sedia girevole.
Controllo i messaggi in segreteria. Mi gira la testa, mi lascio cadere sulla poltrona.
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Era una notte
Che cosa sono questi rumori? È una donna!
«Juan, aiuto!» sento gridare. Mi precipito nel corridoio, le urla continuano giù per
le scale. Sento il rumore di qualcosa di metallico, forse è ferita, devo chiamare
la polizia, devo aiutarla. Cado per le scale, ho una grande fitta alla schiena. La
donna continua a gridare, cerco di seguire la sua voce ma non riesco a raggiungerla per la schiena dolorante e perché è troppo veloce. Vedo un’ombra che
esce dalla porta sul retro. La inseguo ma inciampo in una sedia che non ho notato: penso di essermi rotto una mano. Continuo a correre ma non vedo più l’ombra. «Juan, Juan! Aiutami ti prego!» Le sue urla continuano, sono dappertutto.
Arrivo sulla strada, c’è una donna alla fine del viale: «Fermati! Aspetta!»
Lei gira l’angolo e continua a chiamarmi. Un grande tonfo proviene dalla strada ,
forse un incidente: è stata investita! Ha uno sbocco di sangue, si rotola per terra,
mugugna il mio nome. Mi avvicino ma sento un dolore immenso alla gamba sinistra,
come se mi avessero colpito con una mazza da golf. Prendo il mio cellulare e digito
il 113. Non mi risponde nessuno. Allora provo tutti i numeri d’emergenza che conosco. Nessuno risponde, io e la ragazza siamo abbandonati al nostro destino. Mi
volto e non trovo più la giovane stesa sull’asfalto. La sua voce proviene da un vicolo buio, decido di andarci dalla spazzatura sento il rumore di ruote che sgommano. La ragazza grida, la cerco, la sua voce continua a ronzarmi dentro.
«Juan!»
Urla nuovamente il mio nome, io torno indietro: eccola...! “Un’auto... fari... clacson.
Dove sono? Meno male, è il mio ufficio”.
Sono sdraiato per terra ed ho i muscoli indolenziti. La testa mi scoppia, mi fischiano le orecchie, ho dolori, forse ho sbattuto cadendo dalla poltrona. Provo
ad alzarmi, vedo che il computer è acceso. Adesso ricordo: quella ragazza, tutti
quei drink. Che ore sono? La camicia sbottonata, i capelli arruffati e l’alito pesante sono segni troppo evidenti della notte passata in bianco, devo ricompormi
prima che i miei colleghi arrivino. Vado in bagno, lo specchio riflette l’immagine
di un uomo turbato... Ho paura, probabilmente i parenti di quella giovane donna
Capitolo primo
17
stanno cercando il volto dell’assassino. Se mi fossi fermato ad aiutarla ora non
avrei nulla di cui preoccuparmi. Decido di non comprare nessun giornale per
paura di leggere una notizia...
Proprio mentre mi siedo alla scrivania appare sulla porta il mio collega, l’avvocato Alessandro De Paoli che, sotto la cravatta, nasconde i segni della nostra
notte brava. Siamo amici dai tempi della scuola. Di lui mi fido e vorrei raccontargli
tutto l’accaduto ma non ne ho il coraggio. È proprio lui che, avvicinandosi, mi sussurra: «Hai sentito? Una ragazza è stata aggredita ieri sera vicino al nostro locale, è in prognosi riservata in ospedale... sono uscite già un sacco di foto sui
giornali». Capisco che per un attimo teme il peggio ma poi mi chiede:
«Ne sai qualcosa?»
Valuto se raccontargli tutto e perderlo per sempre oppure far finta di nulla. Decido per la seconda.
«E come potrei? Sono stato tutto il tempo con te dentro il bar e poi me ne sono
andato a casa».
Per un po’ tento di sostenere il suo sguardo, ma mi sento soffocare. Provo a concentrarmi, a pensare al mio lavoro, alla mia vita. La mia mente ritorna sempre all’immagine di quella donna distesa sanguinante lungo la strada e a quel semaforo
rosso. Distolgo lo sguardo da lui e, imbarazzato, mi impongo di non pensare.
Ad un tratto mi chiede:
«Che ne pensi?»
«Penso che avremmo potuto essere investiti noi!» esclamo.
Mille pensieri mi affollano la testa: è come se tante persone mi stessero urlando
tutte assieme nelle orecchie che avrei dovuto fermarmi! Mi scuoto dai miei pensieri
«Cos’altro dicono i giornali?»
«In realtà non molto» risponde.
«Solo che una giovane donna è stata investita ieri sera verso l’una o le due di
notte e che non è ancora stata identificata. Nessuno ne ha denunciato la scomparsa perché senza documenti».
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Era una notte
«E come mai tu credi che fosse alla nostra festa?»
«Era vicina al nostro bar… alta, con capelli e occhi castani. Io ieri ho visto una
persona simile nel locale, forse la stessa».
In quel momento la conversazione viene interrotta dall’arrivo del capo che ci riporta al lavoro.
Per un’intera mattina devo tenermi dentro tutti i miei rimorsi: a sera sono distrutto
fisicamente e psicologicamente. La mattina dopo prendo un caffè, un’aspirina e
vado al lavoro con la speranza di distrarmi un po’.
Alessandro arriva con un quotidiano in mano.
«Buongiorno! Dormito bene?»
Al mattino è sempre allegro e scattante.
«Novità?» mi chiede felice.
«Non lo so... sei tu quello che ha un giornale» ribatto sforzandomi di sorridere.
Si siede sulla mia scrivania e mi lancia il giornale: «L’articolo in prima pagina parla
di quella povera ragazza, è ancora in coma all’ospedale!»
Cala un silenzio imbarazzante. Poi, riprende: «C’è stata una svolta: la telecamera
di un negozio lì vicino ha ripreso una macchina che sfrecciava proprio accanto
al corpo... La polizia ha deciso di aprire un’indagine sull’accaduto».
Continua: «Ma chi può essere così disumano da non prestare aiuto a un corpo
inerme steso a terra. Se fossi in quella persona non dormirei la notte». Rimango paralizzato: accantono del tutto l’ idea di parlargli dei miei problemi. Se Alessandro
sapesse cosa ho fatto non mi perdonerebbe mai.
«Scusa Alessandro, ma ora devo proprio mettermi al lavoro» concludo con gli
occhi sbarrati.
«Si certo, me ne vado subito!»
Prende il giornale, finisce il caffè e si allontana. «Pranziamo insieme?»
«Contaci!» Gli sorrido, mi saluta e chiude la porta.
Ho deciso: andrò a trovarla in ospedale. Voglio vederla, conoscerla. Voglio sapere.
Capitolo primo
19
Salgo in macchina, metto in moto e parto. Passo dal solito semaforo. Arrivo in
ospedale in anticipo. Durante la snervante attesa penso a come posso giustificare il mio egoismo. Mi chiedo se mi riconoscerà.
La donna con il viso pallido e pieno di graffi è bellissima. Mi avvicino ed è proprio
lei, riconosco la cavigliera. Mi siedo vicino al letto, sta ancora dormendo, non
voglio svegliarla. Intanto, osservandola, mi sembra un volto familiare. Resto lì fino
a che non finisce l’orario di visita. La guardo finché apre gli occhi. Anche lei mi
guarda con quegli occhi nerissimi e con lo sguardo fisso.
“Ti ho già vista, un viso così - nonostante le ferite, i graffi - non si dimentica, no
di certo. Ma dove? Non è la prima volta che ti vedo e sono sicuro che non sei
neanche una delle tante che ho conosciuto in un locale e con cui ho trascorso
una notte… chi sei?! ”
«Signore? Mi scusi, l’orario di visita è finito».
Un’infermiera entra nella stanza e mi risveglia dai pensieri.
Scendo in fretta le scale dell’ospedale e mi dirigo verso l’auto. Cerco di contattare Alessandro per invitarlo a cena, ma non mi risponde.
Mentre penso di entrare nel palazzo dei nostri uffici, lo vedo uscire dall’ascensore. Immediatamente si scusa: «Juan mi dispiace! È solo che ho dovuto riscrivere
tutta la mia arringa dopo che quella giornalista impicciona si è intromessa nel
caso Bianchi».
Fa una pausa, e poi aggiunge: «È testarda ma è anche molto bella e, se non ci
avesse mandato tutto a monte, le avrei chiesto anche il numero!»
Il caso Bianchi? La giornalista? Impallidisco.
«Juan, è tutto a posto? Stai bene?»
I battiti del mio cuore sono a mille. È lei!
«Devo dirti una cosa Alessandro» mi tremano le mani.
«Juan non farmi preoccupare!»
«Quella ragazza che è stata trovata in fin di vita e... che ora è in coma... So chi
è!» dico, con un filo di voce.
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Era una notte
«Come sai chi è? Sei sicuro di stare bene?»
Gli racconto tutto velocemente, sentendomi in colpa per la mia vigliaccheria.
Alessandro è sconvolto ma, prima che io gli possa spiegare meglio, due agenti
si avvicinano e uno esclama: «Juan Alvarez, Alessandro De Paoli, vi dichiaro in
arresto per il tentato omicidio di Juliet Capuleti» e tirano fuori le manette…
Capitolo primo
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CAPITOLO SECONDO
Le verità nascoste
C’è un chiasso assordante. Chiudo gli occhi, mantengo la testa tra le mani. Il
chiasso è lì dentro, non nell’aula dell’interrogatorio. L’immagine di quella cavigliera
si frantuma in mille pezzi e poi si ricompone.
«Un’ultima domanda a lei, avvocato De Paoli».
Il capo mi diventa pesante, quasi scoppia. Le risate di alcuni bambini, l’abbaiare
lontano di un cane. Ho freddo.
Trascorriamo la notte in cella. Non chiudiamo occhio e io continuo a pensare a
quella donna.
“L’ho già vista, ma dove? C’è un particolare che mi lascia senza parole. Quella
dannata cavigliera che ho visto quando sono andato in ospedale per farle visita. Ricordo i ciondoli, un cuore, delle perline, un numero: il sette, un simbolo
strano che assomiglia molto alla lettera “J”. Juliet, la sua iniziale. Apro gli occhi, la
poca luce solare che entra dalle finestre mi provoca un leggero fastidio”.
«Si esce, signori».
La voce della guardia è come la voce di un medico che, uscito dalla sala operatoria, avvicinandosi ai familiari del malato, dice che il pericolo è scampato e
che l’intervento è riuscito perfettamente. Ci dà un senso di libertà. Finalmente
hanno capito che bisogna indagare su qualcun altro. Dopo aver attraversato un
lungo corridoio, dove riecheggia il sinistro scricchiolio delle scarpe di Alessandro,
finalmente riprendiamo contatto con la realtà. Le porte dell’inferno si chiudono
alle nostre spalle.
È strano che un posto come il carcere possa sembrare così armonioso dopo che lo
si è lasciato. Liberi, siamo liberi. Dimentico le sbarre; mi guardo intorno. Tutto mi sembra
diverso. Assomiglio ad un bambino che vede qualcosa per la prima volta. Sono meravigliato. Dimentico le divise delle guardie e faccio caso ad una donna con una
22
Le verità nascoste
leggera camicetta a pois. Le case, i negozi, i rumorosi clacson, tutto è perfetto. È uno
spettacolo piacevole agli occhi. Non ho mai guardato attentamente la città, eppure
vivo qui da tutta una vita. L’ho sempre considerata una città fantasma, piena di zombie che camminano. Mi sono sempre chiesto se fosse potuto esistere un paesaggio
più squallido di questo. Invece oggi no, i miei occhi non fanno altro che ammirare la
bellezza del paesaggio. Le case sono perfettamente allineate tra loro, alcune hanno
delle piccole crepe nelle mura, altre sono da poco state ristrutturate. I negozi sono
invasi dalle persone. Mi sembra di non aver visto mai così tanto movimento in tutta
la mia vita. Il cielo è di un azzurro intenso, sembra uscito dalla mescolanza di colori
della tavolozza di un pittore. Le rondini e i gabbiani volano in alto, sempre più in
alto, fino a diventare piccoli punti in una distesa infinita. Le ruote delle auto sfrecciano sull’asfalto tiepido.
Il parcheggio sembra un bar all’aperto per le autovetture. Sembra che si lamentino
che non ci sia nemmeno un po’ d’ombra, il sole riflette sulle loro vernici laccate. Stranamente, però, non riesco ad intravedere l’auto di Alessandro, una Citroen bianca.
Le spie di una Mercedes nera alla nostra destra sembrano farci l’occhiolino. Alessandro si dirige soddisfatto verso di essa.
“Ma com’è possibile? In questo momento i nostri stipendi non ci consentono un lusso
simile, dove ha trovato i soldi per comprarla?”
Con aria stupita salgo in macchina e resto in silenzio pur avendo mille domande. All’incrocio, gli occhi si posano su un semaforo, non uno qualsiasi, ma quel semaforo,
quel maledetto semaforo continuamente rosso. Credo di non averlo mai visto verde,
nemmeno giallo. Sempre e solo rosso. Chissà cosa ci trova in quel colore! Lo guardo
fisso, è un po’ una sfida. Eppure oggi sembra che abbia vinto io, dato che il semaforo
è verde, e che verde! Gli dona molto di più come colore. Sembra quasi che mi dica
“Oggi tutti ti stanno lasciando andare. Prima la polizia e ora anch’io. Ti sto dando
il permesso di poter attraversare la strada”. Arrivati nel piazzale di via Sette colli,
Alessandro parcheggia e scende per andare al bar. Resto in macchina, il caffè è
l’ultimo dei miei pensieri.
Capitolo secondo
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Attendere Alessandro mi infastidisce. Accendo la radio per tenermi compagnia, c’è
sempre la stessa canzone. Sarà la decima volta in tre giorni che la ascolto. Si dice
che il mondo è bello perché è vario, sinceramente se riproducono sempre la stessa
musica, di vario nel mondo c’è ben poco. Cambio stazione radiofonica. Nell’attesa
inizio a pensare a quella donna, Juliet. Ed è proprio in quel momento che abbasso
lo sguardo e intravedo qualcosa sotto i pedali. È un biglietto, tutto stropicciato,
chissà da quanto tempo sta lì. Lo apro e un brivido mi percorre tutto il corpo. Sette
nomi: John, Juliet, Jessica, Jason, Jackeline, Jacob, Juan. C’è il mio nome lì. I primi due
nomi sono sbarrati, il terzo è cerchiato con un evidenziatore. Chiudo gli occhi per
un attimo. Lancio rapide occhiate fuori dal finestrino, devo fare in fretta. Alessandro
potrebbe tornare da un momento all’altro. Subito prendo il mio telefono e digito le
lettere. In pochi secondi quei sette nomi sono in mio possesso. In quel momento decido di non pormi nessuna domanda, tanto so che gli interrogativi prima o poi arriveranno. Ripongo il foglio dove l’ho trovato, non vorrei che Alessandro sospettasse
qualcosa. Lo scorgo da lontano, è mogio. Con le mani fruga nelle tasche della giaccia come se avesse perso qualcosa. Lo fa cautamente, non vuole dare nell’occhio.
Ad un tratto apre lo sportello, abbassa lo sguardo proprio dove si era posato anche
il mio e vede il foglio. Sospira. Ripartiamo.
Lo guardo per tutto il viaggio, è un bravo dissimulatore. Ma io il suo viso bianco
cadaverico l’ho visto e non lo dimentico.
«Accosta qui», dico ad Alessandro arrivati sotto casa.
Mi guarda con la coda dell’occhio con un’aria distaccata, accennando un sorriso. Lo saluto, lo ringrazio e scendo. Ci sorridiamo dal finestrino, consapevoli di
non esserci detti fino in fondo tutta la verità. Rombo del motore; Alessandro si allontana. Apro la porta, mi butto sul mio divanetto. Il quadrante dell’orologio sulla
parete di fronte mi sembra gelido. La lancetta dei secondi è più rumorosa del solito. Dopo una doccia rinfrescante, asciugandomi scorgo un uomo nello specchio.
Wow, dimostra quarant’anni ma, secondo me, è solo colpa della sua notte in galera e dell’interrogatorio. Ne ha trenta, in realtà. Mi passo le mani sulla fronte, poi
24
Le verità nascoste
sulle guance, pungono. Dovrei andare a fare un giro dal barbiere. Ho bisogno
di fare due passi. Di fronte a me un’edicola. Una locandina attira la mia attenzione. Un uomo straniero, John, è stato ritrovato morto in mezzo alla strada.
Guardo la sua unica fotografia, un uomo sulla cinquantina, capelli brizzolati e
faccia severa. Sul collo un tatuaggio: la lettera “J” di John. “Pover’uomo”.
«Salve, un quotidiano, grazie».
Sento la voce sensuale di una donna alle mie spalle.
«Buongiorno, Jessica. Ha sentito dell’uomo assassinato qualche giorno fa?»
«Purtroppo sì, qui ormai non ci si sente più sicuri».
Mi volto... Jessica. Un flash, il biglietto. Gioca con un portachiavi, un’altra J. Sono
nervoso, ho bisogno di sigarette. Mi dirigo verso il tabaccaio, nelle vetrine dei
negozi circostanti si riflette un oggetto d’oro. La mia catenina con un ciondolo
a forma di J. Lo fisso. Non riesco a staccargli gli occhi di dosso. È la seconda
volta in ventiquattr’ore che mi trovo in un vicolo cieco. Spalle al muro, risucchiato
da un vortice che non può essere evitato. Mi dico: “Juan, svegliati! Non può essere un caso. John, Juliet, Jessica...” Quel dannato simbolo continua a tormentarmi.
Tutto è iniziato da quella cavigliera… Juliet, se solo potessi aiutarmi! Punto di
partenza? L’ospedale. Arrivo lì con passo incalzante, sono sfinito. Risuona un
rombo familiare, mi sfreccia di fianco un’auto nera. Riconosco la targa, è Alessandro.
“... Perché tutta questa fretta? Come mai è qui?”
Mancano quindici minuti al termine dell’orario di visita, giusto in tempo. Questo
corridoio sembra infinito, l’odore qui dentro è nauseante. Soffoco, mi sento oppresso proprio come in prigione. Più mi avvicino, più la porta della stanza numero
sette si allontana. Quel traguardo sembra irraggiungibile.
Juan poggia la mano sulla maniglia. Esita per qualche secondo prima di bussare.
Si passa la mano tra i capelli cercando di domare la sua capigliatura, ansioso
e inconsapevole che avrebbe trovato solo lenzuola stropicciate.
Capitolo secondo
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CAPITOLO TERZO
Il chiarimento?
Il dottor Braschi, primario di chirurgia d’urgenza, mi viene incontro. È particolarmente stimato in città, la sua famiglia è sempre stata tra quelle più in vista: notai,
giudici, dottori...
Tempo fa fu protagonista di un’iniziativa di alta finanza, una scalata a un gruppo
internazionale dal quale dipendeva la società per cui lavoro. Poi... non se ne
fece più nulla; sui giornali, calò improvvisamente il silenzio.
Io sono lì per la ragazza; è lei che devo, che voglio vedere, con lei voglio parlare. Il Dottore, però, con modi amichevoli, sorprendenti, perchè non ci siamo mai
conosciuti personalmente, mi prende sotto braccio e mi conduce a pochi metri
dalla camera di Juliet. Mi sussurra che, poche ore prima, la donna aveva chiesto
di essere dimessa. A dire il vero era quasi completamente e prodigiosamente
guarita. Se fosse stata in pericolo, mai e poi mai le avrebbe consentito di lasciare
l’ospedale.
Lo sguardo del primario si alza, vaga nel corridoio. Sento un rumore di armadietti,
cassetti che si aprono e frettolosamente si chiudono... La stanza della ragazza...
la porta è aperta. Dov’è Alessandro? Lo vedo uscire, trafelato, ha messo qualcosa nella tasca della giacca, così mi è sembrato. Si ricompone. Spera,forse,che
non mi sia accorto dei suoi movimenti? Cos’è andato a fare nella stanza?
«Juan, anche tu qui? La ragazza non c’è, sparita».
«Dottore, come mai la stanza è vuota?»
La voce di Alessandro, nemmeno tanto meravigliato di trovarmi lì, interrompe la
cascata irrefrenabile dei miei pensieri...
«La ragazza stava bene, ha chiesto di essere dimessa, non c’era nessuna preoccupazione per la sua salute. Le cure sono risultate efficaci ma è vero che raramente mi capita di assistere a guarigioni così rapide».
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Il chiarimento?
Risponde il Dottor Braschi. Alessandro sembra sincero, sorpreso, almeno quanto
me, di questa improvvisa scomparsa. Si affollano dubbi insoluti, angosce impetuose che opprimono ,fino a bruciare, l’anima…
“È scappata? Qualcuno l’ha portata via? Le avranno fatto del male? Perchè,
del resto, non credere al dottore che non avrebbe alcun motivo per mentire?”
Intanto Alessandro tace come me, evidentemente pensa le stesse cose, forse...
Davvero stiamo vivendo ore difficili, come chiusi in un tunnel asfittico dal quale
è difficile scorgere la fine. Rompo il silenzio e decido di proporre al mio amico di
prendere insieme quel caffè che prima ho rifiutato. Troppi dubbi ma ho deciso di
parlare, sperando di non cogliere nei suoi occhi quella luce che non vorrei mai
vedere: il lampo sfuggente di chi, consapevole di essere stato scoperto, rivela
l’abisso nell’anima, farfugliando giustificazioni assurde, masticando inutili parole
che da un amico sincero nessuno desidera ascoltare. Ma non posso tacere...
troppi sono i segni sospetti: i suoi atteggiamenti, i suoi prolungati silenzi, le sue
espressioni inconsuete, gli sguardi che sfuggono inutilmente e... non parliamo poi
del biglietto… già il biglietto! Un brivido violento come una lama di ghiaccio mi
attraversa la schiena, perfora ma, inaspettatamente, alimenta il coraggio che
dentro di me da tempo riposava.
«Alessandro... è ancora valido l’invito per quel caffè?
Non credi che sia il caso di fermarci un po’ a respirare, visto che la vita in questi
ultimi giorni è divenuta, come dire... frenetica?»
Comincio io, non poco ironico...
«Hai proprio ragione!» risponde, quasi meccanicamente.
Al tavolino del bar Tony’s, finalmente, decido di liberarmi di quel peso che mi schiaccia il cuore e, senza girarci intorno, affronto la questione. So che rischio non poco!
Alessandro potrebbe reagire in modo incontrollato tanto più se dovesse capire
che il sottoscritto inizia a mangiare la foglia.
È sempre stato un ragazzo sensibile ma anche notoriamente iroso. Ma ormai, non
si torna indietro, devo parlare, anche facendo violenza a me stesso...
27
Capitolo terzo
Cautamente inizio…
«Alessandro, ascolta, noi siamo sempre stati innanzitutto amici sinceri prima che
colleghi, abbiamo condiviso tutto, anche le frequenti sbronze del sabato sera e
le notti brave. Credevo che tra noi, anche in virtù di un rapporto che ritengo basato sulla reciproca sincerità, i segreti, le parole non dette, i sospetti, non dovessero esistere...».
«Juan, non ti seguo».
Alessandro mi sembra davvero sorpreso:
«Di quali segreti parli?»
«Stai bene?»
«Si, sto bene ma sono preoccupato... del tuo comportamento inconsueto.. dei tuoi
silenzi, del tuo imbarazzo che non sei capace di nascondere... di quel che è accaduto e che potrebbe accadere alla ragazza. Preoccupato di quel biglietto
che ho trovato nella tua auto, quello tutto stropicciato che, evidentemente, tu hai
lasciato inavvertitamente cadere sul tappettino della Mercedes, a proposito, bell’auto, non c’è che dire...! Auguri...! Sai, con la nostra paga..., non è da tutti!»
Il mio collega mi guarda fisso ma poi alza lo sguardo in cielo, vistosamente seccato, sbuffa, ingoia ripetutamente il nodo che tiene prigioniero le sue parole.
«Ok Juan, allora hai scoperto tutto, mi dispiace, avrei preferito dirtele io certe
cose. Non avrei mai pensato di dovere, invece, arrivare a questo punto».
«Certo tra noi c’è sempre stata sincerità, sintonia e vero affetto, hai ragione!»
“Credevo che il mio compito fosse più difficile, aveva deciso di mettere fine ad
una sceneggiata che stava diventando insopportabile. Non l’ho mai considerato
un bravo attore, del resto... avevo immaginato che avesse una parte nella vicenda della ragazza ferita e, forse, aveva capito che farla bere al sottoscritto
non era facile cosa come i consueti drink del fine settimana…”
Ero pronto ad accogliere le sue confessioni, a sforzarmi di comprendere i suoi errori. Quelle parole... quelle parole, però, mai avrei immaginato che Alessandro potesse pronunciarle.
28
Il chiarimento?
«Juan», mi dice con rassegnata mestizia, «avrei voluto parlartene con calma, lo
avrei fatto in queste ore, tu mi hai soltanto preceduto e mi dispiace se, nella
tua mente sicuramente stanca per il comprensibile stress, puoi aver tratto conclusioni sbagliate».
«Sei in pericolo, Juan, parlo sul serio e non sai quanto mi dispiace dirtelo. Quel
foglio stropicciato con quei nomi me lo ha dato la ragazza. Prima di finire in galera con te anch’io sono andato a trovarla in ospedale. Non ho ritenuto importante parlartene, del resto, anche tu hai deciso oggi di vederla senza
avvertirmi».
«Sai, sentivo di dover fare qualcosa per lei, mi ritenevo comunque coinvolto
nella sua vicenda. Quando sui giornali è apparsa la notizia dell’incidente del
semaforo mi sono sentito perseguitato da sensi di colpa che non riuscirei a
spiegarti, credo gli stessi che hai avvertito anche tu».
«Quella donna era con noi quella sera, forse mi ha sorriso, forse abbiamo bevuto insieme,... era come noi... Non poter far nulla e saperla in un letto d’ospedale, lei, così bella ed innocente...».
Mentre ascolto Alessandro entro in un’apnea nervosa di pensieri isterici, sospesi
tra il desiderio di urlare, il bisogno di ascoltare, la necessità di tacere...
«Juan, la ragazza non era in grado di parlare, la mandibola, il volto tumefatto...,
le ferite diffuse ma mi ha fatto capire di aver subito un’aggressione, quel foglio
le è stato infilato in una tasca della borsa dagli aggressori, erano almeno due.
«Quando poi ho collegato il nome John con il delitto di cui tutti i giornali parlano, ho pensato a te.
«Un indizio, un’idea, un segnale a cui appigliarmi, una corsa disperata in ospedale, anche per te Juan, amico mio. Il tuo nome, lo avrai letto bene sul biglietto
no? Ma niente... la ragazza è sparita nel nulla. Sono anche entrato nella sua camera per cercare qualsiasi cosa utile a chiarire i tanti punti oscuri di questa vicenda, approfittando della distrazione del dottore che parlava con te. Strano
ma è guarita..., stava bene, dimessa, così dice il dottore».
29
Capitolo terzo
Non riesco a pronunciare una parola, comincio però ad avere paura, una strana
sensazione che ora si affaccia timidamente nei miei pensieri ma se ne impossessa,
li domina... respiro con affanno, ho il gelo tra le dita.
«Juan, bisogna aspettare», continua Alessandro, «forse sono tutte coincidenze.
Quei nomi magari non hanno niente a che vedere con te... sai quanti Juan ci sono
in giro? Aspettiamo ma con prudenza! Limita i tuoi spostamenti. Evita di uscire da
solo. Teniamoci costantemente in contatto. La città è piena di folli, persone prive
di equilibrio che sfogano le loro frustrazioni nei modi che sfuggono alla ragione
umana».
«Ti seguo fino a casa con la mia auto».
Mi limito a ringraziare. Giunto davanti al portone del mio grigio palazzo mi volto
a salutare Alessandro che mi lascia con l’appuntamento in ufficio per l’indomani.
Le chiavi tremano nella toppa, anche l’uscio produce un sinistro stridio che trafigge i pensieri, come un concerto di aghi impazziti sul marmo freddo.
Ripenso alla mia vita, al mio lavoro, ai miei amori passati e alle fugaci avventure
presenti… “chi può volere la mia fine? Perchè?”
Non riesco a trovare nei miei ricordi una valida ragione, seppure fosse possibile
normalmente trovarne una per spingere qualcuno a desiderare la propria morte.
Il cielo nero partecipa al mio umore, torbido, nell’aria pungente. Beffarde le stelle
in alternanza si illuminano, si accendono, si spengono, come il desiderio di vivere
che viaggia sospeso con la Luna pallida che, intorno, diffonde una luce che mai
avevo visto prima. Vorrei chiedere perdono ma non so a chi.
30
Il chiarimento?
CAPITOLO QUARTO
Il campanello e il ciondolo
“Sono a casa, sono a casa, finalmente!”
Alessandro mi ha da poco accompagnato e io continuo a ripetermi ossessivamente questa frase come un mantra, per calmare l’ossessione dei miei pensieri.
“Sono a casa!”
La stanchezza mi opprime: “perché io?”
Tutto intorno a me sembra essersi addormentato dopo la scomparsa di Juliet: mi
sento bloccato in un incubo labirintico, paralizzante.
“Ma lei, chissà dov’è, cosa sta facendo, come sta, con chi è... troppe ore sono
passate da quando non ho più sue notizie e adesso sono anch’io in pericolo.
È lei la chiave di tutto, lo sento, non può essere altrimenti. E Alessandro?”
Non so, la testa insinua il dubbio ma il cuore lo scagiona. Juliet, Iuliet, il nome
solo mi angoscia.
Basta non devo pensare né a lei né a me: voglio dimenticarmi e dimenticare
tutto, almeno per un momento, ho bisogno di riprendermi; mi preparo meccanicamente qualcosa di caldo, voglio, vorrei dormire; dormire e potermi svegliare
soltanto sapendo che è stato un brutto sogno, come quelli che si fanno da
bambini.
Inutile. Il pensiero corre sempre lì, non posso fermarlo né ingannarlo, mi scandaglia centimetro per centimetro. Allora d’accordo: devo riflettere su me stesso e
su quel fogliettino: come mai tra quei nomi c’è anche il mio?
Chiudo gli occhi, nulla mi distrae, sono totalmente assorto nei miei pensieri ma,
proprio nell’istante in cui dentro di me regna il silenzio più gravido di risposte,
il campanello suona insistentemente, allontanandomi da quel bagliore di verità
di cui ho percepito la vicinanza.
32
Il campanello e il ciondolo
Mi alzo a malincuore; è notte fonda, non me ne ero accorto; mi dirigo verso la
porta, chiedendomi chi potrà mai essere. Solo nel momento in cui giro la chiave
nella toppa e sblocco la serratura, mi rendo conto di agire proprio come Alessandro mi ha suggerito, anzi mi ha supplicato di non fare. Ma è troppo tardi: la
porta si spalanca. Davanti, sulla soglia, c’è soltanto una bambina che avrà all’incirca dieci, undici anni. Ella parla ma io, attonito, non riesco ad ascoltarla, la
mia mente mi trascina in un altro mondo, quegli occhi, quelle labbra, quei capelli,
mi fanno tornare a quando ero bambino.
Trascorrevo interi pomeriggi a giocare con la mia vicina di casa… sono identiche, due gocce d’ acqua!
Mano a mano i ricordi si fanno più nitidi. Era approssimativamente l’estate dopo
la quarta elementare e il momento più bello del giorno era quando, ottenuto il
permesso, potevo scendere in cortile per giocare con la sola bambina del caseggiato; per tutto il giorno non aspettavo altro. A volte ci divertivamo talmente
tanto da non volere più rientrare in casa, allora, dall’alto dei piani, calavano
verso di noi le voci delle mamme che ci riportavano alla realtà: «Juan, Juan...».
Sento la voce calda, a tratti un po’ brusca di mia madre che si mescola e si sovrappone ad un’altra più secca e nervosa, ma non riesco a ricordare il nome
della bimba, eppure lo conosco!
Gli occhi profondi e vivaci di questa fanciulla, per nulla a disagio nonostante
l’ora tarda, mi riportano ai momenti in cui la mia piccola amica, con lo sguardo
pieno di gioia, mi urlava che aveva vinto per l’ennesima volta.
Le piaceva pensare di essere un’indiana perciò portava sempre una cordicina
intrecciata sulla fronte e, spesso, si dipingeva due strisce colorate sulle gote, i
suoi capelli castani (questi hanno invece una sfumatura più dorata, più calda)
erano perennemente legati per il caldo.
È vero, lo ricordo distintamente, il giorno del suo decimo compleanno: per farle
una sorpresa, noi maschi ci eravamo travestiti tutti da indiani e lei ne era rimasta
davvero entusiasta, fino alle lacrime.
Capitolo quarto
33
Il suo nome... il suo nome non lo ricordo, sono trascorsi troppi anni, ma si faceva
chiamare Indi; quello che so per certo è che quella bambina ha qualcosa che
l’accomuna alla mia piccola indiana, compagna di giochi.
Basta, ritorno al presente, alla mia realtà e cerco di mettere a fuoco le parole
della fanciulla.
«Ciao, sono Elisabeth» mi dice.
«Scusa, ci conosciamo? Non credi che sia un po’ tardi per presentarti da sola
alla porta di un perfetto estraneo?» Cerco di chiarirmi le idee ancora frastornato dai ricordi e dare l’idea dell’adulto consapevole.
«Sono alla ricerca di informazioni sulla scomparsa di mia mamma, l’ultima volta
che l’ho vista stava cercando un certo Juan Alvarez, mi sai dire dove posso
trovarlo? Dovrebbe abitare da queste parti».
«Ehm... sono io».
La faccio entrare, ha preso anche troppo freddo, standosene lì, in attesa sulla
soglia.
Incuriosito le chiedo: «Chi è tua madre?»
«Si chiama Juliet Capuleti, non ho più sue notizie da qualche giorno, sono preoccupata! Non mi ha mai lasciata sola per più di due giorni con la nonna.
«So che ti stava cercando per informarti di aver trovato un biglietto con scritto
il tuo nome, ma non so dirti altro».
«Mi aiuteresti a cercarla?»
Non riesco a capire come abbia fatto ad eludere la sorveglianza della nonna.
La mia mente continua a ripetere quel nome all’infinito. C’è confusione nei miei
pensieri: la mia infanzia, Indi, il pub, il semaforo rosso, la donna per terra, Alessandro, l’ospedale, il biglietto... Com’era possibile che avesse lo stesso foglietto?
Come sapeva con certezza che Juan lì riportato fossi proprio io?
Nonostante ciò, faccio mente locale e cerco insieme a lei di fare il punto della
situazione.
34
Il campanello e il ciondolo
Intanto comincia ad albeggiare. Chiamo Alessandro, gli racconto tutto e, dopo
poco, ci raggiunge. Finalmente capisco. Juliet e Indi, sono la stessa persona, solo
ora riesco a capire il motivo per cui il suo volto mi era familiare.
La bambina non sa dell’incidente della madre; con cautela le raccontiamo l’accaduto e cerchiamo di tranquillizzarla dicendole che insieme riusciremo a scoprire
tutto.
La osservo mentre cerca di mettere ordine nei suoi pensieri, celando a stento le
lacrime. Elisabeth ha 12 anni, bella come la madre, spaventata e indifesa. Ha gli
occhi azzurri, capelli biondi e lisci, il suo volto è scavato e pallido. Indossa un
maglione sportivo rosso e dei jeans.
Apro il giornale fresco di stampa che ha portato Alessandro e, in prima pagina,
un’altra volta, un altro nome: Jackeline. “La J, ancora?”
Ho paura e un brivido mi percorre le vene.
Restiamo in silenzio, siamo tutti scossi dai troppi e repentini avvenimenti successi
in così poco tempo.
Decido di dormire sul divano le poche ore che restano fino al suono della sveglia
per lasciare il mio letto ad Elisabeth.
L’ennesimo campanello mi fa sobbalzare e mi riporta alla realtà. Apro la porta, mi
guardo intorno ma non c’è nessuno. Per terra però noto una scatolina.
Mi chino e, incautamente, la prendo.
Entro in casa e, insieme alla bambina, la apro.
Ho timore di ciò che vi troverò dentro, ma cerco di non mostrare la mia ansia.
Incredibile! Il ciondolo? Ora ce l’ho anche io!
Cosa significa? Sarò forse io il prossimo?
Elisabeth mi guarda.
Sono paralizzato!
Dalla mia bocca non esce più neanche una parola...
Capitolo quarto
35
CAPITOLO QUINTO
Notte Insonne
Rimango a fissare Juan non saprei dire per quanto tempo, ma mi sembra che il silenzio duri un’eternità. Domando a Juan cosa fosse indicando il pacchetto che
tanto lo aveva sconvolto. Lui sembra riscuotersi dal suo torpore e mi guarda con
un’espressione vacua e preoccupata allo stesso tempo.
Mi intima di stare tranquilla e mi consiglia di andare a dormire nel letto che mi
aveva preparato. Non so cosa contenesse la scatolina che Juan teneva in mano
tremante ma i brividi che salgono lungo la mia schiena mi lasciano pensare che,
in qualche modo, mia madre sia coinvolta in tutto questo.
Mille interrogativi mi assalgono.
“Dov’è mia madre? Starà bene? Posso fidarmi di Juan, uno sconosciuto?” E soprattutto e questa domanda mi trafigge come una lama:
“Mia madre è viva?”
Cerco di non pensarci, di scacciare tutte queste paure almeno per una nottata
mentre mi avvolgo nelle coperte candide.
Juan mi ha lasciato sul comodino una tazza fumante di cioccolata calda. La
mando giù velocemente e questa è l’unica cosa che mi fa sentire a casa.
Mi manca casa mia.
Mi manca l’abbraccio di mia nonna, il bacio che mia madre mi dava tutte le mattine per svegliarmi, le fusa della mia gattina Susy, il tepore del camino davanti al
quale leggevo “Il Piccolo Principe” insieme a mia madre.
Ho un nodo alla gola, vorrei tanto piangere, ma mi impongo di essere forte, di farlo
per mia madre. Ma io sono ancora una bambina, a quest’ora dovrei stare sotto le
coperte del mio letto con mia madre che mi racconta una favola per la buonanotte.
E invece sono qui, nella casa di un perfetto sconosciuto; per il bene di mia
mamma; ho mentito a mia nonna facendole credere che sarei andata a dormire
36
Notte Insonne
a casa della mia migliore amica e invece mi sono addentrata nella più sconsiderata delle ricerche.
Oh, quanto avrei bisogno di piangere... quanto vorrei tirar fuori da me quest’angoscia che mi assale e che mi tiene sveglia a fissare il soffitto!
Ho paura, ho paura di svegliarmi domani e ritrovarmi ancora in questo posto a
me estraneo: vorrei che fosse tutto un brutto sogno e che, svegliandomi domani,
sentissi il profumo del caffè che mia madre sorseggia in cucina.
Quando ero più piccola avevo paura dei mostri sotto il letto e piangevo finché
mia madre non decideva di mettersi a dormire con me. Stavolta però era diverso,
l’unica persona che poteva consolarmi non era al mio fianco e i mostri non erano
più sotto il letto ma lì fuori.
Ricordo ancora l’ultima volta che ho visto mia madre: era più bella del solito, si
stava preparando per uscire…
Poi qualcuno ha suonato al campanello: era un uomo alto, non sono riuscita a
inquadrare il viso, perché la mia attenzione era stata richiamata da una piccola
voglia rossa, simile alla mia, ma seminascosta da un ingombrante braccialetto
con una J d’oro.
«Ciao Daniel!»
Ha detto mia madre sorridendo.
«Ehi Juliet, pronta per andare?» si era interrotto per un attimo e ho avuto come
l’impressione che mi stesse fissando.
Poi ha ripreso in tono scherzoso, fingendo di non essersi accorto di me:
«Speriamo che qualche paziente non ci rovini la serata come l’ultima volta...».
Mia madre ha sorriso, si sono scambiati qualche altra battuta di poca importanza e, dopo avermi salutata con un bacio sulla fronte, se ne sono andati
chiudendo la porta.
Quello è stato l’ultimo bacio della buonanotte della mia mamma.
Lei è sempre stata una madre diversa da quelle delle mie compagne di classe: la sera
usciva sempre e ogni tanto la sentivo rientrare... spesso ascoltavo anche il suo pianto.
Capitolo quinto
37
Poi, il giorno dopo, tutto ritornava come se non fosse successo niente, lei mi sorrideva e cercava di apparire sempre felice. Solo ora mi rendo conto di quanto
questa felicità fosse una copertura ai suoi pianti notturni che ancora non riesco
a spiegarmi.
Quella sera però è andata diversamente.
Ho sentito il telefono squillare ripetutamente, mia nonna ha risposto solo dopo
svariati squilli e l’ho sentita domandare qualcosa come
«Dove sei? Torna subito a casa!»
Poi di nuovo il silenzio che quella notte non è stato più interrotto da nulla, neanche dal ritorno di mia madre e dai suoi pianti sommessi. Infatti, quando mi
sono svegliata la mattina dopo, il suo letto era vuoto, mia nonna aveva uno
sguardo truce e continuava a ripetere che mia madre sarebbe tornata a breve,
ma sentivo nella sua voce qualcosa che mi diceva che non era così. Mia madre
non sarebbe tornata.
Ho aspettato un giorno, poi sono entrata nella sua camera e ho iniziato a frugare nei suoi cassetti, dove ho trovato un foglietto con il nome di Juan Alvarez
e un indirizzo sotto di esso.
Dopo il suo nome, c’erano tanti altri nomi tutti che cominciavano con la lettera
J, ma molti non erano nient’altro che nomi: non un numero di telefono, un indirizzo, un recapito... E ho deciso di ritrovarla, perché è mia madre, perché la
devo salvare da qualsiasi cosa le sia successa e perché ho bisogno di lei.
Ma ora, nel silenzio della notte, le mie certezze vacillano...
“Mamma, dove sei?”
Apro gli occhi: è buio, sono sdraiata su un pavimento umido.
Mi faccio prendere dal panico: dove sono?
Il mio ultimo ricordo sono i fari abbaglianti di un’auto, la paura e poi il dolore,
la stanza bianca e asettica di un ospedale, un uomo che non riesco a riconoscere.
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Notte Insonne
Provo ad alzarmi ma non ho le forze, cerco di urlare ma la mia voce è debole.
Dei passi. Non riesco a distinguere la figura che si avvicina.
«Tranquilla Juliet, ora sei al sicuro...?»
Cala di nuovo il silenzio.
«Ora, sei lontana da lui?»
Capitolo quinto
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CAPITOLO SESTO
Risvegli
Cerco di capire chi mi stia di fronte, ma sono troppo debole e ricado in un sonno
profondo.
Improvvisamente il rumore di un tuono mi sveglia. Apro a fatica gli occhi ma non
vedo nulla se non la luce fioca della luna che entra dall’unica finestra. Il pavimento
umido è stato sostituito da un letto che, per quanto comodo, non allevia il dolore
delle contusioni. Tento di superare il groviglio di lenzuola morbide con cui qualcuno
mi ha premurosamente coperto e brancolo nel buio finché non trovo una superficie
liscia e fredda che immagino sia un comodino. Dopo svariati tentativi riesco a distinguere un interruttore, lo premo e subito una luce debole rischiara la stanza. Con
fatica mi siedo sul bordo del letto, ogni singolo movimento è un’agonia che mi riporta a quella notte cupa dove tutto è cominciato: il pub, un’auto scura, un uomo.
Le immagini riaffiorano confuse.
«Ed Elizabeth? Dov’è Elizabeth?»
L’avevo lasciata dalla nonna e adesso chissà da quanto tempo sono via. Sarà
certamente preoccupata, non è mai stata senza di me per più di qualche giorno.
Mi starà sicuramente cercando.
“Lei lo aveva capito! Sapeva che non avrei dovuto fidarmi di lui! Daniel!”
Quell’uomo mi aveva sedotto: il sorriso rassicurante, il camice e l’idea di “chirurgo”
mi avevano affascinato… Ero solo una ragazzina sciocca, non potevo capire.
Inaspettatamente, le mie riflessioni sono interrotte da un scricchiolio sommesso. La
porta si apre lentamente e una figura indistinta appare contro la luce del corridoio.
La tentazione è di nascondermi sotto le coperte come quando ero bambina e credevo che solo il piumone potesse proteggermi dai brutti sogni, ma decido di fare
la “grande” almeno per una volta ed affrontare la realtà. Tanto, peggio di così
non può andare.
40
Risvegli
«Non aver paura, non sono qui per farti del male… come va la testa?»
Mi porto la mano alla tempia e sento un forte dolore.
«Ti prego, se ti fa ancora molto male, non esitare a dirmelo».
«Ma…».
«Tu chi sei?»
«Mi chiamo Jacob. Scusami, non mi sono ancora presentato».
«Che cosa faccio qui?»
Rispondo, più confusa e spaventata di prima.
«Vorrei poterti dire qualcosa, ma nemmeno io so molto. Per ora posso solo dirti che
siamo entrambi in pericolo».
«Dov’è Elizabeth?»
«Elizabeth?»
«Mia figlia!»
Riesco a dire, con più convinzione:
«Non la vedo da giorni! Che cosa le hai fatto?»
«Questo sarebbe il ringraziamento per averti salvata? Io non so proprio chi sia Elizabeth, perciò è inutile che mi accusi in questo modo».
Si era alterato, si poteva capire dalla sua voce.
Lo osservo più attentamente. Dall’aspetto, comprendo che una persona del genere
non potrebbe nuocere a nessuno. Alto, carnagione olivastra, occhi verdi e sguardo
innocente. Mi pento subito di averlo aggredito con le mie preoccupazioni.
«Senti.. discutere non risolverà le cose e, di certo, non porterà a una soluzione».
Abbasso lo sguardo, forse ha ragione lui. Dovrei provare a fidarmi, non ho altra
scelta.
«Ti prego, dimmi tutto quello che sai!» Lo imploro.
Lo vedo uscire dalla stanza e sento un’altra porta aprirsi dal corridoio. Quando
rientra, ha qualcosa nella mano. Riesco a distinguere un bracciale e un foglietto
stropicciato.
«Ecco, guarda…».
41
Capitolo sesto
Prendo in mano il foglio. Alla prima occhiata sembrano solo scarabocchi e numeri
di telefono ma, quando capisco che anche il mio nome è tra quelli, mi sento svenire!
«Dove l’hai preso?»
«Lavoro al pronto soccorso. Una notte, mentre tentavo di rianimare inutilmente un
giovane di nome John, mi accorsi che indossava un braccialetto con un pendente
a forma di J, ma in quel momento non ci feci caso. Più tardi, tra i suoi effetti personali,
scorsi quel foglietto».
«Ho l’impressione di averlo già visto…»
«Ricordi dove?»
Nego scuotendo il capo. Istintivamente lascio cadere lo sguardo sulla cavigliera
che indosso: è uguale al ciondolo di Jacob. Un altro tassello si aggiunge al puzzle
confuso che pian piano prende forma nella mia testa.
«Ho bisogno di rivedere mia figlia. Portami da lei, ti prego».
«No, è troppo pericoloso. Perlomeno, non oggi».
Lo ignoro, mi alzo barcollante, prendo il cappotto appeso nell’attaccapanni dietro
la porta ed esco dalla stanza. Jacob con un veloce movimento del braccio mi afferra il polso, ripetendo quanto sia pericolosa la mia decisione impulsiva.
«Lasciami!»
Sussurro a denti stretti, pugni serrati e muscoli tesi.
«Devo sapere come sta».
Jacob molla la presa guardandomi intenerito e rassegnato. La partita l’ho vinta io.
Ci avviamo insieme verso l’ingresso, usciamo e dei brividi mi percorrono la schiena,
non so se per la paura o per il freddo. Durante il tragitto in macchina regna il silenzio, spezzato solo dal suono della radio.
«Sempre dritto e poi a sinistra».
Imbocchiamo la stradina che conduce alla casa di mia madre e già si vedono le
prime luci dell’alba. Suono il campanello e ad aprirmi c’è mio padre visibilmente
agitato.
42
Risvegli
«Julie ! Dove sei stata? Stai bene?»
Lo abbraccio forte.
«Sono stata meglio».
Rispondo:
«Dov’è Elizabeth?»
Non arriva alcuna risposta se non i singhiozzi di mia madre che ci ha appena raggiunti.
La paura aumenta, corro da Jacob che mi fissa dubbioso dall’interno della macchina.
«Portami all’indirizzo del foglietto, adesso».
Mi alzo dal letto. Per fortuna la nottata è ormai conclusa.
Mi affaccio alla finestra: un anziano passeggia con il cane, un giovane si concede
una corsa mattutina, una donna esce frettolosamente da casa, un uomo mette in
moto la macchina… Mi è sempre piaciuto osservare la città svegliarsi con le prime
luci dell’alba.
Improvvisamente mi ricordo di Elizabeth: vado in camera sua e vedo che dorme
beatamente… spero sia riuscita a fare bei sogni, povera bimba!
Mi dirigo verso la cucina, un caffè è proprio quello di cui ho bisogno in questo momento, ma, mentre preparo la moka e prendo la tazza, qualcuno suona alla porta.
Il terrore mi pervade. Non ho idea di chi possa cercarmi a quest’ora.
Sento Elizabeth alzarsi dal letto e correre verso l’ingresso.
«È la mamma! È la mamma! È venuta a prendermi! Lo sapevo!»
Con il coraggio che io non ebbi, apre la porta.
Dall’espressione delusa di Elizabeth capisco che non si tratta di Juliet.
La bambina indietreggia.
Un uomo con un’espressione scura in volto e una mano dietro la schiena aspetta
di essere ricevuto…
43
Capitolo sesto
CAPITOLO SETTIMO
Riflessioni e Incontri
Fissò la bambina così delusa, così piccola, troppo piccola perché conosca una
verità così grande… cosa sto facendo? Non ci credo, potevo procurarmi quei
soldi in tanti altri modi e, invece, ora sono qui a compiere un gesto orrendo che
nessuno, neppure il peggior uomo sulla terra, può fare a un amico. Sono un mostro,
devo andarmene, sparire e per sempre! Corro giù per le scale e sento Juan che
mi chiama, non posso, ormai non posso più... è troppo tardi... Salgo in macchina
e ripenso a me, al mio passato, a Juan, alle nostre serate, soprattutto alla nostra
amicizia che io ho volutamente tradito.
Arrivo sotto casa, entro e mi sdraio sul letto. Penso ancora una volta alle vicende
degli ultimi giorni. Come ho potuto farmi convincere così facilmente? Come ho
potuto preferire il denaro al posto della vita? La loro vita!
Ormai è già successo tre volte e stavo per ripetere lo stesso errore.
Adesso basta! Devo mettere fine a questa tragedia!
Come posso rimediare? Ormai è troppo tardi… c’è solo una cosa da fare.
Così prendo una decisione, unico rimedio a quel dolore così grande di cui io
stesso sono l’artefice.
Chiudo la porta e mi dirigo verso Elisabeth. Intanto penso all’insolito atteggiamento di Alessandro: cosa gli sarà successo? Perché si è comportato così? Perché è fuggito via come un criminale?
Cerco il cellulare per chiamarlo; devo assolutamente avere delle risposte… ma
dove l’avrò messo?
Sono ancora completamente assorto nei miei pensieri quando suona il campanello: chi è?
Elisabeth apre la porta e inizia subito ad urlare:
«Mamma! Mamma!»
44
Riflessioni e Incontri
Corro verso la porta e vedo Elisabetta teneramente abbracciata a Juliet. Meno
male è sana e salva!
Insieme a Juliet c’è un uomo, alto e dall’aspetto sicuro e affidabile.
Li faccio entrare.
Li accompagno in salotto e ci presentiamo.
Scopro che quell’uomo è Jacob. Anche il suo nome è uno di quelli scritti sul foglietto.
Lui, al contrario di me, ha fatto molto per Juliet: l’ha soccorsa, l’ha consolata e l’ha
riportata dalla figlia, la cosa che desiderava di più.
Mentre raccontano il loro incontro mi sento sempre più in colpa; ma perché quella
sera non mi sono fermato? Perché il timore ti assale proprio nei momenti in cui devi
essere il più coraggioso?... Perché? Perché?
Dopo un momento di silenzio che sembra durare un’eternità, decidiamo di parlare
della situazione in cui ci troviamo.
Accendo la televisione e metto un cartone per Elisabeth.
Ci spostiamo in un’altra stanza, così la piccola non ci può sentire e non la facciamo preoccupare di nuovo.
Prendo da bere, ma non riesco a concentrarmi su quello che faccio.
Molti dubbi mi assalgono, sono nuovamente assorto nei miei pensieri.
Glielo dico o no a Juliet cos’è successo quella sera, la sera quando è iniziato
tutto? Però, se glielo dico, cosa penserà di me? Come potrò giustificarmi?
«Avete guardato il giornale questa mattina?».
Chiede Jacob
Questa frase mi fa ritornare alla realtà.
«C’è stato un nuovo morto?» chiedo ansiosamente.
«Sì, si chiamava Jessica».
Prendo il giornale in mano e osservo la foto…
“Io l’ho già vista questa donna!”
Ho un flash: mi rivedo in un’edicola e una signora che si allontana in fretta... mi sembra si chiamasse proprio così...
45
Capitolo settimo
«Secondo il foglietto rimaniamo in pochi cosa facciamo?»
«Non so, possiamo iniziare a cercare gli ultimi rimasti», propone Jacob
«Ma quanti siamo? Quattro, forse?»
«Si, noi tre e Jason».
«Perché proprio noi? È l’iniziale del nostro nome che ci accomuna e ci rende vittime, o c’è qualcos’altro?»
A queste domande non sappiamo dare una risposta.
All’improvviso sentiamo Elisabeth che chiama.
Ci precipitiamo da lei. Che cosa sarà successo?
«Mamma, guarda la televisione!»
Alla televisione c’è la pubblicità della giornata della donazione del sangue.
«Perché non vai anche tu a donare il sangue? Dicono che farlo aiuta gli altri!»
«Hai proprio ragione, amore mio, ma io sono già andata due settimane fa. Sai è
Daniel il responsabile di tutto».
«Adesso che ci penso anche io ho donato il sangue circa due settimane fa».
Interrompo bruscamente Juliet.
È bello donare il sangue, ti fa sentire utile e importante per gli altri.
E poi io ho una fortuna enorme: possiedo un gruppo sanguigno molto raro, lo 0
Rh negativo. Sono un donatore universale. Donando il mio sangue posso aiutare
tutte le persone di qualunque gruppo sanguigno.
Sono interrotto, come al solito durante le mie riflessioni, da Jacob, che aggiunge:
«Anch’io ho donato il sangue poco tempo fa ma, quando mi sono presentato in
ospedale, mi hanno detto che c’era un problema informatico e non avrebbero
potuto registrarmi».
«La stessa cosa che hanno detto a me».
«E anche a me!» confermiamo io e Juliet.
«Certo è strano che in tutta la settimana non abbiano risolto il problema che
aveva il computer, ma non hanno sospeso la donazione di noi volontari».
46
Riflessioni e Incontri
«Vero! Daniel, il dottore che si occupa dell’iniziativa, mi aveva assicurato che
avrebbe risolto personalmente il problema della registrazione».
Tutto sta diventando sempre più complicato… la nostra donazione può essere
collegata con gli omicidi?
Che collegamento può avere? È un particolare importante per la risoluzione del
caso o è solo una semplice coincidenza?
«Avete chiamato la polizia?» domanda improvvisamente Jacob.
La polizia... magari proprio quelli che mi hanno arrestato pochi giorni fa.
E cosa gli racconto se mi collegano subito all‘incidente? Dovrei dare delle spiegazioni a tutti? E quindi confessare il mio atto di egoismo… come fare?
«No, la polizia non l’ho ancora chiamata».
rispondo immediatamente.
«E allora cosa aspettiamo? Chiamiamola!»
«Ma può essere pericoloso. E se gli assassini ci raggiungono prima che la polizia
ci assicuri una qualche protezione... sempre che ce la diano!»
Ecco sta succedendo di nuovo: sto pensando solo a me, alla mia reputazione
trascurando il pericolo che incombe su tutti noi.
«Cosa facciamo?»
«Intanto possiamo iniziare cercando Jason…».
Decidiamo di andare a cercarlo.
Prima però devo passare a casa di Alessandro, non so ancora cosa gli è successo.
Mentre ci prepariamo a uscire suona nuovamente il campanello.
Apro la porta…
« Salve, sono l’agente Jason. Posso parlare urgentemente con Juan Alvarez?»
47
Capitolo settimo
CAPITOLO OTTAVO
Nessuna verità
Sono preoccupato: mi domando cosa voglia da me questo poliziotto, perché sia
piombato in casa mia, sarà lo stesso Jason della lista, la prossima vittima designata? O è forse venuto qua per arrestarmi? Hanno scoperto la mia colpa? Sono
venuti a prendermi? E se non fosse davvero un poliziotto? È in borghese. Se invece fosse qui per uccidermi?
Mi assalgono troppi dubbi.
«Potrebbe mostrarmi il suo distintivo?», riesco a dire. «Ecco a lei» risponde tranquillo, «sono venuto solo per parlare».
Esamino il distintivo, lo guardo in ogni sua parte, alla fine lo lascio entrare, lo
faccio accomodare sul divano, sono esausto, il sospetto mi avvilisce. In questi
giorni ho dubitato di tutti e di tutto.
«Questa è Juliet e questo è Jacob» dico indicandoglieli «Di cosa mi deve parlare?», domando poi con voce decisa. Nel frattempo istintivamente ci sediamo
tutti, sul divano e nelle poltrone. Come se sapessimo di avere qualcosa in comune. Qualcosa di oscuro da condividere.
«Mi ha molto interessato il caso degli omicidi di persone che hanno in comune la
stessa iniziale del nome, ovvero la J…».
Spiega il poliziotto, con un tono strano.
“Si è accorto che parla con individui il cui nome inizia con J, sa che potremmo essere tutte vittime, compreso lui?” Interrompe i miei pensieri Juliet, che gli domanda
subito, senza indecisione:
«Perché è venuto qui? Sapete qualcosa?»
Jason risponde con tono tranquillo, spiega che le indagini della polizia non sono
ancora arrivate ad una soluzione, brancolano nel buio e poi aggiunge:
«Sono venuto per saperne di più… vedendo le immagini riprese dalle videoca-
48
Nessuna verità
mere vicino al luogo del primo incidente» e osserva Juliet come se la conoscesse
«siamo riusciti a distinguere la targa della sua auto».
È me che guarda adesso.
«Juan, la polizia continua ad indagare su di lei, l’hanno rilasciata perché le prove
non erano sufficienti ma la tengono d’occhio. Io però ho fatto ulteriori ricerche,
penso che lei non sia colpevole e potrebbe essere, addirittura, un’altra vittima...».
Sono preoccupato, capisco che è arrivato il momento di confessare, di liberarmi
da questo peso che, come un macigno, mi tiene piegato, mi angoscia ogni
giorno. In lacrime racconto tutto, fidandomi di lui, rischiando che mi arresti per
omissione di soccorso. Soprattutto temo Juliet. Il suo giudizio. L’ho lasciata lì, sull’asfalto. Inerme. Cerco di giustificarmi, spiego che ero ubriaco, che avevo paura.
Chiedo scusa a Juliet. La guardo cercando di capire cosa pensa di me. Lei rimane
zitta poi, finalmente, emerge dai suoi pensieri come se avesse passato al setaccio
tutto il bene e il male e, alla fine, mi parla dicendo:
«…ti perdono, ti sei occupato di Elisabeth…».
Abbraccio Juliet come non ho mai abbracciato nessuno. I sensi di colpa svaniscono, come se mi fosse stato tolto un macigno dalla schiena. Ora sono leggero
e felice come lo ero da bambino al suono della campanella di scuola quando,
finite le lezioni, potevo tornare a casa a giocare, proprio con lei, con Juliet. Jason
ci interrompe, è risoluto, vuole trovare il bandolo di questa complicata matassa.
Propone di indagare insieme, di mettere ciascuno un tassello in questo puzzle, ricostruire quello che sappiamo. Gli raccontiamo tutto: dei ciondoli, della lista e
del tatuaggio. Jason, preoccupato, racconta di avere ricevuto anche lui un pacchetto, qualche giorno prima. Sappiamo che la prossima vittima potrebbe essere
proprio Jason. Decidiamo di controllare ogni suo movimento, di seguirlo per proteggerlo. Di restare uniti. Intanto pero decidiamo di andare a letto, sfiniti dagli
eventi e per la tarda ora. Il tempo è volato! Elisabeth dopo giorni finalmente può
dormire con la mamma, l’ha aspettata sveglia, forse per la paura di non rivederla
più. Ci sistemiamo nel modo migliore: io sul divano, cedo il letto matrimoniale a Ju-
49
Capitolo ottavo
liet e alla sua bimba, Jacob decide di dormire con loro, non le lascia un attimo,
si accomoda in una poltrona in camera mia, Jason sembra non porsi il problema,
mi fa cenno di non preoccuparmi, una poltrona, una sedia, andrà bene tutto.
Non è il sonno che lo preoccupa. La mattina mi sveglio per il sole in faccia, per il
caldo; in cucina sono già tutti in piedi, odore di caffè e tv accesa. Solo Elisabeth,
serena, dorme ancora. Capisco dagli occhi cerchiati che Jason non ha dormito per
nulla. Forse non ha fiducia in noi, o forse, da bravo poliziotto, ha voluto tenere
sotto controllo la situazione. Juliet mi trascina davanti al televisore, al telegiornale
stanno comunicando la notizia di un altro omicidio, la vittima si chiama Jimmy, un’altra J. Vado subito a cercare il foglietto con la lista dei nomi, non c’è nessun Jimmy
ma mi accorgo solo adesso che il foglio è strappato. A quale punto della lista
siamo arrivati, allora? Il tempo stringe. Ci sediamo intorno al tavolo e discutiamo
sul da farsi. Intanto, mentre analizziamo gli indizi che ciascuno di noi ha raccolto,
in televisione continuano a parlare dell’omicidio. Le telecamere riprendono il quartiere della vittima, indugiano sul citofono, intervistano i vicini, dopo qualche minuto
riprendono delle immagini che mi tornano familiari: riconosco l’auto di Alessandro,
la targa è sua. Mi pongo mille domande: perché si trova lì?
È una coincidenza oppure c’è un legame tra lui e gli omicidi? Juliet, intanto, mentre
cammina pensierosa nel soggiorno, posa il suo sguardo su una foto e all’improvviso sembra riconoscere qualcuno. Nell’immagine che sta guardando ci siamo
Alessandro ed io che festeggiamo la prima fase della causa Bianchi, sullo sfondo
ci dovrebbe essere anche lui, il dottor Bianchi. Juliet fissa la foto perplessa e, indicando il dottor Bianchi nell’immagine, mi chiede:
«Juan spiegami cosa ci fa il dottor Daniel Braschi in questa foto…».
«Di chi parli? Lui? Questo è il dottor Bianchi! Alessandro ed io stiamo curando una
causa importante per lui… la stessa sulla quale stavi facendo delle ricerche
anche tu, ricordi?», le spiego.
«Dottor Bianchi? Che dici!»
Esclama stupita Juliet.
50
Nessuna verità
« Questo è il dottor Braschi!»
Guardo bene la foto, mi rendo conto solo in questo momento di avere incontrato
di persona il dottor Bianchi solo una volta, osservo meglio l’immagine sfuocata
sullo sfondo, perplesso. Rifletto e dico:
«Ma il dottor Bianchi e il dottor Braschi potrebbero essere la stessa persona?»
Tiro fuori la foto dalla cornice di legno colorato, regalo di Alessandro, la rigiro
tra le mani per vedere meglio e scorgo sul retro un segno: è una J. Decido che
l’unica persona in grado di spiegarci cosa stia accadendo è Alessandro. Tutto
riporta a lui. Stabilisco di andare a parlargli, subito. Jason si offre di accompagnarmi, mentre Jacob resterà con Juliet e la piccola Elisabeth che ancora dorme.
Io e il poliziotto saliamo in auto e ci dirigiamo verso casa di Alessandro. Sono io
a guidare. Mi accorgo solo adesso che Jason è armato, mi rendo conto di non
sapere nulla sul suo conto. Ormai convivo col dubbio ed il sospetto. Mi logorano
ogni attimo. Io che sto andando a casa del mio migliore amico, io che sospetto
perfino di lui. Svolto a destra, guido con decisione, è ancora presto, intorno alcuni passeggiano con il cane, altri stanno facendo jogging, non c’è ancora traffico. Arriviamo velocemente sotto casa di Alessandro. Parcheggio l’auto. Osservo
Jason, aspetto che faccia lui la prima mossa. Sono indeciso, non mi sono mai trovato in una situazione del genere. Alla fine citofoniamo, Alessandro risponde
dopo alcuni minuti. “Sembrava dormisse”.
Mi dice di salire, come avrebbe fatto in qualsiasi altra occasione. Non sembra stupito dell’orario, siamo amici. Salgo le scale, Jason è dietro di me. Alessandro apre
la porta con naturalezza, Jason rimane un passo indietro. Alessandro m’invita amichevolmente ad entrare, una volta sulla porta vede anche Jason, glielo presento,
mi accorgo che appena pronuncio quel nome Alessandro cambia radicalmente
espressione, sembra turbato. Finge. È bravo, penso! Ci fa comunque entrare ed
accomodare nel salotto, il camino è acceso. Strano, penso subito stia bruciando
qualcosa, e neppure so perché l’ho pensato. C’è un gran caldo. Alessandro domanda il perché di questa visita. Invento una bugia e gli racconto che Jason sta
51
Capitolo ottavo
collaborando alla soluzione dell’indagine sull’incidente di Juliet. Alessandro ci
ascolta e finge indifferenza, all’improvviso però guarda l’orologio e, come se
fosse tardi, impaziente ci interrompe dicendo di avere un impegno per cui deve
scappare. Jason ed io non sappiamo cosa fare, ci guardiamo, non abbiamo
prove per trattenerlo, abbiamo solo dubbi e non vogliamo che lui s’insospettisca.
«Ci vediamo allora più tardi, al nostro pub. Ok?», propongo, dissimulando i miei
allarmi. Usciamo tutti e tre insieme, Jason ed io saliamo sulla mia auto e guardiamo
Alessandro sfrecciare via.
52
Nessuna verità
CAPITOLO NONO
E quindi uscimmo a riveder le stelle!
Dove potrà mai andare di primo mattino? Continuo a chiedermi in che modo e
perché il mio migliore amico sia potuto rimanere coinvolto in una vicenda tanto
drammatica quanto incredibile. Decidiamo di seguirlo!
Alessandro, intanto, continua a correre disperatamente verso una meta che non
conosciamo e guida ignorando ogni regola: semafori, strisce pedonali, incroci
per lui non esistono e per noi è difficilissimo non perderlo di vista nel traffico cittadino che sta diventando sempre più intenso. Fortunatamente un passaggio a
livello ci offre il tempo di raggiungerlo. Dopo alcuni minuti imbocca una strada privata senza uscita. Jason, da esperto poliziotto, consiglia di lasciare l’auto e di
continuare a piedi. Scorgiamo Alessandro che si lascia cadere su una poltrona
sdrucita all’interno di un casolare abbandonato; continua ad agitarsi e a dimenarsi, controllando l’orologio di continuo, evidentemente aspetta l’arrivo di qualcuno. Jason mi chiede:
«Ma il tuo amico si droga?»
«Ma cosa dici? Certo che no!»
Urlo contro Jason con la rabbia di chi capisce che sta per scoprire una verità intuita, sospettata ma mai ammessa.
«Eppure è così, Juan».
Mi dice con calma.
«Il tuo amico è in preda ad un’evidente crisi di astinenza da stupefacenti!»
Mentre mi chiedo angosciato il perché, improvvisamente il rombo di un motore mi
risveglia dai miei addolorati pensieri ed intravedo un’auto. Scende una giovane
ed avvenente donna che si dirige direttamente in casa, con l’aria di chi quel
posto lo conosce bene ed è sicura di cosa fare. Alessandro le getta le braccia
al collo e cerca di trattenerla a sé ma lei lo allontana bruscamente. Poche le
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E quindi uscimmo a riveder le stelle!
parole che scambia col mio amico a cui consegna, fugacemente, un pacco prima
di andar via con la stessa sicura indifferenza con cui è arrivata.
Mai avevo visto quella donna e mai ne avevo sentito parlare. Jason ha una giusta
intuizione:
«Quella donna ,di sicuro, ha rifornito Alessandro di droga».
«Presto, Juan!»
Dice Jason,
«Raggiungiamo la macchina e inseguiamo quella donna prima che ci sfugga. Ho
la sensazione che stiamo per scoprire qualcosa di grosso!»
Ci spostiamo in un parco cittadino e la osserviamo seduta al tavolino di un bar,
mentre sorseggia un drink. Qui viene raggiunta da un uomo che mi sembra di conoscere... è il dottor Bianchi-Braschi! Jason rimane sorpreso almeno quanto me e
mi conferma che quell’uomo non si chiama Bianchi, ma Roberto Braschi ed è il
primario del reparto di chirurga d’urgenza nell’ospedale cittadino. I due sembrano
affiatati e tra loro c’è intimità, si abbracciano e si baciano con passione più
volte. Non riusciamo a sentire ciò che si dicono ma siamo abbastanza vicini da
riuscire a leggere il nome di Alessandro sulle labbra beffarde di quella strega e
per scorgere al suo collo un ciondolo a forma di J. Ancora quel ciondolo… ancora quella lettera… una vera maledizione, ormai!
Ed è proprio quel ciondolo maledetto che dissipa tutti i nostri dubbi che ci mostra
la strada della verità. Ormai è chiaro che Braschi, Alessandro e quella donna
sono gli “assassini delle J” come li hanno definiti i giornali e, solo Alessandro,
potrà svelarcelo.
Jason ed io decidiamo, quindi, di tornare alla villetta per poterlo interrogare. Durante il tragitto non ci scambiamo alcuna parola; i rumori dei miei pensieri sembrano quasi scontrarsi coi suoi, perché carichi di tensioni ed aspettative.
All’arrivo, Alessandro è ancora lì sulla poltrona dove l’avevamo lasciato ma ora
dorme serenamente. Aspettiamo che si svegli e, nel frattempo, Jason perquisisce
sommariamente la casa alla ricerca di qualche prova per le nostre ipotesi. È il cel-
Capitolo nono
55
lulare di Alessandro che ci offre, inaspettatamente, la soluzione alle nostre mille
domande. Tanti i messaggi tra lui e un tale memorizzato col nome di “dottor Jekyll”,
nei quali si leggono ordini in codice: estirpare le erbacce, sopprimere il cane, abbattere l’ostacolo. Non c’è più dubbio, non posso crederci, ma è lui, Alessandro,
il killer “delle J”; è lui, il mio migliore amico, l’uomo che avrebbe dovuto uccidermi.
Jason a questo punto prende il telefono di Alessandro e compone il numero del
dottor Jekyll. Due squilli e una voce minacciosa risponde con arroganza... il dottor
Jekyll è Braschi!
Bisogna arrestare lui ma anche Alessandro.
Sono ormai trascorsi due anni dall’arresto di Alessandro e la tempesta che aveva
sconvolto le nostre vite è solo un doloroso ricordo. Il mio caro amico, grazie alla
clemenza dei giudici, sta scontando la sua lunga pena in una comunità per il recupero dalle tossicodipendenze. L’ho perdonato fin da subito, non l’ho abbandonato un attimo nei mesi del processo e gli faccio visita ogni volta me ne viene data
la possibilità. Abbiamo parlato a lungo della sua discesa agli inferi, come lui definisce la sua tragica vicenda ma parliamo anche della sua risalita verso le stelle. Ma
qual era il filo che legava Alessandro a Braschi e agli “assassini delle J”?
Anni fa Braschi era stato responsabile di un progetto di ricerca sulla psiche
umana, denominato “progetto J ”, dal nome del dottor Jekyll, il noto personaggio
nato dalla penna di Robert Louis Stevenson. Il nome era stato scelto perché Braschi, come il personaggio stevensoniano, era convinto che, sia sul piano scientifico che su quello morale, l’uomo non fosse “uno” ma “due” persone.
Jekyll-Braschi, mescolando varie sostanze, aveva ottenuto una droga dagli effetti
straordinari, capace di destrutturare l’unità dell’essere umano, conferendo esistenza propria e distinta alle diverse nature nascoste nell’animo di ciascuno di
noi. A quel punto, bisognava trovare il mister Hyde sul quale testarla per verificarne l’effettiva efficacia. L’incontro avvenne casualmente durante il processo
nel quale Alessandro si trovò a difendere Braschi, imputato per una spericolata
operazione finanziaria malriuscita. Alessandro era apparso, agli occhi del dot-
56
E quindi uscimmo a riveder le stelle!
tore, la cavia ideale per i suoi esperimenti e, in quella folle avventura pseudoscientifica, entrò in gioco Samantha, l’amante di Braschi e la sua più stretta collaboratrice.Toccò a lei sedurlo, raggirarlo con la menzogna della ragazza
indifesa, vittima di un destino infelice e bisognosa d’amore, davanti alla quale
nessun uomo, e, ancor meno un uomo come Alessandro, sarebbe rimasto indifferente. Sempre Samantha, in uno dei rave party di cui era assidua frequentatrice,
aveva fatto assumere ad Alessandro dapprima la droga di Braschi e, in seguito,
la cocaina di cui era diventato dipendente; fu così che l’avvocato De Paoli si
era trasformato in un vero “mister Hyde”.
Prendendo quella sostanza, Alessandro subiva una trasformazione tale da far
emergere la sua seconda natura, quella attratta dal male e, quindi, la sua vera
identità risultava completamente modificata. Il vero mostro, però, era Braschi,
che, preso dal suo delirio di onnipotenza, si era spinto oltre ogni limite etico ed
umano e aveva trasformato se stesso ed Alessandro in assassini e questo per il
desiderio di provare che, ognuno di noi, anche l’uomo in apparenza più puro, nasconde dentro di sé un mostro, una bestia selvaggia che aspetta solo di venir
fuori, capace anche di uccidere il suo miglior amico pur di dare libero sfogo a
tutta la sua sadica violenza. Tutto questo rafforzato dal dramma di cui Alessandro
era stato protagonista da bambino cioè l’uccisione di suo padre ad opera di un
rapinatore, noto col nome di Jack lo squartatore di cui tutti in città avevano
buona memoria. Così una lista di persone il cui nome iniziava con la J era stata
scelta casualmente dall’elenco telefonico e, tra i vari nomi, ironia della sorte, figurava anche il mio: quello del il suo migliore amico.
Con il pretesto di un’iniziativa pubblicitaria, ciascuno di noi aveva ricevuto un
ciondolo con la J, proprio come quello che Alessandro ricordava al polso dell’uomo che aveva ammazzato suo padre ed era davanti a quel simbolo che Alessandro, stravolto dalla droga, si trasformava in un killer spietato. Il piano di
Braschi, però, non aveva tenuto conto di una cosa importante: Alessandro aveva
una debole memoria di ciò che compiva sotto l’effetto degli stupefacenti e, quei
Capitolo nono
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barlumi di lucidità che erano diventati sempre più vasti, gli illuminarono così tanto
la coscienza che gli impedirono, prima, di uccidere Elizabeth, a cui aveva inviato, per metterla in guardia, una copia” della lista nera” e, poi, anche me.
La nostra amicizia,dunque, era stata più forte di quella maledetta droga ed era
stata la mia e la sua salvezza. Braschi e la sua complice sono stati condannati
severamente e ora possono solo giocare al “piccolo chimico” dietro le sbarre.
Da tanto dolore, infine, è nato un grande amore tra me e la bellissima Juliet.
Dal giorno in cui è venuta a casa mia per riprendersi Elizabeth siamo inseparabili
e, ormai da qualche mese, è nato anche il nostro primo bambino. Il suo nome non
inizia per J, ...no, si chiama Alessandro come il mio inseparabile amico!
58
E quindi uscimmo a riveder le stelle!
APPENDICE
1. Era una notte
Liceo Classico “Carlo Botta” di Ivrea (TO) – II beta/II delta
Dirigente Scolastico
Lucia Mongiano
Docente referente della Staffetta
Teresa Skurzak
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Teresa Skurzak
Classi che hanno composto il capitolo: II beta/II delta
APPENDICE
2. Le verità nascoste
Liceo Scientifico Statale “Alfonso Gatto” di Agropoli (SA) – classe V ginn. sez. C
Dirigente Scolastico
Pasquale Monaco
Docente referente della Staffetta
Angelo Mantione
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Gabriella Masulli
Gli studenti/scrittori della classe V ginnasiale sez. C
Alessandro Abbruzzese, Lisa Barone, Andrea Campanile, Filomena Caruccio,
Giusy Cerino, Sara Cirillo, Chiara Di Luccio, Maria Pia Garofalo, Paola Giordano,
Mariachiara Guarino, Gerardo Lembo, Arianna Mazza, Matteo Mitrano, Angela
Noce, Maddalena Paparello, Alessandro Pecoraro, Adriana Pepe, Filomena Rispoli, Anna Virginia Russo, Francesca Sarnicola, Simone Strianese, Alex Sventola,
Serena Vitolo
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Bisogna far tesoro di ogni esperienza. Tutti tendono spesso a far prevalere la
propria opinione su quella degli altri, invece grazie al progetto ‘Staffetta di scrittura creativa’ abbiamo imparato a rispettarci. È stato bello stare insieme, molto
stimolante confrontarci non solo all’interno del nostro gruppo classe, ma anche
con coetanei alunni di altre scuole. La stesura del capitolo ci ha consentito di
unire l’utile al dilettevole. Grazie per la possibilità che ci è stata offerta”.
APPENDICE
3. Il chiarimento?
IIS “G. Filangieri” di Cava dei Tirreni (SA) – classe IIA
Dirigente Scolastico
Italo Cernera
Docente referente della Staffetta
Anna Sergio
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Pietro Mandia
Gli studenti/scrittori della classe IIA
Mario Barba, Giandomenico Di Filippo, Norma Di Domenico, Simona Manzo, Monica Nenna, Annaurora Punzi, Fabio Pallino, Lucia Savarese
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Quando il nostro istituto è stato chiamato, nel rispetto dell’ordine previsto, a
compilare il capitolo (terzo) si sono verificate, purtroppo, agitazioni studentesche, con occupazione della sede centrale e autogestione che hanno difatti
compromesso lo svolgimento di un lavoro sereno e pienamente collaborativo. In
ogni caso si segnala la partecipazione, nei giorni in cui è stato possibile operare,
di un gruppo ristretto di ragazzi, maggiormente dotati di capacità creativa e di
facoltà argomentative. Alcuni hanno espresso rammarico perché avrebbero preferito contribuire attivamente alla conclusione della storia, mentre, invece, si sono
ritrovati a doverne elaborare gli spunti iniziali, altri, immedesimandosi immediatamente nei protagonisti hanno ipotizzato soluzioni, prospettato coinvolgimenti, immaginato complicità, animando il dibattito e fattivamente contribuendo alla
realizzazione di un testo che, rispetto al capitolo precedente ha inserito ulteriori
elementi tesi, si spera a vivacizzare, la trama”.
APPENDICE
4. Il campanello e il ciondolo
Istituto Superiore Liceale “Matilde di Canossa” di Reggio Emilia – classe IIL
Dirigente Scolastico
Lorella Bonicelli
Docente referente della Staffetta
Maria Rita Schiatti
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Elena Minelli
Gli studenti/scrittori della classe IIL
Priscilla Adu, Elisa Attolini, Wendy Baah ,Laura Baratti, Nicole Berni, Chiara Bonezzi, Federica Caffarri, Rita Campani, Vera Canepa, Chiara Catellani, Sara
Cavalli, Iman Essadiki, Valentina Ferri, Sara Fioresi, Lucia Garlassi, Teresa Grisi,
Anastasiya Kryvchenko, Elena Leoni, Letizia M Nironi, Francesca Palmiero,
Chiara Pani
Hanno scritto dell’esperienza:
“…La partecipazione alla Staffetta Creativa ci ha dato la possibilità di liberare e mettere alla prova la nostra fantasia e immaginazione, ragionando insieme sul tema della consapevolezza. È stato molto bello mettere in scena i
personaggi e farli vivere in situazioni e luoghi che si sono fatti, man mano, reali.
Inoltre è stata l’occasione per confrontarci con i compagni e far nascere
un’esperienza comune, valorizzando al meglio i vincoli di composizione che ci
erano stati consegnati. La Staffetta Creativa ha davvero dilatato le pareti
della nostra aula, facendoci sentire vicine a tanti nostri coetanei, con cui abbiamo condiviso la passione per la scrittura, l’attesa per le consegne e la curiosità per gli sviluppi del nostro lavoro. Sarà di grande soddisfazione poter
leggere tutto il libro”.
APPENDICE
5. Notte insonne
Liceo “Chris Cappell College” di Anzio (RM) – classe IIA
Dirigente Scolastico
Perla Fignon
Docente referente della Staffetta
Francesca Tornator
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Maria De Francesco
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Gli alunni hanno accettato con entusiasmo il progetto di Staffetta creativa e
hanno lavorato insieme, prima leggendo con attenzione in classe i capitoli precedenti, poi discutendo su quali potevano essere gli sviluppi successivi, stando
attenti a non creare discordanze con quanto scritto prima, ma nello stesso tempo
cercando un po’ di riaprire la storia a possibili mutamenti positivi. Nelle loro discussioni è emerso il problema di creare delle situazioni credibili e non assurde,
dato lo sviluppo della storia fino al punto in cui è toccato a loro proseguire. Il
lavoro di scrittura è stato svolto poi a casa per gruppi su una linea da seguire.
Infine in classe gli alunni hanno operato alla stesura definitiva, non senza ripensamenti e discussioni”.
APPENDICE
6. Risvegli
I.I.S. “G. B. Ferrari” di Este (PD) – classe IIA
Dirigente Scolastico
Barbara Frizzi
Docente referente della Staffetta
Nicola Ruzzenenti
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Nicola Ruzzenenti
Gli studenti/scrittori della classe IIA
Noemi Bagno, Beatrice Baldin, Francesca Bertomoro, Annalaura Bizzaro, Elisa
Ferraretto, Anna Beatrice Fiocco, Chiara Fogo, Martina Gallana, Laura Gallo,
Bianca Garbin, Melissa Garbin, Laura Lisato, Elena Mandoliti, Marialidia Montin,
Angela Permunian, Erica Rocca, Hanane Safouane, Tesfaye Salarin, Elisa Salvan,
Claudia Temporin, Arianna Verlich, Benedetta Zanetti, Carola Zoboli
Hanno scritto dell’esperienza:
“…L’esperienza della scrittura creativa è stata piacevole per la classe.
Nonostante le difficoltà incontrate nel seguire le indicazioni dei capitoli precedenti e rielaborare le diverse opinioni, ha coinvolto l’intero gruppo, soddisfacendone i vari componenti. Questo progetto ha favorito lo scambio di idee e
pareri diversi, e ha permesso l’accettazione di critiche e consigli, anche se questi
non rispecchiavano i pensieri dei singoli”.
APPENDICE
7. Riflessioni e incontri
I.I.S. “E. Majorana” sezione liceale di Moncalieri (TO) – classi IH/VE/VC
Dirigente Scolastico
Sergio Michelangelo Blazina
Docente referente della Staffetta
Maria Cristina Chicco
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Maria Cristina Chicco
Gli studenti/scrittori delle classi
IH - Maria Cristina Candellero, Domenico Panetta, Agnese Livoti, Melissa Tomanin,
Elena Versino, Andrea Ghiberti, Emanuele Givone Toro, Marco Bechis, Gabriele
Chiappa, Edoardo Pagliuzzi, Gaia Carazzato, Erika Ienco, Mattia Isola, Lorenzo
Elia, Irene Mantino,I acopo Tassone, Pietro Santoro, Luca Vaudano, Sopheak Cherubin, Daniele Erta,Edoardo Cagliero, Alessandro Vaniglia, Dario Antolini, Davide
Bosio, Aurora Casagrande
VE - Beatrice Mormone, Eleonora Quatrale, Martina Sini
VC - Egle Rosso
Hanno scritto dell’esperienza:
“…L’esperienza relativa alla staffetta letteraria è stata molto costruttiva nei suoi lati
positivi e negativi. È stato decisamente utile ed educativa perché abbiamo imparato
ad analizzare un testo scritto “a più mani” con modalità di scrittura differenti, riuscendo a concludere un capitolo senza creare troppe sovrapposizioni e contraddizioni con la sezione precedente. Molti di noi sono riusciti a convogliare entusiasmo
e creatività in un percorso che, a dispetto delle perplessità iniziali, ci ha offerto l’opportunità di lavorare insieme ad un progetto comune e originale”.
APPENDICE
8. Nessuna verità
Liceo Scientifico “Campus Don Bosco” di Tremestieri Etneo (CT) – classe IA
Dirigente Scolastico
Agata Di Luca
Docente referente della Staffetta
Giovanna Russo
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Giovanna Russo
Gli studenti/scrittori della classe I A
Alessio Branciforte, Micheal De Marco, Marian Leotta, Simone Pellegrino, Francesco Spina, Concetto Torrisi, Francesco Veroux, Leonardo Verzi, Alessandro Vinci
Hanno scritto dell’esperienza:
“…I ragazzi hanno vissuto con grande interesse la stesura del libro. Attenti dal
primo capitolo, aspettavano con ansia di leggere quelli successivi e le indicazioni, svolgendo letture sempre attente e critiche. La stesura dell’VIII capitolo è
stata un’esperienza divertente ed educativa. Ognuno ha di volta in volta proposto il proprio intervento e lo abbiamo discusso, approvato e poi messo per
iscritto. Solo dopo abbiamo revisionato e limato il capitolo. Adesso attendono
il capitolo successivo, ciò dimostra l’entusiasmo con cui hanno svolto il lavoro che
per loro non è fine a se stesso ma deve contemplare il completamento dell’intero
libro. Tramite un lavoro di induzione–deduzione, abbiamo applicato le regole
per poi studiarle e viceversa. Così l’acquisizione di alcune regole riguardo la
scrittura e comprensione di un testo, nonché lo studio di figure retoriche e forme
compositive, è avvenuta in modo semplice e naturale”.
APPENDICE
9. E quindi uscimmo a riveder le stelle!
Liceo “A. Galizia “ di Nocera Inferiore (SA) – classe IF
Dirigente Scolastico
Maria Giuseppa Vigorito
Docenti referenti della Staffetta
Alessandro Califano, Anna Garofalo
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Vincenza Della Rocca
Classe che ha composto il capitolo: IF
INDICE
Incipit di GIANCARLO CAVALLO ..................................................................pag
14
Cap. 1 Era una notte ..............................................................................................»
16
Cap. 2 Le verità nascoste ....................................................................................»
22
Cap. 3 Il chiarimento? ............................................................................................»
26
Cap. 4 Il campanello e il ciondolo ..................................................................»
32
Cap. 5 Notte Insonne ..............................................................................................»
36
Cap. 6 Risvegli ........................................................................................................»
40
Cap. 7 Riflessioni e Incontri ................................................................................»
44
Cap. 8 Nessuna verità ............................................................................................»
48
Cap. 9 E quindi uscimmo a riveder le stelle! ..................................................»
54
Appendici ..................................................................................................................»
60
Finito di stampare nel mese di aprile 2013
dalla Tipografia Gutenberg Srl – Fisciano (SA)
ISBN 978-8897890-73-7