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Commento di mercato
4 febbraio 2014
Spagna e Turchia: due paesi, due direzioni
Christophe Bernard, Chief Strategist di Vontobel
Una volta persa la fiducia degli investitori, è difficile riconquistarla. La Spagna, però, ci è
riuscita. Il paese ha compiuto enormi progressi nell’affrontare i suoi problemi strutturali ed è
tornata ad attirare capitale estero dopo una “quarantena” durata cinque anni. Sul lato opposto
dello spettro – e per coincidenza anche sulla sponda opposta del Mare Nostrum – la Turchia sta
perdendo la sua attrattiva faticosamente guadagnata tra gli investitori.
Dopo anni di dolorosi adeguamenti e di profonda recessione, la Spagna sta entrando in una fase
di ripresa. Ne sono una prova la modesta espansione del prodotto interno lordo (PIL) nel terzo
trimestre dell’anno scorso e la lieve contrazione del (pur sempre elevato) tasso di disoccupazione.
Il dato più sorprendente è che il deficit delle partite correnti, che nel 2008 aveva raggiunto il 12
percento del PIL, si è trasformato nel 2013 in un avanzo. Questo miglioramento è dovuto a un
calo delle importazioni sulla scia delle draconiche misure di austerità e, fattore ancora più
importante, a un aumento delle esportazioni. Le riforme del mercato del lavoro e il taglio dei
salari reali hanno stimolato la competitività del paese, soprattutto nei confronti della Francia e
dell’Italia, dove il costo del lavoro continua a salire. I progressi compiuti dalla Spagna in questo
campo sono degni di rilievo anche nel paragone con le misure adottate dai principali partner
commerciali dal 2010 a oggi (vedi grafico 1).
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Grafico 1: la flessione del costo unitario del lavoro favorisce la competitività della Spagna
Fonte: Datastream, Vontobel Asset Management
La trasformazione della Spagna dà i suoi frutti
In Spagna, un operaio edile costa la metà che in Francia. Non sorprende quindi che le imprese
edili spagnole stiano vincendo sempre più gare di appalto per opere pubbliche sull’altro versante
dei Pirenei. Dopo diversi anni di massicce correzioni, i prezzi degli immobili residenziali stanno
raggiungendo un equilibrio di lungo periodo, le vendite al dettaglio e gli acquisti di automobili
stanno risalendo la china e le banche spagnole sono diventate meno dipendenti dai programmi di
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liquidità della Banca centrale europea. Gli investitori obbligazionari hanno premiato questi
progressi con un ribasso del rendimento dei titoli di Stato decennali spagnoli al 3,70 percento,
abbassando lo spread rispetto ai Bund decennali tedeschi a 200 punti base (bp) rispetto al picco
di 600 bp del giugno 2012. Dopo aver risolto il problema delle partite correnti, il paese deve ora
intervenire sulle finanze pubbliche: il deficit di bilancio rimane ostinatamente elevato a meno 6,5
percento del PIL per il 2013, mentre il target per il 2014 è meno 5,8 percento. Di conseguenza, il
rapporto debito/PIL continua a salire. Per arrestare questa tendenza, occorrerebbe una
combinazione di maggiore crescita nominale e sostanziale surplus del bilancio primario – una
situazione che potrà difficilmente verificarsi nel prossimo futuro. Nel complesso, la Spagna è
riuscita a riconquistare la fiducia degli investitori. Questa grossa conquista contribuisce alla
stabilità della zona euro e, a nostro avviso, aiuterà gli asset spagnoli a proseguire il loro
movimento rialzista.
Turchia: il bambino prediletto diventa problematico
Sull’altro lato del Mediterraneo, la Turchia si vede confrontata a prospettive sempre più cupe. Le
lotte intestine tra i vari rami del governo, i frenetici sforzi per soffocare i disordini sociali e gli
sviluppi economici avversi stanno erodendo la fiducia degli investitori e dei cittadini. Per coprire il
vasto deficit delle partite correnti, la Turchia si finanzia sia con investimenti diretti esteri a lungo
termine sia con flussi di capitale a breve termine. Tuttavia, gli investimenti diretti esteri sono
fortemente in calo e la popolazione scambia la lira turca con valute più sicure.
Grafico 2: la Turchia non ha avuto altra scelta che alzare i tassi di interesse per frenare l’esodo di
capitali
30
25
20
15
Result of the emergency meeting of the Turkish central bank
10
5
0
-5
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
Turkish Real Policy Rate
Fonte: Datastream, Vontobel Asset Management
2011
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La situazione viene aggravata da una banca centrale che fino a pochi giorni fa si è mostrata
riluttante ad alzare i tassi di interesse, un prerequisito per attirare gli investitori alla ricerca di un
rendimento reale interessante per il loro capitale (vedi grafico 2). La spirale ribassista della lira
turca è stata frenata in extremis dalla decisione della banca centrale del 28 gennaio scorso di
alzare notevolmente i tassi di interesse, dando un completo giro di boa alla sua precedente
politica. Questa manovra, seppure necessaria, getta un’ombra sulla politica della banca centrale e
genera considerevoli incertezze per l’economia. Le ripetute invettive lanciate dal primo ministro
Recep Tayyip Erdogan contro un’immaginaria “lobby dei tassi” non hanno certo favorito – per
dirla in termini blandi – il processo decisionale della banca centrale. Tutto sommato, la Turchia
sta perdendo la sua credibilità così faticosamente guadagnata negli anni scorsi.
Ciò ci porta alle tre situazioni che avevamo illustrato nel commento di mercato del mese scorso
(edizione di gennaio dell’Investors’ Outlook: “Prospettive rosee per i mercati azionari: cosa
potrebbe andare storto?”) e che potrebbero soffocare l’euforia degli investitori, cioè:
1. una possibile impennata dei rendimenti dei titoli di Stato,
2. un’opera incompiuta nella zona euro e
3. il rischio di una sconfitta dei mercati emergenti.
A che punto siamo riguardo a questi tre punti? Innanzitutto, il crollo dei prezzi dei titoli di Stato
rimane una possibilità remota: l’inflazione è sotto controllo, i tassi di interesse restano ancorati
allo zero e il rendimento dei titoli di Stato decennali americani si mantengono entro un trading
range tra il 2,5 e il 3,0 percento. In secondo luogo, i progressi osservati nei cosiddetti paesi
periferici dell’Europa e gli indicatori della zona euro del gennaio 2014 (indici “flash” degli addetti
agli acquisti, PMI) stanno andando nella direzione giusta. Quanto al terzo punto, i mercati
emergenti hanno effettivamente innescato la retromarcia. Gli investitori esprimono il loro
scontento abbandonando le valute degli emittenti che non sono disposti ad adottare riforme
strutturali e lottare contro un’inflazione endemica. Ad eccezione di Cina e Messico, manca la
volontà politica di risolvere i problemi con soluzioni durature.
Individuare le opportunità offerte dalla debolezza dei mercati azionari
Nei mercati emergenti non escludiamo nuove revisioni al ribasso delle previsioni di crescita
economica. Ciò nonostante manteniamo il nostro scenario principale di una ripresa globale su
ampia scala, sostenuta dalla forte congiuntura degli USA e del Regno Unito e dagli incoraggianti
segnali provenienti dalla zona euro. Quando gli investitori avranno abbandonato il loro esagerato
ottimismo, le politiche monetarie accomodanti, il basso tasso di inflazione, la ripresa economica e
la robusta redditività delle imprese apriranno prospettive positive per i mercati azionari sviluppati.
Sfrutteremo le debolezze del mercato per aumentare in modo selettivo la nostra esposizione nei
mercati azionari.
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