infortuni professionali in Sanità

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infortuni professionali in Sanità
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2, 15-423
http://gimle.fsm.it
© PI-ME, Pavia 2010
73° Congresso Nazionale SIMLII
Società Italiana di Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale
La Medicina del Lavoro quale elemento migliorativo
per la tutela e sicurezza del Lavoratore
e delle attività dell’Impresa
Roma, 1-4 dicembre 2010
Editors:
F. Tomei, M.V. Rosati, T. Caciari, E. Tomao, S. De Sio,
R. Giubilati, B. Pimpinella, A. Sancini
Comunicazioni & Poster
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2, 17-252
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COMUNICAZIONI
18
INFORTUNI
01
LA PREVENZIONE INFORTUNI NEL SETTORE DELLA RACCOLTA
DEI RIFIUTI URBANI - IL RUOLO DEL MEDICO DEL LAVORO
M.I. D’Orso1, P. Fabretto2, R. Assini2, M. Molinari3, G. Cesana1
1 Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione - Università di
Milano Bicocca - Via Cadore 48 - 20052 Monza (MB)
2 Consorzio per lo Sviluppo della Medicina Occupazionale ed
Ambientale - Monza - Viale Brianza 21 - 20052 Monza (MB)
3 CAM - Centro Analisi Monza - Via Missori 9 - 20052 Monza (MB)
Corrispondenza: Dott.ssa Patrizia Fabretto, Viale Brianza 21 - 20052
Monza (Mi), Tel 039-2397449, Fax 039-2397421, [email protected]
Parole chiave: infortunio sul lavoro, prevenzione infortuni, rifiuti
urbani.
WORK ACCIDENT PREVENTION IN URBAN WASTE COLLECTION
- OCCUPATIONAL DOCTOR’S ROLE
ABSTRACT. Urban waste collection is an activity characterized by
a relevant number of work accidents.
This fact is only partially justified by the high risk work tasks carried
out by workers.
To verify the effectiveness of occupational services activities we
evaluated 21 firms in which 1754 workers were engaged. 83,4% of them
were active in operative work tasks.
Most operative workers (67,1%) were engaged in urban solid waste
collection.
In every firm we evaluated work tasks, vehicles utilized, personal
protective devices assigned to workers and the structure of programs of
medical surveillance.
We evaluated presence of training courses eventually activated and
the number of work accidents and their typology in last three years.
We evaluated 923 work accidents
In firms evaluated we found very different situations.
Personal protective devices were non adequate for 64,0% of
workers.
In firms 112 different kinds of vehicles were utilized, frequently not
having ergonomic characteristics.
Many workers have shown no regular antibody protection against
tetanic infection.
In three years evaluated work accidents rates decreased,
especially in firms where personal protective devices have been
improved according to Occupational Doctors suggestions, and where
urinary drug screenings have been activated as new specific national
law imposes.
Key words: work accident, accident prevention, urban waste
INTRODUZIONE
Il settore della raccolta dei rifiuti urbani è caratterizzato tradizionalmente secondo i dati forniti dall’INAIL da elevati indici infortunistici. Tale situazione trova la sua motivazione nelle attività svolte dai
lavoratori del comparto che sono intrinsecamente ad elevato rischio
infortunistico. Citiamo per esempio le fasi di lavoro effettuate su
strada, la necessità di guida di veicoli anche richiedenti patenti di
guida superiore, gli orari di servizio disagevoli, usualmente notturni
o collocati nel primo mattino. Incidono sui livelli infortunistici del
settore anche alcune caratteristiche dei lavoratori del comparto,
usualmente aventi contenuto livello di conoscenze tecniche e spesso
bassa anzianità di settore, sia le strutture delle imprese spesso non dotate di congrui mezzi stradali, idonei DPI e dimensioni organizzative
sufficienti.
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MATERIALI E METODI
In considerazione delle caratteristiche organizzative delle imprese del
comparto, il ruolo del Medico del Lavoro in tali aziende è stato spesso difficile sia per quanto riguarda la realizzazione pratica delle attività di sorveglianza sanitaria, sia per quanto concerne la promozione della salute e
della sicurezza aziendale intese nel loro significato più ampio.
Per valutare le effettive ricadute delle attività del Medico del Lavoro
nelle imprese del comparto nel triennio 2007-2009, si sono valutate 21
aziende di varie dimensioni, tutte operanti prevalentemente nel nord
Italia. Presso tali imprese risultavano occupati 1754 lavoratori. L’83,4%
di tali lavoratori erano impegnati in compiti operativi.
Per ciascuna impresa si sono valutate le organizzazioni del lavoro
con particolare riguardo alla tipologia di attività svolte (raccolta rifiuti
solidi, rifiuti ingombranti, raccolta acque nere, raccolta della frazione
umida, etc.) ed ai diversi tipi di veicoli in esercizio.
Per quanto concerne i lavoratori essi sono stati suddivisi in base all’età, al sesso, ed alla anzianità lavorativa di comparto. Si sono valutati
inoltre i dispositivi di protezione individuale in dotazione, l’articolazione
degli orari di servizio, l’entità del ricambio del personale, gli indici di
malattia e di infortunio delle singole imprese riferiti all’ultimo triennio.
Per ciascuno degli infortuni professionali accaduti nel triennio si sono
analizzate le modalità di accadimento dell’evento e la eventuale presenza
di testimoni attestanti la dinamica del fatto. Per valutare la operatività dei
servizi di Medicina del Lavoro aziendali si sono analizzate la tipologia e
la durata delle eventuali attività di formazione erogate ai lavoratori. Si
sono poi verificati i singoli protocolli di sorveglianza sanitaria, ponendo
particolare attenzione sulla gestione degli aspetti connessi alla prevenzione del rischio biologico. Tra questi in primo luogo sono stati considerati i sistemi di gestione della profilassi vaccinale antitetanica e, ove prevista, antiepatite B.
Si sono registrati infine i giudizi di non idoneità o di idoneità limitata eventualmente espressi dai Medici Competenti aziendali nell’ultimo
triennio di attività dei servizi sanitari aziendali.
RISULTATI
La situazione verificata nelle diverse imprese si è dimostrata molto
disomogenea praticamente per tutti i parametri valutati. Le attività operative svolte dal personale nel 67,1% dei casi erano configurabili come
raccolta di rifiuti solidi urbani. Solo una quota parte minoritaria dei lavoratori era impegnata negli altri compiti che prevalentemente erano lo
spazzamento strade e la raccolta della frazione umida. I veicoli in esercizio nelle imprese sono risultati essere di 112 tipi diversi. Tale eterogeneità è solo in parte da ascrivere alla diversa tipologia di servizio effettuata. A fronte di mansioni similari si sono infatti contati sino ad 11 diversi tipi di mezzi, alcuni sicuramente validi sotto il profilo ergonomico,
altri sicuramente molto meno. I lavoratori impegnati nei compiti operativi sono risultati essere maschi nell’87% dei casi; le classi anagrafiche
più rappresentate nel campione sono risultate essere quella tra i 25/34
anni (43,1%) e quella tra i 45/55 anni (38,5%).
L’anzianità media nel comparto dei lavoratori è risultata di 11 anni, con
notevole eterogeneità nelle diverse imprese. Si sono valutati i 923 infortuni
di varia gravità accaduti nel triennio nelle imprese oggetto dello studio. Di
questi infortuni il 31,2% era da ascrivere ad incidenti correlati al lavoro in
esterno (incidenti stradali, scivolamenti), il 44,8% era imputabile a movimentazione manuale di gravi, il 21,9% era dovuto ad infortuni comportante
potenziale rischio biologico, 2,1% erano stati causati da altre cause.
Il 32,8% degli infortuni sono occorsi ai lavoratori in assenza di testimoni.
La dotazione di DPI è risultata inadeguata nel 64,0% dei lavoratori.
In particolar modo, mentre è risultata quasi sempre consona la dotazione
di scarpe antinfortunistiche (90,8% dei casi), sono risultati spesso non
idonei i capi di abbigliamento indossati nel servizio (34,7% dei lavoratori) e soprattutto i guanti di protezione (55,1% dei casi) per quanto concerne in particolar modo il rischio taglio/puntura. Il 77,8% del personale
ha presentato una valida copertura vaccinale antitetanica. Il 40,8% dei lavoratori ha presentato una copertura vaccinale antiepatite B. 87 lavoratori sono stati trovati positivi ai controlli sugli stupefacenti introdotti recentemente nella sorveglianza sanitaria per gli addetti ad alcune mansioni a rischio. Solo in 13 aziende tali controlli sono stati ad oggi attivati.
Le attività di formazione dei lavoratori ai rischi specifici sono risultate essere state completamente effettuate ed aggiornate a tutto l’organico
solo in 3 imprese su 21.
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In 15 imprese tali attività erano state completate correttamente in
passato ma non erano state ripetute ai nuovi assunti nel corso degli ultimi
anni. In 3 imprese la formazione dei lavoratori era stata effettuata solo in
passato e peraltro in maniera anche parziale.
Gli indici infortunistici di gravità e frequenza nel complesso del
campione si sono ridotti nel triennio considerato rispettivamente del
13,1% e del 23,9% in modo eterogeneo tra le imprese considerate. La riduzione degli infortuni è stata maggiore nelle imprese che nel periodo
considerato hanno migliorato le dotazioni di DPI, hanno effettuato formazione specifica sul rischio biologico e su quelli da movimentazione
manuale di carichi ed hanno effettuato i test antidroga ove previsti.
DISCUSSIONE
La situazione infortunistica delle imprese del settore considerato pur
essendo migliorata nel tempo è sicuramente ancora ben lungi da essere ottimale. Gli interventi di promozione della salute attuati dai servizi prevenzionistici e dai medici del lavoro in particolare hanno portato comunque
già ad una consistente riduzione nel breve arco di tempo considerato dei
dati infortunistici nel loro complesso. I settori in cui maggiormente efficace sembra essere stata la attività di prevenzione infortuni attuata dai Medici del Lavoro sono: la rivalutazione della congruità dei dispositivi di protezione individuale e la realizzazione degli screening urinari degli stupefacenti sui lavoratori esposti a rischio di infortunio anche per terzi.
Al contrario non sembra essere stato sufficiente lo sforzo per fornire,
a tutti i lavoratori esposti a rischio, una idonea protezione anticorpale antitetanica ed antiepatite B ove quest’ultima si è rivelata essere necessaria.
Anche le attività di formazione ai rischi specifici sono state completate
solo in una minoranza delle imprese e, purtroppo, talvolta anche senza la
partecipazione diretta dei Medici del Lavoro. Ciò rende sicuramente auspicabile una maggior attenzione su questo argomento da parte di tutti i
colleghi operanti nel comparto.
La ricerca evidenzia come positivi possano essere i risultati della attività dei Medici del Lavoro sulla effettiva riduzione degli infortuni professionali nel comparto. Tali risultati però oggi sembrano essere stati
conseguiti solo in una parte delle imprese del settore.
Ciò induce ad ipotizzare che ulteriori miglioramenti potrebbero essere acquisiti ove l’impegno intrapreso continuasse e soprattutto ove più
omogenea nelle diverse imprese diventasse l’attenzione alla promozione
della salute.
02
PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI DEI LAVORATORI
DEL COMPARTO SANITÀ ASUR MARCHE Z.T. N. 6 STUDIO DELL’INCIDENZA E COMUNICAZIONE DEL RISCHIO
A. Maria Colao, F. Melacotte, G. Cenci
Asur Marche - Dipartimento di Prevenzione - Servizio Prevenzione e
Sicurezza negli Ambienti di Lavoro Zona Territoriale - n. 6 via Brodolini
n. 109/a 60044 Fabriano (AN)
Corrispondenza: Dr.ssa Anna Maria Colao, Via Brodolini n. 109/a 60044 Fabriano (AN), Tel. 0732/707732-721 telefax 0732/707721, Mail:
[email protected]
Parole chiave: infortuni, lavoro, sanità.
PREVENTION OF THE WORKER’S ACCIDENTS IN THE
MEDICAL SECTOR ASUR MARCHE Z.T. N. 6 FABRIANO. STUDY
OF THE INCIDENCE AND RISK’S COMMUNICATION
ABSTRACT. The service S.P.S.A.L. ASUR Marche Zona Territoriale
n. 6 Fabriano, held in 2009 a study on injuries in a sample of 841
employees, 248 males and 593 females, of which 151 with fixed-term
contract,62 events were reported 26 accidents and 36 “precautionary”,
19 occurred in hospitals, 7 in itinere The highest injury’s index happened
at the kitchen’s hospital, to cut and burn, while the maintenance
department recorded accidents with prognosis of 173 days for falls.
Nurses have been 12 injuries, the wound cut is the most common
type of injury, the age of the group most affected is 50/59 years. The
19
incidence of “precautionary” is equal to 4%, hurt by the tip is the most
frequent lesion: 22 had a type of contract indeterminate and 14
determinate, most at risk were the females nurses and OSS.
Following the event “needle stick” applies a procedure called “PPE
post-exposure prophylaxis,” which costs an estimated equivalent to
802.50 euros, amount multiplied by the potential injuries and potential
carriers of infection. The SPSAL through the risk communication,
realizing and with a policy of prevention, contributing to the reduction of
events.
Key words: accidents, work, health
INTRODUZIONE
Il rilevante problema degli infortuni in ambito sanitario e il relativo
costo sociale ed economico, in termini di salute e perdita di giornate lavorative ha stimolato il Servizio PSAL ad effettuare uno studio sugli
eventi infortunistici occorsi nell’anno 2009 ai lavoratori del settore Sanità dell’ASUR Marche Zona Territoriale n. 6 Fabriano, onde avviare un
programma di prevenzione.
MATERIALI E METODI
Lo SPSAL ha svolto l’indagine tramite l’analisi degli infortuni occorsi nel 2009 al personale sanitario e amministrativo, considerando le
variabili infortunato, sesso, tipo di contratto, classi di età, classe di anzianità, qualifica, area e luogo di lavoro, tipo di lesione-trauma, modalità
di accadimento, agente materiale, durata della prognosi.
RISULTATI
L’indagine si è svolta su 841 dipendenti,690 assunti a tempo indeterminato e 151 determinato, di cui 248 maschi e 593 femmine, che svolgevano la propria attività presso un ospedale di rete, un RSA, 4 distretti
e 4 residenze protette. Le aree di lavoro maggiormente rappresentative risultavano: l’area medica con 178 operatori, l’emergenza con 152, i servizi amministrativi con 141 e i servizi territoriali con 129. Sono stati denunciati 62 eventi suddivisi in 26 infortuni e 36 infortuni cosiddetti “cautelativi”. Gli infortuni, 19 sono occorsi in ospedale, 7 in itinere, 24 a lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato e 2 a tempo determinato, con un’incidenza pari al 3% sulla popolazione totale. Il luogo
di lavoro a più alto indice infortunistico risultava la cucina ospedaliera,
per il verificarsi di n. 4 ferite da taglio e n. 1 ustione da sostanze caustiche, mentre il reparto manutenzione registrava infortuni con prognosi
fino a 173 giorni per “urto contro”; 679 sono stati il totale dei giorni di
assenza. Gli infermieri, in prevalenza donne, hanno subito infortuni: 2 ferite da taglio con vetro di flebo e 13 cadute, 4 in piano e 9 da dislivelli,
le classi di età più colpite sono quelle tra i 30/39 anni e tra 50/59 anni.
L’incidenza dei “cautelativi” è pari al 4%, la ferita da punta è la lesione
più frequente: 4 si sono verificate in residenze protette, 3 in chirurgia e
pronto soccorso; nel 54% la mano sinistra risulta maggiormente interessata per mancato rispetto di procedure di sicurezza, 22 lavoratori avevano un tipologia contrattuale a tempo indeterminato e 14 determinato,
le categorie più a rischio risultavano le infermiere professionali e le
O.S.S., la classe di età più colpita è 40/49 anni, 4 infortuni cautelativi
sono occorsi a Dirigenti Medici nel corso di attività di sala operatoria e
appartenenti alle classi di anzianità più alte (50/60 anni).
DISCUSSIONE
In considerazione di quanto rilevato oltre l’obbligo di tutela dei propri
dipendenti la Zona Territoriale 6 deve affrontare un’importante dispendio
economico. Per il contenimento del rischio biologico si prevede l’applicazione della procedura standard denominata” P.P.E. Profilassi Post Esposizione” contenuta nella “Procedura Aziendale A.S.U.R. Z.T. 6 di gestione n.
12 - 4a revisione - Infortuni Cautelativi del personale per esposizione a
fluidi biologici. Il verificarsi di un evento a rischio genera ai fini prevenzionistici una serie di costi gestionali dovuti ai seguenti fattori: determinazione dello stato sierologico del paziente fonte, non sempre conosciuto o
comunque non determinato; determinazione dello stato sierologico dell’operatore esposto; profilassi post-esposizione per sorgente positiva ad HCV
e HbsAg; profilassi post-esposizione per sorgente positiva ad HIV; monitoraggio terapeutico per lo svolgimento delle profilassi; monitoraggio dello
stato sierologico post-esposizione dell’operatore per 12 mesi. Lo studio in
atto, ha dimostrato che il costo economico derivato da ogni infortunio cautelativo è pari a euro 802,50, cifra da moltiplicare per i potenziali infortunati e per i potenziali portatori di infezione. L’attività di prevenzione che
20
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garantisce maggiore efficacia in termini di incidenza infortunistica e abbattimento dei costi, è il controllo delle manovre a rischio di trasmissione.
Ogni struttura sanitaria deve stabilire politiche e procedure correlate per ridurre l’incidenza e la gravità dei rischi. La formazione del personale deve
essere sostenuta da politiche e procedure lavorative radicate e applicate
nella routine quotidiana. Le politiche lavorative minime per la riduzione
dei rischi e dei costi prevedono: vaccinazione del personale, e verifica dell’immunizzazione; rispetto di norme igieniche; uso corretto dei D.P.I.; applicazione di corrette procedure; immediato smaltimento dei dispositivi taglienti in appositi contenitori. La formazione del personale sanitario e l’applicazione di procedure standardizzate sono gli strumenti efficaci per la
prevenzione degli infortuni da aghi o altri dispositivi taglienti. Secondo la
letteratura il personale sanitario di recente assunzione risulta tra i soggetti
più a rischio, di contro lo studio condotto nella Zona Territoriale 6 Fabriano
dimostra, un incidenza di infortuni cautelativi più rilevante nei lavoratori
stabilizzati e con maggiore anzianità per consolidata prassi lavorativa.
L’indice di frequenza dei “cautelativi” è significativo nei Dipartimenti di
emergenza e chirurgici dove ritmi intensi, stress ed elevato turn over influiscono sull’accadimento degli stessi. Lo studio condotto evidenzia l’utilità di un periodico aggiornamento professionale finalizzato a sensibilizzare i lavoratori sui rischi specifici e in particolare biologico, evitando così
che operatori sanitari più “anziani” possano assumere un atteggiamento di
confidenza e sottostima del rischio. In seguito al monitoraggio sull’andamento infortunistico del comparto sanità, il Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro dell’ASUR Marche Z. T. n. 6 di Fabriano, attuava una politica prevenzionistica tramite una comunicazione
del rischio specifico, diffondendo i dati infortunistici e i relativi costi economici al datore di lavoro (Direzione Zonale), al R.S.P.P. aziendale, alla
Direzione Sanitaria e al Medico Compente. La Direzione Sanitaria avvalendosi di strumenti prevenzionistici, quali il rispetto delle precauzioni
standard, ridefiniva nel corso dei primi mesi dell’anno 2010 idonee procedure, individuando con deliberazioni nuovi referenti di aree operative
ospedaliere e territoriali per la corretta gestione e smaltimento di rifiuti
speciali. L’efficacia della comunicazione del rischio, evidenziando l’elevato costo sociale e economico degli infortuni e dei “cautelativi”, ha probabilmente contribuito alla diminuzione del numero degli eventi cautelativi nel primo semestre nell’anno 2010 registrando un trend in flessione
pari al 27% degli eventi verificatesi nello stesso periodo di rifermento del
2008 e del 32% per il 2009, a favore del personale O.S.S. di recente strutturazione, a conferma dell’efficacia di una mirata formazione.
2008
2009
2010
Grafico 1. I° semestre 2008-2009-2010
BIBLIOGRAFIA
1) Resconi C. La sicurezza in Ospedale Fascicolo I° introduzione;
INAIL 2001-2005 pp 1-55.
2) Resconi C. La sicurezza in Ospedale Fascicolo V° Rischio chemioterapici ed antiblastici 2001-2005 pp 1-81.
3) Laurita S., Masi A., Puglia M., Satriani G. Introduzione epatiti virali
B e C tra i lavoratori ospedalieri. Analisi del rischio occupazionale,
epidemiologia, protocolli d’accertamento e valutazione del danno
biologico - ATTI V° convegno Inail- 2004.
4) D.Lgs 9 aprile n. 81/085.D.Lgs. 3 agosto n. 106/09.
6) Bacci M., Benucci G., Pezzulli S., Mosca R., Carlini L., Lancia M.
L’epidemiologia degli infortuni in ambiente ospedaliero: indagine
1998-2002, modello di analisi e programma di M.C.Q. in tema di
prevenzione (Parte I) Difesa Sociale (vol. LXXXIII, n. 1) INAIL
2004, pp. 19-44.
7) Sossai D. Esposizione a rischio biologico e utilizzo dispositivi di sicurezza (NPD): prevenzione delle punture accidentali. Eventi
Agenzia Sanitaria regione Emilia Romagna Eventi 2007.
03
INCIDENZA DEGLI INFORTUNI IN AMBIENTE OSPEDALIERO
INDAGINE DESCRITTIVA DEL PERIODO 2005-2009
M. Poiani1, D. Carbonari1,3, M. Fioretti3, R.Curini3, L. Santarelli1,
M. Baldassari2, A. Ulissi2
1
Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università
Politecnica delle Marche, Via Tronto 10/A -60020 Torrette Ancona
2 Medico Competente Azienda Ospedaliera Universitaria Ospedali
Riuniti di Ancona Via Conca 71 -60020 Torrette Ancona
3 Dipartimento di Igiene del Lavoro, Istituto Superiore Per la
Prevenzione E la Sicurezza del Lavoro, Via Fontana Candida 1 - 00040
Monte Porzio Catone Roma
Corrispondenza: Dr. Alfio Ulissi, Medico Competente Azienda
Ospedaliera Universitaria Ospedali Riuniti di Ancona Via Conca 71 60020 Torrette Ancona, e-mail: [email protected];
[email protected]
IMPACT OF INJURIES IN HOSPITAL ENVIRONMENT: A
DESCRIPTION SURVEY OF PERIOD 2005-2009
ABSTRACT. Monitoring of accidents is necessary to design
interventions to ensure a good level of security.
In the period 2005-2009 a survey on injury cases of hospital of
Ancona was conducted.
In this study, 1780 cases of injury with an incidence of 8.8% were
evaluated taking in account 17.654 years-person.
The time course shows no significant changes in cases of accidents
over years (p >0.05).
A high incidence of the phenomenon has been observed for the
female nurse aged 30-39 years who were working at the department of
anesthesia, intensive care and surgery unit.
The occupational category less exposed to the risk were technicians
when compared with auxiliaries showing an average incidence nine fold
higher than the technicians
Biohazard injuries represent the most frequent injury (44%) which
were related to the use of dangerous materials currently uses for nurse
practice.
The operators were absent for an period of 11.5 days (I.C.95%10.312.6) and 44.4% of the absences resulted in removal from work for more
than three days.
On the economic point of view 42.1% of injuries resulted in an
average compensation of 1.815,00 € (I.C.95%1.756,00-1.874,00).
In conclusion the identification of risk factors could be used for
monitoring the effectiveness of preventive measures.
Key words: Hospital enviroment, Biohazard injuries, Preventive
measures
INTRODUZIONE
La molteplicità di situazioni lavorative che si realizzano in una struttura ospedaliera espone i lavoratori a numerosi fattori di rischio sia per
gli infortuni che per le malattie professionali che ne possono derivare.
La valutazione del rischio specifico però, da cui dipende l’individuazione delle misure tecniche organizzative procedurali per il suo
contenimento, non è sempre cosa facile a causa della difficoltà di determinare in maniera quantitativa i diversi fattori che entrano in
gioco(1).
A tale scopo in questo studio sono stati quantificati e descritti gli
infortuni occorsi all’interno dell’Azienda Ospedaliera Universitaria
Ospedali Riuniti di Ancona, dal 2005 al 2009, al fine di elaborare uno
strumento informativo per un’analisi più approfondita delle condizioni
che hanno favorito gli episodi infortunistici.
Le valutazioni prodotte da tale analisi consentiranno l’individuazione dei “punti deboli” della Struttura Organizzativa e la selezione di
idonei interventi globali finalizzati a garantire il più alto livello di sicurezza possibile per gli operatori e, di conseguenza, per gli utenti.
MATERIALI E METODI
Le informazioni relative agli infortuni verificatesi nel periodo compreso tra il primo Gennaio 2005 e il trentuno Dicembre 2009 sono state
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21
ricavate da un database allestito presso il Servizio Medico Competente
dell’Azienda. I dati sono stati successivamente elaborati mediante analisi
statistiche.
Tabella I. Incidenze delle tipologie di infortunio
RISULTATI
Nei 5 anni di osservazione sono stati considerati 17654 anni-persona
per un totale di 1780 casi di infortunio, con un’incidenza del 10.1%. Tralasciando gli infortuni in itinere (13.2%), l’incidenza media del fenomeno scende a circa l’8.8%.
L’andamento temporale non evidenzia variazioni significative dei
casi di infortunio nel corso degli anni (p>0.05), nonostante si osservi un
trend decrescente del valore assoluto degli infortuni fino al 2008 e un
considerevole incremento nel 2009 (figura 1). Le incidenze medie standardizzate infatti, dimostrano che il fenomeno ha un andamento decrescente fino al 2009 quando è stata osservata l’incidenza standardizzata
più bassa.
Tale andamento è confermato anche considerando i soli infortuni accaduti sul posto di lavoro riconfermando il 2009 come l’anno con l’incidenza standardizzata più bassa.
Figura 1. Distribuzione annua degli infortuni
Come ampiamente descritto in letteratura, la maggior incidenza del
fenomeno è stata rilevata per i soggetti di sesso femminile, appartenenti
alla categoria professionale degli infermieri e per gli operatori dei reparti
di anestesia-rianimazione e blocco operatorio (2).
La classe d’età maggiormente interessata è quella compresa tra 30 e
39, evidenziando una riduzione dell’incidenza al crescere dell’età.
Dall’analisi delle incidenze medie e dell’incidenza standardizzata
per le diverse qualifiche del solo personale strutturato e, considerando la
totalità degli infortuni (in itinere e non) è emerso invece, un dato molto
significativo: la categoria meno a rischio è risultata essere quella dei tecnici, mentre a maggior rischio è risultata essere quella degli ausiliari, con
un’incidenza media nove volte maggiore di quella del personale considerato a minor rischio.
Dall’analisi delle modalità di infortunio è emerso che gli infortuni
associati al rischio biologico rappresentano la modalità più frequente
(44%) legata all’utilizzo di “strumenti” intrinsecamente pericolosi, soprattutto aghi e taglienti (66%).
Un dato interessante è, invece, il 17.9% delle lesioni causate da urto
o trauma, la cui causa non è facilmente individuabile (tabella I).
Riguardo gli infortuni che hanno comportato inabilità temporanea,
gli operatori si sono assentati mediamente per 11.5 giorni (C.I.95% 10.312.6) e quasi la metà delle assenze (44.4%) ha comportato l’allontanamento dal lavoro per un periodo superiore a 3 giorni.
Dal punto di vista economico il 42.1% degli infortuni ha comportato
un risarcimento che mediamente, nel periodo considerato, è stato pari a
1.815,00 euro (C.I.95% 1.756,00-1.874,00).
DISCUSSIONE
I risultati di questo studio dimostrano come il personale ospedaliero, per l’estrema varietà e complessità dei compiti assegnati, sia
esposto a innumerevoli rischi tra i quali il principale è senza dubbio
quello traumatico a cui spesso è associato il rischio di esposizione ad
agenti biologici (3).
Dall’analisi delle informazioni raccolte un dato interessante è senza
dubbio quello relativo alle categorie interessate dal fenomeno infortunistico che, se da un lato conferma i dati di incidenza nazionale forniti dall’INAIL, relativi alla figura degli infermieri (2), dall’altra evidenzia
come la categoria degli ausiliari sia particolarmente esposta a rischio di
infortuni e ciò è probabilmente legato al progressivo aumento dei carichi
di lavoro per tale figura professionale.
Considerando invece le modalità di infortunio emerge che non è
sempre possibile ricondurre l’evento ad una causa specifica, anche se
questa il più delle volte riconosce alla base comportamenti imprudenti
(reincappucciamento degli aghi, il loro errato smaltimento ecc.) o la presenza di condizioni di rischio oggettive, note e facilmente controllabili
attraverso una corretta condotta di lavoro ed il rispetto delle precauzioni
universali.
In conclusione lo studio e l’identificazione dei vari fattori di rischio
si presenta come un efficace strumento per la corretta selezione di efficaci interventi preventivi e consente di monitorare l’efficacia nel tempo
delle misure di prevenzione del rischio eventualmente attuate, valutandone gli effetti anche in termini di riduzione del numero e della gravità
degli infortuni subiti.
BIBLIOGRAFIA
1) Corrao et al. Minerva Folia Medica 2007; 71: 109-114.
2) “La sicurezza in Ospedale: Strumenti di Valutazione e Gestione del
Rischio” INAIL 2007.
3) Bacci M. et. al. Difesa Sociale 2004; LXXXIII(1): 19-44.
04
INFORTUNI BIOLOGICI NELLA AOU DI SASSARI.
PROCEDURE DI SEGNALAZIONE E ANALISI DEL FENOMENO
A. Serra, A. Piga, C. Lovigu1, F. Mocci
Azienda Ospedaliero Universitaria di Sassari - U.O. Medicina del
Lavoro - Via Matteotti 60 07100 Sassari
1 Azienda Ospedaliero Universitaria di Sassari - U.O. Malattie Infettive
Corrispondenza: Antonello Serra - Via Matteotti 60 07100 Sassari [email protected]
BIOLOGICAL ACCIDENTS AT THE UNIVERSITY HOSPITAL OF
SASSARI. PROCEDURES FOR REPORTING AND DATA ANALYSIS
ABSTRACT. The university hospital of Sassari (AOU) has
developed an experimental procedure for the management of various
aspects of biological accidents. This procedure is based on a database
residing on a central server connected to all Operating Units of the
Hospital.
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The procedure allows (a) rapid access of the injured worker with a
structure of Infectious Diseases (b) the rapid availability of information
on the immunological status of the worker and the patient-source (c)
data storage to organize prevention.
The analysis in the period of one year indicates a high incidence of
accidents in postgraduate trainee physicians and temporary nurses and
the limited use of personal protective equipment.
Key words: biological accidents; personal protection equipment;
health care workers
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La UO M. Infettive ha intrapreso una attività di controllo sierologico nel 95% dei casi; nel 5% dei casi ha adottato una profilassi antiretrovirale.
Dal programma di prevenzione del rischio biologico 2010-2011, redatto tenendo conto dell’analisi del fenomeno infortunistico, si possono
estrapolare due obbiettivi rilevanti.
Obbiettivo 1: attività di formazione e controllo sul corretto uso dei
DPI
INTRODUZIONE
Gli infortuni a rischio biologico rappresentano uno dei più rilevanti
problemi di prevenzione in ambito sanitario.
Una corretta gestione degli infortuni biologici deve prevedere (a)
l’accesso in tempi rapidi dell’infortunato presso una struttura a specializzazione infettivologica per valutare l’opportunità di adeguati interventi profilattici (b) la pronta disponibilità di informazioni sullo stato immunologico dell’infortunato e del paziente fonte (c) l’archiviazione dei
dati per una valutazione epidemiologica degli infortuni che guidi le strategie di prevenzione.
MATERIALI E METODI
Nel luglio 2009 la AOU di Sassari si dotava di una procedura sperimentale per la gestione dei vari aspetti del fenomeno infortunistico. Tale
procedura si basa su un Database Infortuni (DI) residente su un server
della UO di Medicina del Lavoro collegato in rete con tutte le Unità Operative della Azienda.
In caso di infortunio, con accesso riservato ad una specifica sezione
del DI, il responsabile della Unità Operativa (UO) registra in tempo reale
le principali informazioni relative all’evento (caratteristiche dell’infortunato, modalità dell’infortunio, stato immunologico del paziente fonte in
caso di infortunio biologico, etc.). Il soggetto infortunato viene quindi inviato, nel caso di infortunio biologico, presso una struttura dedicata, operativa sulle 24 ore nella UO di Malattie Infettive, negli altri casi presso il
Pronto Soccorso. I medici infettivologi, tramite accesso riservato ad una
specifica sezione del DI, possono acquisire immediatamente le informazioni concernenti modalità dell’infortunio e caratteristiche di rischio clinico e registrare i provvedimenti profilattici e terapeutici adottati. Una
apposita sezione del DI consente quindi all’Ufficio Personale di attivare
le procedure di denuncia previste dalla normativa.
RISULTATI
Nel corso del primo anno di attività del DI, le denuncie di infortuni
biologici sono aumentate del 26.53% rispetto ai precedenti 12 mesi.
Rispetto ad altri studi italiani, nel periodo considerato la AOU di
Sassari ha registrato un tasso di incidenza (per posti letto) minore negli
infortuni biologici per via percutanea, maggiore per quelli per via mucocutanea.
La maggiore incidenza degli infortuni mucocutanei risente della
scarsa consuetudine del personale all’uso dei DPI del volto e degli occhi
(uso non corretto nel 81,8% dei casi).
I lavoratori soggetti ad infortunio biologico hanno avuto accesso alla
UO M. Infettive nel 88% dei casi, sempre entro 2 ore dall’infortunio
(media 1h 54 m). Il profilo sierologico del paziente fonte risultava immediatamente disponibile nel 68,42% dei casi.
Figura 1. Infortuni biologici - Confronto con altri studi epidemiologici
italiani
Figura 2. Infortuni biologici - tasso di incidenza per qualifica e
modalità di uso DPI
Obbiettivo 2: attività di formazione specifica sul rischio biologico
nel personale in formazione e con assunzione a tempo determinato
Figura 3. Infortuni biologici - tasso di incidenza per qualifica e
tipologia contrattuale
DISCUSSIONE
Dopo un iniziale periodo di rodaggio il DI è stato utilizzato regolarmente da tutte le UO interessate. L’utilizzo di una procedura di segnalazione più agevole ha probabilmente favorito la riduzione del fenomeno
degli infortuni non denunciati.
L’introduzione del DI sembra aver influito positivamente anche sulla
gestione clinica del lavoratore infortunato in termini di rapido accesso
alla UO Infettivologica e disponibilità in tempo reale di tutte le informazioni sulle modalità di infortunio e le caratteristiche dei soggetti coinvolti
(infortunato e paziente fonte).
Di rilevanza non secondaria anche la possibilità per la UO di Medicina del Lavoro, gestore del server, di monitorare costantemente il fenomeno infortunistico e impostare concrete linee di prevenzione. Tra queste
segnaliamo, lo spazio non ci consente di più, la necessità di promuovere
un corretto utilizzo dei DPI e migliorare la cultura della prevenzione nel
personale in formazione e nei loro tutori.
BIBLIOGRAFIA
Argentero PA, Zotti CM, Abbona F, et Al.: Regional surveillance of occupational percutaneous and mucocutaneous exposure to bloodborne pathogens in health care workers: strategies for prevention.
Med Lav. 2007 Mar-Apr; 98(2): 145-55.
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05
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Tabella I
L’UTILIZZO DEL MODELLO “SBAGLIANDO S’IMPARA”
PER L’ANALISI DELLE MODALITÀ DI ACCADIMENTO
DEGLI INFORTUNI MORTALI QUALE STRUMENTO
PER LA RIDUZIONE DEGLI INFORTUNI MORTALI:
L’ESPERIENZA DEL SERVIZIO PRESAL DELLA ASL RME
M. Mondello, G. Tancredi, V. Palluzzi, D. Gamberale
Dipartimento di Prevenzione, U.O.C. Servizio PreSAL AUSL RME,
Via Fornovo, 12 - 00192 Roma
Corrispondenza: Dr. Giorgio Tancredi, Dipartimento di Prevenzione,
U.O.C. Servizio PreSAL AUSL RME, P.zza S.Maria della Pietà Padiglione 15 - Roma
THE USE OF THE METHOD “SBAGLIANDO S’IMPARA”
(PRACTICE MAKES PERFECT) FOR AN ANALYSIS OF THE
EVENT’S MODALITIES OF FATAL ACCIDENTS, AS AN
INSTRUMENT TO REDUCE THE LAST ONES: THE EXPERIENCE
OF THE ASL RME PRESAL SERVICE
ABSTRACT. The model known as “Sbagliando s’impara” was
created in order to obtain an homogeneous standard to analyse
industrial accidents. In 2005, two fatal accidents occurred during the
construction of the highway “GRA” which have led our company to use
the contribution of other qualified ASL insistent in the Region. This
integration was made possible by the guarantee of the Region, the
Prefecture and the willing cooperation of the ASL Directors concerned.
The collaboration of the Services involved has been scheduled for
approximately two years, afterwards the supervision was ensured only by
the Service personnel. Meetings were organized with the management of
companies, company figures of prevention, with occupational
physician, and local union representatives to monitor the
working progression and to identify risky situations. In conclusion, the
analysis of fatal accidents through the model “Sbagliando s’impara”
and a better supervision, has brought clear positive trends.
Key words: metodo/method; analisi/analysis; infortuni/accidents
INTRODUZIONE
L’art. 2 del D.P.R. 1124 del 1965 definisce gli elementi che caratterizzano l’infortunio sul lavoro:
• inabilità temporanea, permanente o morte del lavoratore
• causa violenta
• occasione di lavoro
Ricostruire la dinamica dell’incidente richiede un insieme di operazioni complesse con lo scopo di individuare le cause che hanno determinato l’avvenimento avverso, rimuoverle, ed adottare misure di prevenzione atte a prevenire il ripetersi di eventi analoghi.
Il modello noto come “Sbagliando S’Impara” nasce dall’esigenza di
definire un criterio omogeneo e standardizzato per l’analisi degli eventi
infortunistici comune per gli operatori dei Servizi di Prevenzione; tale strumento non risponde direttamente alle esigenze di accertamento giudiziario
dei fatti (pur essendo utilizzabile vantaggiosamente anche a tal fine), ma
costituisce un metodo condiviso di analisi sistematica delle caratteristiche
dell’infortunio, predisposto allo scopo di trarre dall’esperienza di ogni
evento avverso (infortunio/incidente) informazioni essenziali per implementare (sul piano tecnico e normativo) le misure di prevenzione.
MATERIALI E METODI
Nel modello “Sbagliando S’Impara”, la dinamica infortunistica (dinamica dell’incidente) viene determinata con un procedimento a ritroso
a partire dal trauma (Tab. I).
Con questa ricostruzione, partendo dal Trauma (sede e natura della
lesione) si possono analizzare i “fattori causali”: i Determinanti (graficamente indicati con un quadrato, se determinanti di stato -ove trattasi
cioè di fattori preesistenti all’inizio della dinamica infortunistica- o un
triangolo, se determinanti di processo -quando i fattori consistono in
qualcosa che accade nel corso della dinamica infortunistica-) sono gli
elementi che hanno causato l’incidente; sono definiti Modulatori i fattori
che hanno aggravato o ridotto le conseguenze di un infortunio.
L’Incidente viene definito come una rapida e non intenzionale variazione di energia o, se l’energia non varia, una rapida e non intenzionale variazione dell’interfaccia energia/lavoratore.
La Variazione di Energia si “trova” sempre tra l’incidente e il contatto (ad es. la variazione dell’energia da potenziale a cinetica, come capita nelle cadute dall’alto di persone o oggetti - Tab. I).
La Variazione dell’Interfaccia (energia/lavoratore Tab. II) si ha nelle
situazioni in cui l’energia non cambia la sua sede naturale, ma entra in
contatto con il lavoratore.
Lo scambio di energia coincide con l’incidente (Tab. II).
I “fattori causali” vengono ricondotti a sei Macrocategorie o Assi:
1. attività dell’infortunato
2. attività di terzi
3. utensili, macchine, impianti
4. materiali
5. ambiente
6. mezzi protettivi individuali
Inserendo i Determinanti (di stato e/o di processo) e i Modulatori,
l’infortunio/incidente viene descritto in maniera sequenziale e sistematica, risultando preso in considerazione in ogni suo elemento.
Tabella II
RISULTATI
Nel 2005 due infortuni mortali avvenuti nei cantieri di grandi opere
(raddoppio del Grande Raccordo Anulare) a distanza di pochi giorni uno
dall’altro hanno indotto la nostra azienda ad implementare la vigilanza
avvalendosi anche dell’apporto di tecnici qualificati di altre ASL insistenti nel territorio regionale. Tale integrazione è stata resa possibile dall’avallo della Regione e della Prefettura, che hanno permesso di superare le difficoltà tecnico giuridiche legate all’ambito di operatività degli
UPG, e dalla sollecita collaborazione dei Direttori dei Servizi di Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro delle ASL interessate. La collaborazione dei Servizi coinvolti è stata prevista per circa 2 anni, con
evidenti riflessi migliorativi sull’andamento infortunistico nei cantieri
oggetto di verifiche.
Successivamente la vigilanza è stata garantita dal solo personale del
Servizio, anche con interventi a progetto (vigilanza straordinaria dei cantieri del raddoppio del GRA quadrante nord-ovest al di fuori del normale
orario di servizio in orario diurno, notturno e festivo), tenendo conto che
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la progressione dei lavori ed alcuni ritardi di consegna delle opere comportava attività a ciclo continuo di alcuni lotti cantieristici.
Oltre agli interventi di vigilanza sono stati organizzati momenti di
confronto con le figure aziendali della prevenzione (committenti, coordinatori, dirigenti, medici competenti e RLS) delle imprese affidatarie ed
esecutrici dei lavori per monitorare la progressione delle attività lavorative ed individuare le situazioni di maggior rischio.
La revisione dei due infortuni mortali effettuata retrospettivamente
con il modello “Sbagliando S’Impara” ha fornito - attraverso l’individuazione dei Determinanti (elementi che hanno causato l’incidente) e dei
Modulatori (elementi in grado di modificarne le conseguenze dannose) indicazioni essenziali per l’adozione di idonee misure di prevenzione e
protezione.
In tabella III viene riportata quale esempio la rappresentazione grafica di uno dei due infortuni.
DISCUSSIONE
In conclusione l’analisi degli infortuni mortali col modello “Sbagliando S’Impara” unitamente all’incremento e ad una migliore programmazione della vigilanza nei cantieri di una grande opera dal 2005 a
tutt’oggi ha comportato evidenti riflessi positivi sull’andamento infortunistico. Il modello “Sbagliando S’Impara” viene attualmente utilizzato
anche da alcune grandi aziende per monitorare sistematicamente ogni
evento infortunistico ed adottare tempestivamente appropriate misure
preventive.
È altresì auspicabile l’estensione del modello anche agli incidenti
privi di effetti lesivi (c.d. infortuni mancati) al fine di evidenziare errate
procedure di lavoro che potenzialmente possono causare danni ai lavoratori ed approntare idonee misure di prevenzione.
Tabella III. Rappresentazione grafica del modello
Sbagliando S’Impara (Variazione di Energia)
06
INFORTUNI MORTALI IN ITALIA NEGLI ANNI 2001-2009
QUALE TENDENZA IN UN DECENNIO?
L. Bindi, L. Calandriello, A. Ossicini, A. Miccio
Corrispondenza: L. Bindi, Inail S.M.G. P.le G. Pastore n. 6, 00144
Roma
MORTAL ACCIDENTS HAPPENED IN ITALY IN THE PERIOD
2001-2009: WHAT VARIATIONS?
ABSTRACT. The authors examine mortal accidents, even if “in
itinere”, happened in Italy in the period 2001-2009. In such years the
number of the mortal accidents happened in job occasion, has had a
reduction, except for 2006. In the same period, the mortal accidents “in
itinere”, have had a changeable route, with both increase that reduction.
The study also analyses mortal accidents, for activity branch,
distinguishing in within of agriculture, industry and services and puts in
evidence the variations taken part in the same period.
The analysis shows that there is still much space of improvement,
with prevention programs and sensitization campaigns not to be
repressive but to be helpful to all people involved in workers protection.
Key words: infortuni mortali; sicurezza sul lavoro; dati Inail
INTRODUZIONE
Gli infortuni mortali sul lavoro rappresentano ancora oggi una criticità di vasto rilievo per il nostro Paese. Tali eventi, accadono spesso al di
fuori di quelle minime norme di applicazione della sicurezza e della prevenzione sul lavoro e pongono interrogativi sulla reale ed effettiva applicazione delle stesse. Tragiche vicende che si sono verificate in questi ultimi anni, coinvolgendo più vittime contemporaneamente, hanno riportato prepotentemente all’attenzione della coscienza civile del Paese e
delle istituzioni, il dramma quotidiano delle morti sul lavoro. Tuttavia osservando questa tragica realtà da un punto di vista strettamente statistico,
possiamo rilevare come l’andamento storico di tale fenomeno si presenti
costantemente in discesa. In effetti fin dall’inizio degli anni sessanta, e
precisamente nel 1963, fu toccato il tragico record storico di 4.664 morti
in un anno, successivamente si è scesi in modo netto ai poco più di 1.500
dell’inizio millennio. In questi 50 anni, in cui le morti sul lavoro sono diminuite di due terzi, nel nostro Paese ci sono state profonde trasformazioni sia per quanto riguarda la struttura occupazionale (c’è stato un passaggio da una società in prevalenza contadina ad una industrializzata fino
a quella attuale, fortemente strutturata sul terziario), sia sul versante dell’innovazione tecnologica e organizzativa.
MATERIALI E METODI
I dati e le tavole fanno riferimento al Rapporto Annuale INAIL
2010; le tavole inserite sono state, in parte modificate, per renderle più
semplici e maggiormente fruibili.
RISULTATI
Nel periodo di tempo esaminato, dal 2001 al 2009, è proseguita la
tendenza al ribasso, con un’ulteriore flessione di circa il 28% in valori assoluti e di oltre il 33% se rapportata agli occupati esposti al rischio. Nella
tavola che segue (tav. 1) vengono riportati gli infortuni mortali negli anni
2001-2009 per ramo di attività in valori assoluti.
Tavola 1. Infortuni mortali avvenuti negli anni 2001-2009
per ramo di attività - valori assoluti
BIBLIOGRAFIA
http://www.ispesl.it/getinf/selinf.asp
La riduzione si è mantenuta costante e continua dal 2001, anno in cui
ci sono stati 1.546 morti sul lavoro, sino al 2009, anno con 1.050 casi
mortali; questa tendenza si è interrotta solo nel 2006, in cui si sono con-
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tate 1.341 vittime. Negli anni successivi, infatti è continuato il trend di
riduzione degli eventi mortali, attestandosi rispettivamente ai 1.207 casi
del 2007, ai 1.120 casi del 2008 ed ai 1.050 del 2009. Bisogna ricordare,
tuttavia, che tale calo è in parte riconducibile anche alla grave, estesa e
perdurante crisi economica internazionale che ha coinvolto pesantemente
anche il nostro Paese con importanti ricadute negative sull’occupazione.
La riduzione dei morti sul lavoro, in questo periodo di osservazione,
per i tre grandi rami di attività è stata la seguente: per l’Agricoltura si è
passati dai 159 decessi del 2001 ai 125 del 2009, per l’Industria dai 766
del 2001 ai 490 del 2009 ed infine per i Servizi dai 621 del 2001 ai 435
del 2009. I dati mostrano quindi una riduzione sensibile nell’Industria (7,9%) e nei Servizi (-6%), mentre nell’Agricoltura si registra una sostanziale stabilità.
Analizzando i casi mortali è opportuno distinguere i decessi verificatisi nello svolgimento della propria mansione lavorativa, cioè “in occasione di lavoro” da quelli “in itinere”, vale a dire gli infortuni accaduti
nel percorso di spostamento tra casa e lavoro o viceversa. Tale distinzione non appare inutile, poiché si può ritenere che i decessi “in itinere”
non siano strettamente riconducibili alla specifica attività svolta dall’infortunato e pertanto richiedano anche una differente valutazione nella
lettura del rischio che provoca il fenomeno infortunistico. Si ricorda, a tal
fine, che EUROSTAT, l’Ufficio statistico dell’Unione Europea, ha adottato una metodologia, che nella rilevazione degli infortuni sul lavoro
esclude gli infortuni in itinere.
Nella tavola n. 2 è riportato l’andamento degli infortuni mortali nel
periodo considerato, per ramo di attività e sempre in riferimento a valori
assoluti.
vigilanza delle istituzioni a ciò preposte, attraverso, da una parte, una
continua e diremmo, serrata informazione e formazione dei lavoratori
circa le norme di sicurezza e l’impiego dei previsti dispositivi di protezione individuale da utilizzare, combattendo l’illusoria sensazione di sufficiente sicurezza degli stessi; dall’altra, una più ampia ed efficace attività ispettiva sui luoghi di lavoro, ponendo una maggiore attenzione ed
attuando forme di controllo che non devono essere solo di tipo repressivo, ma di aiuto e responsabilizzazione per tutti i soggetti che sono coinvolti nelle attività di prevenzione.
Tavola 2. Infortuni mortali avvenuti negli anni 2001-2009
per modalità di evento
A RECENT ACCIDENT WITH A LASER NE-YAG. OCCURRENCE
WAY AND RESULTS
ABSTRACT. The laser ray, mainly in the operational or search use,
has a non confined run, and one of principal risk is related to the
accidental reflection of the ray itself.
One of the first known accidents, to the dawn of the laser use known
as “accident of the Coca Cola”, was caused really from an accidental
reflection of the ray on a bottle unawares placed along the run of the ray.
After a brief examination of the different types of reflection
(specular, lambertiana, almost-lambertiana), the happening way of a
recent accident event with serious consequences is examined, which the
cause was a specular reflection of the laser ray.
The clinical and the insurance results are obviously illustrated.
Key words: Laser, Infortunio, Invalidità
Da tale tavola risulta evidente come sia ancora più rilevante, dal
punto di vista della sicurezza nei luoghi di lavoro, la riduzione riscontrata
negli infortuni mortali che si sono verificati in occasione di lavoro, nel
periodo considerato, passando dai 1.250 casi del 2001 agli 844 del 2008.
Per quanto riguarda, invece, gli infortuni mortali avvenuti in itinere, che
notoriamente sono riconducibili al più generale contesto della sicurezza
stradale, questi hanno avuto una riduzione più contenuta.
Volendo fare anche un confronto con gli altri stati dell’Unione Europea, bisogna considerare che i criteri di rilevazione adottati da EUROSTAT sono un po’ diversi da quelli adottati dal nostro Paese, infatti vengono considerati infortuni sul lavoro quelli con assenze dal lavoro di almeno 4 giorni e vengono esclusi quelli in itinere. Pertanto lo stesso EUROSTAT invita ad utilizzare i dati assoluti, riportati nelle tabelle UE così
come comunicati dai singoli Paesi, solo a livello globale e a fini indicativi.
Dai dati europei, relativi al quinquennio 2001-2006 (ultimo anno disponibile), prendendo in esame i dati numerici non in senso assoluto, ma
i “tassi di incidenza standardizzati” come raccomandato da EUROSTAT,
si rileva come tale indice per l’Italia, corrisponda per il 2006, a 2,9 decessi per 100.000 occupati, che risulta di poco superiore a quello dell’Area-Euro, (2,8) e dell’UE-15, (2,5) e pone quindi l’Italia su valori intermedi, ma inferiori a Paesi come la Spagna (3,5) e la Francia (3,4).
DISCUSSIONE
Dai dati presentati emerge una tendenza alla riduzione degli infortuni mortali in questi ultimi anni, fatta eccezione per l’anno 2006, in cui
vi è stata un’inversione di tendenza, del resto estesa anche agli altri Paesi
Europei, e la cui causa non è facilmente individuabile, ma imputabile,
probabilmente a più fattori. Nonostante si assista ad una effettiva e tendenziale riduzione degli infortuni mortali sul lavoro, tale numero resta
sempre elevato ed inaccettabile per un Paese evoluto come il nostro,
anche perché in molti eventi mortali dalle indagini dell’autorità giudiziaria emergono cause e circostanze legate ad una incompleta e minimale
attuazione delle norme e misure di sicurezza dettate da leggi sulla salute
e sicurezza sui luoghi di lavoro, comunque vigenti. Tutto ciò porta a considerare che in questo ambito deve essere mantenuta alta l’attenzione e la
BIBLIOGRAFIA
Rapporto Annuale INAIL 2010.
07
UN RECENTE INFORTUNIO CON UN LASER NE-YAG.
MODALITÀ DI ACCADIMENTO ED ESITI
A. Stanga1, G. Campurra2
1
2
AIRM - Via degli Archinto, 4 00163 Roma
ENEA Centro Ricerche Frascati - Via Enrico Fermi, 45 00044 Frascati RM
Corrispondenza: Andrea Stanga, c/o Gabriele Campurra, Località
Gricciano snc, 01034 Fabrica di Roma VT
1. INTRODUZIONE
Nell’utilizzo dei laser, soprattutto se, per motivi operativi o di ricerca, il raggio ha un percorso non confinato, uno di principali rischi è
legato alla riflessione accidentale del raggio stesso.
Uno dei primi incidenti noti, agli albori dell’utilizzo dei laser e noto
come “incidente della Coca Cola”, fu causato proprio da una riflessione
accidentale del raggio su una bottiglia inavvertitamente appoggiata lungo
il percorso del raggio.
2. GEOMETRIA DELL’ESPOSIZIONE LASER
È utile ricordare che la focalizzazione di un raggio laser sulla retina,
soprattutto a causa della notevole collimazione dello stesso, presenta una
geometria totalmente diversa da qualunque altra immagine, determinando appunto una focalizzazione puntiforme con conseguente concentrazione dell’energia ceduta.
Figura 1. Focalizzazione di un raggio laser
3. IL PRINCIPALE RISCHIO DI INCIDENTE LASER: LA RIFLESSIONE
Quando una radiazione luminosa, e quindi anche un raggio laser,
colpisce la superficie di un corpo reale (corpo grigio), essa è in parte assorbita in parte riflessa ed in parte trasmessa.
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Figura 2. Riflessione
3.1. Tipi di “riflessione”
Se un fascio luminoso incide una superficie liscia di acciaio si forma
un raggio riflesso ben definito, mentre se arriva su di un foglio di carta
la luce viene riflessa più o meno in tutte le direzioni (riflessione diffusa).
La differenza tra riflessione diffusa e speculare trova la sua ragione nel
concetto di ruvidità delle superfici.
In generale le superfici perfettamente lisce riflettono in modo speculare, quelle perfettamente rugose si comportano come riflettori lambertiani, ovvero la direzione di riflessione è indipendente da quella di incidenza.
Normalmente le superfici reali non si comportano né da superficie
perfettamente speculare né da superficie perfettamente lambertiana ma si
comportano in modo intermedio. In genere nella maggioranza degli incidenti da laser da riflessione, ci troviamo nelle condizioni 1, 2 o 3 della figura successiva.
Figura 4. Retinografia
In data 11.11.2008 eseguiva una OCT che confermava la perdita di
sostanza in zona maculare.
Figura 3. Tipi di riflessione
4. MODALITÀ DI ACCADIMENTO DELL’INCIDENTE
In data 29/10/2008, il Dr. L.D. lavorava con un laser Ne-Yag di
Classe 4ª, della potenza di 50 mJ, impulsato (durata impulso 10 ns), con
lunghezza d’onda di 1.064 nm. Per la dinamica dell’esperimento il
raggio, con una percorso in campo libero, doveva entrare in una cuvetta
di quarzo contenente un liquido con nanoparticelle, collegata con un
oscilloscopio che leggeva il segnale. Il lavoratore utilizzava dei DPI (occhiali) adeguati alla lunghezza d’onda del laser. Poiché non riusciva a
leggere il segnale dell’oscilloscopio, istintivamente ha abbassato gli occhiali e ha rivolto lo sguardo verso la cuvetta. A causa di un fenomeno di
riflessione speculare, il raggio laser penetrava nell’occhio destro del lavoratore producendo i danni sotto descritti.
È importante segnalare che la riflessione, per le caratteristiche della
cuvetta, è stata pari al solo 4% dell’energia totale del raggio; quindi il
danno è stato prodotto da un’energia di soli 2 mJ; va inoltre osservato
(elemento favorevole in questo caso) che parte della radiazione ottica di
quella specifica lunghezza d’onda (1.064 nm) viene assorbita dall’acqua
e quindi dall’umor vitreo, ben diverso sarebbe stato se si fosse trattato di
un laser nel visibile particolarmente nel blu che avrebbe traversato completamente le strutture oculari.
5. REFERTO PRONTO SOCCORSO E ACCERTAMENTI SUCCESSIVI
Il posto di pronto soccorso dove è stato prontamente accompagnato ha
emesso diagnosi di “OD - maculopatia emorragica fototraumatica... edema
marcato del polo posteriore con distacco siero-emorragico centrale”.
Veniva successivamente trattato presso l’Ospedale oftalmico di
Roma ove riferiva: “... vede macchia oscura al centro di OD con riduzione del visus... FOD emovitreo, edema retinico al polo posteriore con
probabile fotocoagulazione centrale”. Veniva eseguita una retinografia
che confermava quanto sopra.
Figura 5. OCT
In data 15.12.2008 eseguiva una fluoroangiografia che mostrava:
“OD - stiramento dei vasi afferenti alla macula. Area di iperfluorescenza
disomogenea in zona maculare per lo più costante nei tempi angiografici compatibile con la diagnosi di cicatrice maculare”.
Figura 6. Fluoroangiografia
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6. CONSEGUENZE MEDICO LEGALI E DI IDONEITÀ AL LAVORO
La pratica INAIL si concludeva il 4.8.2009 con la seguente diagnosi:
“OD VN 1/20 con ric. laterale, moto manu in posizione primaria - OS VN
5/10, 10/10 1,25 Sf - OD VPV non legge X C, OS IC”. Veniva riconosciuta una invalidità del 26%.
Fino a tale data il soggetto è stato ritenuto “non idoneo”; alla visita
successiva del 23/09/2009, è stata emessa la seguente idoneità con limitazioni: “esclusione dalle attività con laser di potenza pari o superiore
alla classe 3”. Tale giudizio di idoneità, emesso dopo averlo concordato
con il dipendente, ha permesso di tutelare la professionalità dello stesso
e nel contempo prevenire danni gravi all’occhio superstite. Ovviamente
è stata fatta una accurata analisi dell’evento incidentale che una nuova
approfondita formazione a tutti i lavoratori esposti a rischio simile.
7. NOTE BIBLIOGRAFICHE
1) Campurra G. “Il rischio da campi elettromagnetici negli ambienti di
lavoro”, IPSOA Editore, 2008.
2) IEC, Publication 60825-1,Safety of laser products, Geneva (H),
2007.
3) Mariutti G. La Direttiva europea sulla protezione dalla radiazione ottica. Convegno AIRM “I campi elettromagnetici: dalla valutazione
del rischio alla tutela del lavoratore esposto. Macerata, 2008.
27
PATOLOGIE RESPIRATORIE
01
PREVALENZA DELL’ASMA E DELLA RINITE IN UN’AZIENDA
DI ADDETTI ALLE PULIZIE
I. Folletti, A. Bussetti, A. Calcioli, F. Verginelli, A. Siracusa
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Sez. di Allergologia
Professionale e Ambientale, Università degli Studi di Perugia.
Az. Ospedaliera Santa Maria di Terni reparto di Medicina del Lavoro,
via T. di Joannuccio, 1 05100 TR
*Medico Competente, Narni
**Studente, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Perugia
Corrispondenza: Folletti Ilenia - [email protected]
Az. Ospedaliera Santa Maria di Terni. Reparto di Medicina del Lavoro,
via T. di Joannuccio, 1 05100 TR
PREVALENCE OF ASTHMA AND RHINITIS IN WORKERS
EMPLOYED IN A CLEANING COMPANY
ABSTRACT. Background: Cleaners are exposed to a high number
of cleaning agents and are at increased risk of work-related asthma and
rhinitis. The aim of this study was to assess the prevalence and
determinants of asthma and rhinitis in 234 subjects working in a
cleaning company.
Methods: In this cross-sectional study 234 workers of a cleaning
company, 126 cleaners and 108 nonexposed controls, completed the
Italian version of the ECRHS I and ECRHS II occupational modules to
asses the exposure to cleaning agents and prevalence of asthma and
rhinitis and performed lung function tests.
Results: 54% of subjects worked as cleaners in public buildings,
hospitals and schools, and 46% were not exposed to cleaning products
(controls), e.g. white collars and drivers. Cleaners were 4 years older
than controls. The prevalence of current asthma was 6% in cleaners and
1% in controls, and rhinitis was 17% and 15%, respectively. Using glass
cleaning sprays at work ≥ 1 day/week was associated with current asthma
(OR=19.0, CI 2.1-159.9). Younger cleaners (<39 years old) had a greater
risk of asthma (OR=5.0, CI 1.2-21.7) than those >39 years old.
Conclusion: Cleaning work may induce asthma. The use of glass
cleaning sprays is an important determinant. We also found a higher risk
of asthma in younger cleaners that could be explained in two ways: the
healthy worker effect and/or the increased risk of developing
occupational asthma in the first 2-3 years of work exposure.
Key words: cleaners, occupational asthma, occupational rhinitis
INTRODUZIONE
Gli addetti alle pulizie sono tra il 2 ed il 4% della popolazione lavorativa nei paesi sviluppati, nell’Unione Europea di 27 stati membri sono
oltre 3 milioni. Gli addetti alle pulizie sono esposti ad un numero elevato
di sostanze chimiche. Molti studi epidemiologici hanno dimostrato un
aumentato rischio d’asma e rinite negli esposti ai prodotti per le pulizie.
L’aumentata frequenza d’asma e rinite è associata soprattutto all’uso di
prodotti per le pulizie in formulazione spray, di ipoclorito, d’ammoniaca
e di agenti disinfettanti. Lo scopo di questo studio è di valutare la prevalenza dell’asma e della rinite fra gli addetti alle pulizie di un’azienda di
Terni.
SOGGETTI E METODI
Abbiamo condotto uno studio trasversale in un’azienda di addetti
alle pulizie di Terni. Per la raccolta dei dati abbiamo utilizzato il questionario principale dello studio di popolazione ECRHS I ed i moduli
dello studio ECRHS II per le pulizie effettuate in casa e per i lavoratori
addetti alle pulizie. Abbiamo studiato 234 soggetti, 126 addetti alle pulizie e 108 soggetti non esposti a prodotti per le pulizie (impiegati e autisti) della stessa azienda.
28
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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RISULTATI
I soggetti non esposti erano più giovani degli esposti ai prodotti per
le pulizie (p<0,0001). Gli addetti alle pulizie erano prevalentemente
donne (93%), non vi erano differenze fra i esposti e controlli per quanto
riguarda l’abitudine al fumo (Tabella I). I sintomi respiratori erano presenti nel 13% dei soggetti esposti a prodotti per le pulizie e nel 2% dei
soggetti non esposti (p<0,002). Inoltre negli addetti alle pulizie i sintomi
d’asma erano presenti nell’6% degli addetti alle pulizie e nel 1% dei non
esposti (p<0,05). La rinite era presente nel 17% degli addetti alle pulizie
e nel 15% dei non esposti. Fra gli esposti la rinite aveva una prevalenza
quasi tre volte maggiore di quella dell’asma. L’uso di spray per vetri al
lavoro, almeno una volta la settimana, era significativamente associato
con la presenza di sintomi respiratori e con l’asma. Il FEV1 e la capacità
vitale forzata erano risultati uguali fra gli addetti alle pulizie ed i soggetti
non esposti. L’analisi mediante il modello della regressione logistica ha
evidenziato che l’uso di spray per vetri al lavoro per almeno un giorno a
settimana e un’età inferiore ai 39 anni erano significativi fattori determinanti per l’asma negli esposti a prodotti per le pulizie (Tabella II). Otto
soggetti addetti alle pulizie avevano asma; 2 di essi avevano un’ostruzione delle vie aeree, 4 erano in trattamento farmacologico e 6 erano fumatori. In 4 soggetti l’asma era insorta 2-5 anni dopo l’inizio dell’attività
lavorativa di addetto alle pulizie.
CONCLUSIONI
Gli addetti alle pulizie hanno un rischio aumentato di asma. L’uso di
spray per vetri è un importante fattore determinante. La prevalenza dell’asma è più alta nei lavoratori più giovani e questo potrebbe essere spiegato in parte dall’effetto lavoratore sano ed in parte dalla dimostrata
maggiore sensibilizzazione che si verifica durante i primi due-tre anni di
esposizione. Inoltre 3/4 degli asmatici esposti a prodotti per le pulizie
erano fumatori, di solito più numerosi tra i lavoratori a non elevato stato
socio-economico. Nella prevenzione delle malattie respiratorie negli addetti alle pulizie è fondamentale sconsigliare l’utilizzo di prodotti in formulazione spray ed favorire la disassuefazione dal fumo di sigaretta.
Tabella I. Caratteristiche dei soggetti studiati
Soggetti
Addetti alle
pulizie
(n= 126)
Controlli
(n= 107)
Valore
di p
48 (8)
44(9)
0,003
Sesso, n (%)
Maschio
Femmina
9 (7)
117 (93)
40 (37
68 (63)
<0,0001
Abitudine al fumo, n (%)
Non fumatore
Ex fumatore
Fumatore
60 (48)
14 (11)
52 (41)
45 (42)
13 (12)
49 (46)
NS
Età (anni),
media (DS)
DS: deviazione standard NS: non significativo
Tabella II. Fattori determinanti dell’asma in addetti alle pulizie, corretti
per età, sesso, abitudine al fumo e uso di spray per vetri a casa
Determinanti
OR
95% CI
Valore p
Asma
Uso di sprai per vetri al
lavoro ≥ 1 giorno/settimana
19,0
2,1 -159,9
<0,05
5,0
1,2 -21,7
<0,05
Età < 39 anni
BIBLIOGRAFIA
1) Kogevinas M, Zock JP, Jarvis D, Kromhout H et al.. Exposure to
substances in the workplace and new-onset asthma: an international
prospectives population based study (ECRHS-II). Lancet 2007; 370:
336-41.
2) Medina-Ramon M, Zock JP, Kogevinas M, Sunyer J et al.. Short
term respiratory effects of cleaning exposures in female domestic
cleaners. Eur Resp J 2006; 27: 1196-203.
3) Maçãira E de F, Algranti E, Coeli Mendonça EM, Bussacos MA.
Rhinitis and asthma symptoms in non-domestic cleaners from the
São Paulo metropolitan area, Brazil. Occup Environ Med 2007; 64:
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4) Radon K, Gerhardinger U, Schulze A, Zock JP et al.. Occupation and
adult onset of rhinitis in the general population. Occup Environ Med
2008; 65: 38-43.
02
PATOLOGIE CUTANEE E RESPIRATORIE IN UNA CASISTICA
DI ACCONCIATORI: PROBLEMATICHE GESTIONALI E FOLLOW UP
D.M. Andreoli1, I. Altafini2, F. Zannol2, M. Delvecchio1, G. Plebani1,
L. Alessio1, M. Crippa1
1
Sezione di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale - Università degli
Studi di Brescia, Unità Operativa Ospedaliera (UOOML) di Medicina
del Lavoro - Spedali Civili di Brescia, P.le Spedali Civili, 1 - 25123
Brescia
2 SPISAL - Servizio Prevenzione Igiene Sicurezza Ambienti di Lavoro,
Az. ULSS n. 8, Via Forestuzzo, 41 - 31011 Asolo (TV)
Corrispondenza: Dott. Daniele Marco Andreoli, Unità Operativa
Ospedaliera (UOOML) di Medicina del Lavoro - Spedali Civili di
Brescia, P.le Spedali Civili, 1 - 25123 Brescia, Tel +39-0303995896 Fax +39-0303996080 - e-mail: [email protected]
RESPIRATORY AND SKIN DISEASES IN A SAMPLE OF
HAIRDRESSERS: MANAGEMENT AND FOLLOW UP
ABSTRACT. The aim of this study was to evaluate the evolution of
clinical features and some management aspects in 67 hairdressers, with
suspected work-related skin and respiratory symptoms, addressed to two
Out-patients Departments of Occupational Medicine.
Only 16,4% of workers underwent health surveillance and in most
patients lack of knowledge about occupational risks and preventive
measures to be adopted have been ascertained (e.g. only 11 subjects
used appropriate gloves). Almost all the subjects (94%) have been
addressed by the general practitioner. This physician was the main
referent for work-related skin and respiratory symptoms even if he
frequently does not possess information enough to apply specific and
timely diagnostic procedures (e.g. additional patch test with
professional series have been prescribed only in 2 subjects) postponing
the etiological diagnosis and the removal from the exposure. 57 skin
and/or respiratory diseases (85%) were confirmed to be work-related
in particular 36 dermatitis, 7 respiratory disease (asthma and/or
rhinitis) and 14 associated skin and respiratory disease. We could
recall 30 subjects, 50% were still working as hairdressers and 66,6%
reported an improvement of symptoms as the result of the preventive
measures suggested and adopted.
Our data, even if drawn from a small sample, confirm that there are
some lacks in the management of skin and respiratory diseases in
hairdressers and more preventive measures must put in practice.
Key words: acconciatori, patologie occupazionali, prevenzione
INTRODUZIONE
Questo studio si è proposto di riesaminare la casistica di lavoratori
operanti nel settore delle acconciature afferiti, dal Gennaio 2000 al
Giugno 2009, alla UOOML degli Spedali Civili di Brescia ed allo
SPISAL dell’Az. ULSS n°8 di Asolo (TV), al fine di verificare:
1. le modalità di gestione dei pazienti prima dell’invio alle strutture
specialistiche di Medicina del Lavoro (precedenti accertamenti,
committenza, latenza tra comparsa dei sintomi e formulazione della
diagnosi eziologica, livello di informazione sui rischi);
2. l’applicazione e l’efficacia delle misure preventive suggerite, la possibilità di prosecuzione o meno dell’attività lavorativa, l’evoluzione
del quadro clinico;
3. l’eventuale riconoscimento/indennizzo da parte dell’ente assicuratore.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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Questo studio è stato motivato dal fatto che il settore delle acconciature si colloca in Europa fra i cinque a maggior rischio di insorgenza
di dermatiti occupazionali (prevalenza compresa tra 20% e 50% ed incidenza variabile fino a circa 300 nuovi casi/1000 persone/anno) (1, 2, 3,
4, 5). La letteratura scientifica ha inoltre evidenziato un incremento di rischio di insorgenza di sintomi respiratori, con una prevalenza di asma fra
lo 0,4% ed il 15% ed una incidenza stimata in circa 3,9 nuovi casi/1000
persone/anno (6, 7, 8).
SOGGETTI E METODI
Sono stati inseriti nello studio 58 lavoratori afferiti alla UOOML
degli Spedali Civili di Brescia e 9 lavoratori allo SPISAL di Asolo. I dati
relativi ad accertamenti antecedenti alla visita, iter diagnostico e diagnosi
eziologica sono stati estratti dalle cartelle cliniche; i lavoratori sono stati
contattati telefonicamente per acquisire le informazioni relative ai punti
2. e 3. citati nella introduzione. Le informazioni sono state quindi inserite in una banca dati ed elaborate in funzione delle differenti variabili.
RISULTATI
La casistica esaminata è risultata costituita da 67 soggetti di età
media pari a 26 anni (range 14-69, mediana 22), per il 94% femmine; il
94% (63 soggetti) dei lavoratori era stato inviato dal Medico di Medicina Generale; il 16,4% (11) erano sottoposti a sorveglianza sanitaria.
L’anzianità lavorativa media è risultata di circa 9 anni (range 1-32, mediana 6) ed il 70,1% lavorava alle dipendenze. Il 95,5% dei lavoratori riferiva di utilizzare guanti che risultavano adeguati ai rischi solo nel
17,1% dei casi; infatti l’82,8% dei soggetti indossava guanti di latice
con polvere. Solamente il 5,9% (4) utilizzava dispositivi di protezione
per le vie respiratorie. Il 44,7% dei soggetti (30) erano atopici: 20 affetti
da oculorinite allergica e 10 da asma bronchiale; mentre il 5,9% era affetto da dermatite atopica. 42 lavoratori riferivano lesioni cutanee, mediamente da circa 3,3 anni, e limitate alle sole mani nel 47,6% dei casi;
7 soggetti riferivano, in media da circa 6,8 anni, sintomi respiratori
mentre 18 lavoratori lamentavano lesioni cutanee associate a sintomi respiratori. Questi ultimi erano limitati alle prime vie aeree in 11 casi
mentre in 14 interessavano anche le basse vie aeree. Il 64,1% (43) dei
soggetti aveva già eseguito accertamenti allergologici, nel 51,1% dei
casi presso un dermatologo e nel 37,2% presso un allergologo: il 60,4%
(26) aveva eseguito PATCH TEST (in soli 2 casi integrati con la serie
parrucchieri) e/o PRICK TEST ed il 16% (7) RAST. L’iter diagnostico
presso la UOOML e lo SPISAL ha previsto l’esecuzione di PATCH
TEST nel 96,9% dei casi (nel 69,8% Serie Standard e nel 95,2% Serie
parrucchieri); il maggior numero di positività è stato registrato verso
ammonio persolfato (20), potassio persolfato (15), p-fenilendiamina
(15) e nichel solfato (15). Sono stati eseguiti PRICK TEST nel 31% dei
casi, solo in 2 occasioni positivi verso latice. In 15 soggetti su 26 che riferivano sintomi respiratori sono state eseguite PFR (nella norma
nell’80% dei casi) e monitoraggio del PEF, che ha evidenziato significativi decrementi del picco di flusso nel 46,6% dei casi. A conclusione
degli accertamenti sono state formulate 57 diagnosi di tecnopatia: 36 patologie cutanee (23 DAC, 5 DIC e 5 DAC associate a DIC); 7 patologie
respiratorie (3 asma e 3 asma associate a rinite) e 14 patologie cutanee
associate a patologie respiratorie. In tutti questi casi è stato compilato il
I certificato di malattia professionale. È stato possibile ricontattare 30
lavoratori (44,7%): solo 14 (8 dermatiti, 1 asma associato a rinite, 4 dermatiti associate a patologie respiratorie e 1 sensibilizzazione a latice)
avevano inoltrato il certificato all’INAIL, che in 11 casi aveva chiuso la
pratica negativamente (erano state riconosciute 1 sensibilizzazione a latice e 2 dermatiti associate a sintomi respiratori). 15 soggetti (50%) avevano cessato l’attività di acconciatore e solo un lavoratore riferiva comunque persistenza dei sintomi. Nell’ambito dei 15 lavoratori che avevano proseguito l’attività lavorativa il 66,6% aveva notato un miglioramento della sintomatologia, tutti riferivano comunque di aver cambiato
tipologia di guanti (vinile o nitrile), 3 avevano indossato maschere respiratorie, 4 segnalavano l’introduzione di cappe aspiranti e 3 erano stati
sottoposti a sorveglianza sanitaria.
DISCUSSIONE
Benché tratti da una casistica limitata i risultati di questo studio consentono di evidenziare alcune criticità:
1. la sorveglianza sanitaria da parte del Medico Competente in questo
settore è ancora molto scarsa;
29
2.
l’informazione dei lavoratori sui rischi lavorativi è carente, avvalorata dall’uso di DPI inadeguati e dalla lunga latenza tra comparsa dei
sintomi cutanei e/o respiratori e la loro segnalazione al Medico di
Medicina Generale ed il successivo invio a strutture specialistiche di
Medicina del Lavoro;
3. la figura sanitaria di riferimento anche per problemi lavorativi, è il
Medico di Medicina Generale che spesso però non possiede conoscenze specifiche in questo ambito e pertanto può fare scelte non
tempestive e mirate che posticipano la formulazione della diagnosi
eziologica e quindi la riduzione/allontanamento dall’esposizione;
4. la mancanza di sorveglianza sanitaria fa si che intraprendano l’attività lavorativa di acconciatore soggetti ipersuscettibili senza che per
loro vengano applicate le misure preventive adeguate;
5. l’ente assicuratore riconosce ed indennizza solo un numero molto limitato di patologie occupazionali cutanee e respiratorie.
Queste osservazioni devono fare riflettere sulla necessità di promuovere la prevenzione in questo settore lavorativo per garantire una
migliore tutela della salute degli addetti.
BIBLIOGRAFIA
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hairdressers. Med Lav 2005; 96: 102-118.
2) Perkins Jb, Farrow A: Prevalence of occupational hand dermatitis in
U.K. hairdressers. Int J Occup Environ Health 2005; 11: 289-293.
3) Khumalo Np, Jessop S, Ehrlich R: Prevalence of cutaneous adverse
effects of hairdressing. Arch Dermatol 2006; 142: 377-383.
4) Nixon R et al: Knowledge of skin hazards and the use of gloves by
Australian hairdressing students and practicing hairdressers. Contact
Dermatits 2006; 54: 112-116.
5) Lind Ml, Albin M, Brisman J et al: Incidence of hand eczema in female Swedish hairdressers. Occup Environ Med 2007; 64: 191-195
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7) Moscato G, Pignatti P, Yacoub MR et al: Occupational asthma and
occupational rhinitis in hairdressers. Chest 2005; 128: 3590-3598
8) Moscato G, Galdi E: Asthma and hairdressers. Curr Opin Allergy
Cin Immunol 2006; 6: 91-95.
03
IL FOLLOW-UP DELLA FUNZIONALITÀ RESPIRATORIA:
È NECESSARIO SCARTARE LA PRIMA OSSERVAZIONE?
A. Innocenti1, L. Montinaro1, D. Natale1, C. Ciapini2, A. Fedi2
1
U.F. Medicina del Lavoro - USL 3 (Pistoia) Regione Toscana
U.F. Prevenzione, Igiene e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro - USL 3
(Pistoia) Regione Toscana, Via XXIV maggio 8 - 51019 Ponte
Buggianese (PT), Viale Matteotti 19 - 51100 Pistoia
2
Corrispondenza: Montinaro Luigi: tel. 0572 460716, fax 0572 635664,
e-mail:s [email protected]
FUNCTIONAL RESPIRATORY FOLLOW-UP: IS IT NECESSARY
TO IGNORE THE FIRST VISIT?
ABSTRACT. Spirometry-based screening programmes often
conduct assessment of longitudinal changes in FEV1 to identify
individuals with excessive rates of decline.
We studied 327 workers during 13.3 + 2 (mean) years and we
estimated the annual decrement of FEV1 with 3 different methods: linear
regression of observations ignoring the first one (regarded as goldstandard), linear regression of all observations, difference between the
first and last observation.
Annual loss (mL/year) of FEV1 was 36.3 + 22.3 (first observation
deleted), 35.7 + 19.9 (all observations) and 34.9 + 23.3 (first-last
observation) without statistical differences. Nevertheless, when we have
examined the decline of FEV1 at cut-off of 30, 60 and 90 mL/year,
considered important in clinical practice, a misclassification of subjects
was shown when methods of all observations or only first and last
observation were utilized (17 and 35% respectively).
30
Age, height, FEV1/VC ratio, study length or observations number do
not showed differences between workers with first observation lower values
(47,7%) than others (52,3%), while weight and BMI (body mass index)
showed statistical significant difference, even if the reason is unclear.
We conclude that in longitudinal lung function testing the first
observation cannot be considered to identify the true annual decline of FEV1.
Key words: longitudinal analysis FEV1, routine spirometry,
respiratory function tests.
INTRODUZIONE
Quando vengono fatti studi longitudinali sul decremento annuo del
FEV1 è molto importante la precisione della misura in quanto dai valori
rilevati nei singoli casi o nei gruppi di lavoratori possono scaturire importanti decisioni per il lavoratore e/o più o meno onerose bonifiche ambientali. La caduta del FEV1 o della FVC nel tempo viene spesso stimata
semplicemente calcolando la differenza dei volumi polmonari in due successive osservazioni, ma, se il FEV1 e la FVC possono essere misurati
precisamente durante una sessione di prove funzionali la variabilità biologica e tecnica nel tempo rendono la stima del decremento così ottenuto
altamente incerta. Invece la stima del decremento calcolato dalla pendenza della retta ottenuta dagli scarti quadratici medi dei valori derivati
da osservazioni periodiche permette di osservare con maggiore precisione se vi è un decremento eccessivo e di osservare variazioni meno
grossolane.
In letteratura sono presenti numerosi studi da cui risulta che osservazioni trasversali non sono comparabili con osservazioni longitudinali,
ma ve ne è anche uno (1) che ritiene opportuno scartare la prima spirometria nella regressione dei valori del FEV1 in quanto mostrerebbe valori più bassi e fornirebbe quindi un calcolo del decremento annuo inferiore a quello calcolato in base agli altri valori ottenuti nel tempo.
Scopo del presente lavoro è la valutazione della possibile misclassificazione dei soggetti quando si applichino delle fasce di decremento annuo
del FEV1 che sono state messe in evidenza con aumento di mortalità (3).
MATERIALI E METODI
Da un totale di 19747 spirometrie eseguite con uno spirometro
BAIRES (Biomedin - PD) di soggetti maschi con o senza sintomi respiratori sono stati scartati i lavoratori con meno di 25 anni (2), i soggetti
con meno di 6 spirometrie o che non raggiungevano il punteggio 3 nel
controllo di qualità secondo i criteri dello studio PLATINO per complessivi di 327 soggetti.
In questo gruppo di lavoratori è stato calcolato il decremento annuo
del FEV1 con tre differenti metodi: retta di regressione escludendo la
prima spirometria (assunto come gold-standard in questo studio), retta di
regressione con tutte le osservazioni ed anche il decremento rilevato solo
dalla prima e dalla ultima osservazione.
RISULTATI
Il decremento medio (mL/anno) del FEV1 risultante dalla regressione
escludendo la prima spirometria è risultato 36.3 + 22.3, con tutte le osservazioni è risultato 35.7 + 19.9, mentre quello rilevato solo dalla prima
e dalla ultima osservazione è risultato 34.9 + 23.3. Tali differenze non
sono risultate statisticamente significative fra di loro. Andando a ricalcolare la significatività nei 171 soggetti (52.3%) che mostravano un maggiore decremento annuo del FEV1 non inserendo nel calcolo della regressione la prima spirometria (43.7 + 23.3 mL/anno vs 36.8 + 21.7 con tutte
le osservazioni e 32.4 + 24.5 prima-ultima osservazione) le differenze
sono invece risultate sempre statisticamente significative (p <0.0001).
Cercando di evidenziare se esistessero fattori quali l’età, l’altezza, il
peso, il BMI, l’indice di Tiffeneau alla prima visita, la lunghezza dello
studio o il numero di osservazioni che spiegassero la presenza o meno di
valori inferiori di FEV1 alla prima osservazione sono risultati significativi solo un maggior peso (77,8 + 11.1 vs 74.1 + 9.8 p <0.005) ed un maggiore BMI (26.0 + 3.5 vs 25.1 + 2.9 p <0.01) alla prima osservazione, peraltro di difficile interpretazione.
Come si osserva in tab. I andando a vedere come si distribuivano i
soggetti rispetto alle fasce di decremento del FEV1 correlate ad un aumento di mortalità (30, 60, 90 e >90 mL/anno) calcolate secondo il metodo gold-standard si può osservare che il 17% dei soggetti risulta misclassificato quando si inserisca nel calcolo la prima spirometria ed addirittura il 35% mostri errori di classificazione quando il decremento
venga calcolato in base a due sole osservazioni.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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Tabella I. Soggetti classificati in fasce di decremento annuo del
FEV1 secondo differenti modalità di calcolo (descrizione nel testo)
DISCUSSIONE
Dalla analisi dei dati non sembrerebbe possibile affermare categoricamente che negli studi longitudinali deve sempre essere scartata la
prima spirometria, perché il decremento calcolato è inferiore solo nella
metà (52%) dei casi, ma certamente deve essere posta attenzione a questo
fenomeno che può alterare una significativamente corretta identificazione dei rapid fallers. Un limite dello studio può essere dovuto al fatto
che la maggior parte dei soggetti giovani avevano già effettuato in precedenza spirometrie, ma che sono state scartate in quanto non era stata
raggiunta l’età da cui comincia il decremento funzionale.
Anche se risulta casuale ed imprevedibile che la prima spirometria
metta in evidenza valori funzionali inferiori a quelli delle successive, si ritiene tuttavia opportuno, precauzionalmente, calcolare sempre la regressione escludendo i valori ottenuti nella prima prova. A maggior ragione,
da questo studio, si conferma che la utilizzazione di decrementi annui calcolati a notevole distanza di tempo fra due sole osservazioni può risultare
sottostimata e portare ad una discreta misclassificazione dei soggetti
BIBLIOGRAFIA
1) Glindmeyer HW, Diem JE, Jones RN, Weill H: Non-comparability
of longitudinal and cross-sectionnally determined annual change in
spirometry. Am Rev Respir Dis 1982; 125: 544-548.
2) Innocenti A, Fialdini AM, Ciapini C: Anche la scelta e la validazione
dei valori teorici di riferimento sono un problema di qualità della
spirometria. Atti 70° Congresso Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale - Roma 12-15/12/2007. G Ital Med Lav Erg
2007; 29: 450-451.
3) Sircar K, Hnizdo E, Petsonk E, Attfield M: Decline in lung function
and mortality: implications for medical monitoring. Occup Environ
Med 2007; 64: 461-466.
04
TOSSE CRONICA SUL POSTO DI LAVORO: CONSIDERAZIONI
DIAGNOSTICHE A MARGINE DI TRE CASI INSOLITI
G. Pala1,2, P. Pignatti1,2, G. Ferrigno3, S. Tonini3, G. Moscato1,2
1
Servizio Autonomo di Allergologia e Immunologia Clinica, Fondazione
“Salvatore Maugeri”, IRCCS, Istituto Scientifico di Pavia, Italia
2 Centro di Ricerca ISPESL “Fondazione Salvatore Maugeri”,
Laboratorio di Immunoallergologia professionale, Pavia, Italia
3 Scuola di specializzazione in Medicina del Lavoro, Università degli
Studi di Pavia, Italia
Corrispondenza: Dr. Gianni Pala, Sevizio Autonomo di Allergologia e
Immunologia Clinica, Fondazione ‘Salvatore Maugeri’, IRCCS, Istituto
Scientifico di Pavia. Via Maugeri 10 - Pavia, Italia, Telefono: +39 0382
592941, Fax: +39 3082 592086, E-mail: [email protected]
Parole chiave: Bronchite eosinofila, allergia professionale, frazione
esalata dell’ossido nitrico.
CHRONIC COUGH AT THE WORKPLACE: DIAGNOSTIC
REMARKS ON THREE UNUSUAL CLINICAL CASES
ABSTRACT. Non asthmatic eosinophilic bronchitis (NAEB) is one
of most common causes of chronic cough. When it develops as a
consequence of work exposure, it can be considered as a variant of
occupational asthma. Few cases of occupational NAEB have been
described, due both to high- and low-molecular weight-agents. The
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
importance of a correct diagnosis of NAEB is related to some recent
reports suggesting that this condition is rarely self-limiting and the
likelihood of developing asthma should be considered, particularly in
occupational setting since occupational asthma is cause of disability and
has a significant socio-economic impact. In the present paper we
describe two unusual cases of occupational NAEB due to storage mites
and to AP and the first case of occupational non asthmatic neutrophilic
bronchitis due to toluene diisocyanate.
Key words: Eosinophilic bronchitis, occupational allergy, fraction
of exhaled nitric oxide.
31
Tabella I.
INTRODUZIONE
La tosse cronica, che per definizione ha una durata superiore alle 8
settimane, può essere causata o aggravata dall’attività lavorativa (1).
Quando è l’unico sintomo e la radiografia del torace non è dirimente, tra
le possibili cause va considerata la bronchite eosinofila (BE). La BE è
una condizione caratterizzata da tosse cronica ed eosinofilia nell’espettorato, ma senza le caratteristiche funzionali dell’asma (2). La dimostrazione della correlazione con l’attività lavorativa può risultare talvolta problematica, a causa della varietà di stimoli potenzialmente presenti sul posto di lavoro. La BE professionale può essere causata dagli
stessi agenti in grado di causare l’asma professionale. La diagnosi richiede la dimostrazione di eosinofilia (>3%) bronchiale, valutata generalmente tramite l’espettorato indotto (EI) correlata all’esposizione lavorativa e la conferma mediante test di provocazione bronchiale specifico (TPBS) (3, 4).
Sono stati descritti diversi casi di BE professionale dovuti ad agenti
ad alto e basso peso molecolare (3).
MATERIALI E METODI
Nel presente lavoro descriviamo tre pazienti giunti alla nostra osservazione per una storia di tosse cronica correlata al lavoro che sono stati
avviati all’iter diagnostico per la rinite e l’asma professionale. I risultati
dei test hanno permesso di diagnosticare tre casi insoliti di patologie respiratorie professionali.
RISULTATI
Caso 1.
Paziente di 61 anni, ex fumatore ed atopico, dopo 9 anni di lavoro
come panettiere, riferiva la comparsa di tosse stizzosa e prurito faringeo
durante la panificazione e all’interno del locale di stoccaggio delle farine.
La spirometria basale era nella norma, il test con metacolina ed il
test di broncodilatazione negativi. I risultati dei prick test e del dosaggio
delle IgE specifiche nel siero sono riportati nella tabella IA. In particolare il test cutaneo con farina di frumento risultava negativo. Il test dell’EI (4) è stato eseguito al termine di periodi al lavoro/fuori lavoro (Tabella IB). Il paziente è sottoposto a TPBS con farina di frumento con metodica occupazionale. L’esposizione ha determinato l’insorgenza di tosse
stizzosa, senza variazioni significative del VEMS e l’incremento degli
eosinofili nel EI (Tabella IB). Il test con metacolina è risultato negativo
anche dopo il TPBS. Il BAT ha mostrato un’elevata attivazione dei basofili per gli Acari minori, mentre non si è rilevata alcuna attivazione per
farina di frumento (Tabella IA). È stata quindi posta diagnosi di BE professionale da Acari delle derrate (3).
Caso 2.
Donna di 25 anni, fumatrice, due anni dopo aver iniziato a lavorare
come parrucchiera riferiva l’insorgenza di ostruzione nasale e tosse cronica durante l’utilizzo dei decoloranti. I sintomi miglioravano fino a
scomparire al di fuori dal lavoro. La spirometria era nella norma ed il test
con metacolina negativo. I test cutanei risultavano debolmente positivi
per gli Acari e negativi per l’ammonio persolfato (AP) (5). Il TPBS con
AP provocava la comparsa di sintomi nasali e tosse stizzosa, senza variazioni significative del VEMS. Il test con metacolina risultava negativo
anche dopo il TPBS. Prima e dopo l’esposizione all’AP veniva valutata
la frazione esalata dell’ossido nitrico FeNO (6), e l’infiammazione bronchiale nell’EI. L’induzione dell’espettorato non ha prodotto campioni
analizzabili a causa dell’insorgenza di nausea durante la procedura,
mentre i valori del FeNO sono risultati aumentati da 35 ppb prima a 143
ppb 24 ore dopo il TPBS. È stata quindi formulata la diagnosi di rinite
professionale. Inoltre, la storia clinica di tosse cronica correlata all’atti-
* percentuale di basofili che esprimono il CD63; ° Indice di stimolazione (percentuale
di CD63 con l’estratto degli aceri/percentuale di CD63 con tampone di lavaggio); NE:
non eseguito; §Periodo pollinico delle Graminacee; SIC: test di stimolazione specifica.
vità lavorativa, la comparsa di tosse durante il TPBS in assenza di variazioni significative del VEMS e l’aumento del FeNO dopo l’esposizione
all’AP hanno suggerito la diagnosi di BE professionale da AP.
Caso 3.
Donna di 34 anni, ex fumatrice, impiegata in un’industria plastica,
un anno e mezzo dopo l’inizio dell’attività riferiva la comparsa di tosse
sul posto di lavoro. La sua postazione di lavoro era collocata nell’area
produttiva. Dall’analisi delle schede tecniche risultava l’utilizzo di toluendiisocianato (TDI).
La spirometria basale era nella norma, il test con metacolina e con
broncodilatatore negativi. Il TPBS con TDI provocava la comparsa di
tosse secca, senza significative variazioni del VEMS. Il test con metacolina eseguito dopo il TPBS era negativo. L’analisi citologica dell’EI (4)
eseguita prima e dopo il TPBS mostrava un incremento dei neutrofili (da
3.9% a 51.7), e non degli eosinofili (0% sia pre- che post TPBS). È stata
quindi posta diagnosi di bronchite neutrofila professionale da TDI.
DISCUSSIONE
L’introduzione di metodiche affidabili e riproducibili per l’analisi citologica dell’espettorato ha reso possibile l’identificazione di nuove patologie respiratorie professionali. L’importanza di queste metodiche è risultata particolarmente importante nell’iter diagnostico dei pazienti con
tosse cronica correlata al lavoro, tra le cui cause è annoverata la BE.
Nel primo caso, l’incremento degli eosinofili nell’EI dopo esposizione lavorativa e dopo il TPBS, soddisfacevano i criteri per la diagnosi
di BE professionale (3). Il test di attivazione dei basofili, resosi necessario per l’identificazione dell’agente causale, ha provato il ruolo eziologico degli Acari delle derrate e l’assenza di sensibilizzazione alla farina
di frumento.
Nel secondo caso, la misurazione del FeNO ha permesso di porre
diagnosi del primo caso di BE professionale da AP. Tale metodica dovrebbe pertanto essere introdotta nell’iter diagnostico della tosse cronica
correlata al lavoro.
Nel terzo caso è stata dimostrata la relazione tra l’esposizione ad un
noto agente sensibilizzante (TDI) e l’infiammazione bronchiale di tipo
neutrofilo, già provata nell’asma indotta da tale agente (7), senza le caratteristiche funzionali dell’asma, come già descritto nella BE.
32
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La prognosi della BE è incerta, in quanto una parte dei pazienti sviluppano asma e/o ostruzione bronchiale e solo una minoranza si risolve
(2). È perciò importante il riconoscimento precoce di tale patologia per
prevenire le conseguenze mediche e socio-economiche associate all’asma professionale.
Conclusions: Work-exacerbated asthma, although often underdiagnosed, has a relevant socioeconomic impact in term of work disability
when compared with non work-related asthma. The burden of work
related asthma should be always taken into account.
Key words: Work-exacerbated asthma, work disability, asthma.
BIBLIOGRAFIA
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ACCP evidence-based clinical practice guidelines. Chest. 2006; 129:
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Clin Exp Allergy. 1994; 24: 29-34.
INTRODUZIONE
In Italia l’asma bronchiale è caratterizzata da un’elevata morbilità e
da rilevanti conseguenze socio-economiche. L’asma è la patologia professionale respiratoria più comune nei Paesi industrializzati. Si stima che
circa il 15% dei casi di asma nell’adulto sia dovuto ad esposizione lavorativa. Nella popolazione in età lavorativa l’esposizione a fattori di rischio presenti nell’ambiente di lavoro può essere causa di asma bronchiale professionale, ma può anche aggravare un’asma bronchiale non
professionale, generalmente preesistente, delineando la cosiddetta asma
aggravata dal lavoro (1).
In termini economici l’asma ha un enorme impatto sulla sanità
pubblica. Il costo totale della malattia tiene conto dei costi diretti (ricoveri ospedalieri e terapia farmacologica) e di quelli indiretti (morte
prematura o perdita di giornate lavorative). La disabilità lavorativa, definita ad esempio come perdita di giornate lavorative, perdita di produttività o cambio di lavoro/mansione a causa della sintomatologia respiratoria, rappresenta uno tra i principali costi indiretti determinati
dall’asma (2).
Dati recenti riguardanti l’impatto socio-economico dell’asma aggravata dal lavoro rilevano che essa ha un impatto simile all’asma occupazionale sulla produttività e sulla capacità di guadagno ed è associata con
un più alto tasso di sintomi e di esacerbazioni se paragonata all’asma non
correlata al lavoro (3).
Lo scopo di questo studio è di valutare i fattori determinanti la disabilità lavorativa in un gruppo di pazienti asmatici in età lavorativa dell’Italia centrale, con particolare attenzione all’asma esacerbata dall’attività lavorativa.
05
MATERIALI E METODI
Per lo studio sono stati reclutati 257 pazienti affetti da asma bronchiale non professionale, afferenti all’ambulatorio pneumologico della
Sezione di Medicina del Lavoro, Malattie respiratorie e Tossicologia
dell’Università di Perugia. I pazienti sono stati sottoposti ad un questionario telefonico basato su una versione modificata del questionario
utilizzato per lo European Community Respiratory Health Survey
(ECRHS) II, integrato da domande specifiche riguardanti l’asma aggravata dal lavoro.
La diagnosi di asma bronchiale era basata su una sintomatologia
suggestiva e sulla positività al test di broncostimolazione aspecifico
con metacolina o al test di broncoreversibilità farmacologica. I dati riguardanti l’atopia e i parametri di funzionalità respiratoria sono stati ricavati dalle cartelle cliniche ambulatoriali. Come in precedenti studi, i
soggetti che riferivano un peggioramento della sintomatologia asmatica durante l’attività lavorativa sono stati definti come affetti da asma
aggravata dal lavoro. Come indicatori di disabilità lavorativa sono stati
scelti il cambio mansione/lavoro o il licenziamento a causa dell’asma.
In caso di cambio di lavoro o di mansione lavorativa, è stato inoltre
chiesto se il lavoro svolto dopo tale cambiamento fosse più o meno
soddisfacente o remunerativo di quello precedente. Nessun soggetto si
è rifiutato di rispondere alle domande. Per confrontare le variabili categoriche è stato utilizzato il test del χ2 e successivamente un modello
di regressione logistica per valutare l’effetto delle variabili indipendenti sulla prevalenza di disabilità lavorativa. L’attendibilità del modello di regressione logistica è stata verificata tramite il test di HomerLemeshow; valori della p<0,05 sono considerati statisticamente significativi.
IL RUOLO DELL’ASMA AGGRAVATA DAL LAVORO SULLA
DISABILITÀ LAVORATIVA IN UN GRUPPO DI PAZIENTI AFFETTI
DA ASMA BRONCHIALE NON PROFESSIONALE
G. Paolocci, N. Murgia, G. Palumbo, A. Gambelunghe,
M. dell’Omo, G. Abbritti, G. Muzi
Corrispondenza: Paolocci Giulia, Sezione di Medicina del Lavoro,
Malattie Respiratorie e Tossicologia Professionali e Ambientali,
Università di Perugia, Via E. dal Pozzo, 06100 Perugia. Email:
[email protected]
THE ROLE OF WORK EXACERBATED ASTHMA ON WORK
DISABILITY IN A GROUP OF PATIENT WITH NON-OCCUPATIONAL ASTHMA
ABSTRACT. Background: Asthma represents a considerable source
of morbidity and economic burden. Exposures at the workplace can
cause or trigger asthma. Work-exacerbated asthma is a form of workrelated asthma where the occupational exposures are able to aggravate
a pre-existent non-occupational asthma. Recent data have confirmed
that work-exacerbated asthma is associated with a similar impact on
work disability as occupational asthma. The aim of this study was to
investigate the prevalence of work disability in patients with work
exacerbated asthma compared with subject with non work-related
asthma.
Methods: 100 patients with work-exacebated asthma and 157 with
non work-related asthma answered to a questionnaire on asthma and
work disability derived from the European Community Respiratory
Health Survey. Indicators of work disability were change job/task for
respiratory symptoms, and wage or work satisfaction reduction after the
job/task change.
Results: Approximately 7.4% of the work adult population reported
work disability, among patient with work-exacerbated asthma 15% of
subjects changed job/task and 60% of them answered that new job was
less profitable or satisfying.
RISULTATI
Il 7,4% degli intervistati (n = 19) hanno riferito di aver cambiato
lavoro o mansione a causa dell’asma. I soggetti con asma aggravata
dal lavoro (n = 100) riferivano, rispetto a coloro che non presentavano un asma aggravata dal lavoro, più frequentemente un controllo
non ottimale dei sintomi (75,8% vs 43,9%), perdita di giorni lavorativi (35% vs 14,6%) e cambio di attività lavorativa a causa dell’asma
(15% vs 2,5%). Tra i soggetti che hanno riferito un cambio di lavoro
o mansione dovuti all’asma, il 60% degli intervistati ha risposto che
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il lavoro che svolge attualmente é meno soddisfacente o remunerativo
di quello che aveva svolto in precedenza. Coloro che riferivano un
asma aggravata dal lavoro erano a maggior rischio di disabilità lavorativa (OR 7,38; IC 95% 2,10-25,98), mentre i pazienti con una maggiore anzianità lavorativa erano a minor rischio, rispetto ai meno
esperti (OR 0,93; IC 95% 0,87-0,99). L’età, il sesso, l’atopia, i valori
dei parametri di funzionalità respiratoria e un controllo non ottimale
dell’asma non erano associati ad un maggior rischio di cambio lavoro/mansione.
33
06
PROGETTO PM CARE - DIMINUZIONE DELLA FUNZIONALITÀ
RESPIRATORIA IN SOGGETTI ESPOSTI AD AUMENTATI LIVELLI
DI PARTICOLATO URBANO
A.C. Fanetti1, P. Urso2, A. Cattaneo1, S. Fossati1, L. Ruggeri1,
D. Cavallo2, P. Carrer1
1
DISCUSSIONE
I dati che emergono da questo studio preliminare confermano che
l’asma aggravata dal lavoro è uno dei principali determinanti della disabilità lavorativa per malattie respiratorie nella popolazione in età lavorativa. In uno studio analogo una percentuale maggiore di pazienti
con asma esacerbata dal lavoro presentava disabilità lavorativa (54%),
ma in questo caso il campione era stato selezionato tra i soggetti asmatici che erano stati riferiti ad un centro di medicina del lavoro di II livello per sospetta asma professionale, risultando negativi al test di
provocazione bronchiale specifico. Nello stesso studio la percentuale
di soggetti con disabilità lavorativa tra i lavoratori che avevano presentato un test di provocazione bronchiale specifico positivo era molto
più elevata (72%) (4). Analogamente, in Inghilterra il 65% dei soggetti
con asma aggravata dal lavoro ha riferito disabilità lavorativa in termini di perdite economiche e il 38% ha dovuto lasciare il lavoro (5).
Tra tutti i soggetti asmatici, indipendentemente dalla presenza di sintomi correlati al lavoro, in questo studio è stata osservata una prevalenza minore di disabilità lavorativa (7,4%) rispetto ad un gruppo di
lavoratori statunitensi (19%) e ad un gruppo di lavoratori svedesi studiati tramite lo ECRHS (13%) (6, 7); una spiegazione di tale disomogeneità dei dati potrebbe risiedere nelle numerosità dei campioni dei 3
studi e dalla differente dinamicità del mondo del lavoro nelle 3 nazioni
considerate.
In accordo con gli studi prima citati l’asma esacerbata dal lavoro
è stata definita solo su base anamnestica (6, 7). Questa definizione potrebbe rappresentare un limite in quanto alcuni pazienti classificati
come affetti da asma aggravata dal lavoro potrebbero presentare
un’asma professionale non sottoposta ad ulteriori accertamenti, ma la
provenienza dei pazienti (ambulatorio pneumologico gestito da medici
specializzati in medicina del lavoro) dovrebbe aver minimizzato
questo rischio. D’altra parte selezionare solo i soggetti negativi al test
di provocazione specifico come in altri studi (4) avrebbe potuto far
correre il rischio di un recall bias in lavoratori con un sospetto di malattia professionale. In conclusione, questo studio conferma che, anche
in Italia, la disabilità lavorativa causata dall’asma rappresenta un problema molto rilevante nella popolazione in età lavorativa ed è correlata soprattuto a fattori di rischio presenti negli ambienti di lavoro più
che a fattori intrinseci riguardanti la gravità e il controllo della patologia stessa.
BIBLIOGRAFIA
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common - a systematic analysis of estimates of the population-attributable fraction. BMC Pulm Med. 2009 Jan 29; 9: 7
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Torén K. Asthma-related work disability in Sweden. Am J Resp Crit
Care Med 1999; 160: 2028-33.
Università degli Studi di Milano - Dipartimento di Medicina del
Lavoro - Sezione Ospedale Sacco - Via Grassi 74 - Milano
2 Università degli Studi dell’Insubria Dipartimento di scienze chimiche
e ambientali - Via Valleggio, 11 - Como
Corrispondenza: Anna Clara Fanetti, Università degli Studi di Milano Dipartimento di Medicina del Lavoro - Sezione Ospedale Sacco - Via
Grassi 74 Milano, email: [email protected]
Parole chiave: particolato atmosferico, funzionalità respiratoria,
esposizione personale.
PM CARE PROJECT - RESPIRATORY FUNCTION DECREASE IN
SUBJECTS EXPOSED TO INCREASED LEVELS OF PARTICULATE
MATTER
ABSTRACT. Increased levels of particulate matter (PM) are
associated with increased mortality and morbidity due to respiratory
diseases. Mechanisms responsible for these effects are not fully
understood, however it is known that exposure to PM leads to
inflammation at local and systemic levels. Aim of the study is to examine
the acute effects of PM exposure in three groups: one diagnosed with
cardiovascular disease, one with respiratory disease and one healthy.
The studied population included 18 subjects diagnosed with COPD and
asthma, 34 with ischemic heart disease and 27 healthy subjects.
Personal exposure assessment was executed on two occasions during
winter and summertime. Spirometry was executed after exposure
assessment. Statistical analysis was run to determine the association
between spirometry parameters and PM exposure. Mean age of the
population was 64 (± 10 years). An inverse association statistically
significant (p< 0.05) was observed between exposure to fine PM and
FEV1. A 12-hour lag effect between PM exposure and FEV1 decrease
was observed as well (p< 0.05). This is one of the first studies analysing
the association between personal PM exposure and the onset of adverse
health effects. The main result deals with an inverse association between
fine PM and FEV1 decrease.
INTRODUZIONE
Aumentati livelli di inquinamento urbano da particolato atmosferico (PM) sono stati associati ad aumentata mortalità e morbilità per
malattie respiratorie e cardiovascolari. I meccanismi responsabili di
questi effetti non sono completamente noti, anche se vi è evidenza che
l’esposizione a PM può esitare nell’attivazione dell’infiammazione a
livello locale e sistemico. L’attivazione di mediatori dell’infiammazione, quali interleuchine (IL-4, IL-5, IL-6, IL-10, e IL-13) e GM-CSF
(granulocyte-macrophage colony-stimulating factor), può determinare
lo sviluppo o la progressione della bronco-pneumopatia-cronica-ostruttiva (BPCO) e l’esacerbazione della malattia asmatica. La formazione
di radicali liberi e lo stress ossidativo giocano un altrettanto importante
ruolo in questo processo.
MATERIALI E METODI
Lo studio esamina gli effetti acuti dell’esposizione a PM in 3 gruppi
di soggetti affetti rispettivamente da malattia cardiovascolare (34 soggetti), malattia respiratoria (18 soggetti) e in un gruppo di cosiddetti sani,
non affetti dalle patologie precedentemente indicate (27 soggetti). La valutazione dell’esposizione personale a PM è stata eseguita nelle 24 ore
precedenti l’esame.. I parametri ambientali sono stati misurati due volte,
in estate e in inverno per lo stesso soggetto e hanno incluso la determinazione del particolato fine (PM2.5), ultrafine (PM0,1) e grossolano
(PM10).
La misurazione dei parametri clinici ha incluso l’esecuzione di spirometria.
34
L’analisi statistica è stata effettuata mediante modelli misti per verificare una relazione tra PM e FEV1.
Lo studio esamina la relazione tra volume forzato espiratorio al 1 secondo (FEV1) e l’esposizione media personale a PM nelle 24 ore precedenti l’esame (esposizione giorno e notte); la relazione tra FEV1 e l’esposizione media personale a PM nelle 12 ore precedenti l‘esame (esposizione notte); l’effetto lag tra l’esposizione personale media di 12 ore a
PM, avvenuta 12 ore precedentemente alla esecuzione della spirometria
(esposizione giorno) e il FEV1.
RISULTATI
L’età media della popolazione studiata è risultata di 64 (± 10 anni).
I maschi rappresentano il 65% della popolazione. Per i risultati della valutazione dell’esposizione a PM si veda il contributo presentato da Ruggeri et al.
Per quanto riguarda l’analisi del FEV1, lo studio ha osservato una
associazione inversa, statisticamente significativa (p<0.05), tra l’esposizione media personale nelle 24 ore a particolato fine e il parametro spirometrico. Nessuna associazione è risultata tra esposizione notturna di 12
ore a PM e FEV1. L’esposizione a particolato fine, valutata 12 ore prima
dell’esecuzione della spirometria, al fine di evidenziare l’effetto lag, è risultata inversamente associata al FEV1(p< 0.05).
DISCUSSIONE
Questo studio è tra i primi ad analizzare l’associazione tra esposizione personale a PM e lo sviluppo di effetti avversi sulla salute. Il monitoraggio personale ha permesso di caratterizzare la reale esposizione
dei soggetti, tenendo conto anche dell’esposizione che avviene negli ambienti confinati, nei quali la popolazione soggiorna per oltre il 90% del
proprio tempo.
Il risultato principale dello studio è rappresentato dalla presenza
di una relazione inversa tra l’esposizione al PM fine e il FEV1. Lo
studio ha inoltre evidenziato la presenza di un effetto lag tra l’esposizione al PM e la comparsa degli effetti sulla funzionalità respiratoria.
È noto che la componente fine del particolato contiene prodotti di
combustione insieme a allergeni. È possibile pertanto ipotizzare la
presenza di un ruolo pro-infiammatorio svolto dalla frazione fine delle
particelle, unitamente a un’azione su base allergica nei soggetti predisposti.
BIBLIOGRAFIA
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Am Thorac Soc. 2008; 5(5): 577-590.
Il presente studio è stato cofinanziato dal Ministero dell’Istruzione,
della Università e della Ricerca (PRIN 2004, area 06, n. 30) e da Fondazione Cariplo (Progetto TOSCA).
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07
ANALISI DI UN CAMPIONE DI POPOLAZIONE GENERALE
AFFETTA DA ASMA BRONCHIALE E RELAZIONE
CON L’ATTIVITÀ LAVORATIVA
D. Bartoli1, D. Talini2, T.E. Iaia1, P. Del Guerra1, M. Pinelli2,
A. Ciberti2, G. Manuli2, M. Lemmi2, A. Innocenti3, A. Cerrano4,
F. Di Pede5, L. Carrozzi6, P.L. Paggiaro6
1
2
3
4
5
6
U.O. Prevenzione Luoghi di Lavoro USL 11 Empoli
U.O. Prevenzione Luoghi di Lavoro USL 5 Pisa
U.O. Prevenzione Luoghi di Lavoro USL 3 Pistoia
U.O. Prevenzione Luoghi di Lavoro USL 7 Siena
Istituto di Fisiologia Clinica CNR Pisa
Dipartimento Cardiotoracico Università di Pisa
Corrispondenza: Alessandro Ciberti, U.F. Prevenzione Luoghi di
Lavoro USL 5 Galleria Gerace, 14 Pisa, [email protected],
[email protected]
WORK RELATIONSHIP AMONG A GENERAL ASTHMA CLINIC
POPULATION
ABSTRACT. To find the impact of occupational exposure to irritants
or sensitizers on the occurrence, recurrence and worsening of asthma
and to identify unrecognized cases of occupational asthma in a general
asthma clinic population sample, we studied 768 subjects (age: 16-46
yrs) with a diagnosis of asthma and a current or previous occupational
activity. A trained survey worker administered a computer assisted
interview in order to collect data on their demographic characteristics,
smoking history, asthma severity, treatment, work history and current
work status.
Current or previous work did not appear to affect the severity of
asthma, though more activtiy limitations were observed among subjects
with current work (p=0.02).
Overall, subjects who reported symptoms from Work Related Asthma
(WRA), when compared to subjects without WRA, more frequently
(p<0.05) reported having more severe symptoms, assuming antiasthmatic therapy, and having changed their job because of
their asthma.
With regard to their occupational history, subjects with WRA were
more likely to work, or having worked in the past, in jobs at higher risk
of exposure to occupational risk factors (sector, p=0.05; job title, p=0.001,
respectively).
Our findings suggest that additional studies are needed to detect
factors that may hinder the recognition of WRA.
Key words: epidemiology, asthma, occupational exposure
INTRODUZIONE
L’asma è una malattia diffusa ed è frequente causa di non idoneità al
lavoro in quanto a differenza di molte malattie croniche colpisce di solito
fasce di età in cui è più rappresentata la forza lavoro. Il suo impatto può
determinare limitazioni lavorative o addirittura la perdita del posto di lavoro (1). D’altra parte l’asma può essere causata anche dall’esposizione
professionale o esacerbata ed aggravata da essa; si stima che dal 5 al 15%
dei casi di asma siano di origine professionale (2), mentre il peggioramento della sintomatologia asmatica indotto dall’attività lavorativa svolta
è riportato dai vari autori nel 16-25% degli asmatici (3, 4). Nonostante ciò
l’importanza del fattore occupazionale è ancora sottovalutato, anche se il
riconoscimento dei fattori di rischio e l’intervento su questi, rappresentano tappe fondamentali nel controllo della patologia. Allo scopo di valutare l’impatto dell’esposizione lavorativa ad agenti irritanti o sensibilizzanti sull’insorgenza, la recidiva e il peggioramento dell’asma ed identificare casi non riconosciuti di asma occupazionale, è stato esaminato un
campione di popolazione generale di un vasto territorio della Toscana
estratto dagli elenchi ASL degli esenti ticket per patologia asmatica.
MATERIALI E METODI
1280 soggetti appartenenti all’Anagrafe degli Esenti Ticket per Asma
delle ASL coinvolte e con età compresa fra i 15 ed i 46 anni sono stati contattati telefonicamente da personale medico o infermieristico; 919 (71,8%)
di questi hanno accettato di partecipare allo studio e sono stati quindi con-
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35
vocati in ambulatorio. A ciascun soggetto è stato somministrato un questionario computerizzato, della durata media di circa 20 minuti, mirato alla raccolta di dati anamnestici relativi a: caratteristiche demografiche, abitudine
al fumo di sigaretta, stato generale di salute, patologie respiratorie e cardiovascolari, gravità dell’asma, terapia farmacologica in atto, attività lavorativa
attuale e pregressa e la sua relazione con la patologia respiratoria. Sulla base
delle informazioni raccolte i soggetti che lavoravano o avevano lavorato
sono stati classificati in differenti categorie di rischio professionale (non a
rischio, a basso ed alto per l’apparato respiratorio) sulla base della codifica
del settore lavorativo e della mansione riferiti (ATECO-07, ISFOL) e della
valutazione operata da un panel di esperti. La risposta positiva ad una serie
di domande del questionario indirizzate alla valutazione della correlazione
dei sintomi asmatici con l’attività lavorativa permettevano poi di codificare
l’“asma correlato al lavoro” (WRA: Work Related Asthma).
RISULTATI
Dei 919 soggetti esaminati 768 lavoravano (88.9%) o avevano lavorato solo in passato (11.1%), di questi la maggior parte era costituita da
femmine, la cui età media risultava significativamente più elevata di quella
dei maschi (35.3 vs 33.6, p=0.02), e non aveva mai fumato (Tabella I).
Nel sottocampione esaminato elevata risultava la prevalenza di rinite, modesta era invece quella dei sintomi compatibili con bronchite
cronica. La maggior parte di questi soggetti era seguita regolarmente dal
medico per i sintomi di asma, la cui severità, valutata sulla base della frequenza e dell’intensità dei sintomi, delle riacutizzazioni e della limitazione all’attività fisica riferiti al questionario, era da considerarsi mella
maggior parte dei soggetti di grado lieve (5).
Suddividendo i soggetti fra chi lavorava attualmente e chi aveva lavorato solo in passato, non si rilevava differenza significativa fra i due gruppi
per quanto riguardava la severità dell’asma, fatta eccezione per la limitazione all’attività fisica che veniva riferita soprattutto dai soggetti al lavoro
rispetto a quelli che avevano lavorato solo in passato (41.6% vs 54.3%, p=
0.022). Il 33.9% dei soggetti che lavoravano o avevano lavorato riferiva al
questionario sintomi compatibili con asma correlata al lavoro (WRA, work
related asthma). Suddividendo i soggetti fra chi riferiva e non riferiva
WRA, i soggetti con WRA riferivano una maggiore gravità della malattia,
una maggiore assunzione di farmaci antiasmatici, ed in genere riferivano
di aver cambiato lavoro a causa della malattia. In genere i soggetti con
WRA erano al lavoro al momento della valutazione (Tabella II).
Prendendo in considerazione i settori e le mansioni lavorativi e suddividendo sulla base di questi i soggetti in: non a rischio, a basso e ad alto
rischio per l’asma occupazionale, i soggetti con WRA lavorano o avevano
lavorato in settori e mansioni a più alto rischio lavorativo (Figura 1).
DISCUSSIONE
In accordo con precedenti studi epidemiologici, si conferma che una
discreta percentuale di soggetti asmatici riferisce sintomi compatibili con
“work related asthma” e che una buona quota di questi riferisce l’abbanTabella I. Caratteristiche dei soggetti asmatici
che lavoravano e/o avevano lavorato
N.
%
N. sogg. lavoratori
768
Attualmente al lavoro
683
88.9
Lavoro solo in passato
85
11.1
M/F
354/414
Età
34.5+7.2
Abitudine al fumo
si
167
21.9
ex
153
20.1
no
442
58.0
Rinite
533
71.6
Tosse abituale
278
37.4
Espett. abituale
194
25.3
Dispnea
263
36.1
Reg. controllo medico
461
62.1
Tabella II. Confronto fra le caratteristiche principali dei soggetti
che riferivano e non riferivano sintomi di WRA
Figura 1. Distribuzione dei soggetti con e senza WRA nei settori e
nelle mansioni lavorativi suddivisi sulla base del rischio professionale
per asma
dono del posto di lavoro a causa dell’asma. Ciò può suggerire sia il ruolo
determinante di fattori scatenanti presenti in ambito occupazionale sia
una maggiore suscettibilità di questi soggetti. Tuttavia il fatto che buona
parte di questi soggetti riferisca di lavorare o aver lavorato in settori lavorativi e in mansioni noti per un’evidente relazione con lo sviluppo di
asma professionale, suggerisce un ruolo determinante dell’ambiente di
lavoro nell’aggravamento di una patologia asmatica.
È quindi necessario aumentare il livello di attenzione alla relazione fra
patologia asmatica e attività lavorativa, sia implementando la sorveglianza
sanitaria svolta da parte dei Medici Competenti di idonei strumenti e metodi,
sia inserendo nell’attività istituzionale dei Dipartimenti della Prevenzione indagini di ricerca attiva mirate a particolari patologie e/o settori lavorativi.
BIBLIOGRAFIA
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36
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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08
STUDIO DEL METABOLISMO DELLA FOSFATIDILSERINA
E DEGLI EFFETTI CITOTOSSICI IN CELLULE EPITELIALI
BRONCHIALI UMANE ESPOSTE A POLVERI DI LEGNO
A. Gambelunghe1, S. Buratta2, G. Ferrara2, R. Mozzi2, N. Murgia1,
G. Muzi1, G. Abbritti1
1Medicina
Sezioni di:
del Lavoro, Malattie Respiratorie e Tossicologia
Professionali e Ambientali, Dipartimento di Medicina Clinica e
Sperimentale Università degli Studi di Perugia, Piazzale G. Menghini 3,
06123, Perugia; 2Biochimica, Dipartimento Medicina Interna,
Università degli Studi di Perugia, Via del Giochetto, 06123, Perugia
Corrispondenza: Dott.ssa Angela Gambelunghe
E-mail: [email protected]
PHOSPHATIDYLSERINE METABOLISM DURING WOOD DUSTINDUCED CELL DEATH IN HUMAN BRONCHIAL EPITHELIAL
CELLS
ABSTRACT. Mechanisms involved in the induction of acute and
chronic diseases (i.e. carcinogenesis) associated with exposure to wood
dust (WD), have not yet been clarified. The production of reactive oxygen
species (ROS) and the activation of an apoptotic cascade of caspases are
events involved in cell damage induced by WD and ROS can damage
cells by lipid peroxidation. Phosphatidylserine (PS) exposure on the
external surface of the membrane is an event of programmed cell death;
apoptotic stimuli modify PS metabolism in several cell types. In the
present study, we investigated different WD (spruce, pine, beech, oak,
teak) evaluating their capability to induce cell death and to modify PS
metabolism in human bronchial epithelial cells (BEAS-2B).
Exposure for 2 and 6 h of BEAS-2 B to different concentrations (50500 μg/ml) of pine, birch, oak, beech dusts decreased cell viability,
whereas dust from teak did not. We also observed changes in nuclear
morphology, reduced PS radioactivity and also conversion of newly
synthesised PS to phosphatidylethanolamine in pine dusts-treated cells.
This study demonstrates that hard and soft WD induces cytotoxicity
and modifies PS metabolism, probably through induction of oxidative
stress. Alterations of cellular components (i.e. phospholipid membrane)
could evoke a cascade of events leading to apoptosis. Our data suggest
a possible mechanism of WD toxicity in human airway epithelial cells.
Key words: wood dust, phosphatidylserine, apoptosis.
INTRODUZIONE
Alla polvere di legno (PL) è attribuito un effetto sensibilizzante a carico della pelle e del sistema respiratorio (1). L’esposizione professionale a
PL è responsabile di diverse patologie acute e croniche, compresa la cancerogenesi i cui meccanismi d’induzione non sono ancora stati chiariti (2).
Analisi morfologiche condotte su cellule epiteliali bronchiali umane hanno
mostrato che particelle fini interagiscono con la superficie cellulare, dove
inducono alterazioni; una volta internalizzate (3) provocano un aumento
della produzione di ROS con attivazione di vie di trasduzione che portano
all’apoptosi. In cellule epiteliali bronchiali umane (BEAS-2B) le PL inducono la produzione di ROS e attivazione della caspasi 3 (4). La fosfatidilserina (PS), fosfolipide normalmente presente sul foglietto interno della
membrana plasmatica, viene esposto, in alcuni casi dopo essere stata ossi-
data (5), sulla superficie delle cellule apoptotiche costituendo un segnale di
riconoscimento ed eliminazione per i macrofagi. (5). Lo studio del metabolismo della PS durante l’apoptosi è importante anche per la capacità della
PS di modulare l’attività di proteine coinvolte nella segnalazione cellulare.
Scopo dello studio era valutare la capacità di differenti PL di indurre morte
cellulare e di modificare il metabolismo della PS, espressione di alterazione
della componente fosfolipidica della membrana, in cellule BEAS-2B.
MATERIALI E METODI
Cellule BEAS-2B sono state coltivate in terreno specifico (BEBM,
Clonetics) e mantenute in atmosfera al 5% di CO2 a 37 °C. Per valutare
la vitalità cellulare, le cellule sono state esposte per vari periodi (2 e 6
ore) a varie concentrazioni (50-500 µg/ml) di PL (abete, pino, faggio,
quercia, teak) fornite dal Finnish Institute of Occupational Health),
quindi è stata misurata la trasformazione di un sale tetrazolico (MTT) in
cristalli di formazano nelle cellule metabolicamente attive mediante
spettrofotometria. L’effetto delle polveri di pino sul metabolismo della
PS è stato studiato incubando le cellule per 6 ore con diverse concentrazioni di polveri di pino (100-500 µg/ml). L-[3H]serina era aggiunta 2
ore prima del termine dell’incubazione. L’estrazione lipidica, la separazione dei fosfolipidi mediante cromatografia bidimensionale su strato
sottile e la misura della radioattività nella PS, fosfatidiletanolamina (PE)
e fosfatidilcolina (PC) sono state condotte come riportato in altri studi
(6). È stata inoltre valutata la condensazione della cromatina, con la colorazione DAPI (4,6-diammino-2-fenilindolo), in cellule incubate per 6
ore in assenza o in presenza di polveri di pino, mediante microscopia a
fluorescenza.
RISULTATI
Vitalità cellulare: Tutte le PL testate in questo studio, tranne le polveri
di teak, diminuivano la vitalità delle cellule BEAS-2B dopo 6 ore di esposizione (Fig. 1). Dopo 2 ore, la citotossicità era meno evidente (dati non riportati). L’analisi mediante colorazione DAPI ha evidenziato la presenza
di eventi apoptotici in cellule trattate con 500 μg/ml di polveri di pino.
Metabolismo della PS: Le polveri di pino diminuivano in modo dosedipendente la radioattività nella PS (Fig. 2A). Tale trattamento riduceva
inoltre la capacità delle cellule di decarbossilare la PS neosintetizzata, valutata dal rapporto tra la radioattività nella PE e quella nella PS (Fig. 2B).
DISCUSSIONE
In questo studio abbiamo valutato gli effetti sulla vitalità delle cellule
BEAS-2B di PL di diverse specie arboree largamente utilizzate nell’industria del legno quali faggio e quercia, come specie rappresentanti la classe
dei legni duri, ed il pino e abete, come specie comune di conifere, e teak
come rappresentante dei legni duri tropicali,. La grandezza delle particelle
non superava i 50 μm (4). Tutte le PL testate in questo studio, tranne il
teak, diminuivano la vitalità delle cellule BEAS-2B per brevi tempi d’esposizione. La citotossicità esercitata dalle polveri di pino sembra essere
dovuta ad eventi apoptotici. Tali risultati sono confrontabili con quelli ottenuti da studi condotti sullo stesso modello cellulare che hanno dimostrato che le polveri di pino, betulla e quercia sono in grado di ridurre la
vitalità cellulare, aumentare la produzione di ROS e indurre apoptosi (4).
In questo studio si è osservata una diminuzione della sintesi di PS in cellule BEAS-2B esposte a polveri di pino. Il trattamento con le polveri di
pino esercita un altro effetto sul metabolismo della PS, che appare strettamente connesso con i danni che l’esposizione a tali polveri potrebbero
provocare a livello mitocondriale. Infatti, l’esposizione a polveri di pino
riduce la capacità delle cellule di decarbossilare a livello mitocondriale la
Figura 1. Effetto dell’esposizione a diverse PL per 6 ore sulla vitalità delle cellule BEAS-2B valutata mediante saggio MTT. Percentuale di cellule
vitali: rapporto tra media dell’assorbanza di cellule trattate e media dell’assorbanza di cellule di controllo
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Figura 2. Effetto dell’esposizione alle polveri di pino sulla sintesi (A)
e sulla decarbossilazione della PS (B) in cellule BEAS-2B. Cellule di
controllo e cellule trattate con polveri di pino (100-500 μg/) incubate
con L-[3H]serina. Radioattività nella PS espressa come dpm;
decarbossilazione della PS: rapporto tra la radioattività nella PE e
quella nella PS
PS in PE. Studi successivi prenderanno in considerazione anche l’effetto
su apoptosi e metabolismo della PS delle altre PL.
In conclusione, i nostri risultati dimostrano che PL duro e soffice
provocano fenomeni citotossici e modifiche del metabolismo della PS,
verosimilmente legati all’induzione da parte delle PL di stress ossidativo.
Tali processi, alterando il delicato equilibrio cellulare (compreso l’assetto dei fosfolipidi di membrana) conducono a danno cellulare e apoptosi e sembrano chiarire in parte la tossicità indotta dalle PL a carico dell’apparato respiratorio in soggetti professionalmente esposti.
BIBLIOGRAFIA
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2002; 520(1-3): 68-72.
09
SORVEGLIANZA SANITARIA IN 90 VIGILI DEL FUOCO ESPOSTI
AI FUMI D’INCENDIO DI UNA DISCARICA DI RIFIUTI SPECIALI
I. Folletti, A. Bussetti1, M. Armadori1, G. Gualtieri2, P. Politi3,
V. De Matteis4, A. Siracusa
Dip. di Medicina Clinica e Sperimentale, Sez. di Allergologia
Professionale e Ambientale, Università degli Studi di Perugia
1 Medico Competente, Narni
2 Sez. di Medicina Legale, Università degli Studi di Perugia
3 Medico Chirurgo, Foligno
4 Medico Chirurgo, Terni
Corrispondenza: Gualtiero Gualtieri [email protected]
Parole chiave: funzionalità respiratoria, vie aree superiori, esposizione a fumi di incendio.
37
HEALTH SURVEILLANCE IN 90 FIREFIGHTERS EXPOSED TO
LANDFILL FIRE SMOKE
ABSTRACT. Background. Firefighters are exposed to fire smoke
containing contaminants including NOx, SO2, CO, benzene and
benzo(a)pirene. Upper and lower respiratory symptoms may occur after
exposure. Lung function decline in firefighters was documented,
especially after exposure to a prolonged duration of fire. The aim of this
study was to asses the prevalence of upper and lower respiratory
symptoms and systemic effects in 90 firefighters exposed to landfill fire
smoke.
Subjects and methods. We carried out a cross-sectional study in 90
firefighters who in July 2009 fighted for 30 days the landfill fire. A month
after the end of the fire we performed questionnaire, spirometry and
blood tests. Environmental monitoring of NOx, SO2, CO, benzene and
benzo(a)pirene was also performed.
Results. Firefighters directly involved in fighting the fire for a
cumulative time greater than 10 hours had higher prevalence of acute
upper airway and eyes irritative symptoms than those not involved in
fighting the fire (OR 2.9, IC 1.03-8.1 p< 0,05). Lung function and blood
test results were within normal limits. The level of benzene and
benzo(a)pirene during fire was above the environmental limit values.
Conclusion. Firefighters with a prolonged exposure to landfill fire
smoke may have high prevalence of acute upper airway and eyes
irritative symptoms. Recording respiratory symptoms and monitoring
environmental contaminants during and after fire are warranted.
Key words: lung function, upper airway, fire smoke exposure.
INTRODUZIONE
I vigili del fuoco sono esposti a diversi rischi lavorativi quali lo
stress, il lavoro a turni e i fumi d’incendio di varia natura. I fumi d’incendio determinano un’esposizione ripetuta, generalmente per brevi periodi, a varie sostanze chimiche, quali particelle di carbone ricoperte con
acidi, aldeidi ed acroleina e gas surriscaldati irritanti (HCl, SO2, NOx,
NH3) asfissianti (CO2) e tossici cellulari (CO, H2S, HCN).
In alcuni studi è stato evidenziato che l’esposizione ai fumi d’incendio durante molti anni di lavoro possa essere correlata con alterazioni
della funzione polmonare. Inoltre, sono stati studiati i vigili del fuoco
che, in seguito al crollo delle torri gemelle nel 2001, hanno prestato il
soccorso ed hanno avuto un’elevata esposizione alle polveri generate dal
crollo; in essi si è evidenziato un declino della funzione polmonare, maggiormente evidente nei non fumatori, che è ancora presente a distanza di
7 anni dal grave evento del 2001. Nel 2009, i vigili del fuoco di Terni
sono stati impegnati per circa 30 giorni allo spegnimento di un incendio
di una discarica per rifiuti speciali, costituiti per la maggior parte da componenti di auto demolite, con esclusione delle componenti metalliche. Lo
scopo di questo studio era di valutare la prevalenza di sintomi respiratori
e sistemici nei vigili del fuoco addetti allo spegnimento di questo incendio.
SOGGETTI E METODI
Abbiamo condotto uno studio epidemiologico su 90 vigili del fuoco
di Terni, Orvieto e Amelia che nel mese di Luglio 2009 sono stati addetti,
per circa 30 giorni, allo spegnimento di un grande incendio presso una
discarica dove erano stoccati rifiuti speciali. I rifiuti erano parti di auto
rottamate con esclusione delle carcasse in metallo. In particolare si trattava di materiale plastico, tessile e poliuretanico. I 90 vigili sono stati intervistati un mese dopo l’evento, mediante questionario volto a rilevare
l’esposizione a fumi d’incendio ed eventuali sintomi insorti in seguito ad
essa. È stata valutata la funzionalità polmonare mediante spirometria e
tutti i vigili sono stati sottoposti a esami ematochimici di routine. Inoltre,
è stato fatto il monitoraggio ambientale dell’aria, nella zona dell’incendio, valutando l’NOx, l’SO2, il CO, il benzene e il benzo(a)pirene.
RISULTATI
I vigili del fuoco addetti alle operazioni di spegnimento dell’incendio hanno presentato in oltre il 50% dei casi almeno un sintomo irritativo delle prime vie aeree e delle congiuntive. Nessuno ha avuto sintomi riferibili alle basse vie respiratorie. I vigili del fuoco che hanno eseguito gli interventi di spegnimento sono risultati esposti ai fumi d’incendio per più ore rispetto a quelli addetti ad altre mansioni, come il
rifornimento di acqua e il coordinamento dello spegnimento dell’incendio. Pochi soggetti hanno avuto sintomi sistemici, quale nausea. Nes-
38
Tabella I. Caratteristiche e sintomi in 90 vigili del fuoco intervenuti
in un incendio di una discarica per rifiuti speciali
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INQUINAMENTO URBANO
01
INQUINAMENTO ATMOSFERICO E LAVORATORI ESPOSTI:
STUDIO OSSERVAZIONALE SU UNA COORTE DI AGENTI
DI POLIZIA MUNICIPALE DEL COMUNE DI GENOVA
A. Traverso1, F. Anzuini1, F. Lantieri2, F. Pampaloni3,
M. Beggiato4, G. Vestri4
1
DIMEL, Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Genova
DISSAL, sezione di Biostatistica, Università degli Studi di Genova
3 Comune di Genova, Settore Sicurezza Aziendale e Direzione Corpo
Polizia Municipale
4 A.R.P.A. Liguria, UTCR
2
suno ha avuto bisogno di visita medica. Il 40% dei soggetti era fumatore
e l’abitudine al fumo o la condizione di ex-fumatore non erano associate
con la presenza di sintomi respiratori o sistemici. Il FEV1 è risultato in
media pari al 102% del valore teorico, e non era modificato rispetto ai
valori di due anni prima (2007). Tutti i vigili del fuoco hanno riferito di
aver utilizzato i dispositivi di protezione individuale (DPI). L’analisi mediante il modello della regressione logistica ha evidenziato che l’esposizione ai fumi d’incendio superiore a 10 ore era un significativo fattore
determinante per l’insorgenza di sintomi irritativi delle prime vie aeree e
delle congiuntive, nonostante l’uso di DPI. In particolare, i soggetti addetti allo spegnimento dell’incendio per più di 10 ore hanno avuto maggiori sintomi irritativi al retrofaringe e alle congiuntive (OR 2,9, IC 1,038,1, p<0,05). L’emocromo, le prove di funzionalità epatica e renale sono
risultati normali e non modificati rispetto agli esami degli anni precedenti. I valori del monitoraggio ambientale sono risultati più elevati dei
limiti previsti per legge per quanto riguarda il benzene e il benzo(a)pirene.
CONCLUSIONI
I vigili del fuoco esposti a fumi d’incendio per periodi abbastanza
lunghi possono avere sintomi irritativi delle prime vie aeree nonostante
l’utilizzo di DPI. Il tempo di esposizione è risultato un fattore significativamente determinante per l’insorgenza dei sintomi irritativi. Un questionario, somministrato in seguito ad interventi straordinari come l’incendio di una discarica durato un mese, può essere un valido strumento
di registrazione dell’esposizione e dei sintomi, e necessario per il follow
up della funzione polmonare e per l’eventuale persistenza dei sintomi.
BIBLIOGRAFIA
1) Aldrich T et al. Lung Function in Rescue Workers at the World Trade
Center aftere 7 Years. N Engl J Med 2010; 362 (14): 1263-72.
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wildland firefighters. J Occup Environ Med 2008; 50: 1019-28.
Corrispondenza: prof. Attilio Traverso, DIMEL, Medicina del Lavoro,
Università di Genova, Largo R. Benzi 10, 16132 Genova, Tel
0103537501, Fax 0103537473, e-mail: [email protected]
Parole chiave: inquinamento atmosferico, spirometria, vigili urbani
AIR POLLUTION AND EXPOSED WORKERS: AN OBSERVATIONAL
STUDY BASED ON A COHORT OF TRAFFIC POLICE OFFICERS OF
GENOA CITY
ABSTRACT. Concentrations of benzene, CO, NO2, O3 and PM10
in urban atmosphere of Genova have been analysed from roadside air
pollution monitoring sites in order to identify the presence of eventual
critical situations and adverse health effects in exposed workers such as
urban traffic vigilants. The monitoring campaign, monthly performed by
ARPA technicians from 2005 to 2009, shows higher pollution phenomena
in the center of urban area, sites 2, 6 and 8. The obtained data have been
statistically evaluated and correlated among themselves and with the
pulmonary functions of urban traffic vigilants ANOVA uni- and
multivariate). No critical situation appears as far as the average
concentrations of atmospheric pollutants are concerned and the key
indicators of lung functions too (FVC, MVV, FEV1, FEF25, FEF50,
FEF75); the observation regards values collected at the beginning and
at the end of the campaign. At last statistical analysis demonstrates
decreasing values of MEF75 connected with sites 2, 6 and 8, (P
respectively = 0.06, 0.07, 0.09) to confirm that the central sites represent
critical zones. However this observation is not particularly significant
because involves only high respiratory tracts, in absence of chronic
pulmonary symptoms or diseases, and a further investigation on a larger
pattern is requested.
Key words: air pollution, spirometry, urban vigilants
INTRODUZIONE
Nelle aree urbane, le emissioni di inquinanti atmosferici da parte di
processi antropogenici come il traffico, l’industria, le centrali elettriche e
il riscaldamento domestico sono le principali fonti di inquinamento. I
principali inquinanti “primari” (lunga permanenza in atmosfera che può
raggiungere i 4-6 mesi) sono il monossido di carbonio (CO), il monossido di azoto (NO), e gli idrocarburi aromatici (benzene, xilene e toluene). Nell’ultima decade la concentrazione degli inquinanti primari è
andata diminuendo e l’attenzione si è rivolta verso gli inquinanti secondari (risultanti dai processi di ossidazione causati dai raggi ultravioletti)
come ozono (O3) e diossido di azoto (NO2), che nelle città con elevata
irradiazione solare come Genova sono costantemente in concentrazioni
prossime ai valori limite. In accordo con il crescente interesse dimostrato
dalla Comunità Europea nei confronti della qualità dell’ambiente abbiamo realizzato, in collaborazione con l’ARPA Liguria, uno studio osservazionale sui dati spirometrici dei vigili urbani in servizio nei 9 distretti del comune di Genova. I valori osservati sono stati correlati ai dati
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forniti dal monitoraggio in continuo della qualità dell’aria, eseguito con
campionatori automatici situati in punti strategici e rappresentativi dell’esposizione in ogni distretto.
MATERIALI E METODI
Sono stati confrontati i dati spirometrici di 180 vigili maschi (20 per
ognuno dei 9 distretti) esposti a traffico urbano con un anzianità lavorativa di almeno 5 anni (“old”: primo esame, “new”: esame di controllo).
I parametri analizzati sono stati: FEV1, CVF, MEF 25, MEF 50, MEF
75. Sono stati considerati normali valori di FEV1 e CVF >80% del teorico e MEF 25/50/75 >60% del teorico. I dati sono stati rilevati con spirometro Jaeger MasterScope® Body. Con l’ausilio del software SPSS
17.0 per Microsoft® Windows XP, è stato effettuato uno studio longitudinale e trasversale sui dati sopramenzionati sia all’interno del singolo
distretto che comparativo tra questi. Si è applicato il sistema analitico
ANOVA univariato per confrontare la variabilità interna nei 7 gruppi
con la variabilità tra i gruppi e ANOVA multivariato, assemblando i dati
“old” e “new”, per identificare possibili interazioni tra variabili dipendenti. Quindi, tramite il test t di student per dati ripetuti, è stata fatta
un’analisi longitudinale dei dati “old/new” considerando singolarmente
le diverse variabili, prima senza distinguere e poi distinguendo tra i distretti. Sono stati considerati significativi i risultati con valori di p<0,05.
Infine abbiano confrontato i dati ottenuti con le concentrazioni ambientali dei principali inquinanti atmosferici (CO, NO2, PM10, SO2, benzene) fornite in medie mensili dai campionatori automatici dell’ARPAL.
Negli anni considerati non si sono riscontrate criticità di rilievo e a
scopo esemplificativo riportiamo le medie annuali ± DS del 2009 (tab.
I). Benzene/toluene/xilene sono stati misurati mediante gascromatografia (GC-FID), CO mediante spettrometria ad infrarossi, NO2 mediante chemiluminescenza, O3 mediante spettrometria ad ultravioletti,
PM10 mediante TEOM (microbilancia oscillante) e campionamento di
24 ore su filtro e pesata.
39
“new” rispetto al valore “old”, più evidente nei distretti 2, 6 e 8, che risultano essere quelli con valori di inquinamento atmosferico più alti
(tab. I).
Questa differenza nei dati rimane nel range dei limiti fisiologici e
non si accompagna a segnalazione di patologie dell’apparato respiratorio
nei soggetti indagati e la diminuzione del MEF75 è interpretabile come
effetto irritativo e reversibile degli inquinanti atmosferici sulle grosse vie
(3). Si ritiene necessario il proseguimento dello studio con l’ampliamento del campione e conseguente correzione per confounders e approfondimento dell’esposizione professionale tramite campionamenti individuali (metodo Radiello).
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monitoring and allergic sensitization in traffic police officers exposed to urban air pollution. Int J Immunopathol Pharmacol 2006;
19: 57-60.
3) DeToni A, Larese Filon F, Finotto L. Respiratory diseases in a group
of traffic police officers: results of a 5-year follow-up. G Ital Med
Lav Ergon. 2005; 27: 380-382.
4) Guarnieri G, Lodde V, Ferrazzoni S, Bordini A, Venturini R, Zaninotto M, Clonfero E, Maestrelli P. Acute effects of environmental
pollution on the urban vigilants airways. G Ital Med Lav Ergon
2007; 29: 838-840.
02
RISULTATI
All’ANOVA uni variata dei valori “old”, FVC presenta valori a seconda del distretto in esame, ma senza significatività (p=0.0735); nell’analisi dei valori “new” questa differenza fra i distretti non è più apprezzata. All’ANOVA multivariata MEF75 è significativamente inferiore
nella serie “new” (p=0.005), ma questa significatività non è legata in particolare a nessun specifico distretto (i test di confronto interni non sono
significativi). Al t di student si conferma che MEF75 è significativamente più basso al follow-up, in particolare, ma non significativamente,
nei distretti 2, 6 e 8 (p=0.060, 0.076 e 0.093 rispettivamente). In tab.
Isono riportati i risultati del monitoraggio ambientale.
DISCUSSIONE
Data la segnalazione in letteratura di effetti dannosi dell’inquinamento atmosferico sulle vie aeree superiori ed inferiori (1, 2) in soggetti
esposti come i vigili urbani e considerato che precedenti studi italiani non
hanno evidenziato modificazioni significative di FEV1 e CVF nei vigili
urbani (3), abbiamo affiancato alla misurazione di CVF e FEV1, gli indici di funzionalità delle piccole (MEF 25), medie (MEF 50) e grosse
(MEF 75) vie aeree. La nostra ipotesi trova conferma in studi recenti che
evidenziano la presenza di un danno funzionale preclinico a livello dell’epitelio bronchiolare (4).
La ridotta numerosità dei gruppi, legata alla suddivisione dei soggetti per distretti, ha impedito una correzione statistica per i principali
“confounders” (età e fumo di sigaretta). Nonostante questo, il nostro
studio ha messo in evidenza una diminuzione generale del MEF75
Tabella I. Medie annuali dei principali inquinanti atmosferici
rilevate nei distretti (1-9)
* Sono utilizzati i valori della stazione di background poiché distretti meno esposti al traffico
** NM: non misurato *** BZ: benzene
ALLERGENI INALANTI E ALLERGENI ALIMENTARI:
UN RISCHIO LIMITATO AL LATEX
M. Previdi1, G. Stucchi2, P. Marraccini1, I. Genovese2,
A. Poltronieri2, F. Mussino2
1 UOS Allergologia Ambientale e Occupazionale Dipartimento di
Prevenzione. Fondazione IRCCS Cà Granda Policlinico Milano, via
S. Barnaba 8 Milano
2 Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro Università degli
Studi Milanon, via Sforza MI
Corrispondenza: Dr. Mario Previdi, via S. Barnaba 8 Milano
[email protected]
OCCUPATIONAL FOOD ALLERGY IS NOT ONLY LATEX
ALLERGY
ABSTRACT. Atopic patients often suffer from food allergy.
Recombinant allergens such as profiline, PRP and LTP are detectable in
several vegetables (apple, nuts, peach, celery, etc.). Differential
diagnostic and prevision of relevant reactions are quite difficult.
82 allergic patients executed skin prick test and/or IgE for common
environmental allergens, food allergens and recombinant allergens such
as Bet v 2, Betv1, Pru p 3, Cor a 8.
15 patients were allergic to type 1 food allergy: 11 positive to LTP,
2 nuts, 1 seeds one 1 peanuts. 67 out of 82 patients were classified as
allergic to type 2 food allergy (46 to PRP, 18 to profiline and 3 latex
allergy). Such a study showed an increased risk to food allergy in
patients sensitized to pollen, in particular to birch.
It is worth notion that LTP can cause more severe allergic reactions
than other recombinants (PRP, profiline). The later ones seem to be more
frequent sensitizers in Milan Area.
Key words: Food allergy, Food allergens, Allergic disease
INTRODUZIONE
Le reazioni crociate tra alimenti vegetali e allergeni inalanti hanno
rivestito interesse in ambito occupazionale a far data dai primi casi di allergia al lattice di gomma.
40
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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Attualmente il focus sulla patologia allergica occupazionale dovrebbe essere maggiormente orientato sugli alimenti vegetali che possono crociare anche con gli allergeni inalanti.
Già nel 2000 Baur riportava gli alimenti come terza causa d’incidenza dell’asma occupazionale in Germania, dopo farina di grano e
lattice.
Ricordiamo che il sistema agroalimentare nella sola regione Lombardia, uno dei più importanti a livello europeo, si compone di 85.000
strutture produttive e coinvolge circa 250.000 lavoratori cui aggiungere gli addetti alla vendita.
È ipotizzabile che l’esposizione occupazionale agli alimenti vegetali comporti un rischio più elevato rispetto alla popolazione generale,
peraltro la possibilità del confronto è attualmente impedita dalla scarsa
conoscenza del dato epidemiologico, anche in ambito non occupazionale, relativo alla prevalenza delle manifestazioni allergiche correlate
alle diverse frazioni allergeniche presenti nei vegetali.
I pazienti allergici agli alimenti si dividono in due categorie. Nella
prima categoria (type primary) rientrano i sensibilizzati primitivamente a componenti propri di un dato alimento o di una categoria di
alimenti: è questo il caso delle “lipid transfer protein” proteine presenti in più vegetali (rosacee, noci, etc). Alla seconda (type secondary)
appartengono le forme di allergia alimentare in cui la sensibilizzazione primaria è sostenuta da piante (es:hevea brasiliensis) e, più
spesso da pollini. In questi casi le frazioni antigeniche responsabili
sono costituite da componenti strutturali del mondo vegetale (ad es. le
profiline) o da enzimi difensivi quali le PR10 (pathogenesis-related
proteins) che sono presenti in pollini di alberi (betulacee e corilacee)
e frutti di piante (ad es. rosacee) lontani tra loro sotto l’aspetto botanico.
La contemporanea presenza di frazioni antigeniche diverse (profiline, PR10, LTP) all’interno degli stessi vegetali quali le rosacee
(mela, pera, pesca, albicocca, nespola, ciliegia, mandorla, prugna), la
frutta con guscio (noce, nocciola, pinoli, etc), le apiacee (sedano, finocchio, carota, prezzemolo) rende difficoltosa la diagnosi eziologica
sul paziente allergico e, conseguentemente, la previsione del rischio
per la salute associato all’esposizione a specifici alimenti.
In letteratura, le reazioni crociate indotte dall’allergia a profiline
non sono associate, di norma, a sintomi clinici gravi, al contrario sintomi clinici evidenti sono attribuiti alle PR10 e reazioni anche molto
gravi sono state attribuite alle LTP.
Scopo del presente studio è di valutare le prevalenze di allergia a
pollini e ad alimenti vegetali su popolazioni selezionate di abitanti
della città di Milano. In via preliminare (fase a) è stata valutata la prevalenza di sintomi alimentari su una popolazione di pollinosici, è stata
quindi indagata in ambito clinico-laboratoristico una popolazione di
allergici ad alimenti vegetali (fase b)
Tabella I
FASE A Scopo: valutare la frequenza di sintomi di allergia ad alimenti vegetali in una popolazione selezionata di pollinosici.
Materiali: Nel periodo aprile-giugno 2009 sono stati visitati consecutivamente all’interno del ns. centro di Allergologia Ambientale
della città di Milano 322 pz affetti da allergia a pollini. Tutti i pazienti
sono stati sottoposti a SPT e/o IgE per allergeni inalanti tra cui graminacee, composite, betulacee, corilacee, parietaria.
Risultati: Dei 322 pazienti esaminati di età media pari a 30,5 anni,
312 presentavano oculo-rinite, (maschi 139, femmine 163), 133 asma
(maschi 61, femmine 72).
202 pazienti (62,7%) risultavano sensibilizzati (SPT e/o IgE positive) solo o anche a pollini arborei di betulacee-corilacee (betulle, ontani, noccioli e carpini) e riferivano sintomi respiratori correlabili a
questi alberi sia per caratteristiche che per periodi di insorgenza.
Sintomi riconducibili alla sindrome orale allergica erano riferiti
da 89 delle 202 persone sensibilizzate a betulacee e corilacee (44%),
da 64 di questi (45 femmine, 19 maschi) erano attribuiti all’assunzione
di rosacee, meno frequentemente a frutta col guscio, più raramente ad
apiacee
Tale sintomatologia si riduceva all’8,3% nei pazienti sensibilizzati
ai pollini non arborei.
FASE B Scopo: frequenza di sensibilizzazione a profilina, PR10,
LTP in allergici ad alimenti.
Legenda: Pz. positivi per food allergy suddivisi per: type 1 e 2, LTP, profilina, PR10, sintomi e
IgE per inalanti e per alimenti.
LTP (lipid transfer protein), PR10(pathogenesis related protein) OAS (sindrome orale allergica),
OA= orticaria/edema
Materiali: Sono stati esaminati 100 pz. pervenuti consecutivamente alla nostra attenzione che riferivano sintomi di allergia alimentare correlati ad alimenti vegetali. Tutti i pazienti sono stati sottoposti
a SPT e/o IgE per allergeni inalanti (graminacee, composite, betulacee, parietaria, cipresso e olivo), SPT e/o ricerca IgE specifiche per
alimenti (rosacee, noci e semi, apiacee), ricerca IgE per ricombinanti
relativi a profilina (Bet v 2), a PR10 (Bet v 1), a LTP (Pru p 3, Cor a
8). Il dosaggio degli allergeni è stato effettuato con metodo fluoroimmunoenzimatico su strumento ImmunoCAP 250 (ditta Phadia)
Risultati: Risultano affetti da allergia alimentare 82 pazienti, di
questi 28 sono maschi, 54 femmine, l’età media è di 32,5 anni.
Più in particolare, degli 82 pazienti allergici ad alimenti vegetali,
15 presentano positività di tipo 1 (11 per LTP, 2 per noci, 1 per arachidi, 1 per semi), 67 di tipo 2 (46 per PR10, 18 per profilina, 3 per
latex). I risultati sono riportati in tabella I.
DISCUSSIONE
L’analisi di due diversi campioni: uno di pollinosici ed uno di allergici ad alimenti vegetali conferma un rischio percentualmente elevato di allergia alimentare nei pazienti prioritariamente sensibilizzati
a pollini, in particolare di betulacee. Infatti il 30,7% di tutti i pollinosici (ed il 44% dei sensibilizzati alle betulacee) riferiscono sintomi di
allergia alimentare; mentre il 79% dei pz. con allergia alimentare risultano sensibilizzati ai pollini (il 94% nel caso dei sensibilizzati agli
alberi). La sensibilizzazione agli alberi non consente di attribuire a
PR10 tutti i casi di OAS per rosacee e frutta col guscio, al contrario
il ricorso ai ricombinanti costituisce, a fianco dei dati clinico-anamnestici, un utile strumento per la diagnosi differenziale. La prevalenza
di sensibilizzazioni di tipo 2, notoriamente maggiormente rappresentata nel nord Europa, risulta elevata anche nell’area della città di Milano, in cui i carpini sono molto numerosi. Meno numerosi sono i pazienti sensibilizzati a LTP, che peraltro riferiscono reazioni più gravi,
talora anche sistemiche. Quest’ultima sensibilizzazione, ritenuta prevalente nel mediterraneo occidentale, richiede un attento monitoraggio dei sintomatici. Studi mirati appaiono necessari al fine di valutare i criteri di ammissione a compiti lavorativi comportanti esposizione ad alimenti vegetali per coloro che presentano sensibilizzazione
a LTP.
BIBLIOGRAFIA
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attending allergy clinics: a multi-centre study. Clin Exp All, 39,
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G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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03
PM10 E RICOVERI CARDIORESPIRATORI
IN SEI COMUNI LOMBARDI
S. Conti1, G. De Vito2, C. Fornari1, M.A. Riva3, F. Madotto1,
A. Lafranconi3, F. Ciullo3, R. Meroni2, G.C. Cesana1,2,3
1
Centro di Studio e Ricerca sulla Sanità Pubblica - Università degli
Studi di Milano Bicocca, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Dipartimento
di Medicina Clinica e Preventiva, Villa Serena - 6° Piano, AO San
Gerardo di Monza, via Pergolesi, 33 - 20052 Monza (MB)
2 Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione - Università degli
Studi Milano Bicocca, Edificio U8 - Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Via Cadore, 48 - 20052 Monza (MI)
3 Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro - Università degli
Studi Milano Bicocca, Villa Serena - 6° Piano, AO San Gerardo di
Monza, via Pergolesi, 33 - 20052 Monza (MB)
Corrispondenza: De Vito Giovanni, Centro di Studio e Ricerca sulla
Sanità Pubblica - Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione,
Università degli Studi di Milano Bicocca, 6° Piano - Villa Serena, AO
San Gerardo di Monza, via Pergolesi, 33 - 20052 Monza (MB), Tel.
039-2333097/8 Fax 039-365378 e-mail: [email protected]
Parole chiave: PM10, ricoveri cardiorespiratori, Lombardia
PM10 AND CARDIORESPIRATORY HOSPITAL ADMISSIONS IN
SIX CITIES IN LOMBARDY REGION
ABSTRACT. Aim - This study was built in order to investigate the
effect of particulate matter (PM10) on cardiovascular and respiratory systems, through the analysis of hospital admissions occurred in six cities
in Lombardy Region during year 2005, for pathologies affecting the aforementioned systems.
Materials and methods - Cardiovascular and respiratory events
were selected from the regional database of hospital discharge. ARPA
Lombardy provided data about daily average of PM10 concentration,
temperature and relative humidity. We used a generalized additive model
to estimate the relationship between the daily frequency of admission per
100.000 residents and the pollutant concentration. We also evaluated the
effect modifications due to sex and age.
Results - We selected 13.207 admissions, mainly for cardiovascular
events. The analysis highlighted an increase in the frequency of respiratory admissions in correspondence with high PM10 concentration. The
effect was stronger on young women throughout the year and on elderly
people, especially in the warm season. There was evidence for an increase in the frequency of cardiovascular admissions in days with high
PM10 concentration during the warm season.
Discussion - Results suggest that high concentrations of PM10 may
have negative effects on the respiratory and cardiovascular systems,
especially when associated with warm and humid weather conditions.
41
L’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente (ARPA) della
Lombardia ha fornito per ogni comune i dati riguardanti le serie storiche
relative al 2005 della media giornaliera di concentrazione di PM10, di
temperatura e di umidità relativa. Queste ultime due variabili sono state
sintetizzate in un’unica variabile denominata temperatura apparente
(TA).
L’analisi è stata condotta separatamente per ricoveri cardiovascolari
e respiratori, utilizzando la famiglia dei modelli additivi generalizzati semiparametrici per valutare la relazione tra la variabile di outcome, ossia
la frequenza giornaliera di ricovero per 100.000 assistiti, la concentrazione di PM10 aerodisperso e l’eventuale interazione tra quest’ultimo e la
TA. Si è reso necessario un aggiustamento della suddetta relazione rispetto ai seguenti fattori: l’eterogeneità fra comuni, il confondimento
temporale di lungo e breve periodo, la riduzione della popolazione nei
periodi di vacanza e le epidemie d’influenza. È stata, inoltre, valutata la
modificazione d’effetto dovuta al genere ed all’età, utilizzando per quest’ultima variabile tre categorie per l’ambito respiratorio (0-19 anni, 2064 anni, 65 anni e più) e due categorie per quello cardiovascolare (meno
di 65 anni, 65 anni e più).
Ai fini del presente lavoro abbiamo scelto di esprimere l’effetto del
PM10 in termini di incremento stimato del numero giornaliero di ricoveri.
Poiché tale incremento può variare tra comuni in funzione della popolazione e del numero medio di ricoveri occorsi, ai fini del presente lavoro
abbiamo applicato il modello stimato al comune di Monza, sfruttandone
le caratteristiche sia demografiche che ambientali nel corso del 2005.
RISULTATI
La popolazione target è costituita da 459.999 soggetti, che nel 2005
ha generato 13.207 ricoveri: 8.495 cardiovascolari, 6.145 respiratori e
1.567 per entrambi i motivi.
Per i ricoveri respiratori emerge che nei giovani le femmine subiscono un aumento nel numero di ricoveri in associazione con elevate
concentrazioni di PM10: applicando il modello stimato alla città di
Monza, assumendo che il numero medio di ricoveri respiratori registrati
ogni giorno per 100.000 femmine tra 0 e 19 anni sia pari a 1,62, in corrispondenza di un incremento pari a 50 μg/m3 nella concentrazione di
PM10, si registrerebbe circa mezzo ricovero in più ogni giorno nella
classe d’età più giovane. Non emergono, invece, risultati significativi per
i soggetti di sesso maschile. Nella classe d’età più anziana emerge un effetto differente nella stagione calda ed in quella fredda, senza discriminazione tra uomini e donne (Figura 1).
Per i ricoveri cardiovascolari non esiste evidenza di modificazione
d’effetto legata a sesso ed età. Viene messo in luce un effetto congiunto
di PM10 e TA, simile a quello osservato per i ricoveri respiratori anche se
meno intenso (Figura 2).
DISCUSSIONE
Dall’analisi sembra emergere che nella classe d’età più giovane solo
le femmine risentono a livello respiratorio di elevate concentrazioni di
particolato, ma è possibile che l’effetto del PM10 sui soggetti di sesso
maschile non si sia evidenziato come significativo a causa del ridotto numero di eventi che si registrano in questo strato della popolazione.
INTRODUZIONE
Lo studio si colloca nell’ambito del progetto POLARIS TOSCA: un
progetto multidisciplinare volto alla valutazione degli effetti chimico-fisici, cellulari e clinico-epidemiologici del particolato atmosferico (PM10)
in Lombardia. In particolare, si intendono indagare gli effetti del PM10
sul sistema respiratorio e cardiovascolare umano, mediante l’analisi dei
ricoveri per patologie che interessano gli apparati menzionati, occorsi nel
2005 nei residenti in sei comuni lombardi: Monza, Sesto San Giovanni,
Mantova, Lodi, Bergamo e Sondrio.
MATERIALI E METODI
I dati sanitari sono stati selezionati dalla Data Warehouse DENALI,
che raccoglie diversi archivi sanitari lombardi, tra i quali quello delle
schede di dimissione ospedaliera (SDO). Da quest’ultimo, relativamente
alla popolazione domiciliata nei comuni di interesse, sono state selezionate le SDO di ricoveri avvenuti nel 2005 che riportassero in almeno uno
dei sei campi diagnostici una diagnosi cardiovascolare o respiratoria. Per
ogni comune sono state costruite le serie storiche della frequenza giornaliera di ricoveri per 100.000 assistiti, sia complessive, sia stratificate per
sesso ed età, separatamente per patologie respiratorie e cardiovascolari.
Figura 1. Incremento stimato nel numero di ricoveri respiratori
giornalieri per 100.000 assistiti per il comune di Monza, in
condizioni di temperatura media estiva ed invernale e di un numero
medio giornaliero di ricoveri pari a 5,74
42
Figura 2. Incremento stimato nel numero di ricoveri cardiovascolari
giornalieri per 100.000 assistiti per il comune di Monza, in
condizioni di temperatura media estiva ed invernale e di un numero
medio giornaliero di ricoveri pari a 4,35
Per la classe d’età più anziana, invece, si è osservato un effetto congiunto di temperatura e PM10, per il quale in corrispondenza di climi
caldi e umidi l’effetto dell’inquinamento si intensifica.
Per i ricoveri cardiovascolari sulla popolazione generale emerge
nuovamente un effetto nocivo del PM10 legato a condizioni climatiche
calde e umide, in un modello corretto per età e sesso.
BIBLIOGRAFIA
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termine dell’inquinamento atmosferico. Epidemiol Prev 2001; 25:
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5) Wood SN. The generalized additive models - An introduction with
R. Boca Raton, Chapman et Hall/CRC 2006.
04
DETERMINANTI DELL’ESCREZIONE DI MTBE URINARIO
IN LAVORATORI ESPOSTI A TRAFFICO
L. Campo1, A. Cattaneo1, D. Consonni1, L. Scibetta1,
P. Costamagna1, D. Cavallo2, S. Fustinoni1
1 Dipartimento di Medicina Lavoro, Università degli Studi e
Dipartimento di Medicina Preventiva, Fondazione IRCCS Ca’ Granda
Ospedale Maggiore Policlinico, Via S. Barnaba 8, 20122 Milano
2 Dipartimento di Scienze Chimiche e Ambientali, Università
dell’Insubria sede di Como, Via Valleggo 11, 22100 Como
Corrispondenza: Laura Campo, Via S. Barnaba, 8 - 20122 Milano,
Italy, e-mail: [email protected], phone: +39 02 503 20116, fax:
+ 39 02 503 20111
FACTORS INFLUENCING URINARY MTBE EXCRETION IN
WORKERS EXPOSED TO AUTOMOBILE TRAFFIC
ABSTRACT. Aim of this study was evaluating urinary MTBE
(MTBE-U) as biomarker of exposure to urban traffic and defining factors
influencing its excretion. 130 Milan urban policemen and 90 subjects not
occupationally exposed to traffic were investigated. For policemen only,
personal exposure to carbon monoxide (CO) and atmospheric data were
measured during the work shift, personal characteristics were collected
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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by a questionnaire and a time/activity diary was completed during the
work shift. MTBE-U was measured in spot urine samples from both
policemen and controls. Multiple linear regression models were applied
to investigate the role of urban pollution, atmospheric conditions, and
personal characteristics on the level of the biomarker. Median personal
exposure to CO was 3.3 mg/m3; median MTBE-U in end-of-shift samples
was 147 and 58 ng/L in policemen and controls, respectively (p<0.05).
The time spent on traffic duty was about 40% of work time. MTBE-U
resulted influenced by the month of sampling and positively correlated to
the time spent in traffic guarding, CO exposure and atmospheric
pressure, while negatively correlated to wind speed (R2 for total model
0.63, P < 0.001). These results show that MTBE-U is a reliable marker
for assessing urban traffic exposure as it is strongly associated with both
airborne CO and time spent in traffic.
Key words: urinary methyl tert-butyl ether, urban traffic, biological
monitoring
INTRODUZIONE
Il metil ter-butil etere (MTBE) è un composto ossigenato addizionato alle benzine come antidetonante e per migliorarne la combustione.
Secondo la normativa europea, i composti ossigenati che contengono
fino a 5 atomi di carbonio possono essere addizionati alle benzine in ogni
proporzione fino a un contenuto massimo del 15% v/v (1). Nelle benzine
italiane in media è presente il 3.5% di composti ossigenati, con variazioni
stagionali (media 3.% in inverno, 3.7% in estate) (2). Dal punto di vista
tossicologico, MTBE è classificato nel gruppo 3 dall’Associazione Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC). L’Associazione Americana
degli Igienisti Industriali (ACGIH) raccomanda per l’esposizione a
MTBE un valore limite di 50 ppm (1600 µg/m3) come media sulla giornata lavorativa (TLV-TWA).
Negli ultimi anni è stato proposto l’utilizzo di MTBE aerodisperso
come indicatore specifico di emissioni auto veicolari, dato che la sorgente principale di MTBE in ambiente urbano è il traffico automobilistico e sono state riportate buone correlazioni tra MTBE e altre sostanze
legate alla combustione dei carburanti, quali ad es. il monossido di carbonio (CO) (3, 4).
La misura di MTBE urinario (MTBE-U) è stata utilizzata per il monitoraggio biologico dell’esposizione a MTBE specialmente ad alti livelli di esposizione o in lavoratori impiegati in mansioni strettamente
connesse con l’utilizzo di carburanti (autotrasportatori, addetti alla manutenzione di cisterne, benzinai) (5, 6, 7), mentre solo sporadici lavori
sono stati pubblicati su esposizioni correlate al traffico (8).
Scopo di questo lavoro è stato quindi valutare l’utilizzo di MTBE-U
come indice di esposizione a traffico determinando l’esposizione di 130
vigili urbani della città di Milano e individuando i fattori che ne determinano l’escrezione.
MATERIALI E METODI
Lo studio è stato condotto su 130 vigili di Milano nei mesi di
maggio, luglio, ottobre e dicembre 2003, per un totale di 171 turni di lavoro e su 90 soggetti che vivono e lavorano nell’hinterland milanese,
senza esposizione professionale a MTBE, considerati come controlli. Nei
vigili l’esposizione personale a monossido di carbonio (CO), le condizioni atmosferiche e l’attività lavorativa sono state monitorate durante il
turno di lavoro. Sono stati raccolti campioni estemporanei di urina all’inizio (IT) e alla fine (FT) del turno di lavoro per la determinazione di
MTBE-U, che è stata effettuata in GC-MS con campionamento nello
spazio di testa e microestrazione in fase solida. Metodi di regressione lineare multipla sono stati utilizzati per valutare l’influenza dell’esposizione a CO, delle condizioni atmosferiche (mese di campionamento,
vento, pressione atmosferica, umidità, temperatura personale), dell’attività lavorativa svolta (tempo trascorso in attività all’aperto, tempo trascorso in attività di direzione traffico, turno mattutino o pomeridiano) e
delle caratteristiche personali (abitudine al fumo di sigaretta, creatinina
urinaria, età, sesso, indice di massa corporea BMI) sull’escrezione di
MTBE-U nei vigili.
RISULTATI
I vigili erano in maggioranza maschi (59%), con età media di 31
anni (min 24 - max 47) e BMI 24.7 kg/m2 (16.2 - 36.3), 48 soggetti
(38%) sono stati classificati come fumatori. Dall’analisi dei diari delle attività svolte, è risultato che i vigili hanno trascorso il 76% (21-97%) del
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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tempo lavorativo in attività all’aperto, e in particolare il 40% (0-85%) in
attività di direzione traffico. I soggetti di controllo erano tutti maschi, con
età media di 44 anni (min 18 - max 72) e BMI 26.1 kg/m2 (17.7 - 36.5),
31 soggetti (34%) erano fumatori.
L’esposizione personale mediana dei vigili a CO è risultata 3.2
mg/m3. I livelli mediani di MTBE-U sono risultati 118 ng/L (IT) e 147
ng/L (FT) nei vigili, con livelli maggiori a FT che a IT (p<0.05); nei controlli MTBE-U è risultato inferiore, con concentrazione mediana di 58
ng/L (p<0.05). I livelli di MTBE-U IT sono risultati più alti in dicembre,
mentre quelli di MTBE-U FT sono risultati simili tra loro in luglio, ottobre e dicembre e più alti che a maggio.
L’analisi di regressione multipla ha evidenziato che l’escrezione di
MTBE-U nei vigili è significativamente influenzata dal mese di campionamento, positivamente correlata con l’esposizione a CO, il tempo trascorso nell’attività di direzione traffico e la pressione atmosferica e negativamente correlata con la velocità del vento (R2 per il modello 0.63,
p<0.001).
DISCUSSIONE
I livelli mediani di MTBE-U nei vigili urbani sono risultati simili a
quelli misurati in addetti alle casse in stazioni per il rifornimento di benzina (5), più bassi di quelli riportati per addetti al trasporto o al rifornimento di carburanti (5, 6, 7, 8), ma tuttavia tre volte più alti di quelli trovati nei soggetti di controllo, indicando questi valori una esposizione
professionale.
L’analisi di regressione multipla ha evidenziato che i livelli di
MTBE-U sono strettamente connessi all’esposizione a traffico data l’associazione positiva con il CO, utilizzato in questo studio come tracciante
atmosferico dell’esposizione a traffico, e con il tempo trascorso in attività di direzione traffico. Per quanto riguarda i parametri atmosferici
considerati, la correlazione negativa con il vento è dovuta alla dispersione degli inquinanti in presenza di vento, mentre l’associazione tra
MTBE-U e i mesi di campionamento probabilmente riflette altri parametri ambientali quali la temperatura esterna, l’altezza dello strato rimescolato e le reazioni con i radicali OH troposferici.
I risultati di questo studio mostrano che MTBE-U può essere utilizzato come indicatore specifico di esposizione a traffico. MTBE-U è risultato influenzato solo da parametri atmosferici, rispecchiando il comportamento degli inquinanti ambientali, e non influenzato da abitudini
voluttuarie quali il fumo di sigaretta.
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43
05
STRESSOR URBANI: EFFETTI SUI PARAMETRI
NEURO-IMMUNO-ENDOCRINI IN LAVORATORI ESPOSTI
G. Tomei1, F. Tomei2, M. Fioravanti1, S. De Sio2, P. Palermo2,
T. Caciari2, A. Panfili2, C. Cetica3, M. Fiaschetti2, L. Scimitto2,
D. Danese2, Z. Tasciotti2, B.G. Ponticiello2, M. Ciarrocca2,
A. Pacchiarotti2, A. Sancini2
1
“Sapienza” Università di Roma. Dipartimento di Scienze Psichiatriche
e Psicologia Clinica, Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Roma, Italia.
2 “Sapienza” Università di Roma; Unità Operativa di Medicina del
Lavoro; Dipartimento di Scienze Anatomiche, Istologiche, MedicoLegali e dell’Apparato Locomotore; viale Regina Elena n. 336 - 00161
Roma.
3 EURISTAT - Direttore Scientifico, via delle Botteghe Oscure 54, 00186
Roma.
Corrispondenza: Prof. Francesco Tomei, MD, Via Monte delle Gioie 13,
00199 Rome, Italy. Phone: +39 06 49 91 25 65, +39 06 49 91 25 41. Fax: +
39 06 86 20 31 78, +39 06 49 91 25 54. E-mail: [email protected]
Parole chiave: parametri neuro-immuno-endocrini, lavoratori,
stressor urbani
URBAN STRESSORS: EFFECTS ON NEURO-IMMUNOENDOCRINE PARAMETERS IN EXPOSED WORKERS
ABSTRACT. Our research is aimed at evaluating several neuroimmune-endocrine parameters in workers occupationally exposed to
urban pollution (outdoor) vs. indoor workers.
Following neuro-immuno-endocrine parameters were evaluated:
adrenocorticotropic hormone (ACTH), cortisol, growth hormone (GH),
luteinizing hormone (LH), follicle stimulating hormone (FSH),
prolactin, 17-beta estradiol, 17 - alpha-OH-progesterone, androstenedione,
testosterone, vasopressin, dopamine, homovanillic acid (HVA) acid,
5-hydroxy-3-indoleacetic (5-HIAA), natural killer cells (NK),
interleukin-2 (IL-2) and C3, insulin-like growth factor 1 plasma (IGF1). Starting from a wide casuistry, the two groups were made
comparable by gender, age, working life and other confounding factors
(e.g. cigarette smoking history, habitual consumption of alcohol, etc.)
that, each time, were required.
Our research shows that urban pollution could lead to upward or
downward changes in the parameters studied. The parameters that we
evaluated could be used as early markers of effect.
Key words: neuro-immuno-endocrine parameters, workers, urban
stressors
INTRODUZIONE
I lavoratori che operano in ambiente urbano sono esposti a stressor
sia chimici (benzene, monossido di carbonio, metalli pesanti, ecc.), sia fisici (rumore, ecc.) che psicosociali (organizzazione del lavoro, lavoro a
turni, ecc.). Si riporta una sintesi critica delle nostre ricerche, volte a valutare diversi parametri neuro-immuno-endocrini, in lavoratori professionalmente esposti a inquinamento urbano.
MATERIALI E METODI
Sono stati studiati lavoratori outdoor di una grande città italiana, sia
uomini che donne. I lavoratori sono stati suddivisi in due gruppi: il
gruppo degli esposti che svolge attività in strada (outdoor) ed il gruppo
dei controlli che effettua attività d’ufficio di tipo burocratico-amministrativo (indoor). Per l’inclusione nello studio, è stato compilato da parte
di tutti i lavoratori un questionario con l’anamnesi fisiologica, l’anamnesi patologica prossima e remota, l’anamnesi lavorativa pregressa e attuale. Sono stati valutati i seguenti parametri neuro-immuno-endocrini:
ormone adrenocorticotropo (ACTH), cortisolo, ormone della crescita
(GH), ormone luteinizzante (LH), ormone follicolo stimolante (FSH),
prolattina, 17-beta-estradiolo, 17-alfa-OH-progesterone, androstenedione, testosterone, vasopressina, dopamina, acido omovanillico
(HVA), acido 5-idrossi-3-indolacetico (5-HIAA), cellule natural killer
(NK), interleuchina-2 (IL-2) e C3, fattore di crescita insulino-simile 1
plasmatico (IGF-1).
44
Partendo da un’ampia casistica, i due gruppi sono stati paragonati
(attraverso il calcolo della media, della deviazione standard e la distribuzione in classi) per sesso, età, anzianità lavorativa ed altri fattori di
confondimento (ad es. abitudine al fumo di sigaretta, consumo abituale
di bevande alcoliche, consumo abituale di caffè italiano, consumo di soia
nella dieta, ecc.).
Analisi statistica
L’analisi statistica dei dati è basata sul calcolo della media, della deviazione standard, della distribuzione, della frequenza e del range in accordo con la natura delle singole variabili. Le differenze tra le medie
sono state comparate usando il test T di Student per dati non appaiati. Le
frequenze delle singole variabili sono state confrontate usando il test del
chi quadro con correzione di Yates. Le differenze erano considerate significative se p <0,05.
RISULTATI
Le concentrazioni plasmatiche di ACTH (Tomei F et al, 2003a), cortisolo (Tomei F et al, 2003b), LH (Tomao et al, 2009; Monti et al, 2006),
17-alfa-OH-progesterone (Ciarrocca et al, 2006a; Tomei G et al, 2007a),
prolattina (Tomei F et al, 2006a), FSH (Tomei G et al, 2007b; Tomei G
et al, 2009) e dopamina (Tomei G et al, 2007c) sono risultate significativamente aumentate nei lavoratori esposti vs. ai controlli di entrambi i
sessi.
Nelle donne esposte i livelli plasmatici di androstenedione (Tomei G
et al, 2009b) e di testosterone (Tomei G et al, 2008) sono risultati significativamente più alti rispetto al gruppo di controllo. Nei lavoratori
esposti di entrambi i sessi, i livelli ematici di ormone della crescita (GH)
(Tomei F et al, 2003c), vasopressina (Tomei F et al, 2004a) e 17 betaestradiolo (Tomei F et al, 2006b; Tomei G et al, 2007d) sono risultati significativamente inferiori rispetto ai controlli; negli uomini esposti i livelli ematici di androstenedione (Tomei G et al, 2006a) e testosterone (in
corso di ricerca) sono risultati significativamente diminuiti. Per quanto
riguarda i parametri neurogeni è stato riscontrato, nei lavoratori esposti
di entrambi i sessi, un significativo aumento dei livelli urinari di HVA
(Tomei F et al, 2003d) ed una significativa diminuzione dei livelli di
acido 5-HIAA (Tomei F et al, 2004b). Per quanto riguarda gli effetti degli
stressor urbani sul sistema immunitario, i nostri studi dimostrano: a) in
uomini e donne esposti un aumento significativo dell’IGF-1 (Tomei F et
al, 2004c); b) in donne esposte un aumento significativo dei livelli nel
sangue di cellule NK, IL-2 e C3 (Ciarrocca et al, 2006b); c) in uomini
esposti un aumento significativo dei livelli ematici di cellule NK e di IL2 (Tomei G et al, 2006b).
DISCUSSIONE
Considerati i risultati del presente studio si potrebbe ipotizzare che
gli stressor urbani possano comportarsi da interferenti sul sistema neuroimmuno-endocrino: a) influenzando la sintesi ed il rilascio di ormoni e di
mediatori dell’impulso nervoso mediante meccanismo di competizione
recettoriale; b) alterando la risposta immunitaria tramite un’azione sugli
effettori immunologici (Colborn et al., 1996). Viene definito “Interferente Endocrino” “ogni sostanza capace di interferire con la normale funzione ormonale” (Colborn et al., 1996). Secondo la U.S. Environmental
Protection Agency essi rappresentano “agenti esogeni che interferiscono
con la produzione, il rilascio, il trasporto, il metabolismo, il legame, l’azione o l’eliminazione degli ormoni responsabili del mantenimento dell’omeostasi e della regolazione dei processi di sviluppo (Kavlock and
Ankley, 1996). Gli studi del nostro gruppo di ricerca dimostrano che i parametri biologici studiati potrebbero essere utilizzati come marcatori biologici precoci per esposizione a stressor urbani, da utilizzare in set occupazionali, valevoli per il gruppo, prima della comparsa dei disturbi correlati.
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06
RUOLO DEL PARTICOLATO FINE E ULTRAFINE NEI MECCANISMI
PATOGENETICI DEGLI EFFETTI CARDIOVASCOLARI
PRODOTTI DALL’INQUINAMENTO URBANO:
RISULTATI DAL PROGETTO PM-CARE
S. Fossati1, P. Urso2, A. Cattaneo2, A.C. Fanetti3, L. Ruggeri3, A. Pini4,
G. De Vito5, D. Cavallo2, P. Carrer1
1
Università degli Studi di Milano, Dip. di Medicina del Lavoro, Sez.
Ospedale Universitario “Luigi Sacco”, via G.B. Grassi 74 20157 Milano
2 Università degli Studi dell’Insubria, Dip. di Scienze Chimiche e
Ambientali, Via Valleggio 11, 22100 Como
3 Università degli Studi di Milano, Dip. di Medicina del Lavoro, via San
Barnaba 8 20122 Milano
4 Ospedale Universitario “Luigi Sacco”, Dip. di Cardiologia, via G.B.
Grassi 74 20157 Milano
5 Università degli Studi di Milano-Bicocca, Dip. di Medicina Clinica e
Prevenzione, Via Cadore 48 20052 Monza (MI)
Corrispondenza: [email protected]
ROLE OF FINE AND ULTRAFINE PARTICLES IN CARDIOVASCULAR EFFECTS OF URBAN POLLUTION: RESULTS
FROM THE PM-CARE STUDY
ABSTRACT. Exposure to PM has been associated with increased
cardiovascular morbidity and mortality, but the mechanisms behind this
association are still unknown. This study aims to assess, in the frame of
the PM-CARE Study, the associations between individual exposure to
urban air PM and changes in heart rate (HR) in subjects suffering from
chronic ischemic heart disease (34 subjects), chronic lung disease (20)
and without the afore mentioned diseases (27). Studied subjects
underwent a 24h exposure/clinical evaluation protocol during their
habitual activities, both in the warm and in the cold season. Individual
exposure to UFPs, fine (0,3-2,5µm) and coarse particles (2.5-10µm) was
continuously measured for each subject, together with a 24hrs
ambulatory ECG. The mean(SD) age of the study population was 64(10)
years. A significant increase in daily HR (7am-23pm) has been observed
for an increase in daily exposure to fine particles (Da0,3-1µm) (models
adjusted for health status, medication use, RH and T); confirmed in the
healthy subjects. No significant association was observed between night
HR and night PM exposure, and no lag effect was observed (daily
exposure vs night HR). These results suggest a rapid effect of fine
particles on heart rhythm.
Key words: Particulate matter, heart rhythm, susceptible subjects
INTRODUZIONE
Studi epidemiologici suggeriscono un’associazione tra le variazioni
giornaliere del particolato nell’aria e le variazioni giornaliere della mor-
45
bosità e mortalità della popolazione. I primi studi hanno indagato la relazione tra esposizione a particelle grossolane e gli effetti sulla salute (12) e solo recentemente l’interesse si è focalizzato sulle particelle fini e ultrafini (3). Questo studio forma parte del Progetto PM-CARE (Particulate Matter CArdio-Respiratory Effects), che indaga i meccanismi patogenetici degli effetti cardio-respiratori del particolato atmosferico. Obiettivo di questo studio era indagare gli effetti del particolato, in particolare
fine e ultrafine (particelle ultrafini, UFPs), sul ritmo cardiaco.
MATERIALI E METODI
I dati analizzati sono stati raccolti tra l’estate 2005 e l’estate 2006
nell’ambito del Progetto PM-CARE. Il campione indagato era composto
da individui non fumatori, e suddiviso soggetti affetti da malattia ischemica cardiaca cronica (gruppo “CUORE”), affetti da asma/BPCO
(“POLMONE”) e non affetti dalle precedenti patologie (“SANI”). Tutti i
soggetti hanno sottoscritto un consenso informato. Ogni soggetto è stato
sottoposto in estate e inverno ad un protocollo di studio di 24h, durante
lo svolgimento delle attività abituali quotidiane. Il protocollo iniziava la
mattina al domicilio e terminava presso l’ospedale. La strumentazione
per monitorare l’esposizione era assemblata in una stazione di monitoraggio mobile dotata di ruote (esposizione individuale). Sono stati monitorati in continuo: concentrazione numerica di particelle totali (Da 0,02 1µm) con un Condensation Particle Counter (CPC); concentrazione numerica delle particelle con Da > 0,3µm differenziate in classi dimensionali 0,3-0,5µm; 0,5-1µm; 1-2,5µm; 2,5-10µm; temperatura e umidità relativa. Ogni soggetto è stato sottoposto a un monitoraggio dell’ECG nelle
24h secondo tecnica Holter; sui tracciati puliti degli artefatti è stata calcolata la frequenza cardiaca (FC) diurna e notturna. Le associazioni tra
esposizione a PM e alterazioni della frequenza cardiaca sono state valutate con l’utilizzo di modelli misti per misure ripetute corretti per sesso,
età, BMI, gruppo, alcol abituale (>1 bicchiere/die), farmacoterapia realmente assunta (betabloccanti, antipertensivi, statine, beta-2-agonisti a
lunga durata d’azione, antiaritmici), PCR, temperatura ed umidità relativa (SPSS 18.0).
RISULTATI
L’età media±DS dei soggetti era 64±10 anni. Il sesso maschile prevaleva nei cardiopatici (88%), mentre negli altri gruppi la percentuale dei
sessi era sovrapponibile. I soggetti cardiopatici assumevano in media più
antipertensivi, e l’utilizzo dei beta-agonisti topici era presente solo negli
pneumopatici. I soggetti sono stati esposti in media(DS) a livelli di
PM2.5 [41(22) µg/m3] e PM10 [52(24) µg/m3]. La maggior parte del
tempo è stata trascorsa in ambiente indoor, in condizioni di riposo/non attività.
Dopo la pulizia dei tracciati ECG, erano disponibili per l’analisi
della frequeunza cardiaca i dati di 142 monitoraggi del giorno e 152 della
notte, relativi a 79 soggetti (27 “sani”, 34 cardiopatici e 18 pneumopatici). I soggetti con cardiopatia presentavano valori di FC [64.9 (7.16)
bpm] più bassi rispetto agli altri gruppi. Sono state analizzate le associazioni tra esposizione in un macroperiodo (giorno e notte) e FC nello
stesso periodo. Successivamente, per valutare l’eventuale presenza di un
ritardo nella risposta all’esposizione, è stata valutata anche l’associazione tra esposizione diurna e FC notturna (ritardo ca. 12h).
I risultati dei modelli misti, riportati in Tabella I, mostravano nel
campione totale un aumento significativo dell’1,93% e del 1,18%
nella FC media diurna per un aumento di una distanza interquartilica
(IQR) nelle frazioni di particolato fine con diametro aerodinamico 0,30,5 μm e 0,5-1 μm rispettivamente. I risultati dei modelli misti con
l’interazione PM*gruppo (non significativa), confermavano tale associazione positiva in tutti i gruppi, con un gradiente di intensità dell’effetto sani>cardiopatici>pneumopatici per le particelle 0,3-0,5,
seppur la significatività statistica fosse presente solo nei sani, dove si
osservava un aumento della FC del 2,23% (IC 95% 0,49 a 3,97; p
0,013) per un aumento di una IQR nelle particelle con Da 0,3-0,5 µm
e del 1,37% (IC95% 0,27 a 2,47; 0,016) per un aumento nelle particelle con Da 0,5-1 µm. Non si osservavano associazioni statisticamente significative tra l’esposizione media notturna e FC media notturna e quando si indagava l’esistenza di un ritardo nell’azione delle
particelle (esposizione media diurna vs Fc media notturna). Inoltre,
non si osservavano significative variazioni della FC per aumenti nell’esposizione a particolato con diametro aerodinamico maggiore di 1
µm e a particelle ultrafini.
46
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
Tabella I. Percentuale di variazione della FC per un aumento
di un IQR nei livelli di esposizione a particolato fine
0,3-0,5 µm (Tabella I.a) e 0,5-1 (Tabella I.b)
MMC E SOVRACCARICO BIOMECCANICO
Tabella I.a
01
VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA MOVIMENTAZIONE MANUALE
DEI CARICHI DEL PERSONALE SANITARIO ADDETTO
D’EMERGENZA
A. Silvetti, F. Forzano, R. Russo, A. Ranavolo, C. Conte, A. De Santis1,
S. Fantini1, E. Ranaldi1, M. Moppi1, F. Draicchio
Tabella I.b
ISPESL - DML - Laboratorio di Fisiologia, Ergonomia, Postura e
Movimento, Via F. Candida 1, 00040 Monte Porzio Catone, Rome, Italy
1 Azienda Regionale Emergenza Sanitaria ARES 118, Via Portuense 240,
00149 Rome, Italy
Corrispondenza: Sergio Fantini, E-mail: [email protected]
DISCUSSIONE
I soggetti in studio sono stati esposti a livelli di PM al di sopra dei
limiti fissati dell’OMS (4). I risultati ottenuti mostrano un effetto del
particolato più fine (Da<0,1 µm), ma non del particolato grossolano o
ultrafine, sulla frequenza cardiaca, in particolare nei soggetti non portatori di cardiopatia ischemica o pneumopatia durante le ore diurne, ma
non durante le ore notturne; inoltre non è stato osservato un ritardo nell’effetto per il lag temporale studiato (12h). Tali riscontri suggeriscono
un effetto rapido del particolato fine sul ritmo cardiaco. I maggiori effetti osservati nei soggetti sani potrebbero in parte essere dovuti alla
minor assunzione di farmaci che influenzano il ritmo cardiaco (betabloccanti, beta-agonisti).
Ulteriori analisi verranno condotte sugli indici della variabilità cardiaca e sui dati in continuo per meglio valutare il meccanismo alla base
degli effetti osservati e per meglio definire la presenza di un lag temporale.
Il presente studio è stato cofinanziato dal Ministero dell’Istruzione,
della Università e della Ricerca (PRIN 2004, area 06, n. 30) e dal Ministero della Salute (Programma Strategico Ambiente e Salute - Ricerca Finalizzata 2006 ex art 12 D.Lgs 502/92 - Convenzione n. 41)
BIBLIOGRAFIA
1) Dockery, D.W., et al. An association between air pollution and mortality in six U.S. cities. N Engl J Med, 1993. 329(24):1753-9.
2) Schwartz, J. and R. Morris. Air pollution and hospital admissions for
cardiovascular disease in Detroit, Michigan. Am J Epidemiol, 1995.
142(1): 23-35.
3) Timonen K.S. Vanninen E., et. al. Effects of ultrafine and fine particulate and gaseous air pollution on cardiac autonomic control in
subjects with coronary artery disease: the ULTRA study.J Expo Sci
Environ Epidemiol. 2006. 16(4):332-41. Epub 2005 Oct 5.
4) WHO. Air quality guidelines. Global update. 2005.
MANUAL MATERIAL HANDLING RISK ASSESSMENT IN EMERGENCY MEDICAL SERVICES
ABSTRACT. Purpose of this paper is to assess manual material
handling in emergence medical service. The investigated tasks were: 1)
to pull out a patient from a car; 2) to lift a strechter with a patient; 3) to
carry a patient along stairs; 4) to carry a patient on a chair on a plain
surface. We used a biomechanical software (Apalys 3.0 - ILMCAD
GmbH, Ilmenau, Germany). This software allows a reconstruction of the
worker posture superimposing a model chosen from a library over a
picture to estimate compressive force (Newton), applied at L5-S1 level.
In our simulation we assumed that each worker lifted 30 or 40 kg (about
half weight of a standard patient). We found high values of applied force,
largely over the Action Limit (AL) proposed by the NIOSH, in the tasks
1) and 2). The values obtained in the tasks 3) and 4) were below the AL
but the awkward posture, the prolonged strain and the risk of slip, trip
and falls (not taken into account in this paper) make also the tasks 3) and
4) dangerous and worthy of attention.
Key words: patient handling, emergency medical services, back
disorders
INTRODUZIONE
Nel caso del personale sanitario d’emergenza le situazioni in cui gli
addetti si trovano ad operare non sono mai le stesse. Fattori come durata
dell’attività, condizioni del paziente e tipo di emergenza variano da un
caso ad un altro rendendo ancora più difficile l’analisi della mansione.
Negli Stati Uniti i disturbi muscolo-scheletrici in questo settore rappresentano circa la metà di tutti gli infortuni riscontrati negli addetti (1).
Molti di questi infortuni avvengono durante il sollevamento e la movimentazione dei pazienti (2) (3). La crescente prevalenza di obesità della
popolazione americana contribuisce in maniera significativa a rendere
tali operazioni ancora più gravose per il sistema muscolo-scheletrico
degli addetti. Reichard (4) ha evidenziato come la causa più frequente di
infortunio sia dovuta alle caratteristiche antropometriche del paziente.
Lavender (5) ha mostrato come gli attuali dispositivi di sollevamento in
commercio necessitino di ulteriori miglioramenti ergonomici. Obiettivo
dello studio è effettuare una valutazione del rischio in un settore in cui
non sono utilizzabili i protocolli standardizzati per lo studio delle attività
di movimentazione manuale dei carichi (MMC).
MATERIALI E METODI
È stata svolta un’indagine preliminare sul campo finalizzata alla raccolta di informazioni relative all’organizzazione del lavoro e alle determinanti del rischio da MMC. Sulla base delle informazioni ottenute sono
state effettuate delle simulazioni delle attività più frequenti e rappresentative riprese con telecamere digitali. Le immagini più significative sono
state campionate ed in seguito analizzate, dal punto di vista posturale e
biomeccanico, con il software Apalys 3.0 (ILMCAD GmbH, Ilmenau,
Germany). Il software si basa su un modello matematico sviluppato da
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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47
Pangert (6) che consente, attraverso la ricostruzione tridimensionale
della struttura dell’operatore, di calcolare la forza espressa in Newton
(N), che si scarica a livello della giunzione lombo-sacrale (L5-S1). È
possibile ricostruire la posizione del corpo dell’operatore, sovrapponendo al fotogramma selezionato, un modello tridimensionale adattato
all’immagine in modo da farlo corrispondere ad essa il più possibile.
Adattato il modello è possibile osservarlo nei tre piani frontale, sagittale
e orizzontale. ed effettuare una predizione della forza ortogonale al disco,
che si scarica a livello L5-S1. Per il calcolo della forza è stato ipotizzato
il sollevamento di pazienti di 60 e 80 kg movimentati da due addetti ipotizzando un’equa distribuzione del peso fra di loro.
RISULTATI
Le mansioni considerate sono state: l’estrazione del paziente dalla
macchina, il sollevamento della barella con il paziente, il trasporto del paziente lungo le scale ed il trasporto in piano del paziente sulla sedia. La figura 1 mostra l’estrazione di un paziente da una macchina. Dal punto di
vista del sovraccarico biomeccanico questo compito risultava il più gravoso a livello L5-S1 per gli operatori con valori di 5400 N e 6500 N rispettivamente per 30 e 40 kg di peso sollevato. Tali valori risultavano ampiamente superiori all’Action Limit (AL) di 3400 N proposto dal NIOSH.
La figura 2 mostra il sollevamento di una barella con sopra il paziente. Dall’analisi effettuata risultavano valori che, anche in questo
caso, superavano ampiamente l’AL di 3400 N proposto dal NIOSH con
5000 N e 6200 N rispettivamente per 30 e 40 kg sollevati. La figura 3
mostra l’operatore impegnato nel sollevamento di un paziente su una
sedia da trasporto. In questo caso i valori di forza risultanti a livello L5S1 erano di 2500 N (30 kg) e 2700 N (40 kg) quindi al di sotto dell’AL.
Nel caso specifico le criticità erano rappresentate dall’assetto posturale.
Infatti l’operatore per poter sollevare la sedia deve estendere le spalle
anche per lunghi tratti di percorso, provocando un sovraccarico biomeccanico degli arti superiori.
Figura 3
Figura 4
La figura 4 mostra gli operatori durante una simulazione di trasporto
di un paziente lungo le scale. Anche in questo caso i valori statici di carico
sono pari a 2000 N per 30 kg sollevati e 2400 N per 40 kg entrambi al di
sotto dell’AL. La pericolosità di questa task è rappresentata dal fatto che il
sollevamento avviene in maniera asimmetrica e si accompagna anche a significative condizioni di instabilitàm nella fase di trasporto. Nell’esaminare questa mansione ci si è comunque limitati alla sola valutazione del rischio da sovraccarico biomeccanico senza tener conto dei pericoli di caduta che sono presenti in maniera rilevante durante questo tipo di manovra.
Figura 1
Figura 2
DISCUSSIONE
A fronte di un elevato numero di infortuni registrati la valutazione del
rischio da sovraccarico biomeccanico del personale sanitario d’emergenza risulta una problematica di difficile soluzione. A tutto ciò si deve aggiungere
l’impossibilità di applicare i protocolli standardizzati comunemente utilizzati
a causa dei loro limiti di applicabilità. Tale difficoltà può essere affrontata
utilizzando metodiche alternative come quella utilizzata. Il metodo utilizzato
fornisce informazioni che possono essere un importante punto di partenza
per la valutazione del rischio. Delle mansioni sopracitate quella che risultava
più gravosa dal punto di vista del sovraccarico biomeccanico era l’estrazione
del paziente dalla macchina; tale manovra risultava particolarmente a rischio
per il sistema muscolo-scheletrico, oltre che per l’elevato peso sollevato,
anche per le condizioni posturali estreme in cui veniva effettuata. La seconda
task più rilevante da un punto di vista biomeccanico era il sollevamento del
paziente sulla barella. I dati infortunistici dell’azienda segnalano tale manovra come quella con una maggior frequenza di infortuni a livello del rachide. Le altre due mansioni prese in esame (trasporto di un paziente su una
sedia e trasporto lungo le scale) non presentavano valori di forza oltre il sopracitato AL. Le posture incongrue in cui gli addetti operano, molte volte per
lunghi tratti di percorso, fanno comunque rientrare anche tali mansioni tra
quelle a rischio. Si deve, infine, aggiungere che queste manovre vengono
spesso effettuate in condizioni di equilibrio precario e causare cadute, qui
non esaminate, ma che devono essere prese in considerazione.
48
BIBLIOGRAFIA
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Journal 1999; 93(6): 46-51
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Research, NIOSH. Morgantown WV 1989
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among emergency responders. 132nd Annual Meeting of the American Public Health Association 2004. Washington DC
5) Lavender SA, Conrad KM, Reichelt PA, Meyer FT, Jonson PW. Postural analysis of paramedics simulating frequently performed strenuous work tasks. Appl. Ergon. 2000b; 31: 45-57
6) Pangert R, Hartman H. A measure for stress on the spine. Z. Gesamte
Hyg. 1987; 33(6): 307-9
02
DISTURBI MUSCOLO-SCHELETRICI DEL RACHIDE
IN UNA AZIENDA DI AUTISTI DI AUTOBUS
F. Cosentino1, G. Ficini2, E. Stefanini2, F. Gabellieri1, R. Buselli1,
A. Vecoli1, W. Noccioli1, A. Baggiani2, A. Cristaudo1
1 U.O. Medicina Preventiva del Lavoro, Azienda OspedalieroUniversitaria Pisana
2 Scuola di Specializzazione Medicina del Lavoro, Università di Pisa
Corrispondenza: Francesca Cosentino, U.O. Medicina Preventiva del
Lavoro, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Via Santa Maria 110,
Pisa. Telefono: 050/993861, E-mail: [email protected]
WORK-RELATED MUSCULOSKELETAL DISORDERS IN A BUS
DRIVERS COMPANY
ABSTRACT. The incidence of musculo-skeletal disorders (MSDs),
according to the literature is very high in the adult population, reaching
60-80% in subjects aged over 50 years.
The occupational risk factors contributing to MSDs demonstrated by
experimental and epidemiological studies are manual lifting and
carrying, whole-body vibrations, awkward postures and trunk torsion.
Bus drivers are unanimously considered a high-risk category.
Since February 2009 to April 2010, 350 bus drivers underwent
periodic and preventive medical examinations and a specific
questionnaire was administered in order to evaluate the incidence of
MSDs. The parameters evaluated in this study were the presence of
specific symptoms in the last year, the presence of already known MSDs,
age, BMI, duration as bus drivers and cigarette smoke. The study showed
that 171 out of 350 drivers had an altered questionnaire.
According to data obtained was developed a preventive strategy with
the active collaboration of the Pisa University Hospital and the bus
company workers’ representatives, including: corporate restructuring
with replacement of old buses, training as well as a physiotherapeutic
program.
Key words: musculoskeletal disorders, bus drivers, back pain.
INTRODUZIONE
Le patologie della colonna vertebrale correlate al lavoro occupano
un ruolo preminente nel contesto delle malattie da lavoro dell’apparato
locomotore.
MATERIALI E METODI
Nel periodo compreso tra il 01 Febbraio 2009 e il 14 Aprile 2010
abbiamo condotto uno studio su un campione di 350 soggetti di età
compresa tra 23 e 60 anni appartenenti ad una categoria professionale
a rischio elevato quale gli autisti di autobus. Tutti i lavoratori inclusi
nello studio sono stati sottoposti a visita medica preventiva e periodica
e ad un questionario specifico sulle patologie del rachide. Il medico
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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competente ha indagato la presenza di sintomatologia a livello del rachide al momento della visita medica, mentre con il questionario fornito ai pazienti è stata indagata la sintomatologia (fastidio/dolore) a livello del rachide cervicale e lombare nell’ultimi 12 mesi e la presenza
di patologie del rachide già note, richiedendo nell’eventualità copia dei
referti.
RISULTATI
La percentuale dei questionari del rachide alterati è stata studiata
suddividendo la popolazione visitata in base all’età, al BMI, all’anzianità lavorativa di mansione e all’abitudine al fumo di sigaretta. Il questionario è risultato alterato, cioè erano presenti risposte positive in almeno uno dei due segmenti del rachide indagati, nel 48,9% della popolazione indagata e la prevalenza dei sintomi incrementava significativamente con il BMI, con l’anzianità di mansione, con l’età e con il
fumo Dei diversi distretti rachidei, quello maggiormente interessato era
il rachide lombare (prevalenza 46,2%). Rilevante anche la prevalenza
del contemporaneo dolore/fastidio a livello sia del tratto cervicale che
lombare (34,5%) e la prevalenza (26,9%) dei sintomi radicolari. Le patologie del rachide sono state indagate dal Medico Competente al momento della visita medica anche con la richiesta dei referti evidenziando: 25 ernie lombari, 8 protrusioni lombari, 13 traumi cervicali, 4
fratture vertebrali.
Con il test T di Student per variabili non appaiate: sono state analizzate le correlazioni fra il questionario e le variabili quali l’età, il BMI,
l’anzianità di mansione. Con il test Chi-Quadro è stata studiata la correlazione tra il questionario e l’abitudine al fumo di sigaretta. Tutte le variabili studiate appaiono associate con i disturbi del rachide con diverse
significatività statistica (tab. II).
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
La lombalgia è la prima causa d’inabilità della popolazione al di
sotto dei 45 anni. Il NIOSH pone tali patologie al secondo posto nella
lista dei 10 problemi di salute più rilevanti nei luoghi di lavoro (1).La
prevalenza dei disturbi riscontrati nel nostro studio è del 48,9%, di
questi il dolore nella regione lombare rappresenta il 46,2%. La prevalenza di dolore rachideo aumenta con l’età e vi è anche una significativa
correlazione con l’anzianità lavorativa e con il BMI. I fattori di rischio
lavorativi per la colonna vertebrale evidenziati da studi sperimentali e
statistico-epidemiologici sono rappresentati da: movimentazione manuale dei carichi, vibrazioni trasmesse al corpo intero, posture incongrue, fisse e protratte, movimenti e torsioni del tronco (2, 3, 4, 5,6).
Escludendo il primo fattore di rischio che nella popolazione oggetto di
studio è inesistente l’attenzione si è concentrata sugli altri fattori: l’esposizione combinata e protratta nel tempo a fattori fisici come le vibrazioni trasmesse al corpo intero, a fattori biomeccanici come la posizione seduta prolungata e la rotazione e flessione del tronco e a fattori
fisici acuti come le contusioni, sarebbe responsabili delle patologie del
rachide riscontrate.
In relazione ai dati ottenuti e credendo nell’importanza della prevenzione sia primaria che secondaria è stato elaborato, con l’attiva collaborazione dell’Azienda, dell’RSPP e degli RLS un progetto comprendente un ulteriore riammodernamento del parco auto, corsi di formazione
e riabilitazione dei lavoratori svolti con la collaborazione di fisioterapisti
dell’AOUP. Nell’ambito del progetto in oggetto la patologia del rachide
viene affrontata con modalità di intervento specifico, ovvero tramite l’Esercizio Terapeutico Conoscitivo, secondo la Teoria Neurocognitiva della
Riabilitazione. L’obiettivo del progetto è la riduzione dei livelli di rischio
attuali e il miglioramento delle condizioni di salute dei soggetti. Il progetto prevede una formazione specifica, di tipo teorico-pratico. Si prevedono quindi più livelli di intervento, dalla osservazione dell’ambiente di
lavoro e delle procedure utilizzate per valutarne la modificabilità nella riduzione del rischio, ad una formazione specifica che metta i lavoratori in
grado di attuare le manovre richieste dall’attività lavorativa con modalità
che comportino riduzione del rischio.
Il nostro studio conferma quanto già presente in letteratura sul ruolo
di alcuni determinanti di rischio nei confronti dei disturbi del rachide. In
particolare risultano fortemente associati l’anzianità lavorativa alla mansione e il BMI. Per il primo risultano importanti gli aspetti preventivi e
formativi. Per il secondo occorre sviluppare misure di promozione della
salute riguardanti gli stili di vita ed in particolare l’alimentazione e l’esercizio fisico.
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Tabella I. Caratteristiche generali e risultati dei questionari
nel gruppo di autisti in studio
Tabella II. Risultati del Test T di Student e del Test Chi-Quadro
nel gruppo di autisti in studio
BIBLIOGRAFIA
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NIOSH Publication n°97; 141 1997.
2) Jensen A. “Locomotor diseases among male long-haul truck drivers
and other professional drivers”. International Archives of Occupational and Environmental Health, volume 81, n.7, 821-827.
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03
MALATTIE DA SOVRACCARICO BIOMECCANICO
DELL’ARTO SUPERIORE IN CINQUE ADDETTI
ALLA MACELLAZIONE DI POLLAME
A. Lanfranco1,2, D. Lumelli1,2, E. Dondi1,2, E. Gentile1,2, G. Scovazzi1,2,
S. Tonini1,2, M. Panigazzi3, F. Scafa1,2, S.M. Candura1,2
1
Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università degli
Studi di Pavia
2 Unità Operativa di Medicina del Lavoro e 3Servizio di Terapia
Occupazionale ed Ergonomia, Fondazione Salvatore Maugeri, Clinica
del Lavoro e della Riabilitazione, IRCCS, Istituto Scientifico di Pavia
Corrispondenza: Dott. Andrea Lanfranco - U.O. di Medicina del
Lavoro - Fondazione Salvatore Maugeri, Via Maugeri 10 - 27100 Pavia
- E-mail: [email protected]
UPPER LIMB WORK-RELATED MUSCULOSKELETAL DISORDERS
IN FIVE POULTRY BUTCHERS
ABSTRACT. We describe 5 workers (3 females and 2 males, mean
age 44,5 years) of a poultry slaughterhouse, examined in May 2010 for
49
a judgement on work fitness according to the Italian Law 300/70. Their
jobs required highly repetitive actions, often associated with the use of
force. The postural involvement was also considerable, particularly for
the right arm. The OCRA method, recommended by the international
standard ISO 11228-3 and EN 1005-5, was used for risk assessment,
giving high or very high (up to 40) index values. All patients reported
mild symptoms and displayed radiological and electroneurographic
signs of low-grade bilateral carpal tunnel syndrome; additionally, 4
subjects showed signs of bilateral rotator cuff tendonitis, associated in 3
cases with biceps long head tendonitis; one worker was affected by lowgrade elbow tendonitis. All patients received specific limitations
regarding work fitness. The cases were reported to the Judicial Authority
and referred to the Italian Workers’ Compensation Authority. This case
series confirms the well-known risk due to biomechanical overload of the
upper limb in poultry butchering, the need for preventive measures in
this occupational sector, and the importance of an interdisciplinary
approach for a correct etiologic diagnosis.
Key words: cumulative trauma disorder, OCRA index, work fitness
INTRODUZIONE
Numerose attività lavorative possono essere correlate allo sviluppo
di disturbi muscolo-scheletrici degli arti superiori (UL-WRMDs, WorkRelated Musculoskeletal Disorders of the Upper Limb), che possono
estrinsecarsi con forme cliniche ad interessamento prevalentemente articolare e peri-articolare, muscolo-tendineo, neurologico periferico, con
frequente associazione o sovrapposizione di queste forme tra loro. Tali
patologie pongono spesso criticità al medico del lavoro sia per quanto riguarda il parere specialistico sull’eventuale correlazione causale, sia per
la formulazione del giudizio di idoneità alla mansione.
Le attività di macellazione e sezionamento delle carni avicole presentano tutti i principali fattori di rischio per i disturbi muscolo-scheletrici degli arti superiori: elevata frequenza e ripetitività dei gesti lavorativi, uso eccessivo della forza manuale, mantenimento di posture incongrue prolungate degli arti superiori, utilizzo di strumenti vibranti, esposizione al freddo e carenza di adeguati tempi di recupero.
Per la valutazione del rischio da movimenti ripetitivi le norme ISO
11228-3 e EN 1005-5 raccomandano espressamente l’utilizzo del metodo
OCRA (Occupational Ripetitive Actions), proposto da Occhipinti e Colombini, per il calcolo di un indice sintetico di esposizione a movimenti
ripetitivi degli arti superiori, l’indice OCRA, dato dal rapporto tra il numero delle azioni tecniche effettivamente svolte nel turno di lavoro e il
corrispondente numero di azioni tecniche raccomandate (1).
SOGGETTI E METODI
Presentiamo cinque addetti alla macellazione ed al sezionamento di
pollame (3 donne e 2 uomini, età media: 44,2 anni), con tempo di esposizione medio di 5,4 anni, giunti alla nostra osservazione nel maggio
2010 per giudizio di idoneità alla mansione ai sensi dell’articolo 5, Legge
300/70.
Le attività svolte comprendevano: sgabbiamento e appendimento,
eiugulazione, spiumatura (assistenza in linea), separazione petto da cassa
toracica e svuotamento, eviscerazione manuale, separazione ali e cosce
al tavolo rotante, rifinitura al tavolo, lavaggio delle attrezzature con
lancia e pulizia degli ambienti di lavoro con scopa.
L’applicazione della metodologia OCRA per la valutazione del rischio da sovraccarico biomeccanico da lavoro ripetitivo, effettuata nel
giugno 2009, aveva collocato quasi tutte le lavorazioni nella fascia di
rischio medio o elevato, con particolare riferimento all’arto superiore
destro: tra le 10 lavorazioni considerate nessuna rientrava in fascia
verde, una rientrava in fascia gialla (separazione ali e cosce al tavolo
rotante), 3 in fascia rossa (eiugulazione, svuotamento cassa toracica,
rifinitura al tavolo), mentre tutte le altre erano classificate in fascia
viola (Tab. I).
Tabella I. Valori di indici OCRA medi settimanali per operatore
50
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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I soggetti avevano già eseguito, su indicazione del medico competente, esame elettromiografico presso un’altra struttura sanitaria con riscontro, per tutti, di segni di sofferenza del nervo mediano al polso, di
grado da lieve a medio, bilateralmente.
L’iter diagnostico ha compreso visita specialistica di Medicina del
Lavoro con accurata anamnesi lavorativa e patologica, valutazione fisiatrica con riproduzione di attività specifiche e registrazioni strumentali di
forza, studio ecografico degli arti superiori.
2) Caso MA, Ravaioli M, Veneri L. Esposizione a sovraccarico biomeccanico degli arti superiori: la valutazione del rischio lavorativo
nei macelli avicoli. Prevenzione Oggi 2007; 3, n. 4: 9-21.
3) Linee Guida regionali per la prevenzione delle patologie muscolo
scheletriche connesse con movimenti e sforzi ripetuti degli arti superiori - Edizione aggiornata 2009.
RISULTATI
I pazienti riferivano occasionale sintomatologia algica a carico degli
arti superiori con limitazione funzionale da assente a lieve, come confermato dalla valutazione fisiatrica con riproduzione di attività specifiche e
registrazioni strumentali di forza.
Lo studio ecografico degli arti superiori ha dimostrato:
– in tutti i soggetti tenosinovite bilaterale di basso grado dei flessori
delle dita del I raggio, a livello del tunnel carpale;
– in quattro pazienti note tendinosiche bilaterali della cuffia dei rotatori senza interessamenti lesivi, associate in tre casi a tenosinovite
del capo lungo del bicipite;
– in un caso anche note tendinosiche di basso grado insertive epicondilari laterali dei fasci tendinei estensori, bilateralmente ai gomiti.
A seguito di riscontro di manovra di Addson positiva, inoltre, si è ritenuto opportuno sottoporre un paziente a ecocolordoppler arterioso agli
arti superiori, che ha confermato il sospetto di iniziale sindrome dello
stretto toracico superiore a destra.
Al termine dell’iter diagnostico, alla luce del riscontro di una funzionalità degli arti superiori sostanzialmente conservata, si è espresso,
per tutti i dipendenti, un giudizio di idoneità alla mansione specifica con
limitazioni, raccomandando al datore di lavoro di adibire i soggetti ad attività rientranti in una fascia di rischio da ottimale a lieve (indice OCRA
medio settimanale uguale o inferiore a 3,5). Si è evidenziata, pertanto, la
necessità di modificare il ciclo tecnologico, di alternare gli operatori
nelle diverse postazioni e si è consigliata rivalutazione annuale da parte
del medico competente.
In considerazione della documentata esposizione, apparendo plausibile una causa di tipo lavorativo riguardo alle patologie suddette, si è proceduto a segnalazione di malattia professionale alle Autorità Competenti.
04
DISCUSSIONE
I casi clinici descritti confermano la presenza di numerosi fattori di
rischio di tipo ergonomico, quali esecuzione di movimenti ripetitivi, posture incongrue e microclima, per lo sviluppo di disturbi muscolo-scheletrici degli arti superiori nel comparto macellazione carni avicole (2).
Al fine di prevenire l’insorgenza di tali patologie, risulta pertanto indispensabile procedere ad una precisa identificazione dei fattori di rischio e ad una corretta quantificazione del rischio stesso, avvalendosi
delle auto-valutazioni fornite dai lavoratori, di analisi tecniche del ciclo
lavorativo e della misura di alcuni parametri ergonomici mediante le metodologie raccomandate. Inoltre, appare necessario mettere in atto interventi volti a migliorare gli aspetti strutturali, tecnologici e organizzativi
con particolare attenzione all’utilizzo della rotazione nelle postazioni a
rischio, all’incremento dei tempi di recupero e alla correzione delle posture incongrue, soprattutto nei settori in cui l’incidenza di fattori di rischio come la ripetitività delle azioni, l’uso della forza e i fattori complementari risultino difficilmente modificabili.
I criteri che orientano all’attivazione della sorveglianza sanitaria
sono sostanzialmente l’esistenza di una significativa esposizione al
rischio e la segnalazione di più casi di disturbi muscolo-scheletrici
degli arti superiori. La presenza di patologie da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori condiziona un giudizio di idoneità negativo
o con limitazioni per attività comprese in fasce di rischio da lieve a
intenso (3).
Lo studio, infine, sottolinea la rilevanza di un approccio interdisciplinare con il coinvolgimento di diverse figure specialistiche (medico del
lavoro, fisiatra, radiologo) per porre una diagnosi eziologica corretta ed
indicare i limiti entro cui i lavoratori possono essere ricollocati.
BIBLIOGRAFIA
1) Occhipinti E, Colombini D. Proposta di un indice sintetico per la valutazione dell’esposizione a movimenti ripetitivi degli arti superiori
(OCRA index), Med Lav 1996; 87, 62: 526-548.
PRIMI RISULTATI DI UNA INDAGINE EPIDEMIOLOGICA
SUI DISTURBI MUSCOLO-SCHELETRICI DEGLI ARTIGIANI
EDILI NELLA PROVINCIA DI BERGAMO
N. Vitelli1, N. Battevi2, E. Carissimi1
1 Università degli Studi di Milano - dipartimento di Medicina del Lavoro
- Milano - via San Barnaba, 8
2 UOOML-CEMOC Clinica del Lavoro “L. Devoto” Fondazione IRCCS
Ca’ Granda - Milano - Via S. Barnaba, 8
Corrispondenza: Nora Vitelli: [email protected]
FIRST RESULTS OF AN EPIDEMIOLOGICAL SURVEY ON
MUSCULOSKELETAL DISORDERS IN CONSTRUCTION WORKERS IN THE DISTRICT OF BERGAMO
ABSTRACT. 1277 subjects working in construction trades were
evaluated to identify musculoskeletal disorders. The diagnostic
protocol included a questionnaire administered by trained
physiotherapist, clinical examination and if necessary radiological
procedures. In this study we analyze results of the questionnaire. A very
high prevalence of subjects with lumbar pathology (herniated disc) 23 times the expected was identified. Prevalence of pathologies of the
upper limbs is slightly higher than expected in subjects older than 35
years, and in the same group prevalence of upper limb disorders is two
to five times higher compared with the reference group. A structured
anamnestic evaluation has outlined the presence of a problem, to
identify the real magnitude will be very interesting to complete the
diagnostic protocol and evaluate results of clinical examinations and
radiological procedures.
Key words: patologie muscolo scheletriche; sorveglianza sanitaria;
edilizia.
INTRODUZIONE
Le patologie da sovraccarico biomeccanico rappresentano ormai da
anni una entità nosologica in costante crescita, nel 2003 l’organizzazione
mondiale della sanità ha indicato le patologie muscolo-scheletriche come
la causa più comune di disabilità fisica che colpisce centinaia di milioni
di persone in tutto il mondo (1-4).
Le malattie professionali riconosciute, in Europa, hanno subito nell’ultimo decennio delle profonde modificazioni, di cui la più rilevante è
il costante incremento generale delle patologie muscolo scheletriche
(MSD) a questo trend ha contribuito in modo sostanziale anche il settore
delle costruzioni.
Dati recenti pubblicati dall’INAIL confermano un analogo andamento nella popolazione italiana: il settore delle costruzioni registra il
più alto numero di malattie professionali denunciate rispetto ai settori
dell’industria e dei servizi. In particolare le patologie muscolo scheletriche rappresentano il 30,4%.
In questo contesto è stato attivato un progetto di ricerca mirato alla
identificazione precoce dei disturbi muscolo scheletrici in collaborazione
con il CPTA (Comitato Paritetico Territoriale Artigiano) di Bergamo. I risultati che vengono presentati in questa occasione rappresentano circa un
quarto del campione finale di soggetti che verranno sottoposti a questo
controllo sanitario.
MATERIALI E METODI
Il protocollo clinico si articola anzitutto in fase “anamnestica strutturata” per l’individuazione dei disturbi, negli ultimi 12 mesi, a carico
degli arti superiori e del rachide lombare, identificando i soggetti con soglia anamnestica positiva.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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Per ogni distretto muscolo scheletrico indagato, vengono poi chieste
eventuali diagnosi di patologie già formulate in passato: in questo caso si
richiede al lavoratore di inviare copia degli esami strumentali o della visita specialistica a conferma di quanto dichiarato.
Se un soggetto viene classificato come “caso anamnestico”, il protocollo clinico prevede un esame obbiettivo mirato ed una eventuale accertamento diagnostico strumentale (5) in relazione alla patologia sospettata.
I dati sono stati raccolti e ulteriormente verificati dall’Unità di Ricerca EPM per poi essere elaborati con il pakage statistico SPSS versione 17.
RISULTATI
Il progetto ha avuto il suo avvio nel novembre 2009 e nel periodo
7/11/2009 - 7/04/2010 sono stati raccolti 1277 questionari, 5 dei quali
sono stati esclusi dalla presente indagine perché incompleti.
Come atteso si evidenzia una struttura molto piccola delle imprese
afferenti (con una età media di 37 anni e una anzianità lavorativa media
di 15 anni.
Analizzando, poi i differenti profili professionali troviamo una varietà decisamente elevata con circa 30 mansioni differenti, responsabili
quindi, di esposizioni radicalmente diversi.
Il gruppo maggiormente rappresentato è quello dei muratori (54%),
seguito a grande distanza dagli imbianchini/tinteggiatori (10%).
Dati relativi all’intero campione analizzato
Per quanto riguarda gli arti superiori i dati sono stati analizzati
suddividendo il campione in due fasce di età (inferiore o uguale a 35
anni e superiore a 35 anni) per consentire il confronto con dati di letteratura raccolti con modalità analoghe a quelle utilizzate nel presente
studio (5, 6).
Nei soggetti con età superiore ai 35 anni, la prevalenza di soggetti
con patologia degli arti superiori è risultata del 5,4%, leggermente superiore al gruppo di riferimento (3,5%) e si osserva una aumento dei casi di
patologia della spalla 2,3% (ref. 0,6%) e sindrome del tunnel carpale
1,6% (ref. 0%).
D’altra parte, nella classe di età maggiore la prevalenza di soggetti
con disturbi superiori alla soglia risulta più alta rispetto all’atteso per alcuni distretti (spalla*: 8,6%; gomito*: 5,0%, parestesie+: 10,9%)
* p <0,05 - prevalenze Gruppo Riferimento: Spalla dx 3,5%; Gomito
dx 1,2%
+ p <0,01 - prevalenze Gruppo Riferimento parestesie: dx = sx1,2%
La prevalenza di soggetti con ernia discale, pari a 6,8%, è molto
più alta dell’atteso, circa 3 volte (prevalenza Gruppo Riferimento 2%
- p<0,001); la prevalenza presente un trend crescente con l’età dei
soggetti.
“Muratori”
Rispetto al gruppo generale i muratori presentano una età media sovrapponibile così come la distribuzione per classi di età, mentre scende
al 40% la quota di lavoratori con una anzianità di mansione inferiore a
10 anni.
In questo caso, nei soggetti con età superiore ai 35 anni, la prevalenza di soggetti con patologia degli arti superiori è circa doppia rispetto al gruppo di riferimento: 7% (ref. 3,5%) e si conferma anche
una maggiore prevalenza delle patologie della spalla (2,5%) e di STC
(1,5%).
Si conferma anche la maggior prevalenza di disturbi per alcuni distretti (gomito* 5,1%; parestesie+:10,9%) nei soggetti con età superiore
ai 35 anni.
La prevalenza di soggetti con ernia discale, pari a 7,7%, è molto più
alta dell’atteso, circa 3 volte (prevalenza Gruppo Riferimento 2% p<0,001); la prevalenza presente un trend crescente con l’età dei soggetti.
“Imbianchini”
Si tratta di un gruppo molto più piccolo dei precedenti (N = 131) con
una età media (33 anni) e una anzianità lavorativa media (12 anni) leggermente inferiore rispetto al gruppo generale.
Dal punto di vista descrittivo, ma non inferenziale, si osservano prevalenze di disturbi (11,5%) e patologie (3,8%) alla spalla superiori al
gruppo di riferimento, mentre la quota di soggetti con ernia discale è paragonabile al gruppo di riferimento (3,1%).
51
DISCUSSIONE
In tutti e tre i gruppi valutati, la prevalenza di soggetti con patologia
degli arti superiori è leggermente superiore al gruppo di controllo, tale
dato, in alcuni casi ha una conferma di tipo statistico, mentre in altri, data
la scarsità del campione, le differenze si evidenziano solo dal punto di
vista descrittivo.
Vi sono poi una serie di dati che meritano attenzione: anzitutto la
differenza fra soggetti portatori di patologie agli arti superiori e soggetti
risultati positivi alla soglia anamnestica. Ciò significa che il protocollo
clinico utilizzato, almeno per il distretto arti superiori, ha permesso di
mettere in evidenza il problema. La conclusione dell’iter clinico diagnostico (esame obiettivo ed eventuale esame strumentale) potrebbe ridurre il divario.
Vale la pena sottolineare la presenza di diversi casi di sindrome del
tunnel carpale in soggetti di sesso maschile, il cui rapporto con il lavoro
deve essere maggiormente approfondito ed in particolare rispetto ai compiti che richiedono l’utilizzo di forza quasi massimale, o comunque con
utilizzo forza concomitante con altri fattori di rischio (posture incongrue,
vibrazioni, colpi/contraccolpi…).
Sicuramente il numero di soggetti portatori di patologia franca a livello dorso-lombare è superiore a quella che si riscontra nella popolazione non esposta al sovraccarico biomeccanico del rachide ed è pertanto
presumibile che la movimentazione di carichi (sollevamento, trasporto,
traino e spinta), talora in sinergia con le vibrazioni al corpo intero, sia un
fattore di rischio presenti in questo comparto produttivo.
Questi dati sono preliminari e rendono conto di un campione importante per il settore produttivo in oggetto, ma di ridotte dimensioni i termini epidemiologici, oltre ciò nel primo periodo di raccolta dei dati, l’attuale crisi economica potrebbe aver agito come fattore selettivo della popolazione, comportando una diminuzione del numero degli addetti e un
aumento del numero di ore di cassa integrazione ordinaria rispetto allo
stesso periodo degli anni precedenti.
BIBLIOGRAFIA
1) Arndt V, Rothenbacher D, Brenner H, Fraisse E, Zschenderlein B,
Daniel U, Schuberth S, Fliedner TM: Older workers in the construction industry: results of a routine health examination and a five year
follow up. Occup Environ Med 1996;53:686-691.
2) European Foundation for the Improvement of Living and Working
Condition: Fourth European Working Conditions Survey 2005.
3) European Foundation for the Improvement of Living and Working
Condition: Third European survey on working conditions 2000.
4) EUROSTAT - http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/
statistics/search_database
5) Menoni O, De Marco F, Colombini D, Occhipinti E, Vimercati C:
Occurrence of musculoskeletal disorders in working populations not
exposed to repetitive tasks of the upper arms. La Medicina del Lavoro. 1996 (87)6, 581-9.
6) Occhipinti E, Colombini D: Updating reference values and predictive models of the OCRA method in the risk assessment of work-related musculoskeletal disorders of the upper limbs. Ergonomics
2007;50(11): 1727-1739.
05
APPLICAZIONE DI UNA METODOLOGIA SEMPLIFICATA
PER LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA SOVRACCARICO
BIOMECCANICO IN AZIENDE ARTIGIANE DEL SETTORE
PELLETTIERO
G. Coppola1, D. Sarrini1, P. Sartorelli1, D. Colombini2, L. Montomoli1
1 Sezione di Medicina del Lavoro e Tossicologia Occupazionale
Università degli Studi di Siena, Viale M. Bracci n.14, 53100 Siena
2 UOOML-CEMOC EPM - Fondazione IRCCS “Ca Granda- Ospedale
Maggiore Policlinico” Milano, Via F. Sforza n.28, 20122 Milano
Corrispondenza: Dott.ssa Giuseppina Coppola, Sezione di Medicina
del Lavoro e tossicologia Occupazionale, Università degli studi di Siena,
Viale Bracci n.14, 53100 Siena, e-mail: [email protected]
52
Parole chiave: pelletterie artigiane, sovraccarico biomeccanico,
valutazione del rischio
SIMPLIFIED METHODOLOGY FOR BIOMECHANICAL
OVERLOAD RISK ASSESSMENT IN THE LEATHER SMALL
INDUSTRY
ABSTRACT. Small and medium sized enterprises represent the
backbone of the Italian socio-economic system. 95% of Italian
companies have less than 10 employees and their number is increasing.
Italian regulation on occupational health and safety provides some
peculiarities for smaller enterprises kept by the recent D.L.gs 81/08.
Until the issue of a special inter-ministerial decree on the standard
procedures of risk assessment, employers can self-certify their
companies. In the SIMLII 2009 National Congress a simplified
methodology for biomechanical overload risk assessment was presented.
This practical tool does not replace the risk assessment process. The goal
of the study was to apply the proposed methodology in the leather small
industry.
Key words: leather industry, biomechanical overload, risk assessment
INTRODUZIONE
La piccola impresa artigiana rappresenta l’ossatura fondamentale
del nostro sistema produttivo, occupazionale ed economico. Basti al riguardo ricordare che circa il 95% delle imprese italiane hanno meno di
10 addetti e che il 2008 ha visto un incremento del 6% rispetto all’anno
precedente. Per le attività artigianali le normative in tema di igiene e sicurezza degli ambienti di lavoro prevedono sin dal D.Lgs. 626/94 e
s.m.i. alcune peculiarità, riconfermate, e ulteriormente definite, nel
successivo D.Lgs. 81/08 fino a giungere all’attuale formulazione del
D.Lgs. 106/09. In particolare l’art. 29 comma 1 del decreto definisce le
modalità di valutazione dei rischi ed elaborazione del documento di cui
all’art.17 comma1 lettera a), mentre ai commi 5 e 6 del medesimo articolo vengono riportate le indicazioni per i datori di lavoro delle imprese artigiane. Fino all’emanazione di apposito decreto interministeriale, delle procedure standardizzate di valutazione dei rischi di cui all’art. 6, c. 8, lett. f) del medesimo D.Lgs e comunque, non oltre il 30
giugno 2012, i datori di lavoro possono autocertificare l’effettuazione
della valutazione dei rischi.
La valutazione del rischio è un’operazione complessa che richiede
un’adeguata professionalità e l’attuazione di operazioni, successive e
conseguenti tra loro. Sono state pubblicate numerose check list 1 finalizzate ad agevolare datori di lavoro e consulenti tecnici nel processo di valutazione dei rischi in aziende di piccole/medie dimensioni. Questi strumenti si sono però spesso dimostrati scarsamente agevoli in quanto richiedono competenze tecniche già significativamente sviluppate ed entrano da subito in una valutazione approfondita dei rischi presenti in
azienda.
Al Congresso Nazionale SIMLII 2009 è stata presentata una metodologia il cui scopo era quello di offrire, in linea con il mandato del
WHO IEA e con lo standard ISO 11228, una strumento semplice che
consentisse ai datori di lavoro la redazione della prima mappatura dei disagi/pericoli esistenti nell’impresa artigiana.
In Italia nel 2008 il numero delle imprese artigiane registrate nel settore valigeria e pelletteria era di circa 6.500 con 32.000 addetti, mentre
nello stesso anno dati dell’Osservatorio regionale toscano sull’artigianato registravano 545 aziende nel settore concia e 2271 nel settore pelletteria. Relativamente alla distribuzione territoriale delle imprese italiane la regione con maggiore concentrazione è la Toscana (28%), seguita
dalle Marche (23%) e dalla Campania (10%) Scopo del presente lavoro
è stato quello di applicare la metodologia proposta in aziende artigiane
del settore pellettiero.
MATERIALI E METODI
La metodologia proposta è stata utilizzata in 5 aziende artigiane
del settore pellettiero: una conceria, due aziende dove avvengono lavorazioni meccaniche intermedie e due aziende di produzione di
borse.
La procedura di valutazione è stata la seguente:
– illustrazione del metodo proposto ai datori di lavoro;
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–
–
–
sopralluogo con riprese filmate delle lavorazioni;
analisi del ciclo di lavoro per l’individuazione dei principali rischi
mediante compilazione delle schede di valutazione da parte dei medici della Sezione di Medicina del Lavoro dell’Università degli
Studi di Siena, in collaborazione con i datori di lavoro;
raccolta delle informazioni su supporto informatico per ottenere una
prima visione generale su tutti i principali descrittori di rischio presenti nel settore e analisi delle priorità di intervento per i successivi
adempimenti mediante lettura degli istogrammi ottenuti.
RISULTATI
I sopralluoghi effettuati nelle aziende hanno permesso una prima
analisi dei principali fattori di rischio presenti che può essere schematizzata nel seguente modo:
1) Conceria: a) Pretrattamento pelli con utilizzo di disinfettanti e
conservanti; b) Lavoro di riviera con trattamenti di preparazione
alla concia all’interno di bottali; c) Processo di concia che consiste nel rendere la pelle imputrescibile, dare resistenza e migliorare le caratteristiche meccaniche; d) Operazioni successive alla
concia con procedimenti meccanici e non che servono per ottenere
il prodotto finito:
3) Produzione di borse: a) lavorazioni meccaniche per la preparazione
dei materiali: sgrassaggio e scarnitura, sgarzatura, smerigliatura, raspatura e carteggiatura, taglio e sagomatura dei componenti esterni
ed interni; b) montatura dei pezzi: masticiatura con vari collanti,
doppaggio con rinforzi interni; c) rifinitura: colorazione bordi, lavorazioni particolari di maniglie, tracolle, cerniere ecc.
Successivamente all’analisi del ciclo di lavoro la compilazione
delle schede di prevalutazione ha evidenziato una preponderanza dei
rischi da sovraccarico biomeccanico (movimenti ripetitivi, movimentazione manuale dei carichi e posture incongrue) con alcune differenze. Nella conceria gli indicatori di rischio in ordine di priorità di
intervento sono risultati quelli legati al sovraccarico biomeccanico
(movimenti ripetitivi, sollevamenti e posture incongrue) ma con una
certa rilevanza anche per i fattori organizzativi, per i fattori legati ai
macchinari in uso e per la presenza di inquinanti. In entrambe le
aziende di lavorazione meccanica intermedia l’istogramma dei risultati evidenzia una netta prevalenza dei rischi ergonomici e di quelli
legati all’esposizione ad inquinanti ambientali. Anche per quanto riguarda la produzione di borse la premappatura evidenzia in entrambe
le aziende analizzate la presenza preponderante dei fattori ergonomici
(posture e movimenti ripetitivi) e degli inquinanti chimici sugli altri
fattori di rischio.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Il modello di prevalutazione ci ha permesso di ottenere una prima
visione generale su tutti i principali fattori di rischio che sono presenti
nel settore pellettiero analizzato. In particolare le schede di prevalutazione hanno evidenziato che nelle aziende analizzate il rischio da movimenti ripetitivi degli arti superiori e da movimentazione manuale è non
solo presente, ma anche a livelli tali da suggerire in molti casi una valutazione urgente.
Il metodo rappresenta sicuramente un utile strumento per i datori di
lavoro in quanto permette loro di evidenziare in maniera istantanea le
priorità di intervento per i singoli fattori di rischio presenti.
BIBLIOGRAFIA
1) Colombini D, Di Leone G, Occhipinti E, Montomoli L, Ruschioni A,
Giambartolomei M, Ardissone S, Fanti M, Pressiani S, Placci M,
Cerbai M, Preite S. Ipotesi di tecniche semplificate per la prima
mappatura dei rischi professionali nel settore artigiano. Prima parte:
rischi legati all’ergonomia. GIMLE 2009; 31: 292 - 296.
2) Candura F. Elementi di tecnologia industriale ad uso dei cultori di
Medicina del Lavoro. Pavia, Comet Ed. 1991.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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06
PREVALENZA DI DISTURBI MUSCOLO-SCHELETRICI
IN STUDENTI TECNICI DI RADIOLOGIA
A. Lorusso1, L. Vimercati2, R.M. Bellino3, S. Bruno1, N. L’Abbate1
1
Sezione di Medicina del Lavoro, Dipartimento di Scienze Mediche e
del Lavoro, Università degli studi di Foggia, Viale Pinto, 71100 Foggia
2 Sezione di Medicina del Lavoro “B. Ramazzini”, Dipartimento di
Medicina Interna e Medicina Pubblica, Università degli studi di Bari,
Piazza Giulio Cesare 11, 70124 Bari
3 Servizio di Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro, A.S.L.
BAT, Regione Puglia, via Baldassarre, 70059 Trani (BT)
Corrispondenza: Dr. Antonio Lorusso, Sezione di Medicina del Lavoro,
Dipartimento di Scienze Mediche e del Lavoro, Università degli studi di
Foggia, Viale Pinto, 71100 Foggia, Italy; e-mail: [email protected]
PREVALENCE OF MUSCULOSKELETAL DISORDERS AMONG
X-RAY TECHNOLOGIST STUDENTS
ABSTRACT. High prevalences of musculoskeletal disorders have
been described among nursing students. Although recent studies show
musculoskeletal disorders to be a common problem among X-ray
technologists, no data have been so far reported concerning such
disorders among students of this health profession. The aim of the study
was to estimate the prevalence of musculoskeletal complaints among a
sample of X-ray technologist students.
A cross-sectional study was carried out among 166 X-ray
technologist students attending the schools of two large universities in
Apulia region (Southern Italy). A questionnaire was used to collect data
concerning personal characteristics, physical exposure during training
activities, and the presence of musculoskeletal symptoms in the neck,
shoulders, low back, hand/wrist and legs.
The prevalence of complaints at any body site in the previous 12
months was 38%. Low back pain was the most commonly reported symptom
(28%), followed by neck (16%), shoulder (10%), leg (8%) and hand/wrist
pain (6%). Poor physical activity was associated with the complaints.
Our study showed prevalence rates of musculoskeletal complaints
among X-ray technologist students to be somewhat high, representing
about half of those found in Italian technologists. The most common
musculoskeletal problem was low back pain, as indeed found in
researches conducted among nursing students. Our research also
showed an important role of regular physical activity in reducing the risk
of musculoskeletal disorders in young university students.
Key words: Musculoskeletal disorders; Prevalence; X-ray
technologist students
INTRODUZIONE
I disturbi muscolo-scheletrici rappresentano un importante problema
di salute occupazionale tra i lavoratori della sanità. Negli infermieri sono
stati descritti alti tassi di prevalenza di disturbi (1). Allo stesso modo, i
tecnici di radiologia sembrano esserne affetti a tassi elevati (2, 3). Recenti studi mostrano che anche gli studenti delle professioni sanitarie
presentano questo tipo di problema (4, 5). Tuttavia, tra gli studenti delle
diverse professioni sanitarie non sono stati ad oggi indagati gli studenti
tecnici di radiologia. Abbiamo quindi condotto un’indagine di tipo trasversale per stimare la prevalenza di disturbi muscolo-scheletrici in un
campione di studenti tecnici di radiologia
MATERIALI E METODI
Sono stati reclutati per lo studio tutti gli studenti che frequentavano
le scuole triennali di tecnico di radiologia presso le università di Bari e
di Foggia. Tutti hanno accettato di partecipare allo studio, per cui il campione in studio è risultato di 166 soggetti. Ad ognuno di essi è stato somministrato un questionario, utilizzato in precedenza in un’indagine condotta su tecnici di radiologia. Il questionario, descritto in dettaglio altrove (3), rilevava informazioni relative a caratteristiche individuali,
esposizione a rischio biomeccanico e la presenza di disturbi muscoloscheletrici. Le informazioni di carattere individuale richieste sono state:
età, sesso, peso/altezza, abitudine al fumo, attività fisica regolare. Le domande che indagavano l’esposizione a rischio biomeccanico riguarda-
53
vano lo svolgimento di particolari compiti lavorativi, comportanti sovraccarico biomeccanico, nel corso delle attività pratiche.
La presenza di disturbi muscolo-scheletrici nei precedenti 12 mesi è
stata valutata per mezzo di domanda tratte dal Nordic Standardised Questionnaire, tradotto in lingua italiana e validato (6). Le regioni corporee
prese in esame erano rachide lombare, collo, spalla, polso/mano, gambe.
RISULTATI
Tutti i 166 studenti reclutati per lo studio hanno compilato il questionario e sono stati inclusi nell’analisi. Di questi, 80 (48%) erano maschi e
86 (52%) femmine. L’età media era di 22.2 anni (DS 3.4) mentre il valore
medio di body mass index era di 22.6 (DS 2.8). Quarantatre studenti (26%)
erano fumatori e 72 (43%) praticavano attività fisica regolare. Per quanto
riguarda invece i livelli di esposizione a rischio biomeccanico, questi sono
risultati essere simili nelle due scuole e nei tre anni di corso, per cui tutti i
soggetti in studio sono stati considerati esposti agli stessi livelli di rischio.
La prevalenza complessiva di disturbi muscolo-scheletrici nei precedenti
12 mesi è risultata del 38%. Il distretto maggiormente interessato è risultato essere il rachide lombare (28%), seguito da collo (16%) e spalla (10%)
(Tabella II). La Tabella I riporta i risultati dell’analisi per la presenza di sintomi a carico di tutti i distretti, che ha dimostrato un’associazione significativa tra la presenza di sintomi e la scarsa attività fisica.
DISCUSSIONE
A nostra conoscenza, questo è il primo studio che indaghi la prevalenza
di disturbi muscolo-scheletrici in studenti tecnici di radiologia. I risultati
della presente ricerca confermano i dati da noi ottenuti in una precedente indagine preliminare (7). La tabella II mette a confronto le prevalenze riscontrate tra gli studenti con quelle trovate in un analogo studio condotto con la
stessa metodologia su tecnici di radiologia (3). Si evince che i tassi di prevalenza tra gli studenti sono circa la metà di quelli riportati nei tecnici. I disturbi del rachide lombare sembrano essere il problema più comune sia tra
gli studenti che tra i tecnici. Quest’ultimo dato è inoltre in linea con i risultati di studi condotti su studenti di altre professioni sanitarie (4, 5).
Tabella I. Associazione tra disturbi muscolo-scheletrici
e fattori individuali
Tabella II. Tassi di prevalenza di disturbi muscolo-scheletrici
riscontrati negli studenti tecnici di radiologia e nei tecnici
di radiologia pugliesi
54
Il nostro studio dimostra che gli studenti tecnici di radiologia sono
affetti da disturbi muscolo-scheletrici allo stesso modo degli studenti di
altre professioni sanitarie. I tassi di prevalenza da noi riscontrati sono
comparabili con quelli riportati da studi condotti su studenti infermieri in
altri paesi. La nostra indagine ha inoltre dimostrato il ruolo protettivo
dell’attività fisica regolare nei confronti dei disturbi muscolo-scheletrici
in giovani studenti universitari.
BIBLIOGRAFIA
1) Lorusso A, Bruno S, L’Abbate N. A review of low back pain and musculoskeletal disorders among Italian nursing personnel. Ind Health
2007; 45:637-44.
2) Bos E, Krol B, van der Star L, Groothoff J. Risk factors and musculoskeletal complaints in non-specialized nurses, IC nurses, operation
room nurses, and X-ray technologists. Int Arch Occup Environ
Health 2007; 80:198-206.
3) Lorusso A, Bruno S, L’Abbate N. Musculoskeletal complaints
among Italian X-ray technologists. Ind Health 2007; 45:705-8.
4) Smith DR, Sato M, Miyajima T, Mizutani T, Yamagata Z. Musculoskeletal disorders self-reported by female nursing students in central Japan:
a complete cross-sectional survey. Int J Nurs Stud 2003; 40:725-9.
5) Mitchell T, O’Sullivan PB, Burnett AF, Straker L, Rudd C. Low
back pain characteristics from undergraduate student to working
nurse in Australia: a cross-sectional survey. Int J Nurs Stud 2008;
45:1636-44.
6) Gobba F, Ghersi R, Martinelli S, Richeldi A, Clerici P, Grazioli P.
Italian translation and validation of the Nordic IRSST standardized
questionnaire for the analysis of musculoskeletal symptoms. Med
Lav 2008; 99:424-43.
7) Lorusso A, Vimercati L, L’abbate N. Musculoskeletal complaints
among Italian X-ray technology students: a cross-sectional questionnaire survey. BMC Res Notes 2010; 3:114.
07
LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA SOVRACCARICO
BIOMECCANICO IN EDILIZIA: PRELIMINARI
DI UNO STUDIO IN CORSO
M. Santini1, G. Buratti2, L. Dellera2, G. Mosconi1
1 Unità Operativa Ospedaliera Medicina del Lavoro - Azienda Ospedaliera
Ospedali Riuniti di Bergamo, Largo Barozzi 1 - 24126 Bergamo
2 Ergodesign, Via Carnovali 15, 24049 Verdello (BG)
Corrispondenza: Dott.ssa Marisa Santini, Unità Operativa Ospedaliera
Medicina del Lavoro, Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo,
Largo Barozzi 1, 24128 Bergamo, Tel 035/269190, Fax 035/266866,
[email protected]
Parole chiave: sovraccarico biomeccanico, valutazione del rischio,
edilizia
BIOMECHANICAL OVERLOAD RISK ASSESSMENT IN
CONSTRUCTION INDUSTRY: PRELIMINARY RESULTS FROM A
STUDY
ABSTRACT. The work explains the method we used for
biomechanical overload risk assessment of upper limbs in construction
industry, to make boarding with perforated bricks (preparation of mortar
and building materials, construction, plastering) and shows the
preliminary results obtained.
The activity was observed and analysed through simulations of building
site; all tasks were filmed with digital cameras; after we applied OCRA
check-list to obtain values of biomechanical overload for upper limbs.
We found an high risk of biomechanical overload, due to awkward
postures and use of strength, for shoulders, elbows and, in particular, for
wrists. This data helped us to understand why we found an high
prevalence of wrist-WMSD (such as Carpal Tunnel Syndrome) in
bricklayers evaluated in health surveillance.
Key words: biomechanical overload, risk assessment, construction
industry
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INTRODUZIONE
Nell’esperienza di Sorveglianza Sanitaria nell’ambito del progetto
“Tutela della salute nei cantieri edili”, promosso dal Comitato Paritetico
Territoriale (CPT) della provincia di Bergamo e realizzato in collaborazione con l’Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro
(UOOML) degli Ospedali Riuniti di Bergamo (1), abbiamo riscontrato,
con il passare degli anni, un aumento progressivo delle segnalazioni di
nuovi casi di malattie muscoloscheletriche lavoro-correlate tra i lavoratori,
a cui ha fatto seguito anche un incremento dei riconoscimenti da parte dell’INAIL (2). Tra i muratori si riscontra una prevalenza elevata di neuropatie periferiche al distretto mano-polso (in particolare Sindromi del
Tunnel Carpale - STC) oltre a tendinopatie della cuffia dei rotatori ed epicondiliti (3). In considerazione della rilevanza epidemiologica delle malattie muscoloscheletriche, delle difficoltà oggettive di stima del rischio da
sovraccarico biomeccanico nel settore edile, della carenza, in letteratura, di
informazioni e di metodi di misura validati, abbiamo intrapreso, dal 2008,
il progetto-studio “Valutazione ergonomica di attività caratteristiche del
settore edile”, realizzato in provincia di Bergamo dalla UOOML e dalla Ergodesign, promosso dal CPT, dall’INAIL, dall’ARS ed effettuato in collaborazione con la Scuola Edile ed il Servizio PSAL dell’ASL al fine di valutare l’entità dei fattori di rischio da sovraccarico biomeccanico nello
svolgimento di compiti/attività caratteristici dell’edilizia. Il presente lavoro
illustra la metodica applicata ed i risultati preliminari inerenti la valutazione del rischio per gli arti superiori nella realizzazione di tavolati con
mattoni forati una delle più caratteristiche e rappresentative del settore.
MATERIALI E METODI
La valutazione del rischio da sovraccarico degli arti superiori è stata
effettuata tramite check-list OCRA (indice sintetico di esposizione potenzialmente predittivo della possibile futura instaurazione di patologia muscoloscheletrica) (4). L’analisi dei cicli, delle fasi, delle azioni tecniche e
delle posture, è avvenuta tramite ripresa attraverso il posizionamento di
videocamere digitali in postazioni fisse e mobili, in modo da descrivere le
singole azioni, numerare e “temporizzare” i movimenti e le operazioni in
successione. La realizzazione del tavolato comporta lo svolgimento di 3
attività distinte (preparazione della malta, posizionamento dei forati, intonacatura) che sono state ulteriormente scomposte nelle singole fasi tecniche. Sono state definite aree modulari (3,12m2=2,08x1,5 per forato di
12 cm di spessore e 1,89 m2=1,5x1,26 per forato di 24 cm di spessore) individuate dall’altezza massima normalmente realizzata al di sopra della
quale è di norma effettuato un ponteggio, e da una base fissa, che può ipoteticamente essere replicata in cantiere sino alla lunghezza del muro da ergere (base del muro: multiplo del modulo lineare). La realizzazione da
parte dell’operatore dell’area modulare è stata individuata come ciclo lavorativo per l’analisi (5). La scelta dei materiali (malta, tipologia di forato) è stata effettuata a seguito di ricerca merceologica che ha individuato
quelli di più frequente impiego nella tradizione del territorio. Le videoriprese, così come l’acquisizione di informazioni, sono state effettuate
presso la Scuola Edile, usufruendo delle simulazioni didattiche di cantiere
ad opera di 6 lavoratori esperti, di cui uno docente della Scuola Edile.
RISULTATI
Nelle tabelle I-II-III si illustrano i risultati ottenuti (tramite compilazione della checklist OCRA) per le attività di realizzazione di tavolati,
Tabella I. Indice di rischio (IR) sintetico e valore dei parametri
di rischio per il singolo arto nell’attività di preparazione della malta
Tabella II. Indice di rischio (IR) sintetico e valore dei parametri
di rischio per il singolo arto nell’attività di posizionamento
dei forati per la realizzazione del tavolato
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Tabella III. Indice di rischio (IR) sintetico e valore
dei parametri di rischio per il singolo arto nell’attività
di intonacatura verticale ed orizzontale
55
08
I DISTURBI MUSCOLO SCHELETRICI A CARICO DELL’ARTO
SUPERIORE NEL PERSONALE SANITARIO: REVISIONE
DEI DATI DI LETTERATURA
V. Occhionero, F. Gobba
distinte in fase di preparazione della malta, posizionamento dei forati con
malta per la realizzazione del tavolato ed intonacatura, sia per le pareti
(intonacatura verticale) sia per il soffitto (intonacatura orizzontale).
Il parametro “forza” è determinato intervistando l’operatore (impiego della scala di Borg).
Il parametro “posture” segnala in particolare l’adozione di posture
incongrue ripetute e/o mantenute a carico dei polsi (flesso-estensioni e
deviazioni radio-ulnari), delle mani e delle dita (prese palmari) per tutto
il periodo di realizzazione del tavolato (MMC dei forati, utilizzo di
staggia e frattazzo) e delle spalle (elevazione dell’arto superiore al di
sopra della linea delle clavicole) per la presa, il trasporto e l’apposizione
dei forati e della malta soprattutto nel completamento delle file più alte
del tavolato, per l’intonacatura del soffitto.
DISCUSSIONE
L’attività valutata risulta comportare un importante sovraccarico
delle strutture osteomioarticolari di entrambi gli arti superiori, che si
traduce in un rischio elevato di sviluppo di patologie per i distretti
delle spalle, dei gomiti e dei polsi. Tale rischio è in particolar modo
dovuto all’adozione di posture incongrue ed all’impiego di forza ed è
rilevante per il distretto mano-polso. Il dato supporta l’elevata prevalenza di STC, patologia che usualmente si ricollega all’uso di strumenti vibranti, nei muratori più che in altri operatori edili (ad esempio
carpentieri) (3), fornendo supporto igienistico all’evidenza epidemiologica, in sostegno agli adempimenti medico-legali. Il rischio di sovraccarico biomeccanico è già medio-elevato nella prima ora di svolgimento continuativo dell’attività, pertanto la riduzione del rischio
non si ritiene ottenibile diminuendo i tempi, ma dovrebbe essere ricercata, a scopo di prevenzione primaria, sia modificando l’attuale organizzazione del lavoro (ad esempio, alternanza delle attività con variazione dei gesti lavorativi) sia sviluppando tecnologie alternative
(ausili meccanici, interventi sulle materie prime,...). Un punto critico
emerso in corso di valutazione è rappresentato dalla necessità di ponderare in modo il più corretto possibile il parametro “forza” impiegata,
definita soggettivamente dall’operatore: oltre ad avere ampliato il
campione dei soggetti valutati, riteniamo utile, nel proseguimento
dello studio, integrare i dati soggettivi con misure di dispendio energetico. È inoltre attualmente in corso la rivalutazione delle attività applicando il metodo OCRA oltre alla checklist. Infine riteniamo utile
sottolineare che nell’esecuzione dell’indagine è fondamentale la collaborazione di figure professionali con competenze complementari
quali medici del lavoro, ergonomi ed operatori edili.
BIBLIOGRAFIA
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5) Santini M, Mosconi G, Buratti G, Dellera L. Valutazione ergonomica della realizzazione di tavolati con mattoni forati - Pubblicazione INAIL 2010
Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università di Modena
e Reggio Emilia, Via Campi 287 - 41125 Modena, Tel +39 059 205 5463,
Fax +39 059 205 5483
Corrispondenza: Vincenzo Occhionero, via Campi 287, Modena.
[email protected]
UPPER LIMB MUSCULOSKELETAL DISORDERS IN HEALTH
CARE PERSONNEL: A REVIEW
ABSTRACT. Musculoskeletal disorders are a well known problem
in health care personnel. Up now research focussed mainly to low back
pain, while scant attention has been devoted to the upper limb. Using
PubMed, Embase and Scopus we searched for studies on work-related
upper limb symptoms in health care personnel. We included studies:
published since 1990, with at least 25 persons and a response rate >50%
and which assessed symptoms using the “Nordic Musculoskeletal
Questionnaire”. Based on the selection criteria, 18 articles were
collected in 4 different groups: dentist, nurses, physiotherapists,
laboratory technicians.
The highest prevalence of neck symptoms was observed in dental
personnel (73% - 54%) and in nurses (54.7% -13.2%). Considering the
shoulder, prevalence ranging 65% - 49.8% were observed in dentist, and
from 71.9% to 35.1% in nurses. For the elbow, the laboratory
technicians and dental personnel had the higher values (23% and 2718% respectively). Finally, for the hand / wrist, the highest prevalence
was found in laboratory technicians (59%) and in dentists (54 - 47.5%).
As a conclusion, the results show that the upper limb symptoms
should be considered a significant problem in health workers, and
adequate preventive strategies should be developed and implemented.
Key words: Health care personnel; Nordic Musculoskeletal
Questionnaire; Review
INTRODUZIONE
I disturbi muscolo scheletrici sono uno dei principali problemi nel
personale sanitario. Finora l’attenzione è stata però rivolta principalmente al sovraccarico del rachide, mentre scarsa attenzione è stata posta
all’arto superiore.
MATERIALI E METODI
Abbiamo condotto una rassegna della letteratura scientifica sui disturbi all’arto superiore nel personale sanitario interrogando tre banche
dati: PubMed, Embase, Scopus. Sono stati considerati i lavori in extenso
su riviste peer-review, pubblicati dal 1990, con almeno 25 soggetti e partecipazione superiore al 50%, che hanno valutato i sintomi mediante il
“Nordic Musculoskeletal Questionnaire” (8).
RISULTATI
Sono stati raccolti 18 studi: 7 nel personale odontoiatrico; 8 in infermieri; 2 in fisioterapisti ed 1 in tecnici di laboratorio.
Sono state analizzate le prevalenze di disturbi al collo, spalla, gomito
e polso-mano (Tab. I). Al collo, le prevalenze più elevate sono state evidenziate nel personale odontoiatrico: 73 - 54% (1) e negli infermieri: 55
-13% (16, 18). Per la spalla le prevalenze variano dal 65% al 50% nel
personale dell’odontoiatria (1, 10) e dal 72% al 35% per quello infermieristico (16; 19). Per il gomito, invece, sono i tecnici di laboratorio (5)
facenti uso di pipette manuali (23%) ed il personale odontoiatrico (1) ad
avere valori maggiori (27-18%).
Infine, per il distretto mano/polso, le prevalenze più alte sono ancora
nei tecnici di laboratorio (59%) (5) e nel personale dell’odontoiatria (54
- 47%) (1, 10).
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Le prevalenze di disturbi muscolo scheletrici nella popolazione generale sono piuttosto variabili ma, come riferimento, quelle osservate
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negli olandesi sono state rispettivamente del 31%, 30,3%, 11%, 17,5%,
per collo, spalla, gomito e mano/polso (14).
Negli odontoiatri e negli infermieri emergono prevalenze sensibilmente più elevate, anche doppie, per il collo e spalla. Per il gomito sono
i tecnici di laboratorio a mostrare i valori più elevati, ma anche nel personale odontoiatrico e infermieristico le prevalenze restano comunque
superiori alla popolazione generale. Infine, tecnici e odontoiatri risultano
i più interessati da disturbi a carico del distretto mano/polso. Nei fisioterapisti, invece, le prevalenze si discostano meno da quelle della popolazione generale.
In conclusione, i risultati dimostrano che, oltre a quelli del rachide,
anche i disturbi a carico dell’arto superiore sono un problema significativo nel personale infermieristico, odontoiatrico e nei tecnici di laboratorio. Tali disturbi sono principalmente correlabili a forza, postura, movimenti ripetitivi o alla loro combinazione, fattori studiati finora in modo
insufficiente nel personale sanitario. Adeguate misure preventive dovrebbero essere studiate ed applicate.
Tabella I. Prevalenze di disturbi muscolo-scheletrici osservate
in vari gruppi di personale sanitario
11) Lusted MJ, Carrasco CL, Mandryk JA, Healey S. Self reported
symptoms in the neck and upper limbs in nurses. Appl Ergon. 1996;
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09
VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA SOVRACCARICO
BIOMECCANICO DEGLI ARTI SUPERIORI NELLA MANSIONE
DI IMBIANCHINO/TINTEGGIATORE
BIBLIOGRAFIA
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among Ontario dental hygienists. Am J Ind Med. 1995; 28:521-40.
N. Vitelli1, N. Battevi2, E. Carissimi1, M. Salvioni3
1 Università degli Studi di Milano - dipartimento di Medicina del Lavoro
- Milano - via San Barnaba, 8
2 UOOML-CEMOC Clinica del Lavoro “L. Devoto” Fondazione IRCCS
Ca’ Granda - Milano - Via S.Barnaba, 8
3 Medico Competente - Specialista in Medicina del Lavoro
Corrispondenza: Michele Salvioni - [email protected]
Parole chiave: sovraccarico biomeccanico; arti superiori; edilizia
UPPER LIMB RISK ASSESSMENT IN PAINTERS
ABSTRACT. Construction industry has the highest incidence of
injuries and illnesses of all industrial sectors in Italy. The severity of the
injuries and illnesses experienced in construction is also an issue.
Ergonomic hazards specific to most construction job tasks have been
poorly characterized, and the generalizability of exposure data to
construction projects in other places and time periods is usually unknown.
Detailed information about the characteristics of jobs is needed in
occupational musculoskeletal epidemiology and for the development of
effective ergonomics controls when jobs are found to be problematic. The
objective of our research is to provide guidelines for the reliable
assessment for a variety of ergonomics exposures in non-routinized work
situations. First part of the research focused on painters and on risk for
upper limbs: current paper illustrates early results of this study.
INTRODUZIONE
Le malattie professionali riconosciute, in Europa, hanno subito nell’ultimo decennio delle profonde modificazioni, di cui la più rilevante è
il costante incremento generale delle patologie muscolo-scheletriche: a
questo trend ha contribuito in modo sostanziale anche il settore delle costruzioni in cui queste patologie rappresentano il 40% delle malattie professionali riconosciute (1). Dati recenti pubblicati dall’INAIL nel 2007
confermano un analogo andamento nella popolazione italiana: il settore
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delle costruzioni registra il più alto numero di malattie professionali denunciate rispetto ai settori dell’industria e dei servizi. In particolare le patologie muscolo scheletriche rappresentano il 21,5% (2).
In questo settore produttivo, i fattori di rischio di tipo ergonomico
sono stati scarsamente caratterizzati e la presenza di una accurata ricostruzione dell’esposizione è necessaria per consentire l’individuazione di
soluzioni ergonomiche efficaci. Da una collaborazione tra l’unità di ricerca EPM e il CPTA di Bergamo è nato un progetto di ricerca dedicato
alla realizzazione di strumenti utili alla ricostruzione di profili di rischio
(da sovraccarico biomeccanico) per mansione lavorativa ma soprattutto
di individuare le soluzioni tecnologiche od organizzative per l’abbattimento del rischio e per il miglioramento delle condizioni di salute dei lavoratori di questo comparto. La prima parte di questa ricerca riguarda lo
studio del sovraccarico biomeccanico degli arti superiori nella mansione
di imbianchino/tinteggiatore.
57
Tabella I. Risultati valutazione rischio con checklist ocra
dei compiti svolti da imbianchino/tinteggiatore
METODI
In prima battuta è stata realizzata una ricostruzione accurata delle attività e dei compiti caratteristici dell’imbianchino in collaborazione con
lavoratori esperti e responsabili di impresa per identificare i compiti più
rappresentativi della reale esposizione e quelli verosimilmente esponenti
al maggior sovraccarico biomeccanico degli arti superiori.
Le osservazioni sono state condotte da due persone esperte nella valutazione del rischio da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori, i lavoratori sono stati seguiti per tre intere giornate in edifici di nuova costruzione e
in edifici ristrutturati per identificare eventuali differenze nell’esposizione.
La valutazione del rischio dei diversi compiti è stata effettuata con il metodo della checklist OCRA. Sono stati messi a punto dei modelli di ricostruzione dell’esposizione sulla base dell’organizzazione del lavoro annuale.
RISULTATI
Considerando l’arto peggiore, il 46% dei compiti sono risultati ad
alto livello di rischio da sovraccarico biomeccanico e il 41% a medio livello di rischio; solo tre compiti presentano un livello di rischio basso
anche se ai livelli superiori della fascia di appartenenza. Nessun compito
è risultato a rischio accettabile per entrambi gli arti superiori.
Valutando poi nel dettaglio(vedi tabella), i fattori chiave nel determinare il livello di rischio sono la frequenza di azione e il mantenimento
di posture incongrue, particolarmente a carico della spalla, in accordo
con quanto segnalato da precedenti pubblicazioni (3-5). Nei compiti che
prevedono l’utilizzo del pennello sono frequenti anche posture incongrue
del polso.
Sono ovviamente presenti importanti differenze nel livello di esposizione tra i due arti in caso di compiti che prevedono l’utilizzo prevalente di un solo arto, tuttavia differenze considerevoli persistono anche in
compiti che prevedono l’utilizzo di strumenti a impugnatura bimanuale
(es. rullo o pennello montati su aste) e sono principalmente dovute al
mantenimento di posture incongrue che sembra interessare maggiormente l’arto dominante.
Tuttavia nel corso dell’osservazione è stato possibile notare che, particolarmente durate le fasi di stesura della pittura, data la scarsa precisione richiesta, l’operatore era solito invertire la modalità di impugnatura
dello strumento per adattarsi alle diverse condizioni ambientali o anche
solo per ridurre l’affaticamento.
CONCLUSIONI
In conclusione, sono stati analizzati con metodo OCRA-Checklist 24
compiti, rappresentativi di circa il 90% delle attività svolte da tinteggiatori coinvolti nella realizzazione di finiture di abitazioni civili. Più
dell’80% dei compiti presentava un livello di rischio da sovraccarico biomeccanico dell’arto superiore medio o elevato.
Tuttavia è necessario fare alcune considerazioni: le osservazioni
sono state condotte nell’arco di tre giorni che, pur essendo una finestra
temporale limitata, secondo quanto precedentemente pubblicato per osservazioni volte alla valutazione ergonomica di compiti in ambito edilizio, dovrebbe consentire una accuratezza nella valutazione del compito
pari a circa l’85% (7).
Sono stati coinvolti solo due osservatori, principalmente per la complessità del metodo di analisi che richiede un lungo periodo di addestramento per consentire una corretta applicazione (6) tuttavia, grazie all’archivio video che si sta implementando saranno possibili ulteriori valutazioni da parte di tecnici esperti.
Il fattore recupero è stato considerato pari a 4 in tutte le valutazioni
perché corrisponde alla modalità italiana più comune di organizzazione
del lavoro (presenza di due interruzioni lavorative nel corso della giornata oltre la pausa mensa), tuttavia è possibile presumere che in condizioni normali i lavoratori possano godere di momenti di ristoro più frequenti durante la giornata configurando, quindi, una esposizione al rischio inferiore a quanto determinato da questa scelta.
Per una migliore definizione di questo fattore saranno necessari ulteriori periodi di osservazione e soprattutto l’acquisizione di una maggiore confidenza con i lavoratori che permetta di osservarli nelle reali
condizioni di lavoro.
BIBLIOGRAFIA
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http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/statistics/search_
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3) Lindbeckl L, Karlsson D, Kihlbergl S, Kjellberg K, Rabenius K,
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house painters. Clinical Biomechanics 1997;12(718):452-460.
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STILI DI VITA, ALIMENTAZIONE E LAVORO
01
COME L’AMBIENTE DI LAVORO PUÒ CONDIZIONARE
GLI STILI DI VITA. RISULTATI DI UNA INDAGINE
NEL SETTORE EDILE E DEI TRASPORTI
M.M. Riva, G. Mosconi
Unità Operativa Ospedaliera Medicina del Lavoro - Azienda Ospedaliera
Ospedali Riuniti di Bergamo, Largo Barozzi, 1, 24128 Bergamo
Corrispondenza: Matteo Marco Riva, Unità Operativa Ospedaliera
Medicina del Lavoro - Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo,
Largo Barozzi, 1, 24128 Bergamo, FAX: 035/266866, TEL: 035/269196,
e-mail: [email protected]
Parole chiave: stile di vita, edilizia, autotrasporti
HOW WORKPLACE CAN AFFECT LIFE-STYLE. RESULTS OF A
STUDY IN CONSTRUCTION INDUSTRY AND ROAD HAULAGE
ABSTRACT. The aim of this work is to observe how workplace can
affect life-style, in order to analyse the role of occupational physicians in
defining health promotion programs. We have chosen to study and
compare construction industry and road haulage. We have randomly
selected 342 construction workers (mean age 38,6 years, DS 11,1; mean
work seniority 22 years, 18,5 in construction industry) and 350 truck
drivers (mean age 41,3 years, DS 9,3; mean work seniority 22 years,
18,5 in road haulage) and we have revised the findings from medical
examinations, blood tests (haemochrome, cholesterol, triglycerides,
blood glucose etc) and questionnaires related to life-styles. All truck
drivers and 125 construction workers (also involved in conduction of
excavators, cranes etc) in addition were submitted to urine drugs test.
The results document a higher prevalence of diabetes, obesity and
dyslipidemia for truck drivers, who have also increased consumption of
coffee and cigarettes compared to construction workers. These have on
the contrary greater propensity to high consumption of alcohol and drug
use. It is possible to identify a role of the environment, the workplace, in
influencing life-styles, important items to consider from the occupational
physicians in the choice of health promotion programs.
Key words: life-style, construction industry, road haulage
INTRODUZIONE E SCOPO
A partire dalla metà degli anni ‘90 in provincia di Bergamo è sorta
una collaborazione tra l’Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro degli Ospedali Riuniti (UOOML) ed il Comitato Paritetico Territoriale (CPT), finalizzata tra le altre cose a sperimentare l’applicazione di
un modello “consortile” per la gestione della sorveglianza sanitaria in
edilizia. L’esperienza ha consentito di raccogliere dati biostatistici relativi ad un campione allargato di lavoratori, avere un’organizzazione comune del servizio sanitario, condividere informazioni e risultati (1). È
stato dunque possibile garantire anche alle piccole imprese adeguati standard di qualità nella sorveglianza sanitaria. Una volta consolidato il modello “consortile” è stato esportato anche in altri settori, in ultimo quello
dei trasporti, con la collaborazione dell’Ente Bilaterale Trasporti e Logistica (EBITRAL) (3). La condivisione di informazioni e risorse ha permesso di contenere i costi e di effettuate indagini mirate anche ad approfondire gli stili di vita dei lavoratori. Sovente il Medico del Lavoro
Competente (MLC) si è dunque occupato della gestione di quadri clinici
o fattori di rischio non correlati all’attività professionale, ma che nel
tempo avrebbero potuto determinare una compromissione della capacità
lavorativa o favorire eventi infortunistici (2), in particolare in settori caratterizzati da elevati indici di frequenza e gravità degli stessi. Con l’obbiettivo di evidenziare il contributo dell’ambiente di lavoro nel condizionare gli stili di vita analizziamo alcuni dati raccolti su un campione di
lavoratori edili e di autisti.
MATERIALI E METODI
Abbiamo selezionato casualmente tra i soggetti sottoposti a sorveglianza sanitaria un gruppo di 342 edili (età media 38,6 anni, DS 10,7;
anzianità lavorativa media 22 anni, di cui 18,5 nel settore) e di 350 autisti (età media 41,3 anni, DS 9,3; anzianità lavorativa media 25 anni, di
cui 15,7 nel settore). Nell’elaborazione è stato considerato quanto
emerso da visite mediche, questionari relativi agli stili di vita ed esami
ematochimici (emocromo, assetto lipidico, glicemia, funzionalità epatica
e renale). Gli autisti e 125 edili (addetti anche alla conduzione mezzi, gru
etc.) sono stati sottoposti in aggiunta a test tossicologico per la ricerca di
sostanze stupefacenti, secondo le modalità previste dalla normativa vigente.
RISULTATI
Riportiamo alcuni dati relativi ai fattori di rischio cardiovascolare. Il
12,6% dei lavoratori edili ha un indice di massa corporea (BMI) superiore a 30 Kg/m2, l’1,8% superiore a 35; il valore medio è risultato 25,7
Kg/m2 (DS 3,6). Tra gli autisti le percentuali sono rispettivamente 23,1%
(BMI > 30) e 4,3% (BMI > 35), con una media di 27,6 Kg/m2 (DS 3,7).
Nella tabella I riportiamo i dati relativi alle dislipidemie, emersi dagli
esami ematochimici, nella tabella II vengono sintetizzate invece alcune
informazioni inerenti le abitudini voluttuarie dei lavoratori, ottenute attraverso la somministrazione di questionari.
Stando all’esito dei nostri accertamenti (anche di secondo livello, nei
casi meritevoli di approfondimento), tra i lavoratori edili valutati l’1,5%
è affetto da diabete mellito, il 10,2% da ipertensione arteriosa; tra gli autisti i diabetici sono il 4,9%, l’8% gli ipertesi.
Per quanto riguarda i test di screening per la ricerca di sostanze stupefacenti, 5 dei 125 lavoratori edili (pari al 4%) sono risultati positivi
(esito confermato attraverso cromatografia accoppiata a spettrometria di
massa): 4 per cannabinoidi ed 1 per cocaina. Tra gli autisti sono 4 le positività riscontrate (1,14%): 1 caso per cannabinoidi, 2 per cocaina ed 1
per metadone (uso terapeutico certificato dal Servizio per le Tossicodipendenze dell’ASL).
DISCUSSIONE
I risultati mettono in evidenza alcune importanti differenze tra i lavoratori edili e gli autisti sottoposti a valutazione, all’origine delle quali
è possibile identificare una significativa influenza anche da parte dell’ambiente di lavoro. L’attività sedentaria, gli orari di lavoro e gli spostamenti, che costringono sovente a pasti irregolari (anche per qualità e
quantità del cibo), sono certamente tra gli elementi alla base del rilevante
eccesso ponderale riscontrato tra gli autisti, della elevata prevalenza di
diabetici e dei frequenti casi di dislipidemia. La monotonia della guida
ed i lunghi ed inoperosi tempi di attesa (per il traffico e per le operazioni
di carico e scarico dei mezzi) sono tra le cause indicate dagli autisti intervistati come giustificazione per l’elevato consumo di caffè e l’intenso
Tabella I. Alterazioni dell’assetto lipidico tra lavoratori edili ed autisti
Tabella II. Abitudini voluttuarie di lavoratori edili ed autisti
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tabagismo. Se infatti il numero di fumatori è nel complesso equivalente
a quello degli edili, è superiore tra gli autisti la percentuale di coloro che
fumano abitualmente almeno 20 sigarette al giorno. Per quanto riguarda
il consumo di alcolici, a causa dei sempre più stringenti controlli da parte
delle forze dell’ordine e grazie anche alla crescente consapevolezza in
merito ai rischi connessi alla guida in stato di ebbrezza, la maggior parte
degli autisti intervistati dichiara di non consumare abitualmente bevande
alcoliche (fatto salvo nel fine settimana), o di farlo esclusivamente una
volta terminato l’orario di lavoro. Rispetto ai lavoratori edili risulta
dunque inferiore la percentuale di soggetti definibili “buoni bevitori”,
abituati ad una assunzione giornaliera di un equivalente in vino superiore
a 0,5 L (ovvero 4 unità alcoliche). Quello dell’alcol rimane invece un
problema rilevante in edilizia, dove non sono presenti controlli, è meno
diffusa la consapevolezza dei rischi (nonostante l’elevata ricorrenza e
gravità degli infortuni) e il lavoro all’aperto (si pensi alla stagione
fredda) ed il dispendio energetico sovente vengono ritenuti da parte dell’operatore una più che valida giustificazione per accompagnare il pasto
con un “adeguato” quantitativo di bevande alcoliche. Questo è un evidente ostacolo culturale da superare, che tuttavia non è realistico pensare
di risolvere attraverso le sole campagne di informazione per i lavoratori.
È infatti necessario da un lato coinvolgere e sensibilizzare al tema anche
i Datori di Lavoro ed i preposti, che debbono in prima persona vietare e
vigilare sull’assunzione di alcolici durante l’orario di lavoro, dall’altro
stabilire delle modalità di controllo che consentano di affiancare all’informazione una altrettanto necessaria vigilanza capillare.
Per quanto riguarda infine l’assunzione di sostanze stupefacenti,
analogamente a quanto avviene per gli alcolici, il deterrente rappresentato dai controlli stradali e la consapevolezza dei rischi hanno sicuramente contribuito tra gli autisti a rendere marginale il problema. Meritevole di attenzione è risultata invece l’assunzione di stupefacenti in edilizia, dove ancora una volata il contesto ha probabilmente un ruolo nel
determinare la situazione. Questo è un tema sul quale è opportuno che
siano studiati tempestivi interventi di educazione sanitaria, ancora una
volta indirizzati anche a Datori di Lavoro e preposti.
I dati raccolti, le differenze non casuali tra edili ed autisti, mettono
in evidenza la capacità di influire sugli stili di vita da parte dell’ambiente
di lavoro. Gli interventi di promozione della salute, previsti dal D.lgs
81/08 (art. 25, comma 1 lettera “a”), devono quindi essere pianificati dal
MLC in base al contesto e mirati ai temi più rilevanti per il settore a cui
ci si rivolge. Per ottenere risultati soddisfacenti, estesi e duraturi non è
probabilmente sufficiente rivolgersi ad un singolo lavoratore ma, sebbene complesso, è opportuno cercare di intervenire contemporaneamente
sull’ambiente di lavoro nel suo insieme.
BIBLIOGRAFIA
1) Mosconi G, Riva MM, Pavesi G et al. Considerazioni sull’efficacia
della sorveglianza sanitaria periodica di lavoratori edili visitati
presso il CPT di Bergamo. G Ital Med Lav Erg 2006; 28 (1 Suppl):
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2) Porru S, Placidi D, Carta A, Alessio L. Prevention of injuries at
work: the role of the occupational physician. Int Arch Occup Environ Health. 2006; 79(3):177-92.
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health survey: not only a drug’s problem. Description of an experience. Med Lav 2010; 101, 3: 207-217.
02
IL RAPPORTO TRA ESPOSIZIONE A RUMORE E ABITUDINE
AL FUMO: INDAGINE CONOSCITIVA SU UN CAMPIONE
DI MARMISTI
M. Bellia, V. Costanzo, N. Luca, A. Nicosia, M. Pace, S. Bellia
Dipartimento di Medicina Interna e Patologie Sistemiche, Sezione di
Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Catania, Via Plebiscito,
628 - 95124 Catania
Corrispondenza: Dott.ssa Valentina Costanzo, Tel. 095 312417 Fax:
095 320463, Cell. 335 423935, e-mail: [email protected]
59
COMBINED EFFECT OF SMOKING AND OCCUPATIONAL
EXPOSURE TO NOISE ON HEARING LOSS: COGNITIVE
SURVEY IN MARBLE WORKERS
ABSTRACT. Cigarette smoke and some ototoxic substances seem to
be mostly implicated at the start of damage caused by noise. According
to the hypothesis such compounds can alter the cochlear hair cells of the
organ of Corti determining a dip at 4000Hz, a common characteristic of
hypoacusis to sound.
In our research 177 marble cutters in the Ragusa province were the
subjects of a statistic-epidemiologic investigation compared against
another control group who were not exposed to noise. In the analysis of
the sample group, a fall greater than 25 dBA to 4000 Hz was considered
an audio deficiency. In the non smoking group, the percentage of subjects
affected by audio deficiency resulted to be only 21.3% of the overall total
(31 out of 145), whereas analyzing the same data in the smoking group
there is a noticeable increase: the smokers affected by audio deficiency
in fact become the 42.1% of the overall total (88 subjects out of 209).
Moreover amongst the hypoacusic subjects, the habit of smoking resulted
a lot more common compared to the normoacusic subjects. Both
considerations lean towards the same direction: smoke and noise could
carry a synergetic role in determining hypoacusis.
Key words: Hearing Loss, Smoking Habits, Marble Workers
INTRODUZIONE
Com’è noto da tempo, il rumore può determinare un danno al sistema uditivo con ripercussioni anche gravi sullo stato di benessere dell’individuo e pertanto da diversi anni viene considerato tra i principali
fattori di rischio per la salute.
Il Deficit Uditivo da rumore (Noise Induced Hearing Loss, NIHL) è
la più comune malattia professionale e il rumore il più comune agente di
rischio nei luoghi di lavoro. Si stima che nel mondo circa 600 milioni di
persone siano esposte al rumore e altrettante siano quelle affette da deficit
uditivo, di cui 80 milioni solo in Europa. L’ipoacusia da rumore rappresenta circa il 50% delle malattie professionali indennizzate dall’INAIL.
Il fumo di sigaretta è da considerare uno tra i fattori di rischio per ipoacusie infatti i fumatori presentano un’incidenza quasi doppia di deficit uditivo rispetto ai non fumatori e questa percentuale sale ancora se è presente
anche una esposizione a rumore. Un calo uditivo a 4000 Hz è inoltre presente con maggiore frequenza nei fumatori anche non esposti a rumore.
Il fumo di sigaretta, per le numerose sostanze tossiche in esso contenute, nicotina, monossido di carbonio, IPA, nitrosamine, solventi, ecc.,
ha un’azione predisponente e favorente l’insorgenza di ipoacusie percettive. Con il nostro lavoro abbiamo voluto convalidare l’ipotesi di una relazione sinergica tra fumo e rumore nella genesi del deficit uditivo. Ciò
nel rispetto di quanto previsto dall’art. 190 del D.Lgs. 81/2008 che, nell’ambito della valutazione dei rischi, focalizza l’attenzione sull’azione
aggravante delle sostanze ototossiche presenti nell’ambiente di lavoro in
caso di esposizione professionale a rumore.
MATERIALI E METODI
È stata effettuata un’indagine su un campione di 356 lavoratori, di
cui circa la metà (184 soggetti) rappresentata da professionisti impiegati
nel settore della lavorazione del marmo nella Provincia di Ragusa e la restante parte (172 soggetti) da lavoratori non esposti a rumore utilizzati
come controllo.
L’intero campione è stato sottoposto a visita medica generale, ematochimica di routine, otoscopia, audiometria tonale eseguita in cabina silente
a riposo acustico nonché altri accertamenti relativi alla mansione specifica.
Per tutti i lavoratori sono state raccolte notizie sia sull’eventuale abitudine
al fumo che su pregresse patologie dell’apparato uditivo. Ai soggetti professionalmente esposti a rumore, inoltre, è stato somministrato un questionario specifico dal quale sono state ricavate informazioni sull’anzianità lavorativa e di esposizione, sui livelli di esposizione professionale e l’eventuale abbattimento del rumore dovuti all’uso di DPI; inoltre sono state indagate l’eventuale abitudine al fumo e la data di inizio di tale assunzione.
Poiché lo scopo della nostra ricerca era quello di valutare il danno
uditivo indotto dall’esposizione a rumore associata all’abitudine al fumo
e la letteratura in materia ha evidenziato come entrambi i fattori siano in
grado di determinare una riduzione della capacità uditiva a livello della
frequenza di 4000 Hz, è stato considerato come deficit uditivo una caduta
bilaterale superiore ai 25 dBA in tale frequenza, escludendo quindi tutti
i casi in cui vi fosse un deficit anche maggiore ma in altre frequenze.
60
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
RISULTATI E CONCLUSIONI
Del totale del campione, 182 lavoratori (51,68% del totale) erano
professionalmente esposti a rumore mentre i non esposti erano 174
(48,32%); 213 (59,83%) presentavano una ipoacusia rientrante nelle caratteristiche indicate in precedenza e 143 erano normoacusici; inoltre 200
soggetti (56,18%) presentavano attuale o pregressa abitudine al fumo e
156 (43,82%) erano quelli in cui tale abitudine era assente (tab. I). I lavoratori sono stati quindi suddivisi in quattro diverse classi d’età ciascuna delle quali è stata ulteriormente divisa in esposti e non esposti ricercando per questi gruppi la presenza di ipoacusie e l’abitudine al fumo.
Infine in ciascuna classe è stata ricercata per questi due sottogruppi
la presenza di ipoacusie e l’abitudine al fumo (Tab. III).
Dall’analisi dei dati raccolti emerge che i soggetti per i quali è stato
individuato un deficit uditivo sono stati 213, ovvero il 59,8% del camTabella I. Dati Campionari Aggregati
N° soggetti
356
Ipoacusia
Rumore
Fumo si
Fumo no
213
(59,8%)
182
(51,68%)
200
(56,18%)
156
(43,82%)
Tabella II. Dati parziali
N° soggetti
Ipoacusia Rumore Fumo si
%
Fumo no
%
46
45.54
55
54.46
No
52
71.23
21
29.77
No
Si
17
40.47
25
59.53
Si
Si
85
60.72
55
39.28
101 (58,1 %)
(28,37 %
del totale)
No
No
73 (41,9 %)
(20,50 %
del totale)
Si
42 (23,1 %)
(11,79 %
del totale)
140 (76,9 %)
(39,32 %
del totale)
Tabella III. Suddivisione per età, tutti i parametri
N° soggetti
Ipoacusia Rumore Fumo si
%
Fumo no
%
≤ 30 anni
16 (51,61%)
No
No
7
43.8
9
56.2
2 (6,45%)
Si
No
2
100,0
0
0
6 (84,9%)
No
Si
4
66.7
2
33.3
7 (15,1%)
Si
Si
6
85.7
1
14.3
22 (36,06%)
No
No
3
13.6
19
86.4
7 (11,47%)
Si
No
4
57.1
3
42.9
12 (19,67%)
No
Si
2
16.7
10
83.3
20 (32,78%)
Si
Si
12
60.0
8
40.0
pione, di cui 73 tra i soggetti senza esposizione occupazionale a rumore
e 140 tra gli esposti.
Gli esposti professionalmente al rumore sono risultati 182, pari al
51,12% dell’intero campione e 174 (48,9 %) i non esposti. Tra questi
l’incidenza di deficit uditivo è pari al 41,95% tra i non esposti a rumore
e al 76,92% tra gli esposti, evidenziando un incremento significativo in
rapporto all’esposizione professionale. Ma, andando a verificare anche
l’abitudine al fumo emerge chiaramente la sua importanza nel determinismo del danno uditivo. I lavoratori con abitudine al fumo, attuale o pregressa, sono stati 200, pari al 56,18% del totale, e i non fumatori 156
(43,82%).
Esaminando l’incidenza dei fumatori tra gli ipoacusici si nota che
questi rappresentano il 71,23% tra i non esposti e ben il 60,72% tra gli
esposti.
L’ultimo dato può sembrare sorprendente. Nei soggetti fumatori abbiamo una notevole incidenza di ipoacusia neurosensoriale e il rumore
sembra avere un effetto sinergico modesto sugli effetti lesivi dell’abitudine al fumo.
Analizzando i fumatori per classi di età è emerso un andamento piuttosto omogeneo con percentuali molto simili nelle varie classi, ad eccezione di quella compresa tra i 31 e i 40 ani, dove l’abitudine al fumo ha
presentato valori più bassi della media.
Va anche considerato che, in funzione delle normative sulla tutela
della salute dei lavoratori, il rischio rumore in futuro risulterà sempre
meno importante dell’abitudine al fumo di sigaretta, per la quale non
esiste una vera e propria tutela, nella genesi del deficit uditivo.
BIBLIOGRAFIA
1) D.Lgs 81/2008, GURI n. 101 del 30.04.2008
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4) Marchei E., Pellegrini M., Pacifici R., Zuccaro P., Pichini S. “Composizione chimica del fumo principale di sigaretta”. Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento del Farmaco.
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smoking and occupational exposure to noise on hearing loss in steel
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8) Cruickshanks K.J., Klein R., Wiley T.L., Nondahl D.M., Tweed T.S.
“Cigarette smoking and hearing loss. The Epidemiology of hearing
loss study”. J Am Med Ass, 1998, 279:1715-19.
31 - 40 anni
03
PROMOZIONE DELLA SALUTE E OBESITÀ IN OPERATORI
SANITARI DI UNA AZIENDA OSPEDALIERA
41 - 50 anni
47 (29,74%)
No
No
24
51.1
23
48.9
29 (18,35%)
Si
No
19
65.5
10
34.5
7 (4,43%)
No
Si
3
42.9
4
57.1
75 (47,46%)
Si
Si
51
68.0
24
32.0
E. Farruggia2, S. Bellia1, L. Fago1, N. Luca1, M. Pace1, M. Bellia1
1
> 50 anni
16 (15,09%)
No
No
8
50.0
8
50.0
35 (33,01%)
Si
No
22
62.9
13
37.1
17 (16,03%)
No
Si
10
58.8
7
41.2
38 (35,84%)
Si
Si
23
60.5
15
39.5
Dipartimento di Medicina Interna e Patologie Sistemiche, Sezione di
Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Catania
2 A.R.N.A.S. Garibaldi - S. Luigi - S. Currò - Ascoli Tomaselli - Catania
Corrispondenza: Dott. Emanuele Farruggia,
e-mail: [email protected], Cell. 380 5269078
HEALTH PROMOTION AND OBESITY: STUDY IN OPERATORS
OF A COMPANY HEALTH
ABSTRACT. The D.1gs 81/2008 foresees amongst other things, the
involvement of the relevant doctor in the promotion of health activities in
the workplace that have the aim of trying to modify poor lifestyle habits
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
61
(smoking, alcohol, diet etc...) responsible for serious illnesses and with
repercussions also on the suitable opinions to the specific duty.
Obesity, as it is known, represents an important risk factor in the rise
of metabolic, neoplasm, cardiovascular and respiratory illnesses, as well
as accidents in the workplace and absences from work. It is in such a
context that a specific questionnaire was given out to 700 health workers
of a hospital in the Catania province, with the aim of evaluating the
incidences of obesity and highlighting a few influencing factors giving
rise to obesity, such as familiarity, dysendocrinopathy (diabetes mellitus,
hypothyroidism) shift work and insufficient physical activity. Statistical
data analysis has partly confirmed the reported findings (insufficient
physical activity, hypothyroidism, diabetes mellitus, age groups under
36) which form an important risk factor for the rise in obesity. Contrary
to reported findings, in the test sample, shift work does not appear to
constitute a risk. A “rehabilitating-educational” course will be
voluntarily offered to workers that are found to be overweight/obese,
with the help of nutritionists, endocrinologists and psychologists, with
the aim of improving workers’ health and their productivity at work.
INTRODUZIONE
Tra le novità contenute nel D.L.gs. 81/2008 nuovo obbligo del “medico competente” (art 25, comma 1, lettera a) vi è quella di collaborare
alla “attuazione e valorizzazione di programmi volontari di Promozione
della salute secondo i principi della solidarietà sociale” (1).
Negli ultimi 20 anni, nei paesi più sviluppati, l’incidenza della obesità è andata progressivamente aumentando. Essa costituisce uno dei
maggiori fattori di rischio per l’apparato cardiovascolare, respiratorio
(OSAS), è responsabile di una ridotta tolleranza al glucosio, aumenta
l’incidenza di alcuni tipi di cancro (2, 3).
In ambito occupazionale a favorire l’incidenza della obesità nelle società tecnologicamente più avanzate vi è sicuramente una progressiva riduzione di lavori pesanti favorita da una sempre più elevata meccanizzazione presente sia in ambito industriale che agricolo.
In questo contesto si ritiene che l’attività del Medico del Lavoro
Competente possa dare un importante contributo per la tutela della salute
nei luoghi di lavoro nella sua eccezione più ampia. Per tale motivo è stata
condotta un’indagine conoscitiva sulla incidenza della Obesità tra gli
operatori sanitari dell’Unità Operativa del M. C. dell’azienda Ospedaliera “Garibaldi” di Catania ha condotto al fine di promuovere corretti
stili di vita idonei a ridurne l’incidenza e le eventuali patologie ad essa
correlate.
MATERIALI E METODI
A 700 operatori sanitari è stato somministrato uno specifico questionario nel quale venivano analizzati i seguenti parametri: Età, Altezza,
Peso, sesso, turnazione, familiarità, disendocrinopatie (diabete
mellito,ipotiroidismo), attività fisica. Per la definizione di soprappeso
corporeo e obesità per ognuno è stato calcolato il relativo BMI in accordo
con quanto proposto dall’OMS suddividendo il campione esaminato in
due gruppi nografici: sottopeso-normopeso fino a
24,9 di BMI e sovrappeso-obesi con BMI da 25
in su. Dopo la suddivisione all’interno di ogni
gruppo sono state calcolate le frequenze assolute
e percentuali; per il confronto tra i due gruppi è
stato utilizzato il test del “χ2” con la correzione
Yate. Le differenze dei parametri presi in considerazione all’interno dei due gruppi sono state
espresse come Odds Ratio (O.R.) ed intervalli di
confidenza al 95%. Le differenze sono state
inoltre valutate anche con analisi multivariata
mediante regressione logistica inserendo le variabili risultate significative.
RISULTATI E CONCLUSIONI
I dati del presente studio, così come si evince
dalla tabella I e fig. 1, mostrano una elevata percentuale di operatori sanitari in soprappeso/obesi
(48.3%) ed una associazione statisticamente significativa per alcuni dei parametri presi in considerazione ed obesità.
Per le finalità della ricerca (promozione della
salute nei luoghi di lavoro) particolare attenzione
Tabella I. Suddivisione del campione secondo il BMI
Tabella II. Regressione logistica
meritano, come fattore di rischio per l’obesità nel campione esaminato, la
familiarità (O.R.2,72), le disendocrinopatie (diabete mellito, ipotiroidismo) con un O.R. di 4,11, la sedentarietà (praticare attività sportiva è un
fattore protettivo), non sembra costituire un fattore di rischio il lavoro in
turno (O.R.1,14). La tabella II mostra i risultati della regressione logistica
con gli O.R. e gli intervalli di confidenza. I risultati confermano quanto in
precedenza descritto evidenziando come le disendocrinopatie (diabete
mellito,ipotiroidismo), il sesso maschile, le classi di età compresi tra 3650 anni e >50 (9), la familiarità sono da considerare un fattore di rischio
mentre l’attività sportiva costituisce un importante fattore protettivo.
In ambito occupazionale l’obesità è responsabile, tra l’altro, di una
aumentata assenza lavorativa per malattia o infortunio (4) e di aumentate
limitazioni della idoneità alla mansione specifica da parte dei medici
competenti con ricadute negative sulla produttività e sulla stessa organizzazione del lavoro (5). L’elevata percentuale di operatori sanitari riscontrati in sovrappeso e/o obesi giustifica pienamente la scelta da parte
della Azienda di promuovere una cultura della prevenzione della obesità
Figura 1. Frequenze % dei vari fattori nei due gruppi di BMI
62
mediante interventi di comprovata efficacia quali, ad esempio,quelli di
impatto sulle abitudini alimentari e sulla attività motoria:1) aumentata disponibilità di cibi salutari nella mensa aziendale; 2) promuovere l’uso
delle scale intervenendo sul contesto lavorativo con cartelli motivazionali, decorazioni (1, 6); offrire ai lavoratori un “counselling” individuale
ed inserire i lavoratori in soprappeso e/ obesi in un percorso riabilitativo
multidisciplinare (medico,psicologico,dietologico) al fine di valutare,
successivamente, possibili ricadute positive sui giudizi di idoneità alla
mansione specifica e sulla riduzione di giornate lavorative perse per
infortuni o malattie (7). È da attendersi, nelle persone coinvolte, un miglioramento del loro stato di salute nonché un migliore performance lavorativa. Riteniamo,infine, che promuovere la salute nei luoghi di lavoro
costituisca un fattore di crescita sia per l’Azienda che per i lavoratori.
BIBLIOGRAFIA
1) D.Lgs 81/2008, GURI n. 101 del 30.04.2008
2) Sacerdote C., Fiorini L., Dalmasso M., Vineis P., “Alimentazione e
rischio di cancro. Indagine su un campione di 10054 volontari residenti nell’area torinese”. 2000, CPO. Quaderno 3 - Torino
3) Lippman SM, Hawak Et. “Cancer Prevention: from 1727 to milestones of the past100 years”. Cancer Res. 2009 Jul 1; 69(13): 5269-84.
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CORDIS study”. Occup Environ Med 1996; 53:832-835
5) Perbellini L. “L’attività lavorativa come fattore di rischio per l’obesità…….. e il contrario”. Med. Lav. 2004; 95(3): 211-222
6) Proper K.I, Hildebrandt V.H., Van der Beek A.J., Twisk J.W.R., Van
Mechelen W. “Effect of individual counselling on physical activity
fitness and health. A randomized controlled trial in a workplace setting”. Am J Prev Med, 2003; 24 (3): 218-226.
7) Heinel L, Darling H. Milbank Q. “Adressing Obesity in the workplace: the role of employers”. 2009 Mar; 87(1): 101-122
04
SOVRAPPESO E OBESITÀ QUALI RISCHI AGGIUNTIVI
PER LA SALUTE E SICUREZZA DEI LAVORATORI
D. Gamberale, A. Pecora, C. Verri
Dipartimento di Prevenzione, U.O.C. Servizio PreSAL AUSL RME,
Via Fornovo, 12 - 00192 Roma
Corrispondenza: Dr.ssa Anna Pecora, Dipartimento di Prevenzione,
U.O.C. Servizio PreSAL AUSL RME, Via Fornovo, 12 - 00192 Roma
r.ssa Anna Pecora
Parole chiave: Alimenti e nutrienti, Obesità, Alimentazione e luoghi di lavoro
OBESITY AND OVERWEIGHT AS SUPPLEMENTARY RISKES
FOR THE HEALTH AND SAFETY OF THE WORKERS
ABSTRACT. The obesity represents a relevant risk about the health
of a person. Weight excess with a consequent amass of corporal fat can
involve, above all, cardiovascular or muscular-skeletal complications,
diabetes, liver diseases; the relationship with cancer is also proved.
It is necessary to know the energetic value and the composition of a
singular food, so as extremely important for a diet balance at least a food
of every nutritional group in which they are classified.
The promotion for a good feeding must be directed above all to the
work places where the majority of the adult population in Europe spends
more or less 1/4 of his own life, and they have not only the aim to inform
workers about the relationship between obesity and overweight as
additional risks for their health, but also to alert their chief to make their
work places positives, which support workers wellness.
Key words: Food and nourishing, Obesity, Feeding and work places
INTRODUZIONE
L’alimentazione deve essere considerata come elemento fondamentale per la salute di un individuo. Non a caso l’esistenza di un legame tra
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
ciò che si mangia e lo stato di salute o lo svilupparsi di alcune malattie è
riconosciuta fin dall’antichità.
Ai fini di una sana alimentazione è necessario conoscere adeguatamente sia gli alimenti, il loro valore energetico, il fabbisogno calorico
giornaliero nonché i diversi fattori che contribuiscono a determinarlo
quali il metabolismo di base, la termogenesi indotta dalla dieta, il costo
energetico dell’attività fisica. Nella determinazione del fabbisogno energetico bisogna tener conto di alcune variabili quali: età sesso, stato fisiologico, peso, statura, attività fisica. Importante è la determinazione dell’indice di massa corporea (IMC o BMI, acronimo Inglese di Body
Mass Index) che è un parametro che mette in relazione la massa corporea
e la statura di un soggetto e che si calcola dividendo il proprio peso
espresso in kg per il quadrato dell‘altezza espressa in metri: IMC = massa
corporea (Kg) / statura (m2). Esiste una profonda correlazione tra indice
di massa corporea e rischio di mortalità per complicazioni cardiovascolari. Altresì importante è la misurazione della circonferenza addominale, parametro molto utilizzato per valutare il rischio cardiovascolare di
un soggetto in quanto la prevalente distribuzione di grasso sottocutaneo
a livello addominale, correlata all’aumento del grasso viscerale, è associato a rischio moderato con valori di circonferenza addominale superiori a 94 cm nell’uomo e ad 80 cm nella donna o rischio accentuato con
valori superiori a 102 cm nell’uomo e ad 88 cm nella donna.
MATERIALI E METODI
È stato preso in esame il rapporto esistente tra alimentazione e
nutrizione distinguendo l’alimentazione come il processo di assunzione
di alimenti al fine di nutrire l’organismo, garantendo l’apporto di tutte le
sostanze necessarie allo sviluppo dei distretti corporei e allo svolgimento
delle funzioni vitali e la nutrizione come l’insieme dei fenomeni che riguardano l’utilizzazione dei nutrienti necessari al sostentamento dell’individuo. Nella scelta degli alimenti è pertanto necessario tener conto di
tali regole, nonché della Piramide alimentare che è uno schema visivo
che illustra in maniera schematica, attraverso suddivisioni in aree nutrizionali che si estendono dalla base al vertice, le regole per una sana ed
equilibrata alimentazione. Alimentazione e nutrizione hanno grande rilevanza nella prevenzione delle malattie e nella promozione della salute. Tra le prime dieci cause di morte e inabilità nel mondo troviamo patologie legate all’alimentazione; secondo gli studiosi oltre il 30% dei tumori è direttamente riconducibile all’alimentazione. Significa che una
larga percentuale dei tumori potrebbe essere prevenuta semplicemente
con una dieta corretta.
Infine è stata esaminata la importante correlazione tra alimentazione e luogo di lavoro, in quanto proprio nel luogo di lavoro è possibile
realizzare interventi di promozione della salute e realizzare iniziative
volte al miglioramento della salute dei lavoratori.
L’attenzione verso il benessere del lavoratore nasce dall’esigenza di
proteggerlo dai rischi per la salute che possono derivare dallo svolgimento dei propri compiti lavorativi. Proteggere il lavoratore non significa tutelarlo solo dai rischi fisici; non è più sufficiente la protezione da
incidenti ma occorre rendere il posto di lavoro un ambiente positivo, che
sostenga il suo benessere sia fisico che psico-sociale, in un clima organizzativo che stimoli la creatività e l’apprendimento. Esistono infatti alcune attività lavorative che comportano un dispendio energetico maggiore di altre, come esistono alcune condizioni lavorative che comportano un maggior rischio di sovrappeso ed obesità con una maggiore incidenza di infortuni sul lavoro nei soggetti sovrappeso o obesi.
RISULTATI
A fronte di tutte queste considerazioni sono state elaborate le Regole
per una sana alimentazione, per la prima volta nel 1943 dagli Stati
Uniti, con la pubblicazione di RDA (Recommended Dietary Allowance)
e successivamente con elaborazione di ulteriori tabelle, adattate alle singole realtà locali, da parte di altri paesi, incluso l’Italia, ove nel 1976 la
SINU (Società Italiana di Nutrizione) ha pubblicato i Livelli di Assunzione Raccomandati di Nutrienti (LARN) con successivi aggiornamenti nel 1986 e 1996. La Regione Piemonte, in applicazione del Piano
Nazionale di Prevenzione 2005-2007, ha attivato un GL multidisciplinare e interprofessionale con il compito di progettare interventi e azioni
finalizzate alla promozione della salute nei luoghi di lavoro, sottolineando il ruolo che la comunità aziendale può svolgere nel miglioramento delle condizioni di salute e benessere dei lavoratori ponendo
grande attenzione soprattutto alla dieta nel lavoratore.
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DISCUSSIONE
L’accesso ad una alimentazione sana è tanto importante quanto la
protezione da agenti chimici o da rumore eccessivo sul luogo di lavoro.
La questione dell’alimentazione sul lavoro costituisce un fondamento essenziale per poter contare su una forza lavoro produttiva grazie al miglioramento dello stato di salute. Infatti troppo spesso l’alimentazione sul
lavoro è percepita come una questione secondaria o un ostacolo da parte
di alcuni datori di lavoro.
Le mense, quando esistono, spesso offrono cibo mediocre e ripetitivo;
i distributori automatici offrono generalmente alternative poco salubri. I ristoranti di quartiere possono rivelarsi cari o scarsi ed i lavoratori stessi a
volte non hanno né il tempo né il luogo dove mangiare oppure non hanno
denaro per acquistarlo. La promozione della salute nei luoghi di lavoro deve
essere il risultato dell’impegno dei datori di lavoro e dei lavoratori favorito
dall’organo di vigilanza secondo i criteri indicati nel D.M. 17/12/2007.
I datori di lavoro devono garantire attivamente il miglioramento
della salute e del benessere dei lavoratori in quanto la promozione della
salute nei luoghi di lavoro, riguardo soprattutto ad una sana alimentazione, comporterà numerose conseguenze positive quali riduzione dell’assenteismo, incremento della produttività e miglioramento dell’immagine del datore di lavoro.
BIBLIOGRAFIA
1) D.M. 17/12/2007
2) Linee Guida Obesità pubblicate da NICE (National Institute for
Health and Clinical Excellence) - Anno 2008
3) Tomei F. - Alimentazione e Lavoro - Opuscolo per i lavoratori - Edizione 2008
4) Vinci F, Liotti F, Papalia F.-L’alimentazione del lavoratore-Medicina
del Lavoro-Monduzzi Editore-Edizione 2003
5) Parbellini L.-Medicina del Lavoro-Ed. 2004-95,3:211-222
6) D.Lgs 81/08 -art. 25 comma 1- lettera a
05
ALIMENTAZIONE E LAVORATORI ESPOSTI
AD INQUINAMENTO URBANO
F. Tomei1, T. Caciari1, C. Cetica2, F. Federici1, G. Tomei3, S. De Sio1,
Fabio Tomei1, Z. Tasciotti1, B.G. Ponticiello1, C. Monti1,
D.C. Maurizi1, V. Di Giorgio1, M. Ciarrocca1, A. Panfili,
D. Gamberale4, L. Antetomaso1, A. Pacchiarotti1, A. Sancini1
1 “Sapienza” Università di Roma. Dipartimento di Scienze Psichiatriche
e Psicologia Clinica, Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Roma, Italia
2 EURISTAT - Direttore Scientifico, via delle Botteghe Oscure 54, 00186
Roma
3 “Sapienza” Università di Roma; Unità Operativa di Medicina del
Lavoro; Dipartimento di Scienze Anatomiche, Istologiche, MedicoLegali e dell’Apparato Locomotore; viale Regina Elena n. 336 - 00161
Roma
4 Dipartimento di Prevenzione U.O.C. Servizio PreSAL AUSL RME
63
INTRODUZIONE
Studi epidemiologici hanno dimostrato una chiara associazione tra
patologie cardiovascolari e respiratorie e inquinamento atmosferico (14). Lo stress ossidativo, espressione biologica di un danno che si verifica
quando i fattori pro-ossidanti superano le difese antiossidanti endogene
ed esogene determinando danni, è uno dei potenziali meccanismi fisiopatologici attraverso i quali l’inquinamento causa effetti avversi sulla salute (5- 8). Tra gli inquinanti si annoverano quelli che agiscono come radicali liberi, quale ad esempio il diossido di azoto e quelli, come l’ozono
ed il particolato, in particolare il PM10 ed il PM2.5, che hanno invece la
capacità di indurne la produzione (3, 9, 10, 11). Al pari dell’inquinamento urbano, lo stress ossidativo è stato correlato ad alti valori di BMI
(Body Mass Index o Indice di massa corporea) (12-14) e quindi alla presenza di obesità (15). Obiettivo di questo studio è stato quello di accertare, attraverso il calcolo del BMI, in un campione di lavoratori esposti
ad inquinamento urbano, la presenza di sovrappeso ed obesità rispetto ad
un gruppo di controllo.
MATERIALI E METODI
La ricerca è stata condotta su una popolazione lavorativa di 150 volontari, di cui 75 soggetti (50 donne e 25 uomini) esposti ad inquinamento
urbano (outdoor) e 75 soggetti (50 donne e 25 uomini) che svolgevano attività di tipo burocratico-amministrativo (controlli, indoor) paragonabili
per sesso, età ed anzianità lavorativa. Per ciascun soggetto è stato calcolato, dopo la rilevazione del peso e della statura, l’indice di massa corporea (IMC o BMI, Body Mass Index). I valori del BMI di ciascun individuo sono stati confrontati con quelli di riferimento stabiliti dall’OMS al
fine di rilevare valori di BMI superiori al “cut off” di normalità
(BMI>25). Tutti i soggetti hanno acconsentito al trattamento dei propri
dati personali, hanno dichiarato di essere a conoscenza che i dati medesimi rientrano nel novero dei “dati sensibili” ed acconsentito a che i dati
scaturiti venissero trattati in modo anonimo e collettivo, con modalità e
scopi scientifici in accordo ai principi della Dichiarazione di Helsinki.
ANALISI STATISTICA
Le differenze fra le medie relative alle misure antropometriche sono
state comparate usando il Test T di Student per dati non appaiati. Le differenze fra le frequenze di soggetti con valori di BMI superiore al cut off
di normalità sono state comparate usando il Test del Chi quadro con correzione di Yates. Le differenze sono state considerate statisticamente significative per valori di p <0.05.
RISULTATI
Nella popolazione di sesso femminile il valore medio del peso è significativamente aumentato tra i lavoratori outdoor rispetto ai lavoratori
indoor (p=0.043), mentre la statura media non mostra differenze statisticamente significative tra i due gruppi. La frequenza di lavoratori outdoor con
un valore di BMI superiore al cut off di normalità (sovrappeso ed obesi) è
maggiore rispetto a quella osservata nei lavoratori indoor (52% vs 34%),
sebbene la differenza non sia statisticamente significativa (p=0.134).
Nella popolazione di sesso maschile non sono state trovate differenze statisticamente significativa sia per il valore medio del peso e della
statura nei lavoratori outdoor rispetto ai lavoratori indoor, sia per la frequenza di lavoratori outdoor (64% vs 60%) con un valore di BMI superiore al cut off di normalità (p=0.867).
Parola chiave: sovrappeso, obesità, IMC, lavoratori outdoor
NUTRITION AND URBAN WORKERS
ABSTRACT. The aim of this study was to determine whether
overweight and obesity are higher in workers exposed to urban pollution,
rather than in a control group. Scientific literature is at the basis of the
research. Alongside urban pollution itself (causing oxidative stress), fat
and high BMI lead to significant unhealthy effects. The study has been
conducted on 150 volunteers, of which 75 exposed to urban pollution (50
women and 25 men) and 75 controls cases (50 women and 25 men). The
research has been based on individual BMI levels, higher than the “cut
off”. Even if statistically irrelevant, the result shows a higher BMI in
outdoor workers. It suggests a further possible risk factor for them,
beside urban pollution. In conclusion, this study highlights the need of an
information and awareness campaign, in order to reduce overweight and
obesity in this category of workers.
Key words: overweight, obesity, BMI, outdoor worker
DISCUSSIONE
Questo studio vuole fornire un contributo al crescente interesse della
Comunità Scientifica nei confronti dell’obesità e dell’inquinamento urbano, entrambi fonti di stress ossidativo.
Il sovrappeso, l’obesità e le patologie ad esse correlate, sono tra le malattie più diffuse e di sempre maggior costo sociale ed economico. È di recente acquisizione il dato che lo stress ossidativo è correlato al BMI (1214) i cui valori sono sempre alterati in condizioni di obesità (15) nonché
all’inquinamento urbano (16). Il riscontro di un valore di BMI superiore al
cut off di normalità nei lavoratori outdoor, sia pure non statisticamente significativo, deve far riflettere sul rischio aggiuntivo a cui sono sottoposti i
lavoratori esposti all’inquinamento urbano, che possono essere considerati
una “spia” rappresentativa della popolazione generale, per la valutazione
degli effetti dell’inquinamento urbano sulla salute. È necessario proseguire
in questo filone di ricerca allo scopo di fornire ai lavoratori informazioni
sempre più approfondite sugli effetti dello stress ossidativo sulla salute, in
64
particolare sui rischi legati all’obesità ed all’inquinamento urbano, nell’ottica di prevenire e promuovere il proprio benessere psicofisico.
BIBLIOGRAFIA
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Clinical Investigation 1993; Inc.Volume 91: 2546-2551
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Formation Of Distinct F2 Isoprostanes In Hypercholesterolemia.
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Air Pollution And Systemic Inflammatory Markers. Environ Health
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5) Yanga Wei, Omayeb S.T.: Air Pollutants, Oxidative Stress And
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7) Kelly F.J.: Dietary Antioxidants And Environmental Stress. Proceedings Of The Nutrition Society2004; 63:579-585
8) Nel A.: Atmosphere. Air Pollution-Related Illness: Effects Of Particles. Science;2005 May 6;308(5723):804-6.
9) Donaldson K, Stone V. Current Hypotheses On The Mechanisms Of
Toxicity Of Ultrafine Particles. Ann Ist Super Sanità
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11) Kelly Fj.: Oxidative Stress:Its Role In Air Pollution And Adverse
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12) Wu B, Fukuo K, Suzuki K, Yoshino G, Kazumi T.: Relationships Of
Systemic Oxidative Stress To Body Fat Distribution, Adipokines
And Inflammatory Markers In Healthy Middle-Aged Women. Endocr J. 2009 Dec;56(6):773-82
13) Davì G., Guagnano M. T., Ciabattoni G., Basili S., Falco A., Marino
Piccoli M., Nutini M., Sensi S., Patrono C.: Platelet Activation In
Obese Women. Role Of Inflammation And Oxidant Stress. Jama.
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14) Charles L. E.,. Burchfiel C. M, Violanti J.M., Fekedulegn D., Slaven
J. E., Browne R. W., Hartley T. A. and Andrew M. E.: Adiposity
Measures And Oxidative Stress Among Police Officers. Obesity
2008;16:2489-2497
15) Vincent Hk. and Taylor Ag: Biomarkers And Potential Mechanism
Of Obesity Induced Oxidant Stress In Human. International Journal
Of Obesity 2006; 30:400-418
16) Barbato DL, Tomei G, Tomei F, Sancini A. Traffic air pollution and
oxidatively generated DNA damage: can urinary 8-oxo-7,8-dihydro2-deoxiguanosine be considered a good biomarker? A meta-analysis.
Biomarkers. 2010 Jun 14.
06
LA MENSA AZIENDALE COME CONTRIBUTO PER UNA
PIÙ SANA ALIMENTAZIONE DEI LAVORATORI.
PROPOSTA E REALIZZAZIONE DI UN NUOVO APPROCCIO
ALIMENTARE IN CONTESTO LAVORATIVO
E. Giani1, M.I. D’Orso2, M. Cipolla1, A. Mentasti3, G. Cesana2
1
CAM - Centro Analisi Monza, Via Missori 9 - 20052 Monza (MB)
Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione - Università di
Milano Bicocca, Via Cadore 48 - 20052 Monza (MB)
3 Consorzio per lo Sviluppo della Medicina Occupazionale ed
Ambientale - Monza, Viale Brianza 21 - 20052 Monza (MB)
2
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Corrispondenza: Dott. Ezio Giani, Viale Brianza 21 - 20052 Monza
(Mi), Tel 039-2397449, Fax 039-2397421, mail to: [email protected]
Parole chiave: alimentazione, sindrome metabolica, intervento preventivo
THE RESTAURANT IN THE FIRM: A CONTRIBUTION FOR
WORKERS’ BETTER ALIMENTATION. PROPOSAL AND
REALIZATION OF A NEW CONCEPT OF ALIMENTATION AT
WORK PLACES
ABSTRACT. An incorrect alimentation is surely a possible indirect
cause of many different pathologies as the metabolic syndrome, the
myocardial infarction, the cerebral ictus.
The modern life style usually cause an irregular assumption in
quality and quantity of foods.
Work activities are a prominent component of this life style.
To better workers’ alimentation style, an international firm active in
electronic work sector has planned a full program of preventive activities
called Nutricolor based on the concept that a coloured label attached on
every dish served in restaurants of the firm could direct workers in a
more conscious food choice.
The program has been applied first in the central seat of the firm
where more than 4000 meals are served every day and then for the
satisfaction of the workers and direction of the firm it has been applied
in all national and international seats of the firm.
After only few months of application of the program we already
verified a relevant change in quality and quantity of food consumed by
workers with a relevant increase in consumption of seasonable fruit and
vegetables and a decrease in consumption of sweets and bread.
Key words: alimentation, metabolic syndrome, preventive action
INTRODUZIONE
Una scorretta alimentazione e la sedentarietà eccessiva concorrono
all’aumento patologico del peso corporeo. Mangiare in modo scorretto
non significa solo abbondare nella quantità, di cibo ma anche nutrirsi
senza un equilibrio qualitativo o nel momento errato. Il tempo dedicato al
pasto è sempre più ridotto: è ormai consuetudine consumare un panino al
bar, a volte in piedi. Elevato è il numero di chi consuma fuori casa almeno
due pasti della giornata, mentre il terzo è preparato con fretta. Sovrappeso
ed aumento dell’obesità addominale non hanno solo un risvolto “estetico”, ma costituiscono vere e proprie patologie. Abbondanza di cibo ad
alta densità energetica e modesta attività fisica contribuiscono a concretizzare la comparsa di una ridotta tolleranza agli zuccheri sino ad arrivare
a franchi casi di diabete. Tali alterazioni metaboliche si manifestano con
estrema frequenza associate nello stesso paziente all’incremento del peso
corporeo ed all’aumento della pressione sanguigna, assumendo complessivamente aspetti clinici che i medici identificano come ”Sindrome Metabolica”, quadro nel quale fattori genetici, biologici e comportamentali
concorrono in misura differente al manifestarsi di una fenomenologia infiammatoria cronica che compromette in modo irreversibile la funzione
delle arterie, creando i presupposti dell’infarto miocardico e dell’ictus cerebrale. Tali patologie possono essere prevenute con uno stile di vita virtuoso ed a patto di riequilibrare al meglio il rapporto tra alimentazione e
attività fisica. Il punto debole nell’approccio alla problematica sembra essere l’incapacità di tradurre in comportamenti pratici le conoscenze teoriche per motivi personali, lavorativi, ambientali, sociali e culturali che
condizionano pesantemente le nostre scelte alimentari.
MATERIALI E METODI
Alla luce delle conoscenze acquisite nella scienza della nutrizione,
in una primaria azienda del settore elettronico nazionale sono stati elaborati e realizzati, con la partecipazione dei medici competenti e la fattiva collaborazione del ristorante aziendale, un piano complessivo di
educazione sanitaria in merito all’alimentazione ed all’attività fisica dei
lavoratori, e un metodo pratico di attuazione degli stessi insegnamenti, di
facile comprensione e realizzazione, definito “NUTRICOLOR”. Esso è
una proposta di come le più tradizionali esperienze dietologiche, basate
essenzialmente sul concetto delle calorie, possano essere superate e semplificate (a,b). Tale programma partiva dalla constatazione del fatto che
una preliminare valutazione degli alimenti assunti durante i pasti dei lavoratori dimostrava una evidente sovra assunzione calorica rispetto alle
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necessità dei lavoratori impegnati nelle lavorazioni effettuate negli stabilimenti aziendali, come suggerite dai parametri consigliati in letteratura.
La valutazione delle conoscenze alimentari dei lavoratori, rilevata in precedenti campagne di medicina preventiva effettuate in azienda, aveva
inoltre rivelato una insufficiente capacità di discriminare gli alimenti tra
loro per quanto riguardava l’apporto calorico e vitaminico. Il progetto è
consistito nell’aver identificato le diverse categorie di alimenti con diversi colori: ogni piatto confezionato, in funzione della categoria alimentare di appartenenza, è stato contrassegnato con etichette colorate:
rossa per gli zuccheri, gialla per i grassi, azzurra per le proteine, verde
per le vitamine ed i sali minerali. Sono stati prodotti poster da esporre in
mensa, con l’illustrazione dei principi che hanno indirizzato le scelte dietetiche e la gestione della mensa. Contemporaneamente è stata distribuito
ai dipendenti un testo illustrativo, in cui erano presentati i principi ispiratori del progetto e le modalità della loro applicazione concreta. L’intento è stato quello di facilitare e guidare la scelta di chi vuole costruirsi
un corretto menù in funzione delle proprie esigenze biologiche, senza la
necessità di specifiche conoscenze, noiosi e snervanti calcoli o complesse analisi alimentari. Tutto questo è stato demandato ai nutrizionisti
ed alla cucina; gli utenti hanno dovuto solo controllare e gestire i colori,
per mezzo dei quali si è voluto educare i consumatori a conoscere in
quali cibi fossero contenute le diverse categorie dei nutrienti. Attraverso
le porzioni servite nei piatti, si è cercato anche di educare alla stima delle
quantità di alimenti nelle razioni.
RISULTATI
L’esperienza presentata, iniziata alcuni mesi or sono nella sede centrale aziendale ove venivano consumati presso il ristorante aziendale più
di 4.000 pasti al giorno, suddivisi su tre turni, ha incontrato subito il favore della direzione e dei lavoratori. I risultati raccolti dopo i primi mesi
di applicazione del metodo hanno evidenziato tra l’altro una riduzione
del numero complessivo di portate consumate. Sono poi cambiate le
quantità delle diverse derrate alimentari scelte dai lavoratori. In particolare si sono ridotti nettamente i consumi di dolci ed in parte quelli di
pane, pasta e riso. Al contrario si è rilevato un maggior consumo di frutta
e verdura, soprattutto di stagione. Applicare NUTRICOLOR ha comportato un miglior controllo sui grassi, la cui gestione è stata demandata ai
nutrizionisti in collaborazione con il personale del ristorante aziendale, in
termini quali e quantitativi, attraverso la scelta delle materie prime, dei
condimenti, dei metodi di cottura e delle preparazione delle ricette in ambiente protetto, ha permesso inoltre un controllo più attento delle grammature dei prodotti, in modo di non intaccare le esigenze strutturali e bioregolatrici, salvaguardate da proteine, grassi, vitamine e sali minerali. Al
raggiungimento del peso ideale, o comunque di un peso ben accetto dalla
persona, al singolo lavoratore è stato confermata la possibilità di consumare una quota maggiore di zuccheri, ma senza superare il livello individuale di carboidrati critico per il mantenimento del peso forma. Tale livello varia in funzione della resistenza metabolica, dell’intensità e della
costante attività fisica. Ad incoraggiamento dei partecipanti è stato anticipato, dopo un inizio di possibili rinunce, il recupero di alimenti momentaneamente accantonati e la riscoperta di “antiche” e piacevoli sensazioni gustative. Infatti la gestione e la preparazione degli alimenti da
parte del ristorante aziendale ha come ambizioso obiettivo il recupero
dell’educazione del gusto. La collaborazione del responsabile del ristorante aziendale e di tutto il personale di cucina alla realizzazione del progetto è stata completa, anche perché l’attuazione pratica dello stesso non
andava a sconvolgere radicalmente l’organizzazione del loro lavoro.
Dopo un periodo di rodaggio, anche per il favore incontrato, il programma Nutricolor è stato progressivamente esteso alle diverse sedi italiane e serve ora da traccia ed esempio anche per tutte le sedi aziendali
sparse per il mondo.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
A meno di un anno dall’inizio del programma, non siamo ancora in
grado di quantificare con precisione l’impatto positivo che il progetto ha
avuto sugli utenti. La raccolta dei dati è tutt’ora in corso e manca pertanto un’analisi statistica completa. Tuttavia ci sentiamo di segnalare
come primo indicatore che le direttive impartite sono state recepite: il
cambiamento delle quantità e della qualità di consumo delle diverse derrate alimentari acquistate è risultato evidente, progressivo e strutturale.
L’esperienza presentata ha dimostrato come, a fronte di un effettivo consumo aziendale non congruo di nutrienti, è possibile intervenire con me-
65
todi conoscitivi e formativi riorganizzando le abitudini alimentari dei lavoratori, riequilibrando il loro apporto calorico e sicuramente contribuendo a prevenire almeno in parte una serie di alterazioni metaboliche,
promuovendo quindi la salute nei luoghi di lavoro anche con interventi
non tradizionali e non ancora consolidati nella nostra disciplina.
BIBLIOGRAFIA
1) Lamberti V., et. al., Nutrizione clinica in medicina dello sport: correlazione tra protocollo nutrizionale ed aumento di performance e
benessere dell’atleta. Med. Sport 2008; 61:261-6.
2) Ragonesi P.D.: Acquisizione farmaco guidata di un’opportuna condotta alimentare, Obesità, Nutrition and Metabolism 2005; volume
2, n 1.
07
PROMOZIONE DELL’ATTIVITÀ FISICA DEI LAVORATORI
DELLA SANITÀ
M. Iosue, M. G. Bosco, M. Ciavarella, T. Mariani
U.O.C. Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro, A.S.L. Roma
B, Viale B. Bardanzellu 8, 00155 Roma
Corrispondenza: Michela Iosue, A.S.L. Roma B, U.O.C. Prevenzione e
Sicurezza negli Ambienti di Lavoro, Viale B. Bardanzellu 8, 00155
Roma, [email protected], [email protected]
PHYSICAL ACTIVITY PROMOTION IN HEALTHCARE WORKERS
ABSTRACT. Italian law spur businesses, employers and
occupational medicine practitioners on to realize programs of health
promotion. This project is set up with the aim of producing a formative
class on physical activity improvement, as a multidisciplinary preventive
intervention in workplace. The project was realized by a
multidisciplinary workgroup, made in collaboration with occupational
medicine practitioners, nurses, physiotherapistis and hygienists. In order
to record data on sex, age, BMI, smoking habit, physical activity, current
diseases (diabetes, hypertension and other heart diseases, back diseases,
etc), 159 nurses were evaluated by the Occupational Medicine Office
through the submission of a questionnaire. The workgroup programmed
two type of activity: the first program is just for health promotion by
increasing physical activity; the second program will be for workers with
back pain. Before starting the workers’ classes, a meeting with Managers
and Sanitary Coordinators will be organized in order to give them the
training about their role and functions in the prevention and reduction of
risks by manual patient handling.
Key words: physical activity, health promotion, healthcare workers.
INTRODUZIONE
L’OMS definisce l’attività fisica come ogni movimento corporeo
prodotto dai muscoli scheletrici che richiede un dispendio energetico.
L’inattività fisica è un fattore di rischio per molte patologie croniche, meritevole della stessa preoccupazione sociale riservata al tabagismo e all’utilizzo di droghe illecite e come tale viene considerata da molti governi di Paesi esteri, con politiche di contrasto specifiche. Si stima che il
60% della popolazione generale faccia meno dei 30 minuti giornalieri di
attività fisica moderata utile a tutti. In Italia il D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. stimola le aziende, i datori di lavoro ed i medici competenti ad attuare e valorizzare programmi volontari di “promozione della salute”, secondo i
principi della responsabilità sociale e definisce il “sistema di promozione
della salute e sicurezza” come un “complesso di soggetti istituzionali che
concorrono, con la partecipazione delle parti sociali, alla realizzazione
dei programmi di intervento finalizzati a migliorare le condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori”. Ancor prima, la Direttiva 24/03/2004
(“Misure finalizzate al miglioramento del benessere organizzativo nelle
pubbliche amministrazioni”) incentivava le pubbliche amministrazioni a
realizzare e mantenere il benessere fisico e psicologico dei lavoratori. Il
presente studio proposto dalla ASL RMB prende avvio dalle Linee Guida
n.13 del National Institute for Health and Clinical Excellence (2008)
66
“Promozione della salute nei luoghi di lavoro: come incoraggiare i lavoratori ad essere fisicamente attivi” e ha lo scopo di realizzare un’attività
formativa di pari argomento rivolta, in una prima fase, al personale infermieristico di reparti ospedalieri a rischio di patologie da sovraccarico
biomeccanico del rachide.
MATERIALI E METODI
Nella fase preliminare del progetto, è stata effettuata un’attività conoscitiva della realtà ospedaliera collaborante alla realizzazione del progetto tramite focus group tra diverse unità operative ospedaliere e territoriali (SPreSAL, Servizio Infermieristico, SPP, Medico Competente). È
stato così istituito un gruppo di lavoro multidisciplinare (medici del lavoro, infermieri, fisioterapisti, igienisti) che ha progettato e monitorato
l’attività formativa. Successivamente è stato predisposto un incontro con
i Dirigenti e i Preposti (Direttori e Coordinatori Sanitari), durante il quale
sono stati illustrati loro i compiti e le funzioni che rivestono nella prevenzione e nel contenimento del rischio da movimentazione manuale dei
pazienti. Durante la prima fase del progetto l’Ufficio del Medico Competente dell’ospedale ha somministrato agli infermieri un questionario
clinico-anamnestico, allo scopo di rilevarne lo stato di salute generale,
comprendente i seguenti items: sesso, età, BMI, abitudine al fumo di sigaretta, svolgimento attuale di attività fisica, patologie in atto. È stata poi
progettata un’attività di formazione per gli infermieri, comprendente incontri addestrativi con fisioterapisti, il cui scopo è sensibilizzare i lavoratori ad una maggiore consapevolezza della postura assunta durante l’attività lavorativa, far comprendere loro quali possono essere le modifiche
utili da apportare alla propria postura al fine di evitare movimenti incongrui durante lo svolgimento dell’attività lavorativa e contemporaneamente permettere un incremento di attività fisica efficace e apportare un
miglioramento dell’attività lavorativa. Il progetto prevede anche una seconda fase di incontri formativi con lavoratori già sofferenti di patologie
del rachide, che inizierà solo al termine della prima fase; gli incontri formativi saranno rivolti alla conoscenza, alla prevenzione e alla gestione
dei disturbi del rachide (gestione della postura, esercizi per prevenire e
ridurre il dolore, tecniche di rilassamento, ecc.).
RISULTATI
La popolazione esaminata è composta da 111 soggetti di sesso femminile (età media 37,4 aa [DS 7,7aa; min 26aa; max 61aa] e 48 soggetti
di sesso maschile (età media 38,1 aa [DS 8,4aa; min 24aa; max 59aa]).
L’età media della popolazione analizzata è di 37,6 aa (DS 7,9aa; min
24aa; max 61aa) ed il BMI medio è 23,6 kg/[m2] (DS 4,0; min 17,1; max
38,8). Della popolazione analizzata, 29 soggetti di sesso femminile (età
media 37,3±6,88aa) e 23 soggetti di sesso maschile (età media
37,1±8,4aa) svolgono già attività fisica, per lo più di tipo amatoriale. Le
variabili esaminate, oltre le precedenti, sono state il peso, l’altezza, l’abitudine al fumo, la presenza di ipertensione arteriosa, altre patologie
cardiache, diabete mellito, patologie del rachide. L’incontro con i Dirigenti ed i Preposti è stato programmato per il mese di settembre 2010 ed
è stato strutturato in 2 moduli formativi: nel primo saranno affrontati i
temi dei danni alla colonna vertebrale, la normativa in materia, le disposizioni aziendali sulla gestione della sicurezza. Nel secondo modulo saranno previste esercitazioni pratiche tutorate dallo SPreSAL, dal Servizio
Infermieristico e dal SPP (valutazione del Documento di Valutazione dei
Rischi, relativamente alla movimentazione manuale dei pazienti; valutazione degli aspetti ergonomici degli ambienti di lavoro; scelta delle attrezzature e dei sistemi di ausiliazione; scelta e la verifica delle manovre,
ausiliate o meno, a minor sovraccarico biomeccanico del rachide per la
movimentazione/trasferimento dei pazienti). La prima edizione del corso
per gli infermieri è stata programmata per i mesi di ottobre e novembre
2010 ed è organizzata in 8 incontri di 3 ore ciascuno, ai quali parteciperanno 20 infermieri professionali scelti nel totale dei 159 facenti parte del
campione. Il corso di addestramento sarà strutturato in 2 moduli: il 33%
delle ore sarà dedicato alla parte teorica (cenni legislativi sulla movimentazione manuale dei pazienti, rilevanza della componente psico-sociale nella prevenzione dei disturbi muscolo scheletrici, cenni di anatomia, fisiologia, cinesiologia e biomeccanica del rachide, epidemiologia
delle alterazioni muscolo scheletriche da sovraccarico biomeccanico,
sviluppo psicomotorio, postura, atteggiamenti posturali durante l’attività
lavorativa, esperienza del limite psicofisico, miglioramento delle performances statiche e dinamiche-endurance); il restante 67% sarà lasciato
alla parte pratica, che consisterà in esercitazioni pratiche sulle tecniche di
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corretta movimentazione dei pazienti ed ergonomia della postura dell’operatore, sull’acquisizione della consapevolezza del movimento “corretto”, rispetto dei segnali del proprio corpo. Sono previste lezioni interattive, esercitazioni guidate, presentazioni e soluzioni di problemi con
esecuzione diretta da parte dei partecipanti, simulazioni. Al termine del
primo corso pilota, si prevede di programmare nuovi corsi da estendere
a tutti gli infermieri dell’ospedale.
DISCUSSIONE
Appare interessante, seppur complessa come la realtà operativa in
cui si inserisce, la modalità dell’approccio multidisciplinare all’argomento della promozione dell’attività fisica. Nel presente lavoro si è voluto porre l’accento sulla necessità di coinvolgimento dei dirigenti e dei
preposti allo scopo di migliorare le attività lavorative a rischio e promuovere, con iniziative positive, la salute dei lavoratori. Della stessa importanza appare la necessità del coinvolgimento dei lavoratori, mediante
il miglioramento della consapevolezza della propria postura e del movimento, sia al lavoro che nell’ambiente di vita. Si tratta di introdurre modifiche sostanziali e durevoli, con attenzione agli aspetti psicosociali e
cognitivi oltre che biomeccanici.
BIBLIOGRAFIA
European Network for Workplace Health Promotion (ENWHP).
www.enwhp.org
Kaplan GA, Strawbridge WJ, Cohen RD, Hungerford LR. Natural history of leisure-time physical activity and its correlates: associations
with mortality from all causes and cardiovascular disease over 28
years. Am J Epidemiol. 1996 Oct 15;144(8):793-7.
National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE) Public
Health Guidance n.13: Workplace health promotion: how to encourage employees to be physically active. 2008. www.nice.org.uk
Regione Piemonte. DoRS. Gruppo di Lavoro Regionale n.6. Promozione
della salute nei luoghi di lavoro. Alimentazione e attività motoria.
Prove di efficacia e buone pratiche. Settembre 2007. www.dors.it
08
OBESITÀ E FUNZIONALITÀ RESPIRATORIA:
NON SOLO RESTRIZIONE
L. Patrini1, L. Vigna1, M. Pellegatta2, L. Riboldi1
1 U.O. Medicina del lavoro 1, Dipartimento di Medicina del Lavoro,
Clinica del Lavoro L Devoto; Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale
Maggiore Policlinico; Milano
2 Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università degli
Studi di Milano
Corrispondenza: Dott. Lorenzo Patrini, Clinica del Lavoro L Devoto,
Via San Barnaba 8,20122 Milano, Tel 0255032589, Email:
[email protected]
OBESITY AND RESPIRATORY FUNCTION: NOT ONLY
RESTRICTIVE DISEASE
ABSTRACT. Introduction: Obesity is a well know risk factor for
cardiovascular diseases, but it affects also respiratory function. Obesity
is in fact related to restrictive pulmonary disease and, according to new
studies, with a high incidence of obstructive syndrome. Aim of the study:
To evaluate possible pulmonary function alterations in a group
overweight-obese workers admitted in our clinic between 2006 and
2010. Methods: We measured Basal spirometry, Total Lung Capacity
(TLC), and Residual Volume (RV) using a Ganshorm SanoScope LF8
Impulse Oscillometer. We evaluated the relationship between respiratory
function indices (observed/predicted) with BMI and waist circumference
(WC) using a multiple regression model adjusted for smoking habit.
Results: We tested 405 subjects. We found 17 restrictive pulmonary
diseases, 9 among patients with severe obesity (BMI>35); we also
showed 41 cases of obstructive pulmonary diseases: 16 were smokers, 11
former smokers, and 14 never smokers. Conclusion: We found a few
restrictive pulmonary diseases, with the greatest frequency among very
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important obese patients (BMI>35). The frequency of obstructive
pulmonary diseases was high (10.1%). There was an adjusted 0.51%
(p=0.0001) decrease of the Forced Vital Capacity (FVC) for each WC
unit increase. No significant relationship occurred between respiratory
indices and BMI.
Key words: Obesity; respiratory function; obstructive disease.
INTRODUZIONE
L’obesità, a causa dei disturbi metabolici ad essa correlati come Diabete di tipo II e Dislipidemia, è un noto fattore di rischio cardiocircolatorio ed è inoltre associata ad un peggioramento degli indici di funzionalità respiratoria. Infatti per la distribuzione addominale e viscerale del
tessuto adiposo si ha un aumento della pressione intra-addominale che
impedisce un corretto funzionamento della muscolatura respiratoria, in
particolar modo del diaframma (1). Questo può causare una compromissione respiratoria di tipo restrittivo per riduzione della Capacità Funzionale Residua (1). Recenti studi evidenziano che l’obesità è anche correlata ad un aumento d’incidenza di patologie ostruttive, benché la patogenesi non sia ancora del tutto chiara (2-3); tra le possibili cause ricordiamo
i mediatori pro-infiammatori rilasciati dal tessuto adiposo (4), la predisposizione ad aumentare la risposta Th2, l’atopia e i livelli di ossido nitrico nelle vie aeree (2;5), una possibile sintomatologia asthma like correlata alla malattia da reflusso gastroesofageo (6). Lo scopo del nostro
studio è di valutare le possibili alterazioni della funzionalità respiratoria
in un gruppo di pazienti soprappeso-obesi valutati presso l’ambulatorio
“obesità e lavoro” della Clinica del Lavoro “L. Devoto” di Milano tra
Gennaio 2006 e Maggio 2010.
MATERIALI E METODI
Sono stati valutati 405 soggetti che hanno eseguito la spirometria basale con misurazione di Total Lung Capacity (TLC), volume residuo
(VR) e valutazione della Diffusione alveolo-capillare della CO (DLCO).
Sono state escluse problematiche di tipo cardiaco che potevano essere
alla base dei disturbi respiratori. Lo spirometro utilizzato è il Ganshorm
SanoScope LF8 Impulse Oscillometer. Sono state valutate le differenze
tra valore osservato e valore predetto degli indici di funzionalità respiratoria Forced Espiratory Volume at 1 sec. (FEV1), Forced Vital Capacity
(FVC) e l’indice di Tiffeneau, confrontandole con il BMI e la circonferenza vita, attraverso l’analisi della regressione multipla. Considerato
che i valore di FEV1, FVC e Tiffeneau sono già standardizzati per età,
altezza, sesso e razza secondo i criteri ERS93, la regressione multipla è
stata aggiustata solo per l’abitudine al fumo.
RISULTATI
L’età media dei 405 soggetti considerati è risultata di 44,7 anni ±
11,1; il BMI medio è 34,2 ± 5,4. In 17 soggetti è stato osservato un
quadro di insufficienza ventilatoria di tipo restrittivo (4,2%); 9 di questi
erano gravi obesi, pari al 5,9% dei 152 soggetti con BMI>35. In 41 casi
(10,1%) è stato invece osservato un’insufficienza respiratoria di tipo
ostruttivo: 16 fumatori, 11 ex fumatori, 14 mai fumatori. Tra i non fumatori nessuno aveva esposizione professionale a fumi, gas o vapori; 1
era affetto da BPCO; 1 era atopico e altri 8, senza patologie broncopolmonari note, presentavano elementi clinico-anamnestici indicativi per
patologia da reflusso gastroesofageo (MRGE). La distribuzione di tutti i
soggetti in rapporto al BMI è rappresentata nella Tabella I.
L’analisi della regressione multipla ha permesso di osservare un decremento della FVC dello 0,51% per ogni aumento di un centimetro di
circonferenza vita (p<0,0001); il FEV1 risulta ridotto dello 0,34% per
ogni aumento di un centimetro di circonferenza vita (p<0,0001). Non
sono state osservate variazioni per l’indice di Tiffeneau e la DLCO. L’analisi della correlazione tra BMI e indici di funzionalità respiratoria non
ha invece mostrato differenze significative.
CONCLUSIONI
I nostri dati confermano la nota relazione esistente tra gravità dell’obesità e frequenza delle alterazioni ventilatorie di tipo restrittivo ed
evidenziano, inoltre, un significativo decremento dei flussi aerei nei soggetti obesi, correlato più alla distribuzione del grasso (circonferenza vita)
che all’indice di massa corporea. I risultati ottenuti concordano con recenti osservazioni che evidenziano una correlazione inversa tra obesità e
calibro delle vie aeree e descrivono l’obesità come fattore predisponente
a malattie respiratorie di tipo ostruttivo. Per tale motivo a nostro parere è
67
Tabella I. Distribuzione dei pazienti secondo BMI e relative
frequenze di patologie disventilatorie
importante un corretto studio e monitoraggio nel tempo della funzione
respiratoria nei soggetti obesi al fine di formulare un corretto giudizio di
idoneità lavorativa.
BIBLIOGRAFIA
1) Salome CM et al. Physiology of obesity and effects on lung function.
J Appl Physiol. 2010 Jan;108(1):206-11. Epub 2009 Oct 29.
2) Chen Y et al. Atopy, obesity, and asthma in adults, the Humboldt
study. J Agromedicine 2009; 14:222-7
3) Pakhale S et al. A comparison of obese and nonobese people with
asthma: exploring an asthma-obesity interaction. Chest. 2010
Jun;137(6):1316-23.
4) Mancuso P. Obesity and lung inflammation. J Appl Physiol. 2010
Mar;108(3):722-8.
5) Agrawal A et al. Emerging Interface Between Metabolic Syndrome
And Asthma. Am J Respir Cell Mol Biol. 2010 Jul 23. [Epub ahead
of print]
6) Gaude GS. Pulmonary manifestations of gastroesophageal reflux disease. Ann Thorac Med 2009;4: 115-23
09
DALLA SORVEGLIANZA SANITARIA ALLA PREVENZIONE
DEL SOVRAPPESO E DELL’OBESITÀ: ESPERIENZA PILOTA
IN UN’AZIENDA METALMECCANICA DEL NORD ITALIA
L. Vigna1, V. Belluigi2, G.M. Agnelli1, A.S. Tirelli3,
C. Pozzi4, L. Riboldi1
1 U.O. Medicina del Lavoro 1, Clinica del Lavoro “L. Devoto”,
Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano.
[email protected]; centro [email protected];
[email protected].
2 Novelis Italia S.p.A., Bresso e Pieve Emanuele (MI). Valentina.belluigi
@novelis.com
3 Laboratorio Analisi Chimico Cliniche e Microbiologia, Fondazione
IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano.
[email protected]
4 Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università degli
Studi di Milano. [email protected]
Corrispondenza: Luisella Vigna Dip Area della Medicina Preventiva, U.O.
Medicina del Lavoro 1, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore
Policlinico, via F Sforza 32, Milano, e-mail: [email protected]
FROM HEALTH SURVEILLANCE TO OVERWEIGHT AND
OBESITY PREVENTION: PILOT EXPERIENCE IN A NORTHERN
ITALIAN PRODUCTION PLANT
ABSTRACT. The overweight and obesity conditions represent a
relevant aspect for workers, because of the health consequences and the
reduction of working ability. We explain how a health promotion
program can originate from the health surveillance data-base. The
68
employees in two northern Italian aluminium company production plants
were evaluated, during the health surveillance program, concerning
weight, height and BMI. These data showed a very high percentage of
obese workers: 21,6% of the incidence in the production plant sample vs
8,3% of the average national population. 32 obese workers, 48,8% of the
observed sample, accepted to be evaluated in hospital obesity center,
where also metabolic syndrome was analyzed. Specific nutritional
training sessions were held in the plants, giving to the shift workers
personalized dietary guidelines. The canteen menus were then carefully
revised, and personalized training programs were defined with the two
gymnasiums lying next to the plants. These actions were defined among
the firm’s health surveillance programs, and strongly sustained by the
firm’s management.
Key words: obesity, health promotion, shift workers.
INTRODUZIONE
La condizione di obesità risulta particolarmente gravosa per soggetti
in fase lavorativa, comportando come effetto a cascata ipertensione e diabete. La presenza di patologie correlate all’obesità, infatti, quali malattie
vascolari ed endocrino-metaboliche come insulinoresistenza, diabete
tipo 2, dislipidemie, danni ossidativi da radicali liberi, comporta non solo
un aumentato numero di assenze dal lavoro, ma anche specifiche limitazioni e prescrizioni dell’idoneità lavorativa, problematiche di stretta
competenza del medico del lavoro. Di conseguenza, più precocemente si
riesce a diagnosticare questi effetti, più efficacemente si possono controllare sia con terapie farmacologiche, sia motivando il soggetto a seguire stili di vita corretti e diete specifiche.
Un intervento di promozione della salute nei luoghi di lavoro può essere realizzato proprio partendo dalla sorveglianza sanitaria: semplici parametri, quali altezza, peso, indice di massa corporea (BMI), circonferenza vita (CV), pressione arteriosa (PA), abitudine al fumo, informazioni anamnestiche relative alla tipologia e alla turnistica lavorative sono
sufficienti a rilevare le caratteristiche della popolazione in oggetto e ad
impostare di conseguenza un programma preventivo mirato.
Scopo del presente lavoro è descrivere come, all’interno di una
realtà aziendale, sia nata l’idea di attuare un programma di promozione
della salute, finalizzato alla prevenzione del sovrappeso/obesità, considerando i dati raccolti durante la sorveglianza sanitaria periodica.
SOGGETTI E METODI
In un’azienda metalmeccanica del nord Italia, che opera su due stabilimenti nel settore dell’alluminio ed è controllata da una società multinazionale, nell’ottica di una spiccata azione preventiva, i lavoratori delle
aree produttive nel corso della sorveglianza sanitaria sono stati valutati
per peso, altezza e BMI. Tra i 66 soggetti riscontrati in condizioni di marcato sovrappeso/obesità, dopo essere stati informati sui rischi relativi al
loro stato di salute, in 32 (pari al 48,48% del campione in oggetto) aderivano alla proposta offerta dal medico competente di effettuare un percorso diagnostico-terapeutico presso la Clinica del Lavoro “L. Devoto”
di Milano, Ambulatorio Obesità e Lavoro. In questa sede, durante la visita specialistica internistica, veniva valutata anche la presenza degli elementi necessari per la diagnosi clinica di sindrome metabolica, secondo
i criteri di American Heart Association/National Heart, Lung and Blood
Institute Scientific Statement AHA/NHLBI 2005.
INTERVENTI E RISULTATI
Considerando i dati relativi agli ultimi tre anni di sorveglianza sanitaria (Tab. I), emergeva che la percentuale di soggetti obesi, quindi con
BMI pari o superiore a 30, era del 21,9%, nettamente superiore a quella
nazionale, stimata del 8,3%, nella medesima fascia di età della popolazione di sesso maschile (dati ISTAT 2003, fascia di età 35-44 anni). Di
conseguenza, in entrambi gli stabilimenti, venivano organizzati incontri di
sensibilizzazione e informazione, strutturati in forma di seminari della durata di circa un’ora, tenuti dal medico internista e dalla psicologa clinica
dell’Ambulatorio Obesità e Lavoro, riguardanti un corretto stile di vita
alimentare. L’intervento educativo-informativo, associato ad un approccio
psiconutrizionale, è stato rivolto con particolare riguardo ai lavoratori turnisti notturni, maggiormente esposti al rischio di disagio psico-fisico, con
indicazioni pratiche sia su cosa mangiare e quando, sia sulle strategie finalizzate al miglioramento del proprio stile di vita globale.
Nel luglio 2009, ai 32 soggetti con età media di 44 anni (DS 8,4) che
hanno aderito al percorso diagnostico-terapeutico proposto, è stato ri-
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Tabella I. Dati emersi dalla sorveglianza sanitaria periodica
dei lavoratori delle aree produttive
scontrato un BMI medio di 32.6 (DS 2.7), e precisamente 5 soggetti avevano un BMI compreso tra 25 e 30, 19 soggetti tra 30 e 35 e 7 tra 35 e
40. Per un’analisi approfondita dei rischi metabolici, i lavoratori sono
stati suddivisi in tre gruppi in funzione dell’organizzazione del turno lavorativo: il gruppo 1 rappresentato da personale addetto a mansioni con
orario fisso diurno, il secondo gruppo costituito dai lavoratori che effettuano due turni lavorativi 7-15 e 15-23; infine, il gruppo 3 costituito dai
lavoratori che effettuano tre turni lavorativi 7-15, 15-23, 23-7. Analizzando le percentuali di riscontro della sindrome metabolica nei tre gruppi
(gruppo 1: 44,4%; gruppo 2: 50%; gruppo 3: 76,5%), sembra nascere l’ipotesi che i lavoratori che effettuano il turno notturno abbiano la frequenza più alta.
CONCLUSIONI
A conclusione dell’intervento multidisciplinare sono state realizzate
due importanti iniziative: un’azione sulla mensa aziendale finalizzata al
miglioramento, dal punto di vista nutrizionale, della tipologia dei pasti
offerti, al fine di adeguarsi alle esigenze dietologiche dei soggetti sovrappeso/obesi; in secondo luogo, la stipula di una convenzione con palestre adiacenti alle due sedi aziendali, per motivare i lavoratori ad un
maggior esercizio fisico.
Presupposto essenziale per questa modalità di iniziativa è senza
dubbio costituito dalla disponibilità e dalla sensibilità della direzione
aziendale, che riconosce nella tutela della salute del lavoratore un valore
prioritario e imprescindibile.
BIBLIOGRAFIA
1) Vigna L, Aquilina T, Carissimi E, Tirelli A S, Sommaruga D, Riboldi
L: Prevalenza Della Sindrome Metabolica In Un Gruppo Di Lavoratori Sovrappeso-Obesi. Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed
Ergonomia 2008, 30: 3, suppl 2 437-8.
2) Vigna L, Macario T, Aquilina T, Belluigi V, Patrini L, Riboldi L: Prevalence of metabolic syndrome in overweight-obese workers.
Journal Of Diabetes, 1 (1) A86, 2009.
3) Vigna L, Novembrino C, Agnelli G M, Belluigi V, Riboldi L, Bamonti F: Nutritional and oxidative status in occupational obese
subjects. Obesity Facts 2009, 2 (2): 178.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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RISCHIO CHIMICO
01
REGOLAMENTO CE N. 1272/2008: UN NUOVO ALGORITMO
PER LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO CHIMICO
G. Campurra1, S. Del Monte2
1
ENEA Centro Ricerche Frascati - Via Enrico Fermi, 45 00044 Frascati
RM
2 IPSOA INDICITALIA - Viale Maresciallo Pilsudski, 124 00197 Roma
Corrispondenza: Gabriele Campurra, Località Gricciano snc, 01034
Fabrica di Roma VT
Parole chiave: Rischio chimico, Valutazione del rischio, D.Lgs. n.
81/2008
EC REGULATION N. 1272/2008: A NEW ALGORITHM FOR THE
EVALUATION OF THE CHEMICAL RISK
ABSTRACT. The Legislative Decree (D.Lgs.) n. 81/2008 with the 1st
chapter of the Title IX has notably update the operational modes to
evaluate the risks due to the effects of the chemical agents presents in the
workplaces or which can result as a result of any working activity.
The consequent Evaluation of the chemical risk therefore has to
identify the activities at “low risk for the safety and irrelevant for the
health of the workers”, or at the contrary (that is not low and not
irrelevant), through the calculation of an index of risk for each used
chemical substance and through the estimation of the entity of the same
risk. If many substances are used it is necessary to summing up the risks
for a global evaluation of the working activity.
Furthermore it must be remembered that in September 5th 2009, the
Regulation of the Committee August 10th 2009, n. 790/2009 in the E.C.
Official Journal n. L 235 was published: it modify the labelling and the
packaging of the substances and of the mixtures, at the aim to adapt the
EC regulation n. 1272/2008 to the technical and scientific
progress.
st
Such regulation, in force from December 1 2010, by the way
provide for the new “sentences of risk” H (Hazard) and the new
“suggestions of prudence” P to replace, from such date, the old
sentences R and S.
It is therefore explained a new “algorithm” that, in addition to take
account of the new sentences of risk introduced by the E.C. regulation, it
will induce a separate evaluation for the “safety” and for the “health.”
1. IL REGOLAMENTO CE N. 1272/2008
In data 5 settembre 2009,è stato pubblicato il Regolamento Commissione 10 agosto 2009, n. 790/2009 recante modifiche dell’etichettatura e dell’imballaggio delle sostanze e delle miscele, ai fini dell’adeguamento al progresso tecnico e scientifico, del regolamento (CE) n.
1272/2008. Tale regolamento, in vigore dal 01/12/2010, prevede tra
l’altro, che le nuove “frasi di rischio” H (Hazard) e i nuovi “consigli di
prudenza” P sostituiscano, da tale data, le vecchie frasi R ed S.
In effetti, analizzando con attenzione le singole voci, è facilmente intuibile che non si tratta di una semplice sostituzione, bensì di un nuovo
approccio per la valutazione del rischio chimico.
Ciò permetterà sicuramente di migliorare la tutela sella salute e sicurezza sul luogo di lavoro, permettendo nel contempo una migliore valutazione nel rispetto del D.Lgs. n. 81/2008, cioè se si possa definire, o
meno: RISCHIO BASSO PER LA SICUREZZA E IRRILEVANTE PER
LA SALUTE DEI LAVORATORI.
Si consiglia quindi di utilizzare un “nuovo” algoritmo di valutazione
del Rischio chimico che, oltre a tener conto delle nuove frasi di rischio
introdotte dal Regolamento CE, porti a valutazioni separate per la “sicurezza” e per la “salute”.
Sarà quindi necessario, qualora si reputino che possano esistere entrambi i rischi (“sicurezza” e “salute”), effettuare le due valutazioni se-
69
parate in quanto, considerando i diversi fattore di rischio in esame, sono
caratterizzati da algoritmi diversi.
Si ricorda al proposito che esistono al momento pareri discordanti
per quanto riguarda l’obbligo di Sorveglianza Sanitaria in caso di esclusivo rischio “non basso per la sicurezza”. A parere dell’autore, l’obbligo
sussiste, soprattutto considerando la necessità di valutare l’idoneità del
lavoratore a sopportare possibili eventi incidentali e, soprattutto, all’utilizzo dei DPI previsti.
2. AGGIORNAMENTO DEL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE CON IL NUOVO
ALGORITMO
La valutazione deve essere effettuata utilizzando uno specifico algoritmo che calcola la potenziale esposizione derivante da ogni singola attività attraverso la determinazione di un indice di rischio chimico potenziale. La risoluzione dell’algoritmo permette di quantificare il livello dell’esposizione al fine di definire la classe di rischio associato in coerenza
con quanto disposto dal Titolo IX del D.Lgs. n. 81/2008.
Nelle more della definizione del rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori, si ritiene che tale condizione possa
sussistere alla presenza di adeguati presidi di prevenzione associata, ad
un’attività in cui l’esposizione dei lavoratori agli agenti è tale da essere
confrontabile, quando possibile, con quelli degli ambienti di vita.
3. SCHEMA LOGICO DELLA VALUTAZIONE DEL RISCHIO DI ESPOSIZIONE
AGLI AGENTI CHIMICI PERICOLOSI
Negli schemi 1, 2 e 3 sono rappresentati lo schema logico e i sistemi
di calcolo utilizzati per la valutazione del rischio di esposizione agli
agenti chimici.
4. CONCLUSIONE
La valutazione precedente deve essere eseguita per ogni sostanza
utilizzata o prodotta nel processo lavorativo.
L’algoritmo prevede infine una sommatoria degli Indici di Rischio
(IR) di tutte le sostanze utilizzate al fine di ottenere la valutazione complessiva del Rischio Chimico (RC).
Schema 1
Schema 2
70
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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increment in their use in the production of catalytic converters to reduce
the emission of pollutants like carbon monoxide, hydrocarbons, and
nitrogen oxides. However these devices cause an aerosol containing Pd,
Ir and other PGEs and consequently determine a higher exposure by
inhalation of the general population and workers exposed to vehicle
traffic. Nevertheless, little information can be found in the literature
about Pd and Ir effects on human health. In particular, there are several
in vitro studies that showed the ability of these metals to influence the
immune system. In fact, Pd caused an increase of IL-6 production in
human fibroblast-keratinocyte and buccal epithelium cells and it exerts
significant immunological effects also in peripheral blood mononuclear
cells. However, these studies not clarify the molecular mechanisms
underlying the immunological alterations observed. Moreover, in the
literature there are very few in vivo studies that addressed this topic. Aim
of the present review is to provide an update of the literature regarding
the immunological effects caused by exposure to Pd and Ir and observed
also in the in vivo studies.
Schema 3
5. NOTE BIBLIOGRAFICHE
• AA.VV., Tutto sicurezza e Ambiente, INDICITALIA Editore, Roma,
2010
• AA.VV., Sostanze pericolose - Gestione e valutazione del rischio,
INDICITALIA Editore, Roma, 2010
• CE regolamento n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008
• CE regolamento Commissione 10 agosto 2009, n. 790/2009,
G.U.C.E. 5 settembre 2009, n. L 235
02
EFFETTI IMMUNOLOGICI DELL’ESPOSIZIONE IN VIVO
A PALLADIO ED IRIDIO
I. Iavicoli, L. Fontana, V. Leso, A. Bergamaschi
Istituto di Medicina del Lavoro Università Cattolica del Sacro Cuore
Largo Francesco Vito 1 00168 Roma
Corrispondenza: Dott. Ivo Iavicoli, Istituto di Medicina del Lavoro
Università Cattolica del Sacro Cuore, Largo Francesco Vito 1, 00168,
Roma, Tel: +39 06 3015 4486; Fax: +39 06 3015 3612; E-mail:
[email protected]
Parole chiave: Palladio, Iridio, Citochine
IMMUNOLOGICAL EFFECTS OF IN VIVO EXPOSURE TO
PALLADIUM AND IRIDIUM
ABSTRACT. Palladium (Pd) and iridium (Ir) belong to the platinum
group elements (PGEs). Their excellent catalytic properties led to an
INTRODUZIONE
Il palladio (Pd) e l’iridio (Ir) costituiscono, insieme al platino (Pt),
al rodio, al rutenio ed all’osmio, il gruppo degli elementi del Platino
(EGP). Questi metalli possiedono eccezionali proprietà catalitiche che
ne garantiscono l’impiego in molteplici ambiti industriali (1). In particolare, questi metalli trovano largo utilizzo nella fabbricazione delle
marmitte catalitiche per ridurre l’emissione di inquinanti gassosi come
il monossido di carbonio, gli ossidi di azoto e gli idrocarburi (1). L’incrementato utilizzo di Pd e di Ir in tali dispositivi ha comportato un
aumento dei loro livelli ambientali determinando quindi una maggiore
esposizione della popolazione generale e dei soggetti professionalmente esposti. Infatti, recentemente in una popolazione di tramvieri,
esposta a traffico veicolare, i livelli medi di Pd nelle urine, pari a 12.34
ng/g creatinina, sono risultati analoghi a quelli della popolazione generale pari a 12.4 ng/g creatinina (2). I livelli ambientali medi di Pd erano
pari a 82.1, 58.0 e 15.2 pg/m3 rispettivamente nel particolato totale sospeso, nel PM10 e nel PM2.5 (3). Nella stessa popolazione lavorativa,
sono stati rilevati livelli ambientali medi di Ir pari a 1.43 (PTS), 0.44
(PM10) e 0.36 (PM2.5) pg/m3 e livelli medi nelle urine pari a 10.1 ng/g
creatinina (4).
Le informazioni attualmente disponibili relative ai possibili effetti
avversi sulla salute dell’uomo causati dal Pd e dall’Ir sono ancora piuttosto limitate e frammentarie. Nello specifico, la capacità immunomodulante degli EGP deve ancora essere analizzata in maniera completa ed
esaustiva. Dati presenti in letteratura mostrano che dosi non tossiche di
cloruro di Pd (PdCl2) determinano un significativo incremento della produzione di IL-6 in una co-cultura di fibroblasti e cheratinociti umani (5)
e in una linea cellulare umana dell’epitelio buccale (6). Importanti effetti
immunologici sono stati osservati anche sulle cellule mononucleate di
sangue umano (PBMC) trattate con dosi comprese tra 10-4 e 10-7 M di diversi sali di Pd (7). Nelle stesse cellule il trattamento con PdCl2 (2 e 250
μM) ha provocato una risposta immunitaria caratterizzata dall’incremento delle citochine Th1 e Th2 (8). Un aumento significativo della produzione di IFN-γ ed una riduzione della produzione dell’IL-10 è stato osservato nelle cellule PBMC provenienti da soggetti con patch test positivi al Pd e trattate con 2.5 μg/ml di PdCl2 (9).
Gli studi in vivo sono fondamentali per poter raggiungere una migliore e più approfondita conoscenza degli effetti immunomodulatori di
questi metalli, purtroppo l’analisi di tali alterazioni immunitarie nei modelli animali è ancora piuttosto limitata. Pertanto, lo scopo della presente
rassegna è quello di valutare lo stato attuale delle conoscenze relative
agli effetti immunotossici del Pd e dell’Ir, evidenziati dagli studi in vivo,
al fine di individuare gli argomenti verso i quali, in futuro, sarà più opportuno orientare la ricerca scientifica.
STUDI IN VIVO
Nel 2006 Iavicoli e coll. (10) hanno dimostrato che l’esposizione
sub-acuta di 25 ratti Wistar maschi a dosi di potassio esacloropalladato
comprese tra 1 e 250 ng/ml determinava un’importante risposta di tipo
Th2 con un significativo incremento della produzione di IL-4 e con una
conseguente alterazione del rapporto Th1/Th2. Tali risultati suggeriscono
che l’esposizione sub-acuta al Pd è in grado di potenziare la risposta immunitaria di tipo umorale e potrebbe pertanto aumentare l’incidenza di
sintomi allergici.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
Successivamente, lo stesso gruppo di ricerca ha realizzato uno studio
simile al precedente esponendo, per tre mesi, alle stesse concentrazioni
di potassio esacloropalladato 50 ratti Wistar maschi (11). In questo caso
i risultati hanno mostrato un aumento dose-correlato della concentrazione di IL-2 secondo una curva ad andamento J, ed un incremento della
concentrazione di IFN-γ statisticamente significativo alla dose di 100
ng/ml. La produzione di IL-4 non è stata influenzata dall’esposizione al
metallo.
Lo stesso modello animale (n=70) è stato impiegato per realizzare
uno studio di esposizione sub-cronica a dosi di cloruro idrato di Ir
comprese tra 0.001 e 1 mg/L (12). Alla fine dell’esperimento sono stati
determinati i livelli sierici di IL-2, IL-4 ed IFN-γ che hanno mostrato
una progressiva diminuzione dose-dipendente per quanto riguarda le
citochine Th1 ed un costante incremento anch’esso dose-dipendente
dell’IL-4.
CONCLUSIONI
Alcuni metalli appartenenti al gruppo degli EGP sono in grado di
provocare importanti effetti tossici e/o modulatori a carico del sistema
immunitario. Sebbene tra tutti gli EGP il Pd sia attualmente considerato
l’elemento maggiormente immunotossico, recentemente è stato dimostrato che anche l’Ir è in grado di influenzare il sistema immunitario in
maniera considerevole.
Tuttavia, il significato di tali alterazioni immunologiche non è ancora stato compreso completamente e rimane ancora da chiarire il ruolo
che esse svolgerebbero nell’ambito dei processi di sensibilizzazione.
Pertanto, in futuro sarà necessario realizzare degli studi il cui scopo
principale sia quello di comprendere i meccanismi molecolari alla base
delle capacità immunomodulatorie degli EGP e gli effetti immunotossici
da esse determinati, per poter valutare correttamente il rischio derivante
dall’esposizione a tali metalli. A tal fine appare fondamentale la necessità di eseguire un numero maggiore di studi in vivo valutando gli effetti
immunologici di molteplici composti del Pd e dell’Ir in differenti modelli animali.
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03
SENSIBILIZZAZIONE OCCUPAZIONALE A PARA-FENILENDIAMINA
NELLE DONNE PROFESSIONALMENTE ESPOSTE DEL TRIVENETO
A. Malvestio1, M. Bovenzi1, M. Hoteit1, A. Belloni Fortina2,
M.T. Corradin3, A. Detoni4, F. Larese Filon1
1
Clinical Unit of Occupational Medicine, University of Trieste
Institute of Dermatology, University of Padua, Italy
3 Dermatology Unit, Santa Maria degli Angeli Hospital, Pordenone,
Italy
4 RFI - Gruppo Ferrovie dello Stato - Direzione Sanità - Ust Trieste
2
Corrispondenza: Francesca Larese Filon, e mail: [email protected]
OCCUPATIONAL SENSITIZATION TO PARA-PHENYLENEDIAMINE IN WOMEN PROFESSIONALLY EXPOSED IN NORTHEASTERN ITALY
ABSTRACT. Background: PPD is a strong delayed-type skin
sensitizer and women have an higher risk of developing contact
dermatitis due to this hapten.
Objectives: To estimate the role of PPD sensitization in women with
suspected allergic contact dermatitis in Triveneto Region.
Patients/Materials/Methods: A total of 9771 women with suspected
allergic dermatitis underwent patch testing with the European Standard
series. A questionnaire with a detailed occupational history was used to
evaluate the role of profession in PPD sensitization. Office workers were
considered as the reference group.
Results: The population studied had a mean age of 39 years (range
14-94) and presented hand/forearm dermatitis in the 26.9% of cases and
head dermatitis in 22.1% of cases.
The 3% of office workers are sensitized to PPD vs 14.7% of hairdressers and beauticians (p<0.000), 12.9% of professional bus and truck
drivers (p<0.000), 5.9% of cleaners (p<0.01).
PPD sensitization was significantly higher in women (4.1%) than in
men (2.5%; p<0.002). Conclusions: Women have a higher risk of sensitizing to PPD, since their contact with this hapten is more frequent and
their skin is more sensitive.
Our study suggests that some occupations may be at risk for sensitization to PPD and that it would be important to reduce the content of this
colouring agent in hair dyes and to limit the use of cross-reacting substances.
Key words: sensitization; para-phenylenediamine (PPD); women;
occupation.
INTRODUZIONE
L’importanza della para-fenilendiamina (PPD) come forte sensibilizzante cutaneo è nota. Questo colorante viene utilizzato da diversi
decenni nelle tinture per capelli, ma può essere presente illegalmente
anche come additivo nei tatuaggi all’henné, rendendoli così persistenti nella cute (1, 2). Altri prodotti come oggetti in gomma, cuoio e
finta pelle possono contenere sostanze che cross-reagiscono con la
PPD (3, 4, 5).
Il tema delle reazioni allergiche a PPD è rilevante soprattutto in ambito occupazionale: vi è un rischio aumentato di sensibilizzazione nelle
parrucchiere, nelle quali le lesioni cutanee sono quasi sempre limitate
alle mani, ma possono anche coinvolgere il volto e gli avambracci (6).
Invece in letteratura i dati riguardanti l’associazione fra sensibilizzazione
a PPD e altre categorie professionali sono scarsi.
Il sesso femminile può avere anche un’importante esposizione extraprofessionale a PPD, per il frequente utilizzo di tinture per capelli: in
72
questi casi la dermatite spesso si estende oltre il cuoio capelluto, per includere la fronte, il collo, le palpebre e il volto (1).
Le donne hanno una cute più permeabile e sensibile rispetto agli uomini (7) e hanno una prevalenza maggiore di dermatite atopica e di dermatite alle mani (8): perciò sono a maggior rischio di sensibilizzazione
a PPD.
Lo scopo del nostro studio era di valutare la prevalenza di sensibilizzazione a PPD in un gruppo di pazienti sottoposti a patch test presso 8
Unità di Dermatologia e Medicina del Lavoro nel Triveneto dal 1997 al
2004, valutando il ruolo del genere femminile e l’associazione con le
professioni.
MATERIALI/METODI
Sono state reclutate 9771 donne (67.6%) e 4693 uomini (32.4%) con
sospetta dermatite allergica da contatto. Tutti hanno compilato un questionario anamnestico standardizzato, riguardante caratteristiche individuali, storia occupazionale e di atopia personale e familiare e localizzazione della dermatite (9). Hanno poi eseguito patch-test con PPD 1% in
vaselina, con applicazione dell’aptene sul dorso e rimozione dopo 48 ore;
la reazione è stata valutata alla rimozione e 24 ore dopo, in accordo con
le linee guida ICDRG. L’analisi dei dati è stata eseguita con software
Stata v. 10.1. L’associazione tra risultato dei patch test e professione è
stata studiata mediante analisi di regressione logistica multivariata, controllando per età (cinque categorie: 14-25 anni; 26-35 anni; 36-45 anni;
46-55 anni; ≥56 anni), atopia personale e familiare, unità in cui sono stati
applicati i patch test e sito anatomico delle lesioni cutanee. Odds ratios
(OR) e intervalli di confidenza del 95% (95%CI) sono stati calcolati mediante regressione logistica, assumendo le impiegate come categoria di
riferimento.
RISULTATI
Le donne avevano un’età media di 39 anni (range 14-94), un’anamnesi positiva per atopia personale e familiare del 16.6% e 9.2% rispettivamente, una localizzazione della dermatite alle mani o agli avambracci
del 26.9% e al capo del 22.1%. La prevalenza delle donne in alcune occupazioni come casalinga, pulitrice, parrucchiera e nel settore sanitario
era maggiore rispetto a quella maschile, predominante invece nei settori
dell’industria, dell’agricoltura e dei trasporti.
La sensibilizzazione a PPD è risultata presente nel 4.1% delle donne,
significativamente maggiore rispetto agli uomini (2.5%, p<0.002).
Le impiegate avevano una prevalenza di sensibilizzazione a PPD del
3%. La sensibilizzazione a PPD è risultata significativamente associata
con la professione di parrucchiera (OR 6.58; 95% CI 3.76-11.50, prevalenza 14.7%, p<0.000), di autista professionista (OR 5.31; 95% CI 1.7616.09, prevalenza 12.9%, p<0.000), di barista (OR 1.89; 95% CI 1.043.44) e di pulitrice (OR 1.82; 95% CI 1.24-2.68, prevalenza 5.9%,
p<0.01).
Vi era un aumentato rischio di sensibilizzazione a PPD anche nelle
donne con età compresa tra 46 e 55 anni (OR 2.10, CI 95% 1.46-3.02),
mentre non vi era alcuna associazione significativa tra sensibilizzazione
a PPD e un’anamnesi positiva per atopia personale o familiare.
DISCUSSIONE
Il nostro studio ha evidenziato una sensibilizzazione a PPD quasi
doppia nelle donne rispetto agli uomini: ciò si spiega con la maggiore
esposizione del sesso femminile alle tinture per capelli, per motivi
professionali ed extraprofessionali. Søsted (10) trovò che il 74.9%
delle donne ha tinto almeno una volta i propri capelli, contro il 18.4%
degli uomini. Inoltre le donne hanno una cute maggiormente predisposta alla sensibilizzazione da contatto e allo sviluppo di dermatite
allergica (7, 8).
Nel nostro studio la più alta prevalenza di sensibilizzazione a PPD è
stata rilevata nelle parrucchiere (14.7%), come evidenziano anche numerosi altri studi (6, 11-16).
La nostra indagine ha evidenziato anche un’associazione con l’attività di autista (prevalenza di sensibilizzazione a PPD del 12.9%): ciò potrebbe essere spiegato con il frequente contatto con il cuoio o la pelle sintetica, trattati con PPD ed utilizzati per ricoprire il volante (17) o con oggetti in gomma come attrezzi, pneumatici e tubi (12). Infine la presenza
nei guanti di gomma di additivi che cross-reagiscono con PPD potrebbe
spiegare l’alta prevalenza di sensibilizzazione a questo aptene riscontrata
in bariste e pulitrici (18).
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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Studiando la relazione tra sensibilizzazione a PPD ed età, abbiamo
trovato un aumento significativo del rischio nelle donne tra 46 e 55 anni,
probabilmente perché in questa fascia d’età tendono a tingersi più frequentemente i capelli, i quali iniziano a perdere la loro naturale pigmentazione.
L’elevato numero di donne studiate (9771) ha permesso di rilevare
un rischio aumentato di sensibilizzazione a PPD in alcune professioni:
ciò si spiega con il frequente contatto di queste lavoratrici con oggetti o
materiali trattati con PPD o prodotti cross-reagenti e con la maggiore
sensibilità del genere femminile a sviluppare reazioni allergiche da contatto (7, 8).
Risulta quindi necessario limitare l’uso di coloranti contenenti
questo aptene, vigilare affinché questo aptene non sia presente anche in
altri prodotti e porre attenzione ai prodotti cross-reagenti con la PPD.
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G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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04
ATTIVITÀ DI BONIFICA IN AREA EX-INDUTRIALE:
APPROCCIO INTEGRATO ALLA VALUTAZIONE
DELL’ESPOSIZIONE AD AGENTI CHIMICI
I. Martinotti1,2, S. Fustinoni2, L. Campo2, V. Foà1, P.E. Cirla1,2
1 Divisione Tossicologica CIMAL (DITOC), Centro Italiano Medicina
Ambiente Lavoro (Gruppo CIMAL), Milano
2 Dipartimento di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Milano
e Fondazione “Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina
Elena” (IRCCS), Milano
Corrispondenza: Irene Martinotti, Via Friuli, 61 - 20135 Milano, Italy,
Phone: +39 02 59901542, e-mail: [email protected]
Parole chiave: Attività di bonifica, Esposizione cutanea, Rischio
chimico
REMEDIATION ACTIVITIES AT A FORMER INDUSTRIAL SITE:
INTEGRATED APPROACH TO ASSESSING EXPOSURE TO
CHEMICAL
ABSTRACT. Introduction: In remediation activity of former
industrial sites, particular attention is paid to the chemical agents
exposure. In addition to the airway, for some substances a significant
exposure through the skin must be considered. The purpose of this study
was an integrated assessment of exposure to benzene, toluene, xylene
(BTX) and naphthalene in workers employed to clean up a former
industrial site.
Materials and methods: The study was carried out on the same 6
males workers and two campaigns (on winter and on summer) were
performed by airborne environmental monitoring (active personal
sampler vial with activated carbon) and skin (6 PAD in charcoal), as well
as by biological monitoring (substances non-metabolized in the urine of
the beginning and the end of shift). Each operator was monitored for
three full consecutive working days.
Results and discussion: The exposure was higher in summer than in
winter. Dermal exposure was consistent across different parts of the
body. Although the dermal dose was higher than the inhaled one, the
different lower absorption through the skin made it predictable for a total
contribution to the absorption between 3% (toluene) and 31%
(naphthalene). Total exposure under investigation was lesser than the
limits for the work place. The results of biological monitoring are in
agreement.
Key words: Remediation activities, Dermal exposure, Chemical risk
INTRODUZIONE
Nell’attività di bonifica di siti ex-industriali, particolare attenzione
viene posta ai possibili rischi legati agli agenti chimici con i quali i lavoratori addetti possono venire più o meno direttamente in contatto.
Oltre alla via respiratoria, per alcune sostanze, sia tal quali sia adsorbite
su particolato aerodisperso, appare ipotizzabile ritenere di rilievo anche
l’esposizione attraverso la cute (1-2). Dibattuto in questo senso è il relativo apporto all’assorbimento complessivo nell’organismo fornito dalle
due vie d’accesso.
Scopo di questo studio è stata l’applicazione di un approccio integrato alla valutazione dell’esposizione ad idrocarburi aromatici in addetti
alla bonifica di un sito ex-industriale, così da permettere un’appropriata
valutazione e gestione del rischio chimico per la salute.
MATERIALI E METODI
Mediante monitoraggio ambientale (aerodisperso e cutaneo) e biologico è stata misurata l’esposizione ad gruppo di idrocarburi aromatici
(benzene, toluene, xilene e naftalene), scelti, tra quelli presenti in precedenti campionamenti aerei in quantità superiore al limite di rilevazione
analitico, in quanto dotati della capacità di essere assorbiti oltre che per
via inalatoria, anche per via cutanea.
Per caratterizzare lo scenario espositivo in condizioni meteo-climatiche differenti sono state realizzate due campagne di campionamento
(invernale ed estiva), condotte con le medesime modalità operative e
coinvolgendo sempre gli stessi 6 soggetti maschi (età media 44 anni,
73
D.S. 5). Durante ciascuna campagna la valutazione completa è stata ripetuta per tre intere giornate lavorative consecutive su ogni soggetto.
Tutti i lavoratori coinvolti hanno espresso libero consenso alla partecipazione all’indagine.
Le attività si sono svolte in area a localizzazione extraurbana caratterizzata da traffico veicolare scarso rapportabile esclusivamente alle
esigenze di cantiere, pressione medio-alta (media 965 hPa), calma secondo la scala di ventosità di Beaufort, umidità media 70% e temperatura
media rispettivamente di 0°C in inverno e 23°C in estate. Tutti i soggetti
indossavano durante l’attività lavorativa i seguenti Dispositivi di Protezione Individuale (DPI): tuta da lavoro in cotone (maniche e calzoni
lunghi), scarpe antinfortunistiche, guanti (questi ultimi solamente durante alcune attività).
L’esposizione per via inalatoria è stata indagata utilizzando campionatori personali attivi con fiala in carbone attivo (flusso 0,2 l/min). Per il
monitoraggio cutaneo su ogni soggetto sono stati posizionati 6 pad (dispositivi di captazione cutanea in carbone attivo con superficie 7,5 cm2):
in particolare un pad è posto sempre all’esterno degli indumenti (collo) e
i rimanenti sulla pelle in diversi distretti corporei (arto superiore, tronco,
coscia, polso e caviglia). L’esposizione interna è stata stimata mediante
monitoraggio biologico con la determinazione dei livelli di sostanze non
metabolizzate nell’urina di inizio e fine turno. Le determinazioni analitiche sono state effettuate con gascromatografia a rilevatore di massa
(GC-MS).
L’esposizione cutanea complessiva (Dose Dermica Nominale; μg/h)
è stata calcolata rapportando la quantità di sostanza trovata sul pad alla
superficie della regione corporea corrispondente, mediante modello (3,
4) adattato ai parametri biometrici di ogni soggetto monitorato, ed il
tempo di campionamento. L’esposizione per via inalatoria (Dose Aerea
Nominale; μg/h) è stata calcolata considerando il volume respiratorio per
attività moderata (1,8 m3/h). Per la stima dell’assorbimento cutaneo è
stato fatto riferimento ai coefficienti di permeabilità cutanea per soluzioni acquose (5), modificati moltiplicando per il coefficiente di ripartizione del vapore tra acqua e aria. Lo spessore dello strato di aria stagnante tra superficie cutanea e aria ambiente è stato scelto pari a 3 cm per
abbigliamento leggero (6).
RISULTATI
L’esposizione inalatoria (Tabella I) è risultata per benzene sempre
inferiore al limite di detezione (pari a 10,6 µg/m3). L’esposizione cutanea
è risultata omogenea nelle diverse parti del corpo, con densità di dose
dermica media di 30 ng/cm2 per toluene, 35 ng/cm2 per xilene e 8 ng/cm2
per naftalene; sempre inferiore al limite di detezione per benzene (pari a
132 ng/cm2). In Tabella II sono riportati i dati di contaminazione cutanea
tenendo in considerazione anche il tempo di esposizione e la distribuzione superficiale dell’esposizione.
In tutti i casi l’esposizione è risultata superiore in estate che in inverno (t-test con p<0,05).
Volendo confrontare l’esposizione cutanea e quella respiratoria,
nonché i relativi assorbimenti da parte dell’organismo, nella Tabella III
sono riportati i valori medi di Dose Dermica Nominale e di Dose Aerea
Nominale, unitamente alla stima delle quantità assorbite per le due vie
durante un turno di lavoro di 8 ore. In particolare per il calcolo della
quantità assorbita attraverso la cute si sono tenuti in considerazione il
coefficiente di penetrazione, il lag time e lo stato fisico di vapore delle
sostanze indagate, secondo lo scenario più vantaggioso ipotizzabile a favore dell’assorbimento cutaneo (assorbimento rispettivamente del 1%
per toluene e xilene e del 20% per naftalene). Sebbene la dose dermica
risulti maggiore di quella inalatoria, il contributo verosimilmente stimabile all’assorbimento complessivo (per via aerea e cutanea) della sola via
cutanea si attesta in media rispettivamente per il toluene al 3% (1% in inverno e 4% in estate), per lo xilene al 15% (10% in inverno e 18% in
estate), e per il naftalene al 31% (30% in inverno e 32% in estate).
I valori stimati di assorbimento complessivo dalle due vie appaiono
compatibili con i risultati del monitoraggio biologico (Tabella IV).
DISCUSSIONE
Complessivamente l’esposizione dei soggetti indagati appare molto
inferiore ai valori limite per gli ambienti di lavoro e dello stesso ordine
di grandezza di quella riscontrabile nell’ambiente di vita urbano della
popolazione generale (7). I risultati del monitoraggio biologico sono concordi con concentrazioni urinarie di benzene, toluene, xilene che rica-
74
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
Tabella I. Risultati monitoraggio ambientale: concentrazione media
Tabella II. Risultati monitoraggio cutaneo: Dose Dermica Nominale
media per corpo intero
Tabella III. Confronto monitoraggio cutaneo ed aerodisperso:
media complessiva (media inverno - media estate)
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05
ESPOSIZIONE PROFESSIONALE A CROMO NELLA PRODUZIONE
AERONAUTICA: CASO STUDIO
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P. Pecoraro2, N. Sannolo1
Tabella IV. Risultati monitoraggio biologico: concentrazione media
1 Dipartimento di Medicina Sperimentale - Sezione di Medicina del
Lavoro, Igiene e Tossicologia Industriale - Seconda Università degli
Studi di Napoli, Via L. De Crecchio, 7. 80138, Napoli, Italy
2 Medico Competente
Corrispondenza: Nadia Miraglia, Sezione di Medicina del Lavoro,
Igiene e Tossicologia Industriale, Dipartimento di Medicina
Sperimentale, Seconda Università degli Studi di Napoli, Via De
Crecchio, 7 - 80138, Napoli, e-mail: [email protected], tel:
0817463471; 0815665903
Parole chiave: monitoraggio biologico - cromo - esposizione professionale
dono nel complesso nell’intervallo dei valori di riferimento per la popolazione italiana e sono compatibili con le abitudini voluttuarie dei soggetti indagati (8).
Dall’esame dei dati non risulta una differenza statisticamente significativa tra la contaminazione cutanea nelle diverse regioni corporee di
uno stesso individuo; ciò appare probabilmente dovuto al fatto che le sostanze monitorate si trovano allo stato di vapore. L’assenza di differenze
di rilievo tra pad “coperto” e pad “scoperto” sembra indicare come, per
le sostanze esaminate, l’abbigliamento indossato non sia in grado di influenzare la contaminazione dermica. L’esposizione nominale dermica
risulta essere di maggiore entità rispetto a quella inalatoria ma, considerando l’assorbimento, il rapporto si inverte, privilegiando quello respiratorio.
RINGRAZIAMENTI
Studio realizzato con la collaborazione del Servizio di Prevenzione
e Protezione di Syndial S.p.A. Attività Diversificate.
OCCUPATIONAL EXPOSURE TO CHROMIUM IN AERONAUTICS:
CASE STUDY
ABSTRACT. The occupational exposure to hexavalent chromium,
a well known carcinogenic agent, involves biological monitoring
investigations for workers’ healthcare, by measuring Cr
concentrations in end-shift urine collected at the end of the week
(CrU) and the difference of Cr concentrations in before and end-shift
urine (DCrU).
In aeronautics, primers (often containing CrVI) are used in
various phases of the aircraft’s production cycle. The modules that
will constitute the aircraft are initially coated with primers, than they
are assembled and painted. The occupational exposure of workers
directly handling CrVI products is evident, nevertheless, in the case of
workers assigned to modules assembly (aircraft fitters), it should be
verified. With this aim, a biological monitoring investigation was
performed on 137 aircraft fitters, and CrU and DCrU levels were
measured by graphite furnace-atomic absorption spectroscopy. The
obtained results show CrU and DCrU levels lower than BEIs proposed
by ACGIH and higher than the Reference Values found in populations
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not occupationally exposed to CrVI. These finding suggest that the
risk assessment aimed to evaluate the occupational exposure to
hazardous chemical agents must also take into account work-tasks
that are not directly related with the handling of the investigated risk
agent.
Key words: biological monitoring - chromium - occupational
exposure
INTRODUZIONE
Il cromo in natura si ritrova prevalentemente negli stati di ossidazione II, III o VI. Il CrIII è un nutriente essenziale per l’uomo, in
quanto influenza il metabolismo di zuccheri e grassi, ed è contenuto in
numerosi alimenti. Il CrVI, pur non svolgendo alcun ruolo nei sistemi
biologici, è prontamente assorbito dai polmoni e dalla cute e permea
facilmente le membrane cellulari. In vivo, CrIII e CrVI si accumulano
in vari tessuti (polmoni, fegato, reni e milza) e il CrVI viene metabolizzato a CrIII, escreto nelle urine. I rischi per la salute associati a
esposizione a cromo dipendono dallo stato di ossidazione. Un’assunzione eccessiva di CrIII può causare congiuntiviti, dermatiti e danneggiare i reni, (necrosi tubulare acuta); tuttavia, è principalmente la “carenza” di CrIII a costituire un fattore di rischio, per malattie cardiovascolari, aterosclerosi, ipercolesterolemia e iperinsulinemia, generando
intolleranza al glucosio assieme ad elevati tassi ematici di colesterolo
e trigliceridi. Il CrVI, invece, è classificato dalla IARC quale cancerogeno riconosciuto per l’uomo, può provocare indebolimento del sistema immunitario, epatiti, nefriti, fibrosi polmonare, oltre a dermatiti,
reazioni cutanee allergiche, pneumoconiosi, ulcerazione e perforazione delle membrane mucose del setto nasale, bronchiti asmatiche,
broncospasmsi ed edema (1).
Sebbene la forma trivalente sia più comune in natura, è quella esavalente ad assumere maggiore rilevanza in ambito occupazionale,
dove viene utilizzata in numerosi settori, quali l’industria galvanica e
metallurgica, industrie di sintesi, la concia del cuoio, ecc. (2). Nel settore aeronautico, in particolare, vengono utilizzati primers, spesso
contenenti cromo esavalente, per proteggere dalla corrosione le superfici interne ed esterne dell’aeromobile e/o favorire l’adesione di successivi rivestimenti organici (vernici). Il ciclo produttivo prevede che
i vari moduli costituenti l’aeromobile vengano prima ricoperti con uno
strato di primer, poi assemblati e quindi, successivamente verniciati.
Mentre per lavoratori che manipolano direttamente prodotti contenenti
cromo (verniciatori), l’esposizione professionale è evidente, nasce la
domanda se, anche altre tipologie di mansioni del settore aeronautico
possano comportare un’esposizione professionale a cromo. Infatti, la
mansione di foratore e montatore prevede l’iniziale foratura dei moduli costituenti l’aeromobile, l’assemblaggio e, quindi, il ritocco delle
giunture con piccoli quantitativi di primer. In tali fasi di lavoro, l’assorbimento del CrVI può avvenire sia mediante l’inalazione delle particelle aerodisperse originate dalla foratura sia per contatto diretto col
primer.
In quest’ambito, è stata effettuata un’indagine di monitoraggio biologico finalizzata a valutare i livelli di cromo riscontrati nelle urine di tali
categorie di lavoratori.
MATERIALI E METODI
Sono stati individuati 8 Gruppi Omogenei di Esposizione (GOE) in
base alla quantità di sostanza cancerogena adoperata, al programma di lavoro, alla frequenza e alla durata dell’esposizione e al luogo di lavoro
specifico per ciascuna lavorazione. Per ciascun lavoratore, è stata compilata una scheda identificativa allo scopo di eliminare dallo studio fattori confondenti (fumo e diabete) in grado di influenzare l’escrezione urinaria di cromo (3). Sono stati, quindi, selezionati 137 lavoratori, raccogliendo campioni urinari di inizio e fine turno, a fine settimana lavorativa. Un processo analogo ha riguardato 30 impiegati amministrativi (non
esposti professionalmente a cromo), quale gruppo di controllo. I campioni biologici sono stati analizzati mediante spettroscopia ad assorbimento atomico con fornetto di grafite e quantificati attraverso curve di
calibrazione.
RISULTATI
Le indagini di monitoraggio hanno previsto il dosaggio dei seguenti indicatori biologici: cromo urinario di fine turno fine settimana
lavorativa (CrU ftfsl), quale indicatore di accumulo; differenza di
75
Tabella I. Valori medi (μg/L ± SD) di CrU ftfsl e DCrU
in foratori e montatori in areonautica
concentrazione di cromo totale nelle urine di inizio e fine turno
(DCrU), quale indicatore di esposizione giornaliera. Nell’ambito
degli 8 GOE considerati (tabella I), non sono state riscontrate differenze significative tra i valori medi di concentrazione urinaria di CrU
ftfsl e DCrU, al contrario, come atteso, le concentrazioni dei due indicatori biologici misurate nel gruppo di controllo risultano notevolmente inferiori, pari a 0.04±0.05 e 0.01±0.08 μg/L, per CrU e DCrU,
rispettivamente.
DISCUSSIONE
La tutela della salute di lavoratori esposti a cromo esavalente prevede indagini di monitoraggio biologico, al fine di soddisfare quanto
previsto dal D.Lgs. 81/08. Il rischio di sviluppare una patologia cancerogena è di natura stocastica, di conseguenza la normativa italiana non
individua alcun valore limite soglia, ribadendo il principio di limitare il
livello di esposizione al “minimo tecnicamente possibile”. In assenza di
precise disposizioni legislative, per valutare il livello di esposizione a
CrVI sono stati utilizzati gli indicatori biologici proposti dall’ACGIH.
Vista la riduzione in vivo di CrVI a CrIII e la tendenza del cromo ad accumularsi nei tessuti nell’arco della settimana lavorativa, l’ACGIH suggerisce di dosare il cromo totale nelle urine di fine turno fine settimana
lavorativa (CrU ftfsl, IBE 25 μg/L); inoltre, un IBE di 10 μg/L viene indicato per la differenza di concentrazione di cromo totale escreto nelle
urine di inizio e fine turno lavorativo (DCrU). Il caso-studio qui riportato si propone di verificare se mansioni “insospettate”, quali quella del
foratore e del montatore, tipiche della produzione aeronautica, comportino o meno un’esposizione a CrVI; pertanto, i risultati delle indagini di
monitoraggio sono stati paragonati sia agli IBE proposti dall’ACGIH,
sia ai Valori di Riferimento della popolazione non esposta professionalmente, forniti dalla SIVR, che riporta quantità di CrU variabili nell’intervallo 0.05-0.32 μg/L (4).
Le concentrazioni urinarie misurate risultano inferiori ai valori limite occupazionali, ma superiori ai Valori di Riferimento, suggerendo
che le mansioni lavorative esaminate comportano un’esposizione professionale a CrVI. I risultati ottenuti mostrano, quindi, come, nel valutare l’esposizione professionale ad un determinato agente cancerogeno, sia auspicabile prendere in considerazione anche mansioni lavorative che non comportino una manipolazione diretta dell’agente di rischio indagato, in modo da poter programmare adeguate misure di prevenzione. Nella fattispecie, ad esempio, sono state proposte varie soluzioni, quali la sostituzione del primer adoperato per rivestire i moduli costituenti l’aeromobile con un altro a minor tenore di CrVI e la
modifica delle procedure di lavoro (foratura orizzontale con pompa
aspirante anziché verticale). È stata, inoltre, intrapresa una campagna
di formazione per incrementare la percezione del rischio e l’effettivo
utilizzo dei DPI, prevedendo, al contempo, ulteriori indagini di monitoraggio biologico volte a verificare l’efficacia delle misure di prevenzione attuate.
BIBLIOGRAFIA
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(VI) carcinogenesis. Carcinogenesis 2000; 21: 533-541.
2) Gatto NM, et al. Occupational exposure to hexavalent chromium
and cancers of the gastrointestinal tract: A meta-analysis. Cancer
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3) Afridi HI, et al. Status of essential trace metals in biological samples
of diabetic mother and their neonates. Arch Gynecol Obstet 2009;
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4) Minoia C, Apostoli P. 1a lista SIVR dei valori di riferimento: definizioni, criteri metodologici e strategie analitiche. G Ital Med Lav Erg
2003; 25(1): 15-21. Aggiornamento 2a lista SIVR 2005 disponibile
on line: http://www.biolind.net
76
06
VALUTAZIONE DEL QUESTIONARIO DI ARBUCKLE
SU UN CAMPIONE DI IRRORATORI DI PESTICIDI
E STUDIO DEI DETERMINANTI DELLA INTENSITÀ
DELLA ESPOSIZIONE A PESTICIDI
G.M. Ferri1, L. Miligi2, M. Musti1, L. Vimercati1, T. Galasso1,
C. Guastadisegno1, E.V. Buonodonato1, T. Martino1,
T. Massaro1, P. Cocco3
1
Università di Bari. Dipartimento di Medicina Interna e Medicina
Pubblica (DiMIMP). Sezione ”B. Ramazzini”. Ospedale Regionale
“Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico-Giovanni XXIII” di
Bari. Policlinico. Piazza G. Cesare, 11. 70124 Bari.
2 Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica (ISPO). Via Cosimo
il Vecchio, 2. 50139 Firenze
3 Università di Cagliari. Dipartimento di Sanità Pubblica. Asse
Didattico - Policlinico Universitario. 09042 Monserrato (Cagliari).
Corrispondenza: Dr. Ferri Giovanni M, M.D., PhD. University of Bari.
Department of Internal and Public Medicine (DIMIMP). Section “B.
Ramazzini”. Regional Hospital “Azienda Ospedaliera Universitaria
Policlinico-Giovanni XXIII” of Bari. Unit of Occupational Medicine.
Piazza G. Cesare, 11. 70124 BARI. ITALY. Phone: 39-80-5478212.
E-mail: [email protected]
Parole chiave: Pesticidi, intensità della esposizione, validazione
questionari.
EVALUATION OF ARBUKLE QUESTIONNAIRE IN A SAMPLE
OF PESTICIDES OPERATORS AND STUDY OF DETERMINANTS
OF THE EXPOSURE INTENSITY
ABSTRACT. The increase of risk for hematopoietic cancer among
pesticides operators particularly associated with specific compounds
was reported by several case-controls studies. The retrospective semiquantitative estimates of the intensity of pesticides exposure allow the
assessment of the trends of relative risks associated to the its variation.
The aims of the present study are finalized to evaluate a modified version
of a questionnaire used for the collection of data related to pesticides use
modality in agriculture; to Apply the Dosemeci algorithm for the
assessment of pesticides exposure intensity; to evaluate if the information
of the specific questionnaire for the agriculture used in the Italian study
on the haetiology of lymphoma are congruent with validated
questionnaires and are useful to estimate the intensity of exposure to
pesticides. The Alburkle questionnaire was previously validated on a
sample of 40 pesticides users. The questionnaire reported data related to
the different methods of pesticides use were codified and inserted in a
data base of Microsoft Access® to obtain an exposure intensity score. A
comparison of the items of the Arbukle questionnaire and the specific
questionnaire for the agriculture was carried out. The results showed
that only the use of back pesticides sprayers is associated with the
exposure to levels higher than the median score (F= 8,58 p <= 0,006).
This finding was confirmed in the multivariate analisys. The
questionnaire comparison showed a not complete correspondence (60%)
of the data of the specific questionnaire for the agriculture used in the
Italian study on the haetiology of lymphoma, regarding the methods of
pesticides spraying useful for the Dosemeci algorithm score assessment.
In conclusion, the questionnaire used in the case-control study of HCC
was suitable to the collection of data useful to the estimate of pesticides
exposure in agriculture. The Dosemeci algorithm is able to properly
quantify the exposure intensity. We need to increase the items of the
specific questionnaire for the agriculture used in the Italian study on the
haetiology of lymphoma to reach the right quantity of information useful
for the assessment of the intensity score. The collection of data could be
carried out by means of phone interviews.
BACKGROUND
In Italia molti studi caso controllo relativi ai fattori eziologici dei tumori dell’apparato emolinfopoietico hanno evidenziato, fra gli utilizzatori autorizzati di pesticidi, un incremento del rischio di incidenza legato
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prevalentemente ad alcune classi di sostanze (1). Tali fattori possono infatti interagire con componenti fenotipiche enzimatiche di fase 1 e di fase
2 di polimorfismi genetici nella produzione di queste neoplasie. Un ”assessment” della intensità della esposizione a pesticidi di tipo semi-quantitativo risulta importante nello studio di possibili associazioni. In uno
studio caso controllo sui tumori dell’apparato ematopoietico nei bambini
(HCC) (2) abbiamo voluto effettuare tale determinazione basandoci sulla
esperienza fatta, su questo specifico aspetto, nell’Agricultural Health
Study (AHS) (3) e successivamente validata (4). Nel progetto di ricerca
multicentrico italiano che attualmente stiamo conducendo, “interazione
gene-ambiente nella eziologia dei linfomi”, parte del consorzio nazionale INTERLYMPH, creato dal NCI Bethesda, MD, USA, è prevista
anche la valutazione di diversi tipi di fattori di rischio chimico, fra cui vi
sono i pesticidi, che necessitano la produzione del relativo indicatore di
intensità della esposizione. Abbiamo ritenuto opportuno valutare la applicabilità di queste tecniche in questo studio.
OBIETTIVI
Mostrare i dati relativi alla validazione di una versione modificata
del questionario di Arbuckle (5) usato per lo studio sull’Hematopoietic
Childhood Cancer (HCC). Valutare la efficacia dell’algoritmo di Dosemeci nella stima della intensità della esposizione a pesticidi e valutare se
i dati su cui si impernia il questionario specifico per l’agricoltura del progetto linfomi sono comparabili con quelli del questionario già validato e
se è possibile implementare la base informativa per la produzione dell’indicatore di intensità di esposizione a pesticidi nello studio sui linfomi.
METODI
Il questionario di Arbuckle, speditoci direttamente dall’autore, modificato con alcuni items provenienti da altre esperienze (6) è stato somministrato ad un piccolo campione di 40 irroratori di pesticidi (Operatori
agricoli con patentino, operatori agricoli senza patentino, Operatori del
pubblico impiego con patentino) della provincia di Taranto e di Bari per
studiare la compatibilità geografica delle informazioni di base, la proporzione di rispondenti, la chiarezza delle domande e verificare quali tipi
di informazioni dovevano essere implementate e quali potevano essere
eventualmente ridotte. Il reclutamento è stato possibile grazie alla consultazione degli elenchi dei possessori di patentino dei consorzi delle
zone interessate. Abbiamo costruito in quella occasione un programma in
Microsoft Access che permetteva la produzione immediata di uno score
di intensità basato su una serie di codici sovrapponibili a quelli dell’AHS
provenienti da diversi gruppi di informazioni (Stato della miscelazione,
metodi di applicazione, stato degli equipaggiamenti di riparazione, equipaggiamenti di protezione personali) a cui sono aggiunte informazioni
ancora più specifiche (tipi di sistemi di miscelazione, presenza di cabina
e filtri di carbone attivo). L’algoritmo conclusivo è abbastanza semplificato (Livello di Intensità = [ (MIX * ENCLOSED) + (APPL * CAB) +
REPAIR + WASH ] * DPI * REPL * HYG * SPILL ]). Il questionario è
stato auto-somministrato a domicilio. Dal punto di vista statistico sono
state effettuate: una analisi descrittiva del gruppo in studio relativa alle
sue caratteristiche generali; una valutazione delle caratteristiche della distribuzione dalla variabile di intensità dell’esposizione; Analisi univariate parametriche (analisi della varianza) della stessa variabile per le caratteristiche del gruppo in studio; una analisi multivariata della variabile
dipendente di intensità in relazione alle più significative variabili indipendenti testando ed usando un modello di regressione logistica multipla
non condizionale, categorizzando la variabile di intensità sul 50° percentile (≤ 7) attribuendo il valore di 0 alle misure al di sotto della mediana e
di 1 alle misure al di sopra della mediana. Alla fine abbiamo confrontato
gli items contenuti nel questionario di Arbuckle e quelli del questionario
specifico per i lavori agricoli usato nello studio basato sulla precedente
esperienza Epilymph.
RISULTATI
In sintesi possiamo affermare che l’analisi della varianza effettuata
per la intensità della esposizione è risultata statisticamente significativa
solo per gli utilizzatori delle pompe a spalla (F= 8,58 p <= 0,006). Vale
a dire che questa variabile, che si distribuisce in modo gaussiano, non
mostra differenze significative fra le diverse categorie di età, scolarità,
di quantità di pesticidi usati, di diversi tipi di pesticidi usati, indumenti
di protezione individuali ed altre modalità di irrorazione. In sintesi l’influenza della esperienza, della cultura, dell’entità del fenomeno esposi-
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tivo e della compliance con gli strumenti di protezione individuali non
influiscono sulla intensità così come avviene per i metodi di applicazione storicamente più usati (Tab. I - Tab. IV). Tale riscontro si rileva
anche quando nella analisi multivariata dove si evidenzia un rilevante e
significativo rischio di avere livelli di intensità superiori al 50° percentile per gli utilizzatori di pesticidi che usano pompe a spalla (Tab. V). La
comparazione fra la parte del questionario di Alburke e quello dell’Interlymph relativamente agli irroratori di pesticidi ha mostrato una corrispondenza non completa (60%) delle informazioni utili per l’algoritmo
per cui si propone di implementare questo ultimo con alcuni items aggiuntivi che sarà possibile raccogliere tramite interviste telefoniche
(Tab. VI).
77
Tabella VI. Proposta di scheda integrativa per intervista telefonica
Tabella I. Distribuzione delle medie dell'indicatore di intensità di
esposizione per diverse classi di età e scolarità
Tabella II. Distribuzione delle medie dell'indicatore di intensità di
esposizione per diverse tipi di pesticidi e diversa quantità
Tabella III. Distribuzione delle medie dell'indicatore di intensità
di esposizione per diverse modalità di applicazioni
Tabella IV. Distribuzione delle medie dell'indicatore di intensità
di esposizione per alcuni dispositivi di protezione individuali
Tabella V. Rischio(OR) di osservare livelli di intensità di esposizione
a pesticidi superiori al 50° percentile (7)
CONCLUSIONE E DISCUSSIONE
Alcuni contraenti hanno comunque portato alla verifica di qualche
bias di informazione dovuto a: l’auto-somministrazione; alla poca formazione degli operatori verso l’uso dei DPI; alla scarsa attenzione degli agricoltori vero le conseguenze della esposizione inalatoria dovuta al modesto
uso di maschere appropriate; al basso livello di formazione ed informazione degli agricoltori. Il questionario da noi utilizzato (modificato da Arbuckle ed Infante Rivard) comunque si adatta bene alle informazioni raccolte da questo campione, anche se esiguo, di irroratori pugliesi. L’algoritmo di Dosemeci quantifica in modo appropriato la intensità della esposizione. La variabilità fra i diversi gruppi sembra abbastanza contenuta rispetto a quella nei gruppi (i valori di F sono abbastanza bassi) anche se il
campione usato è abbastanza contenuto. La influenza dei fattori individuali è anche essa abbastanza contenuta. Pertanto si può affermare che
una implementazione delle informazioni di base del questionario Interlymph con gli items indicati raggiungerebbe sicuramente gli stessi risultati ottenuti dal questionario di Arbukle, la raccolta delle informazioni
affidata nell’interlymph ad intervistatori addestrati eliminerebbe inoltre la
perdita di informazioni legata alla auto-somministrazione.
BIBLIOGRAFIA
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Occup Environ Health, 11: 96-102.
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Cavone D, Pappalardi B, Corsi P, a Lorusso L, Ribatti Angela, Buononato EV, Martino T, Vimercati L, De Mattia, Musti M, 2010. Parental occupations, household pesticide use and CYP2D6*4 polymorphism in the etiology of Hematopoietic Childhood Cancer.
JOEM. (Submitted).
3) Mustafa Dosemeci, Michael C.R. Alavanja, Andrew S. Rowland,
David Mage, Sheila Hoar Zahm, Nathaniel Rothman, Jay H. Lubin,
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4) Thomas KW, Dosemeci M., Coble JB, Hoppin JA, Sheldon LS,
Chapa G., Croghan CW, Jones PA Knott CE, Lynch CF, Sandler DP,
Bair AE, Alavanja MC 2009. Assessment of Pesticide exposure intensity algorithm in the agricultural health study. J Expo Sci Environ
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5) Tye E Arbuckle, Donald C. Cole, Len Ritter and Brian D. Ripley,
2002. Farm children’s exposed to erbicides. Comparison of Biomonitoring and questionnaire data. Epidemiology, 15 (2): 187-195.
6) Claire Infante Rivard, Damian Labuda, Maja Krajinovic and Daniel
Sinnett, 1999. Risk of childhood leukemia associated with exposure
to pesticides and with gene polymorphisms. Epidemiology.
10(5):481-7.
7) The Non-Hodgkin’s Lymphoma Classification Project. A clinical
evaluation of the International Lymphoma Study Group classification of non-Hodgkin’s lymphoma. Blood 1997; 89:3909-18.
07
CARATTERIZZAZIONE DI CHERATINOCITI UMANI NORMALI
ESPOSTI A PESTICIDI MEDIANTE MICROSPETTROSCOPIA
RAMAN E MICROSCOPIA A FORZA ATOMICA
M. Lasalvia1, G. Perna2, P. D’Antonio2, G. Quartucci2,
V. Capozzi2, N. L’Abbate1
1 Dipartimento di Scienze Mediche e del Lavoro Facoltà di Medicina e
Chirurgia Università degli Studi di Foggia Via L. Pinto -71122 Foggia
2 Dipartimento di Scienze Biomediche Facoltà di Medicina e Chirurgia
Università degli Studi di Foggia Via L. Pinto -71122 Foggia
Corrispondenza: Dott.ssa Lasalvia Maria PhD
e-mail: [email protected]
CHARACTERIZATION OF NORMAL HUMAN KERATINOCYTES
EXPOSED TO PESTICIDES BY MICROSPETTROSCOPIA RAMAN
AND ATOMIC-FORCE MICROSCOPY
ABSTRACT. The use of organophosphate and pyrethroid based
pesticides in agriculture is currently a very interesting and debated issue
in toxicological research. Possible adverse health effects have been
investigated on cells in vitro, identifying the cellular changes caused by
these substances in non-cytotoxic doses by Raman microspectroscopy
and Atomic Force Microscopy. Human keratinocytes were exposed
separately for 24 hours at increasing concentrations from 10-6 M to 103 M of chlorphyriphos (organophosphate) and deltamethrin (pyrethroid)
showing that 10-3 M Chlorpyriphos and 2.5 10-4 M deltamethrin
exposures were cytotoxic. Raman microspectroscopy measures revealed
biochemical changes of individual cells when exposed at Chlorphyriphos
concentrations well below the cytotoxic one. Biochemical damages
consist of amide bonds breaking between aminoacids as well as
individual aminoacids and nucleic acids alteration. AFM measurements
confirmed this conclusion, and showed that treated cells are
morphologically similar to controls, apart from a slight increase in
roughness of the plasmatic membrane. The compared analysis of Raman
microspectroscopy spectra and AFM images allows to state that a strong
damage occurs in the plasmatic membrane and it is already detectable
after exposure of keratinocytes at the lowest investigated deltamethrin
concentration (10-6M). These results showed the possibility of using
Raman microspectroscopy and AFM as diagnostic tools for early
detection of cellular damage induced by chemical stress.
Key words: Pesticides, Raman- spectroscopy, AFM
INTRODUZIONE
Il trattamento dei prodotti agricoli con pesticidi è attualmente un
tema molto dibattuto nella ricerca tossicologica. Infatti, sebbene tali
composti aumentino la produzione attraverso l’eliminazione di specie
parassite, esistono molti interrogativi riguardo i rischi per la salute
umana derivanti dalla esposizione cronica a tali sostanze. Nel presente
studio abbiamo effettuato indagini su cellule in vitro, individuando modificazioni cellulari causate dalle suddette sostanze anche a dosi non citotossiche.
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Le tecniche ottiche e microscopiche trovano applicazione nell’analisi di modificazioni cellulari a livello biochimico e morfologico. Tra
queste la micro-spettroscopia Raman è una tecnica in grado di fornire
informazioni riguardo le energie vibrazionali caratteristiche di vari
gruppi funzionali presenti nel campione stesso. La microscopia a forza
atomica (AFM), invece, dà informazioni sulla morfologia delle strutture
cellulari con risoluzione nanometrica permettendo di visualizzare strutture cellulari quali membrana plasmatica e citoscheletro.
MATERIALI E METODI
Cheratinociti umani normali sono stati trattati con varie dosi di chlorphyriphos (organofosfato) e deltametrina (piretroide), separatamente,
esponendole per 24 h a concentrazioni crescenti da 10-6 M a 10-3 M. I test
biologici di vitalità cellulare hanno evidenziato che per tale esposizione
le concentrazioni di 10-3 M e 2.5⋅10-4 M possono considerarsi citotossiche per chlorpyriphos e deltametrina, rispettivamente. Le misure AFM
sono state realizzate in aria, utilizzando un microscopio AFM in modalità contatto. Le misure di microspettroscopia Raman sono state realizzate con un microspettrometro Labram (Horiba-Jobin Yvon).
RISULTATI E DISCUSSIONE
Misure di microspettroscopia Raman effettuati su cheratinociti trattati con chlorphyriphos hanno rivelato modificazioni biochimiche a livello di singole cellule (1) che si manifestano dopo esposizione al prodotto in concentrazione di circa tre ordini di grandezza inferiore alla concentrazione citotossica. Gli spettri Raman indicano che il danno biochimico consiste principalmente nella rottura di legami ammidici fra amminoacidi e nell’alterazione di acidi nucleici e di singoli amminoacidi,
mentre il danno relativo alle catene degli acidi grassi risulta inferiore (2).
Tale conclusione è anche confermata dalle misure AFM. L’immagine in
Fig. 1a mostra una tipica cellula controllo che, in assenza di esposizione
al pesticida, è caratterizzata da una superficie liscia, priva di rugosità e
fori, come si evince dal grafico del profilo topografico lungo la linea
verde evidenziata nella stessa figura. Le immagini delle cellule esposte a
chlorpyriphos in concentrazione 10-6 M e 10-5 M, Fig. 1b e 1c, pur presentando una forma regolare, sono caratterizzate da un lieve aumento
della rugosità superficiale, evidente soprattutto nei profili topografici. Il
nucleo cellulare, corrispondente alla regione con le maggiori altezze
nelle immagini, appare compatto e posizionato al centro della cellula
anche dopo esposizione al pesticida.
A differenza del chlorpyriphos, l’analisi degli spettri Raman dei
campioni cellulari trattati con deltametrina non ha evidenziato drastiche
modifiche biochimiche nelle cellule esposte rispetto a quelle controllo
(3). Ciò è legato alla scelta del segnale di riferimento a 1450 cm-1 rispetto al quale gli spettri sono stati normalizzati. Tale segnale si riferisce
anche ai legami CH2 delle catene alifatiche dei lipidi, che risultano alterate dal trattamento con deltametrina (4). Queste alterazioni sono confermate dalle immagini AFM, mostrate in Fig. 2. Infatti, anche dopo esposizione alla dose più bassa utilizzata (10-6 M per 24 ore), la membrana
plasmatica risulta fortemente danneggiata, come è evidente sia dall’immagine di altezza in Fig. 2b e dalla notevole ondulazione del grafico del
profilo topografico sottostante. Sebbene la cellula presenti una forma abbastanza regolare e la sua struttura interna non risulti completamente distrutta, la regione del nucleo si presenta alquanto disomogenea. L’aumento della concentrazione di deltametrina a cui le cellule sono esposte
determina un aumento del danno alla membrana plasmatica, come si desume dalla Fig. 1c.
L’esposizione ai pesticidi modifica anche l’elasticità cellulare. Infatti, curve forza-distanza misurate durante il processo di indentazione
AFM permettono di stimare il modulo di Young (rapporto fra forza e
deformazione) delle cellule. Il modulo di Young, rappresentato in Fig. 3
per cellule esposte a chlorpyriphos e deltametrina a diverse concentrazioni, diminuisce all’aumentare della concentrazione di pesticida. Tale
andamento indica una diminuzione della rigidità cellulare, che potrebbe
essere collegata ad alterazioni della struttura citoscheletrica.
CONCLUSIONI
Evidenti variazioni spettrali legate al contenuto di macromolecole
biologiche cellulari (ac. nucleici, proteine, lipidi) si manifestano negli
spettri Raman di cellule esposte a chlorpyriphos e a deltametrina rispetto
a cellule controllo a concentrazione molto inferiori a quella citotossica.
Le immagini AFM ed i relativi profili di altezza indicano variazioni
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Figura 1. Immagini AFM di cheratinociti controllo (a) ed esposti a
chlorpyriphos in concentrazione 10-6 M (b) e 10-5 M (c). Sotto
ciascuna cellula è riportato il grafico relativo al profilo di altezza
lungo la linea verde. All’interno di ciascuna immagine è riportata la
scala delle altezze e la barra di scala orizzontale
79
BIBLIOGRAFIA
1) M. Lasalvia, G. Perna, A. Castro, E. Mezzenga, V. Capozzi, N.
L’Abbate: “Danno cellulare indotto da pesticidi: nuove tecniche diagnostiche”, Giornale Italiano di Medicina del lavoro ed Ergonomia
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by means of Raman microspectroscopy and Atomic Force Microscopy”, submitted to J. of Molec. Structure.
08
ESPOSIZIONE AD IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI
NELLA STESA DI MEMBRANE BITUMINOSE: L’ESPERIENZA
DELLO STUDIO PPTP-GUAINE
P.E. Cirla1,2, S. Facchinetti3,4, T. Storto3 P. Leghissa4, E. Prandi5,
V. Foà1, I. Martinotti1,2
1
Figura 2. Immagini AFM di cheratinociti controllo (a) ed esposti a
deltametrina in concentrazione 10-6 M (b) e 10-5 M (c). Sotto
ciascuna cellula è riportato il grafico relativo al profilo di altezza
lungo la linea verde. All’interno di ciascuna immagine è riportata la
scala delle altezze e la barra di scala orizzontale
Centro di Riferimento PPTP, Università degli Studi e Fondazione
(I.R.C.C.S.) “Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina
Elena”, Milano
2 Divisione Tossicologica CIMAL (DITOC), Centro Italiano Medicina
Ambiente Lavoro, Milano
3 Servizio Prevenzione Sicurezza Ambienti di Lavoro (SPSAL),
Dipartimento di prevenzione, ASL di Bergamo
4 Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro (UOOML), A.O.
“Ospedali Riuniti”, Bergamo
5 Servizio Prevenzione Sicurezza Ambienti di Lavoro (SPSAL),
Dipartimento di prevenzione, ASL Milano Città
Corrispondenza: Piero Emanuele Cirla, Viale Friuli, 61 - 20135 Milano,
Italy, Phone: ++39 02 59901542, e-mail: [email protected]
Parole chiave: Idrocarburi Policiclici Aromatici, Impermeabilizzatori, 1-idrossipirene
Figura 3. Modulo di Young stimato dalle misure forza-distanza di
cheratinociti controllo ed esposti a diverse concentrazioni di
chlorpyriphos e deltametrina. I punti rappresentano i valori medi del
modulo di Young valutato per 10 cellule per ciascuna concentrazione,
mentre le barre di errore corrispondono agli errori standard
morfologiche associate alle suddette informazioni biochimiche: in particolare, l’esposizione a chlorpyriphos a basse dosi non altera drasticamente la morfologia cellulare, mentre l’esposizione a deltametrina causa
un forte danno alla membrana plasmatica, evidenti anche dopo esposizione a dosi inferiori di quella citotossica. I risultati ottenuti evidenziano
la possibilità di utilizzare l’analisi comparata di microspettroscopia
Raman e microscopia a forza atomica quale mezzo diagnostico per rivelare danni cellulari (di tipo biochimico e morfologico) indotti da stress
chimico.
EXPOSURE TO POLYCYCLIC AROMATIC HYDROCARBONS (PAH)
IN ROOFING: THE EXPERIENCE OF PPTP-GUAINE STUDY
ABSTRACT. Among various chemical agents that may contaminate
workers involved in activities of laying bitumen-polymer membranes, a
particular attention was adressed to the Polycyclic Aromatic
Hydrocarbons (PAH) that are released with increased temperatures of
the membranes being stretched. Some questions regarding level of
exposure are still debated. The literature reports that PAH may have
irritant effects; moreover, some of these have been recognized as
probably or possibly carcinogenic to humans by the International
Agency for Research on Cancer, the European Union, and other
institutions. In Lombardy, a study aimed to evaluate the occupational
exposure in roofing was planned during five years. The protocol included
interview by questionnaires, environmental air-monitoring (the 16 most
relevant PAH according to the American Environmental Protection
Agency, EPA) and biological monitoring by urinary 1-hydroxypyrene
(baseline, before shift, end of shift). The results showed that in these
workers PAH exposure is not higher than the one observed in other
studies concerning low level exposure acceptable values.
Key words: Polycyclic aromatic hydrocarbons, roofing,
1-hydroxypyrene
INTRODUZIONE
L’attività di impermeabilizzazione, pur rientrando nelle lavorazioni
edili ed avvalendosi di caratteristici impegni dell’uomo, presenta pecu-
80
liarità di interesse nel ciclo tecnologico (1). Rispetto ai diversi agenti chimici con cui possono venire in contatto i lavoratori, una particolare attenzione è posta alla possibile esposizione, per via aerea e per via cutanea
(2), agli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) che si liberano con le elevate temperature cui sono sottoposte le membrane contenenti bitume in
varia percentuale nella fase di stesa. Dal punto di vista tossicologico, al
di là di effetti irritanti su mucose e congiuntive evidenti per alte esposizioni, di sicuro rilievo è in questo senso il potenziale cancerogeno per
cute e apparato respiratorio riconosciuto ad alcuni IPA dalla IARC
(Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) (3-4) e dall’Unione
Europea (frase di rischio “R45 - può provocare il cancro”).
La problematica appare oggi controversa alla luce degli ultimi sviluppi tecnologici e delle diversità di materiali in uso in ambito internazionale. In effetti, con il termine “roofing” sono intese sì attività di impermeabilizzazione anche con materiali a base bituminosa, ma più spesso gli
studi si riferiscono all’applicazione mediante colatura (5-7). Inoltre la materia prima utilizzata in altri Paesi è risultata essere a base o contaminata
da catrame, che contiene una percentuale di IPA assai più elevata rispetto
al bitume. In letteratura non sono riscontrabili studi mirati alla specifica
lavorazione di impermeabilizzazione con membrane bitume polimero.
Nel periodo 2003-2007, con il gruppo di lavoro dello Studio PPTPGuaine (Progetto Prevenzione Tumori Professionali - Impermeabilizzazione con membrane bituminose) della Regione Lombardia, sono state
progettate e condotte una serie di indagini di monitoraggio ambientale e
biologico finalizzate a verificare gli attuali livelli espositivi ad IPA nelle
lavorazioni di impermeabilizzazione con membrane bitume polimero.
MATERIALI E METODI
Basandosi sul database integrato INAIL/ISPESL/Regione e sulla memoria storica dei servizi di prevenzione locale, sono state individuate e catalogate con sopralluogo standardizzato tutte le realtà produttive con attività di stesura di membrane bitume polimero presenti nella provincia di
Bergamo e nell’area metropolitana milanese; sono state quindi coinvolte
nella campagna, anche con indagini ripetute, 10 aziende per un totale di
51 soggetti maschi (età media 37 anni, D.S. 9). L’indagine si è svolta durante un’intera giornata lavorativa in ambiente aperto sito in zona periferica con scarso traffico veicolare. Tutti i lavoratori, informati su metodi e
finalità dell’indagine, hanno espresso libero consenso a partecipare allo
studio. Ogni soggetto è stato sottoposto ad intervista con ausilio di questionario per il controllo di fattori di confondimento (cibo, fumo di sigaretta), monitoraggio ambientale personale dell’esposizione per via aerea e
monitoraggio biologico. Il 63% presenta abitudine al fumo di tabacco
(media di 20 sigarette al dì). Tutti i soggetti utilizzavano, come dispositivi
di protezione individuale, scarpe antinfortunistiche e guanti; nessuno utilizzava dispositivi di protezione respiratoria o creme barriera.
Il monitoraggio ambientale è stato effettuato mediante campionatori
personali attivi posizionati in zona respiratoria (durata di almeno 4 ore,
flusso 2 l/min), con sistema a doppio corpo (membrana in PTFE per la
frazione inalabile del particolato aerodisperso e fiala con XAD2 per la
fase vapore). Per il monitoraggio biologico ogni soggetto a fornito tre
campioni di urina: il primo raccolto al mattino dopo due giornate di
astensione dal lavoro (baseline), gli altri due raccolti all’inizio ed alla
fine del turno di lavoro durante il quale si è svolto il monitoraggio ambientale (dopo almeno due giornate di attività). La determinazione della
concentrazione dei 16 IPA ritenuti di maggiore rilevanza tossicologica
dall’Environmental Protection Agency (EPA) e dell’1-idrossipirene urinario (1-HOP) è avvenuta mediante cromatografia liquida ad elevate prestazioni (HPLC) con rilevatore spettrofluorimetrico.
RISULTATI
I risultati del monitoraggio ambientale indicano una modesta dispersione in aria degli IPA oggetto di indagine (Tabella I). Rispetto ai pochi
valori limite esistenti (TRK tedeschi, MPC polacchi e norvegesi), le concentrazioni di benzo(a)pirene, dibenzo(a,h)antracene e naftalene risultano mediamente inferiori di vari ordini di grandezza. Le concentrazioni
di IPA altobollenti misurate, ed in particolare il benzo(a)pirene, sono
comprese nel range riscontrabile in un’area metropolitana e paragonabili
ai livelli espositivi rilevati in altri studi su lavoratori esposti a basse dosi
(8-14), rientrando negli ambiti dell’accettabilità.
I risultati del monitoraggio biologico (Tabella II), indicativi dell’assorbimento per via aerea e cutanea, mostrano nei soggetti fumatori e non
fumatori, un andamento crescente di 1-HOP passando dal baseline a
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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Tabella I. Risultati monitoraggio ambientale dello Studio PPTP-Guaine
Tabella II. Risultati monitoraggio biologico con 1-idrossipirene
urinario (ng/g creatinina) dello Studio PPTP-Guaine:
mediana (5°-95° percentile)
inizio turno ed a fine turbo al limite della significatività statistica (t-test
per dati appaiati) e comunque di modesta entità. Nel complesso i valori
del metabolita non mostrano un significativo incremento legato allo svolgimento dell’attività di impermeabilizzazione con membrane bituminose
e tengono conto del contributo derivante dal fumo di sigaretta.
CONCLUSIONI
Nel complesso il rischio per la salute legato all’esposizione ad IPA
ed al loro assorbimento nelle stesa di membrane bituminose monitorate
risulta essere in genere non significativo (15-16). Ai fini della valutazione del rischio, occorre tuttavia evidenziare una variabilità inter-aziendale (probabilmente attribuibile alla diversa composizione delle materie
prime utilizzate); inoltre, in assenza di adeguata aerazione, potrebbero riscontrarsi valori ambientali e biologici meritevoli di maggiore attenzione
e di più approfondita valutazione.
RINGRAZIAMENTI
Studio realizzato con il finanziamento della Regione Lombardia
(DGR VII/18344 23/7/2004) ed il supporto del Laboratorio di Igiene e
Tossicologia degli “Spedali Civili” di Brescia.
BIBLIOGRAFIA
1) Broccolino A. La tecnologia delle opere di impermeabilizzazione
con membrane in bitume polimero: cenni storici, stato dell’arte e
prospettive. Atti “Salute e sicurezza nelle opere di impermeabilizzazione con membrane bituminose”, a cura di Cirla PE e Martinotti I.
Ed. CIMAL (ISBN 978-88-902124-7-5) Milano (Italia) 2009; pag.
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carcinogenicty: An updating of IARC monographs volumes 1 to 42.
IARC Supplement 7 Lyon (France) 1987.
4) International Agency for Research on Cancer. Air pollution, part 1:
Some non-heterocyclic polycyclic aromatic hydrocarbons and some
related exposures. IARC Volume 92 Lyon (France) 2005.
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Italy). Sci Total Environ 1997; 198:33-41.
09
VALUTAZIONE DELL’ESPOSIZIONE A METALLI PESANTI
NELLA POPOLAZIONE GENERALE DI TARANTO:
RISULTATI PRELIMINARI
L. Vimercati1, L. Bisceglia2, T. Martino1, I. Galise3, T. Gagliardi1,
M. Conversano4, A. Minerba5, I. Albano1, L.J. Jemmett1,
V. Corrado1, G. Assennato1,2
81
iAs+MMA+DMA, Cr, Hg, Mg and Pb in 84 urinary samples of subjects
living in Taranto area. We also administrated a questionnaire, in order
to investigate the influence of occupational and non-occupational factors
on urinary metals excretion. The mean values of urinary excretion of Pb
and Cr were above the reference values observed by the Italian
Association for Reference Values in the general population not
occupational exposed to metals. In addiction, in order to Hg, Pb and Cr,
a significant difference was observed in relation with gender and place
of residence.
INTRODUZIONE
L’area di Taranto è stata segnalata dall’Organizzazione Mondiale
della Sanità (OMS) tra le aree ad elevato rischio ambientale per via dei
numerosi insediamenti industriali e processi produttivi presenti (1). Su
queste basi è stato avviato un progetto di ricerca per valutare l’esposizione a metalli pesanti della popolazione generale residente nella città di
Taranto e confrontare i livelli delle sostanze misurate nei tarantini con
quelli di campioni di popolazione residente in aree considerate non inquinate. In particolare, sarà determinata l’eliminazione urinaria di Arsenico inorganico e suoi metaboliti metilati (iAs+MMA+DMA), di Cromo
(Cr), di Mercurio (Hg), di Manganese (Mn) e di Piombo (Pb). Inoltre, su
un gruppo della medesima popolazione, saranno determinati i valori
ematici di diossine, contaminanti ubiquitari derivati da processi di combustione di prodotti contenti cloro, con elevata persistenza nell’ambiente
e negli organismi animali.
L’importanza di indagare l’esposizione a metalli della popolazione
deriva dalle loro caratteristiche di ubiquitarietà, ampiamente diffusi in
natura, e dai potenziali effetti sulla salute, di natura anche cancerogena.
In particolare, il CrVI e l’As sono stati classificati dall’International
Agency for Research on Cancer (IARC, Lyon), cancerogeni di gruppo 1 (2).
Per quanto riguarda l’esposizione ambientale a Cr e ad As le concentrazioni nell’aria ambiente di questi metalli variano notevolmente e
sono influenzate in modo significativo dalla presenza in prossimità dei
centri urbani di alcuni tipi di insediamenti produttivi quali le industrie
metallurgiche, le centrali a carbone, le industrie galvaniche, gli inceneritori di rifiuti. Studi condotti negli Stati dell’Unione Europea hanno evidenziato valori di cromo nell’aria ambiente variabili tra 4 e 70 ng/m3 in
zone urbane, e tra 5 e 200 ng/m3 nelle aree industriali. I valori di arsenico nell’aria ambiente risultano invece variabili tra 1 e 3 ng/m3 in zone
urbane e tra 20 e 30 ng/m3 in quelle industriali (3, 4).
Attualmente, a livello normativo, solo per il piombo esiste un valore
limite fissato a 0.5 μg/m3, mentre per gli altri metalli, definiti come inquinanti dal D.Lgs. 351/99, non esiste ancora un limite di riferimento.
Pertanto per questi ultimi, tra cui vi sono l’As, il Hg, il Cr e il Mn, ci si
deve riferire ai criteri di qualità dell’aria indicati dall’WHO che, per l’arsenico ed il cromo, essendo sostanze cancerogene e quindi non dotate di
soglia, non riconoscono alcun limite.
1
Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica, Sezione di
Medicina del Lavoro “B. Ramazzini”, Università degli Studi di Bari
“Aldo Moro”
2 ARPA Puglia
3 Registro Tumori Regione Puglia
4 Dipartimento di Prevenzione ASL Taranto
5 S.C. Statistica ed Epidemiologia ASL Taranto
Corrispondenza: Luigi Vimercati, DIMIMP, Università degli Studi di
Bari “Aldo Moro”, Policlinico di Bari, Piazza G.Cesare n. 11, 70124
Bari, E-mail: [email protected], Tel: +39 0805478256 Fax:
+39 0805478370
Parole chiave: metalli, esposizione ambientale, monitoraggio biologico
ASSESSMENT OF THE EXPOSURE TO HEAVY METALS IN THE
POPULATION OF TARANTO: PRELIMINARY RESULTS
ABSTRACT. Taranto area is among the highest environmental risk
ones, giving the vast presence of plants in it. On this basis, we carried
out a biological monitoring programme on Taranto resident population,
not occupational exposed to heavy metals. Particularly, we investigated
Arsenic (As), Chrome (Cr), Manganese (Mn), Mercury (Hg) and Lead
(Pb) due to the ubiquitous characteristics of these metals, widely diffuse
in nature, and from the potential carcinogenic effects. We measured
MATERIALI E METODI
Sono stati presi in considerazione l’area urbana di Taranto, suddivisa
in quattro zone (Statte, Città vecchia-Tamburi, Quartiere Paolo VI, Città
Nuova) ed il Comune di Palagiano. Sono stati reclutati 300 soggetti residenti nei comuni delle aree in studio iscritti all’Anagrafe degli Assistibili
della Regione Puglia e selezionati attraverso un campionamento casuale
stratificato per sottogruppi definiti per sesso ed età. Il campionamento è
stato articolato in due passaggi: 1) assegnazione di due Medici di Medicina Generale (MMG) per ciascuna area in studio a partire dalle liste dei
MMG convenzionati con la ASL di Taranto; 2) dalle liste dei MMG selezionati, sono stati estratti 50 soggetti per ciascuna delle quattro zone di
Taranto e per il Comune di Palagiano stratificando il campione per sesso
e per età compresa tra 19 e 65 anni.
È stato costituito, inoltre, un gruppo di 50 soggetti volontari dando
priorità ai residenti del quartiere Tamburi ed ai lavoratori dell’impianto
di agglomerazione dello stabilimento siderurgico di Taranto.
Previo consenso informato è stato somministrato il questionario contenente domande relative ai dati personali, alle abitudini alimentari e di
vita, all’anamnesi patologica, alla storia lavorativa ed all’esposizione extraprofessionale a Cr, As, Hg, Mn, Pb. Si è provveduto, quindi, ad effettuare la raccolta delle urine. Le analisi dei campioni urinari sono state effettuate mediante spettrofotometria ad assorbimento atomico, presso il
Laboratorio di Tossicologia Industriale della Sezione di Medicina del Lavoro “B. Ramazzini” dell’Università di Bari (5).
82
Per l’As è stata utilizzata la tecnica degli idruri con sviluppo di arsina; per il Hg, la tecnica dei vapori freddi e per Mn, Pb e Cr, il metodo
con fornetto di grafite.
Sono state esaminate le concentrazioni dei diversi indicatori biologici in studio, tenendo conto di tutte le covariate raccolte tramite questionario. Il confronto tra gruppi è stato effettuato utilizzando tecniche
non parametriche (test di Wilcoxon-Mann-Whitney e test di KruskalWallis).
RISULTATI
Allo stato attuale sono stati raccolti 84 campioni urinari di residenti
nell’area di Statte e Città vecchia-Tamburi. I risultati evidenziano valori
medi di escrezione urinaria di iAs+MMA+DMA pari a 11,58 + 13,60
μg/l (range:1,3 - 92,4), di Cr pari a 0,70 + 0,81 μg/l (range:0,09 - 5,1), di
Hg pari a 2,68 + 2,49 μg/l (range: 0,4 - 12,2), di Mn pari a 1,01 + 2,19
μg/l (range: 0,2 - 13,6) e di Pb pari a 12,98 + 7,83 μg/l (range: 1-32,4).
Il confronto tra gruppi ha evidenziato, in riferimento al Cr, valori
medi di escrezione urinaria più elevati nella popolazione residente a
Statte, con differenza statisticamente significativa (p < 0.05). Analogamente, valori medi di escrezione urinaria più elevati sono stati evidenziati nei soggetti di sesso maschile per l’Hg ed il Pb, e nei soggetti che
hanno riferito disturbi dell’equilibrio nel caso del Mn.
DISCUSSIONE
Il nostro studio si è posto l’obiettivo di verificare i livelli di escrezione urinaria di alcuni metalli nella popolazione generale di Taranto,
area considerata ad elevato rischio ambientale a causa della presenza di
diversi insediamenti industriali produttivi. I risultati ottenuti sono stati
confrontati con i limiti di riferimento attualmente disponibili per la popolazione generale non esposta per motivi professionali a questi metalli.
In particolare, la Società Italiana per i Valori di Riferimento nella popolazione generale (SIVR) ha stabilito per l’iAs+MMA+DMA un intervallo di concentrazione nelle urine pari a 2,0-15 μg/l; per il Cr un intervallo pari a 0,05-0,32 μg/l; per il Hg un intervallo pari a 0,1-4,5 μg/l; per
il Mn un intervallo pari a 0,2-4,0 μg/l; e infine per il Pb un intervallo pari
a <0,5-3,5 (6). Confrontando i risultati preliminari del nostro studio con
tali valori di riferimento, si evidenzia come per As, Hg e Mn, i valori
medi urinari sinora ottenuti rientrino nei range dei valori di riferimento.
Per il Cr e il Pb, invece, il valore medio di escrezione urinaria risulta superiore a quello evidenziato dalla SIVR.
L’analisi statistica ha evidenziato differenze di genere nell’eliminazione urinaria di Hg e Pb nonché di residenza nel caso del Cr. Disturbi
soggettivi sono inoltre stati riferiti dai soggetti con valori medi di escrezione urinaria di Mn più elevati. I risultati ottenuti saranno interpretati al
termine del progetto scientifico.
BIBLIOGRAFIA
1) Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Rapporto Annuale
Ambiente e Salute 1995. Geneva: OMS; 1995.
2) International Agency for Research on Cancer (IARC). IARC Monographs on the Evaluation of the Carcinogenic Risk of Chemicals to
Humans. Some metals and metallic compounds. 23. Lyon: IARC;
1980. pp. 39-143.
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Risk of Chemicals to Humans: Chromium and chromium compounds. 49. Lyon: IARC; 1990.
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2a edizione rivista e corretta. Pavia: SIVR; 2005.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
D.LGS. 81/2008 E S.M.I.
01
PIANI OPERATIVI DI SICUREZZA NEI CANTIERI TEMPORANEI
E MOBILI. VERIFICA DELLA CONFORMITÀ AL DETTATO
LEGISLATIVO
L. Boschero, L. Paniccia1, M. Sordilli
Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di lavoro (Pre.S.A.L.)
ASL Frosinone
1 Laureata TPALL presso l’Università “La Sapienza” - Roma
Corrispondenza: Dott. Lucilla Boschero, AUSL Frosinone Dipartimento di Prevenzione, Servizio Prevenzione e Sicurezza negli
ambienti di lavoro, Via A. Fabi - 03100 Frosinone, e-mail:
[email protected]
SAFETY OPERATION PLAN IN THE TEMPORARY AND MOBILE
CONSTRUCTION SITES. VERIFICATION OF COMPLIANCE
WITH THE CODES
ABSTRACT. The aim of this study was the creation of a
evaluation grate to verify the compliance with the codes of the safety
operation plans, developed by employers of temporary and mobile
construction sites, compiled during surveillance activities, carried out
from June 2008 to October 2009, by the Frosinone Local Health
Department (ASL).
Key words: evaluation grid, construction site
INTRODUZIONE
Il piano operativo di sicurezza (P.O.S.) è un documento obbligatorio, redatto dal datore di lavoro dell’impresa edile, nel quale devono
essere riportate le informazioni relative al cantiere specifico e valutati
i rischi a cui sono sottoposti gli addetti dell’impresa esecutrice, con la
relativa pianificazione in sicurezza delle lavorazioni da svolgersi. La
redazione di tale piano è obbligatoria ai sensi dell’art. 96 del D.lgs.
81/08 e s.m.i,.
Il P.O.S., quindi, deve fondamentalmente indicare “chi” esegue i lavori e “in che modo” ritiene di eseguirli. Ciascuna impresa esecutrice, infatti, trasmette il proprio piano P.O.S. all’impresa affidataria (prima dell’inizio dei rispettivi lavori) la quale, previa la verifica della congruenza
rispetto al proprio piano operativo, lo trasmette, a sua volta, al coordinatore per l’esecuzione che, dovrà verificare la congruenza con il Piano di
Sicurezza e Coordinamento (P.S.C.).
OBIETTIVI
Lo scopo di questo lavoro è la redazione di una griglia di valutazione
per accertare la conformità al dettato legislativo dei P.O.S., elaborati dai
datori di lavoro delle imprese esecutrici dei cantieri temporanei e mobili
(imprese con n° dipendenti < 10), raccolti durante l’attività di vigilanza,
eseguita nel periodo giugno 2008 - ottobre 2009, dall’organo preposto all’attività di vigilanza e controllo in materia di sicurezza ed igiene del lavoro, ovvero, il Servizio Pre.S.A.L. nell’Azienda U.S.L. di Frosinone Distretto B.
La griglia così redatta è stata sperimentata per poter rilevare, attraverso i dati ricavati, i punti del dettato legislativo (DLgs 81/08 e s.m.i.)
maggiormente disattesi. In particolare, è stata posta l’attenzione su:
• il rischio chimico
• il rischio rumore
• il rischio di carenze di attrezzature per lavorazioni pericolose (ponteggi, macchine e opere provvisionali)
• la collaborazione del medico competente
• la documentazione presentata in merito all’informazione, alla formazione e all’addestramento dei lavoratori dell’impresa esecutrice
presente in cantiere.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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MATERIALI E METODI
Utilizzo di una griglia come strumento di valutazione
Sulla base delle informazioni fornite dall’allegato XV del D.lgs.
81/2008 e s.m.i. è stata elaborata e, successivamente, sperimentata una
griglia di valutazione dei piani operativi di sicurezza.
La medesima è composta da due parti: la prima, ove si valuta la
conformità alle disposizioni legislative dell’allegato XV e l’altra, nella
quale si rileva il rispetto degli obblighi previsti per le figure della sicurezza. Introducendo alcune variabili è stato possibile analizzare in modo
più esaustivo ogni piano interessato.
Il campione preso in considerazione è stato di 50 piani operativi di
sicurezza appartenenti ad imprese edili con numero di dipendenti inferiore a 10.
La griglia di valutazione elaborata ed utilizzata per l’esame dei
piani operativi è costituita da 14 variabili e da 33 punti di verifica (vedi
tabella I).
I risultati evidenziati in tale griglia vanno così interpretati:
SI il contenuto minimo rispetta le disposizioni di legge
NO il contenuto minimo non rispetta le disposizioni di legge
NA non applicabile al cantiere preso in esame
RISULTATI
Prendendo in considerazione le 14 variabili e i relativi 33 punti di
verifica, sui 50 piani presi in esame, il risultato finale è stato che per il
49% di tutti i piani è stata rispettata la conformità al dettato legislativo
(d.lgs. 81/08), mentre il restante 46% dei piani era non confacente, anche
nei contenuti minimi.
Infine, per il 5% si è presentata una condizione di non applicabilità.
(vedi Tabella II).
83
Le imprese con numero di dipendenti inferiore a 10 sono state scelte
volutamente poiché possono avvalersi dell’autocertificazione ai sensi del
D. Lgs. 81/08, che, però, può comportare la sottostima dei rischi tipici
presenti nel comparto edile come: la movimentazione manuale dei carichi, la caduta dall’alto, l’esposizione alle vibrazioni, al rumore ed alle
sostanze chimiche.
BIBLIOGRAFIA
Casula D. Medicina del Lavoro. Monduzzi Editore. Terza edizione 2003.
Catanoso C.G., Mangiapane L. Il Piano Operativo di Sicurezza. I libri di
ambiente&sicurezza, il Sole 24 Ore 2008;
Mainardi V. Manuale di sicurezza in cantiere, procedure per la gestione
della sicurezza in cantiere ai sensi del D.Lgs 81/2008. Edizione
Marzo 2009; GRAFFIL EDITORE
D. Lgs. 81/08 art. 30 co. 1 - Modelli di organizzazione e di gestione.
Linee guida per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro
(SGSL) - UNI-INAIL 28 settembre 2001.
British Standard OHSAS 18001: 2007- Sistemi di Gestione della Salute
e della Sicurezza del Lavoro - Requisiti.
02
IL D.LGS. 81/08 E LE DIFFERENZE DI GENERE
IN UNA AZIENDA SANITARIA DELLA CAMPANIA
F. Crescenzi, F. Scarpati, L. Cannavacciuolo
U.O.C. Medico Competente - Sorveglianza Sanitaria - ASL SA, Via Nizza,
146 Salerno
DISCUSSIONE
Il P.O.S. deve essere uno strumento di pianificazione e di prevenzione della sicurezza, e non, invece, un mero adempimento legislativo,
composto da un insieme di documenti fotocopiati, poco attinenti alle caratteristiche del cantiere interessato.
Corrispondenza: Dott. Ferdinando Crescenzi - U.O.C. Medico
Competente - Sorveglianza Sanitaria ASL SA, via Giovanni Falcone, 50
- 84014 Nocera Inferiore (SA) - Email: [email protected]
Tabella I
Parole chiave: ASL SALERNO, Differenze di Genere, Sorveglianza Sanitaria
Tabella II
THE D.LGS. 81/08 AND THE DIFFERENCES OF GENUS IN A
SANITARIUM FACTORY OF CAMPANIA
ABSTRACT. The last according about protection of the health and
the safety of the work’s place introduce the idea of “Genus”, with
particular attention for the difference of “Genus” linked to the
prevention and safety of the work’s place.
The result of the current study, taken by our Unity Surgical Complex
(UOC) Qualified Doctor, achieved with the information obtained during
the Sanitarium Supervision on the year 2009 about the femal population
of the ex ASL SA/1 (1446 workwomen for 3776 employees), and the test
of the informations - discriminated between men and women - pertinent
to the labour accidents pointed out during the biennium 2008/2009,
describes the differences of “Genus” and the influence on the health and
the safety of the work’s place, creating the first considerations about an
idea of “Genus ”.
Considerate that international scientific literature has demonstrated
that some working risks, such as the night-work/stress and the
Movements Manual heavy (MMC), generate, in the femal population,
many neoplastic pathology, cardiovascular pathology, muscle-skeleton
pathology, mental troubles and labour accidents, the object of the
research is to know if in our manufacturing concern we have the same
troubles.
Our experience confirm as the pathologies and the labour accidents,
above-mentioned, were increasing in number between our workwomen.
Therefore, it is important to contemplate with care the risk that every
worker is exposed, with special attention for the difference of “Genus”,
just to have much more possibility to make prevention and safety of the
work’s place.
INTRODUZIONE
Il presente studio vuole descrivere le differenze di genere e l’impatto
su salute e sicurezza nell’ambito lavorativo della ex ASL Salerno 1, co-
84
stituendo l’occasione per prime riflessioni in un’“ottica di genere”, in ossequio all’art. 28 comma 1 del D. Lgs. 81/08.
Premesso che la letteratura scientifica internazionale ha evidenziato,
in relazione all’esposizione degli operatori sanitari a taluni rischi lavorativi come il lavoro notturno e la movimentazione manuale dei carichi,
una maggiore incidenza nel sesso femminile di alcune patologie (neoplastiche, cardiovascolari e muscolo-scheletriche), nonché un aumento
degli infortuni tra le donne, la ricerca è finalizzata a verificare se tali dati
epidemiologici trovino o meno riscontro nella nostra realtà aziendale.
MATERIALE E METODI
L’indagine è stata condotta su 3776 dipendenti dell’ex ASL SA 1, di
cui 1446 lavoratrici e 2330 lavoratori, esaminando in un’ottica di genere
i dati sanitari raccolti nell’attività di sorveglianza sanitaria relativa all’anno 2009 e i dati - disaggregati per uomini e donne - relativi agli infortuni denunciati nel biennio 2008/2009.
Attraverso lo studio delle cartelle sanitarie e di rischio è stato possibile
raccogliere informazioni sulle abitudini, sullo stile di vita, sulle patologie
familiari (ad es. familiarità per neoplasie mammarie) e sullo stato di salute
dei lavoratori, tenendo conto di diversi fattori che potevano influire sui risultati, tra i quali la presenza o meno di abitudine al fumo, il consumo di
alcolici, l’assunzione di farmaci (ad es. contraccettivi orali), storie pregresse di IMA, angina, diabete, ipertensione arteriosa e ipercolesterolemia.
RISULTATI
L’esperienza condotta conferma, tra le lavoratrici, una maggiore incidenza delle patologie riportate in letteratura nonché degli eventi infortunistici.
a) Lavoro notturno e rischio di cancro al seno
La ricerca è stata effettuata su 541 lavoratrici di età compresa tra i
35 e i 55 anni che hanno svolto lavoro notturno per almeno 15 anni, effettuando un minimo di 4 notti al mese.
Durante il periodo di osservazione, la ricerca ha evidenziato per tali
lavoratrici un moderato incremento del rischio di cancro al seno, dopo
periodi estesi di turni a rotazione notturni, rispetto alle colleghe che svolgevano un lavoro diurno. Infatti, la relazione tra cancro al seno e lavoro
notturno nella popolazione esaminata (541 lavoratrici) si è evidenziata in
ben 4 casi, rispetto ad un solo caso nella restante popolazione (905 lavoratrici), mettendo in evidenza una significativa relazione tra l’insorgenza
del tumore al seno e le donne che svolgono un lavoro notturno.
b) Lavoro notturno e rischio cardiovascolare
Lo studio è stato eseguito su 1446 lavoratrici di età compresa tra i 35
e i 55 anni che hanno compilato un questionario sul rischio cardiovascolare, specificando eventuali fattori di rischio (ad es. abitudine al fumo,
obesità, diabete, ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia). Sono stati
poi creati due sottogruppi: quello delle lavoratrici che hanno sempre
svolto lavoro notturno (541) e quello delle lavoratrici che invece non
hanno mai fatto turni notturni (905).
Lo studio ha dimostrato una prevalenza di patologie cardiovascolari
tra le donne che avevano lavorato di notte rispetto a quelle che non lo
avevano mai fatto, evidenziando la possibilità che l’esposizione a lavoro
notturno può incrementare il rischio cardiovascolare nelle donne.
c) Movimentazione Manuale dei Carichi e patologie muscolo-scheletriche
Lo studio è stato eseguito su 1401 lavoratori ospedalieri esposti al rischio di movimentazione manuale dei carichi con indice sintetico MAPO
superiore a 5, analizzando i danni indotti dall’esposizione lavorativa al
rachide lombo-sacrale, suddivisi per sesso e i relativi giudizi di idoneità.
Il campione esaminato è costituito da 983 lavoratori di sesso maschile e
418 di sesso femminile. Le mansioni più rappresentate sono l’infermiere,
l’operatore tecnico addetto all’assistenza (OTA) e il personale ausiliario,
in quanto è stato oggetto del presente studio solo il personale addetto alla
movimentazione dei pazienti.
Ai fini della seguente indagine, sono stati presi in considerazione
soltanto quei casi di spondiloartropatie cronico-degenerative del rachide
lombo-sacrale (SAP di III grado) che hanno determinato un giudizio di
inidoneità temporanea o permanente alla movimentazione manuale dei
carichi. I casi rilevati di inidoneità temporanea o permanente per patologie lombo-sacrali sono stati 148, pari al 10,56% della popolazione esaminata, con la seguente distribuzione tra i due sessi: 9,56% nei lavoratori
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di sesso maschile e 12,91% in quelli di sesso femminile, mostrando
quindi una prevalenza delle patologie muscolo-scheletriche di origine lavorativa nel sesso femminile (57,14%).
d) Fenomeno infortunistico
Nel Rapporto annuale 2009 della nostra ASL sono stati presi in considerazione i dati relativi agli infortuni denunciati nel 2009 e confrontati
con quelli relativi all’anno 2008. Complessivamente gli infortuni denunciati nel 2009 sono stati 206 (89 F e 117 M) con una percentuale del
5,46% sul totale, mentre nell’anno 2008 sono stati 281 (111 F e 170 M)
con una percentuale del 7,45% sul totale, registrando un calo dell’1,99%
sul totale. Nell’anno di riferimento si è rilevata una contrazione globale
del fenomeno infortunistico: infatti, prendendo in considerazione il n°
assoluto dei lavoratori, non disaggregato per uomini e donne, si rileva
che gli infortuni sono diminuiti del 26,7%, passando dai 281 del 2008
agli stimati 206 del 2009. Dai primi dati distinti per genere dell’infortunato, invece, si rileva che nel 2009, per quanto riguarda il n° complessivo
degli infortuni, si è assistito rispetto all’anno precedente, ad un calo più
accentuato per gli uomini (- 2,3%) che per le donne (- 1,53%).
DISCUSSIONE
La ricerca nel campo delle “differenze di genere” è ancora molto carente e rappresenta una priorità assoluta per chi deve applicare la nuova
normativa e prevenire i rischi in un “ottica di genere”. Le figure coinvolte ai vari livelli nel campo della tutela e sicurezza sul lavoro devono
attrezzarsi a far fronte ai rischi lavorativi che le donne corrono in misura
e modi diversi dagli uomini. Oltre allo stress lavorativo, che si sta cominciando a valutare, anche altri fattori di rischio tradizionali ed emergenti devono ancora essere affrontati dalla ricerca.
Una priorità assoluta della ricerca dovrà essere quella di declinare al
femminile tutti gli standards di tollerabilità a sostanze chimiche, fisiche, ad
allergeni ambientali e a condizioni climatiche, sviluppando ricerche adeguate. Non è più possibile infatti estendere alle donne gli standards sui limiti
di esposizione che sono basati su un “lavoratore medio” di sesso maschile.
Questioni ancora aperte:
• Per quali rischi lavorativi dobbiamo rivedere i limiti di esposizione
con attenzione alle differenze di genere?
• Quali sono gli effetti nei due sessi dell’esposizione lavorativa ad alcuni inquinanti tossici e cancerogeni?
• Sono adeguate le attuali norme di protezione per la tutela della salute riproduttiva?
• Sono le donne più suscettibili alle malattie osteo-articolari e/o svolgono lavori che le espongono maggiormente?
• È la depressione legata al sovraccarico emotivo - relazionale e/o rappresenta il prezzo di un difficile equilibrio ormonale?
BIBLIOGRAFIA
1) Salerno S. Convegno Donna, Lavoro e Salute, Zacatecas (Messico),
27-31 ottobre 2008. Med Lav; Jan-Feb. 100 (1): 70
2) European Heart Network. European cardiovascular statics, 2008.
3) Lee S, Colditz G, Berkman L, Kawachi I. Prospective study of job
strain and coronary heart disease in US women. Inter J Epidemiol
2002; 31: 1147-1153.
4) L. Veronico, Banca dati al femminile, in Dati Inail, febbraio 2008,
n. 2, in www.inail.it
03
LA VALUTAZIONE DEI RISCHI E LA TUTELA DELLA SALUTE
DEI LAVORATORI ALL’ESTERO: CRITICITÀ E RISULTATI DELLA
SORVEGLIANZA SANITARIA SU LAVORATORI IN AREE DISAGIATE
A. Di Maria, R. Donghi, P. Amendola, E. Oddone, M. Ortu,
P. Leotta, E. Nicosia
H San Raffaele Resnati spa via S. Croce 10/a 20122 Milano
Corrispondenza: Antonio Di Maria e-mail [email protected] tel.
+390258187652, cell. +39 3482301916 H San Raffaele Resnati spa via
S. Croce 10/a 20122 Milano
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Parole chiave: lavoratori all’estero, tutela della salute, idoneità al
lavoro all’estero
RISK ASSESSMENT FOR REMOTE AREAS’ WORKERS: THE
OUTCOME OF A SPECIFIC OCCUPATIONAL HEALTH PROGRAMS
ABSTRACT. Health safeguarding, in the remote area, is prevention
of disease related to work activities and evaluation of environment and
social impact of the Country, where employees will work.
Occupational health physician, before workers’ departure, must well
evaluate the destination (work and environment) and their health
conditions.
Some diseases (infectious, psychiatric, cardiovascular, etc.) could be
a risk for the employee and his colleague.
San Raffaele Hospital - Resnati (HSR) and Saipem prepared an
integrated health evaluation system.
Occupational health physician in HSR support the Medico
Competente in Saipem for a rapid medical assessment, counselling,
vaccination and prophylaxis.
We have examinated 1519 workers (mean 45,4 years old) 95,5% of
them were males. The most of workers (85,3%) were in good health’s
condition, 223 of them (14,7%) were affected by illness that made them
unable to work in remote areas.
The illness were due, most frequently, to cardiovascular disease:
arrhythmical, hypertensive, ischemic; endocrinopathies: diabetes,
lipemic disease, obesity; gastrohepatic disease: peptic ulcer, C hepatitis,
bilious attack; renal colic.
Focal points of this health evaluation system are the global risk
assessment regarding the risk of remote areas too and the assessment of
worker’s health standard related to the destination Country.
Key words: traveler workers, risk assesment for remote areas’
worker, fitness certificate
INTRODUZIONE
La valutazione dei rischi deve stimare quelli per la salute derivanti
dalla mansione svolta. Per lavoratori-trasfertisti, operanti all’estero in
aree disagiate dal punto di vista climatico, logistico, sociale, essa non
può limitarsi ai soli rischi specifici della mansione. Il contesto lavorativo,
che non è mansione specifico, può avere conseguenze significative sulla
salute. Le condizioni igieniche del Paese, dei luoghi di lavoro e domiciliazione dei trasfertisti, il rischio biologico derivante da malattie infettive-diffusive, endemico-epidemiche, possono certamente provocare
danni (1-3).
Anche le condizioni del lavoratore concorrono all’idoneità del
soggetto per la mansione specifica nello specifico ambiente. Lo stesso
dlgs 81/08, considera tutti i rischi per la sicurezza e la salute. Quindi,
in aggiunta al rischio mansione, vanno considerate le caratteristiche
delle aree geografiche, il rischio di malattie infettivo-diffusive, l’influenza del clima su apparato respiratorio e cardiovascolare, la stagionalità, la durata del soggiorno che incide sulla profilassi. La salute
stessa dell’individuo, la possibilità di dover ricorrere alla sanità locale,
il livello assistenziale e la difficoltà di accesso, sono ulteriori elementi
di giudizio.
Anche le problematiche di sicurezza nei Paesi interessati da conflitti
sociali, politici o religiosi, se pure non strettamente inerenti gli aspetti sanitari, possono generare stress influenzando la compatibilità col lavoro.
Infine attribuibili al rischio di stress lavoro correlato, vanno considerate
le conseguenze al distacco dalla famiglia, le problematiche contrattuali,
la certezza del lavoro.
MATERIALI E METODI
Il Centro Medicina dei Viaggi/Medicina Occupazionale San Raffaele Resnati ha approntato un protocollo per evidenziare le condizioni
di ipersuscettibilità ai fattori sopraelencati.
Esso è stato applicato a lavoratori operanti in Paesi extraeuropei nel
triennio 2007-2009 ed a supporto specialistico dei medici competenti di
Saipem. Ad essi sono stati inviati, per ogni lavoratore, i risultati degli accertamenti e la valutazione sanitaria.
Il protocollo, oltre agli accertamenti in tabella I, consente ulteriori
accertamenti mirati alla definizione diagnostica. I criteri valutativi utilizzati sono quelli delle linee guida internazionali (5, 7) rielaborati congiuntamente con i medici competenti. Il protocollo comprende anche gli
accertamenti imposti dai Paesi ospitanti.
85
Tabella I. Protocollo sanitario adottato
Tabella II. Alterazioni funzionali di maggior riscontro non
comportanti non idoneità in ambiente disagiato
Tabella III. Patologie comportanti la non idoneità
in ambiente disagiato
RISULTATI
Sono stati esaminati 1519 lavoratori con età media 45,4 anni, 95,5%
maschi, 4,5% femmine. 1296 soggetti (85,3%) hanno mostrato normalità
clinica o alterazioni funzionali prive di significato patologico (tabella II).
223 soggetti (14,7%) hanno mostrato quadri capaci di compromettere la compliance del lavoratore, in relazione allo standard igienico, alle
condizioni ambientali sfavorevoli, al difficile accesso alle strutture sanitarie. Esse (tabella III), hanno richiesto un giudizio di non idoneità temporanea o permanente (5).
DISCUSSIONE
Le criticità che hanno influenzato l’idoneità alla mansione nel campione considerato, riguardano l’apparato cardiovascolare, il metabolismo
e ricambio, l’epatopatie, la suscettibilità alle malattie infettivo-diffusive.
Ciò conferma l’importanza, per questi lavoratori, di non fermarsi ai fattori “tradizionalmente” legati alla mansione, ma di valutare complessivamente il lavoratore e lo specifico rischio Paese. A questo scopo debbono essere utilizzati protocolli sanitari e criteri di idoneità appositamente predisposti (6, 7). Ad essi vanno affiancati programmi di informazione, profilassi, counselling, assistenza psicologica.
BIBLIOGRAFIA
1) F. Mika. Saipem’s STD prevention program at operational sites.
Third annual HECTRA Meeting. November 20 - 22, 2002. New
Orleans.
2) P. Bianco. Travel Occupational Medicine: un approccio multidisciplinare alla tutela della salute dei lavoratori all’estero. Italian Journal
of Public Health. Anno 1, Volume 1, numero 0. Dicembre 2003
3) P. Pistolesi. Il Medico competente e la protezione del lavoratore
nelle missioni all’estero. Pagg. 314 - 320. Atti del congresso Nazionale: la Medicina del lavoro del 2000. Nuove metodologie di controllo ambientale, sorveglianza sanitaria e prevenzione nei luoghi di
lavoro. Firenze 16 - 18 Novembre 2005.
4) V. Anzelmo. La sorveglianza sanitaria dei lavoratori all’estero. Atti
del Convegno La Medicina dei Viaggi: nuove strategie d’intervento.
Roma 23-24 Novembre 2007. Pagg. 19-26
5) V. Nicosia. Modelli operativi del servizio medico saipem per i lavoratori all’estero.Atti del Convegno la Medicina dei Viaggi: nuove
strategie d’intervento. Roma 23-24 Novembre 2007. Pagg. 80-86.
6) R. Donghi. La gestione della salute dei lavoratori all’estero in relazione al dlgs 81/08: il modello di Saipem ed H San Raffaele Resnati.
Atti del XXIConvegno ANMA Castelsanpietro 29-31 Maggio 2008.
pagg 124-128
7) A guide for examining physicians guidelines for medical aspects of
fitness for offshore work Uk offshore operators association limited
health advisory committee issue 5 may 2003
86
04
PROGRAMMAZIONE DELL’ATTIVITÀ DI PREVENZIONE
E CONTROLLO: PRIMI RISULTATI DI UN’ESPERIENZA
BASATA SULLA PARAMETRAZIONE AL LIVELLO DI RISCHIO
A.M. Firmi, D. Dolara, S. Longo, L. Boldori, P.E. Cirla
a Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro (SPSAL),
Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Cremona, Cremona
b Dipartimento di prevenzione, Azienda Sanitaria Locale della Provincia
di Cremona, Cremona
Corrispondenza: Piero Emanuele Cirla, Viale Friuli, 61 - 20135 Milano,
Italy, Phone: ++39 02 59901542, e-mail: [email protected]
Parole chiave: Graduazione del rischio, Attività di vigilanza, Gestione del rischio
PLANNING OF PREVENTION AND SURVEILLANCE ACTIVITY:
PRELIMINARY RESULTS OF AN APPROACH BASED ON RISK
PARAMETRATION
ABSTRACT. Introduction: A correct planning of inspections in
work places may involve some problems for a public service: suitable
criteria in using resources, standardized procedures and both efficacy
and efficiency are needed. A standardized methodology of risk grading to
establish priorities was applied to the district of Cremona, Lombardy.
Methods: During last two years, given the constancy of the available
resources, the priority of intervention based on risk parametration
oriented 707-planned inspection at work places. A risk grading GRETAS
System was experimented for macro-category and included 15 indicators
relating to epidemiology, territory, environment, specific realities. A
second system (PRATAS), based on other 11 defined indicators, allowed
a pondering and so each firm was labelled with his own grade.
Results and conclusions: This integrated approach to risk grading
resulted as a useful methodology for managing the interventions of the
public surveillance. The effectiveness was proved firstly encountering
injury statistics, which showed a greater reduction in the local indices on
the given regional trend. The greatest reduction was linked to the
agricultural sector, identified by GRETAS System as priority. Overall, the
clear explanation and communication of selection criteria led to
alleviate tensions with the territory.
Key words: Risk graduation, Prevention and control activity, Risk
management
INTRODUZIONE
Nell’ambito dell’attività dei servizi territoriali di vigilanza in materia di salute e sicurezza durante il lavoro propri delle Aziende Sanitarie Locali, l’attività di prevenzione e controllo sul territorio, accanto
alla definizione di appropriate modalità di utilizzo delle risorse o di
percorsi operativi standardizzati, richiede oggi soprattutto una adeguata
programmazione fondata sempre più su principi di efficacia ed efficienza (1). In effetti, la complessa articolazione dei soggetti oggetto di
controllo (secondo la normativa europea recepita in Italia tutte le attività produttive organizzate), la necessità di integrazione con iniziative
regionali e nazionali ritenute strategiche, l’opportunità di sinergie con
strutture esterne, l’assodata limitatezza delle risorse umane dedicate,
oltre che il passaggio culturale dalle verifiche formali a quelle sostanziali hanno recentemente stimolato riflessioni strategiche mirate alla
definizione di una programmazione delle attività parametrata al livello
di rischio.
In questo senso, nel territorio della provincia di Cremona, è stato
ideato e applicato per la programmazione dell’attività di vigilanza sul
territorio del Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro
(SPSAL) degli ultimi tre anni apposito approccio standardizzato per la
graduazione mirata del rischio, che esplicita in modo trasparente criteri e
parametri di riferimento (2).
MATERIALI E METODI
Partendo dall’analisi del contesto territoriale (dati epidemiologici,
dati territoriali, dati ambientali e fattori di rischio specifici), abbinata alla
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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suddivisone delle attività produttive in macrocategorie omogenee sulla
base della classificazione definita in ambito europeo (NACE Rev. 1.1), si
sono attribuiti livelli di rischio pertinenti con l’attività di tutela della salute e della sicurezza durante il lavoro (2) mediate il calcolo dei 15 indicatori di rischio integrati in apposito Sistema di Graduazione del Rischio
che tiene conto di Epidemiologia, Territorio, Ambiente e Specificità (Sistema GRETAS). A ciascuna delle singole unità soggette a controllo presenti all’interno delle singole macrocategorie è stato quindi attribuito un
livello di rischio proprio (calcolo di 11 indicatori raggruppati in 4 ponderatori) mediante Sistema PRATAS (Sistema Ponderazione Rischio Attributi Tipologia Affidabilità Storico). Considerata la costanza delle risorse a disposizione e quindi del numero complessivo di interventi annui
di vigilanza programmata sostenibili, le parametrazioni al livello di rischio sono state il supporto per la definizione delle priorità di intervento
sul territorio, orientando i 707 interventi di vigilanza programmata stabiliti negli ultimi due anni (pari a circa il 4% del totale delle realtà produttive del territorio).
RISULTATI
La distribuzione delle attività di vigilanza programmata nel territorio della Provincia di Cremona (Tabella I) è avvenuta con le medesime
percentuali sia per il rischio proprio delle macrocategorie (Sistema
GRETAS) sia per quello identificato per ogni singola attività (Sistema
PRATAS): rispettivamente 40% con categoria di rischio alto, 30%
medio-alto, 25% medio-basso, 5% basso. Tutti gli interventi di vigilanza
programmati sono stati condotti in maniera uniforme nei tempi (distribuzione su tutto l’arco del biennio) e nei modi (preliminare definizione
condivisa di modalità di approccio da parte degli operatori.
Tabella I. Distribuzione interventi vigilanza programmata
secondo graduazione del rischio per macrocategoria omogenea
nel cremonese (sono omesse le macrocategorie in cui non sono
risultate attive realtà nel territorio)
Tabella II. Infortuni sul lavoro denunciati all’INAIL
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DISCUSSIONE
L’applicazione della metodologia ideata ha permesso di portare a
termine l’attività programmata di prevenzione e controllo negli ambienti di lavoro convogliando le risorse secondo priorità di intervento
mirate e garantendo un’omogenea attuazione di controllo all’interno
delle varie categorie di rischio. L’efficacia dell’approccio sperimentato
trova i primi riscontri nei dati infortunistici INAIL, che mostrano una
riduzione degli indici maggiore del dato regionale (Tabella II). In effetti in provincia di Cremona si è passati dai 7.600 infortuni denunciati
del 2007 ai 7.068 del 2008, con una flessione di 532 casi (pari a -7
punti percentuali), più che doppia rispetto a quella verificatiasi tra il
2006 e il 2007 (-3,21%). Tale diminuzione risultata migliore sia della
diminuzione a livello nazionale (-4,11%) sia di quella della Lombardia
(-3,84%).
La maggiore riduzione ha visto una buona componente legata al settore agricolo (3), individuato dal Sistema GRETAS come meritevole di
maggiore attenzione.
Nel complesso la chiara esplicitazione dei criteri di scelta ha permesso di attenuare tensioni con il territorio, la cui conoscenza viene via
via aggiornata. Inoltre la graduazione del rischio è risultata fornire una
piattaforma per la predisposizione di agili strumenti di controllo interno
e per la promozione di sistemi di autoregolazione.
CONCLUSIONI
L’applicazione dei sistemi combinati di graduazione del rischio proposti, che ben si integrano con esigenze di governo del territorio sempre
più attuali, si è dimostrata un’occasione di sviluppo e miglioramento dell’attività di prevenzione e controllo su area vasta e sembra essere capace
di influire positivamente sulle dinamiche di tutela della salute e della sicurezza al lavoro.
BIBLIOGRAFIA
1) Halperin WE. The role of surveillance in the hierarchy of prevention. Am J Ind Med. 1996; 29(4):321-323
2) Firmi AM, Dolara D, Boldori L, Locatelli GW, Cirla PE. Definizione
delle priorità d’intervento per la programmazione dell’attività di prevenzione e controllo: approccio basato sulla parametrazione al livello di rischio. G Ital Med Lav Ergon. 2008; 30(Suppl2):167-168.
3) INAIL. Rapporto Annuale Provinciale 2008 di Cremona. Milano,
ed. INAIL, 2010.
05
INDICE DI CAPACITÀ LAVORATIVA E PERCEZIONE
DELLA QUALITÀ DEL CLIMA INTERNO ALL’AMBIENTE
DI LAVORO IN UN GRUPPO DI TECNICI DI LABORATORIO
DEL POLICLINICO DI BARI. STUDIO PILOTA
G.L.M. Martina, A. Baldassarre, M.C. Grimaldi, T. Massaro,
A. Pinca, M. Musti
Dipartimento Medicina Interna e Medicina Pubblica Sezione Medicina
Lavoro “B. Ramazzini” Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”,
piazza G. Cesare 11, 70124 Bari
87
index resulted to be excellent in 18% of cases, good in 49%, moderate in
29% and poor in 4%. The average WAI was 38 with a range between 21
and 46. The work ability index was decreasing in proportion to the
increasing number of diseases and of the age of laboratory technicians.
Our study also showed that psychosocial factors in the employment context
and work ability index influence each other. It was found that the majority
of subjects with good or excellent work capacity perceive a peaceful
working atmosphere and lead a healthy lifestyle; indeed, all subjects who
were diagnosed with anxiety, depression, insomnia are not satisfied with
their jobs and most of them scored a poor or mediocre WAI.
Key words: work ability index, Laboratory Technicians, working
condition quality
INTRODUZIONE
I grandi cambiamenti del mondo del lavoro hanno prodotto profondi
mutamenti dell’organizzazione del lavoro, contribuendo allo sviluppo di
nuovi rischi occupazionali. Il D.Lgs 81/08 e s.m.i. inserisce tra i rischi da
valutare per la sicurezza e la salute dei lavoratori quelli riguardanti lo
stress lavoro-correlato. In letteratura diversi studi hanno dimostrato che
una condizione di disagio lavorativo può influenzare significativamente
la Capacità di Lavoro (1)(2), a sua volta strettamente correlata all’invecchiamento della popolazione e all’insorgenza di patologie (2); da molti
autori viene sottolineata l’importanza di interventi di miglioramento sull’aspetto organizzativo del lavoro per prevenire una più rapida riduzione
dell’Indice di Capacità Lavorativa.
MATERIALI E METODI
Il nostro studio ha valutato la relazione tra Indice di Capacità Lavorativa e percezione della qualità del clima interno all’ambiente di lavoro
in un gruppo di Tecnici di Laboratorio (TSLB) dell’Azienda Ospedaliera
Policlinico di Bari.
È stato fornito il questionario anonimo autosomministrato “Work
Ability Index” (WAI) (3) a 70 TSLB per la valutazione della Capacità
Lavorativa, integrato con 6 domande finalizzate all’analisi della percezione del clima interno all’ambiente di lavoro. Il WAI è composto da una
parte che raccoglie informazioni di carattere anagrafico e professionale e
una parte compilativa formata da 7 gruppi di domande; il risultato finale
permette di individuare 4 classi di punteggio: scadente, mediocre, buono,
eccellente. Le sei domande integrative indagano il rapporto con i colleghi/dirigenti, la presenza di eventuali pressioni psicologiche, la percezione di un lavoro ripetitivo/monotono, l’autonomia decisionale e la soddisfazione lavorativa e una domanda a risposta aperta per raccogliere
eventuali commenti o criticità.
RISULTATI
Il campione è costituito da 70 TSLB, 30 donne, 26 uomini e 5 non hanno
indicato il sesso, distribuiti nei reparti di Patologia Clinica, Banca del Sangue,
Microbiologia/Virologia, Anatomia Patologica, Ematologia, Endocrinologia
e Psichiatria. In generale, l’Indice di Capacità lavorativa è risultato eccellente
nel 18% dei casi, buono nel 49%, mediocre nel 29% e scadente nel 4%. La
media generale dell’indice WAI è risultata 38 con un range tra 21 e 46.
L’età media del campione in esame è di 47 anni; tra questi i soggetti
con punteggio eccellente presentano una media di 44 anni mentre quelli
con punteggio scadente di 50 (figura 1).
Corrispondenza: Dott.ssa MARTINA Gabriella Lucia Maria
Dipartimento Medicina Interna e Medicina Pubblica Sezione Medicina
Lavoro “B. Ramazzini” Università degli Studi di Bari Aldo Moro, piazza
G. Cesare 11, 70124 Bari. E-mail: [email protected]
WORK ABILITY INDEX AND PERCEPTION OF THE QUALITY
OF WORK CLIMATE IN A GROUP OF TECHNICAL
LABORATORY OF BARI. PILOT STUDY
ABSTRACT. Our study evaluated the relationship between Work
Ability Index and the perception of quality of working condition quality. We
submitted to 70 Laboratory Technicians of the General Hospital of Bari,
the Work Ability Index questionnaire and five additional questions
inquiring the relationship with colleagues / managers, the presence of any
psychological pressure, the perception of a monotonous / repetitive work,
autonomy decision-making and job satisfaction. In general the work ability
Figura 1. Età media dei TLSB in rapporto all’Indice di Capacità
Lavorativa
88
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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valutazione del rischio stress lavoro correlato come previsto dal D.Lgs
81/08, è opportuno inserire nella metodologia di valutazione il questionario Work Ability Index.
BIBLIOGRAFIA
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Figura 2. Soddisfazione/insoddisfazione lavorativa in rapporto
all’Indice di Capacità Lavorativa
L’analisi dei risultati ha evidenziato inoltre che il 57% dei soggetti
che ha ottenuto un punteggio WAI buono o eccellente è pienamente
soddisfatto del proprio lavoro (figura 2), inoltre l’89% di essi non fuma
e il 99% non beve abitualmente alcolici. Al contrario solo il 39% dei
soggetti che hanno ottenuto un punteggio scadente o mediocre si sente
soddisfatto, il 66% di essi non fuma, invece per quanto riguarda l’abitudine al potus la percentuale è sovrapponibile. L’analisi delle risposte
aperte ha evidenziato che le principali fonti di insoddisfazione sono
una scarsa considerazione professionale e rapporti conflittuali con colleghi e dirigenti.
Analizzando le patologie, l’80% dei soggetti che hanno dichiarato di
essere affetti da disturbi mentali lievi (ansia, depressione, insonnia)
hanno ottenuto un punteggio WAI scadente/mediocre. Inoltre la totalità
del campione affetto da disturbi mentali ha dichiarato di avere rapporti
tesi con colleghi e dirigenti.
I soggetti che hanno risposto di subire sempre pressioni psicologiche
al lavoro e di avere rapporti tesi con colleghi/dirigenti, hanno punteggio
WAI medio di 35.5 (mediocre) contro una media WAI del campione totale di 38,8 (buona).
Alla domanda inerente la percezione di effettuare un lavoro ripetitivo/monotono, solo il 32% dei soggetti che hanno ottenuto un punteggio
buono o eccellente considera il proprio lavoro monotono; questa percentuale risulta quasi raddoppiata (63%) nei soggetti con punteggio WAI
scadente o mediocre.
DISCUSSIONE
In conclusione possiamo dedurre che L’indice di Capacità Lavorativa, in accordo con i dati di letteratura, è strettamente correlato con l’età.
Inoltre i fattori psicosociali all’interno del contesto lavorativo e l’Indice
di Capacità Lavorativa si influenzano a vicenda.(4) Dal nostro studio infatti è emerso che la maggior parte dei soggetti con una buona o eccellente Capacità Lavorativa percepiscono un clima lavorativo sereno e
conducono un corretto stile di vita. È emerso inoltre che tutti soggetti a
cui sono state diagnosticate ansia, depressione, insonnia non sono soddisfatti del proprio lavoro e la maggior parte di essi ha ottenuto un punteggio scadente o mediocre; a tale proposito, possiamo ipotizzare che i
soggetti che non si sentono soddisfatti professionalmente possono essere
maggiormente predisposti all’insorgenza di malattie psicosomatiche, a
loro volta responsabili di una riduzione della Capacità Lavorativa.
Alla luce dei risultati ottenuti da questo studio pilota, occorre procedere ad uno studio su una più ampia casistica e coinvolgere anche le
altre professioni sanitarie per poter meglio valutare e confrontare l’Indice di Capacità Lavorativa e la differente percezione del clima interno
in base alla tipologia di lavoro svolto nell’ambito della stessa struttura
ospedaliera.
Inoltre, poiché il nostro studio ha dimostrato la reciproca interazione
tra Capacità Lavorativa e percezione dell’ambiente di lavoro, ai fini della
06
CAPACITÀ DI LAVORO IN PAZIENTI SOTTOPOSTI
A TRATTAMENTO DIALITICO
L. Neri1,2, D. Brancaccio3, C. Colosio1, G. Brambilla1, F. Rossa3,
I. Priamo4, V.E. Andreucci3 and the MigliorDialisi Study Group
1
Dipartimento di Medicina del Lavoro, Clinica del Lavoro “L. Devoto”
- Ospedale San Paolo, Università di Milano - Milano, Italia
2 Department of Health Management and Policy, Center for Outcomes
Research, Saint Louis University - Saint Louis, MO, USA
3 Fondazione Italiana del Rene Onlus - Napoli, Italia
4 U.O. Medicina del Lavoro, Ospedale San Paolo - Milano, Italia
Corrispondenza: Dott. Luca Neri, Dipartimento di Medicina del Lavoro
- Università di Milano, Clinica del Lavoro “L. Devoto” - Ospedale San
Paolo, Via Di Rudinì 8, Milano, Italia, Tel. 02 891 59 551; Email:
[email protected]; [email protected]
WORK ABILITY IN PATIENTS ON DIALYSIS
ABSTRACT. Background. The prevalence of chronic kidney disease
in Europe is 10% while End Stage Renal Disease (ESRD) affects 0.05%
of the population. We aimed at evaluating correlates of occupational
activity in a national sample of ESRD patients. Methods. We enrolled
1238 subjects in 54 Italian dialysis centers (388 in the working age, 1860 years). The self-administered questionnaire inquired about sociodemographic characteristics and opinions regarding quality of care and
well-being. A professional nurse filled in a checklist concerning patients’
health. The association between individual characteristics and
occupational status was evaluated with logistic regression. Results.
Sample characteristics are described in table I. Male gender (OR: 2.94,
p<0.01), age (OR: 0.95, p<0.01), residence (Center, OR: 0.24, p=0.04;
Southern, OR: 0.44, p=0.04), college education (OR: 4.05, p<0.01),
disability (OR: 0.36, p=0.02), poor self-rated health (OR: 0.64, p=0.09),
being on waiting list for transplant (OR: 1.53, p=0.08) were associated
to employment likelihood. Disability status was associated to sociodemographic factors. Conclusions. Health status was marginally
associated to employment and disability status. According to labor
market theory, we found that disability benefits may reduce occupational
activity. Current procedures evaluating benefit eligibility may not allow
appropriate resource allocation.
Key words: Work Ability, End Stage Renal Disease, Disability
INTRODUZIONE
I tassi di fertilità (TdF) dei paesi sviluppati sono al di sotto del livello
di rimpiazzo da quasi 3 decenni (World Fertility Report 2007). Dagli anni
‘90 il TdF italiano è sceso sotto 1.3, soglia oltre la quale la popolazione si
dimezza in 50 anni. Entro il 2050 la popolazione italiana in età lavorativa
si ridurrà del 24% (-9’500’000) e rappresenterà solo il 55% della popola-
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zione residente (67% nel 2004) (Carone, 2005) mentre l’old-age dependency ratio supererà il 70% (OECD, 2007) e l’età mediana i 50 anni
(Kholer, 2006). L’insufficienza renale cronica (IRC) colpisce il 10% della
popolazione europea e circa lo 0.2% ha un filtrato glomerulare inferiore a
15 mL/min./173 m2 stadio per il quale è necessario il trattamento renale sostitutivo (Hallan, 2006). I costi indiretti dell’IRC di stadio avanzato sono
esorbitanti (Zelmer, 2007) e i pazienti affetti sono colpiti da numerose patologie concomitanti. Il tasso di occupazione in dialisi varia tra il 15% e il
50% (Neri et al, 2006) e tra il 50% e il 62% dopo il trapianto renale (Neri,
2008). In questo studio abbiamo valutato i correlati clinici e socio-demografici dello status occupazionale e della disabilità in un ampio campione
nazionale di pazienti sottoposti a trattamento emodialitico.
METODI
Lo studio MigliorDialisi ha arruolato 1238 pazienti (di cui 388 in età
lavorativa) in 54 centri Italiani di dialisi. I pazienti arruolati hanno compilato un questionario auto-somministrato durante una regolare sessione
di dialisi. Il questionario è stato descritto in precedenti pubblicazioni
(Neri, 2010). Un infermiere professionale ha inoltre compilato una
scheda clinica riguardante lo stato di salute di ogni paziente. Il tasso di
occupazione è stato definito come il rapporto tra numero di occupati e
numero di soggetti di età compresa tra i 18 e i 60 anni di età. Differenze
tra soggetti occupati e disoccupati sono state valutate tramite χ2 o t-test
per variabili categoriche o continue rispettivamente. L’associazione tra
status occupazionale e fattori demografici, economici, clinici e psicosociali è stata testata tramite regressione logistica multivariata. Similmente
sono stati valutati i correlati della disabilità.
RISULTATI
Le caratteristiche del campione allo studio sono riportate in tabella
I. L’employment-to-population ratio (E/P) grezzo è risultato 36%. Il
tasso di occupazione grezzo nelle regioni settentrionali è risultato circa
doppio rispetto a quello osservato nelle regioni centro-meridionali.
Questa differenza non è attenuata dall’aggiustamento per fattori sociodemografici, comorbidità, salute percepita, status di disabile, sostegno
ricevuto dallo staff clinico, qualità del sonno, intrusività della terapia medica (tabella II). L’E/P standardizzato con i pesi della popolazione standard italiana (2008) era del 42% (52% per gli uomini, 31% per le donne).
I fattori associati allo status occupazionale sono riportati in tabella II. Le
donne (OR: 2.12, p=0.046), i residenti nelle regioni Meridionali (OR:
2.42, p=0.046) e i soggetti con storia dialitica prolungata (OR: 1.22,
p<0.01; per ogni anno in dialisi) avevano maggior probabilità di essere
dichiarati completamente o parzialmente disabili.
DISCUSSIONE
In un contesto demografico di ridotta offerta di lavoro il prolungamento della vita lavorativa è un elemento necessario alla sostenibilità
delle assicurazioni sociali (Shreshta, 2006). L’insorgere di malattie croniche limita la capacità di lavoro di circa 1/4 della popolazione di età compresa tra i 44 e i 65 anni (Altman, 2003). Il tasso di attività degli ultracinquantenni supererà quello di soggetti di età inferiore ai 24 anni (60% vs.
50%) (Carone, 2005): la gestione di soggetti portatori di patologie croniche da parte del medico del lavoro sarà un’attività sempre più frequente.
Il tasso di occupazione osservato nel nostro studio è inferiore a quello osservato nella popolazione generale del 27% (ISTAT 2008). Poiché l’aspettativa di vita residua di pazienti sottoposti a dialisi in età lavorativa
varia tra i 15 e i 6 anni (USRDS, 2010) il recupero della capacità di lavoro
deve essere un obiettivo centrale della terapia e delle politiche sanitarie.
L’obiettivo principale dello studio era quello di evidenziare i fattori associati allo status occupazionale dei pazienti. In contrasto con la teoria biopsico-sociale, secondo la quale lo stato di salute gioca un ruolo centrale
nel determinare il processo di adattamento (Brandt and Pope, 1997) i nostri dati non mostrano evidenze di un’associazione tra indicatori di salute
e attività lavorativa. È possibile tuttavia che la scarsa flessibilità dei tempi
di lavoro e lo scarso dinamismo della domanda di lavoro caratteristici del
mercato italiano forniscano incentivi che ostacolano il re-inserimento lavorativo di soggetti affetti da malattie croniche. La nostra analisi ha mostrato che l’assegnazione dei sussidi di disabilità era fortemente associata
allo status occupazionale ma non era associata a indicatori di salute.
Questo dato suggerisce che gli attuali criteri di allocazione dei benefici di
disabilità potrebbero non assicurare una corretta allocazione di risorse riducendo l’offerta di lavoro di soggetti in grado di lavorare.
89
Tabella I. Differenze socio-demografiche e cliniche
tra soggetti occupati e disoccupati
a: Pazienti in attesa di trapianto; b: numero di ricoveri ospedalieri nei 12 mesi
precedenti all’intervista
Tabella II. Correlati della status occupazionale
Regressione logistica multivariata con meccanismo di selezione stepwise (entry,
0.10; retain, 0.10). OR rappresenta l’odds ratio di avere una occupazione retribuita
al momento dell’intervista. Altre variabili inserite nel modello: Burden of Kidney
Disease scale, Illness Intrusiveness scale, Burden of Therapy Scale, stato di
famiglia, numero di ricoveri nei 12 mesi precedenti all’intervista, comorbidity
index, regime terapeutico, attività fisica, aderenza alle prescrizioni terapeutiche
BIBLIOGRAFIA
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G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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MATERIALI E METODI
La popolazione indagata è di 466 lavoratori: 270 (57.9%) addetti alla
vigilanza e 196 (42.1%) impiegati d’ufficio. Sono stati somministrati due
questionari per la raccolta dei fattori di rischio individuali e lavorativi
quali attività svolte al VDT, anamnesi fisiologica e patologica oftalmologica, sintomi astenopici, attività sportiva, traumi e sintomatologia
osteoarticolare. Tutti i soggetti sono stati sottoposti ad esame obiettivo
dell’apparato visivo. Per la valutazione dell’astenopia è stato utilizzato il
modello suggerito dalle linee guida SIMLII (1).
VDT USE AND OTHERS VISUAL DEMANDING WORKS: RISKS
AND PREVENTION
ABSTRACT. Visual and musculoskeletal disorders are common in
employees with visual demanding jobs. Our study describes health
surveillance methods and results in a population of 466 workers (196
office workers and 270 security guards) performing visual demanding
jobs. A standardized questionnaire of the Italian Society of
Occupational Medicine and Industrial Hygiene was administered to
participants in order to collect individual and occupational risk
factors, asthenopia and musculoskeletal symptoms. We also took into
consideration the results of ophthalmologic medical screening
examinations. Among the office workers the prevalence of asthenopia
was 13.3% and; a significant association was found with female
gender, age, educational level, useof VDT for more than 20
hours/week, refractive alterations. The security guards exhibited
lower asthenopia and higher prevalence of musculoskeletal disorders
than the office workers. A follow-up survey have shown an overall
unchanged level of asthenopia in office workers and a worsening of
low back pain and related absenteeism in security guards. These
findings support the use of questionnaires and asthenopia
classification methods in health surveillance. The low level of
asthenopia and musculoskeletal disorders compared to other
investigations show the efficacy of prevention strategy adopted in this
population.
Key words: VDU, asthenopia, musculo-skeletal disorders
RISULTATI
La popolazione di impiegati studiata è formata per il 70% (N 137)
da personale di ente pubblico, e per il restante 30% (N 59) da guardie
giurate che svolgono attività al videoterminale-monitors. Nella popolazione di impiegati prevalgono i soggetti di sesso maschile (63.3%);
l’età media è di 37 anni (range 21-60), il 23% utilizza il VDT anche in
ambito extra-lavorativo e il 36.7% svolge attività extralavorative con
impegno visivo per vicino (es. lettura, cucito, etc.). Il 24% degli impiegati è fumatore; il titolo di studio prevalente è il diploma di maturità
(43.4%). La popolazione delle guardie giurate è prevalentemente di
sesso maschile (95.2%); l’età media è di 35 anni (range 19-60). Il
19.6% dei soggetti utilizza il VDT in ambito extralavorativo e il 13%
svolge attività extralavorative che richiedono impegno visivo per vicino. Il 34.1% è fumatore; il titolo di studio prevalente è di scuola
media inferiore (45.9%). Nella popolazione degli impiegati il 13.3%
(26 soggetti) risulta classificabile come astenopico. È stata trovata associazione significativa tra astenopia e genere femminile (p< 0.01), età
(p= 0.04) e scolarità (p= 0.01). L’astenopia è risultata associata con lavoro al terminale > 20 ore settimanali (p= 0.01), ed è stata evidenziata
una significatività borderline con fonti d’inquinamento indoor nell’ambiente lavorativo (p= 0.06). è emersa un’associazione significativa tra
astenopia e vizi refrattivi (p= 0.01), tra presenza di vizi refrattivi e
classi di astenopia (χ2= 18.8; p= 0.02) e una correlazione borderline tra
presenza di astenopia e uso di LAC durante il lavoro al VDT (p=
0.054). Non è emersa nessun’altra associazione positiva tra astenopia e
le altre variabili considerate. Per quanto riguarda la sintomatologia
osteoarticolare, circa 11% degli impiegati (N=22) riferisce sintomatologia cervicale e circa il 9% lombare (N=18). Non è presente assenteismo correlato. Per quanto riguarda il rachide lombare non è risultata
alcuna associazione significativa con le variabili raccolte. Tra gli addetti alla vigilanza l’1.8% (5 soggetti) è astenopico; 29 addetti (11%)
lamentano sintomi cervicali e 45 (17%) sintomi lombari; sono stati
persi da 2 a 12 giorni lavorativi correlati alla sintomatologia a carico
del rachide. L’analisi dell’associazione della sintomatologia a carico
dell’apparto locomotore con le variabili raccolte, per il gruppo delle
guardie giurate, non ha evidenziato alcuna relazione significativa. Nell’ambito del programma di sorveglianza sanitaria nel periodo considerato, il 49% dei soggetti è stato sottoposto ad una seconda visita, e un
numero ridotto di soggetti è stato sottoposto a terza e quarta visita, rispettivamente 44 (10%) e 12 (3%). La frequenza relativa di astenopia
appare aumentata nel gruppo degli impiegati, anche se il numero assoluto di astenopici è minore e non si ha peggioramento della gravità di
astenopia. Nelle guardie giurate, la frequenza dei disturbi a carico del
rachide appare aumentata, ma anche in questo caso il numero assoluto
di soggetti sintomatici è minore. Tuttavia, in questo gruppo, in occasione della seconda visita si osserva un aumento di soggetti che riferiscono peggioramento della sintomatologia lombare (dolore con blocco
funzionale) e un aumento dell’assenteismo correlato. Per quanto riguarda gli accertamenti sanitari integrativi rispetto al protocollo sanitario nel periodo 2001- 2009, i medici competenti hanno richiesto complessivamente 36 (18%) visite oculistiche per impiegati e 12 (4%) visite oculistiche per le guardie giurate.
INTRODUZIONE
La valutazione dei possibili effetti sulla salute del lavoro svolto al
videoterminale (VDT) e delle attività con impegno visivo, riveste un
ruolo importante, sia in conseguenza dell’elevato numero di addetti che
per l’elevata percezione del rischio da parte dei lavoratori. Questo
studio descrive una casistica di lavoratori che svolgono mansioni richiedenti impegno visivo: utilizzo di VDT (impiegati in uffici) e attività
quali controllo monitor di video-sorveglianza, guida, controllo banconote (guardie giurate).
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
La prevalenza di astenopia nella popolazione degli impiegati è risultata minore rispetto ai dati della letteratura internazionale (2, 3);
questo risultato potrebbe essere attribuibile sia al miglioramento tecnologico delle apparecchiature munite di VDT, sia alla maggiore applicazione delle indicazioni fornite dalle linee guida sull’utilizzo dei VDT sia
ad una maggiore efficacia dell’attività svolta dal medico competente. La
minore prevalenza di astenopia osservata nella popolazione delle
guardie giurate è in accordo con l’ipotesi di un minor impegno visivo
07
IL LAVORO CON IMPEGNO VISIVO E AL VIDEOTERMINALE:
RISCHI, EFFETTI SULLA SALUTE E PREVENZIONE ALLA LUCE
DI UNA CASISTICA CLINICA
A. Carta1, M. Oppini2, B. Bellina1, M. Crippa1, R. Lucchini1,
S. Porru1, L. Alessio1
1 Dipartimento di Medicina Sperimentale ed applicata - Sezione di
Medicina del Lavoro
2 Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro - Università degli
Studi di Brescia, P.zzale Spedali Civili, 1 - 25125 Brescia
Corrispondenza: [email protected]
Parole chiave: videoterminale, astenopia, disturbi muscolo-scheletrici.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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per vicino di questi lavoratori. Per quanto riguarda l’analisi delle problematiche osteo-articolari negli impiegati, l’anamnesi ha consentito di
evidenziare prevalenze di patologie del rachide e degli arti superiori e
frequenze di sintomatologia minori rispetto a quanto riportato nella letteratura internazionale (3). La maggior frequenza di distorsioni cervicali
e patologie del tratto lombare nelle guardie giurate rispetto agli impiegati, è verosimilmente attribuibile al maggior sovraccarico biomeccanico del rachide (es spostamenti con automezzi, movimentazione manuale carichi); ciò nonostante, le ernie discali lombari, pur essendo più
frequenti che nel gruppo degli impiegati, hanno prevalenza non superiore a quella riportata per la popolazione generale in età lavorativa (4).
Nelle visite di follow-up l’aumento della frequenza relativa di astenopia
negli impiegati e di sintomatologia lombare nelle guardie giurate è riconducibile alla sorveglianza sanitaria ravvicinata effettuata nei soggetti
suscettibili. Non sono disponibili in letteratura dati di confronto. La metodologia adottata in questo studio ha consentito di raccogliere i dati in
modo standardizzato e confrontabile nel tempo; la raccolta dei sintomi
astenopici e l’applicazione del modello di valutazione suggerito dalle
Linee Guida SIMLII ha permesso di analizzare la relazione tra presenza/assenza di sintomatologia e numerose caratteristiche individuali e
dell’ambiente lavorativo, inoltre ha permesso il confronto con i risultati
pubblicati di casistiche valutate con la medesima metodica. Nel complesso i risultati sembrano suggerire efficacia delle attività di prevenzione primaria, secondaria e terziaria stimolate e condotte dai medici
competenti, testimoniata anche dalla ridotta prevalenza della sintomatologia astenopica e osteoarticolare nella popolazione indagata, dal limitato numero di soggetti sottoposti a follow-up ravvicinato e dall’esiguo
numero di accertamenti integrativi richiesti, con conseguente riduzione
dei costi complessivi.
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08
LA REALTÀ POST-SISMA NEL CENTRO STORICO DE L’AQUILA:
PREVENZIONE E SICUREZZA NEI NUOVI CANTIERI
F. Spoltore2, M. Ardingo3, F. Tana2, M.C. Di Filippo2,
E. Di Marco2, D. Pompei1
1
SPSAL-Servizio di prevenzione e protezione degli ambienti di lavoroL’Aquila
2 Scuola di Specializzazione Igiene - Università degli Studi dell’Aquila,
3 Uff.Super coordinamento-L’Aquila
Corrispondenza: Spoltore F. SPSAL-Servizio di prevenzione e protezione
degli ambienti di lavoro, L’Aquila, e.mail [email protected]
THE POST-EARTHQUAKE SITUATION IN THE OLD PART OF
L’AQUILA: PREVENTION AND SAFETY IN THE NEW
BUILDING YARDS
ABSTRACT. The post-earthquake reconstruction of the old part of
L’Aquila shows complex organizational aspects: coordination between
building yards, ways of access also for 118 and NFD, positioning of
91
cranes and materials, location of the catering services, bathrooms and
first aid. Therefore a structure of “Supercoordinamento” was instituted
for a punctual management of safety, with the participation of SPSALL’Aquila according to the D.Lgs 81/2008; the two structures are
proceeding to a census of the workers and the building yards. There are
2259 workers in the historic center: 1692 Italian (74.90%) 162
Rumanian (7.17%) 33 Albanian (1.46%) 2 French (0.08%) 1 Swiss
(0.04%) 3 Senegalese (0.13%); moreover 155 Coordinators for safety in
the phase of execution (CSE), 195 contractual/sub contractual
companies, 1017 means of transport and motor vehicles, 459 technicians.
At the moment there are Specialized Companies with 63 territories
(approximately 4 building yards for each territory, so 250 in the historic
center), Technical Groups of Support supply the realization of temporary
works and demolitions. For the workers’ safety and health the number of
the inspections are increasing on the various building yards, to improve
the vigilance, to make the communication between the various actors in
L’Aquila territory easier, to monitor and to limit the accidents.
Key words: prevention safety earthquake
INTRODUZIONE
La ricostruzione post-sisma del centro storico della città di L’Aquila
presenta delle peculiarità per gli aspetti di organizzazione della sicurezza legati sia al particolare contesto che all’elevato numero di addetti
presenti. Tali problematiche possono essere sintetizzate in: coordinamento fra cantieri, percorribilità delle vie, identificazione di vie di accesso e di esodo, posizionamento di gru e di materiali, identificazione
delle vie di accesso per l’emergenza sanitaria 118 e dei Vigili del Fuoco,
ubicazione dei servizi igienici e dei servizi mensa, presenza di una postazione 118. La complessità di una tale orchestrazione ha portato dietro
stimolo del Prefetto alla creazione da parte del Comune di L’Aquila di
una struttura di Supercoordinamento mirata a garantire una gestione
puntuale di una integrata cornice di sicurezza alla quale fra gli altri partecipa, in funzione di stimolo e di consultazione oltre che di vigilanza e
controllo, lo SPSAL dell’Aquila ai sensi del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.
Tale struttura di supporto all’Amministrazione Comunale diretta al controllo delle funzioni dei singoli coordinatori per la sicurezza, è finalizzata altresì al controllo e alla gestione delle autorizzazioni per l’accesso
alla Zona Rossa.
MATERIALI E METODI
Al fine di uniformare e rendere funzionali gli interventi di messa in
sicurezza, nonché evitare interferenze lavorative correlate a rischi per i
lavoratori, si è reputato opportuno procedere ad una Zonizzazione del
centro storico cittadino.
Ad oggi sono in fase di realizzazione e/o predisposizione interventi
da parte di Ditte specializzate e
si sta provvedendo all’emanazione di apposite ordinanze sindacali
supportate da Gruppi Tecnici di Sostegno (GTS) per la realizzazione di
opere provvisionali e/o interventi di demolizione parziale e/o totale. Attualmente risultano assegnate a Ditte Specializzate n.63 lotti di vari dimensioni e complessità di esecuzione e nell’ambito della loro delimitazione sono presenti più immobili recanti necessità di effettuazione di
opere provvisorie, cantierizzate o da cantierizzare; pertanto valutando in
media n.4 cantieri a lotto, consegue che solo nella perimetrazione del
centro storico sono in attuazione circa 250 cantieri.
Lo SPSAL di L’Aquila e il Supercoordinamento hanno effettuato un
censimento dei lavoratori e dei cantieri presenti a l’Aquila. In data
odierna sono presenti solo nel centro storico 2259 lavoratori, dei quali
1692 italiani (74,90%) 162 rumeni (7,17%) 33 albanesi (1,46%) 2 francesi (0,08%) 1 svizzero (0,04%) 3 senegalesi (0,13%). I lavoratori sono
2170 uomini (96,06%) e 89 donne (3,94%). Ad ogni lavoratore è rilasciato un pass con un codice Unilav.
Sono presenti 155 Coordinatori per la sicurezza in fase di esecuzione
(CSE), 195 ditte appaltatrici/subappaltatrici, 1017 mezzi d’opera e autovetture, 459 tecnici.
Lo SPSAL per garantire un controllo e una tutela della sicurezza e
della salute dei lavoratori sta procedendo con tale censimento a: aumentare il numero delle ispezioni a campione sui diversi cantieri, incrementare l’attività di vigilanza, favorire la comunicazione fra i diversi attori
presenti nel cratere aquilano, monitorizzare e limitare la numerosità degli
infortuni, che alla data odierna sono stati due.
92
DISCUSSIONE
Dal 6 aprile 2009, successivamente all’evento sismico delle ore
3:32, a L’Aquila si sono attivati numerosi cantieri edili che stanno ad
oggi provvedendo a una caparbia ma faticosa opera di ricostruzione delle
abitazioni private, degli edifici pubblici, dei monumenti e del centro storico di L’Aquila.
Lo SPSAL sta provvedendo ad oggi, attraverso un meticoloso censimento dei lavoratori e dei cantieri, a iniziare delle ispezioni a campione
per verificare l’effettiva sicurezza dei cantieri. Tali ispezioni oltre ad
avere carattere di vigilanza hanno soprattutto carattere di tutela della salute per il cittadino e per i lavoratori.
BIBLIOGRAFIA
1) Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 06/04/2009
n°3753.
2) Protocollo D’Intesa n°2026 del 19/06/2009 sottoscritto dal Prefetto
e dai Vice Commissari- Città de L’Aquila.
3) D.lgs.81/2008 integrato con D.lgs.106/2009.
4) Protocollo D’Intesa:”Emergenza Sisma Abruzzo 2009”del
30/11/2009, sottoscritto dal DRL Abruzzo/DPL L’Aquila, SPSAL
L’Aquila e Comune de L’Aquila.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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IDONEITÀ LAVORATIVA ALLA MANSIONE
01
IDONEITÀ LAVORATIVA ALLA MANSIONE: CONSIDERAZIONI
SULL’INFLUENZA DI ETÀ, GENERE, BMI E FUMO NELLA
DETERMINAZIONE DI PRESCRIZIONI O LIMITAZIONI
M. Montalti, A. Piccioli, A. Pagni, V. Cupelli, G. Arcangeli
Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Sanità Pubblica Sezione di Medicina del Lavoro, Largo P. Palagi, 1/23 - 50139 Firenze
Corrispondenza: Manfredi MONTALTI, Dipartimento di Sanità Pubblica,
Sezione di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Firenze, Largo P.
Palagi, 1/23 - 50139 Firenze E-mail: [email protected]
Parole chiave: invecchiamento, idoneità lavorativa, BMI.
FIT TO WORK: ROLE OF AGE, SEX, BMI AND SMOKING
HABITS IN DETERMINING PRESCRIPTIONS OR LIMITATIONS
ABSTRACT. In accord to the italian occupational health legislation
every workers have to be visited by an occupational doctor in relation to
their occupational risk that release a fit to work certification. We check
fit to work certifications in 2.507 workers (2.075 males and 432 females)
results also thanks to Achille software. The percentage of workers with a
fit to work with limitations is of 7,7%. There is 7,4% of male workers and
9,3% of females with a limit to their fitness to work. The higher incidence
of limitations is in workers over 55 years old in males and between 45
and 54 years old in females, in workers with a BMI over 30, in workers
that smoke more than 20 cigarettes and in workers employed in
companies with more than 15 workers. We can conclude that ageing
workers have a higher rate of limitation, so appear very important to
identify the right job task for this group of workers. Obesity and smoking
more than 20 cigarettes per day are prognostic factors for fitness to work
limitations, so we confirm the importance of health promotions about
right nutrition and stop smocking programmes.
Key words: ageing, fit to work, BMI.
INTRODUZIONE
Negli ultimi decenni l’età di pensionamento si è progressivamente
innalzata, anche in seguito alle decisioni in campo economico attuate da
vari governi europei. Tale situazione ha provocato l’aumento dell’età
media dei lavoratori esposti a rischi professionali.
L’organizzazione internazionale del lavoro (ILO) stima che le persone con più di 65 anni lavorativamente attive nel mondo aumenteranno da 83,2 milioni nel 2000 ad oltre 136 milioni nel 2020 (1, 2).
Inoltre, nei 15 paesi che per primi hanno aderito alla comunità europea, la percentuale dei lavoratori con età compresa tra i 50 ed i 60
anni raddoppierà rispetto ai lavoratori con meno di 25 anni entro
l’anno 2025 (3).
Tale scenario, tra l’altro, farà sì che il medico competente si trovi
sempre più spesso di fronte a lavoratori con condizioni morbose non provocate dall’attività lavorativa che però possono avere su questa notevole
impatto. D’altro canto il D. Lgs 81/08 introducendo la possibilità del medico competente di partecipare a progetti per la promozione della salute
in azienda, fornisce uno strumento importante per la prevenzione del verificarsi di tali situazioni.
Scopo del presente lavoro è quello di valutare eventuali differenze
nelle limitazioni o nelle prescrizioni all’idoneità lavorativa in un gruppo
lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria, tenendo presenti la distribuzione di alcune caratteristiche quali età, sesso, BMI, abitudini voluttuarie, dimensioni dell’azienda e nazionalità.
MATERIALI E METODI
Abbiamo analizzato 2507 idoneità alla mansione di lavoratori
esposti a rischi professionali escludendo i cosiddetti “videoterminalisti”.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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L’analisi è stata effettuata anche grazie al software per l’archiviazione
delle cartelle sanitarie di Medicina del Lavoro “Achille”.
I lavoratori stranieri sono 284 (205 maschi e 79 femmine); i lavoratori italiani 2223 (1870 maschi e 353 femmine). L’età media dei soggetti
esaminati è 42,0 anni±11,3, i lavoratori italiani sono in media più anziani
di quelli stranieri (42,4±11,2 contro 38,2±10,9). Le donne sono mediamente più giovani degli uomini (39,1±7,7 contro 42,6±11,8) ciò avviene
anche nel gruppo dei lavoratori italiani (39,1±8,0 verso 43,1±11,6), ma
non nei lavoratori stranieri (38,7±6,6 rispetto a 38,0±12,1).
RISULTATI
I lavoratori con una limitazione od una prescrizione all’idoneità lavorativa sono il 7,7%. La percentuale dei LLP è più alta nelle donne che
negli uomini (9,3% contro 7,4%), questo avviene nei lavoratori italiani,
ma non in quelli stranieri. Nei lavoratori stranieri la percentuale dei LLP
è minore rispetto agli italiani Gli LLP hanno una età media maggiore rispetto a gli idonei alla mansione (45,7 ± 10,3 rispetto a 41,7 ± 11,3); si
osserva un incremento nella percentuale di lavoratori con limitazioni
progressivo nei gruppi di lavoratori più anziani tranne che nel sottogruppo dei lavoratori stranieri come descritto in tabella I.
Informazioni sul BMI sono disponibili per 1907 lavoratori (1478
maschi e 429 femmine), il valore medio nella popolazione studiata è di
25,4 ±4,1 Kg/m2 (25,9±3,9 nei maschi e 23,9±4,5 nelle femmine). I lavoratori italiani hanno un BMI più alto rispetto a quelli stranieri
(25,6±4,2 rispetto a 24,5±4,3). I LLP hanno un BMI più elevato rispetto
coloro che sono pienamente idonei alla mansione specifica (26,4±5,4
contro 25,3±4,0). Nella Tabella II viene descritta la percentuale dei lavoratori con limitazioni nelle varie fasce di BMI.
La percentuale di limitazioni o prescrizioni all’idoneità lavorativa è
più elevata in quei lavoratori che fumano oltre 20 sigarette/die (11,6%),
mentre non sembrano esserci differenze tra i non fumatori (7,9%), gli ex
fumatori (6,6%) e chi fuma meno di 20 sigarette al giorno (8,5%).
Il consumo di bevande alcoliche non sembra essere un fattore che
determina differenze nella distribuzione delle limitazioni all’idoneità lavorativa.
La distribuzione delle limitazioni è marcatamente differente fra coloro che assumono terapie farmacologiche quotidiane e chi non le assume (15% contro 5,3%).
I lavoratori stranieri del campione analizzato sono occupati nel
57,2% in aziende con meno di 15 dipendenti mentre gli italiani in questo
tipo di aziende sono il 20,4%.
La percentuale di LLP nella aziende con meno di 15 dipendenti è di
4,2% mentre nei dipendenti delle aziende con più di 15 dipendenti è di
8,0%; tale andamento è il medesimo tra lavoratori italiani e stranieri.
DISCUSSIONE
Dalla nostra analisi appare come l’età avanzata, l’elevato BMI, il
fumo, l’assunzione quotidiana di farmaci e il lavorare in aziende con
oltre 15 dipendenti siano fattori associati ad un aumento delle limitazioni
all’idoneità lavorativa. Non è invece correlato con l’aumento delle limitazioni la quantità di alcol assunto quotidianamente.
La minore incidenza di limitazioni e prescrizioni nei lavoratori stranieri può essere spiegato sia dal minor BMI e dalla minore età media di
tali soggetti rispetto ai quelli italiani, sia forse da una maggiore reticenza
nel rivelare i sintomi, ciò potrebbe anche spiegare l’aumento della percentuale di limitazioni all’aumentare delle dimensioni dell’azienda.
Tabella I. Percentuale di lavoratori con prescrizioni
o limitazioni nelle varie fasce di età
Tabella II. Percentuale di lavoratori con prescrizioni
o limitazioni nelle varie fasce di BMI
93
L’assunzione di farmaci, che è un fattore connesso con l’invecchiamento e l’età rappresentano dei fattori per i quali è utile sottolineare la
necessità di una legislazione appropriata per i lavoratori più anziani,
anche al fine di rendere meno difficoltoso il ruolo del medico competente
nell’identificarne il giusto compito lavorativo soprattutto alla luce del
progressivo incremento del limite massimo dell’età lavorativa.
Per quanto la prevalenza di limitazioni e prescrizioni in coloro che
hanno un elevato BMI o che fumano oltre 20 sigarette die è importante
ribadire l’importanza dei programmi di promozione della salute in
azienda, soprattutto se rivolti alla cessazione del fumo o a programmi
volti a migliorare le abitudini alimentari.
BIBLIOGRAFIA
1) G.C. Koh, D. Koh. Occupational health for an ageing workforce: do
we need a geriatric perspective? J Occup Med Toxicol 2006 May 23;
1: 8.
2) Disponibile da: International Labour Organisation [http://laborsta.ilo.org/]
3) Ilmarinen J. The ageing workforce-challenges for occupational
health. Occup Med 2006 56(6):362-364.
02
PROBLEMATICHE INERENTI L’IDONEITÀ LAVORATIVA
DELLE GUARDIE PARTICOLARI GIURATE
E. Militello1, L. Cotroneo1, S. Punzi2, G. Castellini1, M.G. Cassitto1,
B. Cosma2, G. Costa1,2
1
Fondazione IRCCS “Ca’ Granda - Ospedale Maggiore Policlinico”,
Via San Barnaba, 8 - 20122, Milano.
2 Dipartimento di Medicina del Lavoro “Clinica del Lavoro Luigi
Devoto” Università degli Studi di Milano, Via San Barnaba, 8 - 20122,
Milano.
Corrispondenza: Edoardo Militello. Fondazione IRCCS “Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico”, “Clinica del Lavoro Luigi Devoto” Via
San Barnaba, 8 - 20122, Milano. Tel 02/55032620 E-mail:
[email protected]
Parole chiave: guardia particolare giurata, idoneità lavorativa, test
psicodignostici
PROBLEMS RELATED TO FITNESS TO WORK OF SECURITY
GUARDS
ABSTRACT. Security guards are private citizens in charge of
protecting private or public properties. The gun licence they are
equipped with is for self-defence use only, and it is granted after a
medical examination by professionals from specific public institutions.
58 security guards (53 male, mean age 41 years, 89% compulsory
school) were examined for fitness to work in our service from 2006 to
2010; 33 underwent a psychological examination in relation to
aggressive behaviours and alcohol abuse. A protocol including a
psychological interview and a battery of psychological tests
investigating cognitive functions and socio-emotional balance was
administered. 18 out of 33 subjects showed low cognitive performances.
Compared to a control group, security guards reported a higher
depressive tendency to introversion and withdrawal from interpersonal
relationship, and an imbalance between affectivity and rationality; this
resulted in immaturity and acting-out tendency, or inhibition of emotion
expression. Although no psychiatric disorder was diagnosed, the
detected psychological characteristics, far from being peculiar of
security guards, point out the importance of a careful methodology for
the assessment of fitness to work, aimed at investigating psychodynamic,
emotional and behavioural aspects.
INTRODUZIONE
La Guardia Particolare Giurata (GPG) è un privato cittadino, autorizzato ai sensi dell’art. 138 del Testo Unico Leggi di Pubblica Sicurezza
a tutelare i beni mobili ed immobili di privati o enti pubblici, con esclusione della tutela dell’incolumità della persona. Il titolo di GPG è sog-
94
getto a rinnovo biennale previa verifica, da parte delle autorità preposte,
della persistenza dei requisiti legali. Il porto d’armi di cui sono dotate le
GPG, sebbene non in tutti i casi, viene considerato per difesa personale
(seguendo l’emendamento del 18.06.1969 NR.323) e l’uso dell’arma è
soggetto a restrizioni rispetto ai Pubblici Ufficiali. L’art 3 del D.M. Sanità 28.04.1998 prevede che l’accertamento dei requisiti psicofisici minimi (visivi, uditivi, capacità funzionale degli arti superiori e della colonna vertebrale, assenza di alterazioni neurologiche, assenza di disturbi
mentali, di personalità o comportamentali) per l’autorizzazione al porto
d’armi per difesa personale venga effettuato dagli uffici medico legali o
dai distretti sanitari delle unità sanitarie locali o dalle strutture sanitarie
militari e della Polizia di Stato. La letteratura sull’argomento è esigua;
Clerici et al. (2009) hanno rilevato un’incidenza di omicidi e suicidi da
arma da fuoco significativamente maggiore nelle guardie giurate rispetto
alla popolazione generale italiana segnalando, oltre alla disponibilità dell’arma (cft. anche Killias, 1993), condizioni socio-economiche, lavorative e psico-relazionali quali possibili fattori favorenti su cui porre l’attenzione in ottica preventiva. L’obiettivo del presente studio è quello di
approfondire le problematiche inerenti l’idoneità lavorativa delle G.P.G.,
attraverso l’analisi di un campione pervenuto alla nostra attenzione e meritevole di accertamenti psico-diagnostici.
MATERIALI E METODI
Il campione esaminato è composto da 58 GPG (53 maschi, età media
41 anni, 57% coniugati, 89% scolarità media inferiore, anzianità lavorativa media 10 anni), inviate nel periodo 2006-2010 al nostro ambulatorio
specialistico per i seguenti motivi: 34% per assunzione di sostanze (alcool e/o droghe) e sospensione del porto d’armi; 14% per alterazioni
dello stato psichico (ansia ed aggressività elevate); 26% per patologie organiche (cardiovascolari, muscolo-scheletriche e neurologiche); 26% per
un normale controllo periodico. Per 33 soggetti (57% del totale, di cui 31
maschi) si è reso necessario un approfondimento psico-diagnostico, nei
due terzi dei casi in relazione ad agiti comportamentali a sfondo aggressivo, potenzialmente auto o etero lesivi, avvenuti in contesti extra-lavorativi, il più delle volte in associazione ad abuso di alcool. In pochi casi
l’accertamento è stato richiesto per disagio lavorativo o patologia organica con ripercussioni emotive. Per l’approfondimento psico-diagnsotico
è stato somministrato un protocollo ad hoc comprendente un colloquio
psicologico ed una batteria di test che indagano le funzioni cognitive distinte in tre aree: il dinamismo mentale, in particolare le abilità logiche
percettivo-spaziali di tipo visivo e motorio (Raven PM 38, Disegno Cubi
W.A.I.S.); la funzionalità mnestica e le abilità attentive e di concentrazione (Memoria di Cifre W.A.I.S., Digit Serial, V.R.T. di Benton, P.R.M.
di Rey); le abilità percettivo-motorie, in particolare il livello di vigilanza
e attenzione durante lo svolgimento di un compito e la velocità e la destrezza nella coordinazione visuo-motoria (Tempi di Reazione, Associazione Simboli Numeri, Santa Ana, Aiming). È stato inoltre valutato l’equilibrio socio-emotivo attraverso questionari autocompilati (Sintomi
Soggettivi, STAXI, MMPI) e un test proiettivo (Reattivo di Disegno di
Wartegg). Quest’ultimo limita il rischio, presente negli strumenti self-report, che il soggetto possa fornire una visione di sé poco veritiera. I risultati dei vari test sono stati confrontati con i rispettivi valori normativi,
mentre quelli del Reattivo di Disegno di Wartegg sono stati confrontati
con un campione di controllo composto da 54 soggetti sani, omogenei
per genere ed età.
RISULTATI
Dei 33 soggetti sottoposti ad approfondimento psico-diagnostico, il
30.3% presenta un dinamismo mentale non coerente, il 33.3% una funzionalità mnestica ridotta e il 27.3% alterazioni nelle abilità percettivo
motorie. Considerando le tre aree insieme, il 39.4% non presenta alcun
deficit, il 30.3% presenta limitazioni in una di queste, mentre il 24.3%
presenta alterazioni in due o tre aree. Dai questionari autocompilati non
emergono elementi patologici di rilievo, bensì una tendenza a riportare
condizioni psicofisiche positive in riferimento sia alla sintomatologia sia
alla percezione e alla gestione della rabbia. Anche il profilo di personalità, indagato mediante MMPI, non presenta aree psicopatologiche di rilievo. In relazione al Reattivo di Disegno di Wartegg, non si rilevano differenze significative tra le guardie giurate ed il campione di controllo per
quanto riguarda l’interazione con l’ambiente, sebbene nel 53.3% emergano difficoltà di adattamento. Invece, in relazione alla disposizione generale affettiva ed emotiva del soggetto, indice del grado di sintonia nelle
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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relazioni interpersonali, si rileva una maggior coartazione affettiva
(60%) nelle guardie giurate, con una tendenza depressiva all’introversione e al ritiro sociale (χ2 =9.5; p<0.01). Rispetto all’integrità cognitiva,
indicante l’adeguatezza dell’esame di realtà, non si rilevano particolari
problematiche, ma emerge un significativo minor ipercontrollo sulle manifestazioni emotive da parte delle guardie giurate (χ2 =9.4; p<0.05). Rispetto al rapporto tra emotività e razionalità, indicante il grado di stabilità, equilibrio emotivo e auto-controllo, le guardie giurate presentano un
livello significativamente più elevato di sbilanciamento sia sul versante
dell’emotività (30%), con immaturità affettiva e tendenza all’agito, sia
sul versante della razionalità (36.7%), con tendenza all’inibizione dell’espressione dei loro sentimenti ed emozioni (χ2 =12.4; p<0.05). In conclusione 22 soggetti (66.7%) hanno ricevuto un giudizio d’idoneità positivo, 7 (21.2%) sono stati giudicati non idonei temporaneamente (di cui
3 con disturbi della sfera psichica e 3 con abuso di sostanze), 3 (9.1%)
hanno ricevuto un’idoneità con limitazioni (di cui uno con disturbi della
sfera psichica) e una persona, facente uso di sostanze, è stata giudicata
non idonea permanente.
DISCUSSIONE
Per circa la metà dei soggetti si è reso necessario un approfondimento psicologico in relazione a comportamenti disfunzionali, agiti prevalentemente in contesti socio-familiari, che hanno anche comportato
l’intervento delle forze dell’ordine. Le abilità di adattamento all’ambiente sono risultate adeguate nella metà dei casi, mentre nel 54.6% sono
state rilevate basse prestazioni cognitive, che possono spiegare una maggior fragilità nella risposta a stimoli ambientali stressogeni, con eccessiva laboriosità nell’organizzare risposte comportamentali adeguate al
contesto. Dal punto di vista emotivo, nei due terzi dei casi emerge una
difficoltà nel riconoscimento e gestione delle emozioni e nell’integrazione degli aspetti razionali con quelli emotivi ed affettivi. Ciò si traduce
in agiti impulsivi e/o in sottostima degli effetti del proprio comportamento, talvolta eclatanti e con esiti di pericolosità per la propria e altrui
persona. Tali evidenze giustificano una riflessione su questa categoria di
lavoratori che utilizzano un’arma da fuoco. Sebbene non siano emerse
franche patologie psichiatriche, gli aspetti personologici evidenziati,
lungi dall’essere caratteristici delle GPG, portano l’attenzione sull’utilità
di predisporre una metodologia di valutazione dell’idoneità lavorativa
che indaghi in modo approfondito gli aspetti psicodinamici, emotivi e
comportamentali della persona (Clerici et al., 2006).
BIBLIOGRAFIA
Clerici C.A., Invernizzi R., Veneroni L., De’ Micheli A. Suicidi e omicidi
con l’arma di ordinanza. Analisi della casistica nelle guardie particolari giurate in Italia. Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed
Ergonomia 2009; 31: 1, Supplemento A, psicologia
Killias M. International correlation between gun ownership and rates of
omicide and suicide. Can Med assoc J 1993; 148,10: 1721-1725
Clerici C.A., Veneroni L., Invernizzi R. La valutazione dell’idoneità psichica e dei fattori di rischio nelle detenzione e il porto d’armi da fuoco:
una revisione della letteratura e osservazione sull’attuale situazione italiana. Psichiatria e psicoterapia, settembre 2006, 25(3): 226-239
03
IDONEITÀ ALLA MANSIONE SPECIFICA DI LAVORATORI
CARDIOPATICI: QUANDO LA DEFINIZIONE DEL PROFILO
CLINICO-FUNZIONALE PREVALE SULLA DIAGNOSI.
PRESENTAZIONE DI DUE CASI CLINICI
R. Borchini1, S. Colombo1, M. M. Ferrario1,2
1
Medicina del Lavoro e Preventiva. AO Ospedale di Circolo Fondazione Macchi di Varese
2 Dipartimento di Medicina Sperimentale - Università degli studi
dell’Insubria di Varese
Corrispondenza: Rossana Borchini. Medicina del Lavoro e Preventiva.
AO Ospedale di Circolo - Fondazione Macchi, Viale Borri, 57 - 21100 Varese, [email protected]
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FITNESS FOR WORK AND CARDIO-VASCULAR DISEASES:
WHEN THE CARDIAC FUNCTION PROFILE PREVAILS ON
DIAGNOSIS. TWO CASE REPORTS
ABSTRACT. We present two cases of arrhythmogenic right
ventricular dysplasia (ARVD) with a request of assessment of physical
fitness for their job requirements.
The two workers were both employed as emergency medical
technicians (EMT) and ambulance drivers. ARVD is a genetic
cardiomyopathy characterized by structural abnormalities of the right
ventricle that predisposes to arrhythmias. EMT and ambulance driver
workers are at high risk of injury due to driving under emergency
conditions.
The first case was a man, 28 years old, with a family history of
sudden death, had repeated syncopal episodes which led to the
diagnosis. The cardiac exams showed a higher arrhythmogenic risk. The
cardiologists indicated the need of a cardioverter defibrillator.
The second case was also a man, 40 years old, with negative
family history of cardio-vascular diseases and syncopal episodes. The
ARVD was diagnosed after the evidence of unspecific abnormalities at
the ECG. However, after other specific cardiac exams, the subject was
classified at low arrhythmogenic risk and only an annual follow-up
was proposed.
Subsequently, for the two workers opposite indications for job fitness
were given: unfit the first and fit the second. The occupational physician
should operate in close and in deep collaboration with cardiologists, for
a better understanding of the arrhythmogenic risk in subjects with
rhythm disorders, to avoid “a priori” judgments, which may exposed
occupational physicians to increase subject’s risk or unjustified reducing
working capabilities.
Key words: Arrhythmogenic Right Ventricular Dysplasia; Cardiopatic
Worker; Fitness for Work
INTRODUZIONE
Il giudizio di idoneità a mansioni caratterizzate da elevato rischio
infortunistico e/o da responsabilità verso terzi rappresenta un complesso problema per il medico del lavoro quando il lavoratore è affetto da patologie che possono determinare disabilità improvvisa, in
particolare cardiopatie contraddistinte da elevato rischio di aritmie
maggiori.
Al fine di esemplificare il percorso valutativo multidisciplinare da
intraprendere in tali occasioni, vengono presentati i casi clinici di due lavoratori, affetti da displasia aritmogena del ventricolo destro (ARVD),
addetti alla mansione di soccorritore-autista di ambulanze.
La ARVD è una malattia primitiva del muscolo cardiaco, caratterizzata dalla presenza di infiltrazione fibrosa e/o adiposa di regioni
più o meno estese del ventricolo destro (VD) (1, 2). Tali alterazioni
possono determinare uno stato di instabilità elettrica, a causa della
formazione di circuiti di rientro, con insorgenza di aritmie ipercinetiche ventricolari anche maggiori e rischio di morte improvvisa (2). È
una malattia ereditaria, autosomica dominante a penetranza incompleta, di cui è stata dimostrata l’eterogeneità genetica corrispondente
ad un’altrettanto eterogenea manifestazione fenotipica (3, 4). La prevalenza varia da 1/1000 fino a 1/5000 soggetti nella popolazione generale e la presentazione clinica avviene generalmente tra la seconda
e quarta decade di vita (5). Si ritiene che possa essere responsabile
dal 3 al 10% delle morti improvvise in soggetti con meno di 60 anni
e che l’esercizio fisico rappresenti un fattore favorente e precipitante
le aritmie maggiori (6-8).
La mansione di soccorritore-autista di ambulanze è contraddistinta
sia da un evidente rischio infortunistico per il lavoratore, sia da un rischio
per la sicurezza di terzi, entrambi dovuti alla guida dell’automezzo, talvolta in condizioni di emergenza e per tale ragione gravata da una rilevante componente emotiva.
Da una prima valutazione della compatibilità tra la patologia dei due
lavoratori ed il rischio legato alla mansione specifica, emergeva l’indicazione di esprimere quantomeno limitazioni relative alla guida dell’ambulanza e all’attribuzione al turno notturno. Tuttavia, si è ritenuto fondamentale, per definire in modo preciso la specifica condizione di ipersuscettibilità di ciascun soggetto, effettuare una valutazione complessiva
del profilo clinico-funzionale individuale, in collaborazione con lo specialista cardiologo.
95
PRESENTAZIONE CASI CLINICI
Caso n. 1: maschio di 28 anni. Riferiva familiarità per morte improvvisa (padre a 50 anni e nonno paterno a 45) e, in anamnesi patologica, ripetuti episodi sincopali in età giovanile, da cui derivò la diagnosi
di ARVD, a seguito di valutazioni specialistiche cardiologiche. Per un’adeguata definizione del rischio aritmico del soggetto sono stati valutati,
in collaborazione con lo specialista aritmologo, gli accertamenti di seguito riportati.
L’ECG basale mostrava ritmo sinusale, onda epsilon in V1, alterazioni della ripolarizzazione (onde T negative) in V1-V3. L’ECG dinamico secondo Holter registrava ritmo sinusale normocondotto; intervallo
Q-T nei limiti di norma in basale, prolungato durante l’aumento di frequenza cardiaca, per mancato adeguamento; numerose extrasistoli ventricolari, polimorfe, anche ripetitive (63 coppie polimorfe, 5 triplette);
non aritmie sopraventricolari, non pause patologiche. L’ergo-ECG, massimale, documentava extrasistolia ventricolare polimorfa, anche a coppie
e triplette, sia all’acme dello sforzo che durante il recupero, sempre in assenza di sintomatologia. L’Ecocardiogramma evidenziava VD di volume
aumentato con ipocinesia della parete postero-basale; insufficienza tricuspidale di grado lieve; non segni di ipertensione polmonare; nella norma
i reperti a carico delle camere sinistre. La RMN documentava infiltrazione adiposa del miocardio del VD con coinvolgimento della porzione
basale della parete diaframmatica e della porzione media e apicale della
parete libera. Confermava il reperto ecografico di aumentate dimensioni
ventricolari destre e di ipo-acinesia della parete libera. Lo studio elettrofisiologico endocavitario (SEF) veniva eseguito con protocollo di stimolazione programmata, sia dell’apice che del tratto di efflusso del VD, con
induzione riproducibile di tachicardia ventricolare monomorfa sostenuta,
con ciclo 300 ms., interrotta con overdrive ventricolare. Gli accertamenti
evidenziavano, quindi, un quadro di ARVD caratterizzato da elevato rischio aritmogeno e, conseguentemente, lo specialista cardiologo poneva
l’indicazione di impianto di defibrillatore (peraltro rifiutato dal paziente)
e terapia con beta-bloccante.
Caso n. 2: maschio di 40 anni. Familiarità negativa per malattie cardiovascolari e morte improvvisa. Diagnosi di ARVD posta, sei anni
prima, a seguito del riscontro occasionale di aspecifiche alterazioni elettrocardiografiche. Anche per questo soggetto è stata condotta un’approfondita valutazione clinica, in stretta collaborazione con lo specialista
aritmologo, per definire una stratificazione del rischio aritmico individuale. L’ECG basale mostrava ritmo sinusale, blocco di branca destro focale con alterazioni della ripolarizzazione (sopraslivellamento ST in V1
e V2, coved), deviazione assale sinistra. L’ECG dinamico secondo Holter
non registrava aritmie sopraventricolari, né ventricolari; non pause patologiche. L’ergoECG, massimale, non evidenziava modificazioni del
tratto ST, né aritmie. L’Ecocardiogramma mostrava camere cardiache e
strutture valvolari normali per morfologia e cinetica. La RMN mostrava
normali spessori della parete del VD con lieve ondulatura dei profili della
parete libera; minima disomogeneità di segnale in corrispondenza del
setto interventricolare, come da possibile maggiore componente fibrotica; nella norma le restanti camere cardiache. Al SEF si evidenziava un
quadro di normale vulnerabilità ventricolare. In conclusione, per il soggetto esaminato, veniva definito un quadro clinico di ARVD caratterizzato da rischio aritmico molto basso, tanto da indurre lo specialista aritmologo a non porre alcuna indicazione terapeutica, ma solo la raccomandazione di periodici controlli specialistici ed elettrocardiografici.
CONCLUSIONI
La valutazione clinico-strumentale dei due lavoratori esaminati definiva un differente rischio di aritmie maggiori (quindi di disabilità improvvisa): elevato per il soggetto n. 1 e molto basso per il soggetto n. 2.
Conseguentemente, nonostante la medesima diagnosi di patologia miocardica, sono stati espressi giudizi di idoneità alla mansione specifica antitetici: “non idoneità alla mansione” per il soggetto n.1 e “idoneità
piena”, con l’indicazione di periodicità ravvicinata, per il soggetto n.2.
I casi presentati dimostrano come il giudizio di idoneità alla mansione, per lavoratori cardiopatici, non possa prescindere dalla definizione
individuale del profilo funzionale e dalla specifica valutazione prognostica, che il medico del lavoro deve effettuare in stretta collaborazione
con lo specialista cardiologo. Ciò al fine di evitare giudizi “a priori”, formulati genericamente sulla patologia e non sull’individuo, che potrebbero rivelarsi ingiustificatamente penalizzanti il mantenimento della professionalità del lavoratore.
96
BIBLIOGRAFIA
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04
LIMITI DEL TEST ERGOMETRICO NELLA FORMULAZIONE
DEL GIUDIZIO DI IDONEITÀ DI LAVORATRICI SOTTOPOSTE
A MOVIMENTAZIONE MANUALE DI CARICHI
M. Lamberti1, D. Spacone2, G. Ratti2, De R. Rosa3, C. Tedeschi4,
C. Capogrosso4, R. Buonanno1, D. Feola1, N. Sannolo1
1
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Medicina del
Lavoro, Igiene e Tossicologia Industriale, seconda Università degli studi
di Napoli, Via L. De Crecchio, n. 7 Napoli
2 UO di Cardiologia, Ospedale “San Giovanni Bosco”, ASL NA1
3 UO di Radiologia, Ospedale “San Gennaro “, ASL NA1
4 UO di Cardiologia, Ospedale “San Gennaro “, ASL NA1
Corrispondenza: Monica Lamberti, Sezione di Medicina del Lavoro,
Igiene e Tossicologia Industriale, Dipartimento di Medicina Sperimentale,
Seconda Università degli Studi di Napoli, Via De Crecchio, 7 - 80138,
Napoli, e-mail: [email protected]; [email protected],
tel: 0815665901
Parole chiave: donne lavoratrici, movimentazione manuale dei carichi, TAC multistrato
LIMITATIONS OF ERGOMETRIC TEST IN THE ASSESSMENT
OF SUITABILITY OF WOMEN WORKERS SUBMITTED TO
MANUAL MATERIAL HANDLING
ABSTRACT. Today, women working population, submitted to
manual handling of loads (MHL), goes always on rising. For example
nurses or medical-assistants that perform actions like trasporting,
supporting, putting down, pushing, pulling, carrying or moving peoples
or things.These operations, by their very nature, not only provoke
musculoskeletal and neurovascular lesions to the vertebral column but
also increase the cardiac and respiratory rate. It’s not unusual the
occurring of left ventricular hypertrophy as a compensatory mechanism,
in the long term, in response to the pressure overload, following activities
such as weightlifting. In this case, the cardiovascular valuing, by
electrocardiogram and ergometric test, is not enough for Occupational
Health Physician (OHP) to identify atherosclerotic disease in women
workers submitted to MHL. We have proposed a health protocol that
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includes the using of new imaging techniques as multislice computed
comography (MSCT). It is the most reliable method to exclude the
presence of cardiovascular diseases because has got the most negative
predictive value variable from 97 to 99% and a discreet positive
predictive value. In conclusion MSCT is a non-invasive technique very
useful for OHP to judge the suitability for specific task in women
workers, submitted to MHL, with medium cardiovascular risk and
atypical thoracic pain.
Key words: women workers, manual handling of loads, Multislice
Computed Tomography
INTRODUZIONE
Oggi giorno sono sempre più numerose le donne che, in ambito lavorativo, sono adette alla movimentazione manuale dei carichi (MMC).
Basti pensare al settore sanitario dove le infermiere e tutto il personale paramedico si occupa di movimentazione manuale dei pazienti e dei
relativi presidi (lettini, barelle,etc.).
Scopo del presente lavoro è quello di dimostrare l’importanza dell’utilizzo di nuove tecniche di imaging per l’esatta formulazione del giudizio di idoneità di donne sottoposte a MMC con dolore toracico atipico.
Fino ad oggi, infatti, il medico competente si è basato esclusivamente sui
dati forniti da indagini strumentali come l’ECG, l’ecocardiogramma e il
test ergometrico (TE) (come da protocollo sanitario Simlii) che sono,
spesso, risultate non dirimenti specialmente nella identificazione della
malattia aterosclerotica nelle lavoratrici sottoposte a MMC. La TC multistrato (TCMS), per l’elevato valore predittivo negativo, permette di colmare i limiti del TE e favorisce la caratterizzazione delle placche potenzialmente vulnerabili, per le quali è indicato un trattamento farmacologico aggressivo (1).
MATERIALI E METODI
39 lavoratrici addette a MMC con età media 52±8 aani sono state
sottoposte a TE e a TCMS. In rapporto alla probabilità post test di malattia coronarica (secondo il metodo Morise e Jalisi),(2-3) ottenuta al TE,
le lavoratrici sono state suddivise in tre gruppi:
Gruppo A con probabilità post-test ergometrico alta(score>60) (8 lavoratrici), Gruppo B con probabilità post-test intermedia (score fra 4060) (21 lavoratrici) e Gruppo C con probabilità post-test bassa
(score<40) (10 lavoratrici). È stata utilizzata una TC multislide a 16 strati
previa bradicardizzazione delle lavoratrici.
Sono state considerate significative placche coronariche determinanti una stenosi ≥50%. È stata effettuata una ulteriore classificazione
delle lavoratrici in base al numero di segmenti coronarici con placche secondo l’American heart association.
RISULTATI
Gruppo A: Analisi per paziente: in una lavoratrice (12% del totale)
non sono state identificate placche, in sette (87%) placche non significative e solo in due (25%) sono state individuate delle placche significative. Analisi per segmento: il numero dei segmenti con ateromasia era
di 4±5.
Gruppo B: Analisi per paziente: in due (10%) non sono state identificate placche, in 16 (76%) placche non significative e significative solo
in una lavoratrice (5%). Analisi per segmento:il numero dei segmenti con
ateromasia era di 3±5.
Gruppo C: Analisi per paziente: in tre (30%) lavoratrici non sono
state identificate placche, non significative in cinque (50%) e significative in una (10%). Analisi per segmento: il numero dei segmenti con ateromasia era di 2±3. Le lavoratrici con placche significative sono state
sottoposte successivamente a coronarografia.
DISCUSSIONE
I tests di screening comunemente utilizzati per confermare o escludere una patologia coronarica (elettrocardiogramma, ecocardiogramma,
test ergometrico) sono meno attendibili nella donna rispetto all’uomo
come evidenziato dalla letteratura internazionale (2). Le lavoratrici addette alla movimentazione manuale dei carichi (MMC) sono sottoposte a
sollecitazioni del sistema cardiocircolatorio e la valutazione del Medico
Competente, con il solo esame elettrocardiografico, spesso richiede un
ulteriore approfondimento diagnostico.
Gli studi pubblicati finora, confermano in modo uniforme che la TC
rappresenta la tecnica non invasiva dotata di maggior potere predittivo
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Figura 1 Ricostruzione 3D volume
rendering della coronaria destra
con stenosi >50%
97
05
VALUTAZIONE DELL’IDONEITÀ LAVORATIVA IN UN GRUPPO
DI SOGGETTI AFFETTI DA SINDROME DI EHLERS-DANLOS
A. Bassotti1, C. Pozzi2, L. Vigna1, L. Riboldi1, P.A. Bertazzi2
1
UO Medicina del Lavoro 1; Clinica del Lavoro L Devoto, Fondazione
IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Milano
2 Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università degli
Studi di Milano; Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore
Policlinico, Milano
Corrispondenza: Dr Carola Pozzi Scuola di Specializzazione in
Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Milano; Clinica del
Lavoro L Devoto, Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore
Policlinico, via S Barnaba 8, 20122 Milano. Tel +390255032593. E-mail:
[email protected]
Figura 2 Ricostruzione MPR
curva di coronaria destra con
evidenza al tratto medio di
placca non calcifica con
stenosi > 50%
negativo, pari a circa 97-99% e di un discreto potere predittivo positivo.
In altri termini, la TC coronarica è una metodica estremamente affidabile
per escludere la presenza di malattia coronarica identificando con ottima
accuratezza i pazienti con albero coronarico indenne (3-4).
Questa tecnica risulta essere pertanto la metodica di scelta in pazienti, a bassa o intermedia probabilità di cardiopatia ischemica, con dolore toracico atipico (5).
CONCLUSIONI
Un protocollo sanitario basato sull’utilizzo di nuove tecniche di imaging, favorendo l’identificazione di stenosi coronariche, anche non significative, è un ausilio necessario per il Medico Competente nelle lavoratrici sottoposte a MMC, con rischio cardiovascolare intermedio e presenza di sintomatologia atipica laddove le indagini strumentali preliminari, come l’elettrocardiogramma ed il test ergometrico,non hanno fornito dati attendibili ai fini dell’esatta formulazione del giudizio di idoneità alla mansione specifica (6).
BIBLIOGRAFIA
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movimentazione manuale di carichi e sottoposti a stenting coronarico. G Ital Med Lav Erg. 2009; 31: 3, Suppl 2: 130-131.
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EVALUATION OF FITNESS FOR WORK IN PATIENTS WITH
EHLERS-DANLOS SINDROME
ABSTRACT. Since january 2008 a outpatient clinic dedicated to
“rare dieseases and work” expecially dedicate to Ehlers-Danlos
Sindrome (EDS) was run in the Clinica del Lavoro L Devoto of Milano.
EDS is a chronic degenerative etherogeneic group of connettive
tissue’ rare diseases characterized by hyperextensible skin, joint
hypermobility; and varying degrees of vessel and tissue fragility. The
main forms are classical, hypermobile, vascular, kyphoscoliotic,
arthrochalasis and dermatosparaxis types. Hypermobility may affect
large and small joints (Figure 3) and may lead to dislocations. Joint
swelling and effusions as well as arthritis or arthrosis (associated with
stiffening of the joints) at an early age are typical complications.
Chronic pain impared quality of life in EDS patients compromising
also work ability.
In our Clinic we evaluated the fitness for work in 8 female patients,
7 with classical form of EDS and 1 with vascular form.
Key words: Ehlers-Danlos sindrome, chronic illness, fitness for work.
Dal Gennaio 2008 presso la Clinica del Lavoro “L. Devoto” di Milano è attivo un ambulatorio dedicato alle “Malattie rare e lavoro”, che si
occupa di diagnosi, follow up clinico e valutazione dell’idoneità lavorativa di pazienti affetti da malattie rare, prevalentemente dedicato alla Sindrome di Ehlers-Danlos (EDS) per la quale è anche Centro di riferimento
regionale.
L’EDS è una malattia del tessuto connettivo di tipo cronico degenerativo, ad ereditarietà autosomica dominante o recessiva, e comprende un
gruppo eterogeneo di quadri clinici che hanno in comune ipermobilità articolare, estensibilità cutanea e fragilità generalizzata dei tessuti. Ha una
prevalenza stimata di 1 su 5-10000 soggetti, senza distinzione di sesso o
di gruppo etnico. La classificazione attuale prevede 6 tipi di EDS (classico, ipermobile, vascolare, cifoscoliotico, artrocalasia, dermatosparassi), ciascuno dei quali rappresenta una malattia ben distinta, dovuta ad
un preciso difetto molecolare.
Le manifestazioni cliniche tipiche includono: a livello cutaneo pelle
soffice e vellutata, iperestensibile, fragile, suscettibile di lacerazioni e
contusioni anche per traumi lievi, che lasciano cicatrici allargate con
eventuale formazione di cheloidi; a livello articolare iperlassità legamentosa con conseguente instabilità articolare, spesso accompagnata da
ipotonia muscolare, frequenti dislocazioni e/o sublussazioni anche spontanee, alterazioni della colonna vertebrale (cifoscoliosi), piede equino
varo o piatto.
A carico di altri organi vi sono: fragilità e rottura di arterie o degli organi interni come utero ed intestino (tipo vascolare), ptosi degli organi interni (intestino, reni); formazione di ernie o laparoceli; interessamento oculare con strabismo, lussazione del cristallino o fragilità del bulbo oculare.
I ripetuti traumi subiti da un’articolazione instabile causano nel
tempo versamenti e danni alla capsula articolare, portando ad una
osteoartrosi con dolore articolare, che insorge precocemente.
L’esperienza del dolore cronico diminuisce la qualità della vita interferendo con quasi tutti gli aspetti della vita quotidiana (sonno, lavoro
o studio, relazioni sociali e vita sessuale) e negli anni può pregiudicare la
coordinazione dei movimenti riducendo l’autonomia del paziente.
98
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CASISTICA E METODI
Nel nostro ambulatorio, dall’aprile al giugno 2010, abbiamo valutato
l’idoneità lavorativa di 8 pazienti, di sesso femminile, di età comprese tra
i 27 ed i 45 anni, di cui 7 affette da EDS di tipo classico e 1 da EDS di
tipo vascolare. Solo due di queste pazienti avevano riconosciuta un’invalidità civile e, di queste due, solo con un grado di invalidità sufficiente
per essere iscritta nelle liste del collocamento obbligatorio e per avere il
riconoscimento del diritto ad usufruire delle riduzioni d’orario previste
dalla legge 104.
VALUTAZIONE LAVORATIVA
Differenti erano la condizione clinica delle pazienti, l’attività e le
problematiche lavorative e quindi le limitazioni all’attività lavorativa da
noi suggerite, come evidenziato dalla tabella I.
CONCLUSIONI
Una corretta valutazione dell’idoneità lavorativa residua consente a
questi pazienti di mantenersi attivi nel mondo del lavoro. Purtroppo ad
oggi, specie nei casi più gravi ed in assenza di appropriati titoli di studio,
la maggior pare di questi soggetti sono costretti a ritirarsi dal mondo del
lavoro, nonostante il riconoscimento di invalidità civile di grado tale da
far rientrare questi pazienti nelle liste del collocamento obbligatorio.
Naturalmente è necessario prima di tutto arrivare alla formulazione
di una corretta diagnosi della malattia e ad un suo rigoroso inquadramento clinico, condizione essenziale per una buona valutazione delle capacità lavorative della persona e quindi della sua idoneità a svolgere specifiche mansioni. Per questo motivo è importante, nell’affrontare queste
problematiche, poter fare riferimento a Centri specializzati che diventano, in questo modo, supporto prezioso all’attività dei Medici Competenti. Nel nostro Centro, inoltre, per tre pazienti, due affetti da EDS di
tipo ipermobile ed 1 affetta da EDS di tipo classico, di età compresa tra
i 15 ed i 20 anni, abbiamo ricercato anche una collaborazione con il
mondo della scuola, al fine di consentire loro, nonostante le interferenze
sulla frequenza scolastica e sulla capacità di studio, di raggiungere, attraverso programmi ridotti ed utilizzo di verifiche di apprendimento con-
Tabella I
cordate, di conseguire un titolo di studio che consenta loro di svolgere attività consone con il loro stato fisico. Il fatto di poter continuare a svolgere un’attività lavorativa migliora la qualità di vita ed aumenta la compliance ed un iter terapeutico ad oggi finalizzato solo al limitare la progressione della malattia.
BIBLIOGRAFIA
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STRESS LAVORO CORRELATO
01
LA VALUTAZIONE OBIETTIVA DEI FATTORI DI RISCHIO STRESS
LAVORO-CORRELATI: ESPERIENZE APPLICATIVE DEL METODO
OSFA (OBJECTIVE STRESS FACTORS ANALYSIS)
S. Tonini1,2, A. Bruni3, E. Fiabane3, E. Dondi1,2, F. Scafa1,2,
S.M. Candura1,2, P.G. Argentero3
99
nari self-report, generalmente anonimi, che vengono somministrati all’intera popolazione presa in esame o ad un campione significativo, nonostante siano stati più volte evidenziati limiti (finalità epidemiologiche,
influenze dei tratti di personalità) che possono interferire con una corretta
valutazione (3).
L’approccio oggettivo si basa invece sull’analisi del lavoro svolto
con riferimento ai contenuti delle attività ed al contesto nel quale esse
sono condotte. In questo ambito si colloca il metodo OSFA (Objective
Stress Factors Analysis) che prevede la valutazione obiettiva, tramite
procedure standardizzate, delle condizioni di lavoro riconosciute come
potenzialmente dannose per la salute psicofisica dei lavoratori. Questo
metodo consta di due fasi principali: una prima (articolata in 2 sottofasi), in cui vengono prese in esame le potenziali fonti di stress, ed una
seconda (solo se la fase 1 ha evidenziato situazioni di evidente criticità)
che prevede la valutazione dei fattori di stress impiegando misure di tipo
soggettivo (questionari, test o focus-group).
1
Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università degli
Studi di Pavia e 2 Unità Operativa di Medicina del Lavoro, Fondazione
Salvatore Maugeri, Clinica del Lavoro e della Riabilitazione, IRCCS,
Istituto Scientifico di Pavia
3 Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Pavia
Corrispondenza: Dott. Stefano Tonini - U.O. di Medicina del Lavoro Fondazione Salvatore Maugeri, Via Maugeri 10 - 27100 Pavia - E-mail:
[email protected]
WORK-RELATED STRESS RISK EVALUATION: APPLICATIVE
EXPERIENCES OF THE OSFA (OBJECTIVE STRESS FACTORS
ANALYSIS) METHOD
ABSTRACT. The OSFA (Objective Stress Factors Analysis)
method is an approach to stress evaluation based on objective risk
factors recording, according to the Italian law as well as to national
and international guidelines. The method evaluates the work
conditions recognized as hazardous for the worker’s psychophysical
health. It comprises two main phases: phase A (company data
analysis) and phase B (analysis of work-related stress conditions).
Particularly, phase B is focused on the work conditions peculiar to the
different organizational units, and it is conducted by means of
structured interviews to experienced employees who know the specific
company reality. The interviews consider four main work aspects:
organization, social environment, safety, and management. The
instrument has been tested on 34 medium-small companies of
Lumbardy (Italy), operating in various fields, with a number of
employees ranging from 5 to 107. The OSFA method proved to be
adequate in relation to the exhaustiveness of the examined areas, the
intelligibility of the items, and their capacity to discriminate the stress
risk factors related to the various productive activities. The approach
is easy to apply, and favourably accepted by employers and workers.
Additionally, the OSFA method allows to plan preventive and
improvement interventions, according to both the Legislative Decree
81/08 and the European agreement of October 8, 2004. Finally, the
information obtained can represent the basis for a further stress risk
evaluation through subjective evaluation methods.
Key words: stress, psychosocial risk, objective evaluation.
INTRODUZIONE
I diversi interventi legislativi riguardanti lo stress lavorativo e la sua
valutazione (D.Lgs. 81/2008, D.Lgs. 106/2009, Accordo Europeo dell’8
Ottobre 2004, Accordo Interconfederale dell’8 Giugno 2008, alcune
norme ISO 10075), sottolineano l’importanza (o l’obbligo) di effettuare
la valutazione del rischio stress cui sono esposti i lavoratori, ma non affrontano direttamente le questioni inerenti i metodi di valutazione e non
suggeriscono un approccio condiviso (1).
La valutazione dello stress occupazionale è un processo complesso
che può essere affrontato facendo ricorso a due approcci: soggettivo ed
oggettivo (2).
L’approccio soggettivo indaga le percezioni dei lavoratori riguardo
le caratteristiche e le condizioni del proprio lavoro. Si avvale di questio-
SOGGETTI E METODI
La sperimentazione è stata condotta su 34 aziende di dimensioni
medio-piccole (tra i 5 e i 107 dipendenti) (Tabella I), della regione Lombardia nel periodo Novembre 2008 - Marzo 2010. I settori di appartenenza sono indicati nella tabella II.
In funzione delle dimensioni e della complessità della aziende, i
panel di lavoratori esperti coinvolti nella valutazione sono risultati
composti da 3-6 elementi, operanti in diversi ruoli aziendali: RSPP,
RLS, direttore di stabilimento, capo reparto, responsabile di funzione o
di area produttiva, medico competente. Si tratta di persone capaci di
fornire informazioni dettagliate ed attendibili sulle attività e sul contesto lavorativo.
Tabella I. Dimensioni delle aziende esaminate
Tabella II. Settori di appartenenza
100
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È stata quindi effettuata la prima fase di valutazione: per ciascun
soggetto è stato calcolato un punteggio complessivo per le quattro aree
dell’intervista (sommando i punteggi dei relativi item), il punteggio percentuale, ed infine il punteggio medio del panel di valutatori per ciascuna
area. I dati e le informazioni raccolte nelle 2 sotto-fasi sono state poi elaborate e condivise con il medico competente.
RISULTATI
Nella Tabella III sono riportati i valori medi dei dati richiesti alle
aziende coinvolte; risultano molto bassi sia gli indicatori di tipo “sanitario” (malattie ed infortuni), sia quelli di tipo “comportamentale” (assenteismo, turnover, lamentele e richieste di cambio mansione).
La Tabella IV riporta le statistiche descrittive dei risultati grezzi
delle quattro aree indagate per tutte le aziende. Per consentire un migliore confronto tra i risultati delle quattro aree sono stati calcolati i
punteggi percentuali, che vengono riportati nella Tabella V. Come si
può osservare, i punteggi variano in misura sensibile da azienda ad
azienda, evidenziando le specificità delle diverse realtà. Ad esempio
l’azienda n. 1, che complessivamente riporta i valori più elevati, denota
una situazione critica soprattutto per gli aspetti gestionali ed organizzativi, mentre evidenzia valori inferiori riguardo l’area della sicurezza.
Differente è il caso dell’azienda n. 34, dove si sono riscontrati valori
molto bassi in tutte le aree. In altri casi si sono ottenuti valori simili o
uguali in un’area, ma il metodo ha messo in luce differenze per altri
aspetti; ad esempio le aziende n. 13 e 14 hanno registrato il medesimo
risultato negli aspetti gestionali (21,79) ma si sono differenziate nettamente negli aspetti inerenti la sicurezza (14,81 per l’azienda n.13 e
27,78 per la n. 14). Una netta disparità intraaziendale si nota nella
realtà n. 10 in cui si riscontra una differenza significativa tra il valore
rilevato nell’ambito gestionale (50,00) e quello relativo alla sicurezza
(6,94). Le criticità maggiori sono state mediamente evidenziate in riferimento agli aspetti gestionali, probabilmente anche per una maggiore
attenzione volta a tale ambito.
Sulla base delle informazioni raccolte attraverso le interviste strutturate e di quanto emerso dai dati statistici aziendali, si è ritenuto che in tutte
le aziende esaminate le fonti di rischio stress lavoro-correlato fossero limitate e che quindi non fosse necessario procedere alla fase 2 del metodo.
Si è proceduto quindi all’integrazione del documento di valutazione
del rischio aziendale con i risultati ottenuti dalla valutazione del rischio
stress. Per ciascuna azienda si è stilata una relazione comprendente: 1)
descrizione della metodologia; 2) criteri di valutazione considerati; 3)
dati statistici aziendali raccolti; 4) analisi delle condizioni di rischio; 5)
misure preventive e protettive da adottare; 6) tempistiche di realizzazione degli interventi.
Il documento di valutazione del rischio stress lavoro-correlato presenta nella prima parte i dati quantitativi emersi dalle interviste, riportando per ciascun item la distribuzione percentuale delle risposte fornite
dai valutatori. I dati sono poi aggregati percentualmente in 4 aree: aspetti
organizzativi del lavoro, aspetti sociali, aspetti correlati alla sicurezza e
aspetti gestionali. La seconda parte del documento è invece di tipo qualitativo: sulla base di quanto emerso vengono segnalate le priorità su cui intervenire, evidenziando gli specifici fattori di rischio e le corrispondenti
iniziative di miglioramento e prevenzione. Nell’ultima parte vengono infine indicate le tempistiche di realizzazione degli interventi attuabili.
Tabella III. Dati statistici aziendali riferiti all’ultimo
anno (valori medi)
Tabella IV. Risultati per area esaminata (statistiche descrittive)
Tabella V. Punteggi percentuali delle aree esaminate
nelle 34 aziende
DISCUSSIONE
L’approccio graduale alla stima del rischio, la modalità di coinvolgimento dei lavoratori e l’attenzione posta sull’analisi del lavoro piuttosto che sulle percezioni individuali, sono le caratteristiche che hanno
consentito al metodo OSFA di essere accolto favorevolmente dalle diverse parti aziendali (datori di lavoro, dirigenti, lavoratori e sindacati).
Vengono inoltre rispettati i criteri di valutazione indicati dalla European
Agency for Safety and Health at Work (4, 5): come avviene per i rischi fisico-ambientali, il metodo OSFA consente di identificare i fattori di rischio stress attribuendo loro un ordine di priorità, al fine di pianificare interventi migliorativi mirati ed efficaci.
In sintesi, riteniamo che il metodo presenti i seguenti vantaggi:
1) numero ridotto di soggetti coinvolti: sono considerate solo alcune figure di riferimento, individuate perché esperte delle caratteristiche
del lavoro e dell’organizzazione;
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
2) collegialità: la valutazione è operata da più soggetti, con diversi
ruoli professionali, le cui valutazioni vengono poi confrontate per ottenere un quadro coerente ed esaustivo;
3) brevità del processo: se non emergono criticità, è possibile concludere la valutazione in tempi brevi senza ricorrere ad approfondimenti soggettivi;
4) qualità e completezza delle informazioni: il metodo, condotto da personale qualificato, fornisce agli intervistati la possibilità di fare riferimento a elementi non contemplati nell’intervista, ma strettamente
relativi ai fattori oggettivi in corso di analisi;
5) accuratezza dei dati: ottenibile attraverso il raffronto tra dati provenienti da diverse fonti e la “triangolazione” tra indicatori statistici ed
elementi ottenuti dall’analisi del lavoro.
Dall’esperienza diretta è emerso come sia stato favorevolmente accettato anche sul piano sindacale poiché garantisce rispetto della privacy
e prevede l’analisi esclusiva delle condizioni di lavoro senza fattori di
confondimento legati alla soggettività.
Pare opportuno, in futuro, estendere la sperimentazione a contesti
organizzativi più complessi, nonché raccogliere dati su un numero più
elevato di aziende per poter operare confronti sulla base delle dimensioni
aziendali e della loro tipologia produttiva.
BIBLIOGRAFIA
1) Kasl SV. Methodologies in stress and health: past difficulties, present dilemmas and future directions. In: Kasl SV, Cooper CL. Eds.
Stress and Health: Issues in Research Methodology. New York:
Wiley, 1993, 307-318.
2) Frese M, Zapf D. Methodological issues in the study of work stress:
Objective vs. subjective measurement of work stress and the question of the longitudinal studies. In: Cooper CL, Payne R. Eds.
Causes, coping, and consequences of stress at work. Chichester, England: Wiley, 1988, 375-411.
3) Tabanelli MC, Depolo M, Cooke RMT, et al. Available instruments
for measurement of psychosocial factors in the work environment.
Int Arch Occup Environ Health 2008; 82: 1-12.
4) European Agency for Safety and Health at Work (2002) Prevenzione
pratica dei rischi psicosociali e dello stress sul lavoro http://osha.europa.eu/it/publications/reports/104/view
5) European Agency for Safety and Health at Work (2007) Risk assessment essentials, http://osha.europa.eu/en/publications/other/rat2007/view
02
L’INTEGRAZIONE DI MISURE OGGETTIVE E SOGGETTIVE
PER LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO STRESS LAVOROCORRELATO: IL METODO V.I.S.
A. Falco1, L. Dal Corso1, F. Sarto2, L. Vianello2, D. Girardi1,
G. Marcuzzo3, D. Magosso4, N.A. De Carlo1, G.B. Bartolucci3
1
Dipartimento di Psicologia Applicata, Università di Padova, via
Venezia 8, 35131 Padova
2 Dipartimento di Prevenzione SPISAL, ASL n. 16, via Ospedale 22,
35100, Padova
3 Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica
dell’Università di Padova, Via Giustiniani 2, 35128 Padova
4 Centro Regionale di Riferimento per l’Ergonomia Occupazionale
(CRREO), Regione del Veneto, piazza Cesare Battisti 11, 35026 Conselve
(PD)
Corrispondenza: Dott.ssa Alessandra Falco, Università degli Studi di
Padova, Dipartimento di Psicologia Applicata, Via Venezia 8, 35131
Padova, Italia - Telefono 049 827 65 90, Fax 049 827 6590, Mobile 347
1274389, e-mail [email protected]
Parole chiave: Metodo V.I.S.; misure oggettive di stress; focus group
101
THE INTEGRATION OF OBJECTIVE AND SUBJECTIVE
MEASURES FOR THE ASSESSMENT OF WORK-RELATED STRESS
RISK: THE V.I.S. METHOD
ABSTRACT. To date, the literature shows a widespread commitment
in trying to clearly understand the relationship between “objective” and
“subjective” indicators of stress, and the weight of these factors in the
process of work-related stress risk assessment. In various applications
some interesting correlations between objective measures and subjective
dimensions of stressors and strain emerge. These correlations, however,
are not always consistent with the assumptions, thus highlighting the
need to strengthen the methods and the techniques on which the studies
are based.
In the perspective of an integrated approach – in line with the most
credited European guidelines – the authors of this paper decided to develop a method for better assessing the “objective” dimensions. This
procedure, called V.I.S. Method (Assessment through Stress Indicators) is
based on a “multi-method” evaluation approach, articulated in several
stages and easier to apply, as it does not involve all the workers in the
first instance.
In this study, the results of various surveys are discussed. These surveys were designed to assess the risk of work-related stress exposure, and
point out the applicability and the advantages of integrated analyses. Research conducted by the authors and described in this contribution highlight on the empirical level relevant correlations – which need more applied confirmation – between subjective and objective indicators.
Key words: V.I.S. Method; objective measures of stress; focus group
INTRODUZIONE
A tutt’oggi la letteratura internazionale testimonia un rilevante impegno nel cercare di comprendere la relazione fra indicatori “oggettivi”
e “soggettivi” di stress, nonché il peso che tali fattori possono esercitare
nel processo di valutazione (1). Un confronto fra gli studi risulta però difficoltoso, a causa delle loro specificità. Tuttavia, da talune applicazioni
emergono interessanti correlazioni tra alcune misure oggettive, fra cui
assenze per malattia, mobilità, turnover, errori e dimensioni soggettive
di stressors e strain. Poiché tali correlazioni non sono sempre costanti e
in linea con le ipotesi formulate, si riscontra la necessità di approfondire
le metodologie e le tecniche su cui sono incentrati gli studi stessi.
Per una rassegna sulle relazioni esistenti fra misure oggettive e soggettive si veda Falco et al., 2010 (2).
Anche il rapporto fra auto-valutazione (misure self-report in cui il lavoratore esprime il suo vissuto e le sue percezioni) ed etero-valutazione
dei fattori di rischio (eseguita da altri, fra cui ad esempio lo specialista
della prevenzione e sicurezza o il responsabile organizzativo) costituisce
un argomento su cui sono incentrati molti contributi della letteratura internazionale. Va comunque rilevato che non di rado le correlazioni fra le
due categorie di dati sono contraddittorie, collocandosi su valori di bassa
intensità di convergenza, pur se in talune indagini si riscontrano invece
alti valori di convergenza, compresi fra 0.65 e 0.70 (p<.001) (3).
Le prospettive vanno quindi integrate, facendo confluire in una interpretazione organica le due metodiche. Secondo gli Autori del presente
studio, una possibile soluzione consiste nel rafforzare l’etero-valutazione
avvalendosi dei giudizi di professionisti di diversa competenza. Anche da
tale ipotesi metodologica deriva infatti il Metodo V.I.S. (4) che, oltre alle
misure oggettive, utilizza etero-valutazioni ricavate da focus group condotte secondo procedure per quanto possibile standardizzate. Esso si
fonda su un approccio “multi-metodo” articolato in più fasi e complessivamente più breve del self-report, dato che non coinvolge in prima
istanza tutti i lavoratori. Al suo interno viene valutata la magnitudo del
rischio stress lavoro-correlato attraverso focus group di esperti e la valutazione di indicatori oggettivi. Vengono valutati dal medico competente
anche gli effetti dei fattori di rischio sulla salute dei lavoratori.
MATERIALI E METODI
Il presente studio ha un duplice obiettivo, consistente sia nella valutazione del rischio stress lavoro-correlato cui sono esposti 410 lavoratori
operanti in un’organizzazione di servizi, sia nella sperimentazione dell’applicabilità/opportunità di utilizzare una metodologia integrata di analisi
volta alla misurazione di parametri oggettivi e soggettivi di stress. Si fornisce in tal modo un ulteriore contributo alla validazione del Metodo V.I.S.
Gli strumenti usati sono le schede componenti quest’ultimo metodo,
nonché il Test Qu-Bo di valutazione del rischio stress lavoro-correlato
102
(5). In questo elaborato vengono discussi i risultati che si riferiscono alle
seguenti tematiche: relazione fra le etero-valutazioni di stress – focus
group, convergenza della valutazione dell’RSPP, del responsabile delle
risorse umane, dei responsabili di reparto, dell’RLS, del medico competente – e le misure soggettive rilevate attraverso la percezione dei lavoratori; relazione fra specifiche misure oggettive di stress – assenze, richieste di mobilità, infortuni, cessazioni volontarie – e misure soggettive
(fattori di rischio e conseguenze) rilevate attraverso la percezione dei lavoratori.
Nella prima fase è stato somministrato a tutti i dipendenti il Test QuBo. Successivamente, è stato richiesto all’Ufficio Risorse Umane di
compilare la scheda 1 del Metodo V.I.S., riferita agli indicatori oggettivi
dell’azienda; la scheda così compilata è stata oggetto di approfondimento
nei focus group.
Per la compilazione della scheda 2 sono stati individuati tre gruppi
omogenei di lavoratori, corrispondenti ad altrettanti settori aziendali.
Alla compilazione della scheda 2 hanno contribuito, nell’ambito dei
focus group, i diversi soggetti aziendali della prevenzione. Attualmente
sono in corso di compilazione le schede 3 e 4 da parte del medico competente.
RISULTATI E DISCUSSIONE
In primo luogo è stata presa in esame la correlazione fra auto ed etero
valutazione dei fattori di rischio in relazione all’intera organizzazione. A
tal fine sono stati analizzati i singoli item della scheda 2 V.I.S. (etero-valutazione) ed i corrispettivi item del Test Qu-BO (auto-valutazione). Le
correlazioni, calcolate con il coefficiente di correlazione di Pearson, evidenziano una relazione positiva pari a 0.361 (p<0.001), la quale indica
una convergenza di media intensità fra auto ed etero valutazioni.
Il dato sintetico è stato successivamente disaggregato in relazione ai
tre settori (Settore A, B e C) presi in esame (Tabella I).
Le correlazioni sono tutte positive (anche per il settore B si registra
una tendenza alla significatività) e indicano una convergenza di media
intensità tra auto ed etero valutazioni. Successivamente si è calcolata,
mediante il coefficiente di correlazione non parametrico ρ di Spearman,
a livello dell’intera organizzazione, la correlazione fra auto ed etero valutazione per ciascuna delle dimensioni che compongono la scheda 2
V.I.S. Pur considerando i risultati con la dovuta cautela, date le contenute
numerosità campionarie, si notano correlazioni positive, intense e significativamente diverse da zero nel caso delle dimensioni carico del lavoro
(ρ = 0.744; p<0.001) e gestione della sicurezza (ρ = 0.738; ρ = 0.023),
nonché correlazioni positive e di media intensità in relazione alla autonomia e alla crescita professionale. Non significative sono le correlazioni
sulla dimensione “processi sociali”.
È stata infine presa in esame la correlazione tra auto-valutazione dei
fattori di rischio e alcuni indicatori oggettivi di stress, quali assenze, cessazioni volontarie, contratti a tempo determinato e tassi di mobilità interna. I risultati mettono in luce che fra l’auto-valutazione dei fattori di
rischio e alcuni indicatori oggettivi di stress esistono interessanti correlazioni positive, attualmente in corso di approfondimento. A loro volta,
le correlazioni fra i giudizi degli soggetti aziendali della prevenzione e
quelli espressi dai singoli lavoratori – anch’esse attualmente in corso di
approfondimento e di ulteriori sperimentazioni in altre organizzazioni –
testimoniano, in conclusione, l’utilità di un uso congiunto delle due procedure e dunque l’importanza di una loro integrazione allo scopo di perseguire un’effettiva, e non solo ipotetica alla luce della letteratura internazionale, conoscenza dei fenomeni. Le correlazioni ottenute fra i due
metodi hanno fornito inoltre un importante contributo sulla conoscenza
delle “potenzialità” predittive del Metodo V.I.S. in relazione ai fattori di
rischio stress lavoro-correlati.
Tabella I. Correlazione tra auto ed etero valutazione: singoli settori
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
BIBLIOGRAFIA
1) Rugulies R, Aust B, Pejtersen JH. Do psychosocial work environment factors measured with scale from the Copenhagen Psychosocial Questionnaire predict register-based sickness absence of 3
weeks or more in Denmark? Scand J Public Health 2010; 38: 42-50.
2) Falco A, Dal Corso L, Sarto F, Vianello L, Girardi D, Marcuzzo G,
Magosso D, De Carlo NA, Bartolucci GB. Il ruolo degli indicatori
“oggettivi” ed “intersoggettivi” nella valutazione del rischio stress
lavoro-correlato: il Metodo di Valutazione per Indicatori di Stress. It
J Occup Environ Hyg 2010 (under Review).
3) Grebner SN, Semmer NK, Elfering A. Working conditions and three
types of well-being: A longitudinal study with self-report and rating
data. J Occup Health Psychol 2005; 10: 31-43.
4) Sarto F, De Carlo NA, Falco, A, Vianello, L, Zanella, D, Magosso,
D, Bartolucci, GB, Dal Corso, L. Stress lavoro-correlato: Il Metodo
V.I.S. per la valutazione. Sole24Ore, 2009; 15: 2-23.
5) De Carlo NA, Falco A, Capozza D. Test di valutazione dello stress
lavoro-correlato nella prospettiva del benessere organizzativo, QuBo. Milano, FrancoAngeli, 200.
03
METODO DI VALUTAZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO RELATIVI
ALLO STRESS LAVORO-CORRELATO
F.S. Violante1, M.C. Tabanelli1, D. Guglielmi2, M. Depolo2
1
Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Sezione di Medicina del
Lavoro, Dipartimento di Medicina Interna, dell’Invecchiamento e
Malattie Nefrologiche, via Palagi, 9, 40138 Bologna, Italy
2 Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Dipartimento di Scienze
dell’Educazione “Giovanni Maria Bertin”, e Laboratorio LavOriO
(Facoltà di Psicologia) via F. Re, 6 - 40126 Bologna, Italy
Corrispondenza: Maria Carla Tabanelli, via Palagi, 9, 40138 Bologna, Italy
- Tel. 051.6362754, Fax 051.301968, E-mail: [email protected]
Parole chiave: stress lavoro-correlato, fattori di rischio psicosociali,
misure oggettive
WORK RELATED STRESS: AN ASSESSMENT METHODOLOGY
OF RISK FACTORS
ABSTRACT. Introduction. Most of the research on work-related
stress has been focused on self-rated assessment of stressors. The selfreported perceptions may be influenced by workers’ interpretations. It is
important to adopt instruments also based on objective measures (i.e.
independent from the assessor).
Materials and methods. According to these premises, it has been realized an Assessment Methodology of work related stress Risk Factors,
founded on objective, subjective and observative analysis.
Results. The Assessment Methodology of Work-Related Stress Risk
Factors was experimented with pilot study on health workers.
Discussion. Objective, subjective and observative analysis, gives a
better assessment to employer as to D.Lgs. 81/2008.
Key words: work-related stress, psychosocial risk factor, objective
measure.
INTRODUZIONE
In questi ultimi anni, la valutazione dei fattori psicosociali è stata oggetto di numerosi studi e l’argomento è riconosciuto di fondamentale importanza a livello nazionale e internazionale (Kompier MAJ, Kristensen
TS 2001).
Il D.Lgs. 81/2008, ha meglio precisato in Italia l’obbligo, da parte
del datore di lavoro, di valutare anche i rischi collegati allo stress lavorocorrelato, tra cui i rischi psicosociali, anche se non vi è ancora un accordo
scientifico e professionale completo circa la loro definizione e la loro misurazione.
La natura stessa dei fattori di rischio psicosociale (collegati sia allo
stimolo ambientale che alle modalità di risposta da parte dell’operatore),
rende concettualmente impossibile operare con la logica del nesso cau-
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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sale diretto e dell’individuazione di soglie accettabili di esposizione,
come tradizionalmente si fa, ad esempio, per l’esposizione ad agenti fisici o chimici. In questo campo occorre, invece, operare secondo una metodologia di intervento che privilegi la precisa contestualizzazione dei
possibili fattori di rischio, prestando particolare attenzione al sistema di
organizzazione e gestione delle risorse umane.
Una recente revisione (Tabanelli MC et al., 2008) ha evidenziato che
la maggior parte delle informazioni ad oggi disponibili deriva da modelli
concettuali di riferimento (Karasek RA 1985) e da strumenti di misura
basati principalmente su dati autoriferiti da parte dei lavoratori.
L’uso di strumenti esclusivamente soggettivi nello studio di questi
fenomeni è influenzato da possibili bias derivanti principalmente dalle
interpretazioni personali dei fattori di rischio o delle condizioni di lavoro
da parte del lavoratore.
Al fine di superare tali limiti, diventa necessario l’utilizzo di misure
oggettive, che siano cioè tendenzialmente in grado di non mutare al variare del valutatore (Theorell T, Hasselhorn HM 2005).
MATERIALI E METODI
Partendo da questi presupposti, è stato realizzato un metodo di valutazione, mirato a risolvere le diverse criticità sopra indicate e basato sia
su analisi oggettive ed osservazionali (Semmer NK et al., 1999; Leitner
K, Resch M, 2005), sia su analisi di tipo soggettivo.
Metodo di valutazione dello stress lavoro correlato
1. Scheda informativa aziendale. Scheda strutturata che viene compilata dall’azienda e contiene informazioni sul contesto organizzativo.
2. Intervista semi-strutturata. Ha l’obiettivo di approfondire i dati raccolti attraverso la scheda informativa, con il contributo di figure
chiave (Management, RSPP, Medico Competente).
3. Osservazione tramite checklist per comprendere compiti lavorativi e
natura dell’attività. Si caratterizza per una valutazione sul campo tramite psicologi con formazione specifica.
4. Questionario: indaga fattori quali, ad esempio, sviluppo personale,
soddisfazione lavorativa, processi di comunicazione, oltre ad esplorare dimensioni comuni alla checklist: contenuto del lavoro, carico
di lavoro, supporto sociale (Siegrist J et al., 2009)1.
RISULTATI
Il metodo è stato sperimentato in uno studio pilota, condotto con due
giudici indipendenti, su lavoratori in ambito sanitario. Questa prima modalità di validazione aveva l’obiettivo di misurare l’accordo fra osservatori attraverso l’utilizzo del Multiple-item Estimator (James LR et al.,
1993). I dati emersi hanno confermato l’affidabilità della checklist di osservazione, che si è confermata strumento agevole dotato di validità e
praticità (Panari C et al.,2009).
DISCUSSIONE
Il metodo di valutazione dello stress lavoro-correlato qui presentato
si pone l’obiettivo di arrivare ad una valutazione più efficace dello stress
lavoro-correlato attraverso l’utilizzo di strumenti di natura diversa.
La triangolazione dei dati ottenuti, meglio garantisce al datore di lavoro di disporre di una valutazione affidabile che permetta di adempiere
a quanto previsto dalla normativa (D.Lgs. 81/2008). Si aggiunge la possibilità di individuare possibili markers di criticità, da utilizzare come
base per un monitoraggio periodico sistematico del rischio di stress lavoro-correlato.
BIBLIOGRAFIA
James LR, Demaree RG, Wolf G. An assessment of Within-Group Interrater Agreement. J Applied Psychol 1993, 78 (2): 306-309.
Karasek RA. Job Content Questionnaire. Los Angeles: Department of Industrial and Systems Engineering, University of Southern California
1985.
Kompier MAJ, Kristensen, TS. Organizational work stress interventions
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Ed., Stress in the workplace: Past, present and future. Philadelphia,
PA: Whurr Publishers 2001, 164-90.
Leitner K, Resch M. Do the effects of job stressors on health persist over
time? A longitudinal study with observational stressor measures. J
Occup Health Psychol 2005; 10 (1): 18-30.
103
Panari C, Tabanelli MC, Guglielmi D, Violante FS. La valutazione dei
fattori che incidono sullo stress lavoro-correlato: l’accordo fra osservatori di uno strumento osservativo Risorsa Uomo, Franco Angeli
2009; 4.
Semmer NK, Zapf D, Dunckel H. Stress-oriented job-analysis ISTA. In
H. Dunckel Ed, Handbuch zur arbeitsanalyse. Zürich: Verlag der Fachvereine 1999, 1063-1070.
Siegrist J, Wege N, Pühlhofer F, Wahrendorf M. A short generic measure
of work stress in the era of globalization: effort-reward imbalance.
Int Arch Occup Environ Health 2009; 82: 1005-1013.
Tabanelli MC et al. Available instruments for measurement of psychosocial factors in the work environment. Int Arch Occup Environ Health
2008; 82: 1-12.
Theorell T, Hasselhorn, HM. On cross-sectional questionnaire studies of
relationship between psychosocial condition at work and health - are
they reliable. Int Arch Occup Environ Health 2005; 78: 517-522.
1
Il lavoro di ricerca sul campo è stato coordinato dalle dr.sse Chiara
Panari e Silvia Simbula (Università di Bologna).
04
VALUTAZIONE DEL RISCHIO STRESS LAVORO-CORRELATO
NEGLI ADDETTI AL CALL-CENTER: RISULTATI DI UN’INDAGINE
CONDOTTA TRAMITE QUESTIONARIO ED INTERVISTA
SEMI-STRUTTURATA
P.M. Conway1,2, P. Campanini1,2, D. Camerino1,2, S. Punzi1,2,
G.P. Fichera1,2, S. Sartori3, G. Castellini1,2, G. Costa1,2
1
Dipartimento di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Milano
Fondazione IRCCS “Ca’ Granda - Ospedale Maggiore Policlinico”,
Milano
3 Institute of Medical Statistics and Biometrics, “G.A. Maccacaro”,
Università degli Studi di Milano, Milan, Italy
2
ABSTRACT. Psychological and physical well-being of call-centre
employees may be impacted by several work-related stress factors,
deriving from the way work operations are typically planned in such
settings (job design) and other human resource management practices.
Aim of this study is to report results of an investigation on work-related
stress factors and well-being among call-centre employees of an Italian
telephone service company. We conducted a cross-sectional study based
on a mixed quali-quantitative approach (questionnaire and semistructured interview). Overall, 1106 call-centre operators participated in
the study (response rate 98,9%). 77% were women, mean age 33.3 years
(s.d. 4.3) and mean job seniority 8 years (s.d. 2.2). Most worked parttime (75,8%), on a rotating shift schedule (91,3%) and performed inbound call handling (58,8%). According to questionnaire, the most
unfavourable work-related stress risk factors were poor career
perspectives, inadequate employees’ performance assessment, low
worktime flexibility and repetitive tasks. Such factors are consistently
associated with employees’ well-being, mostly job satisfaction.
Interviews revealed sources of discomfort related to high work pressures,
inadequate resources for client management, heavy performance
monitoring, insufficient work breaks and emotion labour. Therefore,
measures should improve job content and organization context to
enhance well-being among call-centre employees, especially those
performing in-bound call handling.
INTRODUZIONE
L’elevata saturazione del mercato delle telecomunicazioni ha portato
le aziende del settore ad operare investimenti sempre più ingenti nell’area dell’assistenza, con lo scopo di attrarre e fidelizzare la clientela. La
figura dell’addetto al call-center è divenuta quindi una categoria professionale numericamente rilevante, in Italia così come nella maggioranza
dei paesi del globo (Gilardi et al., 2008). Il modello organizzativo tipico
dei call-center è il cosiddetto “lean system”, caratterizzato da due ele-
104
menti principali: l’integrazione dei flussi lavorativi e la semplificazione
dei processi. L’implementazione nel contesto operativo di questi elementi comporta determinate scelte in termini di “job design”, le quali
possono a loro volta implicare la presenza di potenziali fonti di stress lavoro-correlato, quali l’elevata pressione lavorativa, la scarsa discrezionalità su tempi e metodi di lavoro, l’alta ripetitività, l’ambiguità e i conflitti di ruolo, ecc. (Sprigg e Jackson, 2006). Nel corso delle interazioni
telefoniche con i clienti, gli addetti al call-center devono inoltre confrontarsi frequentemente con situazioni ad intenso carico emotivo, rese ancora più gravose dalla necessità di reprimere le proprie reazioni spontanee anche di fronte ad utilizzatori aggressivi (“lavoro emotivo”; Zapf,
2002). Inoltre, questi lavoratori operano in ambiti in cui spesso le possibilità di crescita sono limitate, con probabili ripercussioni in termini di
scarsa valorizzazione del personale. Se la presenza più o meno intensa
dei fattori sopracitati può comportare, da un lato, rischi per la salute psicofisica, dall’altro può incidere sul grado di soddisfazione lavorativa del
personale, ostacolandone così la motivazione ed il contributo sul piano
della qualità e della quantità delle prestazioni.
METODI
Il presente studio, di natura trasversale, è stato condotto, nel periodo
2007-2008, su un campione di 1106 addetti al call-center (35.9% della popolazione aziendale complessiva; tasso di risposta 98,9%), impiegati a
tempo indeterminato presso la divisione call-center in-house di una
grande multinazionale del settore delle comunicazioni (complessivamente
otto sedi distribuite sul territorio italiano). L’indagine è stata realizzata
mediante approcci di tipo quantitativo e qualitativo. La parte quantitativa
si è avvalsa di un questionario auto-compilato, comprendente scale di misura validate ed item costruiti ad-hoc per lo studio specifico. Le scale impiegate hanno valutato i seguenti fattori: monitoraggio della performance
e soddisfazione ambientale (adattate da Norman, 2005), carico emotivo e
dissonanza emotiva (Bakker et al., 2003), carico di lavoro psicologico,
conflitto di ruolo, autonomia decisionale e supporto sociale da parte di superiori e colleghi (Baldasseroni et al., 2001), possibilità di carriera (Siegrist et al., 2004), conflitto lavoro/casa (Barton et al., 1995) e valutazione
del personale (scala creata dagli autori). Item creati ad-hoc hanno invece
valutato la qualità della formazione/aggiornamento, l’ambiguità di ruolo,
la flessibilità dell’orario di lavoro e la varietà/ripetitività del compito. Il
questionario comprendeva anche scale per la valutazione dei seguenti indicatori di salute/benessere: disturbi psichici minori (GHQ-12; Goldberg,
1972), capacità di lavoro (WAI; Tuomi et al., 1998); fatica cronica, sintomi gastrointestinali, sintomi cardiovascolari e soddisfazione lavorativa
(misure tratte dall’SSI; Barton et al., 1995). La parte qualitativa ha invece
previsto un’intervista semi-strutturata, comprendente domande appositamente sviluppate con l’obiettivo di approfondire l’ambito oggetto di indagine, così da disporre di informazioni più concrete (in quanto direttamente contestualizzate nella realtà specifica) rispetto ai possibili aspetti
critici del lavoro. Le risposte fornite dai soggetti sono state sottoposte a
categorizzazione. Analisi. I punteggi di tutti i fattori esaminati nel questionario sono stati trasformati linearmente in modo che variassero da 0 a
100, al fine di renderli confrontabili (punteggi più elevati indicano una
condizione più sfavorevole). Le differenze per gruppo omogeneo (sesso,
età, anzianità aziendale, contratto orario, tipologia di attività) sono state
analizzate tramite ANCOVA. Per ciascun indicatore di salute/benessere, è
stata condotta un’analisi di regressione lineare multivariata, aggiustata per
fattori di confondimento potenzialmente rilevanti. Per quanto riguarda le
interviste semi-strutturate, le differenze tra gruppi omogenei sono state
verificate tramite il test chi-quadro. Le analisi sono state condotte mediante il pacchetto statistico SPSS 13.0.
RISULTATI
Il campione è composto per il 77% da donne, l’età media è di 33.3
anni (ds 4.3), 1’anzianità aziendale di 8 (sd 2.2). Il 75,8% è costituito da
addetti part-time, il 58,8% svolge attività di tipo in-bound (chiamate in entrata). Il 91,3% lavora su turni a rotazione. Questionario. I fattori di rischio
stress lavoro-correlato più critici si osservano in relazione alle possibilità
di crescita, al carico psicologico del lavoro, all’adeguatezza della valutazione del personale, alla flessibilità degli orari di lavoro e alla ripetitività
dei compiti. Aspetti più favorevoli riguardano invece il sostegno sociale e
la chiarezza di ruolo. Nel complesso, i risultati indicano punteggi meno favorevoli in particolare negli addetti alle attività in-bound, ma anche nelle
donne e nel personale full-time. La maggior parte dei fattori di rischio con-
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siderati è risultata significativamente associata (sebbene con forza variabile) ai diversi indicatori di salute/benessere esaminati (in particolar modo
alla soddisfazione lavorativa). Intervista semi-strutturata. Circa i due terzi
dei soggetti intervistati hanno segnalato la presenza di fonti elevate di pressione, legate soprattutto alla “necessità di raggiungere i target di performance” (32,7%), al “tempo insufficiente per la gestione dei clienti” (19%)
e al “dover fare molte cose allo stesso tempo” (11,1%), tutti aspetti giustificati dall’elevato numero di contatti e dai tempi medi di chiamata ristretti.
Per il 55,3% le risorse fornite dall’azienda per la gestione del cliente risultano inadeguate, soprattutto per il “tempo non sufficiente” (22%) e la presenza di “problemi con le strumentazioni informatiche” (10,8%). Il 73,2%
ha segnalato criticità in relazione al sistema di monitoraggio della performance, legate soprattutto alla presenza di “obiettivi troppo difficili da raggiungere” (25,8%) e al fatto che “l’azienda privilegia la quantità rispetto
alla qualità dei contatti” (18%). Infine, il 43,6% considera inadeguate le
pause di lavoro, in particolare per via del “tempo non sufficiente per il
pasto” (15,5%), delle “pause insufficienti per numero e/o durata” (11,9%)
e del “sistema informatico per la prenotazione delle pause inadeguato rispetto ai bisogni specifici” (8,5%). Il 75% ha dichiarato che la gestione dei
clienti comporta notevoli sforzi emotivi, soprattutto per l’arroganza/maleducazione di molti interlocutori. Infine, il 97,5% e l’83,2% dei soggetti ha
considerato positive le relazioni con, rispettivamente, i colleghi di pari
grado e i superiori diretti. I risultati dei testi chi-quadro indicano che, con
la sola eccezione dei rapporti con i colleghi, gli addetti alle attività inbound hanno segnalato i sopracitati aspetti critici in misura significativamente maggiore rispetto ai colleghi out-bound.
DISCUSSIONE
In linea con la letteratura prevalente, l’indagine condotta indica la
presenza, nell’attività di addetto al call-center, di alcuni fattori di rischio
stress lavoro-correlato, legati sia a scelte inerenti la gestione del personale (possibilità di crescita, modalità di valutazione del personale, flessibilità dell’orario di lavoro) che alla natura dei compiti svolti (carico psicologico, ripetitività, dissonanza emotiva, monitoraggio della performance, ecc.). Molti di questi fattori risultano maggiormente critici negli
addetti coinvolti nelle attività di ricezione delle chiamate (in-bound). A
livello degli interventi sull’organizzazione, la priorità è dunque quella di
intervenire al fine di aumentare il grado di valorizzazione del personale,
mentre sul piano dei compiti risulta opportuno ridefinire i livelli di pressione lavorativa e le forme di monitoraggio delle prestazioni. I risultati
delle interviste semi-strutturate (e un’adeguata analisi oggettiva dell’organizzazione) consentono di riferire i fattori di rischio evidenziati ad
aspetti concreti dell’attività lavorativa, permettendo quindi una migliore
identificazione delle misure correttive e/o di compensazione utili da realizzare ai fini della promozione del benessere organizzativo.
BIBLIOGRAFIA
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05
VALUTAZIONE DELLO STRESS SOGGETTIVO IN DUE
POPOLAZIONI LAVORATIVE A CONFRONTO
G. Tomei1, A. Sancini2, T. Caciari2, M. Fiaschetti2, P. Palermo2,
Z. Tasciotti 2, B.G. Ponticiello2, C. Cetica3, C. Monti2, S. Veggetti1,
R. Giubilati2, M. Ciarrocca2, A. Pacchiarotti2, S. De Sio2, I. Samperi2,
M. Fioravanti1, F. Tomei2
1 “Sapienza” Università di Roma. Dipartimento di Scienze Psichiatriche
e Psicologia Clinica, Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Roma
2 “Sapienza” Università di Roma; Unità Operativa di Medicina del
Lavoro; Dipartimento di Scienze Anatomiche, Istologiche, MedicoLegali e dell’Apparato Locomotore; viale Regina Elena n. 336 - 00161
Roma
3 EURISTAT - Direttore Scientifico, via delle Botteghe Oscure 54, 00186
Roma
Corrispondenza: Prof. Francesco Tomei, Address: Via Monte delle
Gioie No. 13, 00199 Rome, Italy, Phone: +39 06 49912565, +39 06
49912530, Fax: +39 06 86203178, +39 06 49912554, E-mail:
[email protected]
INTRODUZIONE
Lo stress lavorativo è un problema complesso, correlabile alle caratteristiche organizzative, fisiche e sociali del lavoro e dell’ambiente di lavoro (1).
Alcune categorie di lavoratori sono considerate più esposte a rischio
stress. Ad esempio, per gli addetti al videoterminale, molto studiati in letteratura, sono previsti obblighi di legge che tutelano, tra gli altri, anche
rischi professionali legati a stress e fatica mentale. Un’altra categoria, per
la quale non esistono in letteratura studi sullo stress percepito, è quella
dei tecnici ambiente di una grande città, addetti alla manutenzione del
verde pubblico, che spesso lavorano in ambienti impervi che impediscono l’introduzione di sistemi meccanizzati.
I dati di letteratura identificano diversi strumenti per valutare il rischio
stress: fisiologici; epidemiologici; soggettivi, quali questionari mirati. Recentemente abbiamo utilizzato un questionario breve (2), specifico per la
valutazione dello stress lavorativo, che si presenta come uno strumento di
facile comprensione per il lavoratore e rapida somministrazione durante la
vista medica di sorveglianza sanitaria per il medico competente.
Scopo del presente studio è valutare la possibilità di monitorare, attraverso un questionario originale breve, specifico per i luoghi di lavoro
e appositamente predisposto dal nostro gruppo di ricerca, le condizioni
specifiche di stress in cui si trovano addetti al VDT e tecnici ambiente.
MATERIALI E METODI
Il questionario, costituito da 8 items che indagano grado di autonomia, responsabilità decisionale ed impegno continuo sul lavoro, problematiche di interazione con colleghi e/o utenti, soddisfazione personale,
preoccupazione per le conseguenze del lavoro sullo stato di salute, con
modalità di risposta distribuite su 7 punti (da 1 = per nulla a 7 = tantissimo), è stato somministrato, durante le visite per la sorveglianza sanitaria
obbligatoria, a due gruppi di lavoratori di sesso maschile: tecnici ambiente
(n. 100) e addetti al VDT (n. 100), costruiti in modo omogeneo per età
anagrafica (VDT: m. = 49.8, d.s. = 6.1; TA: m. = 49.6, d.s. = 6.1) ed anzianità lavorativa (VDT: m. = 21.4, d.s. = 7.8; TA: m. = 21.5, d.s. = 7.8).
Tutti i lavoratori hanno acconsentito al trattamento dei propri dati,
dichiarando di essere a conoscenza che essi rientravano nel novero dei
“dati sensibili”, e acconsentendo al trattamento anonimo e collettivo dei
dati scaturiti, con modalità e scopi scientifici in accordo alla Dichiarazione di Helsinki.
105
L’analisi statistica dei dati è stata effettuata tramite la differenza
delle medie tra gruppi (test di Student) per i punteggi dei singoli items e
per quello totale del questionario, con differenze considerate significative per valori di p<0,05. L’analisi fattoriale, metodo delle componenti
principali con rotazione normalizzata dei fattori (estrazione dei fattori limitata a quelli con autovalore -eigen value- superiore a 1), è stata condotta per esplorare la struttura del questionario. I punteggi fattoriali sono
stati sottoposti ad analisi della differenza tra gruppi (test di Student).
L’attendibilità degli items del questionario è stata analizzata mediante il
coefficiente alfa di Cronbach.
RISULTATI
I risultati relativi alla media ottenuta dalla somma dei punteggi di tutti
gli items negli addetti al vdt (29.46) mostrano un incremento statisticamente significativo rispetto al gruppo dei tecnici ambiente (28.14). Vi è da
considerare che comunque i valori medi dei due gruppi sono inferiori alla
mediana della gamma di punteggi possibili ma che la dispersione dei valori dei video terminalisti intorno alla media è più ampia dell’altro gruppo
di lavoratori. Ciò sta ad indicare che anche se il livello medio di stress nei
due gruppi è da considerarsi al di sotto della soglia, il numero di componenti del gruppo video terminalisti con punteggi oltre la soglia è sensibilmente più grande di quello dei tecnici ambiente. Inoltre sono state evidenziate differenze significative per gli items n. 6, 7 e 8 (punteggi più elevati
negli addetti al VDT) e per l’item 4 (punteggio più elevato nei tecnici ambiente) (tab. I). L’analisi fattoriale ha identificato tre fattori: 1) la libertà e
l’autonomia inerente lo svolgimento delle proprie mansioni; 2) aspetti negativi del lavoro ed interferenti con il proprio benessere psico-fisico; 3) il
peso avvertito dal lavoratore circa la responsabilità che comporta il suo lavoro. Un punteggio significativamente più elevato è stato riscontrato, per
il terzo fattore, nei tecnici ambiente e per il secondo fattore negli addetti al
VDT (tab. I). Il questionario, nella sua conformazione attuale di 8 items,
presenta un coefficiente di attendibilità alfa di Cronbach di 0.36.
DISCUSSIONE
L’analisi dei risultati ottenuti dal confronto tra la valutazione soggettiva delle fonti di stress nelle due categorie di lavoratori indica che è
possibile identificare rischi specifici di stress tramite il questionario utilizzato, al quale, alla luce di questi risultati, sono stati aggiunti due ulteriori items (tab. II).
Le principali fonti di stress percepito dai lavoratori addetti al VDT
della nostra casistica sono la possibilità che nello svolgimento della propria mansione si crei una conflittualità con gli altri, le scarse soddisfazioni personali derivanti dal lavoro e la percezione che il proprio lavoro
possa avere conseguenze negative sulla salute e sul benessere psico-fisico, in linea con i dati presenti in letteratura (3, 4).
Per i tecnici ambiente, per i quali non risultano studi in proposito, risulta in generale un livello di stress meno elevato che nei video terminalisti, accompagnato anche da un numero meno rilevante di casi con punteggi oltre la soglia rispetto a quello presentato dall’altro gruppo. In particolare, per i tecnici ambiente risulta stressante la necessità di prendere
decisioni improvvise e il peso avvertito dal lavoratore circa la responsabilità del lavoro.
Tali risultati indicano che le caratteristiche dell’ambiente e dei contenuti del lavoro possono indurre lo sviluppo di reazioni di stress specifiche in diverse categorie lavorative e quindi, in linea con lavori di letteratura, l’opportunità di sviluppare strategie preventive mirate alle fonti di
stress specifiche individuabili in ogni ambiente di lavoro (5).
Tabella I. Medie e deviazioni standard degli items
del questionario e dei punteggi fattoriali
106
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Tabella II. Questionario a 10 items
Per quanto riguarda il questionario originale breve, specifico per i
luoghi di lavoro e appositamente predisposto dal nostro gruppo di ricerca,
dai dati ottenuti in questo studio e nella nostra precedente ricerca (2), si
conferma la sua validità di costrutto ma si evidenzia anche la necessità di
aumentarne il numero degli item per ottenere una migliore attendibilità
dello strumento di misura indicata da un coefficiente alfa di Cronbach più
elevato e per avere la possibilità di discriminare ulteriori diverse fonti di
stress rilevanti in altre categorie di lavoratori non valutate finora. Tale
strumento rappresenta inoltre un modello per costruire un questionario
che non solo sia utilizzabile come indicatore generico di stress ma anche
e soprattutto un modo per conoscere le aree problematiche che vengono
vissute come più stressanti dal lavoratore e su cui avere indicazioni per un
intervento specifico e mirato volto alla protezione della sua salute.
BIBLIOGRAFIA
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2) Sancini A, Schifano MP, Di Giorgio V, Caciari T, Fiaschetti M, Scimitto L, Cetica C, Tomei F, Fioravanti M, Tomei G. Stress characteristics in different work conditions: it is possible to identify specificity of
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working with video display terminals. Occup Environ Med 2001;
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4) Tomei G, Rosati MV, Martini A, Tarsitani L, Biondi M, Pancheri P,
Monti C, Ciarrocca M, Capozzella A, Tomei F. Assessment of
subjective stress in video-display terminal workers. Ind Health 2006;
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5) Janwantanakul P, Pensri P, Jiamjarasrangsi W, Singsongsook T. Association between prevalence of self-reported musculoskeletal
symptoms of the spine and biopsychosocial factors among office
workers. J Occup Health 2009; 51 (2): 114-22.
06
PERCEZIONE DELLO STRESS LAVORATIVO E DELL’INSICUREZZA
DEL POSTO DI LAVORO DA PARTE DI SANITARI
IN FORMAZIONE PRESSO L’UNIVERSITÀ
L. Forcella, A. Di Donato, A. Turano, C. Greco, F. Martino, P. Boscolo
Unità Operativa di Medicina del Lavoro dell’Università di ChietiPescara, Via dei Vestini, 66100 Chieti
Corrispondenza: Paolo Boscolo, Medicina del Lavoro, Università di
Chieti, Via dei Vestini, 66110 Chieti, Tel e fax 0871-355704, e-mail:
[email protected]
OCCUPATIONAL STRESS AND JOB INSECURITY IN THE
PHYSICIANS IN TRAINING IN A UNIVERSITY
ABSTRACT. Previous studies showed that anxiety, occupational stress
and job insecurity may affect men working in a university. Anxiety (STAI I
and STAI II), job strain and insecurity (Italian version of the Karasek’s test)
and blood NK activity (determined by the immune response to leukemia
cells) of both 118 men and 68 women working in the same university are
reported. A group of old male employees with high job strain and anxiety
showed lower blood NK activity. Young male employees with temporary job
also showed reduced blood NK activity, while male doctors in training in
Odontoiatry showed increased job demand and strain but anxiety and job
insecurity and NK activity within the normal range. Moreover, the women
in training to become dentist assistants showed less decision latitude and
more job strain than the female doctors attending the course of
specialization in Odontoiatry. Analysis of all the data showed that young
men and women with emotional stability, in training in the university, may
tolerate occupational stressful situations without alteration of the immune
response and of the health status.
Key words: occupational stress, job insecurity, immune response
INTRODUZIONE
L’attività NK citotossica ematica (che difende dalle infezioni e dai
tumori) è stata rinvenuta ridotta in soggetti con instabilità mentale, stile
di vita scadente ed abitudine a fumare (1) ed in soggetti con disordini depressivi (2). Lo stress lavorativo, come quello dei sanitari che svolgono
turni notturni, può ridurre l’attività NK citotossica ematica (3). A questo
riguardo, il nostro gruppo ha riscontrato, in impiegate a contatto con gli
studenti universitari, un aumento della percezione dello stress lavorativo
e dell’ansia di stato (temporanea) associata a riduzione dell’attività NK
citotossica ematica (4). L’attività NK citotossica ematica è stata anche
rinvenuta ridotta anche in uomini e donne disoccupate, residenti nell’area
di San Francisco tra il 1991 ed il 1994 in un periodo di recessione (5).
Scopo di quest’articolo è, in particolare, quello di riportare i risultati
raccolti dal nostro gruppo dal 2007 sugli effetti dello stress lavorativo e
la percezione dell’insicurezza del posto di lavoro di uomini e donne che
lavoravano o seguivano corsi di formazione nell’università.
MATERIALI E METODI
Sono stati studiati 118 uomini e 68 donne. Gli uomini erano composti da: a) impiegati (età superiore a 40 anni) con attività negli uffici od
addetti ad una biblioteca a contatto con gli studenti, b) impiegati giovani
(età media 35 anni) con una posizione lavorativa stabile o con lavoro
temporaneo, c) laureati nelle professioni sanitarie (età media di 35 anni)
stabilizzati od in formazione, in prevalenza partecipanti ad un corso biennale in Odontoiatria.
Le donne erano composte da: a) laureate partecipanti ad un corso
biennale di formazione in Odontoiatria, b) diplomate, partecipanti ad un
corso biennale di “assistenti alla poltrona”.
In queste indagini, sono stati utilizzati lo STAI I e STAI II per valutare l’ansia di stato e di tratto (6). La percezione dello stress lavorativo è
stata valutata con una versione italiana del test di Karasek. Questa versione (7) è composta di 49 domande: 9 determinano la “decision-latitude”, 20 la “job demand”, 8 il supporto sociale e 9 la “job insecurity”.
La risposta immunitaria è stata analizzata determinando le sottopopolazioni linfocitarie e mediante un test” in vitro” di citotossicità (1).
RISULTATI
I valori di STAI I e STAI II, “decision latitude” e “job strain” degli uomini impiegati in biblioteca (gruppo B) erano più elevati di quelli dei controlli (gruppo A) mentre l’attività citotossica ematica era ridotta (tabella I).
I valori di STAI I and STAI II e “job insecurity” degli uomini impiegati con lavoro precario (grouppo D) erano più elevati di quelli dei sanitari in formazione e degli impiegati di controllo(gruppi C ed E); inoltre
essi avevano ridotta attività citotossica ematica (tabella I).
I sanitari in formazione (soprattutto nel settore dell’Odontoiatria)
(gruppo F) presentavano valori di ansietà e di attività citotossica ematica
simili a quelli dei sanitari stabilizzati (gruppo F) ma più elevata “job demand” e job strain”.
Le donne assistenti alla poltrona rispetto alle dottoresse in formazione in Odontoiatria presentavano ridotta “decision latitude” ed aumentato “job strain” senza alterazioni significative dell’attività citotossica
ematica (tabella II).
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Tabella I. STAI I, STAI II, “job strain” (job demand/decision
latitude), supporto sociale, “job insecurity” e sintomi soggettivi
di uomini che lavorano nell’università
107
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07
VALUTAZIONE DELLO STRESS LAVORATIVO IN RELAZIONE
ALLA DIFFERENZA DI GENERE
I. Figà-Talamanca
TabellaII. STAI I, STAI II, “job strain” (job demand/decision
latitude), supporto sociale, “job insecurity” e sintomi soggettivi
in donne che lavorano nell’università
Department of Public Health and Infectious Diseases, University of Rome “La
Sapienza”, Piazzale Aldo Moro 5 00185 Rome, Italy, Tel. 0039 06 49912682,
Fax 0039 06 49912603, email: [email protected]
RIASSUNTO. La presentazione tratta il tema dello “stress” lavorativo in riferimento alle “differenze di genere” come previsto dal DLG
151/2001. Dopo un definizione del concetto di “genere”, si presentano
esempi delle differenze nelle esposizioni e nei danni alla salute dovuti a
fattori lavorativi e in particolare allo stress, tra uomini e donne. Si illustra il concetto fisiologico e patologico dello stress e le differenze sia biologiche che socio ambientali che determino patologie da stress diverse
nei due generi. Saranno quindi illustrati gli studi epidemiologici che evidenziano differenze nella risposta allo stress tra diverse categorie di lavoratori e nei due generi. In particolare si esaminerà i diversi effetti rilevati sulla incidenza delle malattie cardiovascolari, delle malattie tumorali, delle malattie mentali e sul sistema endocrino femminile e maschile,
con conseguenze sulla riproduzione e i possibili danni a lungo termine
anche per il neonato. Infine si discuterà brevemente alcune strategie di
prevenzione primaria, secondaria e terziaria per la riduzione dello stress
lavorativo con particolare attenzione alle donne.
Parole chiave: stress lavoro gender
DISCUSSIONE
Quest’indagine dimostra che l’attività citotossica ematica può essere ridotta negli impiegati precari ma non nei sanitari in formazione. Quest’articolo, che riporta in parte i risultati di uno studio precedente (7), conferma i
giovani dottori in formazione per migliorare la loro capacità lavorativa non
presentano alterazioni dell’attività citotossica ematica, correlata con lo stato
di salute, benché presentino elevata “job demand” e “job strain”.
Le donne assistenti alla poltrona presentavano maggior stress lavorativo delle specializzande in Odontoiatria senza alterazioni statisticamente significative dell’attività citotossica ematica. Ciò non esclude che
possano esistere per le donne che lavorano nel settore sanitario situazioni
di elevato stress lavorativo (3).
BIBLIOGRAFIA
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mental health status are associated with natural killer cell and
lymphokine activated killer cell activities. Sci Total Environ 2001;
270: 3-11.
GENDER DIFFERENCES IN THE EVALUTION OF WORKRELATED STRESS
ABSTRACT. The presentation discusses the gender specific aspects
of stress as required by the Italian law regarding the evaluation and
prevention of occupational risks in the work place. After defining the
concept of “gender”, the differences in exposure to occupational risks in
men and women will be illustrated by examples. The presentation will
also illustrate the physiological and pathological differences
experienced by exposure to social and environmental risk factors and
how these might effect differently the two genders. The same
environmental exposures might trigger different responses in different
occupational groups and in men and women. This will be documented by
reviewing epidemiological evidence from studies on the role of stress on
cardiovascular disease, on cancer on mental illness and on the endocrine
system and reproductive health in men and women. Concluding, the
presentation will discuss briefly possible strategies for the primary,
secondary and tertiary prevention of work-related stress among women.
Key words: stress, work, gender
108
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08
EFFETTI DEI CAMBIAMENTI POSITIVI DELLA CONDIZIONE
LAVORATIVA IN SOGGETTI CON PSICOPATOLOGIE
PROFESSIONALI
L. Romeo, A. Serpelloni, E. Quintarelli, A. Riolfi, I. Goio, S. Tisato,
S. Dal Ponte, L. Perbellini
Medicina del Lavoro - Dipartimento di Sanità Pubblica e Medicina di
Comunità - Policlinico G.B. Rossi - P.le L.A. Scuro, 10 - 37134 Verona e-mail: [email protected]
Corrispondenza: L. Romeo Medicina del Lavoro - Dipartimento di
Sanità Pubblica e Medicina di Comunità- Policlinico G.B. Rossi - P.le
L.A. Scuro, 10 - 37134 Verona
Parole chiave: mobbing, MMPI-2, psicopatologie professionali, follow up.
EFFECTS OF POSITIVE CHANGES ON WORKING CONDITIONS
IN SUBJECTS AFFECTED BY OCCUPATIONAL PSYCHOPATHOLOGICAL DISEASES
ABSTRACT. The aim of the work is to verify if bullying can lead to
alterations of personality traits in workers as well it can be injurious to
physical and mental health. In addiction we want to clarify if resolution
or improvement in working conditions can ameliorate or normalize
negative personality profiles if they were modified. 45 workers with a
history of personal bullying and task-related bullying were recalled for
follow up after a minimum time of one year. At the first evaluation and at
the second assessment questionnaires and psycho-diagnostic tests were
administered. By means of Val.Mob. organizational and relational
aspects of working life were investigated; GHQ-12 was used to assess
psychological condition and MMP-2 to identify personality profiles. At
first evaluation there was an increase of some MMPI-2 scales: clinical
scales (Hy, Hs, D, Pa, Pt), content scales (ANX, DEP, HEA) and PK
scale. All these scales were significantly lower in the second control in
subjects who had improved working and health conditions. Our results
indicate that victims of bullying have modifications in personality profile
over the level of normality. Improvement in working condition, as well as
individual support, can positively modify alterations in personality traits.
Key words: Bullying, MMPI-2, occupational psycho-pathological
diseases, follow up
INTRODUZIONE
Le persone vittime di violenza psicologica protratta (mobbing) possono sviluppare disturbi fisici e mentali. In alcune occasioni sono state
anche segnalati effetti negativi sulle caratteristiche della loro personalità.
Non è ancora chiaro se queste modificazioni debbano essere considerate
come pre-esistenti alle fasi di mobbing oppure se siano determinate o
considerevolmente aggravate dalla condizione lavorativa avversativa.
Secondo alcuni autori le caratteristiche di personalità possono rendere
più vulnerabili i soggetti alla violenza psicologica ed influenzare la risposta psico-fisica individuale alla condizione avversativa (1). Obiettivo
di questo lavoro è analizzare la relazione esistente tra mobbing, costrittività organizzativa e profilo di personalità mediante il test MMPI-2 e verificare se cambiamenti positivi della condizione lavorativa possono modificare le caratteristiche di personalità.
MATERIALI E METODI
Circa 400 lavoratori sono stati sottoposti a visita medica, questionari
(Val.Mob. e General Health Questionnaire GHQ-12) e test psicodiagnostici (Minnesota Multiphasic Personality Inventory MMPI-2 e Wartegg)
per verificare la presenza di disturbi psichici di possibile origine professionale. Le condizioni lavorative associate a psicopatologia erano mobbing, costrittività organizzativa, distress e disagio lavorativo aspecifico.
Le patologie psichiche associate erano sindrome mista ansioso-depressiva (49%), depressione (16,5%), disturbo di adattamento (16,5%) disturbi d’ansia (11,6%) e disturbo post traumatico da stress (6%).
45 soggetti di un gruppo di cento lavoratori che erano stati vittime di
mobbing e di costrittività organizzativa sono stati sottoposti ad follow up
a distanza ed è stato rivalutato il profilo di personalità somministrando
nuovamente MMPI-2. Nel follow up, effettuato per valutare l’evoluzione
della condizione lavorativa e dello stato di salute, sono inoltre stati somministrati un questionario preparato ad hoc e i questionari Val. Mob. e
GHQ-12.
Il campione è composto per il 60% di donne e per il 40% di uomini
con età media di 48.2 anni. La durata media della condizione lavorativa
negativa è stata di 31 mesi. Nel 31% si trattava di costrittività organizzativa e per il 69% di mobbing. Il 62% appartiene al settore privato e il 38%
al pubblico. Il 59% lavora in aziende con più di 50 dipendenti, il 34% in
aziende di medie dimensione e il restante 7% in realtà lavorative con
meno di 10 lavoratori.
Questionari e test
1) Il questionario Val. Mob. è uno strumento validato per la definizione di mobbing e fornisce informazioni relativamente agli aspetti organizzativi e individuali dell’attività lavorativa. Indaga 4 differenti aree
(relazionale, intrusività-ingerenza, attaccamento al lavoro e dequalificazione). In base al punteggio si identificano 4 possibili situazioni di rischio lavorativo: basso, medio-basso, medio-alto e alto (2).
2) G.H.Q. -12 valuta lo stato di salute psichica delle ultime settimane. Punteggi superiori a 4 identificano soggetti con disturbi quali
ansia e depressione (3).
3) MMPI-2 è un questionario psicodiagnostico autosomministrato
che definisce i tratti di personalità e rileva la presenza di eventuali disturbi emotivi. Contiene scale di validità, cliniche, supplementari e di
contenuto. I punteggi ottenuti hanno un cut-off di normalità di 65.
L’analisi statistica dei risultati ottenuti negli stessi soggetti nelle due
fasi successive è stata effettuata utilizzando il software SPSS® utilizzando il test T di Student a dati appaiati. La differenza è stata considerata
statisticamente significativa per p < 0.05.
RISULTATI
I soggetti mostrano alla prima valutazione profili di personalità di livello elevato in 5 scale cliniche di MMPI-2 con punteggi che superano il
cut off di 65 per le scale Ipocondria-Hs (76,12), Depressione-D (75,76),
Isteria-Hy (72), Paranoia-Pa (70,74) e Psicoastenia-Pt (65,04). Il livello
medio del T-score per le scale di contenuto mostra punteggi sopra il 65
per Ansia - ANX (71,04), Salute - HEA (73,90) e Depressione - DEP
(65,86). La scala PK indaga i sintomi relativi al disturbo post traumatico
da stress e presenta un punteggio medio di 67.98. Nei casi di mobbing i
valori delle scale principali sono significativamente più elevati che nei
casi di costrittività organizzativa.
Alla seconda valutazione il questionario ad hoc ha rilevato un miglioramento della situazione lavorativa nel 51% dei casi e un miglioramento clinico nel 67% dei casi. Considerando complessivamente il
gruppo, senza distinguere tra mobbing e costrittività organizzativa, al secondo controllo risulta una riduzione dei valori in tutte le scale MMPI-2.
La differenza è statisticamente significativa soprattutto per Hs (68,22), D
(66,30), Hy (64,24), Pa (63,08) e Pt (59,06). Distinguendo invece mobbing e costrittività organizzativa si nota che le vittime di mobbing mostrano al follow up una significativa riduzione dei valori delle scale cliniche Hs, D, Hy, Pa, Pt e delle scale di contenuto e supplementari PK,
ANX, DEP. Nei casi di costrittività organizzativa si osserva una riduzione dei valori in molte scale esaminate ma senza differenza statisticamente significativa.
I risultati Val.Mob hanno evidenziato un miglioramento delle condizioni lavorative (livello basso-medio basso) nel 51% dei lavoratori per la
scala qualificazione, nel 44% per la scala intrusività-ingerenza e nel 64%
rispetto alla scala relazionale. Parallelamente vari aspetti del profilo di
personalità mostravano una significativa riduzione dei T-score, in tutte le
aree considerate con il “Val.Mob”.
Lo stato psicologico valutato con il questionario GHQ-12 ha messo
in evidenza punteggi superiori a 4 (valore limite per condizione di disagio psicologico) nel 93% dei soggetti mentre al follow up la percentuale con valore GHQ-12 superiore a 4 è scesa al 44,2%.
DISCUSSIONE
I risultati evidenziano che le vittime di mobbing e costrittività organizzativa presentano alterazioni nel profilo di personalità. In accordo con
altri Autori sono stati riscontrati punteggi T-score elevati per le scale Hs,
D, Hy che in generale indicano tendenza alla somatizzazione del disagio
psicologico e atteggiamento ansioso-depressivo (4). Anche le scale paranoia (Pa) e psicoastenia (Pt) sono elevate ed indicano la presenza di idee
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persecutorie, ansia, preoccupazione e fobie. Il campione mostra in generale alti livelli nelle scale di contenuto ANX, HEA, DEP (ansia, preoccupazione riguardo al proprio stato di salute, depressione). Tipicamente
queste scale sono elevate nei pazienti che tendono a sviluppare disturbi
psicosomatici. La scala PK è tipicamente elevata per le vittime di eventi
traumatici e identifica sintomi propri del disturbo post traumatico da
stress (DPTS) quali pensiero intrusivo e comportamenti di evitamento di
situazioni e luoghi che rievocano la condizione negativa.
I risultati del follow up dimostrano che per molti soggetti si è verificato a distanza di tempo un netto miglioramento della situazione lavorativa e del disagio psicologico: i cambiamenti positivi della situazione lavorativa, associati al sostegno individuale, producono un effetto positivo
sullo stato di salute e possono determinare un miglioramento e anche la
normalizzazione dei tratti di personalità che erano risultati alterati.
BIBLIOGRAFIA
1) Einarsen S, Mikkelsen EG (2003) Individual effects of exposure to
bullying at work in: Einarsen S, Hoel H, Zapf D, Cooper CL: Bullying and emotional abuse in the workplace. International perspectives in research and practice. Taylor & Francis, 127-141.
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3) Goldberg DP, Gater R, Sartorious N Ustun TB, Piccinelli M, Gureje
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4) Gandolfo R (1995) MMPI-2 profiles of worker’s compensation claimants who present with claimant of harassment. Journal of Clinical
Psychology 51, 5: 711-715.
09
ATTIVITÀ FINALIZZATA ALLA PREVENZIONE DEL RISCHIO
PSICO-SOCIALE E ALLA RIABILITAZIONE DEI LAVORATORI
DELLA SANITÀ: ANALISI PRELIMINARE
I. Grossi1, A. Rispoli2, M. Terzi3, A. Marciandi3, M. Ruggieri3
1
2
3
Direttore Sanitario Azienda Sanitaria Locale - ASL BI
Dirigente Medico Psichiatra - Sos Medicina del Lavoro - ASL BI
Dirigenti Medici del Lavoro - S.O.S. Medicina del Lavoro - ASL BI
Corrispondenza: Ruggieri Maria - Medicina Del Lavoro - ASL Biella Ospedale degli Infermi, Via Caraccio, 5 - 13900 Biella, Email:
[email protected], Tel 3483304891
Parole chiave: Lavoratori della sanità, rischio psico-sociale, disagio
psichico
ACTIVITY AIMED AT PREVENTION OF THE PSYCOSOCIAL
RISK AND REHABILITATION OF THE HEALTH CARE
WORKERS: PRELIMINARY ISSUE
ABSTRACT. It has been obliged by the D.L. n° 81/2008 the
occupational assessment that must regard all risks for workers’ healthy
and safety among which those linked to stress according to contens of the
European Agrement of 8/10/2004.As prevention of psychosocial risk, for
about one year Biella ASL has been supporting those employees who
show psychical discomfort with a diagnostic-therapeutic activity know
has “Listering box for well-being in working environment” by a
psychiatrist as a personnel in Occupational Medicine Center. The
preliminary analysis shows that the activity was assessed 102 employeed
aged between 20 and 57 years of whom 88% was Female; duties have
been divided among Managers, Office-workers, Technicians, Nurses and
Care-givers.The most interested age has been that between 45-55 years,
the most touched category is the nursery-staff, according to DSM IV the
most rappresentative diagnosy has been “Adaptative Disturb”
depending on personal problems followed by repercussion at work.
Key words: psychosocial risk, health care workers, psychical discomfort
109
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni si è posto sempre più interesse al disadattamento
sul lavoro, da studi effettuati dalla Fondazione Europea (EUROFOUND)
per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro tra il 1996 e il
2000, si è osservato che il 28% dei lavoratori hanno denunciato sintomi
collegati allo stress e da altre valutazioni, è emerso che almeno il 50-60%
delle giornate di astensione dal lavoro è collegato allo stress.
Con il D.Lgs. n° 81/2008 viene sancito l’obbligo della valutazione
nell’ambito del lavoro, che deve riguardare tutti i rischi per la salute e la
sicurezza dei lavoratori, tra cui quelli collegati allo stress, secondo i contenuti dell’accordo Europeo dell’8/10/04.
Proprio in questa ottica, la ASL Bi ha messo in atto diverse strategie
mirate alla prevenzione dei problemi dello stress lavoro-correlato, attraverso un gruppo di lavoro multidisciplinare costituito da Direzione Sanitaria Aziendale, Direzione Medica di Presidio, SC Formazione e
Comunicazione, Servizio Prevenzione e Protezione e SOS Medicina
del Lavoro. In particolare, la SOS Medicina del Lavoro.
– partecipa al gruppo di lavoro multidisciplinare Regionale allo scopo
di individuare e valutare le problematiche correlate allo stress nelle
Aziende Sanitarie piemontesi, nonché di individuare strategie di intervento, di controllo e riduzione del rischio applicabili alle realtà organizzative indagate e, infine, alimentare le condizioni di benessere
entro le stesse;
– propone, durante le visite mediche, la compilazione di un questionario auto-somministrato a tutti i lavoratori da dicembre 2009, con
la finalità di individuare le difficoltà riferite nell’ambito lavorativo e
le aree critiche;
– pratica da circa un anno, un intervento di supporto ai singoli lavoratori che manifestano disagio psichico, attraverso un’attività diagnostico-terapeutica individuata come “Sportello di ascolto per il benessere negli ambienti di lavoro”.
MATERIALI E METODI
L’attività finalizzata alla prevenzione del rischio psico-sociale e riabilitazione lavorativa degli operatori esposti è partita dal giugno 2009.
Le attività sono svolte nell’ambito delle prestazioni della Medicina del Lavoro da parte di un Dirigente Medico Psichiatra inserito
in organico.
I lavoratori accedono ai colloqui psichiatrici o su invio del medico
competente o con richiesta diretta. Sono state valutate 102 persone di cui
l’88% femmine e solo il 12% di sesso maschile, di età compresa tra i 20
e 57 anni così suddivisi: 4% sotto i 25 anni, tra i 26-35 anni il 7%, tra i
36-45 anni il 22%, tra i 46-55 anni il 57%, oltre i 55 anni il 10%.
Le mansioni sono state suddivise in Dirigenti (6%), Amministrativi
(2%), Tecnici (2%), Infermieri (52%) e OSS(38%).
Le patologie valutate secondo il DSM IV, sono risultate: Disturbo
Psicotico 3%, Depressione Maggiore 4%, Disturbo di Personalità 4%,
Disturbo dell’Adattamento 85%, Non Patologie 1%.
È stata eseguita accurata anamnesi personale e lavorativa, al fine di
individuare eventuali vessazioni o problematiche inerenti al lavoro.
Sulla base dei dati clinico-anamnestici con eventuale completamento di tests psicodiagnostici, in alcuni casi è stato impostato trattamento farmacologico, con coinvolgimento del medico di medicina generale e successivo monitoraggio dell’evoluzione del quadro clinico. Per i
soggetti portatori di patologie più gravi, è stato necessario il coinvolgimento, da parte della Medicina del Lavoro, del CSM/SERT e della Psicologia Clinica Ospedaliera, tramite una attiva liason. Per altri casi si è
reso necessario un intervento sinergico con la Direzione Medica di Presidio o con la Direzione delle Professioni Sanitarie e i Responsabili dei
Servizi interessati.
Infine, per la maggior parte dei richiedenti, è stato sufficiente l’intervento mirato di sostegno da parte della psichiatra.
RISULTATI
Dalle valutazioni ottenute si è evidenziato che l’età maggiormente
interessata è risultata quella tra i 45 e 55 anni, la categoria più colpita è
risultata essere il personale infermieristico, la categoria diagnostica maggiormente rappresentata è stata il Disturbo dell’Adattamento, tale disturbo è risultato essere correlato maggiormente a problematiche personali, con ripercussioni nell’ambito lavorativo.
Delle persone visitate circa il 10% riferivano in anamnesi precedenti
problemi psichiatrici e di queste solo la metà eseguiva un trattamento.
110
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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Per quanto riguarda l’intervento terapeutico, nell’80% dei casi è
stato necessario un trattamento farmacologico e sono stati effettuati colloqui di sostegno da un numero di 3 fino a 10 colloqui, nel 6% dei casi
oltre al trattamento farmacologico è stato indicato un percorso psicoterapico presso uno psicologo, nel 5% si è indicato esclusivamente un percorso psicoterapico con psicologo. Nel 3% dei casi non è stato necessario
alcun trattamento oltre al colloquio, il 2% non ha accettato trattamenti. Il
4% dei casi è stato preso in carico dal CSM.
DISCUSSIONE
Riguardo alla possibile eziologia lavorativa del disagio psichico dei
casi pervenuti alla nostra osservazione, si segnala che solo due lavoratori
sono entrati in contenzioso con i propri responsabili. Le situazioni avversative si sono risolte con l’intervento effettuato a più livelli e mediante la ricollocazione dei lavoratori.
Per nessuno dei due casi si è trattato di patologia di origine occupazionale, pertanto non si sono rese necessarie segnalazioni di malattia professionale.
In quasi tutti i casi trattati, le riferite situazioni di distress lavorativo
sono state esasperate da una condizione di vulnerabilità individuale che
ha reso i soggetti più suscettibili agli stressors lavorativi (turni, carico di
lavoro, rapporti interpersonali con colleghi e superiori etc). Si evidenzia
che l’intervento tempestivo sulle situazioni più a rischio messo in atto da
questo Servizio da solo o in collaborazione con le altre Strutture Aziendali citate, è risultato essere determinante per limitare e/o bloccare l’escalation di malessere che poteva condurre a situazioni strutturate di disadattamento lavorativo.
BIBLIOGRAFIA
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nuove malattie professionali, in ambiente di lavoro & Sicurezza sul
lavoro, EPC, maggio 2002.
Avallone F., Pomplomatas A., Salute Organizzativa, Ed. Raffaello Cortina Milano, 2005.
De Risio, Psichiatria della salute aziendale e mobbing. Studi sui disturbi
mentali in ambito lavorativo, Ed. Franco Angeli, Milano, 2002.
Frascheri C., Stress sul lavoro. I rischi emergenti nelle organizzazioni del
lavoro pubbliche e private, Ed. Maggioli, Santarcangelo di Romagna
(RN9), 2006.
ISPEL, Lo stress in ambiente di lavoro. Linee guida per datori di lavoro
e responsabili dei servizi dei prevenzione. ISPEL, Roma, 2002.
Lai M., La nuova disciplina del tempo di lavoro e tutela della salute e
della sicurezza: riflessioni sul D.Lgs. n. 66/2003, in Riv. It. Lav.,
2004, I, 63.
10
LO STRESS LAVORO CORRELATO E GLI ORGANI DI VIGILANZA:
COSTRUZIONE DI UNO STRUMENTO
M.G. Bosco1, R. Nardella2
1 Medico del lavoro, Direttore ff U.O.C. Prevenzione e Sicurezza negli
ambienti di lavoro Asl Roma B
2 Psicologo del lavoro, S.Pre.S.A.L. Asl Roma B
Corrispondenza: Azienda Asl Roma B, Via Bardanzellu 8, 00157 Roma
Parole chiave: Stress, Check-list, Tecnico della Prevenzione, Salute
WORK RELATED STRESS AND SUPERVISORS: CONSTRUCTION
OF A TOOL
ABSTRACT. In contemporary society, the workplace represents a
context in which stress conditions for oneself and the others can be
created, suffered and amplified; these conditions lead to damages to the
health of the workers. Nowadays, in fact, work related stress diseases are
the kind of pathologies that cause the gratest number of absence from
working context.
The coming into force of the legislative decree no 81/08, and the following modifications (106/2009) marked the acknowledgement of a
change that the legislative decree no 626/94 had already tried to introduce in our country. After a long phase of theoretical and methodological
discussions, during the last two years we have been witnessing an outand-out race of the enterprises to propose several assessment tools on
work related stress within the workplace; scarce interest was shown instead in the construction of analogous tools for supervisors.
Objectives. This work was aimed at creating a tool – a check-list –
which might help the supervisors in their activity of inspection, in the
case they have to assess the presence of the psychological risk.
In order to create a check-list, we started analyzing the stress the supervisors has to cope with everyday, distinguishing the stress related to
their activity, and the stress deriving from the interface with company
staff subject to checks and with the workers themselves.
Once the check-list was created, it was validated within several
working context (industrial companies, worksites and services).
Conclusions. This work permitted us to establish how important and
fundamental the interaction between the different figures that deal with
safety is, in the field of prevention in workplace, because synergy is
needed in order to tackle every kind of change. Therefore, in order to
achieve the aim of creating a validly reliable tool, we have to try to create
an atmosphere of trust and respect of the competences of every working
task. That is the only way to work on the prevention of the damage and
not on its removal, also because it is often too late.
Key words: Stress, Check-List, Supervisors, Safety
INTRODUZIONE
Nella società odierna il luogo di lavoro rappresenta il contesto in cui
si possono amplificare, subire o creare condizioni di stress per sé e per
gli altri; questa condizione può far insorgere danni alla salute dei lavoratori. Infatti, oggi le patologie che determinano un maggior numero di assenze dal contesto lavorativo sono proprio le malattie da stress lavoro
correlate. Spesso il disagio che insorge nel luogo di lavoro é il risultato
di una cattiva interazione tra operatore e contesto occupazionale, con riferimento soprattutto ai fattori di tipo organizzativo-ambientale.
L’entrata in vigore del D.Lgs. 81/08 e le successive modifiche
(106/2009) hanno segnato il riconoscimento di un cambiamento che già
il D.Lgs. 626/94 cercava di introdurre nel nostro Paese. In questi anni si
è dato grande spazio ai ruoli, ai compiti e alle responsabilità di ciascuno
dei protagonisti dell’attività lavorativa, riconoscendo ad ognuno una funzione di collegamento e interazione con tutte le figure che fanno parte
della organizzazione.
Questo nuovo approccio dà maggiore rilevanza alla capacità di valutare e monitorare gli elementi di criticità e di rischio dell’organizzazione con particolare attenzione al sistema delle relazioni.
In tema di sicurezza del lavoro è necessario, quindi, non soltanto
adeguare le strutture fisiche, ma anche prestare grande attenzione al
“come” si sviluppano le energie e le azioni produttive.
Dopo una lunga fase di discussioni teoriche e metodologiche, in
questi due anni abbiamo assistito a una vera e propria corsa per proporre
differenti strumenti di valutazione da parte delle imprese sullo stress lavoro correlato all’interno dei luoghi di lavoro; scarso spazio, invece, ha
avuto la costruzione di analoghi strumenti per gli organi di vigilanza.
Contrariamente a ciò, abbiamo costruito uno strumento che potesse
aiutare gli operatori della vigilanza in questo nuovo compito.
Lo strumento e stato costruito all’interno dei gruppi, partendo dalla
propria modalità relazionale per arrivare a comprendere le diverse realtà
lavorative con le annesse problematiche organizzative.
MATERIALI E METODI
Questo studio è rivolto agli operatori degli organi di vigilanza con
particolare attenzione ai “Tecnici della prevenzione dello S.Pre.S.A.L.”.
Come ben si conosce, queste figure svolgono anche il ruolo di ufficiale
di polizia giudiziaria ed è proprio nell’ottemperanza di tale ruolo che
giornalmente sono chiamati a vigilare sui luoghi di lavoro per garantire
il rispetto delle norme riguardanti la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Il nostro lavoro è stato elaborato prendendo spunto dal modello di
Bruchon-Schweitzer e Dantzer (1994). Siamo partiti dal presupposto che
lo stato di salute è dato da un equilibrio tra due tipi di variabili:
1) variabili di proprietà legate alle caratteristiche sociali, biologiche,
psicologiche e psicosociali;
2) variabili scatenanti correlate agli eventi della vita e alle malattie.
Questo modello lo abbiamo applicato alla valutazione delle caratte-
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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ristiche del servizio in analisi (S.Pre.S.A.L.) e a quella derivata dal
modello lavorativo. I fattori di proprietà, rappresentano il mandato
istituzionale dell’attività ispettiva dello S.Pre.S.A.L., mentre quelli
scatenanti sono rappresentati dalle situazioni impreviste traducibili
negli accadimenti che si possono verificare nell’espletamento dell’attività istituzionale prevista: incidenti mortali; relazione con la
procura, testimonianze, applicazione della norma attraverso le contravvenzioni etc.
A causa delle diverse strutture di personalità, l’incidenza di queste
situazioni è diversa per ogni persona. Pertanto abbiamo introdotto una
terza variabile che riguarda la componente di personalità dei singoli soggetti. Costatate le caratteristiche di cui al primo e al secondo punto, il
passo successivo è stato valutare il rapporto tra l’individuo e il contesto
lavorativo per evidenziare gli elementi che possono aumentare il livello
di stress generando ansia e abbassare il livello di coping.
Pertanto per sviluppare la consapevolezza e rinforzare le capacità di
coping degli operatori abbiamo creato dei “gruppi di formazione dinamica” all’interno dei quali sono stati previsti momenti di didattica e momenti di riflessione sulle difficoltà relazionali nel contesto lavorativo.
RISULTATI
Gli incontri sono stati fatti con cadenza settimanale per un totale di
cinque incontri per gruppo. Dagli incontri è emersa una duplice necessità: da una parte il bisogno di monitorare la propria difficoltà nel gestire
determinate situazioni lavorative complesse, dall’altra quella di avere
uno strumento che potesse aiutarli nel valutare la presenza di stress lavoro correlato all’interno delle aziende.
In merito a questo secondo bisogno, abbiamo creato una check-list
che potesse dar seguito alla richiesta degli operatori della vigilanza e li
aiutasse ad evidenziare la presenza di rigidità nelle aziende che potessero
far insorgere patologie stress lavoro correlato. Costruita la check-list si
sta provvedendo ad effettuare la sua sperimentazione.
BIBLIOGRAFIA
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Callini D: Leggere le organizzazioni, Milano, Franco Angeli, 2001.
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Knowles M: Quando l’adulto impara, Milano, Franco Angeli, 2002.
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Mayo E: I problemi umani e socio-politici della civiltà industriale, Torino, UTET, 1969.
Zani B, Cicognani E: Psicologia della Salute, Roma, Il Mulino, 2000.
11
MODELLI DI STRESS
M.E. Cinti, M. Fioravanti1
1
Dipartimento di Neurologia e Psichiatria, Università La Sapienza di
Roma
Corrispondenza: P.le Aldo Moro 5, 00185 Roma, e-mail: mario.
[email protected]
Parole chiave: stress sul lavoro, sintomi, fattori di rischio
STRESS MODELS
ABSTRACT. Selye originally defined stress in the 50’s as a reaction
to physical or psychological changes associated with an emotional
negative reaction which makes the individual consider the environmental
conditions (stimuli) as limiting or out of control.
111
Over the years, the concept was further developed and investigated
by many authors. In particular, the definitions of Karasek, Siegrist and
Cooper give emphasis to different aspects of the phenomenon, describing
its implications in the occupational field.
Stress has received different meanings, sometimes controversial, in
the scientific literature where there are many theoretical and applied
works dedicated to this topic. By some authors, stress is described as a
dependent variable, the effect of environmental or personality factors
which consists of somatic and behavioral symptoms (transversal model)
while, by others authors, stress is considered as an independent variable
which assumes the causative role of the pathological symptoms associated to it (hierarchical model).
The presence of these opposite and contrasting models makes complicated to carry out a risk assessment for occupational stress and/or to
intervene for its prevention or treatment. A clear definition of what model
of stress is adopted should be the base for any strategy is proposed and
implemented in the work site.
Key words: job stress, symptoms, risk factors
INTRODUZIONE
Il concetto di stress nasce negli anni cinquanta con Selye (1956) che
lo definisce come una reazione tipica di adattamento ad uno stimolo fisico o psichico: il termine viene associato a una reazione emotiva di tipo
negativo, caratterizzata da una lettura delle condizioni ambientali (stimoli) come elementi limitanti o al di fuori del controllo dell’individuo.
Di fronte ad una condizione di sovraccarico emotivo o fisico, rappresentato da uno sbilanciamento fra le richieste ricevute dall’ambiente esterno
e le capacità di controllo e di gestione delle situazioni, la capacità di elaborazione degli stimoli non è più funzionale.
Nel corso degli anni il concetto viene elaborato ed approfondito da
molti autori e più recentemente anche in ambito lavorativo. Karasek
(1979) lo definisce in base alla relazione tra elevata domanda lavorativa
e bassa libertà decisionale che provocano una condizione di stress lavorativo percepito. Siegrist (1990) pone particolare attenzione ai processi
cognitivi e alle reazioni emotive che regolano le interazioni fra persona
e ambiente: il disagio si verifica per sbilancio tra lo sforzo e l’impegno
rispetto alle ricompense ricavate, dove per ricompense si intende guadagno economico, approvazione sociale, stabilità lavorativa e opportunità di carriera. Secondo Cooper (1979) i fattori di stress occupazionale
possono essere classificati come fattori di vario genere: il ruolo nell’organizzazione, aspetti intrinseci al lavoro, ai rapporti con gli altri, al clima
e struttura organizzativa, alla carriera.
Se analizziamo nel dettaglio la letteratura troviamo un mare magnum di lavori teorici ed applicativi in cui lo stress assume significati diversi e a volte controversi.
Lo scopo del presente lavoro è stato quello di valutare come la letteratura scientifica tratta lo stress occupazionale, per poter identificare i
vari modelli per la sua valutazione, i fattori causali e/o le sue conseguenze.
MATERIALI E METODI
È stata effettuata una ricerca sistematica della letteratura per identificare le modalità di identificazione dello stress, la sua valutazione ed
eventuali interventi.
I lavori esaminati sono 503 e sono stati suddivisi in tre macro categorie: stress valutato come variabile dipendente (studi di tipo 1, N =
108); stress valutato come variabile indipendente (studi di tipo 2, N =
151); stress valutato sia come variabile dipendente che indipendente
(studi di tipo 3, N = 244). È stata al momento esclusa dall’analisi la categoria studi di tipo 3 perché non ben definita.
I soggetti totali valutati negli studi di tipo 1 e 2 sono 312.279, di cui,
quando specificati, 108.788 maschi e 96.034 femmine. L’età media varia
da 23,68 a 51,1 aa, con range di età 18-74 aa. L’anzianità lavorativa
media varia da 3,72 a 37 aa. Le ore di lavoro medie per settimana variano
da 18 a 55 h. I soggetti sui quali sono stati condotti i diversi studi appartengono a categorie professionali di diverso genere.
RISULTATI
Dall’analisi di 259 di studi controllati sullo stress lavorativo di diverso tipo (studi pilota, cross-sectional, descrittivi, longitudinali, epidemiologici, ecc) è stato possibile identificare due tipologie di lavori: da un
lato lo stress viene descritto come variabile indipendente, che assume il
112
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Tabella I. Modelli di stress
12
STRESS E DINAMICHE DI GRUPPO
G. Tomei1, F. Tomei2, C. Cetica3, M. Fioravanti1, M. Fiaschetti2,
T. Caciari2, S. De Sio2, M. Ciarrocca2, V. Di Giorgio2, Fabio Tomei2,
P. Cialone2, R. Giubilati2, G. Andreozzi2, S. Veggetti1, A. Sancini2
1
Dip. Neurologia e Psichiatria, Università Roma Sapienza
“Sapienza” Università di Roma; Unità Operativa di Medicina del
Lavoro; Dipartimento di Scienze Anatomiche, Istologiche, Medico-Legali
e dell’Apparato Locomotore; viale Regina Elena n. 336 - 00161 Roma
3 EURISTAT - Direttore Scientifico, via delle Botteghe Oscure 54, 00186
Roma
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ruolo di fattore scatenante di manifestazioni patologiche (modello gerarchico), mentre dall’altro come una variabile dipendente, cioè come l’effetto di fattori esterni e/o di personalità che si estrinseca in sintomi somatici e comportamentali (modello trasversale).
È presente anche un terzo tipo di studi, non chiaramente definito, in
cui lo stress viene prima valutato come variabile dipendente e poi come variabile indipendente. In altre parole esistono dei fattori esterni che possono
provocare lo stress che a sua volta sono causa di manifestazioni psicopatologiche, ma questa categoria di studi non è stata al momento analizzata.
Se azzardiamo un parallelo in base a quelle che sono state le definizioni di intelligenza possiamo trovare delle analogie: secondo il modello
monofattoriale il fattore “g” che rappresenta l’intelligenza presiederebbe
al vertice di una scala di fattori ausiliari e di completamento, mentre secondo la teoria multifattoriale l’intelligenza è legata ad un certo numero
di abilità primarie che si combinano tra loro e generano le più differenti
attività di pensiero.
Parallelamente lo stress potrebbe essere letto secondo due modelli:
quello gerarchico secondo cui lo stress è un fattore scatenante che incide
su aree di vario genere e si manifesta nel lavoratore con una sintomatologia somatica e comportamentale. Molti studi prendono in considerazione fattori esterni come le relazioni interpersonali con i colleghi, il contatto con l’utente per quelle professioni che lo prevedono, l’organizzazione lavorativa, l’ambiente di lavoro, i rischi specifici, ecc. (la Tab. I è
da considerarsi riassuntiva e schematica).
Nel modello trasversale invece lo stress è la variabile indipendente
che causa le manifestazioni patologiche: in questo tipo di studi lo stress
è un fattore causato dall’interazione di diversi aspetti, che possono essere
dipendenti fra loro.
Su questi modelli vanno poi inseriti dei fattori personali ovvero
quelle strategie per cui ciascun individuo può risultare suscettibile o protetto nei confronti dello stress. Lazarus (1966) ha chiamato questi fattori
personali meccanismi di coping, cioè l’insieme delle strategie cognitive
(o mentali) e comportamentali messe in atto da una persona per fronteggiare una situazione difficile, fastidiosa o dolorosa o a cui comunque non
è preparato, sia al modo in cui si adatta emotivamente a tale situazione.
DISCUSSIONE
Visto tale panorama appare difficile poter effettuare una valutazione
del rischio stress, se non si applica un modello che preveda la possibilità
di misurare qualitativamente e quantitativamente i fattori che incidono su
di esso.
A differenza della valutazione dei fattori di rischio ambientale che si
effettua nell’ambiente stesso con o senza la presenza dei lavoratori, la valutazione dello stress andrà imprescindibilmente effettuata tenendo in
considerazione la persona nell’ambiente in cui lavora e i fattori che possono spiegare il manifestarsi dei sintomi.
BIBLIOGRAFIA
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Erkenntnisse und ihre Bedeutung für die Pravention. In: Arnold M,
Ferber C, Henke KD Ökonomie der Prävention. Bleicher: Gerlingen.
Key words: Dynamics, Group, Field
Il termine “Gruppo” proviene dal germanico Kruppa: gomitolo,
ammasso. Si definisce gruppo qualsiasi formazione sociale risultante
dalla compresenza partecipante e non casuale di due o più esseri umani.
Il gruppo è dunque caratterizzato dall’interdipendenza dei suoi membri e
da un’interazione relativamente continua nel tempo, legata alla conoscenza e al reciproco riconoscimento (delle persone casualmente in piedi
alla fermata dell’autobus non costituiscono un gruppo!). Le prime ricerche sui gruppi furono opera di Kurt Lewin (1890-1947), a cui dobbiamo la Teoria del Campo (Lewin, 1972). Lewin ha posto le basi teoriche dello studio dei comportamenti dell’individuo, in rapporto alla configurazione generale del suo “spazio di vita” o “campo psicologico”
• Un gruppo possiede una propria dinamica: tende a modificare il sistema degli eventi psicologici (forze) che esso determina. Gli squilibri delle forze esistenti fanno del gruppo un sistema che evolve (dinamico) e attraverso fasi di sviluppo punta ad un adattamento che
trasforma le relazioni interpersonali in relazioni sociali (massima
maturità interna).
• All’interno dei gruppi l’individuo vive, ed all’interno dei gruppi l’individuo trova la sua realizzazione o la sua frustrazione. Famiglia,
scuola, amici, colleghi ecc. si strutturano come gruppi e in questa dimensione l’individuo assume un suo ruolo, leader o gregario.
Lewin, Lippit e White (1939) distinguono tre stili di leadership:
– La leadership autoritaria
– La leadership tollerante
– La leadership democratica
Enzo Spaltro identifica le differenti tipologie di gruppo:
gruppo strutturato, con rigida gerarchia e divisione delle mansioni.
gruppo destrutturato, minore direttività, ruoli meno definiti.
gruppo drammatico, si compone di uno (o più) protagonisti, uno (o
più) antagonisti, un pubblico.
gruppo non verbale, centrato sul non detto, sulla corporeità.
gruppo socio-analitico, pone attenzione ai meccanismi inconsci.
gruppo decisionale, centrato sulla costruzione del futuro.
gruppo creativo, centrato sul pensiero “laterale”, poco repressivo,
esalta la “devianza”. (Spaltro, 1981).
Bion identifica tre assunti base del comportamento dei gruppi:
– l’assunto di base di accoppiamento, che si ritrova nelle formalità
esteriori del cerimoniale rappresentativo delle istituzioni e nella ricerca del consenso,
– l’assunto di base di attacco-fuga, che organizza le forme e i comportamenti finalizzati ad aggredire e a difendersi, dell’organizzazione armata e dell’esercizio diretto dell’azione da parte di un aggregato di individui,
– l’assunto di base di dipendenza, che riguarda l’attesa che i bisogni
siano soddisfatti da un potere esterno al gruppo, attraverso la delega,
con la rinuncia all’esercizio di un diritto o per passività verso un ente superiore reale (ad es. lo Stato) o immaginario (ad es. attraverso la Fede).
Particolarmente importante, oltre alla dinamica della Leadership, è
quella del Capro espiatorio, cioè il soggetto sul quale si sfogano tutte le
tensioni latenti e l’aggressività dei membri del gruppo, l’identificazione
della natura del quale dà particolari indicazioni sulla natura del gruppo
stesso (capro espiatorio quale soggetto più efficiente, soggetto meno efficiente, più giovane o più anziano, più acculturato o poco colto, di etnia
diversa ecc.), anche per valutare la tendenza del gruppo in esame a sviluppare casistiche di mobbing, bossing ecc. (R. Brown, 1999)
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Kets De Vries e Miller nel 1984 hanno identificato cinque modalità di
organizzazione nevrotica ovvero disfunzionale e malsana: 1 - organizzazione paranoica, 2 - ossessiva, 3 - isterica, 4 - depressiva, 5 - schizoide.
Nel Modello di Cooper (1988) sono messi in evidenza i fattori che
causano stress sul luogo di lavoro, fra cui i conflitti fra colleghi, la sovrapromozione, la retrocessione di carriera, il cattivo rapporto con i
leaders, ecc.
Edgar Schein (1990) individua tre livelli di profondità attraverso i
quali si può condurre l’analisi della “cultura” di un gruppo di lavoro:
• Gli Artefatti: l’ambiente fisico e sociale, il lay-out architettonico di
uffici, sale, corridoi, i rituali quotidiani, l’abbigliamento, ecc.
• I Valori espliciti: ideologie e discorsi prevalenti all’interno del
gruppo, valori e obiettivi da raggiungere, “miti”, “eroi” e “capri
espiatori”, ecc.
• Assunti impliciti o “di base”: convinzioni implicite e profonde,
date per scontate, di cui nel gruppo non si ha netta percezione a livello conscio. Determinano il modo in cui la “realtà” viene percepita
all’interno del gruppo.
DISCUSSIONE
Capire e decifrare le cosiddette “dinamiche di gruppo” è una competenza sempre più indispensabile per il medico competente che intenda
monitorare e prevenire l’insorgenza di determinati episodi di stress
psico-sociali, non ultimi casi di mobbing, burn-out ecc. Per avere un
quadro della situazione del gruppo di lavoro analizzato è importante che
l’operatore che si occupa di salute e sicurezza possa avere accesso, e sia
in grado di leggere e interpretare correttamente, oltre che i questionari
standard da somministrare ai lavoratori, da cui trarre dati soggettivi,
anche e soprattutto dati di tipo obiettivo sulla situazione organizzativa ricavabili dall’ufficio amministrativo. Dati quali: organigramma aziendale, movimentazione del personale, assenze, stato di carriera, lettere disciplinari ecc., dai quali si può risalire ad una situazione di gruppo che
sia il più possibile obiettiva ed esaustiva.
BIBLIOGRAFIA
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E. Spaltro, Soggettività (Psicologia del Lavoro), Pàtron Ed., Bologna,
1981.
13
LO STRESS LAVORO CORRELATO: UN NUOVO PROBLEMA.
ESPERIENZA IN UN GRUPPO DI LAVORATORI TERREMOTATI
L. Tobia, S. Guida, C. Del Re, G. Garofano, A. Paoletti
Chair and school of Occupational Medicine, University of Study of
L’Aquila, Department of Internal Medicine, Regional Hospital, Coppito,
67010, L’Aquila, Italy
Corrispondenza: [email protected]; Ph n.: +390862434645
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WORK RELATED STRESS: A NEW RISK. STUDY IN A GROUP OF
WORKERS AFTER AN EARTHQUAKE EXPERIENCE
ABSTRACT. Main target of our study was to elaborate an objective
work related stress evaluation method. Our survey was divided into two
steps: A) Preliminary risk assessment of work related stress in a
pharmaceutical industry of L’Aquila done before the earthquake event
using an objective method derived from NIOSH and guidelines and the on
346 workers (183 male and 163 female, mean age 49±3,43); B) Analysis
of psychophysical effects of 2009 earthquake experience after two weeks
from working activity restart using WHOQOL, STAI Y 1, Y2 and BDI test
and psychological interviews, (done on 87 people, 48 female and 39 male).
The preliminary evaluation showed that people with biggest workload,
high responsibility and temporary people presented higher risk of work
related stress, especially managers and production workers as expected
from literature. Psychological study revealed a general reduction of the
quality of life, mostly at psychological level. 70,135 of examined workers
was affected by state anxiety, 44,87% trait anxiety, 29,89% reached a score
varying from lieve to moderate-severe. Our survey revealed an anxiety
level greater than literature data and highest values of anxiety were found
in the area of production workers and quality inspectors already classified
at risk of stress in the preliminary assessment.
Key words: stress work related, earthquake; risk assessment
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni lo stress lavoro correlato ha assunto importanza
crescente nella tutela della sicurezza e della salute del lavoratore e con il
Decreto Legislativo n° 81 del 2008, il problema è stato chiaramente regolato da un disposto legislativo. Negli Stati Uniti oltre il 50% delle giornate lavorative perse all’anno è dovuto a problemi di stress lavoro-correlato (1). Dati simili si riscontrano in Europa ed in Italia rendendo dunque
necessario valutare tale rischio e, soprattutto, prevenirlo (2, 3). Lo studio
eseguito ha avuto un duplice scopo: A) effettuare una stima preliminare
del rischio da stress lavoro-correlato presso un’azienda farmaceutica
della città dell’Aquila, mediante metodo oggettivo in epoca antecedente
l’evento sismico del 6 Aprile 2009 e B) analizzare la risposta psicofisica
all’evento sismico dopo la ripresa dell’attività lavorativa (a partire da 2
settimane dall’evento tellurico).
MATERIALI E METODI
La prima fase dello studio è consistita in una valutazione preliminare
dello stress lavoro-correlato effettuata in epoca antecedente al sisma dell’aprile 2009 presso una azienda farmaceutica dell’aquilano che consta di
346 dipendenti (183 uomini e 163 donne, età media 49±3,43 e anzianità
lavorativa specifica media 23,6±4,50) attraverso un metodo oggettivo,
sulla base delle linee guida dell’Accordo Europeo del 2004 e del National Institute For Safety and Health (NIOSH) che identifica le attività
lavorative a maggior rischio psicosociale, come ad esempio il lavoro a
turni, il lavoro su linee di montaggio, mansioni dedicate all’accudienza
di persone sofferenti oppure di front-office (4). A ciascuna delle categorie
lavorative esaminate, è stato attribuito un valore ordinale arbitrario (da 0
a 4) relativo a differenti variabili (Turni di lavoro; Lavoro “frontale” a
contatto con il pubblico; Lavoro di assistenza; Insalubrità, pericoli; Precarietà; Retribuzione-incentivi; Assenteismo,turn-over, Infortunistica
etc). I Punteggi medi > 0,6 sono stati considerati degni di interesse per
presenza di rischio lavorativo psicosociale. La seconda fase dello studio,
(condotta da due settimane dopo il Terremoto sino ai 4 mesi successivi)
si è basata sull’analisi della risposta psicofisica all’evento sismico dopo
la ripresa dell’attività lavorativa, coinvolgendo sia i dipendenti che i familiari, mediante la somministrazione di test (volti ognuno ad indagare
aspetti diversi quali la qualità di vita, l’ansia di stato, di tratto e la depressione, WHOQOL-2 (World Health Organisation Quality Of Life) per
la qualità di vita nella sfera fisica, psichica, ambientale e sociale (5); Test
STAI Y1 (State Anxiety Inventory) per l’ansia di stato (6), Test STAI Y2
(State Trait Anxiety Inventory) per l’ansia di tratto; Questionario BDI
(Back Depression Inventory) per il trait depressivo (7); e colloqui psicologici. Hanno partecipato alla seconda parte allo studio 87 lavoratori, di
cui 48 donne (55,17%) e 39 uomini (44,83%). I test sono stati somministrati singolarmente in modo da garantire a ciascun lavoratore la privacy
adeguata e la tranquillità necessaria per rispondere alle domande in modo
autonomo e quanto più veritiero possibile ed in serie, dando precedenza
al test STAY di tipo Y1, relativo all’ansia di stato, in quanto esame sensibile alle condizioni nelle quali l’esaminato affronta il test.
114
RISULTATI
Per la valutazione preliminare dello stress lavoro correlato la media
punteggi totali ottenuti è stata di 0,47±0,19 (IC 95%=0,11). Le categorie
più a rischio sono state: Responsabili di funzione (score medio 0,64±1,2)
e Addetti alla produzione (valore medio 0,64±0,04). I lavoratori precari
hanno avuto il maggior rischio di stress lavoro correlato. I risultati dei test
hanno evidenziato una riduzione della qualità della vita in tutti i suoi
aspetti, fisica, psicologica ambientale e sociale, con il più basso valore per
la QOL psicologica (score medio di 12,34 ± 2,98 (IC 95%=0,62). Il
14,95% dei lavoratori ha presentato al test BDI un valore medio; l’11,49%
un valore moderato, il 3,45% un valore severo. Al Test Stai Y1 i valori
medi del campione testato sono stati di 44,18 ± 12,01(IC 95%=2,52). I
soggetti con valori medi più alti di ansia di stato sono risultati gli addetti
alla produzione. Al test Stai Y2 i valori medi di campione testato sono
stati di 44,18 ± 12,01 (IC 95%=2,52). I soggetti con valori medi più alti
di ansia di tratto sono risultati gli addetti al controllo di qualità. Il 13,70%
dei lavoratori sottoposti a colloquio ha mostrato un Disturbo aspecifico da
stress e ben il 71, 74% ha evidenziato un Disturbo dell’adattamento. Di
essi il sottotipo più rappresentato è stato il sottotipo ansioso (44,24%).
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3)
4)
5)
6)
7)
8)
9)
DISCUSSIONE
Dalla valutazione preliminare si evince che i soggetti più a rischio di
stress occupazionale sono quelli sottoposti ad elevato carico di lavoro,
elevata responsabilità ed incertezza del futuro lavorativo, come atteso dai
dati di letteratura (2, 3). A seguito del terremoto del 6 aprile 2009 i responsabili di funzione e gli addetti alla produzione presentano la più elevata percentuale di ansia di stato e di sottotipo ansioso. Il 70,13% dei lavoratori che hanno aderito allo studio in fase post terremoto ha un’ansia
di stato, il 44,87% ha un’ansia di tratto ed il 29,89% ha uno score al BDI
variabile da lieve e moderato-grave. Il sintomo prevalente è dunque rappresentato dall’ansia di stato, seguito dall’ansia di tratto, anziché dalla depressione ed il nostro campione presenta livelli di ansia maggiori rispetto
ai dati di letteratura. I nostri dati coincidono in linea di massima con i dati
ottenuti da uno studio precedente condotto su 663 superstiti del terremoto
che ha colpito l’isola di Taiwan nel 1999 a 4 mesi dall’evento sismico (8).
Uno studio effettuato sui sopravvissuti del terremoto dell’Armenia e della
Turchia (9) stima che l’incidenza di PTSD (disturbo post traumatico da
stress cronico) è rispettivamente del 50% e del 23%. Il nostro studio valuta l’incidenza del DAS, disturbo simile al PTSD, ma che si differenzia
da esso per la durata dei sintomi. Il campione valutato presenta un incidenza di DAS del 13,70% e se la sintomatologia dovesse persistere, fino
ad evolvere in un PTDS, l’incidenza sarebbe minore rispetto ai dati ottenuti in Armenia ed in Turchia. Gli Addetti alla produzione presentano la
QoL psicologica, sociale ed ambientale peggiore. Il 71,74% dei lavoratori
che hanno partecipato al colloquio, presentava un DA (disturbo dell’adattamento) e come sintomo preminente il sintomo ansia (44%). Uno studio
basato sui terremotati del Newcastle in Australia, riporta che il 48% dei
sopravvissuti che sono stati analizzati presenta depressione a sei mesi di
distanza dal terremoto (10). Il nostro studio, effettuato prima dei sei mesi
dello studio sopracitato, rileva che il 29,89% del campione presenta depressione di varia entità, percentuale nettamente inferiore.
CONCLUSIONI
La stima preliminare dello stress lavoro-correlato è indispensabile,
nonché obbligatoria, per individuare le categorie più a rischio e per apportare all’azienda le eventuali modifiche necessarie per il benessere psicofisico del lavoratore. È fondamentale individuare delle ‘misure’ per la
valutazione dello stress lavoro-correlato attraverso indicatori oggettivi. Il
nostro studio, basandosi sulle linee guida NIOSH e su quanto stabilito
dall’accordo europeo del 2004 aveva avuto l’obiettivo di individuare un
metodo di valutazione preliminare in epoca antecedente alla emanazione
di linee guida di indirizzo, successivamente sancite. L’evento sismico
che ha colpito la città dell’Aquila ha permesso di evidenziare che i lavoratori che a seguito dell’evento sismico presentano una peggiore risposta
psicofisica appartengono alle categorie lavorative a maggior rischio di
stress individuate dalla stima preliminare.
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community disaster experiences and psychological morbidity 6
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14
LO STRESS OCCUPAZIONALE NELLE PROFESSIONI D’AIUTO:
VALUTAZIONE DEL FENOMENO TRA GLI OPERATORI DELLA
SANITÀ
S. Bellia1, F. Ciantia1, E. Farruggia2, D. Maugeri1, R. Di Battista1,
F. Pulvirenti1, A. Golino1, A. Giallongo1, M. Bellia1
1
Dipartimento di Medicina Interna e Patologie Sistemiche, Sezione di
Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Catania
2 A.R.N.A.S. Garibaldi - S.Luigi - S. Currò - Ascoli Tomaselli - Catania
Corrispondenza: Dott.ssa Francesca Ciantia, Tel. 095 312417,
Fax: 095 320463, Cell. 335 423935, e-mail: [email protected]
JOB STRAIN IN HELPING PROFESSIONS: EVALUATION OF
THE PHENOMENON IN HEALTH OFFICERS
ABSTRACT. The phenomenon of work-related stress is a factor that
can affect the health of the workers.
Assess and manage occupational stress, based on recent legislation,
it becomes important part of the strategy of firms, both for the health of
the worker, and to improve employee performance in order to prevent the
consequences of the phenomenon (first of all an increase in human errors, accidents and work absences). The legal obligation becomes a
moral obligation for situations where errors can cause death.
This is the case of the helping professions at high risk of stress due
to the workload and level of responsibility, in contact with the conditions
of suffering and hierarchical conflicts.
For a sample of over 500 health professionals in a hospital in Catania we administered the Occupational Stress Evaluation Questionnaire
“MAB Index” which provides a reliable estimate of the objective levels of
stress, specifically for the job, and subjective specifically for the workers.
The conclusion, stress levels are higher than normal in particular
among those tasks that belong to the lower end of the hierarchy, this
means that the lack of decision making and lack of job satisfaction have
a negative impact on the health of workers.
Key words: Job Strain, Health Officers, Indice MAB.
INTRODUZIONE
Il fenomeno dello stress di natura occupazionale, problematica di
sempre maggiore attualità nel settore della sicurezza, anche alla luce
delle recenti normative italiane sul tema, rappresenta un fattore di rischio
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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professionale non trascurabile in funzione della sua capacità di influenzare lo stato di salute del lavoratore. Nell’ambito di una corretta valutazione dei rischi professionali, quindi, il Medico Competente non può esimersi da considerarne i vari aspetti, anche nell’ottica di un intervento
preventivo mirato da integrare nelle buone pratiche di gestione aziendale,
nell’interesse del Datore di Lavoro e del Lavoratore.
Le richieste crescenti da parte dell’ambiente lavorativo esercitano
sul lavoratore una pressione sempre maggiore, cui va associata la diffusa
condizione di precarietà che caratterizza l’attuale clima lavorativo attuale, ulteriormente inasprito dalla recente crisi economica. Queste condizioni hanno contribuito ad incrementare e diffondere lo stress da lavoro
in tutti i settori professionali, fino a trasformarlo in un fattore di rischio
ubiquitario e in continua crescita, tanto da rappresentare in alcuni paesi
la prima causa di assenza dal lavoro.
Affrontare e gestire lo stress occupazionale, diventa quindi una priorità sia per i governi, che hanno emanato diverse normative e strategie
comuni per affrontarlo, che per le aziende, in funzione degli ingenti costi
che accompagnano il fenomeno, dovuti da un lato a un decremento delle
performance dei lavoratori e dall’altro all’aumento della spesa sanitaria.
Sistemi integrati di gestione dello stress diventano quindi parte integrante delle strategie aziendali, con lo scopo di salvaguardare gli interessi dell’azienda attraverso la salute del lavoratore.
In particolare, poi, prevenire le conseguenze dello stress (prime fra
tutte l’aumento degli errori umani, degli infortuni e delle assenze lavorative) diventa un obbligo morale in quelle particolari realtà aziendali in
cui da uno sbaglio può dipendere una vita.
È questo il caso delle professioni cosiddette d’aiuto, caratterizzate da
un’estrema importanza sociale e allo stesso tempo da livelli molto elevati
di responsabilità. Come più volte ribadito dalla letteratura scientifica internazionale, l’ambiente sanitario è ricco di fattori in grado di determinare
un incremento del disagio lavorativo, che si ripercuotono sulla psiche
delle varie figure sanitarie portando alla comparsa di stress e mobbing.
Le condizioni maggiormente implicate in questi fenomeni sono da
ricondurre innanzitutto ai frequenti tagli operati al budget ospedaliero e
alla condizione di precarietà che contraddistingue queste strutture aziendali; inoltre esistono diversi altri fattori che contribuiscono ad incrementare il disagio lavorativo, tra essi: i rapidi cambiamenti delle tecnologie
mediche, l’attività perioperatoria, la necessità di ridurre le ospedalizzazioni, gli elevati carichi di lavoro, il fatto di avere a che fare con decessi
e situazioni di sofferenza umana, i conflitti tra medico e personale infermieristico, i problemi con i superiori, le incertezze relative alla terapia e
la discriminazione tra le varie figure sanitarie.
È lecito quindi considerare tutti gli operatori sanitari come figure
professionali ad elevato rischio di malattia, in funzione della elevata
esposizione allo stress, sebbene sembri che tale condizione aumenti in
maniera inversamente proporzionale con la posizione gerarchica.
MATERIALI E METODI
Allo scopo di confermare l’ipotesi secondo cui l’attività di operatore
della sanità esponga il lavoratore a livelli elevati di stress, determinando
spesso la comparsa di alterazioni patologiche, abbiamo provveduto ad effettuarne la valutazione tra le figure sanitarie di una importante azienda
ospedaliera della città di Catania.
Al campione di 513 lavoratori è stato somministrato il Questionario
di Valutazione dello Stress Occupazionale “Indice MAB”, appositamente realizzato per rispondere alle esigenze dettate dai recenti contesti
normativi e composto da due differenti sezioni con le quali analizzare
sia gli aspetti oggettivi del fenomeno dello stress e cioè le quelle caratteristiche specifiche della mansione, senza i condizionamenti forniti
dalla predisposizione individuale allo stress, ma anche gli aspetti soggettivi, specifici per ogni lavoratore; i punteggi ottenuti dai singoli questionari costituiscono l’Indice MAB che, confrontato con una scala di
valori permette di confrontare il livello di esposizione con la classe di
rischio dei lavoratori.
RISULTATI
Dei 513 lavoratori che hanno costituito il campione oggetto di
studio, 216 soggetti sono risultati di sesso maschile e 297 femminile, con
circa il 50% di appartenenti alla classe infermieristica e la restante porzione composta da medici, ausiliari, tecnici e amministrativi.
Una prima distinzione può essere fatta già dopo la somministrazione
del Questionario Oggettivo, specifico per mansione, in quanto, come era
115
prevedibile, è apparsa subito una discrepanza tra il personale dirigente
medico (punteggio 21,5) e la classe infermieristica (24,5 per gli Infermieri professionali e 18 per i Coordinatori, probabilmente in funzione
della maggiore soddisfazione lavorativa). I due estremi sono rappresentati dagli operatori ausiliari (punteggio 31) e dagli amministrativi (11,5).
I risultati appaiono perfettamente coerenti con le caratteristiche delle
mansioni elencate.
Andando poi a sommare anche il punteggio ottenuto attraverso il
Questionario Soggettivo, somministrato direttamente ai lavoratori, si può
notare come il trend sia mantenuto, in quanto gli impiegati amministrativi
hanno riportato la minore esposizione allo stress (Indice MAB medio:
72,1), seguiti dai medici (IMABm: 88,8), dai Tecnici o esercenti altre Professioni Sanitarie (IMABm: 90,7) e dagli Infermieri (IMABm: 96,1);
anche in questo caso, i livelli più elevati di esposizione sono stati riscontrati tra gli operatori ausiliari (MAB medio: 108,1). Sempre in linea con il
trend iniziale si presenta il diverso risultato riscontrato tra gli Infermieri
Professionali (IMABm: 97,42) e i Coordinatori (IMABm: 77,39).
Infine è stata valutata la suddivisione rispetto alle quattro classi di rischio: soltanto il 10,7% dei soggetti analizzati (55 lavoratori) ha riportato
livelli di stress inferiori a 70 (CLASSE I - Stress Irrilevante), il 42,9%
(220) compresi tra 70 e 94,5 (CLASSE II - Stress Lieve), il 33,3% (171)
compresi tra 95 e 120 (CLASSE III - Stress Moderato) e il 13,1% (67)
superiori a 120 (CLASSE IV - Stress Grave).
DISCUSSIONE
Come atteso dai dati forniti dalla letteratura scientifica sull’argomento, i livelli di stress appaiono superiori alla norma, con una particolare incidenza tra quelle figure professionali che appartengono alle porzioni più basse della scala gerarchica, segno che la mancanza di potere
decisionale e la scarsa soddisfazione lavorativa influiscono negativamente sullo stato di salute dei lavoratori.
Inoltre ben il 67,8% dei lavoratori oggetto dello studio (348 soggetti)
hanno riferito patologie riconducibili ad esposizione a fattori stressanti e
di essi 211, pari al 41,1% del campione totale, ha riferito la concomitanza
di più patologie.
Quindi, sebbene appaia evidente che molte delle condizioni considerate fonti di stress sono insite nel tipo di attività svolta e non sono modificabili, risulta necessario ed urgente un intervento mirato a proteggere l’integrità psicofisica di coloro ai quali è affidata la tutela della nostra salute.
BIBLIOGRAFIA
http://indicemab.blogspot.com
Wu H, Shuang Chi T, Chen L, Wang L, Jin YP. Occupational stress
among hospital nurses: cross-sectional survey. Journal Of Advanced
Nursing 2010; (66): 627-634.
Von dem Knesebeck O, Dr. Phil, Klein J, MA, Grosse Frie K, MA, Blum
K, Dr. PH, Siegrist J, Psychosocial Stress Among Hospital Doctors
in Surgical Fields. Dtsch Arztebl International 2010; 248-253.
Perdikaris P, Kletsiou E, Gymnopoulou E, Matziou V. The Relationship
between Workplace, Job Stress and Nurses’ Tobacco Use: A Review
of the Literature. International of Journal Environmental Research
and Public Health 2010 7 (5): 2362-2375.
15
COMUNICAZIONE EFFICACE, PREVENZIONE E VALUTAZIONE
DELLO STRESS NELLE PICCOLE AZIENDE: PROPOSTA DI
METODO
A. Esposito, M. Salomone, U. Carbone
Dipartimento di Scienze Mediche Preventive dell’Università Federico II
di Napoli, Sezione di Medicina del Lavoro, Via Sergio Pansini 5 - 80131
Napoli
Corrispondenza: Dott.ssa Alessandra Esposito; Dipartimento di
Scienze Mediche Preventive dell’Università Federico II di Napoli,
Sezione di Medicina del Lavoro, Via Sergio Pansini 5 - 80131 Napoli,
[email protected]
116
GOOD COMMUNICATION, PREVENTION AND EVALUATION
OF WORK-RELATED STRESS IN SMALL COMPANIES:
SUGGESTION OF A METHOD
ABSTRACT. Current laws concerning the safety at work require the
evaluation of the work-related stress. The same laws acknowledge the
claim to educate the workers to take part in the management of the safety
at work place. A good communication is an essential requisite to carry
out a stress prevention programme in order to motivate the workers to
take part in risk assessment.
In Pragmatics of Human Communication, Watzlawick asserts that
each behavior is a kind of communication and that there is always a communication kind, because the human beings cannot to have any behavior.
In each communication there is included a message, that exceeds its
formal content and establishes a relation between the participants.
In order to give a correct answer to work related stress evaluation,
a good communication is an essential requisite to support the participation of workers in evaluating process and to enable them to be protagonists of their job and to endorse the will of the change.
For this aim, authors suggest a method to evaluate work-related
stress, which consists in a free personal interview, focused on working
conditions and perceived stress. The method seems very suitable to be
applied in small companies.
Key words: work-related stress, evaluation method, communication
process
INTRODUZIONE
Uno dei fili conduttori della normativa europea in materia di sicurezza è l’obbligo di provvedere in modo permanente all’informazione e
alla formazione dei lavoratori, comprensiva delle fasi d’addestramento,
coinvolgendo loro nella gestione della sicurezza. Presupposto di entrambi i processi è una corretta comunicazione, giacché “si riesce a coinvolgere solo se si riesce a comunicare” (1).
Che cosa è la comunicazione e quali sono le funzioni di essa negli
ambiti aziendali? Una esauriente definizione è riportata da Emanuele Invernizzi: “La comunicazione organizzativa può essere definita come
l’insieme di processi di creazione, di scambio, di condivisione di messaggi informativi e valoriali all’interno delle diverse reti di relazioni che
costituiscono l’essenza dell’organizzazione e della sua collocazione nel
suo ambiente” (2).
Secondo Watzlawick, Jackson e Beavin, la comunicazione nasce e si
sviluppa nel segno delle differenze e del cambiamento, in un universo di
messaggi che acquisiscono un chiaro significato solamente se collocate
nel loro contesto relazionale e ambientale. Partendo dal concetto dell’impossibilità di non comunicare, gli autori affermano che “ogni persona influenza le altre con il proprio comportamento ed è parimenti influenzata
dal comportamento altrui”. Di conseguenza, poiché non esiste la possibilità di non avere u comportamento, qualsiasi atteggiamento assunto da un
individuo diventa immediatamente portatore di significato per gli altri, finendo con l’acquisire il valore di messaggio. Il ricevente accoglie il messaggio che mantiene il proprio valore oggettivo per quanto riguarda
l’informazione trasmessa, ma nel quale s’inserisce inevitabilmente un
aspetto metacomunicativo, che definisce il modello di rientro nell’ampia
ampia gamma delle relazioni possibili tra i due comunicanti (3). Questo,
per esempio, si traduce nell’adozione di comportamenti del tutto soggettivi, in virtù del patrimonio ereditario, delle esperienze vissute, delle convinzioni, dei pregiudizi, o, presumibilmente dell’opinione che ci si fa di
un evento o di un messaggio. Entrambi i comunicanti spesso tendono a ripetere comportamenti già adottati e percepiti come proficui, anche se non
sempre consoni con la situazione che si sta presentando. Secondo Watzlawick, lasciarsi condizionare dalle passate esperienze può fatalmente
condurre a proposizioni e interpretazioni comunicative ingannevoli.
Il modello valutativo, recentemente elaborato dal Comitato Tecnico
Interregionale della Prevenzione nei Luoghi di Lavoro, costituito dal
Gruppo di Studio all’uopo istituito con la presenza delle rappresentanze
istituzionali di alcune regioni italiane, propone che “la valutazione della
percezione dello stress lavoro-correlato da parte dei lavoratori vada introdotta solo per le aziende con più di 10 dipendenti” e “solo nei casi in
cui la valutazione degli indicatori oggettivi determini un’evidenza di rischio non basso” e che in questi casi sono da considerare unicamente
“segnalazioni del medico competente” (4).
Per i membri di un’organizzazione, l’analisi del clima organizzativo
costituisce un segnale di grande importanza della reale volontà politica
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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di prestare la dovuta attenzione e di dare la debita importanza a tutti gli
aspetti dell’organizzazione (5). Nonostante ciò, l’introduzione della valutazione del rischio stress-correlato, per il carattere di obbligatorietà, finisce spesso con lo assumere il significato di un onere aggiuntivo, dal
quale derivano, quasi inevitabilmente, i tentativi di evitamento o di riduzione dell’adempimento agli aspetti formali in grado di contenere il pericolo delle sanzioni, minimizzando la portata di processo in grado di
evitare i danni. Con questo stato di fatto, consentire alle piccole aziende
di “avvalersi della facoltà di autocertificare la valutazione del rischio”
o “d’identificare le informazioni necessarie nei soli indicatori oggettivi”
può facilmente condurre alla sottostima del problema giacché nella piccola realtà occupazionale altri motivi e interessi possono indurre i lavoratori, qualora coinvolti, a non manifestare apertamente la percezione
dello stress nell’azienda, per i timori dei risvolti e anche per insufficiente
garanzia dell’anonimato. In questi casi è molto probabile che, da una comunicazione poco chiara, derivi confusione nel ricevente, fino alla negazione dell’utilità del suo contenuto. Nel rispetto di una corretta comunicazione e, quindi, di un’efficace azione preventiva, il lavoratore di un’azienda anche piccola deve essere non solo informato, ma, soprattutto,
coinvolto nel processo di valutazione del rischio stress lavoro-correlato,
essendo egli al centro del processo per gli effetti possibili.
IL METODO
L’analisi degli effetti che il modo di comunicare può produrre sul
comportamento e sulla percezione che le persone hanno della realtà, non
può essere evitato nella valutazione dello stress lavoro-correlato. Lo strumento che “trasforma il medico da un abile meccanico o tecnico in una
fonte, per l’uomo necessaria di fiducia, di speranza, di assistenza e, ciò
che è più importante, di motivazione verso il benessere fisico e mentale”
è il colloquio clinico (6).
Per facilitare la comunicazione, il metodo che proponiamo utilizza
tecniche non direttive che consentono al lavoratore di sentirsi valorizzato, non sottoposto a giudizio valutativo, trattato come persona da
un’altra persona di cui percepisce la disponibilità a discutere, parlare,
trattare insieme un tema che lo coinvolge emotivamente. Questo richiede
di mettere in atto un “ascolto attivo”, manifestando reale interesse e concentrazione, associando un linguaggio non verbale in sintonia con l’intenzione di ascoltare, prestando attenzione al contenuto e andando oltre
a esso, per verificare l’effettiva comprensione del messaggio attraverso
un costante stimolo al feedback, lasciando libero il lavoratore di esprimersi, in modo da stabilire un’alleanza, che consenta ai lavoratori di sentirsi a loro agio nell’esprimere se stessi e nel condividere informazioni
personali (7). Per questo, possiamo affermare che domande aperte, evitando o riducendo al minimo quelle chiuse che consentono solo di affermarne o negarne il contenuto, domande di verifica e riformulazioni delle
informazioni acquisite appaiono più adatte quando l’obiettivo non è unicamente quello di scoprire l’atteggiamento del lavoratore nei confronti di
una determinata situazione o problematica, ma anche di focalizzare l’attenzione sul funzionamento del problema, sul come si tenta di gestirlo. I
test di valutazione psicometrica, scientificamente validati, e/o le consulenze specialistiche possono costituire gli approfondimenti da associare
alla procedura colloquiale nei casi d’incerta interpretazione.
In questo modo si lavora contemporaneamente su più livelli: sulla
percezione del rischio nel lavoratore, sulle sue aspettative, sulla relazione
emotiva con il Medico Competente e collaborativa con il Datore di lavoro, incrementando tutti gli effetti positivi di cambiamento, senza far
sentire il lavoratore manipolato, non partecipe, non protagonista.
CONCLUSIONE
In uno scenario nel quale le organizzazioni, costituite da persone, si
trovano sempre più nella necessità di affrontare cambiamenti culturali e
operativi, l’uso di una corretta comunicazione è uno strumento fondamentale per garantire una prevenzione efficace. Il colloquio clinico, nel
modello strutturato dagli autori, può consentire di attuare una valutazione
del rischio stress lavoro-correlato in ogni tipologia aziendale e in particolare nelle microaziende.
BIBLIOGRAFIA
1) Piegai D. Comunicare il rischio. Strategie e strumenti. Roma, EPC
Libri. 2008.
2) Invernizzi E. La comunicazione organizzativa: teorie, modelli e metodi, Milano, Giuffré Editore. 2000.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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3) Watzlawick P, et all. Pragmatica della comunicazione umana. Roma,
Astrolabio. 1971.
4) Comitato Tecnico Interregionale Della Prevenzione nei Luoghi di
Lavoro. Valutazione e gestione del rischio da stress lavoro correlato
- Guida operativa. 2010 http://prevenzione.ulss20.verona.it/stress_
lavoro.html
5) Majer V. I climi organizzativi in Argentero P et all. Psicologia delle
organizzazioni. Milano, Raffaello Cortina Editore. 2009.
6) Erickson MH. Vol. IV: Ipnoterapia innovatrice. Astrolabio, Roma.
1984.
7) Carli R. Psicologia clinica. Introduzione alla teoria e alla tecnica. Torino, UTET. 1987
16
IL POTERE DECISIONALE COME FATTORE PROTETTIVO DALLO
STRESS LAVORO CORRELATO: ANALISI DI UNA CASISTICA
ETEROGENEA
S. Bellia1, N. Luca1, F. Ciantia1, A. Golino1, E. Farruggia2, M. Bellia1
1
Dipartimento di Medicina Interna e Patologie Sistemiche, Sezione di
Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Catania
3 A.R.N.A.S. Garibaldi - S. Luigi - S. Currò - Ascoli Tomaselli - Catania
Corrispondenza: Dott.ssa Agata Golino, Tel. 095 312417,
Fax: 095 320463, Cell. 335 423935, e-mail: [email protected]
DECISION LATITUDE AS A PROTECTIVE FACTOR BY WORK
RELATED STRESS: A CASE ANALYSIS OF HETEROGENEOUS
ABSTRACT. Recently, the Italian scientific community’s attention
on safety at work has focused on the problem of work related stress, according to the transposition of European legislation on the protection of
mental and physical health of the worker. Consequently, many factors
have been explored as stressful process, so-called “stressors”, but little
has been done in relation to protective factors. The aim of our study was
to analyze correlation between destinations type work management and
business values of discomfort below average. We considered a sample of
1089 employees divided into six classes of substance. For the evaluation
of stress was used in the questionnaire “MAB Index”, composed of two
different sections, objective and subjective. Analysis of average levels of
stress in each class showed an inverse relationship with the possibility of
exercising the power of decision that can therefore be considered a protective factor.
Key words: Job Strain, Decision latitude, Indice MAB
INTRODUZIONE
Negli ultimi tempi uno dei temi relativi alla sicurezza sul lavoro più
discussi e attenzionati dalla comunità scientifica italiana è stato senza
dubbio quello dello stress lavoro correlato; tale atteggiamento è dovuto
principalmente al recepimento delle normative europee sulla tutela della
salute psicofisica del lavoratore, che ha comportato l’introduzione del fenomeno tra i rischi di natura professionale e il conseguente obbligo legislativo di procedere alla sua valutazione.
Forse per l’assenza di specifiche linee guida, ci si è concentrati principalmente sulla ricerca dei molteplici fattori che secondo la copiosa letteratura scientifica sul tema possono essere considerati in grado di determinare l’instaurarsi del processo stressogeno: i cosiddetti “stressors”; di
conseguenza sono state trascurate quelle condizioni che invece possono
svolgere un ruolo protettivo, aumentando la capacità di resistenza dell’individuo e contrastando l’influenza negativa di quelle caratteristiche
dell’ambiente di lavoro che sono alla base del fenomeno del disagio psicofisico lavorativo.
Infatti, sappiamo tutto dell’azione negativa svolta sulla psiche del lavoratore dagli eccessivi carichi di lavoro, dal lavoro a turni o notturno,
dallo svolgimento di mansioni routinarie o dal mancato sfruttamento
delle abilità del lavoratore, mentre pochi sono i dati attendibili sui fattori
protettivi presenti a livello ambientale e organizzativo, spesso caratteristici della mansione, che possono svolgere un ruolo fondamentale nei
processi che determinano l’insorgenza di uno stato patologico correlato
con l’esposizione a fonti di stress.
117
Anche a livello preventivo, spesso il ruolo di questi fattori protettivi
viene trascurato, privilegiando interventi volti a determinare un abbattimento degli stressors rispetto a misure di potenziamento dei fattori positivi; nell’ottica di un programma integrato di gestione dello stress, invece, andrebbero considerati entrambi gli approcci.
In particolare, una caratteristica della mansione che sembra determinante nel contrastare livelli elevati di stress da lavoro è il potere decisionale, considerazione dimostrata da diverse pubblicazioni in materia, secondo cui la posizione nella scala gerarchica aziendale è in rapporto inversamente proporzionale con i livelli di stress, segno che appartenere
alla catena di comando fornisce al lavoratore una “valvola di sfogo” fondamentale nella risposta adattativa allo stress.
Partendo da queste considerazioni, scopo del nostro lavoro è stato
quello di analizzare i livelli di stress di una popolazione rappresentativa
eterogenea, suddividendola in rapporto alla capacità dirigenziale, alla ricerca di una eventuale correlazione inversamente proporzionale tra stress
e potere decisionale.
MATERIALI E METODI
A un campione di 1089 lavoratori giunti alla nostra attenzione per i
controlli relativi alla normale attività di sorveglianza sanitaria è stato
somministrato il Questionario di Valutazione dello Stress Occupazionale
“Indice MAB”, appositamente realizzato sui dettami dell’Accordo
Quadro Europeo del 08.10.2004 e caratterizzato da una suddivisione in
due sezioni, oggettiva e soggettiva, per l’analisi delle omonime caratteristiche ritenute fonte di stress.
La prima parte del questionario viene compilata attraverso un colloquio con il Datore di Lavoro o il dirigente preposto alla sicurezza e fornisce una stima dei livelli di stress basata sulle caratteristiche oggettive
della mansione e dell’ambiente di lavoro, senza i condizionamenti dettati
dalla personale percezione dello stress da parte del lavoratore. La seconda parte, invece, viene somministrata direttamente al lavoratore e
tiene conto quindi della predisposizione individuale allo stress.
La somma dei due score costituisce l’Indice MAB, che fornisce attraverso quattro classi di punteggio, la stima dei livelli di stress (irrilevante, lieve, moderato e grave) e di conseguenza la consapevolezza della
priorità di intervento.
Sempre attraverso il Questionario Indice MAB, in particolare utilizzando la sezione oggettiva, è stato possibile suddividere il campione in 6
differenti classi di punteggio in relazione al potere decisionale intrinseco
di ogni mansione. Per ottenere questa classificazione, sono state analizzate alcune delle risposte al questionario oggettivo sul tema della responsabilità e della capacità decisionale di ogni destinazione lavorativa,
cui veniva assegnato un valore da 0 a 5.
In questo modo, valutando la correlazione tra queste classi e i rispettivi livelli di stress, è stato possibile studiarne la relazione con il potere decisionale.
RISULTATI
Il campione di 1089 lavoratori è risultato così composto: 780
(71,62%) soggetti maschi e 309 (28,38%) femmine; 91 (8,36%) di età inferiore ai 35 anni, 531 (48,76%) tra i 35 e i 50 anni e 467 (42,88%) di età
superiore ai 50 anni; 565 (51,88%) dipendenti di importanti aziende di
trasporto della nostra città, 480 (44,08%) operatori sanitari della nostra
struttura e 44 (4,04%) appartenenti ad altre ditte.
In relazione allo stress, 144 (13,23%) soggetti hanno riportato livelli
inferiori a 70 (CLASSE I - Stress Irrilevante), 457 (41,96%) compresi tra
70 e 94,5 (CLASSE II - Stress Lieve), 353 (32,42%) compresi tra 95 e
120 (CLASSE III - Stress Moderato) e 135 (12,39%) superiori a 120
(CLASSE IV - Stress Grave).
Analizzando la capacità decisionale, le 65 mansioni degli appartenenti al campione, sono state suddivise in 6 classi: 5 in Classe 0 (Indice
MAB medio: 108,627), 7 in Classe 1 (IMABm: 98,9762); 6 in Classe 2
(IMABm: 97,2992); 31 in Classe 3 (IMABm: 93,4506); 11 in Classe 4
(IMABm: 81,11); 5 in Classe 5 (IMABm: 76,18).
Già da un prima valutazione, è possibile notare una riduzione dei livelli di stress man mano che si procede da mansioni con scarso potere decisionale verso altre a carattere dirigenziale, segno che in quest’ultimo
gruppo di mansioni esistono caratteristiche che possono svolgere un
ruolo protettivo dai fattori stressanti.
Inoltre, una differenza ancora più marcata si può evidenziare analizzando i microgruppi costituiti da squadre di lavoratori di una stessa
118
azienda rispetto al proprio coordinatore, segno anche questo che in mansioni simili sono le caratteristiche protettive a fare la differenza.
DISCUSSIONE
L’analisi dei livelli medi di stress di ciascuna classe ha evidenziato
un rapporto inversamente proporzionale con la possibilità di esercitare il
potere decisionale che, pertanto, può essere considerato un fattore protettivo.
L’ipotesi è rafforzata dalla considerazione che mansioni simili ma
con carattere dirigenziale, come ad esempio Infermiere Professionale e
Infermiere Coordinatore o Impiegato Amministrativo e Coordinatore
Amministrativo, presentano una evidente variabilità tra i livelli di stress,
che risultano inferiori nelle mansioni a maggiore responsabilità.
Si auspica quindi che una maggiore attenzione venga posta in futuro
su queste caratteristiche in grado di esercitare un’azione protettiva sulla
psiche del lavoratore, al fine di potenziarle, aumentando così la capacità
di resistenza dell’individuo ai fattori stressanti, nell’interesse della salute
del lavoratore.
BIBLIOGRAFIA
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Ahola K, Väänänen A, Koskinen A, Kouvonen A, Shirom A. Burnout as
a predictor of all-cause mortality among industrial employees: a 10year prospective register-linkage study. Journal of Psychosomatic
Research. 2010; 69 (1): 51-7.
Campo MA, Weiser S, Koenig KL. Job Strain in Physical Therapists.
Journal of American Physical Therapy Association. 2009; 89 (9):
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De Jonge J, Van Vegchel N, Shimazu A, Schaufeli W, Dormann CA Longitudinal Test of the Demand-Control Model Using Specific Job
Demands and Specific Job Control. International Journal of Behavioral Medicine. 2010; 17 2): 125-133.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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17
PROPOSTA DI UNA CHECKLIST DI INDICATORI OGGETTIVI
PER LA VALUTAZIONE DELLO STRESS LAVORO-CORRELATO
IN UNA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
S. Zoni, S. Borghesi, R. Lucchini, L. Alessio
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Applicata, Sezione di
Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale, Università degli Studi di
Brescia
Corrispondenza: Silvia Zoni. Sezione di Medicina del Lavoro ed Igiene
Industriale, Università degli Studi di Brescia, P.le Spedali Civili 1, 25133
Brescia. [email protected]
Parole chiave: stress, valutazione, indicatori oggettivi
PROPOSAL FOR A CHECKLIST OF OBJECTIVE INDICATORS
FOR THE ASSESSMENT OF OCCUPATIONAL STRESS IN A
PUBLIC ADMINISTRATION
ABSTRACT. Aimed to develop a check-list of objective indicators
as a first step for the occupational stress evaluation, we reviewed the
already published methods. Ad-hoc meetings were scheduled with the
referents of a Public Administration, where the study was in progress,
and of the Local Public Health Unit. The check-list contains a synthesis
of the parameters listed by other methods, although some of them were
deleted, added or modified. Some of the indicators were related to the
general Administration and some to individual sectors within the
Administration. The general indicators investigate: Function and
Organizational Culture, Role in the Organization, Home-Work Interface,
Career Development, Scheduling Task, Workload. Indicators for the
individual sector includes 10 items investigating environmental and
ergonomics conditions and a list of 28 items, as number or percentage,
like absences from work, workers with atypical working time, turnover,
disciplinary procedures, internal mobility, hours of training. Global
indicators and environmental and ergonomics conditions have shown no
evidence of risk. Observing the numerical indicators, some of these
slightly increased in 2009 (incidence of work accidents, sick leave,
transfer requests, workers receiving training), others are decreasing
(turnover, percentage of holidays not used, number of disciplinary
sanctions). The check-list seems adequate for this specific type of work;
it aims to read the organisation of work, in order to identify categories of
potential risk. Some difficulties were encountered in obtaining certain
parameters, and this points out the need for regular registration of
potential stress related indicators.
INTRODUZIONE
In seguito all’obbligo della valutazione dello stress lavoro-correlato
(D.Lgs 81/08) sono stati proposti diversi metodi (1-6), che prevedono un
processo per fasi, con la raccolta di indicatori oggettivi e, in seguito all’identificazione del livello di rischio, di indicatori soggettivi. È stata effettuata una revisione critica di tali metodi nonché alcune riunioni con le
figure competenti di una Pubblica Amministrazione, sede dell’indagine,
e dell’ASL locale, al fine di mettere a punto una checklist di indicatori
oggettivi, fase iniziale dell’indagine.
MATERIALI E METODI
La checklist contiene una sintesi degli indicatori elencati nei metodi
di valutazione revisionati; in seguito all’analisi della realtà in esame e a
discussione con le figure responsabili sono stati tuttavia eliminati, aggiunti o corretti alcuni parametri. La checklist prevede la raccolta di indicatori riferiti all’intero ente ed a singoli settori. Gli indicatori globali, a
risposta dicotomica (sì/no), indagano: Funzione e Cultura Organizzativa
(11 item), Ruolo nell’organizzazione (2 item), Interfaccia casa-lavoro (6
item), Evoluzione della Carriera (2 item), Pianificazione dei compiti (6
item), Carico di Lavoro (3 item). Gli indicatori per settore prevedono 10
item, a risposta dicotomica, che indagano le Condizioni Ambientali ed
Ergonomiche, riferiti ad ogni ufficio/sede di lavoro, ed una lista di 28
item, espressi in numeri e percentuali. Tra gli indicatori, vengono calcolate: le assenze dal lavoro (per malattia/altri motivi/infortunio generico
ed in itinere); la percentuale di dipendenti con orario atipico (con reperi-
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bilità e/o lavoro a turni), ad elevato contatto con l’utenza (> 20 h/settimana), disabili (con dichiarazione Inail), stranieri; il n. di invalidità civili
e di collocamenti obbligatori (legge 68/99) attraverso il Centro per l’Impiego; la percentuale di ferie non godute e le ore di straordinario; la rotazione del personale. Altri indicatori raccolgono informazioni inerenti
procedimenti disciplinari, istanze giudiziarie per demansionamento e/o
mobbing, mobilità interna, attività del medico competente (n. richieste
visite straordinarie, n. denunce di malattia professionale, segnalazioni
formalizzate di stress lavorativo), ore di formazione per dipendente.
RISULTATI
La compilazione della checklist è stata effettuata dal Servizio Prevenzione e Protezione, dall’RSPP, con la collaborazione degli RLS e dei
medici competenti dell’ente pubblico. Gli indicatori globali non hanno
evidenziato elementi di rischio. Sono quindi state esaminate, tramite consultazione del DVR e delle Schede di Sicurezza, le condizioni ambientali
ed ergonomiche di ogni settore, in particolare: illuminazione, microclima, arredi e strumenti di lavoro, esposizione a rumore, rischio fisico/chimico/biologico, posture scomode/prolungate, postazioni con movimenti ripetitivi, mansioni o compiti rischiosi, disponibilità di DPI ed
isolamento od eccessivo sovraffollamento degli spazi. Dall’analisi non
sono emerse problematiche particolari. Infine, gli indicatori oggettivi,
espressi in valori numerici e monitorati nel corso dei tre anni precedenti
l’indagine laddove possibile, sono sintetizzati nella tab. I.
Alcuni parametri nel 2009 hanno subito un lieve aumento rispetto
all’anno precedente (incidenza infortunistica, assenza per malattia, richieste di trasferimento, percentuale di lavoratori che hanno effettuato
formazione), altri sono in calo (turnover, percentuale di ferie non godute, numero di sanzioni disciplinari). L’analisi dell’andamento medio
del triennio 2007-2009 mostra, rispetto al triennio precedente, una diminuzione dell’incidenza infortunistica, un aumento di turnover, procedimenti disciplinari e formazione, mentre gli altri parametri sono risultati piuttosto inalterati. Sono stati inoltre raccolti i dati relativi ai
giorni di assenza per infortunio generico (totale 448 gg), e per infortunio in itinere (totale 195 gg), il numero di domande di mobilità interna (6) e di istanze giudiziarie per licenziamento/demansionamento/molestie morali/costrittività organizzative (0). Non è stata possibile la compilazione esaustiva di tutta la checklist per difficoltà di reperimento di alcuni parametri (assenze per altri motivi come maternità,
congedi e aspettative, ore di straordinario, n.utenti/giorno, n.dipendenti
con orario atipico).
DISCUSSIONE
La checklist utilizzata rappresenta uno strumento agile e specifico
alla realtà in esame, in quanto concordato con e fra tutti gli attori del sistema di prevenzione e protezione interno.
Tale metodo si pone come obiettivo quello di effettuare una lettura/rilettura dell’organizzazione del lavoro, al fine di identificare categorie o aree di potenziali fattori di rischio stress lavoro correlato, attraverso la raccolta di indicatori oggettivi da confrontare in seguito con gli
indicatori soggettivi. La difficoltà di reperimento di alcuni parametri, ha
evidenziato la necessità di effettuare regolarmente tale registrazione, al
fine di ridurre o eliminare tale criticità nei successivi monitoraggi.
Tabella I. Parametri oggettivi espressi in valori numerici
119
BIBLIOGRAFIA
1) Coordinamento dei Servizi di Prevenzione e Protezione e dei Medici
Competenti della Regione Emilia Romagna e della Regione Liguria.
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4) Regione Lombardia. Indirizzi per la valutazione e gestione del rischio stress lavorativo alla luce dell’accordo europeo 8.10.2004. Decreto n. 13559 (Direzione Generale Sanità). 2009. http://www.sanita.regione.lombardia.it/
5) Regione Toscana. Valutazione del rischio da stress lavoro-correlato.
Prima proposta di linee di indirizzo. 2009. http://www.usl1.toscana.it/pulic/upload/allegati/DOC_STRESS_AVTNO_1531.pdf
6) Regione Veneto. La valutazione dello stress lavoro correlato.
http://prevenzione.ulss20.verona.it/stress_lavoro.html.
18
INDICATORI OGGETTIVI DI STRESS LAVORO-CORRELATO:
ASPETTI METODOLOGICI E UN’APPLICAZIONE A LAVORATORI
DEL COMPARTO SANITARIO
M.M. Ferrario1,2, G. Veronesi2
1
Medicina del Lavoro e Preventiva, Ospedale di Circolo - Fondazione
Macchi di Varese
2 Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università degli Studi
dell’Insubria, Varese
Corrispondenza: Professor Marco M. Ferrario, Medicina del Lavoro e
Preventiva, Ospedale di Circolo Fondazione Macchi di Varese, Viale
Borri 57, 21100 Varese, Tel 0332/393069, Fax 0332/278986,
[email protected]
OBJECTIVE INDICATORS OF WORK-RELATED STRESS:
METHODOLOGICAL ASPECTS AND AN APPLICATION TO
HEALTH CARE WORKERS
ABSTRACT. The assessment of work-related stress is a complex
matter and most guidelines suggest the use of objective indicators, like
turn-over, up/down sizing, sickness and work-accident absence,
excessive night shift and working time. Standardised methods in
literature are poorly available. We developed a method to calculate
unbiased estimates of the mentioned work-stress indicators from
available administrative databases, and capable to assess trends over
time (18 months) for each department and job title, in a university
hospital in northern Italy. The key aspect is the correct identification of
the working population in a given time period, which constitutes the
unbiased estimates of the denominator of each indicator, calculating the
effective time spent at work by each worker, after excluding pregnancies,
vacations and other absences. The number of workers at the beginning
of the study period overestimated the average number of active workers
by 700 units (18%). The average turn-over rate was 489 movements per
1000 active workers. The overall working population increased by 18
units per 1000 workers, although some department was consistently
downsized. On average every worker lost 19.4 days due to sickness, with
relevant differences across job titles. These results have been presented
and validated in focus groups. Next step will be to assess the
relationships between these indicators and perceived job stress data.
Key words: job stress, assessment methods, health care workers
INTRODUZIONE
Nell’ambito della valutazione dello stress lavoro-correlato prevista
dal DL 81/08, particolare importanza assume la valutazione di indicatori
oggettivi di stress, quali turn-over, riduzione del personale, assenteismo
120
per malattia e per infortunio lavorativo, lavoro a turni e straordinario (15). Scopo di questo lavoro è riportare gli aspetti metodologici essenziali,
che permettono di affrontare adeguatamente questa analisi, con particolare riferimento ad organizzazioni lavorative complesse, come nel caso
trattato un ospedale.
METODI
L’analisi si riferisce ai lavoratori dipendenti (tempo determinato o indeterminato) di un Azienda Ospedaliera lombarda ed è relativa al periodo
01/01/2008-30/06/2009. I dati disponibili provenivano da tre diverse fonti:
l’anagrafe storica aggiornata al 30/06/2009 dei dipendenti, i movimenti interni di personale tra unità operative e i giorni di assenza dal lavoro relativi al periodo di analisi. Le prime due basi dati sono state integrate per ricostruire in maniera dinamica la storia lavorativa di ciascun dipendente,
identificando la data di inizio e di fine dell’afferenza ad un dato reparto. La
ricostruzione è stata completata dall’identificazione dei periodi in cui il lavoratore era assente per gravidanza, aspettativa, ferie, malattia, infortunio
o permesso. La somma del numero di giorni lavorati in un dato periodo da
ciascun lavoratore, esclusi i periodi di assenza, ha permesso di stimare la
forza-lavoro attiva nel periodo, per ciascun reparto, presidio ospedaliero e
per l’intera azienda. Gli indicatori presentati sono: turn-over, up/down sizing ed assenteismo per malattia. Per i primi due indicatori sono stati considerati sia i movimenti esterni (assunzioni/dimissioni) che interni all’azienda (cambi di reparto). L’assenteismo è stato definito sia in termini di
giorni medi persi per malattia che di spell di assenza (numero di periodi di
assenza). In base alla durata, gli spell di assenza sono stati definiti come
brevi (meno di 7 giorni), intermedi (7-28 giorni), o lunghi (> 28 gg).
La gestione dei dati, inclusa da normalizzazione dei database, e la
successiva analisi statistica sono state effettuate in SAS (Statistical
Analysis Software 9.1.3, Cary, NC, USA).
RISULTATI
Gli indicatori per presidio e per l’intera azienda, riferiti all’intero periodo in studio sono presentati in Tabella I. La forza-lavoro attiva nel periodo è di circa 700 unità inferiore rispetto a quanto stimato dall’anagrafe
(prima colonna) e dalla ricostruzione dinamica senza tener conto dei periodi di assenza (seconda colonna). Il turn-over nell’intera azienda è stato
di 489 movimenti ogni 1000 dipendenti attivi, risultando particolarmente
elevato nel presidio 3. Da un punto di vista temporale, la maggior parte
delle movimentazioni si è verificata nel primo semestre 2008. L’up-down
sizing complessivo indica che sono stati acquisiti 18 dipendenti ogni
1000 attivi; tuttavia, 3 presidi su 7 hanno subito una riduzione di personale. Infermieri (+31.4 ogni 1000 dipendenti) e medici (+26.1) sono state
le categorie professionali con maggior upsizing, mentre personale tecnico-sanitario (-7) e personale tecnico-impiantistico (-23) hanno subito i
maggiori ridimensionamenti. I giorni di assenza per malattia pro-capite
sono stati in media 19.4, senza grandi variazioni tra presidi (min: 16.6,
max: 23.1). Infine, gli spell di assenza breve, intermedia e lunga sono
stati 158.7, 41.0 e 14.4 ogni 100 dipendenti attivi, rispettivamente. L’analisi temporale delle assenze indica il primo semestre del 2008 come
quello a maggiore incidenza, mentre sia il numero di giorni di assenza
che gli spell si sono ridotti della metà nel secondo semestre 2008 e nel
primo semestre 2009. Gli operatori socio-sanitari hanno riportato un assenteismo superiore alla media complessiva, sia in termini di giorni di assenza pro-capite (35.0) che per spell di assenza (257.4; 72.8; 26.3 per assenze brevi, intermedie e lunghe, rispettivamente).
Tabella I. Stima della forza-lavoro attiva ed indicatori di stress
oggettivo tra i dipendenti di un’Azienda Ospedaliera, per
presidio. Periodo: 01/01/2008 - 30/06/2009
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
DISCUSSIONE
La valutazione dei risultati nell’ambito di ad hoc focus group, con la
partecipazione di rappresentanti della direzione aziendale e dei rappresentanti del lavoratori per la sicurezza ha permesso di raffinare gli indicatori, scoprire errori e carenze nelle base dati, valutare la bontà degli indicatori nel descrivere l’articolata organizzazione aziendale.
Con questo approccio è possibile poter disporre di questi indicatori per
reparto e mansione lavorativa, e per periodi temporali per valutarne i trend.
La ricostruzione dinamica della forza-lavoro attiva è un accorgimento metodologico complesso per aziende di grosse dimensioni, che
tuttavia consente di caratterizzare il profilo di rischio da stress lavorocorrelato in maniera precisa, evitando di introdurre bias di sovrastima
della forza lavoro effettiva. È indispensabile che questi indicatori possano essere disponibili per le disaggregazioni di profilo mansione e unità
operativa.
Il passaggio successivo, già per alcuni aspetti in corso di analisi, sarà
la valutazione delle relazioni tra indicatori oggettivi e livelli di stress lavorativo percepito (6-9) riferito dai lavoratori.
BIBLIOGRAFIA
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Guida SIMLII, volume 21; Pavia, 2006.
2) Accordo Interconfederale per il recepimento dell’accordo quadro
sullo stress lavoro-correlato concluso l’8 ottobre 2004 concluso tra
UNICE/EUAPME, CEEP e CES; http://www.lomb.cgil.it/rsuibm/
2004609.htm
3) Ferrario MM, Cambiano V, Grassi A, Veronesi G, Merluzzi F, Borchini R, Cesana G. Determinanti delle assenze per malattia in un
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5) NIOSH - Department of Health and Human Services. The Changing
Organization of Work and the Safety and Health of Working People.
Publication No. 2002-116. Cincinnati (USA), 2002.
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7) de Smet P, Sans S, Dramaix M, Ferrario M, Cesana G, Houtman I,
et al. Gender and regional differences in perceived job stress across
Europe. Eur J Public Health 2005; 15: 536-45.
8) Karasek R, Choi B, Ostergren P-O, Ferrario M, de Smet P for the
JACE Study Group. Testing two methods to create comparable scale
scores between the Job Content Questionnaire (JCQ) and JCQ-like
questionnaires, in the European JACE study. Intern J Behavioral
Med, 2007; 14, 4: 189-201.
9) Ferrario MM, Cimmino L, Ganna A, Cambiano V, Borchini R, Cesana G. Valutazione del disagio psico-sociale ed organizzativo in
aziende pubbliche. L’esperienza dello Studio SEMM. G Ital Med
Lav Erg 2008; Suppl A (Psicologia), 30: A29-A38.
19
STRESS LAVORO CORRELATO E PATOLOGIA DEPRESSIVA:
ANALISI DI UN CAMPIONE DI 1035 LAVORATORI
S. Bellia1, C. Calandra2, F. Ciantia1, F. Pulvirenti1, R. Di Battista1,
M. Cristofolini2, M. Luca2, M. Bellia1
1
Dipartimento di Medicina Interna e Patologie Sistemiche, Sezione di
Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Catania - via Plebiscito,
628, Catania
2 U.O. di Psichiatria, A.O.U. Policlinico - V.Emanuele, Catania - via S.
Sofia, 78, Catania
3 A.R.N.A.S. Garibaldi - S.Luigi - S.Currò - Ascoli Tomaselli - Catania
Corrispondenza: Dott. Salvatore Bellia - Tel. 095 312417 - Fax: 095
320463 - Cell. 335 423935 - e-mail: [email protected]
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
WORK RELATED STRESS AND DEPRESSION: ANALYSIS OF A
1035 WORKERS SAMPLE
ABSTRACT. The issue of stress at work is one of the most
professional conditions that affect the health.
No doubt exists about the relationship between physical-mental distress and cardiovascular diseases and nervous system diseases, because
the physical well-being depends on mental wellbeing.
By a detailed analysis of the phenomena of stress and psychological
disorders is clear how the causes of these diseases are to be found in the
occupational component of stress on the one hand and depression on the
other, with a relationship proportional.
The aim of our work, therefore, was to evaluate this correlation in
the italian working reality through the analysis of a sample of 1035
workers.
To estimate levels of stress was used Occupational Stress Evaluation
Questionnaire “MAB Index”, the only evaluation tool that analyzes both
the subjective component of worker and objective work environment.
For the evaluation of depression was used, instead, AT Beck’s Depression Inventory.
The score is divided into 4 classes for both questionnaires, which allowed also to evaluate, in addition to the correlation between the two
phenomena (stress and depression), that exists between the classes of
score.
Key words: Job Strain, Depression, Indice MAB.
INTRODUZIONE
La problematica dello stress occupazionale, nota da tempo ma solo
recentemente attenzionata in virtù del nuovo contesto normativo in tema
di salute e sicurezza sul lavoro (D.Lgs 81/2008), rappresenta una delle
condizioni professionali più influenti sullo stato di salute del lavoratore,
ma allo stesso tempo maggiormente sottovalutate.
È scientificamente dimostrato, infatti, come il disagio psicofisico
svolga un ruolo importante nella promozione, nel mantenimento e nell’esacerbazione di svariate alterazioni patologiche, coinvolgendo tutti i
sistemi e gli apparati, con particolare influenza sulle affezioni cardiovascolari e i disordini di natura nervosa. Proprio in quest’ultimo gruppo di
patologie è stata dimostrata una stretta correlazione con un’esposizione
ad elevati livelli di stress, tanto da convincere la comunità scientifica internazionale a rivolgere una particolare attenzione all’analisi di questo
rapporto, consapevole del fatto che il benessere fisico passa innanzitutto
dal benessere psicologico.
Analizzando nel dettaglio i fenomeni dello stress e delle alterazioni
psicologiche, emergono due importanti parametri strettamente implicati
nella genesi delle modificazioni dello stato di salute: da un lato è la componente occupazionale dello stress a svolgere l’azione maggiormente lesiva, dall’altro è la patologia depressiva a determinare i maggiori cambiamenti dello stato di benessere dell’individuo. Inoltre, analizzando la
letteratura scientifica sul tema, sembra che proprio tra questi parametri
sia presente una delle relazioni più evidenti, al punto da ipotizzare l’esistenza di un rapporto direttamente proporzionale.
Scopo del nostro lavoro, dopo le precedenti premesse, è stato quello
di valutare la correlazione tra la patologia depressiva e l’esposizione a
stress lavoro correlato nel contesto lavorativo italiano, nel quale a causa
dell’assenza di una specifica normativa di riferimento lo studio e l’identificazione del fenomeno sono rimasti appannaggio esclusivo della comunità scientifica universitaria, a svantaggio delle altre realtà aziendali
nelle quali ne veniva trascurata la valutazione e di conseguenza anche
l’adozione di eventuali interventi preventivi.
Queste lacune sembrano in parte colmarsi nel 2008, con l’introduzione del Decreto Legislativo 81, che tramite l’inserimento dello stress
lavoro correlato tra i principali rischi professionali e l’obbligo della sua
valutazione, permette di compiere un primo importante passo per la tutela dello stato di benessere psicofisico del lavoratore. Tuttavia, la mancanza di specifiche direttive, ad eccezione del semplice riferimento all’Accordo Quadro Europeo sullo stress lavoro correlato dell’8 ottobre
2004, ma soprattutto i continui rinvii della scadenza per la valutazione
hanno di fatto ostacolato l’instaurarsi di un processo globale di gestione dello stress. Infatti, se da un lato in assenza di un obbligo normativo solo poche aziende hanno proceduto alla stima dei livelli di rischio, dall’altro lato per la carenza di linee guida sono stati utilizzati
strumenti valutativi tra i più disparati, molti dei quali sicuramente non
idonei allo scopo.
121
MATERIALI E METODI
Il campione di 1035 lavoratori, giunti alla nostra attenzione durante
la normale attività di sorveglianza sanitaria, è stato sottoposto a una valutazione dei livelli di stress e depressione mediante l’utilizzo di questionari diagnostici.
Per la stima dei livelli di stress è stato utilizzato il Questionario di
Valutazione dello Stress Occupazionale “Indice MAB”, realizzato appositamente dalla Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro dell’Università di Catania per la valutazione dello stress lavoro correlato
con riferimento all’Accordo Quadro Europeo del 08.10.2004, come disposto dalla normativa vigente. Ciò che differenzia questo strumento
dagli altri disponibili in letteratura è il fatto di permettere di valutare contemporaneamente le due componenti dello stress e cioè le caratteristiche
soggettive, proprie del lavoratore, e quelle oggettive, proprie dell’ambiente lavorativo.
Infatti, sebbene la letteratura in materia sia piuttosto cospicua, attualmente i metodi maggiormente utilizzati sono generalmente orientati
verso la percezione soggettiva dello stress da parte del lavoratore, trascurando quindi l’aspetto oggettivo. Solo raramente viene fatto uso dei
pochi strumenti valutativi incentrati sullo studio delle condizioni ambientali e che, a loro volta, non tengono conto della componente soggettiva dello stress rappresentata dalla predisposizione individuale.
Il questionario Indice MAB, invece, è stato appositamente suddiviso
in due sezioni, da somministrare una al Datore di Lavoro ed una al lavoratore, per valutare entrambi gli approcci; la somma dei due score, che
costituisce l’Indice MAB, fornisce attraverso quattro classi di punteggio,
la stima dei livelli di stress (irrilevante, lieve, moderato e grave) e di conseguenza la consapevolezza della priorità di intervento.
Per la valutazione della depressione, in collaborazione con la Scuola
di Specializzazione in Psichiatria dell’Università di Catania, è stato invece utilizzato il Depression Inventory di A.T. Beck, considerato allo
stato attuale uno degli strumenti diagnostici più accreditati. La suddivisione in quattro classi di punteggio che contraddistingue entrambi i questionari ha permesso inoltre di valutare oltre alla correlazione tra i due fenomeni, anche quella tra le singole classi.
RISULTATI
Il campione di 1035 lavoratori è risultato così composto: 740
(71,5%) soggetti di sesso maschile e 295 (28,5%) femminile; 81 (7,9%)
di età inferiore ai 35 anni, 503 (48,6%) tra i 35 e i 50 anni e 451 (43,5%)
superiore ai 50 anni; 543 (52,4%) dipendenti di importanti aziende di trasporto della nostra città, 454 (43,9%) operatori sanitari della nostra struttura e 38 (3,7%) appartenenti ad altre ditte.
Analizzando i livelli di stress, 135 (13,1%) soggetti hanno riportato
valori inferiori a 70 (CLASSE I - Stress Irrilevante), 436 (42,1%) compresi tra 70 e 94,5 (CLASSE II - Stress Lieve), 337 (32,5%) compresi tra
95 e 120 (CLASSE III - Stress Moderato) e 127 (12,3%) superiori a 120
(CLASSE IV - Stress Grave).
Utilizzando metodiche di statistica inferenziale, sono stati incrociati
i dati relativi alle classi di stress con quelli ottenuti dalla somministrazione del Beck Depression Inventory, ottenendo una significatività statistica molto elevata, pari al 99,5% (P<0,005), sia nel rapporto tra stress e
depressione che, nel particolare, tra le quattro classi dell’Indice MAB e
le quattro classi del BDI.
DISCUSSIONE
Dall’analisi dei dati statistici è stata dimostrata una stretta correlazione tra stress e depressione, segno importante del ruolo svolto dall’attività lavorativa nella genesi di questa patologia, purtroppo in incremento
nei paesi occidentali.
Ne consegue che l’introduzione di sistemi di gestione integrata dello
stress, in un’ottica preventiva volta a salvaguardare la salute del lavoratore, potrebbe rappresentare una importante misura di tutela per ridurre
l’incidenza della patologia depressiva, con un miglioramento dello stato
di benessere dell’individuo e un incremento della sua capacità produttiva, che si tradurrebbero in un aumento dei ricavi per le aziende e in una
consistente riduzione dei costi sociali relativi alla spesa sanitaria.
BIBLIOGRAFIA
http://indicemab.blogspot.com
De Santo Iennaco J, Cullen MR, Cantley L, Slade MD, Fiellin M, Kasl
SV. Effects of Externally Rated Job Demand and Control on De-
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Liu RT, Alloy LB. Stress generation in depression: A systematic review
of the empirical literature and recommendation for future study. Clin
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Rao U. Comorbidity Between Depressive And Addictive Disorders In
Adolescents: Role Of Stress And Hpa Activity. American Journal Of
Psychology 2010. 1 (3): 39-43.
20
MALATTIE DA STRESS LAVORO-CORRELATO, COSTRITTIVITÀ
ORGANIZZATIVA E MOBBING: UNA DIAGNOSI IRTA DI
DIFFICOLTÀ E FACILMENTE CONDIZIONATA DA SOGGETTIVISMI.
L’ESPERIENZA DELL’INAIL MARCHE
G. Bomba1, S. Nicolini2, A. Lupi3
1 INAIL sede di Ascoli Piceno, via D. Angelini 35/37, 63100 Ascoli
Piceno
2 INAIL sede di Ancona - Via Loggia 52, 60100 Ancona
3 U.O. SPSAL ASUR Marche Z.T. 13 Ascoli Piceno - Viale Vellei 16,
63100 Ascoli Piceno
Corrispondenza: Dott.ssa Giuseppina Bomba, INAIL sede di Ascoli
Piceno, Via Dino Angelini 35-37, 63100 Ascoli Piceno, [email protected]
STRESS-WORK RELATED DISEASES, WORK ORGANIZATIONAL
COERCE STATE AND MOBBING: A HARD DIAGNOSIS AND
EASILY INFLUENCED FROM A SUBJECTIVE RENDITION. THE
INAIL MARCHE EXPERIENCE
ABSTRACT. Stress-work related pathologies are of increasing
interest nowadays. In order to study the relevance of phoenomenon, the
authors examine the statistical results achieved by investigation
concerning the cases declared and admitted by INAIL in the period 20012009. The research was conducted into National registry of occupational
or work-related diseases and INAIL Marche local offices database. The
subsequent analysis evaluate different kind of variables influencing
mobbing and organizational coerce-state and the authors conclude
emphasizing the difficulties on the work-risk assessment in a medicolegal relationship point of view, especially during legal argument.
Key words: Job Stress, Mobbing, Psychosocial factors at work
INTRODUZIONE
Accanto ai tradizionali rischi per la salute dei lavoratori da agenti
chimici, fisici, meccanici e biologici, hanno acquisito peculiare rilievo
nell’ambito della medicina del lavoro i cosiddetti rischi”trasversali”,
tra i quali sono inclusi i “rischi di tipo organizzativo” che possono causare “distress e disagio lavorativo”. In questa cornice si situa anche il
complesso fenomeno del mobbing. L’analisi e l’accertamento di tali
condizioni di rischio risultano particolarmente difficoltosi, in quanto la
fonte di informazione è spesso prevalentemente anamnestica, l’eventuale “misura” dello stress lavorativo e la sua quantificazione nell’eziopatogenesi di patologie a genesi multifattoriale è condizionata da
variabili soggettive quali la valutazione degli eventi e la suscettibilità
individuale allo stress, i numerosi questionari proposti per la stima
dello stress sono tuttora oggetto di ampie discussioni e ricerche per le
incertezze che gli stessi presentano. Per superare tali difficoltà l’INAIL
si avvale da tempo di approfondite indagini ispettive, le quali recentemente sono state integrate da inchieste espletate dalla Direzione Provinciale del Lavoro ex art. 236 del DLgs n. 51 del 12-2-1998, i cui
Ispettori, avvalendosi dei poteri conferiti dall’art. 56 e 57 del DPR n.
1124/1965, procedono - in contraddittorio con le parti- all’acquisizione
di tutte le informazioni utili e, tramite l’interrogatorio dei soggetti coinvolti e l’eventuale intervento di periti, alla delucidazione di quanto riferito dal lavoratore.
MATERIALI E METODI
Al fine di studiare la rilevanza e l’esatta natura del fenomeno si è
proceduto a ricercare dal Registro Nazionale delle malattie causate ov-
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
vero correlate al lavoro - istituito presso la banca dati INAIL- nonché
presso tutte le quattro sedi provinciali INAIL della Regione Marche i casi
di patologia da stress, costrittività organizzativa e mobbing denunciati
nell’intervallo di tempo 2001-2009 a livello nazionale e nella specifica
Regione.
RISULTATI
A livello nazionale nell’arco temporale 2001-2009 sono stati denunciati 2067 casi e di questi ne sono stati definiti positivamente 301. All’interno del campione positivo il 75% è rappresentato dai maschi, con
prevalenza del 41% di lavoratori nella fascia di età tra 46 e 55 anni, con
maggiore distribuzione nel nord-centro Italia. Relativamente al periodo
2001-2006 dei 126 casi positivi su 1243 denunciati il 62% proviene dalle
aziende, il 13% dalle poste, mentre il 10% dalla pubblica amministrazione. I soggetti con comprovata malattia professionale possiedono un livello culturale medio alto, con un 58% di Diplomati ed un 23% di Laureati, è professionalmente inquadrato per un 38% come Impiegato, per
un 23% come Quadro, per un 19% come Dirigente, per un 10% come
Tecnico e per un altro 10% come Operaio.
L’indagine condotta nello stesso arco temporale, 2001-2009, presso
le sedi provinciali INAIL della regione Marche ha consentito invece di
evidenziare che su di un numero totale di 105 casi denunciati all’INAIL
per riconoscimento di patologia da Costrittività e/o da Mobbing, solo 14
sono stati accolti positivamente (75 sono stati definiti negativamente e 16
risultano tuttora in fase di istruttoria). La casistica nel suo complesso presenta una distribuzione variabile da sede a sede ed un caratteristico andamento temporale che vede un picco di incidenza nell’anno 2004 con
un sostanziale plateau nel 2005.
Ad un’analisi più dettagliata si rileva inoltre che tra i casi i positivi
vi è un identico numero di soggetti di sesso maschile e di sesso femminile (7 casi per ciascun sesso), mentre vi è una predominanza di quello
maschile (46 casi) tra i casi negativi. Nell’ambito dei casi indennizzati,
le fasce di età maggiormente interessate risultano essere quelle tra 31-40
anni e 41-50 anni; la tipologia di rischio accertata nei casi ammessi all’indennizzo è stata prevalentemente quella riconducibile alle condizioni
di Costrittività Organizzativa: svuotamento di mansioni, marginalizzazione dall’attività lavorativa, isolamento, esercizio esasperato di forme di
controllo, trasferimento ingiustificato, ecc. (10 casi); mentre in soli 4 casi
è stata accertata una condizione di vero e proprio mobbing strategico
conclusosi con il licenziamento del lavoratore. La qualifica professionale
più rappresentata di soggetti esposti alle suddette condizioni di rischio lavorativo è quella dei dirigenti e/o responsabili di settore presso aziende
e/o comuni (6 casi), cui seguono 2 operai (1 operaio saldatore ed un’operaia calzaturiera), 1 socio artigiano meccanico, 2 bancari, 1 impiegata
presso l’ufficio vendite di azienda, 2 medici del pronto soccorso e 1 vigile urbano. Le motivazioni del mancato riconoscimento del nesso causale tra patologia denunciata e rischio lavorativo sono ascrivibili principalmente all’assenza di rischio lavorativo, ovvero al mancato accertamento durante la fase di verifica ispettiva delle asserite incongruenze lavorative (58 casi) e, meno frequentemente, a documentate conclusioni
diagnostiche di assenza di tecnopatia (9 casi) ovvero di patologia psichica preesistente (8 casi).
DISCUSSIONE
Dallo studio dei casi denunciati presso le Sedi INAIL della Regione
Marche si evince che la distribuzione delle condizioni di costrittività o di
mobbing strategico sia sostanzialmente pari tra i due sessi; le fasce d’età
più rappresentate corrispondono a quella dei lavoratori consolidati nella
propria posizione lavorativa, in altre parole a quel periodo della vita lavorativa che rappresenta un punto critico per i dirigenti e i quadri secondo lo stile corrente nell’attuale organizzazione del lavoro. Emerge
con chiarezza, inoltre, la prevalenza di alterati rapporti con il datore di lavoro o con i suoi preposti, piuttosto che con i colleghi; mentre gli attacchi
ai quali sarebbero sottoposti i lavoratori risulterebbero di tre tipi: attacchi
alla persona, attacchi alla situazione lavorativa ed azioni punitive. Con
altrettanta frequenza vengono riportati l’isolamento fisico, la creazione
del silenzio intorno al soggetto, l’esclusione dalle attività ricreative e da
iniziative di aggiornamento e formazione professionale, nonché forme
esasperate di controllo con richiami e sanzioni disciplinari. Il numero limitato di casi riconosciuti dipende dal mancato riscontro durante la fase
di verifica ispettiva, ossia di riscontro oggettivo, delle riferite condizioni
di rischio. Un corretto approccio metodologico implica la necessità di te-
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
nere ben distinte la semplice conflittualità sul lavoro e le condizioni di
disagio e di insoddisfazioni personali che da un normale ambiente di lavoro possono trarre solo motivi di maggiore espressività da reali situazioni di mobbing o di costrittività organizzativa. Si è tuttavia constatato
che in sede giudiziaria le difficoltà di accertamento dei specifici rischi e
delle patologie ad essi correlati vengono non infrequentemente superate
con possibilismi e presunzioni. Una discreta percentuale dei casi respinti
della nostra casistica, per mancata dimostrazione obiettiva dei riferiti elementi di rischio o della presenza di una reale condizione psicopatologica,
hanno trovato poi accoglimento in ambito giudiziario, non sulla scorta di
più ampie ed approfondite indagini accertative, ma solo attraverso dati di
natura essenzialmente anamnestica ed interviste cliniche frettolose e superficiali.
È anche vero, tuttavia, che sussiste una significativa discrepanza tra
il numero dei casi sottoposti all’attenzione dell’INAIL ai fini del riconoscimento di malattia professionale e l’importante numero dei casi stimati,
circostanza che deve richiamare l’attenzione di tutte le figure implicate
nello studio e prevenzione del fenomeno, ivi comprese le organizzazioni
sindacali ed i medici competenti.
123
Conclusions. When appropriate comparisons are performed
between groups of workers operating under different occupational conditions, it is possible to identify, using an ad hoc questionnaire, different
sources of occupational stress which are specific for different categories
of female workers.
Key words: stress, visual display unit operators, kindergarten teachers
22
STRESS-LAVORO CORRELATO: VALUTARE IL RISCHIO CON UNA
METODOLOGIA OGGETTIVO/SOGGETTIVA
F. Anzuini1, M. Servadio2, P. Dusi3
1
Dipartimento di Medicina del Lavoro, Università degli studi di Genova
Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni, Società di Consulenza
Prima Training & Consulting srl di Genova - AIS Group
2
BIBLIOGRAFIA
Ege H., Il Mobbing in Italia. Introduzione al mobbing culturale. Pitagora
Editrice, Bologna 1997.
Leymann H., “The Content and Development of Mobbing at Work” - European Journal of Work and Organizational Psycology, 1996, 5 (2).
Levi L.I., “Guidance on Work-related Stress. Spice of Life or Kiss of
Death?”, Office for Official Publications of the European Communities, Luxemburg 2000.
Paoli P., Merllié D., 3rd European survey of working condition, European
Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions,
Dublin 2000.
21
IDENTIFICAZIONE DEL RISCHIO STRESS LAVORO CORRELATO
MEDIANTE QUESTIONARIO SPECIFICO
A. Sancini1, M.P. Schifano1, V. Di Giorgio1, T. Caciari1, M. Fiaschetti1,
L. Scimitto1, S. De Sio1, C. Cetica1, F. Tomei1, M. Fioravanti2, G. Tomei2
1 “Sapienza” Università di Roma; Unità Operativa di Medicina del
Lavoro; Dipartimento di Scienze Anatomiche, Istologiche, Medico-Legali
e dell’Apparato Locomotore; viale Regina Elena n. 336 - 00161 Roma
2 “Sapienza” Università di Roma. Dipartimento di Scienze Psichiatriche
e Psicologia Clinica, Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Roma
Corrispondenza: Prof. Francesco Tomei, MD - Via Monte delle Gioie 13 00199 Rome, Italy - Phone: +39 06 49 91 25 65, +39 06 49 91 25 40 - Fax: +
39 06 86 20 31 78, +39 06 49 91 25 54 - e-mail: [email protected]
IDENTIFICATION OF THE RISK OF STRESS RELATED TO
WORK THROUGH A SPECIFIC QUESTIONNAIRE
ABSTRACT. AIM. Identify, by a brief and ad hoc questionnaire,
specific dimensions of perceived occupational stress in two different
groups of female workers: visual display unit (VDU) operators, for whom
the risk of work related stress is already known in literature, and
kindergarten teachers, for whom very few studies have examined this risk.
Methods. An ad hoc brief questionnaire was administered to 70 female kindergarten teachers and 70 female VDU operators, matched for
age and length of service. See the communication “Subjective stress in
workers” to have further informations about the questionnaire and the
statistical analysis.
Results. Kindergarten teachers show significantly higher values of
the questionnaire total score than VDU operators, indicating a higher
level of perceived occupational stress. Especially, the factor scores concerning perceived load of work responsibilities shows significant
between group differences. Compared to VDU operators, kindergarten
teachers perceive as more stressful their condition of responsibility in
taking independent decisions and in autonomously managing their work.
Corrispondenza: Anzuini Francesco - tel: 3883630122 email: [email protected]
WORK RELATED STRESS RISK: THE EVALUATION BY MEANS
OF AN OBJECTIVE/SUBJECTIVE METHODOLOGY
ABSTRACT. Work-related stress is an emergent problem whose
consequences are increasingly evident in the working age population.
Valuation involved a group of electro-mechanical workers (N=136),
parted in four macro-tasks. We use a self report questionnaire (based on
O.S.I.) probing satisfaction, importance and stress-related symptoms.
This study suggest an half-quantitative approach in the same way as
material risks (R = P x D), valuing probability with a subjective
methodology and damage with an objective one. Probability is the
average of important factors’ gap (M) (gap = satisfaction - importance),
damage is estimated grounding on epidemiologic data available on
literature. The results show that three macro-tasks have a “mild” risk
and one has a “slight” risk; no relevant symptom emerges from whole
macro-tasks. This approach turns out very useful because it starts from
an advance analysis of the company organization (questionnaires are
personalized and not standardized), moreover the gap’s average (M),
utilized to minimize perceived stress’ subjectivity, increases
questionnaires’ reliability favouring attention on group’s evaluation.
Key words: Stress at work, risk, probability
INTRODUZIONE
Potenzialmente lo stress può riguardare ogni luogo di lavoro ed
ogni lavoratore ed interessa circa il 22% della popolazione attiva, tanto
che il 50-60% delle giornate lavorative perse è correlato alle conseguenze dello stress. Lo stress-lavoro correlato è definito come uno stato
di malessere “che si manifesta con sintomi fisici, psichici o sociali legati
all’incapacità delle persone di colmare uno scarto tra i loro bisogni e
loro aspettative e la loro attività lavorativa”. La valutazione dello stresslavoro correlato (D.lgs 81/08 art. 28) ha come obiettivo la prevenzione
e la riduzione dello stress presente sul luogo di lavoro secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, ma si è dimostrato complicato valutare un rischio per il quale ci sono scarse evidenze scientifiche su dose / risposta, dose soglia e frequenza di danno negli esposti.
In questo lavoro si propone una pratica strategia operativa atta a valutare lo stress alla stregua dei rischi materiali: R = P x D, misurando la
Probabilità con un metodo soggettivo e il Danno con un metodo oggettivo. Si è cercato in tal modo di dare una stima semi-quantitativa ed integrata del rischio, come suggerito dalle linee guida SIMLII sullo stresslavoro correlato (2).
MATERIALI E METODI
È stata valutata un’azienda elettromeccanica con 173 lavoratori (9
dirigenti, 28 quadri, 119 impiegati e 17 operai) con un approccio approfondito a più step:
Incontro preliminare con la Direzione aziendale ed RSPP a scopo
conoscitivo e per definire il piano di Progettazione lavori.
124
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
Adattamento del questionario sulla base delle mansioni presenti in
azienda.
Somministrazione e compilazione dei questionari da parte di tutti i
lavoratori (136 tra impiegati ed operai).
Analisi dei dati, stesura del DVR e briefing sulle possibili azioni di
miglioramento in collaborazione con l’azienda.
Sono state definite quattro macro-mansioni aziendali: mansione n°1
(ufficio), n°2 (ufficio, officina), n°3 (ufficio, bordo nave), n°4 (ufficio,
clienti). La probabilità (variabile soggettiva) è stata definita come il
gap/scarto tra la soddisfazione attribuita dai lavoratori ai vari aspetti lavoro correlati e l’importanza data ad essi. Ad ogni lavoratore è stato somministrato un questionario (versione adattata dell’O.S.I. (3)) diviso in
quattro sezioni: 1. Importanza riferita a 30 items/fattori lavorativi accuratamente selezionati 2. Soddisfazione attribuita agli stessi items 3. Valutazione dello “strain” della persona basata su 18 items tesi ad evidenziare
sintomi fisici, comportamentali, emotivi e cognitivi (questa sezione non è
stata considerata nel calcolo della “probabilità” di rischio nelle mansioni)
4. Età e mansione di appartenenza. Quindi, attraverso il software “SPSS”,
è stato calcolato: il livello medio di importanza, il livello medio di soddisfazione e il relativo gap medio tra questi. Un fattore influenza la “probabilità” se la media di importanza attribuita è superiore a 3 e si definisce
“stressante” se il gap tra soddisfazione e importanza è < di 0. La probabilità è data, quindi, dalla media dei gap dei fattori importanti (M) in ogni
mansione; questo valore è stato inserito nel calcolo del rischio (tabella I),
utilizzando range standardizzati di riferimento (tabella II). Il danno (variabile oggettiva) è legato alla tipologia di attività lavorativa ed è stato stimato, in ognuna delle quattro macro-mansioni, basandosi su dati epidemiologici relativi ad incidenti, infortuni e incidenza di patologie presenti
in letteratura. In base al rischio calcolato per ogni singola mansione, utilizzando la tabella I, sono state quindi definite quattro classi di rischio:
Alto (9 ≤ R ≤ 16) = azioni correttive immediate, Medio alto (6 ≤ R ≤ 8) =
azioni correttive da programmare con urgenza, Medio basso (2 ≤ R ≤ 4)
= azioni correttive da programmare a medio termine, Basso (1) = azioni
migliorative da valutare in fase di programmazione.
RISULTATI
Dai risultati emerge che tutte le mansioni rientrano nel livello di probabilità 1 e, in base ai dati presenti in letteratura, è stato assegnato un valore di danno pari a 1 “Lieve” alla mansione n° 1 e un valore pari a 2
“Modesto” alle mansioni n° 2, 3, 4. Inserendo i dati nella tabella I si deduce che una mansione (n° 1) presenta un livello di rischio residuo Basso
e che tre mansioni (n° 2, 3, 4) presentano un livello di rischio residuo
Medio Basso.
I fattori lavorativi con gap più significativo (quelli con valore < -1)
nell’azienda sono stati: “valutazione del lavoro svolto” (media -1,41),
“possibilità di sviluppo personale” (media -1,02), “possibilità di sviluppo
di carriera” (media -1,01). Come evidenziato da precedenti studi (1), il livello degli indicatori di rischio relativo ai disturbi fisici e psichici non è
risultato correlato con le attività con lavoro manuale (mansione n°2, n°3),
le medie dei disturbi rilevati nella singola mansione non hanno differito
significativamente tra loro e le medie complessive dei disturbi hanno superato o avvicinato il valore soglia della “area della salute”(che è stato
fatto corrispondere a “2 = raramente” del questionario) solo in due casi
per i disturbi fisici [“impossibilità di dormire” (media 2,04) ed “essere
esausto senza motivo” (media 1,97)] e in tre casi per i disturbi psichici
[“sovraccarico lavorativo” (media 2,37), la “tendenza alla cattiveria”
(2,17) e “momenti di irritazione per cause di poca importanza” (1,92)].
CONCLUSIONI
Nel complesso, la valutazione effettuata ha mostrato una realtà aziendale con un rischio stress-lavoro correlato contenuto e i più frequenti sintomi fisici e psichici riscontrati sono considerati nella letteratura come
“conseguenze a breve termine stress-lavoro correlate”. Si è verificato
molto utile il tentativo di pesare i fattori lavorativi a livello di mansione,
in modo da poter così analizzare i fattori critici soggettivi più importanti
in ogni gruppo (valore > 3). Vista l’eterogeneità del rischio valutato ed il
costo che una sottostima e/o errata valutazione dello stesso può causare
all’azienda in termini di assenteismo, infortuni e produttività, l’azienda ha
compreso il vantaggio di incentivare la prevenzione primaria (stato di benessere psico-fisico della persona) e il Datore di Lavoro ha stabilito che
la valutazione del suddetto rischio sarà oggetto di verifica e di riesame,
con frequenza almeno biennale nelle mansioni con livello di rischio residuo Medio Basso e almeno quinquennale in quelle con rischio Basso
(tenendo eventualmente conto di modifiche organizzative aziendali in itinere e/o evoluzioni future delle conoscenze tecniche in materia di stresslavoro correlato). Possiamo quindi affermare che il valore del rischio così
ottenuto si è dimostrato un importante ed utile parametro per valutare la
tempistica degli interventi di protezione (riduzione dell’entità del danno)
e di prevenzione (riduzione della probabilità).
BIBLIOGRAFIA
1) Applicazione del protocollo EUR&KA per la valutazione del rischio
da stress lavoro correlato nei servizi e nell’industria. G Ital Med Lav
Erg 2009, 31: 3 Suppl 2.
2) Romano C. Lo stress occupazionale: la posizione della SIMLII. G
Ital Med Lav Erg 2009; 31: 3, 251-256.
3) Sirigatti S, Stefanile C. OSI Occupational stress indicator, il Manuale. Firenze, Organizzazioni Speciali Firenze. 2002.
23
STRESS PERCEPITO IN UNA COORTE DI INFERMIERI:
CONFRONTO TRA JOB CONTENT QUESTIONNAIRE
E EFFORT REWARD IMBALANCE QUESTIONNAIRE
M. Bonzini1, M. Conti1, L. Bertù1, G. Veronesi1, L. Cimmino1,
P.M. Conway2, F. Picinelli1, M.M. Ferrario1
1
Medicina del Lavoro e Preventiva, Ospedale di Circolo di Varese e
Università degli Studi dell’Insubria, Varese
2 IRCCS Fondazione Ca’ Granda H Maggiore Policlinico e Dip.
Medicina del Lavoro Università degli Studi di Milano
Corrispondenza: Marco Conti, Scuola di Specializzazione in Medicina
del Lavoro, Università degli studi dell’Insubria, Viale Borri 57, 21100
Varese, Mail: [email protected]
Tabella I. Rischio = probabilità x danno
Tabella II. Range di riferimento per il gap medio
PERCEIVED OCCUPATIONAL STRESS AMONG NURSES PERSONNEL: COMPARISON BETWEEN JOB CONTENT QUESTIONNAIRE AND EFFORT REWARD IMBALANCE QUESTIONNAIRE
ABSTRACT. Assessing work stress is not an easy task and
represents a critical issue in occupational medicine in Italy due to the
application of a recent law. Perceived job stress questionnaires should be
one part of such an assessment, but poor data are currently available on
the agreement of such tools in the real field. We evaluated job strain in a
group of 411 nurses, using at the same time the Effort-Reward-Imbalance
Questionnaire (ERI-Q, 17 items) and the Job-Content-Questionnaire
(JCQ, 32 items). In our study both questionnaires showed high levels of
internal consistency (Cronbach’s Alpha>0.80). Considering the intercorrelation of the different scales in both questionnaires we observed
that Psychological Job Demand (from JCQ) was highly correlated with
Effort (from ERI-Q) while Social Support (JCQ) was strongly related to
Reward (ERI). Decision Latitude showed lower correlation with others
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
125
available stress scales. About 20% of nurses reported ERI values >1.0
and 60.7% of them with in addition high level of over commitment were
classified as High Strain according to Karasek’s model.
Key words: occupational stress, perceived stress questionnaires, risk
assesment
INTRODUZIONE
La valutazione dello stress costituisce parte imprescindibile per la
tutela della salute in ambito lavorativo (come ribadito dal D.Lgs 81/08).
Una sua corretta misura deve prevedere una pluralità di strumenti oggettivi (es. indicatori aziendali) e soggettivi. Tra gli strumenti soggettivi, i
questionari per lo stress percepito costituiscono uno strumento ineliminabile (1). È quindi necessario verificarne consistenza e affidabilità in
ambito lavorativo, e valutare la concordanza tra questionari nella identificazione dei soggetti a rischio.
Per questo motivo abbiamo indagato una coorte di infermieri, considerata popolazione a rischio elevato (2), utilizzando contemporaneamente i due questionari più studiati in ambito internazionale.
METODI
La popolazione allo studio è costituita dagli addetti all’assistenza
non-medici, assunti in 15 reparti degenza dell’Ospedale di Circolo, Varese (n=518).
Lo stress percepito è stato misurato utilizzando contemporaneamente: il questionario di Siegrist, che misura il rapporto tra Effort e
Reward (ERI-17 items) (3) e il questionario di Karasek (JCQ-32 items)
che valuta Decision-Latitude (DL), Psicological-Job-Demand (PJD), Social-Support (SS) (4).
Sono inoltre state raccolte dettagliate informazioni circa le caratteristiche anagrafiche, l’anzianità di servizio, le caratteristiche psicologiche
individuali: la salute mentale è stata misurata utilizzando una sottoscala
del SF-36 relativa al Mental-Health (5 items) (5), l’approccio al lavoro
attraverso l’over-commitment (6 items), la tendenza alla somatizzazione
attraverso una sottoscala del Brief- Symptom -Inventory (7 items) (6).
La consistenza interna dei singoli costrutti dei questionari è stata indagata mediante a di Cronbach (7), la correlazione tra le sottoscale attraverso l’indice di correlazione di Pearson. La concordanza tra la classificazione dei soggetti nelle differenti categorie di stress identificate da ERI
e JCQ è stata valutata attraverso una batteria di test quali: il coefficiente
di contingenza di Pearson, l’indice di correlazione di Spearman ed il
Mean Score Difference.
La prosecuzione dello studio prevede l’analisi della relazione dello
stress percepito con indicatori oggettivi di stress e con i disturbi muscoloscheletrici, prima causa di invalidità e assenza tra gli operatori sanitari.
RISULTATI
Hanno partecipato all’indagine 411 soggetti (tasso di partecipazione=79%). L’età media è risultata pari a 39 anni (range=23-60), con
l’81% di donne e con mansione più frequente infermiere professionale
(66%). Il 75% dei soggetti ha dichiarato un anzianità di servizio maggiore di 5 anni. I risultati sintetici dei diversi costrutti dello stress percepito utilizzati nei questionari sono riportati in tabella I.
Il 20% dei soggetti è risultato con ERI>1, considerato indicatore di
stress elevato, mentre il 25% dei soggetti ha riferito alto PJD e bassa DL. La
consistenza interna dei questionari è risultata elevata per ERI e SS (α>0.80),
inferiore per i costrutti PJD e DL (α=0.64 e 0.66, rispettivamente).
L’indagine della correlazione tra i diversi costrutti di ERI e JCQ è risultata molto alta per PJD e Effort (r=+0.64) e buona per SS e Reward
Tabella I. Risultati riassuntivi dello stress percepito
nella casistica indagata, costrutti ERI e JCQ§
Tabella II. Concordanza della classificazione
dei soggetti allo studio (n=399)
(r=+0.47). La DL ha mostrato una bassa correlazione con gli altri costrutti. Considerando congiuntamente i punteggi dei due questionari i
soggetti caratterizzati da ERI>1 e alto comittment sono risultata per il
60% classificati High Strain (categoria a maggior stress) mentre solo il
7% dei soggetti con basso ERI e basso comittment (minimo stress) sono
stati classificati High Strain (vedi Tabella II).
DISCUSSIONE
Il nostro studio, ha verificato l’elevata consistenza interna e esterna
dei due questionari ERI e JCQ per la misura dello stress, requisito fondamentale per una sua corretta valutazione in ambito lavorativo. I bassi
valori della DL evidenziati sembrano attribuibili ad un singolo item discorde relativo alla ripetitività dei compiti, che è ipotizzabile non sia legato allo stress percepito in ambito sanitario.
Entrambi i questionari sono generalmente concordi nell’individuare
i soggetti con amggiori indici di stress percepito. La valutazione dei due
questioanri sarà completata attrraverso una analisi della loro relazione
con indicatori aziendali di carico reparto specifici e indagando la loro
correlazione con disturbi e assenze dei lavoratori.
BIBLIOGRAFIA
1) Linee guida per la formazione continua e l’accreditamento del medico del lavoro. Valutazione, prevenzione e correzione degli effetti
nocivi dello stress da lavoro. Documento di consenso. SIMLII, 2006.
2) Mc Vicar A. Workplace stress in nursing: a literature review. Journal
of Advanced Nursing 2003; 44 (6): 633-642.
3) Siegrist J. Adverse health effects of high-effort/low-reward conditions. J Occup Health Psycol 1996; 1: 27-41.
4) The Job Content Questionnaire (JCQ): An Instrument for Internationally Comparative Assessments of Psychosocial Job Characteristics.
J Occup Health Psycol 1998; 3: 322-355.
5) Ware JE, Sherbourne CD. The MOS 36-item short-form health
survey (SF-36). Medical Care 1992; 30: 473-483.
6) Derogatis LR, Melisarotos N. The brief symptom inventory: an introductory report. Psychol Med 1983; 13: 595-605.
7) Cronbach LJ. Coefficient alpha and the internal structure of tests.
Psychometrika 1951; 16 (3): 297-334.
24
OLTRE GLI ADEMPIMENTI: LA VALUTAZIONE DELLO STRESS
LAVORO CORRELATO COME OPPORTUNITÀ DI SVILUPPO
DELL’ORGANIZZAZIONE
S. Bosia2, I. Hindrichs1, D. Schilleci2, D. Converso, V. Trotta, S. Viotti1
1
2
Psicologhe, Dipartimento di Psicologia, Università di Torino
Medici competenti
Corrispondenza: Silvano Bosia Mail: [email protected]
ABOVE EXECUTIONS: EVALUATION OF WORK RELATED
STRESS AS AN OPPORTUNITYOFORGANIZATIONALDEVELOPMENT
ABSTRACT. The experience described shows a search process that,
in compliance with recent legislation on the Prevention and Security
126
(Legislative Decree 81/2008 and subsequent amendments), allows to
assess the risk of introducing work-related stress and also in the
evaluation document measures identified to manage this risk and to use
the assessment of work-related stress as opportunities for growth and
organizational development.
you can already show how both qualitative and quantitative data,
according to the principle of triangulation of research tools and to build
common work-related stress risk assessment between researchers, clients
and employees, indicate some critical areas and other virtuous would
agree on which invest in terms of structural assistance, training and
support.
We have briefly presented the results of the first two phases of the
project in order to highlight in particular the process of research and
action that allows the organization at the same time fulfill the
requirements of normative order, and set up opportunities for growth and
development of organization.
INTRODUZIONE
L’esperienza descritta evidenzia un processo di ricerca che, nel rispetto della normativa recente in materia di prevenzione e sicurezza
(D.Lgs 81/2008 e s.m.i.), consente di valutare il rischio stress lavoro correlato e di introdurre nel documento di valutazione anche le misure individuate al fine di gestire tale rischio, nonché di utilizzare la valutazione
dello stress lavoro correlato come opportunità di crescita e sviluppo organizzativo.
La stessa normativa, con l’introduzione esplicita della valutazione
stress lavoro correlato nelle organizzazioni di lavoro, sottolinea l’importanza di non fermarsi al documento di valutazione, ma di individuare
delle misure di intervento per ridurre i rischi psicosociali. In questo contesto si deve tener conto del fatto che lo stress, così come altri fattori psicosociali, non è un rischio “eliminabile”. È invece essenziale rafforzare
quei fattori che proteggono le persone dallo stress e di attivare un sistema
di gestione dei rischi psicosociali. A questo scopo, il modello di valutazione adottato si declina come ricerca intervento (Kaneklin, Piccardo,
Scaratti, 2010) che prevede non soltanto la raccolta dati, ma anche la collaborazione con la dirigenza e le persone direttamente coinvolte nella gestione dei rischi (MC, RSPP, RSL, RU) ai fini di elaborare una strategia
che rafforzi le buone pratiche e intervenga nelle aree più critiche.
MATERIALI E METODO
Il metodo utilizzato in questa ricerca è stato elaborato e applicato in
una organizzazione complessa a gestione pubblica e privata che cura lo
smaltimento dei rifiuti sul territorio della provincia di Asti. La valutazione del rischio stress-lavoro correlato è stata commissionata dall’azienda al Dipartimento di Psicologia del Lavoro dell’Università degli
Studi di Torino con una domanda collegiale da parte del Consiglio di amministrazione e dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.
Il modello di ricerca e intervento adottato è stato concordato tra
questo gruppo aziendale e le ricercatrici del Dipartimento di Psicologia e
si è svolto in tre fasi.
La prima fase è stata di tipo esplorativo basata su un approccio qualitativo (interviste a “interlocutori privilegiati”, attori del sistema di prevenzione e protezione, lavoratori provenienti dai diversi siti produttivi e
dai diversi livelli di inquadramento previsti) al fine di individuare i principali rischi percepiti e prevedibili sulla base di alcuni indicatori (infortuni, trasferimenti, assenze, ecc.), conoscere adeguatamente la cultura organizzativa di riferimento, nonché poter approntare lo strumento di rilevazione più adeguato per la fase successiva di ricerca, di tipo quantitativo. I dati di questa prima analisi sono stati restituiti alla committenza
per progettare congiuntamente la continuazione del percorso.
Si è avviata quindi la seconda fase attraverso la somministrazione di
un questionario quantitativo di auto-compilazione all’universo della popolazione lavorativa (N=113).
Lo strumento adottato, approntato dal Dipartimento di Psicologia e
in fase di validazione, è composto da diverse sottoscale validate in letteratura e da alcune sottoscale costruite ad hoc. L’analisi statistica dei dati
raccolti consente di individuare le diverse dimensioni del contesto - organizzative, lavorative, relazionali e individuali - che possono direttamente o indirettamente, nella loro complessa interazione, causare disagi
fisici e/o psicologici (esaurimento emotivo, stress comportamentale, disturbi psicosomatici, disaffezione organizzativa, intenzione di lasciare di
lavoro). Questo tipo di valutazione indaga e valorizza anche gli aspetti
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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positivi dell’organizzazione quali il benessere psicologico, il benessere
emotivo, la soddisfazione personale e consente inoltre al management di
conoscere le criticità e i punti di forza dell’organizzazione indispensabili
per identificare adeguatamente le misure d’intervento relative al rischio
stress-lavoro correlato. Anche questi risultati sono stati restituiti in una
riunione con la committenza.
I risultati sia qualitativi che quantitativi sono poi stati riassunti come
materiale per l’avvio della terza fase, la condizione di 3 focus-group (individuati a partire dai risultati emersi) composti da lavoratori provenienti
da stabilimenti e gruppi professionali parsi come più critici in relazione
allo stress lavoro-correlato o, al contrario, più protetti dal disagio e caratterizzati da forme più evidenti di benessere, fine con lo scopo di meglio comprendere i risultati in una loro interpretazione condivisa con i diretti interessati. Attualmente è in corso l’analisi di contenuto delle trascrizioni di questi incontri. I risultati finali saranno di nuovo restituiti alla
committenza, al fine di individuare collegialmente interventi e misure di
miglioramento e gestione del rischio stress.
RISULTATI
Mentre è ancora in atto l’avvio della terza fase di riflessione ed elaborazione delle misure di miglioramento, si può già evidenziare come i
dati sia qualitativi che quantitativi, secondo il principio della triangolazione degli strumenti di ricerca e per la costruzione comune della valutazione dei rischi stress lavoro correlato tra ricercatori, committenza e lavoratori, indichino alcune aree critiche e altre virtuose sulle quale converrebbe investire in termini di interventi strutturali, formativi e di supporto. Si pensa in particolare a:
– la condivisione del significato non soltanto legato al profitto del lavoro in un’azienda che si occupa di smaltimento dei rifiuti,
– il senso di appartenenza all’organizzazione e ai rispettivi gruppi di
lavoro,
– la percezione di sicurezza fisica in un luogo di lavoro che nel senso
comune parrebbe insicuro,
– la percezione di condizioni contrattuali buoni e sicuri in un’azienda
in espansione in un periodo economico critico e in un territorio con
un mercato di lavoro in recessione,
– il ruolo critico di chi copre funzioni di responsabilità in particolare
ai livelli medi,
– il rischio intrinseco a un lavoro ripetitivo in particolare nella cernita
dei rifiuti.
DISCUSSIONE
Abbiamo qui brevemente presentato i risultati delle prime due fasi di
progetto al fine di evidenziare in particolare il processo di ricerca e di intervento che consente all’organizzazione al tempo stesso di adempiere
alle richieste di ordine normativo, e di allestire occasioni di crescita e sviluppo dell’organizzazione stessa.
BIBLIOGRAFIA
Decreto legislativo Numero 81/2008 (D.Lgs. 81/08).
Kaneklin C., Piccardo C., Scaratti G. La ricerca-azione. Cambiare per conoscere nei contesti organizzativi. Milano, Guerini 2010.
Linee guida SIMLII Vol. N° 21.
25
PROSPETTIVE E SVILUPPO DELLE TECNICHE DI MEDIAZIONE
NELL’AMBITO DELLE ORGANIZZAZIONI LAVORATIVE
E.F.E. Cirla, A.M. Cirla
Centro Italiano Medicina Ambiente Lavoro (Gruppo CIMAL), MilanoCremona
Corrispondenza: Angelo Mario Cirla - Via dei Pettinari, 7 - 26100
Cremona, Italy - Phone: ++39 02 59901542 - e-mail: angelo.cirla@
gruppocimal.it
Parole chiave: mediazione organizzativa, conflitti sul lavoro, ruolo
del mediatore
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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PERSPECTIVES AND DEVELOPMENT OF MEDIATION
TECHNIQUES IN WORKING ORGANIZATIONAL CONTEXT
ABSTRACT. In the working context the term mediation is used in
different ways, but all of them substantially aim to underline the
connection among elements that move between conflict and cooperation
within an occupational community. Workers not only perform defined
tasks but develop relationships, norms and values aimed to achieve the
common goal of production of goods and services. The risk of
unresolved conflicts can damage the health, what the occupational
doctor classifies as occupational stress syndromes. The psychological
process of mediation is a set of techniques that develops along two
paths: recognizing and processing opportunities for the organizational
growth or simply resolving contingents problems. The mediator is the
right person to direct or guide the process of solution between the
parties, assuming different roles depending on the strategy adopted. The
fact of being able to mediate without improvising represents a new
professional skill. According to this, a specific recent literature
describes how to use various techniques and suggests an increasing
demand of a team of professional mediators in the prevention of the
stress related to personal conflicts. In the background remains the goal
of an increased welfare organization and of a different business
management, considering together both the economic and human
resources.
Key words: occupational mediation, conflicts at work, mediator’s
role
INTRODUZIONE
Aumento della mobilità professionale, continui processi di ristrutturazione aziendale, transizione verso una società multietnica, espansione
del settore dei servizi, globalizzazione tecnologica ed economica: questi
sono i principali fattori che, in un contesto di progresso sociale, culturale
ed economico, determinano la crescita delle situazioni conflittuali nell’ambito del lavoro organizzato. La mancata gestione dei conflitti individuali e di gruppo nelle imprese ha effetti negativi sia sull’equilibrio di salute delle persone che sul funzionamento delle aziende. Molti imprenditori e lavoratori vivono questa situazione in termini di tensione, incertezza, e impoverimento delle relazioni personali con un bilancio negativo
nel rapporto stress e salute.
Quando si parla di mediazione il termine si presta ad essere utilizzato con significati diversi, tutti sostanzialmente miranti ad evidenziarne
l’azione di raccordo fra elementi che si muovono dalla cooperazione al
conflitto nell’ambito di un tessuto comunitario. Dal punto di vista della
psicologia la mediazione si configura come uno strumento alternativo relativamente nuovo e interdisciplinare, in quanto metodologia specifica
per la gestione e risoluzione di un conflitto. Lo scopo di questa ricerca è
duplice: inquadrare lo sviluppo della mediazione nei conflitti lavorativi e
prospettare ipotesi di applicabilità delle relative tecniche nelle comunità
lavorative.
MATERIALI E METODI
È stata effettuata estesa revisione bibliografica (82 voci, delle quali
si riportano solo le principali), sia riguardo ai fondamenti teorici della
conflittualità, sia riguardo all’origine e all’articolarsi del processo di mediazione, con la relativa componente psicologica.
RISULTATI
Fra le molteplici definizioni di mediazione incontrate quella di Castelli (1) appare particolarmente esaustiva: processo attraverso il quale
due o più parti si rivolgono liberamente ad un terzo neutrale, il mediatore, per ridurre gli effetti indesiderabili di un grave conflitto. La mediazione mira a ristabilire il dialogo fra le parti per poter raggiungere l’obiettivo concreto di realizzazione di un progetto di riorganizzazione delle
relazioni che risulti il più soddisfacente per tutti. L’obiettivo finale della
mediazione si realizza una volta che le parti si siano creativamente riappropriate, nell’interesse proprio e di tutti i soggetti coinvolti, della propria attiva e responsabile capacità decisionale. Gli studi intorno a tale
obiettivo si sono sviluppati nell’arco degli ultimi trent’anni inizialmente
negli Stati Uniti e successivamente in Europa, specialmente in Spagna.
(2-4, 6, 7). Tutta la vita dell’uomo è legata al suo confrontarsi con i propri
simili e necessariamente a momenti conflittuali (5). In sintesi l’orientamento della personalità (egoismo vs altruismo) determina gli stili di
estrinsecazione del conflitto (Tabella I).
127
Tabella I. Stili di approccio al conflitto
(modificato da Kylman RH e Thomas KW, 1975)
Tabella II. Conseguenze dei conflitti nell’ambito lavorativo
Tabella III. Confronto tra due principali metodi di mediazione
Le imprese finalizzate a uno scopo produttivo sono organizzazioni
complesse, con regole, procedure, valori proposti o imposti alle persone che
ne fanno parte, le quali vivono relazioni interindividuali che possono esitare
in situazioni di conflitto (1, 4, 5). Il progresso industriale e post-industriale
della società ha fatto si che le conflittualità mal gestite portino conseguenze
non solo su singole persone, ma anche sulla comunità produttiva aziendale
(Tabella II). Il processo di mediazione (2-4, 7) è ormai ben definito come
caratteristiche generali ed obiettivi specifici, secondo due approcci differenti (Tabella III). La mediazione “risolvi il problema”, che è la più accettata tradizionalmente, affida al mediatore un ruolo direttivo e tecnico. La
mediazione “trasforma la situazione”, più difficoltosa ma più proficua, vede
nel mediatore l’attore che favorisce la crescita degli individui e dell’organizzazione aziendale mediante una visuale positiva del conflitto.
La figura del mediatore non può essere univoca (2, 6). La mediazione è, infatti, un procedimento interdisciplinare. Secondo i vari ambiti
può coinvolgere avvocati, assistenti sociali, manager, psicologi del lavoro. Certamente la loro preparazione professionale deve essere specifica e non solo fondata sull’esperienza acquisita (1, 4, 6).
DISCUSSIONE
Vi è attualmente un’ampia esigenza teorica di utilizzo di nuove tecniche di mediazione, generata dalla crescente attenzione al rischio stress
lavoro correlato, il quale è relativamente facile da individuare, ma difficile da rimediare nei casi singoli. Saper mediare senza improvvisare può
configurarsi come una nuova professionalità. Sia fra gli imprenditori che
fra i lavoratori persistono ancora difficoltà culturali all’introduzione di
questa nuova dimensione operativa nelle comunità aziendali. Nell’ambito della grande e piccola impresa emergono due profili di possibili mediatori. Il primo è il manager, che adeguatamente formato può arrivare a
mediare le conflittualità intragruppo e intergruppi; il rischio è che per
predisposizione culturale egli si limiti all’approccio “risolvi il problema”. Il secondo è lo psicologo specializzato, che appare un buon candidato sia per la formazione di base dei manager sia per mediare con
l’approccio “trasforma la situazione”, nel lungo termine più utile all’organizzazione aziendale e più efficace per la prevenzione dello stress. Il
medico competente è una terza figura importante nel sistema, poiché mediante la sorveglianza sanitaria è l’unico a poter individuare e segnalare
le conseguenze dei conflitti irrisolti sulla salute dei singoli. Fra questi tre
profili è sollecitata e vi deve essere collaborazione interdisciplinare. In
prospettiva futura, come già attuato in alcune grandi imprese degli Stati
Uniti d’America, si può anche ipotizzare l’istituzione avanzata di un
equipe di mediazione, con il compito di intervenire nelle varie situazioni
di conflittualità che possono insorgere all’interno dell’azienda.
128
BIBLIOGRAFIA
1) Castelli S. La mediazione. Milano, Ed. Cortina, 1996.
2) Fernandez Rios M. Condiciones de exito y fracaso de la mediacion laboral. Psicologia del trabajo y las organizaciones. 1996; 12: 149-171.
3) Gaynier LP. Trasformative Mediation: in search of a theory of pratice. Conflict Resolution Quartely. 2005; 22, 3: 397-408.
4) Haynes JM, Haynes GL, Fong LS. La mediazione. Strategie e tecniche per la risoluzione positiva del conflitto. Milano, Ed. CEDAM,
2004.
5) Kilmann RH, Thomas KW. Interpersonal conflict-handling behaviour as reflections on Jungian personality dimensions. Psycho rep.
1975; 37:971-980.
6) Martello M. L’arte del mediatore dei conflitti. Milano, Ed. Giuffré,
2005.
7) Six JF. Les temps des mediateurs. Paris, Ed. Du Seuil, 1990.
26
LA VALUTAZIONE DELLO STRESS LAVORO-CORRELATO
NELL’AZIENDA SANITARIA DI ANCONA
A. Copertaro, G. Bevilacqua1, M. Barbaresi, F. Barchiesi1, B. Copertaro
ASUR Zona 7 Ancona; Medicina del Lavoro-Servizio Medico
Competente. Ospedale di Loreto, via S.Francesco 1; 60025 Loreto (An)
1 ASUR Zona 7 Ancona; Servizio di Prevenzione e Protezione. Via
C.Colombo 106, 60100 Ancona
Corrispondenza: Dr. Alfredo Copertaro, Responsabile Medicina del
Lavoro-Servizio del Medico Competente, Ospedale di Loreto ASUR
Zona 7 Ancona, Via S.Francesco 1, 60025 Loreto (An), Tel. 0717571949,
Fax 0717509353, e-mail: [email protected]
WORK RELATED STRESS: RISK ASSESSMENT IN THE LOCAL
REGIONAL HEALTH SERVICE UNIT OF ANCONA
ABSTRACT. The study according to describes to the risk
assessment work related stress lead in the local regional health service
unit of Ancona of the D.Lgs.81/08 and that it has regarded the sanitary
staff, administrative and technical. The participation has been realized in
three is made successive that they have regarded before, aspects that
characterize the specific working truth, in the second phase has been
studied the objective and verifiable elements which pointers of jobcorrelated stress and relating factors of risk the health service (accidents
indices and occupational diseases, the absences for disease, the turnover
of the staff) while the organizational aspects have been tested using the
Work Organisation Assessment Questionnaire; the last phase has
regarded the subjective perception of stress uses by means of it of the
scale for the Fast Appraisal of Stress. The analysis of the pointers
evidences organizational conditions that can determine the stress
presence correlated job and for every condition of identified risk they
will come adopted aimed actions of improvement, in particular
formation activity and focus group.
Key words: work-related stress; risk assessment; health care
workers.
INTRODUZIONE
Il D.Lgs 81/08 s.m.i. richiama l’obbligo da parte del datore di lavoro,
in collaborazione con il responsabile SPPA e con il medico competente, di
valutare tutti i rischi per la sicurezza e salute dei lavoratori, ivi compresi
quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004. Vengono presentati i risultati della valutazione condotta sul personale operante presso l’Azienda Sanitaria n°7
di Ancona, ottenuti applicando i metodi proposti dal documento di consenso della SIMLII e dalla guida operativa del Coordinamento Tecnico
Interregionale della Prevenzione nei Luoghi di Lavoro (CTIPLL).
SOGGETTI E METODI
L’intervento ha interessato 1.285 dipendenti dell’ASUR Zona Territoriale 7 di Ancona, 465 maschi (36%) e 820 femmine (64%); 864
(67,5%) lavorano in area sanitaria con compiti di assistenza, diagnosi,
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cura e prevenzione, 250 (19,5%) sono impiegati nelle aree tecniche
mentre 172 (13%) sono gli addetti dell’area amministrativa. L’approccio
metodologico inerente i criteri e metodi di valutazione, è stato condotto
in tre fasi tenendo conto delle indicazioni provenienti dal documento di
consenso della SIMLII (1) e dalla guida operativa del CTIPLL (2).
Ia fase: è stata condotta una valutazione preliminare che ha preso in
esame gli elementi che caratterizzano la specifica realtà lavorativa quali
la dimensione e complessità organizzativa, le caratteristiche produttive
dell’attività considerata a rischio noto in letteratura, la tipologia della
forza lavoro e l’identificazione di gruppi omogenei per partizioni organizzative aventi caratteristiche comuni in merito ai fattori di rischio organizzativo
IIa fase: ha preso in esame elementi oggettivi e verificabili quali indicatori di stress lavoro-correlato e fattori di rischio attinenti l’organizzazione aziendale quali gli indici infortunistici, l’assenze per malattia, il
turnover del personale mentre gli aspetti organizzativi sono stati saggiati
utilizzando il Work Organisation Assessment Questionnaire (WOAQ)
nella versione italiana validata da Magnavita N et al (3).
IIIa fase: indagine sulla percezione soggettiva dello stress nelle categorie di lavoratori esaminati (sanitari, tecnici, impiegati) e per singola
unità operativa mediante l’utilizzo della scala per la Valutazione Rapida
dello Stress (VRS) (4).
RISULTATI
Comparando i risultati dell’Azienda sanitaria di Ancona con quelli
delle altre 12 aziende sanitarie marchigiane non risultano differenze significative per quanto riguarda i dati relativi alle assenze per malattia del personale, per i tassi di frequenza, incidenza e gravità registrati dagli infortuni
lavorativi né per le malattie professionali riconosciute; in particolare non
sono state mai presentate denunce di disturbi psichici lavoro-correlati, né
denunce di mobbing e molestie sessuali. Il medico competente dal 1997 ad
oggi ha espresso un solo giudizio di non idoneità lavorativa per disturbi
psichici extralavorativi, giudizio confermato poi dallo SPSAL.
Anche i dati relativi al turnover sono risultati in linea con quelli delle
altre aziende sanitarie. I risultati riguardanti il benessere organizzativo
indicano la presenza di alcune problematiche lavorative classificate dallo
stesso WOAQ come “lievi”, che tuttavia rappresentano uno spunto importante per migliorare l’organizzazione del lavoro: alcuni ambienti di
lavoro presentano limiti strutturali che alimentano anche la percezione di
insicurezza nei confronti dei rischi lavorativi a cui sono esposti gli operatori ed anche ad errori professionali; specialmente nei blocchi operatori
dove non esiste una struttura organizzativa come nel reparto, si vive una
situazione caratterizzata da difficoltà relazionali sia trasversali (tra infermieri) che verticali (dirigenza medica); i ritmi di lavoro ed i carichi lavorativi in alcune unità vengono percepiti come elevati; in alcune U.O.
si denuncia difficoltà nella comunicazione con la dirigenza ed i propri responsabili; molto spesso i lavoratori lamentano una scarsa possibilità di
carriera ed in alcuni settori a responsabilità più critica si ha la consapevolezza di essere esposti a possibili azioni legali legate all’errore professionale. In alcune unità operative si segnala un’interferenza negativa tra
vita professionale, sociale e famigliare, non dovuta tuttavia ai turni di lavoro che vengono in generale ben accettati e comunque non percepiti
come “problemi”. I risultati ottenuti dalla somministrazione della scala
VRS indicano un basso numero di soggetti che percepiscono uno stress
elevato (4%) mentre il 38% presenta valori di stress moderato ed il 58%
ha un basso valore di stress.
DISCUSSIONE
Il livello di rischio attribuibile agli indicatori di contesto è medio
ossia sono state evidenziate alcune situazioni organizzative in alcune
unità operative che possono determinare la presenza di stress lavorocorrelato; dovranno essere adottate azioni di miglioramento non generiche né a cascata, bensì mirate ad ogni Unità Operativa ed ai problemi
in essa emersi, finalizzate al miglioramento del clima organizzativo.
Che i problemi organizzativi siano contenuti e quindi anche facilmente
aggredibili mediante una politica gestionale più mirata, ci vengono confermati dall’indicatore di effetto utilizzato ossia dal questionario VRS: i
risultati ottenuti indicano un numero molto contenuto di soggetti con
elevato grado di stress, nettamente inferiore rispetto ai risultati ottenuti
da studi simili condotti su altre realtà lavorative del comparto sanitario
e pubblicate in letteratura. Il programma d’intervento messo a punto per
evitare che nel medio-lungo periodo insorgano problemi di salute corre-
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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lati allo stress lavorativo è il seguente: continuare a proporre i corsi di
formazione già avviati coinvolgendo una vasta parte dei lavoratori finalizzati a conoscere lo stress, prevenirlo e curarlo mediante l’insegnamento di strategie di coping per migliorare l’adattamento a situazioni
stressanti, particolarmente evidenti nel comparto sanitario; istituire dei
focus group in ogni singolo reparto con la partecipazione di tutti gli operatori, per evidenziare situazioni organizzative e comportamentali tali
da influire negativamente sul benessere psicofisico degli operatori; un
ruolo importante riveste la figura del medico competente coadiuvato
dallo psicologo del lavoro e dal responsabile del SPPA nell’organizzare
sia i momenti formativi che di dibattito. Rappresenta un intervento necessario da parte del medico competente anche l’attivazione di consulenze specialistiche (psicologia clinica, psichiatria ecc.) per i soggetti
che dimostrano situazioni di disagio psicologico ricercando durante la
propria attività clinica, eventuali situazioni di dipendenza dal fumo di
sigaretta, stupefacenti, psicofarmaci, alcol e comportamenti alimentari
alterati attivando anche in questo caso consulenze specialistiche di settore non rinunciando a gestire i casi di disadattamento lavorativo e/o sociale coinvolgendo anche il medico curante.
BIBLIOGRAFIA
1) Magnavita N, Mammi F, Roccia K, Vincenti F. WOA: un questionario per la valutazione dell’organizzazione del lavoro. Traduzione
e validazione della versione italiana. G Ital Med Lav Ergon 2007;
29: 663-665.
2) Tarsitani L, Biondi M. Sviluppo e validazione della scala VRS (Valutazione Rapida dello Stress). Medicina Psicosomatica 1999; 3:
163-177.
3) Cesana G, Albini E, Bagnara S, Benedetti L, Bergamaschi A, Camerino D, Cassetto MG, Costa G, Ferrario M, Gilioli R, Iavicoli S, Livigni L, Lucchini R, Magrin ME, Menni C, Monaco E, Persechino
B, Petyx M, Riboldi L, Romano C, Sed B. Linee Guida per la formazione continua e l’accreditamento del medico del lavoro, Vol. 21:
Valutazione, prevenzione e correzione degli effetti nocivi dello
stress da lavoro. Documento di consenso. I libri della Fondazione
Maugeri - Tipografia PI-ME Editrice, Pavia, 2006.
4) Guida operativa per la valutazione e gestione del rischio da stress lavoro-correlato del Coordinamento tecnico interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro (marzo 2010).
27
VALUTAZIONE DELLO STRESS LAVORO-CORRELATO
NEI DIPENDENTI DEL COMUNE DI VENEZIA
G.P. Fichera1,2, S. Punzi1,2, D. Camerino1,2, P.M. Conway1,2,
P. Campanini1,2, L. Prevedello3, G. Costa1,2
1 Dipartimento di Medicina del Lavoro “Clinica del Lavoro Luigi
Devoto” Università degli Studi di Milano
2 Fondazione IRCCS “Ca’ Granda - Ospedale Maggiore Policlinico”,
Milano
3 Servizio Prevenzione e Protezione, Comune di Venezia
Corrispondenza: Giuseppe Paolo Fichera, PhD. Dipartimento di
Medicina del Lavoro “Clinica del Lavoro Luigi Devoto”, Università degli
Studi di Milano. Via San Barnaba, 8 - 20122, Milano. Tel: 02/50320153.
Fax: 02/50320150. E-mail: [email protected]
WORK-RELATED STRESS AMONG WORKERS EMPLOYED AT
THE MUNICIPALITY OF VENICE
ABSTRACT. Introductions: In the Municipality of Venice many
activities may pose workers under the risk of stress, such as helping and
educational professions, police, contact with public, or irregular
working hours. Procedure: The stress assessment process involved both
employers and employees since the early stages, in order to examine
work organization, develop evaluation tools, and share the assessment
methodology. Individual interviews with 603 workers, including a
questionnaire on working and health conditions, JCQ and ERI were
performed. Results: 18.2% was under “high strain” according to JCQ;
129
whereas 14.7% showed “imbalance” at ERI-Q. Critical working
conditions were poor career opportunities, adequacy of performance
evaluation, and staff vocational training. In various departments
specific problems were reported concerning physical workload
(nursery), mental workload (social services), shiftwork/nightwork
(police and casinò inspectors), adequacy of technical resources
(technical services). Health conditions were good, with low rates of
psychosomatic symptoms, and high scores on the Work Ability Index,
engagement, and job satisfaction. Conclusions: The main problems
appear to be more connected to organizational well-being than health
conditions; the data collected represent the first step leading to
implementation of preventive actions aimed at reducing critical factors
and improving organizational well-being.
Key words: work-related stress; organizational well-being; public
administrations
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni una crescente attenzione si è rivolta alle attività lavorative delle Pubbliche Amministrazioni come possibili condizioni di
rischio di stress lavorativo e dunque come potenziali fonti di pericolo per
la salute psico-fisica degli operatori (Avallone e Bonaretti, 2003). Il Comune di Venezia rappresenta una realtà lavorativa complessa all’interno
della quale diverse attività possono rappresentare una condizione di rischio. Fra queste, spiccano le attività socio-educative, socio-assistenziali,
di vigilanza e controllo del territorio, di pubblica sicurezza, di relazione
con il pubblico, e quelle che implicano orari di lavoro irregolari, a turni
e notturni. Lo scopo del presente lavoro è stato quello di costruire e implementare un processo di valutazione del rischio stress correlato al lavoro che tenesse conto di tale complessità e garantisse la partecipazione
attiva degli operatori.
MATERIALI E METODI
La procedura di valutazione ha previsto una fase preliminare nella
quale sono stati condotti diversi sopralluoghi, incontri e focus-group con
i Datori di Lavoro, i Dirigenti e i Preposti, gli RLS, la RSPP e il Medico
Competente, allo scopo di acquisire una conoscenza approfondita delle
caratteristiche organizzative del Comune, raccogliere le informazioni relative alle condizioni di lavoro, selezionare i Servizi meritevoli di approfondimento mediante colloquio specifico con i singoli lavoratori, e
mettere a punto gli strumenti di rilevazione. Sono quindi seguiti incontri
informativi sulle problematiche dello stress in generale e dello stress lavoro-correlato in particolare, e sull’approccio metodologico proposto per
la valutazione.
Undici servizi, comprendenti 999 dipendenti, sono stati individuati
dai focus-group meritevoli di approfondimento. È stato selezionato in
modo casuale un campione corrispondente al 67% della popolazione oggetto di studio, rappresentativo per genere, età e servizio di appartenenza.
Ogni colloquio individuale si è articolato in tre fasi: una prima intervista strutturata, relativa a caratteristiche socio-anagrafiche, abitudini
di vita e situazione lavorativa; la somministrazione di un questionario
contenente scale standardizzate relative a condizioni di lavoro, di salute
e gli indici integrati di stress JCQ (Karasek e Theorell, 1990) ed ERI
(Siegrist et al., 2004); una seconda intervista strutturata rivolta all’approfondimento dei diversi aspetti connessi alle specifiche attività lavorative. La procedura è stata condotta garantendo l’anonimato dei partecipanti.
RISULTATI
Hanno volontariamente aderito all’indagine 603 lavoratori (tasso di
risposta 90.4%), aventi un’età media di 43.9 anni, in prevalenza donne
(58%), persone coniugate (64.7%) e con figli (62.7%), con un livello di
istruzione medio-alto (62.2% diploma superiore, 33% laurea). La maggioranza ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato (87.4%) e
un’anzianità di lavoro media di 14.9 anni (da 0.5 a 50 anni).
La Figura 1 sintetizza il giudizio medio relativo ai principali fattori
lavorativi presi in considerazione, esaminati mediante le rispettive scale
di valutazione, ma normalizzati su una scala da 0 a 100. I fattori percepiti come fonti di maggiori criticità riguardano le scarse possibilità di
carriera, le modalità di valutazione del personale e l’adeguatezza della
formazione professionale. Le condizioni degli ambienti di lavoro, il carico di lavoro, sia fisico che emotivo, e il supporto sociale da parte dell’azienda vengono segnalati ad un livello di criticità intermedio, mentre
130
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
Karasek RA, Theorell T. Healthy work: stress. productivity and the reconstruction of working life. New York: Basic Books. 1990.
Siegrist J, Starke D, Chandola T, Godin I, Marmot M, Niedhammer I,
Peter R. The measurement of Effort-Reward Imbalance at work: European comparisons. Social Science & Medicine. 2004: 58. 14831499.
Tuomi K, Ilmarinen J, Jahkola A, Katajarinne L, Tulkki A. Work Ability.
2nd revised edition. Helsinki: Finnish Institute of Occupational
Health. 1998.
28
STRATEGIE DI COPING E SALUTE PSICOFISICA IN INFERMIERI
Figura 1. Giudizio sui principali aspetti del lavoro (0 = min; 100 = max)
le relazioni con colleghi e superiori, il grado di autonomia decisionale, la
pressione temporale e le interferenze casa/lavoro vengono ritenute come
minori fonti di disagio/criticità.
L’inadeguatezza della formazione e dei sistemi di valutazione viene
segnalata maggiormente dagli uomini, mentre le donne segnalano maggiori interferenze casa/lavoro. Con l’aumentare dell’età dei soggetti, si è
rilevato un aumento dello “sforzo” percepito mentre migliora l’autonomia decisionale.
Nei diversi servizi sono state inoltre segnalate delle problematiche
specifiche per quanto riguarda il carico fisico (Educatrici di asilo) o mentale (addetti ai Servizi sociali), il lavoro in turni e notturno (Polizia municipale e Ispettori del Casinò), l’adeguatezza delle risorse strumentali
(Servizi tecnici e Polizia municipale).
Meno di un quinto (18.2%) dei soggetti percepisce una condizione
lavorativa caratterizzata da “alto strain” al JCQ: ciò è leggermente più
frequente tra gli uomini e le persone di età più avanzata. D’altro canto, la
condizione di “basso strain” riguarda il 23.3% degli operatori, soprattutto
i giovani. Il 27.4% percepisce invece di trovarsi nella condizione di lavoro “attivo”, mentre la condizione opposta di lavoro “passivo” è percepita da poco meno di un terzo (31.4%) degli operatori.
In riferimento all’indice ERI, la maggior parte del campione si trova
in condizione di “equilibrio”; il 14,7% si trova in una situazione di “squilibrio”, con frequenza leggermente superiore con l’avanzare dell’età,
Tutti gli indicatori di salute (quantità e qualità del sonno; disturbi
digestivi, cardiovascolari e muscolo-scheletrici; disturbi psichici minori; ansia generale e correlata al lavoro; consumo di farmaci) hanno
presentato livelli medio/bassi o bassi (e quindi favorevoli) alle rispettive scale di valutazione, mentre la soddisfazione lavorativa complessiva e il senso di appartenenza all’Azienda sono risultate di livello
medio-alto.
L’Indice di Capacità di Lavoro (WAI, Tuomi et al., 1998) evidenzia
come gli operatori si trovino nella quasi totalità (93,4%) in condizioni
“buone” o “eccellenti”, mentre il 6.6% riporta un indice “mediocre” o
“scadente”. La stragrande maggioranza (83.8%) dichiara un assenteismo
per malattia nullo o di breve durata (<10gg complessivi nel corso dell’ultimo anno).
CONCLUSIONI
Le problematiche segnalate sono legate maggiormente al grado di
benessere sul lavoro piuttosto che alle condizioni di salute psicofisica. I
dati raccolti costituiscono una base di riferimento per la messa in atto e
il potenziamento di interventi correttivi e preventivi, mirati a ridurre o
eliminare, ove possibile, le maggiori fonti di criticità. Ciò consentirà di
evitare che queste possano, con il tempo, indurre stati di malessere maggiore, e quindi di possibile morbilità, ma soprattutto di perseguire un miglioramento continuo delle condizioni di lavoro e di benessere psico-fisico e sociale degli operatori.
BIBLIOGRAFIA
Avallone F, Bonaretti M (a cura di). Benessere organizzativo. Per migliorare la qualità del lavoro nelle amministrazioni pubbliche. Cosenza: Rubbettino. 2003.
E. Micali1, R. Brecciaroli2, C. Abbate3
1
Università degli Studi di Messina, Azienda Ospedaliera Universitaria
“G. Martino”, Messina
2 Azienda Ospedaliera Universitaria “G. Martino”, Messina, U.O.
Medico Competente
3 Università degli Studi di Messina, Direttore della Scuola di
Specializzazione in Medicina del Lavoro
Corrispondenza: Dott.ssa Elvira Micali. Università degli Studi di
Messina, Azienda Ospedaliera Universitaria “G. Martino”, Via Consolare
Valeria, n. 1 (Gazzi) 98125 Messina, e-mail: [email protected]
COPING STRATEGIES AND PSYCHOPHYSICAL HEALTH IN
NURSES
ABSTRACT. This note is conducted on a sample of 50 nurses by
Azienda Ospedaliera Universitaria of Messina, whit administering of the
OSI, observe significant gender differences in coping strategies and the
presence of a relationship between coping and psychophysical health.
Key words: nurses, coping, occupational stress, health, OSI
INTRODUZIONE
Definendo “coping”, la dimensione psicologica coinvolta nel processo di adattamento a situazioni occupazionali stressanti, si intende sottolinearne la componente cognitiva e l’entità della reazione emozionalefisiologica. Il termine “coping” è stato creato nell’ambito della psicologia negli anni sessanta, dall’americano R.S. Lazarus, che lo ha studiato
come processo strettamente collegato allo stress (1). La capacità di “coping” infatti si riferisce non soltanto alla risoluzione pratica dei problemi,
ma anche alla gestione delle proprie emozioni ed all’attivazione di meccanismi individuali di adattamento agli stressor che implicano risorse interne preesistenti e capacità reattiva individuale (2).
Il concetto di “coping” può essere dunque tradotto con “fronteggiamento”, “gestione attiva,” “risposta efficace”,“capacità di risolvere problemi”, ossia insieme di strategie mentali e comportamentali messe in
atto per fronteggiare peculiari situazioni occupazionali.
La ricerca sul “coping” è stata caratterizzata dall’alternarsi di due
approcci distinti: quello interindividuale, che sottolinea l’importanza dei
fattori disposizionali e quello intraindividuale che enfatizza quelli situazionali-ambientali. L’approccio interindividuale si propone d’individuare
le strategie abitualmente usate dai soggetti nelle diverse situazioni stressanti; l’approccio intraindividuale invece ritiene che le persone abbiano
a disposizione un repertorio di strategie di “coping”, all’interno del quale
scelgono la più efficace in relazione alle caratteristiche della situazione
stressante (3, 4).
Obiettivo della presente indagine è valutare la presenza di una eventuale relazione tra le strategie di “coping” e la salute psicofisica in un
gruppo di infermieri dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Messina.
MATERIALI E METODI
Durante il primo semestre del 2009, ad un gruppo di 50 infermieri (F
= 30 / M=20) i cui criteri d’inclusione implicavano assenza di limitazioni
all’idoneità lavorativa ed assenza di patologie organiche conclamate, con
tipologia lavorativa similare e turni lavorativi diurni, occupati in ambulatori di diversi reparti, con range d’età anagrafica compreso tra 45 e 55
anni, anzianità lavorativa di 18 anni e scolarizzazione di anni 14, predi-
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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sponendo il setting alla fine di un turno lavorativo antimeridiano di 6 ore,
è stato somministrato individualmente e nelle medesime condizioni
l’OSI- Occupational Stress Indicator (3), test validato e standardizzato,
articolato in un questionario biografico e sei sezioni suddivise in sottoscale all’interno di quattro aree ben definite: a) fonti di stress b) caratteristiche dell’individuo c) strategie di coping d) effetti dello stress (salute
fisica-salute psicologica) per un totale di 167 items.
È stato effettuato con le griglie di correzione lo scoring per le variabili dell’OSI: Strategie di Coping (CS-CP-CL-CR-CT-CI) / Salute Psicologica (PSYT)/ Salute fisica (PHIT) essendo la relazione tra questi elementi il punto focale della presente indagine.
RISULTATI
Per tutti i soggetti del campione in studio è stato effettuato l’esame
dei punteggi attraverso i fogli di profilo individuale, ed i punteggi grezzi
sono stati convertiti in punti sten. I risultati sono stati analizzati e confrontati distinguendoli per sesso. Nei soggetti di sesso femminile: il 33%
evidenziava basso coping (sten 3) e cattiva salute psicofisica (sten 8); il
50% registrava medio coping (sten 5) e discreta salute psicofisica (sten
4); solo il 16% dimostrava alto coping (sten 8) e buona salute psicofisica
(sten 3) (Tab. I).
Negli infermieri di sesso maschile il 40% denunciava cattiva salute
psicofisica (sten 8) e basse strategie di coping (sten 3); mentre il 60%
registrava medio coping (sten 6) e discreta salute psicofisica (sten 5)
(Tab. II).
DISCUSSIONE
Negli ultimi decenni vari studi hanno sostenuto che alti livelli di
stress occupazionale possono pregiudicare la salute fisica e mentale (6).
Diversi autori considerano la professione infermieristica altamente
stressante in quanto effetto dell’esposizione alla combinazione di fattori
ambientali e fattori personali (7, 8).
Soggetti con elevati livelli di reattività riescono ad avere un migliore
adattamento alla realtà lavorativa ed a risolvere più velocemente problematiche occupazionali rendendo cosi operative le proprie risorse individuali, di conseguenza individui che si sentono bene emotivamente e fisicamente sono disposti ad affrontare e superare positivamente situazioni
lavorative complesse attuando meccanismi individuali di adattamento ed
attivando risorse interne preesistenti, con la possibilità di imparare ad allargare il proprio repertorio di strategie.
Alcuni autori riferiscono, con conclusioni discordanti, differenze nei
modelli di “coping” tra maschi e femmine (9, 10).
131
La nostra indagine condotta su 50 infermieri, ha evidenziato significative differenze nelle strategie di “coping” tra i due sessi. Le donne evidenziano rispetto ai colleghi di sesso maschile scarse ed insufficienti capacità di attuare strategie comportamentali per fronteggiare e gestire attivamente situazioni particolari e lamentano spesso malessere psicofisico. Gli infermieri di sesso maschile dimostrano una maggiore disponibilità a risolvere i problemi contingenti con risposte efficaci e con minor
frequenza lamentano disturbi psicofisici.
Concludendo la nostra indagine evidenzia che i soggetti di sesso femminile, rispetto ai colleghi di sesso maschile dimostrano minori strategie di
coping e lamentano disturbi psicofisici; ma per entrambi i gruppi sussiste
una concordanza tra i livelli di salute fisica e salute psicologica ed insufficienti strategie di coping sono sempre associate a cattiva salute psicofisica.
BIBLIOGRAFIA
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York: Sprinter.
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Tabella I. Risultati per il gruppo di 30 infermieri di sesso femminile
29
LO STRESS LAVORO-CORRELATO: I RECENTI DOCUMENTI
REGIONALI E DEL COMITATO TECNICO INTERREGIONALE
A. Modenese1, A. Migliore2, F. Gobba1,3
1
Tabella II. Risultati per il gruppo di 20 infermieri di sesso maschile
Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università di
Modena e Reggio Emilia, Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica,
Via Campi 287 - 41125 Modena
2 Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro, AUSL di
Modena - Distretto di Vignola, via Libertà 799, Vignola (MO)
3 Cattedra di Medicina del Lavoro Università di Modena e Reggio
Emilia, Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica, Via Campi 287 41125 Modena
Corrispondenza: Alberto Modenese, via Campi 287, Modena
[email protected]
EVALUATION OF WORK-RELATED STRESS: COMPARISON OF
SOME RECENT OFFICIAL DOCUMENTS PROPOSED IN ITALY
ABSTRACT. Since May 2009, many Italian Regions and the
Interregional Technical Committee have developed guidance for workrelated stress risk assessment. These documents have similarities but also
differences. Risk assessment is a three steps process in documents of
132
Lombardia, Veneto, Toscana and Interregional Committee: it implies an
objective evaluation, a subjective one and a final report with definition of
hazard level. Only Lombardia asserts that stress perception’s evaluation is
necessary even if no risk emerged from the objective investigation. In
another document, proposed in Emilia Romagna region, two checklists of
objective indicators for risk assessment are proposed. For the “Emilia
Romagna work-group - ERPER-”, stress risk assessment is particularly
problematic in small companies (less than 10 employees); this group
suggests training meetings, each lasting two hours, for both employees and
management, to provide knowledge, policy and tools for better dealing
with work-related stress. Regarding workers’ health surveillance, the
Interregional Committee provides a list of the main disorders correlated
with stress, but it doesn’t recommend any specific monitoring procedure,
while in other documents the importance of specific health surveillance
focused on prevention of stress risk is stressed. Up now an agreement on
criteria for an adequate prevention of WR stress are lacking in Italy.
Key words: work-related stress, methods for risk assessment, occupational health
INTRODUZIONE
Lo stress è certamente uno dei rischi occupazionali di maggiore rilevanza attuale. Dati 2009 EU-OSHA lo indicano come causa del 5060% delle giornate lavorative perse annualmente. Il D.Lgs. 81/08 include
tale rischio tra quelli da valutare obbligatoriamente. Tuttavia, il problema
delle metodologie di valutazione, e delle misure di prevenzione da attuare, è ancora largamente in via di definizione.
SCOPO
È stata condotta un’analisi dei più recenti documenti regionali, e di
quello del Coordinamento Tecnico Interregionale, contenenti indicazioni
operative sul rischio da stress lavoro-correlato, al fine di evidenziare analogie e differenze.
RISULTATI
Nel maggio 2009 gli SPISAL del Veneto2 propongono un metodo di
valutazione in 3 fasi; 1) valutazione di indicatori oggettivi di stress; 2)
identificazione del livello di rischio; 3) valutazione soggettiva dello stress
percepito, mediante questionari (obbligatoria solo per aziende con rischio
elevato alla fase 2). Nello stesso maggio 2009, l’AUSL di Piacenza presenta un metodo di valutazione/gestione del rischio da stress1, che identifica 7 macrofasi: individuazione delle aree omogenee, diagnosi preliminare del rischio, costituzione del gruppo di progetto, diagnosi approfondita
con stima del rischio, restituzione dei risultati, elaborazione del piano di
miglioramento e controllo nel tempo. Gli indicatori di analisi del rischio
vengono suddivisi in 2 categorie: legati al funzionamento aziendale e legati a salute e sicurezza. Nel luglio 2009 la Regione Toscana7 propone
un’ulteriore metodologia di valutazione articolata in: 1) valutazione oggettiva mediante 2 liste di criteri maggiori e minori di rischio; il passaggio alla
fase 2 è obbligatorio solo se si riscontrano 2 criteri maggiori, o 1 maggiore
e 2 minori, o 3 minori; 2) nelle aziende con meno di 10 dipendenti, dopo
aver compilato una breve checklist di indicatori oggettivi, è possibile
un’autocertificazione; nelle aziende con più di 10 dipendenti, vengono
somministrate 2 checklist: se il rischio viene giudicato moderato o superiore in entrambe, è necessario passare alla fase 3; questa prevede una valutazione soggettiva mediante somministrazione del Job Content Questionnaire ed un’analisi delle criticità organizzative tramite il Metodo delle
Congruenze Organizzative. Si ottiene così un punteggio totale di rischio su
una scala a 5 livelli che, se superiore al livello moderato, presuppone una
sorveglianza sanitaria ed immediati interventi di prevenzione.
Nel dicembre 2009 dalla Regione Lombardia6 presenta delle “linee di
indirizzo” nelle quali sono elencati i fattori di rischio del contesto e del
contenuto del lavoro4 e 6 aree chiave. In seguito si analizzano i metodi e
gli strumenti di valutazione e gestione del rischio da stress: strumenti oggettivi e soggettivi, analisi documentale, sorveglianza sanitaria, piani di
monitoraggio e azioni formative/informative. La parte finale del documento si rivolge ai Pubblici Servizi di Medina del Lavoro, la cui attività di
vigilanza deve coniugarsi a quella di supporto e indirizzo. Nel documento
del gruppo ERPER5, redatto nel 2010, viene indicata la necessità di una
valutazione multidisciplinare. L’indagine oggettiva del contenuto del lavoro riguarda: ambiente e attrezzature, progettazione dei compiti, orario,
carico e ritmo di lavoro, infortuni e segnalazioni di eventi indesiderati correlabili a problematiche da stress. Le informazioni oggettive devono gui-
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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dare nella selezione degli strumenti per l’analisi soggettiva. Nelle imprese
inferiori a 10 dipendenti vanno privilegiati strumenti quali il focus group,
e si propone di organizzare incontri formativi per i lavoratori e per i datori
di lavoro, al fine di acquisire conoscenze, modelli e termini per la gestione
dello stress lavoro-correlato. Infine, a marzo 2010 è stata pubblicata la
guida del Coordinamento Tecnico Interregionale3, in cui si segnalano una
serie di azioni preliminari alla valutazione del rischio: azioni comunicative
e informative, analisi dei documenti aziendali e corsi di formazione per lavoratori e dirigenti/preposti. La valutazione del rischio si articola in 3 fasi:
1) analisi oggettiva dei fattori di rischio del contenuto e del contesto lavorativo4; 2) indagine soggettiva mediante somministrazione di questionari
se alla fase 1 si evidenzia un rischio non basso; 3) report conclusivo con
analisi dei dati e definizione del livello di rischio. Le criticità emerse sono
alla base del piano di gestione del rischio, che prevede soluzioni di prevenzione collettive ed individuali ed un monitoraggio periodico.
DISCUSSIONE
I documenti di Lombardia, Veneto, Toscana e Coordinamento Interregionale prevedono una valutazione del rischio in varie fasi: oggettiva,
soggettiva, report conclusivo con analisi dei dati e definizione del livello
di rischio. SPISAL veneti, Toscana e Coordinamento Interregionale consentono di non effettuare la valutazione soggettiva qualora si identifichi
un rischio basso dopo l’analisi oggettiva degli indicatori EU-OSHA4, o
qualora l’azienda abbia meno di 10 dipendenti. La Lombardia ritiene, invece, che la valutazione soggettiva, pur semplificata per aziende con
meno di 10 dipendenti, debba essere comunque effettuata. Per la scelta
dello strumento soggettivo, Coordinamento Interregionale e Lombardia si
limitano a definirne i requisiti, gli SPISAL veneti segnalano una serie di
questionari reperibili in letteratura ed infine la Toscana prevede, per la valutazione, l’utilizzo del JCQ di Karasek. Nel metodo proposto dall’AUSL
piacentina non si prevede una fase d’indagine soggettiva, ma la valutazione si fonda su due raggruppamenti di indicatori: indicatori di funzionamento aziendale e indicatori di salute e sicurezza. Si segnala l’approccio del Gruppo ERPER, in particolare per aziende < a 10 lavoratori,
che propone due interventi mirati, uno per i lavoratori e uno per il datore
di lavoro, ciascuno suddiviso in due incontri di almeno due ore, tesi a fornire le conoscenze di base per la sensibilizzazione, gestione, valutazione
e prevenzione del rischio psicosociale all’interno della propria realtà lavorativa. Anche per la sorveglianza sanitaria esistono alcune differenze e
criticità: il Coordinamento Interregionale indica che vada effettuata laddove, dopo idonei miglioramenti organizzativi, permanga un rischio residuo, e redige un elenco delle principali patologie correlabili allo stress,
sconsigliando, peraltro, l’effettuazione di esami di monitoraggio. La
Lombardia indica, in modo più generico, la necessità d’istituire un piano
di sorveglianza orientato alla promozione della salute rispetto ai fattori di
rischio presenti in azienda. Infine, il Gruppo ERPER rilevando che la sorveglianza sanitaria per il rischio da stress non è obbligo legale, evidenzia
alcune situazioni, quali la richiesta di sorveglianza da parte dei lavoratori
per sospette patologie da stress, per le quali non esistono posizioni univoche sulle corrette procedure attuabili dal medico competente.
BIBLIOGRAFIA
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per la valutazione del rischio stress lavoro correlato, 2009:
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Coordinamento tecnico interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro, Valutazione e gestione del rischio da stress lavoro-correlato.
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European agency for safety and health at work, Research on Work-related Stress, 2000: http://osha.europa.eu/en/topics/stress
Gruppo “Ergonomia e rischi psicosociali in Emilia Romagna”, La valutazione e la prevenzione dei rischi da stress lavoro-correlato: ruoli e
proposte metodologiche, Regione Emilia Romagna, 2010.
Regione Lombardia, Indirizzi generali per la valutazione e gestione del
rischio stress lavorativo alla luce dell’accordo europeo 8.10.2004,
Decreto n. 13559, 2009.
Regione Toscana, Valutazione del rischio da stress lavoro-correlato.
Prima proposta di linee di indirizzo, 2009.www.usl1.toscana.it/public/upload/allegati/DOC_STRESS_AVTNO_1531.pdf
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
30
LA MANSIONE LAVORATIVA COME IMPORTANTE FATTORE
DI STRESS: VALUTAZIONE DEL FENOMENO IN UN’AZIENDA
DI TRASPORTI
S. Bellia1, N. Luca1, F. Ciantia1, A. Golino1, A. Giallongo1, D. Maugeri1,
E. Farruggia2, M. Bellia1
1
Dipartimento di Medicina Interna e Patologie Sistemiche, Sezione di
Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Catania
2 A.R.N.A.S. Garibaldi - S. Luigi - S. Currò - Ascoli Tomaselli - Catania
Corrispondenza: Dott. Nunzio Luca, Tel. 095 312417, Fax: 095 320463,
Cell.: 335 423935, e-mail: [email protected]
THE WORK TASK AS A STRESS FACTOR: EVALUATION OF THE
PHENOMENON IN A PUBLIC TRANSPORT COMPANY
ABSTRACT. The Legislative Decree 81/2008 adds work-related
stress among occupational hazards. The assessment of stress in order to
identify measures of work organization aimed at reducing the discomfort
in the workplace.
Risks to health status, that resulting from excessive exposure to
stress, depends on the job and workload.
Drivers, workers in the service of public transport are among
workers with higher levels of stress. The city traffic, relationships with
passengers, the responsibility for transporting people, the conditions of
isolation, the inability to decide to take breaks, shift work and repetitive
tasks are critical stress factors for these subjects.
We analyzed a sample of approximately 450 employees of a firm of
public transport to see whether, in the same company, stress levels differ
between the various tasks and that are similar among workers with the
same task.
We used the Occupational Stress Evaluation Questionnaire “MAB
Index” expressly designed to provide an accurate estimate of stress levels of workers, optimized for the task.
The results confirm the initial hypothesis, in fact, there are indisputable similarities between members of the same job and significant differences between different destinations work.
Key words: Job Strain, Work Task, Public transport.
INTRODUZIONE
L’emanazione del Decreto Legislativo 81/2008 introduce anche in
Italia la problematica dello stress di natura occupazionale, che finalmente
viene inserito tra i rischi professionali. In realtà si tratta soltanto di un
primo piccolo passo volto all’introduzione di un protocollo complesso di
gestione dello stress da inserire all’interno delle principali misure di organizzazione aziendali.
Il problema, che è stato spesso sottovalutato o troppo a lungo ignorato, costituisce invece un fenomeno di grandissimo interesse, la cui valutazione, intesa in un’ottica preventiva, potrebbe da un lato contribuire
enormemente a ridurre un disagio diffuso tra i lavoratori italiani, dall’altro rappresentare un’arma in più per le imprese che vogliono incrementare la propria produttività, soprattutto in un momento di crisi economica come quello attuale.
Come più volte asserito dalla letteratura scientifica internazionale, i
rischi per lo stato di salute che derivano da una eccessiva esposizione
allo stress sono estremamente variabili in funzione del tipo e del carico
di lavoro.
Tuttavia, senza nulla togliere alle caratteristiche di predisposizione
individuale del fenomeno e agli altrettanto importanti fattori di rischio da
stress propri di ogni realtà aziendale, una delle più importanti correlazioni con il problema del disagio psicofisico sembra essere legata strettamente alla mansione svolta.
In particolare, alcune categorie di lavoratori risultano sistematicamente correlate ad una esposizione ad elevati livelli di stress occupazionale; tra esse troviamo senza dubbio gli autisti addetti al trasporto di persone, in particolare coloro i quali, come gli operatori del trasporto pubblico, devono ogni giorno affrontare diverse situazioni negative obbligate che vanno dal traffico cittadino, al rapporto con gli utenti, alla responsabilità per il trasporto di persone. Inoltre, questi soggetti lavorano
133
in condizioni di isolamento, non possono decidere quando interrompere
l’attività lavorativa, svolgono lavoro a turni e compiti ripetitivi, tutte
condizioni considerate a livello scientifico come importanti fattori di
stress.
MATERIALI E METODI
Volendo avvalorare l’ipotesi che lo svolgimento di una particolare
mansione rappresenti un fattore determinante nella genesi di uno stato di
stress, abbiamo analizzato un campione di lavoratori di un’azienda di trasporto pubblico della nostra città, per verificare se, nella stessa struttura,
i livelli di stress differiscono tra le varie destinazioni lavorative ma sono
simili all’interno delle varie mansioni.
Allo scopo è stato utilizzato il Questionario di Valutazione dello
Stress Occupazionale “Indice MAB” appositamente realizzato per fornire una stima precisa dei livelli di stress del lavoratore ottimizzati in
funzione della mansione, in quanto composto da due differenti sezioni da
somministrare rispettivamente al Datore di Lavoro (o a chi ne fa le veci)
e al lavoratore e in grado quindi di condensare in un unico score sia le
caratteristiche oggettive dello stress, proprie della mansione e della realtà
aziendale, che quelle soggettive, specifiche per ogni lavoratore. Il Questionario Oggettivo, infatti, contiene specifiche domande volte ad indagare i fattori di rischio da stress ambientali e specificatamente correlati
alla mansione e fornisce un punteggio indicativo per ogni singola destinazione lavorativa. A questo punteggio viene quindi sommato quello ottenuto dal Questionario Soggettivo che valuta i fattori individuali di
stress del lavoratore, ottenendo così l’Indice MAB che, confrontato con
una scala di valori identifica i livelli di stress e la priorità di intervento.
I dipendenti dell’azienda di trasporti in oggetto, che hanno costituito
il campione in esame sono risultati 434, divisi in 11 mansioni di cui alcune correlate alla guida e altre di tipo tecnico e amministrativo.
Con la collaborazione dei dirigenti e del responsabile della sicurezza, sono stati somministrati quindi altrettanti Questionari Oggettivi
che hanno fornito una prima stima dei livelli di stress per ogni singola
mansione. Come era prevedibile il punteggio inferiore è stato associato a
una mansione di tipo amministrativo (Collaboratore d’ufficio, MAB Oggettivo 17) mentre quello più alto agli addetti alla guida dei mezzi per il
trasporto di persone (Operatore di Esercizio, (MAB Ogg. 31).
Successivamente a tutti i lavoratori oggetto dell’indagine è stato
somministrato il Questionario Soggettivo e i valori ottenuti, insieme a
quelli forniti dalla valutazione oggettiva, sono stati inseriti in un apposito
database.
RISULTATI
Del campione di 434 lavoratori, risultato prevalentemente composto
da soggetti di sesso maschile (97,9%), 31 (7,1%) presentavano un’età inferiore ai 35 anni, 170 (39,2%) compresa tra i 35 e i 50 anni, 233 (53,7%)
superiore ai 50 anni; 315 (72,6%) svolgono la propria mansione nel settore guida, 98 (22,6%) in quello tecnico e 21 (4,8%) in quello amministrativo.
Andando ad analizzare i livelli di stress, soltanto 39 (8,9%) soggetti
analizzati hanno valori inferiori a 70 (CLASSE I - Stress Irrilevante), 158
(36,4%) compresi tra 70 e 94,5 (CLASSE II - Stress Lieve), 170 (39,2%)
compresi tra 95 e 120 (CLASSE III - Stress Moderato) e 67 (15,5%) superiori a 120 (CLASSE IV - Stress Grave).
Sempre considerando i livelli di stress, i dati si sono dimostrati in
linea con le attese, in quanto i valori più alti sono stati riscontrati nel settore guida (Indice MAB medio: 102,90) ed in particolare negli Operatori
di Esercizio (IMABm: 103,81), mentre i più bassi nel settore amministrativo (IMABm: 72) in particolare negli appartenenti ala mansione di
Impiegato Amministrativo (IMABm: 68,38); nel settore tecnico sono
stati riscontrati valori medi (IMABm: 87,19), ma comunque inferiori al
livello medio globale di 97,86.
DISCUSSIONE
I risultati ottenuti propendono verso la conferma dell’ipotesi iniziale,
in quanto mostrano evidenti analogie tra gli appartenenti alle varie mansioni ed altrettanto evidenti differenze tra le varie destinazioni lavorative,
in particolare tra i soggetti adibiti a incarichi complessi, come gli addetti
al trasporto di persone, e gli impiegati che svolgono prevalentemente attività di tipo amministrativo.
Questo dimostra l’importanza dei compiti lavorativi nel determinismo della patologia da stress e indica che una corretta metodica per la
134
valutazione dello stress lavoro correlato dovrebbe considerare la suddivisione del campione di studio in relazione alla mansione, condizione
che permetterebbe comunque di tutelare la privacy del lavoratore, ma che
allo stesso tempo fornirebbe una stima specifica del disagio psicofisico
nei vari comparti aziendali, indicando al Medico Competente e alle altre
figure della prevenzione i settori prioritari su cui concentrare gli interventi preventivi richiesti dalla normativa.
BIBLIOGRAFIA
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31
LO STRESS LAVORO CORRELATO COME FATTORE DI RISCHIO
PER LE PIÙ IMPORTANTI PATOLOGIE DEL MONDO
OCCIDENTALE
S. Bellia1, A. Scaltrito1, N. Luca1, F. Ciantia1, A. Golino1, F. Milana1,
E. Farruggia2, M. Bellia1
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
zione possono essere di due tipi: diretto e indiretto. Nel primo caso si verifica una condizione di sovraccarico generalizzato accompagnato da una
prolungata reazione di allerta che determina un esaurimento della risposta adattativa. Il meccanismo indiretto, invece, è dovuto all’induzione, al mantenimento o all’esacerbazione di abitudini di vita non salutari che vengono utilizzate dall’individuo come reazione di difesa dall’ansia.
Le alterazioni patologiche stress correlate, quindi, possono essere
considerate come il risultato di una risposta adattativa dell’organismo
troppo intensa e prolungata nel tempo che finisce per determinare l’esaurimento funzionale dei fisiologici meccanismi di difesa. Il processo
andrà poi a ripercuotersi su tutto l’organismo, coinvolgendo i più importanti sistemi e apparati, particolarmente quelli cardiovascolare, nervoso,
endocrino, gastrointestinale e immunitario.
Nella genesi di queste alterazioni sembra che un ruolo fondamentale
sia svolto dalla componente occupazionale dello stress, la cui azione
viene considerata più potente dei fattori sociali e ambientali.
Questo probabilmente è dovuto al fatto che l’attività lavorativa rappresenta una condizione necessaria e irrinunciabile della vita di ogni
uomo, cui quindi è impossibile sottrarsi per garantirsi un’adeguata sopravvivenza. Le regole del mondo del lavoro, soprattutto in un periodo
di crisi economica come quello attuale, impongono spesso di rivolgersi
verso un’attività non sempre gradita e alla quale bisogna partecipare
anche contro le proprie scelte, condizioni che rappresentano un terreno
fertile per l’instaurarsi del processo stressogeno e allo stesso tempo, data
la necessità di mantenere l’attività lavorativa per il tempo necessario a
raggiungere gli obiettivi pensionistici, possono contribuire a determinare
o a cronicizzare una patologia stress correlata.
WORK RELATED STRESS AS A RISK FACTOR FOR MORE
IMPORTANT DESEASES OF WESTERN WORLD
ABSTRACT. Stress is not always a negative state. Where helps
improve the individual’s ability to cope with stimuli from the external
environment is a positive condition that is called eustress.
Distress occurs when repeated or excessive stimuli exceed the adaptive capacity, resulting in manifestation of a pathological condition that
can involve various systems and apparatus: cardiovascular, nervous, endocrine, gastrointestinal and immune systems. A key role, in particular,
is played by the occupational component of stress, because the work is a
necessary and indispensable in the life of every man, not always rewarding and that must be done against their will. These conditions are fertile ground for the establishment of the process stressful and may contribute to cause or become chronic stress-related illnesses.
As an assessment tool was used in the questionnaire “MAB Index”
within which there is a list of diseases correlated with exposure to stressors, which were compared with the final score of the questionnaire.
About the above assumptions, we analyzed a sample of about 1200
workers and found a significant correlation between levels of occupational stress and the presence of the most important diseases related to
stress.
Key words: Job Strain, Desease, Indice MAB
MATERIALI E METODI
Scopo del nostro lavoro, dopo le precedenti premesse, è stato quello
di analizzare un campione di 1159 lavoratori che si sono presentati
presso la nostra struttura per i controlli relativi alla normale attività di
sorveglianza sanitaria, al fine di valutare un’eventuale correlazione tra i
livelli di stress occupazionale e la presenza delle più importanti patologie
riferibili a stress.
Per la valutazione dello stress lavoro correlato è stato utilizzato il
questionario “Indice MAB”, uno strumento innovativo realizzato appositamente dopo l’emanazione del Decreto Legislativo 81/2008 dalla
Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro dell’Università di
Catania. Il questionario è composto da due differenti sezioni che analizzano sia le caratteristiche oggettive dello stress, proprie dell’ambiente
lavorativo e della mansione, che quelle soggettive, proprie invece dell’individuo, in funzione della sua predisposizione individuale. Il questionario oggettivo, uno per ogni mansione, è stato somministrato, in
base alle diverse realtà aziendali, ai datori di lavoro, ai dirigenti o ai responsabili della sicurezza e ha fornito un punteggio specifico per ogni
destinazione lavorativa, indipendente dalla percezione del lavoratore; a
tale valore è stato poi sommato quello ottenuto dal questionario soggettivo, somministrato invece al lavoratore, ottenendo una stima ottimizzata dei livelli di stress che rappresenta l’Indice MAB che, confrontato
con una scala di valori, ha permesso di suddividere il campione in
quattro classi di rischio.
All’interno del questionario soggettivo, inoltre, tra le domande che
viene chiesto di compilare, è presente un elenco di patologie correlabili
ad esposizione a fattori stressanti, scelte tra le più frequenti secondo i dati
ottenuti dalla letteratura scientifica sul tema.
Le patologie riferite, quindi, sono state inserite in un database per
l’analisi dei dati statistici, al fine di valutarne l’eventuale correlazione
con i livelli di stress.
INTRODUZIONE
Contrariamente all’opinione più diffusa, lo stress rappresenta necessariamente una condizione negativa. A volte, infatti, può contribuire ad
allenare la capacità dell’individuo di fronteggiare degli stimoli provenienti dall’ambiente esterno, rappresentando così una condizione positiva che prende il nome di eustress.
Quando invece, in funzione di stimoli ripetuti o eccessivi, si verifica
un superamento di questa capacità adattativa, può manifestarsi un deficit
dei meccanismi di difesa dell’organismo in grado di determinare la comparsa di uno stato patologico; è questo il cosiddetto stress negativo o distress. I meccanismi attraverso i quali si può giungere a questa condi-
RISULTATI
Il campione di 1159 lavoratori, suddivisi in 65 mansioni per un totale di 11 aziende è risultato così composto: 833 (71,87%) soggetti di
sesso maschile e 326 (28,13%) di sesso femminile; 99 (8,54%) di età inferiore ai 35 anni, 565 (48,75%) tra i 35 e i 50 anni e 495 (42,71%) di età
superiore ai 50 anni; 596 (51,42%) dipendenti di importanti aziende di
trasporto della nostra città, 513 (44,26%) operatori sanitari della nostra
struttura e 50 (4,324%) appartenenti ad altre ditte.
Analizzando i livelli di stress, 155 (13,37%) soggetti hanno presentato livelli inferiori a 70 (CLASSE I - Stress Irrilevante), 483
(41,67%) compresi tra 70 e 94,5 (CLASSE II - Stress Lieve), 377
1
Dipartimento di Medicina Interna e Patologie Sistemiche, Sezione di
Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Catania
2 A.R.N.A.S. Garibaldi - S. Luigi - S. Currò - Ascoli Tomaselli - Catania
Corrispondenza: Dott. Antonino Scaltrito, Tel. 095 312417, Fax: 095
320463, Cell. 335 423935, e-mail: [email protected]
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
(32,53%) compresi tra 95 e 120 (CLASSE III - Stress Moderato) e 144
(12,43%) superiori a 120 (CLASSE IV - Stress Grave), a fronte di un
valore medio di 93,375.
Infine, in rapporto alle patologie stress correlate, ben 643 soggetti
(54,61%) hanno riferito di essere affetti da alterazioni correlabili ad
esposizione a fattori stressanti e di essi oltre la metà (348; 30,02% del
campione) ha riferito più di una patologia. Interessante è risultata anche
la valutazione dei livelli medi di stress in relazione alla presenza delle patologie: i soggetti che nel questionario non hanno riferito alcuna alterazione patologica correlabile a stress hanno presentato un punteggio
medio di 89,48; quelli che hanno riferito patologie pregresse di 90,17;
quelli con patologie in atto di 95,57; mentre il punteggio più alto è stato
riscontrato tra i soggetti che hanno riferito di essere affetti da più di una
patologia: 98,85.
Ancora, la patologia maggiormente riferita è stata l’ipertensione, se
considerata singolarmente (68 soggetti), mentre la gastrite è risultata la
più frequente in associazione con altri disturbi (225 soggetti). Infine,
l’apparato maggiormente colpito è stato quello gastrointestinale, le cui
patologie sono state riferite complessivamente 575 volte, seguito da
quello cardiovascolare (277 volte) e dal sistema nervoso (263 volte).
DISCUSSIONE
Come suggerito dall’analisi statistica dei dati raccolti, lo stress di natura occupazionale è senza dubbio una realtà estremamente importante
del contesto lavorativo italiano. Quasi la metà dei lavoratori intervistati,
infatti, ha presentato livelli di stress moderato-grave e una percentuale
ancora maggiore ha riferito patologie correlabili a questa esposizione.
Nonostante le lacune del nostro sistema legislativo, appare chiara
quindi la necessità di intervenire per arginare il fenomeno, purtroppo sottovalutato, dello stress di natura occupazionale, ormai onnipresente nella nostra realtà lavorativa e causa di costi elevati sia in termini di riduzione della
produttività che in funzione delle ingenti spese sanitarie che ne derivano.
BIBLIOGRAFIA
http://indicemab.blogspot.com
Collins S. Occupational Factors, Fatigue, and Cardiovascular Disease.
Cardiopulmonary Physical Therapy Journal 2009; 20 (2): 28-31.
Greenlund KJ, Kiefe CI, Giles WH, Liu K. Associations of job strain and
occupation with subclinical atherosclerosis: The CARDIA Study.
Ann Epidemiol 2010; 20 (5): 323-31.
Goudet P, Murat A, Binquet C, Cardot-Bauters C, Costa A, Ruszniewski
P, Niccoli P, Menegaux F, Chabrier G, Borson-Chazot F, Tabarin A,
Bouchard P, Delemer B, Beckers A, Bonithon-Kopp C. Risk Factors
and Causes of Death in MEN1 Disease. A GTE (Groupe d’Etude des
Tumeurs Endocrines) Cohort Study Among 758 Patients. World
Journal of Surgery 2010; 34: 249-255.
32
LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO STRESS LAVORO-CORRELATO
IN AMBITO OSPEDALIERO: L’ESPERIENZA DELL’A.O.
SAN GERARDO DI MONZA
R. Latocca1, V. Viganò1, A. Arduca2, M. Riva3, M. D’Orso3,
M.E. Magrin4
1
Unità di Medicina del Lavoro, Ambulatorio per la valutazione ed il
controllo dello stress - AO San Gerardo Monza
2 Servizio di Prevenzione e Protezione - AO San Gerardo di Monza
3 Medicina del Lavoro - Università Milano Bicocca
4 Dipartimento di Psicologia - Università Milano Bicocca
INTRODUZIONE
La valutazione del rischio stress lavoro correlato in ambito ospedaliero, oltre che una incombenza normativa obbligatoria, rappresenta uno
degli interventi a valenza preventiva più adeguati per poter individuare
ed attivare i programmi più efficaci a contenere e ridurre il rischio specifico fra gli operatori sanitari. Qui si presenta il percorso valutativo effettuato presso l’Azienda Ospedaliera S. Gerardo di Monza sulla base degli
atti di indirizzo messi a punto dalla Regione Lombardia (1).
135
MATERIALI E METODI
Il percorso di valutazione del rischio si è attivato all’inizio dell’anno
2009 attraverso incontri specifici di programmazione con la partecipazione della Medicina del Lavoro, del Servizio di Prevenzione e Protezione e dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza Aziendali.
Nell’ambito del Piano Formativo Aziendale 2009 sono state effettuate n°8 edizioni di un corso formativo/informativo in materia di stress
lavoro-correlato della durata di 4 ore, aperto a tutto il personale aziendale.
Sempre nel 2009 sono stati messi a punto i seguenti strumenti utili
alla valutazione del rischio specifico:
– Una check-list per l’analisi oggettiva delle condizioni di rischio
stress lavoro-correlate in ambito ospedaliero su cinque aree critiche
(contenuto lavorativo, contesto e organizzazione, formazione/informazione/comunicazione, aspetti relazionali e sociali del lavoro, rischi per la salute e sicurezza) comprendente anche la raccolta di
n°11 indicatori aziendali stress lavoro correlabili.
– Un questionario per la rilevazione della percezione soggettiva dei lavoratori in merito allo stress lavoro-correlato.
È stato individuato concordemente dal MC, RSPP e dagli RLS un
campione di n° 18 aree (Unità Operative Assistenziali e dei Servizi) rappresentativo di tutti i Dipartimenti Aziendali, su cui effettuare l’indagine.
Nel primo semestre 2010 sono state effettuate le interviste ai testimoni esperti (direttori e capo-sala) delle aree individuate, utilizzando la
check-list appositamente messa a punto. È in corso d’opera la somministrazione assistita e la raccolta dei questionari distribuiti a 650 operatori
appartenenti alle aree campione indagate.
RISULTATI
Il percorso valutativo ha evidenziato i seguenti aspetti positivi che
rappresentano la base utile per poter effettuare interventi di correzione e
gestione del rischio stress lavoro-correlato:
– Coinvolgimento degli RLS in tutte le fasi del percorso valutativo.
– Buona adesione soprattutto degli operatori infermieristici al corso
formativo/informativo (n° 225 partecipanti).
– Fattiva collaborazione dei dirigenti/preposti nella raccolta dei dati
organizzativi, tramite check-list.
È risultata invece scarsa la partecipazione dei medici ai corsi di formazione. Le figure dirigenziali risultano essere spesso refrattarie a questi
interventi sia come figure del management che come destinatari degli interventi (forse avendo più autonomia decisionale, possibilità di sviluppo,
meccanismi di ricompensa hanno meno esigenze di interventi di informazione/formazione/supporto)
BIBLIOGRAFIA
Indirizzi generali Regione Lombardia per la valutazione e gestione del rischio stress lavorativo alla luce dell’Accordo Europeo 08.10.2004
(art. 28 comma 1 DLgs 81/08 e successive modifiche ed integrazioni),
http://www.sanita.regione.lombardia.it/shared/ccurl/843/708/DDG
%2013559%2010_12_2009.pdf

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