UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PERUGIA FACOLTA DI

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UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PERUGIA FACOLTA DI
UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PERUGIA
FACOLTA DI SCIENZE POLITICHE
Tesi di laurea
Mutamenti sociali e transizione politica in Marocco: la questione del
Sahara Occidentale
Laureando
Relatore
Riccardo Fanò
Prof.ssa Anna
Baldinetti
Anno Accademico 2006/2007
INDICE
Abbreviazioni…………………………………………………………
Introduzione……………………………………………………………
3
5
Capitolo I
Effervescenza sociale e politica nel Marocco di Hassan II………..
1.1 I partiti politici fra opposizione e adesione al regime………….
10
12
1.2 Crisi economica ed esplosione dei movimenti di contestazione
studenteschi……………………………………………………..
25
1.3 L’esercito, fedele alleato o pericolo interno?..............................
36
Capitolo II
La svolta di Hassan II nella conquista del Sahara Occidentale…...
2.1 La conquista del Sahara Occidentale diventa causa nazionale…
46
49
2.2 Dai movimenti di resistenza anticoloniale al nazionalismo
saharawi…………………………………………………………
65
2.3 Evoluzione del conflitto e crisi di stabilità……………………..
76
2.4 Il processo di pace e il piano di integrazione regionale………...
88
Capitolo III
Mohamed VI e le nuove speranze democratiche…………………….
3.1 Il nuovo re fra continuità autoritaria ed aperture democratiche...
3.2 L’intifada saharawi……………………………………………..
97
99
110
3.3 Il piano d’autonomia e la maroccanizzazione del Sahara
Occidentale…………………………………………………….. 117
Conclusioni……………………………………………………………
Bibliografia……………………………………………………………
126
130
Abbreviazioni
AFAPREDESA: Associazione Famiglie dei Prigionieri e desaparecidos
2
saharawi
AMDH: Association Marocaine des Droits de l'Homme
ALM: Armée de Liberation Marocaine
ALN: Armée de liberation national
ALPS: Armée de Libération Populaire Saharawi
CAB 1: Gabinetto n° 1, servizio di informazione segreta marocchino
CCDH: Conseil Consultatif des Droits de l'Homme
CDT: Confederation Democratique du Travail
CORCAS: Conseil Royal Consultatif pour les Affaires Sahariennes
DGED: Direction Générale des Etudes et de la Documentation
DGSN: Direction Général de la Sureté National
FAR: Force Armée Royale
FDIC: Front pour la Défense des Institutions Costitutionelles
ENMINSA: Enpresa Nacional Minera del Sahara
FLU: Front pour la Liberation et l'Unité
FMI: Fondo Monetario Internazionale
Fronte Polisario: Fronte di Liberazione Popolare del Sanguia el Hamra e del
Rio de Oro
GUS: Gruppo Urbano di Sicurezza
IER: Istance Equité et Réconciliation
LMDDH: Ligue Marocaine de Défense des Droits de l'Homme
MIFERMA: Mines de Fer de la Mauritanie
MINURSO: Missione delle Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara
Occidentale
MLS: Movimento per la Liberazione del Sahara
MMLM: Mouvement Marxiste-Léniniste Marocain
MNP: Mouvement National Populaire.
MOREHOB: Movimento di Resistenza degli Uomini in Blu
OADP: Organisation de l'Action Democratique et Populaire
3
ODI: Office de Développement Industriel
OMDH: Organisation Marocaine des Droits de l'Homme
ONAREP: Office National de Recherches et d'Exploitation Pétrolières
OUA: Organizzazione Unione Africana
PADS: Parti de l'Action Democratique Socialiste
PCM: Partito Comunista Marocchino
PDI: Parti Democratique pour l’Independence
PLS: Parti de la Liberation e du Socialisme
PND: Parti National Democrate
PPS: Parti du Progrées e du Socialisme
PUNS: Partido de Union Nacional Saharaui
RASD: Repubblica Araba Saharawi Democratica
UNFP: Union Nationale des Forces Populaire
USFP: Union Socialiste Forces Populaire
UMT: Union marocaine du travail
UNEM: Union Nationale des Etudiantes du Maroc
UNFP: Union Nationale des Forces Populaire
INTRODUZIONE
Ci sono molti modi per descrivere un paese in divenire, tanti punti di
vista diversi che arricchiscono il dibattito ed altrettante versioni “ufficiali”
4
che a volte distorcono la verità. In questo lavoro, ho adottato come punto di
vista privilegiato le dinamiche e i conflitti sociali che si sono prodotti nel
Marocco per descrivere le istituzioni e le scelte politiche che il paese
indipendente ha adottato nella sua transizione verso la modernità. La tesi si
propone quindi di analizzare come la conquista del Sahara Occidentale sia
divenuta la fonte principale della legittimità del potere monarchico per
instaurare una cultura ed una prassi politica dell’unanimismo attorno al re,
lasciando in sospeso le ipotesi di cambiamento che si levavano
insistentemente da più parti nel paese. In questo senso, la forza del
cambiamento si percepisce dalla capacità del sistema politico di saper
coinvolgere tutti e tutte nelle scelte, di riconoscere che ogni soggetto è
prima di tutto un cittadino portatore di diritti e di libertà universalmente
tutelate dall'esercizio arbitrario del potere e di saper vedere nella diversità il
motore del progresso piuttosto che un pericolo per la stabilità . La questione
del Sahara Occidentale diventa così intimamente legata alle vicissitudini del
paese e, in definitiva, dal modo in cui la monarchia riuscirà a trovare la
soluzione ad un conflitto che dura ormai da più di trent’anni, dipenderà la
reale capacità del Marocco di aprirsi alla democrazia.
È stato un viaggio, compiuto nell'estate del 2005, che ha suscitato il mio
interesse per questo paese. Come spesso accade, la sensazione che mi
accompagna al ritorno è sempre un po' viziata da un velo di
insoddisfazione, non tanto per l'incapacità nell'affrontare le sfide che
l'adattamento alle usanze di una cultura diversa comporta, quanto piuttosto
per le innumerevoli domande e incertezze che mi hanno accompagnato e a
cui non riuscivo a trovare delle risposte con altrettanta facilità. Un viaggio
lungo poco più di un mese per attraversare per la prima volta un paese così
affascinante nella sua incredibile diversità. La sua profonda complessità ti
investe subito, sin da quando scendi all'aeroporto di Casablanca e, a bordo
di un autobus di linea, attraversi poche decine di chilometri di strada per
5
raggiungere il centro della metropoli. Basta alzare un po' gli occhi per
rompere la monotonia di un percorso tutto piatto e dritto, ti accorgi così che
l'ingresso in città è preceduto da una distesa di grigi edifici dove brulicano
centinaia di uomini e donne impegnate in altrettante attività. Ecco la
“storica” periferia di Casablanca, il motore del Marocco alla ricerca della
modernità, da dove nel 1965 sono partite le prime grandi manifestazioni di
contestazione contro il regime di Hassan II. Oggi gli anziani che la abitano
sono molto probabilmente gli stessi giovani che più di quaranta anni fa,
rompendo tutti i legami propri di una società tradizionale e di una cultura
del suddito, hanno deciso di sfidare l'autorità della monarchia, per
conquistare il loro posto di cittadini, protagonisti nella storia del paese
indipendente.
Questa effervescenza sociale è stata ampiamente trattata nel primo
capitolo della tesi, in esso ho cercato di sottolineare le contraddizioni che
sono emerse in Marocco nei primi anni dopo il raggiungimento
dell’indipendenza quando si consumava una lotta intestina per la direzione
del paese fra la monarchia e il movimento di liberazione nazionale. I primi
anni del giovane re Hassan II furono così caratterizzati da un altissimo
livello di repressione e di criminalizzazione del dissenso1, mentre la
stabilità del suo regno fu più volte sul punto di crollare sotto i colpi della
gioventù
studentesca
insoddisfatta,
dell'esercito
e
dei
partiti
dell'opposizione.
La soluzione che la monarchia ha adottato per ritrovare il consenso fra la
popolazione e riuscire quindi a proporsi come un soggetto politico capace
ancora di dialogare con le forze di opposizione è il tema del secondo
capitolo. A partire dal 1975 il carismatico re riuscì a risvegliare l'ardore
nazionalista della popolazione attorno alla causa di “recupero” del Sahara
1 F.El Bouih, A. Zrikem, A. El Ouadie, N. Saoudi, Sole nero. Anni di piombo in Marocco, Ed.
Mesogea, Messina, 2004.
6
Occidentale ancora in possesso della Spagna. Nella conquista, pervasa dal
significato sacro e religioso, si ritrovano tutte le dinamiche di potere e i
dispositivi di controllo sociale messi in campo dal makhzen2 per rilanciare,
in maniera indiscutibile, la centralità politica e culturale della monarchia nel
paese. Nei successivi trent'anni di conflitto la politica di integrazione dei
nuovi territori fu caratterizzata da atroci violenze e violazioni dei più
basilari diritti fondamentali dell'uomo, dando luogo ad una vera e propria
politica di colonizzazione attraverso misure militari, economiche e sociali.
Solo a partire dal 1990 il paese comincia a muovere i primi timidi passi
verso le riforme. Il nuovo testo costituzionale del 1996 fa esplicitamente
riferimento alla difesa dei diritti dell'uomo ed introduce alcune importanti
riforme che Hassan II ha fortemente voluto per preparare la successione al
trono di suo figlio Mohamed VI. Il terzo capitolo suggerisce così alcuni
spunti di riflessione per comprendere se la politica condotta dal giovane “re
dei poveri” sarà in grado di far progredire il paese sulla strada della reale
democratizzazione o se l'esercizio del potere rimarrà in continuità con la
tradizione autoritaria della monarchia.
Considerata la specificità e la complessità del tema, la ricerca
bibliografica è stata condotta non solo presso la biblioteca di studi storici,
politici e sociali dell'Università di Perugia, ma anche nelle biblioteche
specializzate del centro studi “Amilcar Cabral” di Bologna, la fondazione
“Lisli e Lelio Basso - Issoco” e l'Istituto pontificio di studi arabi e
d'islamistica (PISAI) di Roma. Le opere di carattere generale esaminate
sono state importantissime per capire i delicati equilibri postcoloniali in
particolare nel mondo arabo. I testi riguardanti più specificatamente il
Marocco, comprendono sia opere scritte direttamente dai protagonisti del
2 Il termine indica la tradizionale struttura di potere politico-amministrativa fatta di
sottomissione, rituali, cerimonie e tradizioni. È una concezione specifica dell'autorità che
impregna l'intera classe politica e dell'esercito di cui il re costituisce l'elemento principale.. Per
una descrizione più approfondita cfr Cubertafond B., La vie polique au Maroc, L'Harmattan,
Paris, 2001.
7
tempo (come Option revolutionaire au Maroc di Medi Ben Barka e Le
verità del Marocco di Moumen Diouri) che studi più recenti, importanti per
descrivere l'evoluzione del sistema politico e il suo rapporto con l'Islam
(un'opera fondamentale è
Monarchie et islam politique au Maroc di
Mohamed Tozy, politologo marocchino fra i più esperti conoscitori
dell'impatto dell'Islam sulle trasformazioni sociali).
Per quanto riguarda la documentazione sulla storia del popolo Saharawi,
la reperibilità dei testi non è stata sempre facilissima, questo a
testimonianza della marginalità del tema presso gli editori esteri. Molto più
attivo è stato invece il ruolo svolto dalle associazioni di solidarietà e
cooperazione internazionale, in particolare è stato molto utile per capire
l'attualità del dibattito, partecipare ai lavori del 33o EUCOCO (Conferenza
del Coordinamento Europeo di Solidarietà al popolo del Sahara
Occidentale) tenutosi a Roma dal 19 al 21 ottobre 2007.
Un'importante fonte primaria sono state le riviste specializzate come
Maghreb Machrek3, Afriche e Orienti4 e Confluences Mediterranée5 e lo
sfoglio sistematico della stampa periodica in lingua francese, come Maroc
Hebdo
International6,
Le
Journal
Hebdomadaire7
o
Le
Monde
Diplomatique8; sopratutto per quanto riguarda l'approfondimento della
politica di Mohamed VI che, data la strettissima attualità, manca ancora di
3 Rivista bimestrale di studi generali sul mondo arabo. Pubblicata a partire dal 1964 presso
Institut Choiseul pour la politique internationale et la géoéconomie di Parigi.
4 Rivista trimestrale nata nella primavera 1999 per iniziativa di un gruppo di studiosi e giovani
ricercatori riuniti nell'Associazione "afriche e orienti". Pubblicata da AIEP Editore della
Repubblica di San Marino.
5 Rivista trimestrale creata nel 1991 da un gruppo di universitari, giornalisti ed appassionati delle
questioni politiche e culturali dei paesi del bacino mediterraneo. Edita a Parigi da L’Harmattan
6 Rivista settimanale d'informazione generale, politica, sociale ed economica marocchina, creata
da Mohamed Selhami a Casablanca a partire dal novembre 1991.
7 Settimanale di informazione generale sul Marocco fondato il 17 novembre 1997 da Aboubakr
Jamai più volte censurato dalla monarchia per l'autonomia ricercata e sostenuta nella sua linea
editoriale.
8 Mensile di informazione sulle questioni internazionali “con una visione critica di ciò che
spesso rimane nell'angolo morto della stampa”. Nata a partire dal 1954 all'interno del
quotidiano francese Le Monde, diventa completamente indipendente da esso nel 1996 sotto la
direzione di Ignacio Ramonet.
8
una produzione letteraria specifica.
PRIMO CAPITOLO
Effervescenza sociale e politica nel Marocco di Hassan II
Raggiunta l'indipendenza dalla Francia nel 1956, il Marocco si trovò di
fronte ad un bivio: optare per un'ipotesi progressista di rottura col passato
9
coloniale in grado di mettere in discussione le vecchie dinamiche di potere
tradizionale, oppure confermare una “monarchia costituzionale” in cui al re
venisse riconosciuta una posizione preponderante capace di accentrare su di
sé tutti gli strumenti necessari per imporre la propria autorità. Così i primi
anni del Marocco indipendente furono caratterizzati dallo scontro per la
direzione del paese tra il movimento di liberazione nazionale e la monarchia
di Mohamed V. Furono anni di transizione dove nessuno dei due soggetti
sembrava essere così forte da potersi imporre sull'altro.
Hassan II, salito al trono nel 1962, interpretò questo scontro in maniera
decisamente più energica ed autoritaria rispetto al suo predecessore, ma il
protrarsi della crisi economica e l'incapacità nell'applicare le riforme
strutturali necessarie al paese in via di trasformazione, misero duramente in
crisi la legittimità del suo potere. La stabilità del regno fu più volte messa
alla prova ma il re riuscì progressivamente a consolidare il suo potere
relegando i partiti che avevano guidato il paese nella lotta anticoloniale
all'opposizione parlamentare, e mettendo a tacere una nuova generazione di
dissidenti che presto si radicalizzò contro la monarchia e il neocolonialismo
che essa interpretava.
Furono anni estremamente duri per la popolazione, caratterizzati da un
altissimo livello di repressione e di criminalizzazione del dissenso9 ma
nonostante il prezzo pagato, non cambiò niente dal punto di vista della
corruzione, della povertà e della partecipazione delle masse alla vita
politica, tanto che anche l'esercito, nel momento di crisi più acuta per la
legittimità monarchica, cercò di rovesciare il re con due successivi colpi di
stato10.
9 F.El Bouih, A. Zrikem, A. El Ouadie, N. Saoudi, Sole nero. Anni di piombo in Marocco, Ed.
Mesogea, Messina, 2004.
10 Per un riferimento generale alla storia e alle istituzioni politiche del Marocco si consiglia
Vermeren P., Histoire du Maroc depuis l'indépendence, La Décuverte, Paris 2002 e
Cubertafond B., La vie polique au Maroc, L'Harmattan, Paris, 2001.
10
1.1 I partiti politici fra opposizione e adesione al regime
Quando il Marocco raggiunse l'indipendenza politica nel 1956, il vuoto
di potere che si era creato con la progressiva partenza delle forze occupanti
francesi, fu caratterizzato dallo scontro fra la Monarchia e il movimento
nazionale
(che
principalmente
comprendeva
l'Istiqlal,
il
partito
dell'Indipendenza e l'Armée de Liberation National) per il controllo e la
direzione del paese.
11
Già a partire dal secondo dopoguerra il processo di decolonizzazione era
diventato una realtà su scala mondiale. Nel 1954 la sconfitta militare
francese di Dien Bien Phu in Indocina fu un segnale d'allarme per i vecchi
stati coloniali che, incalzati dai movimenti di liberazione nazionale, presto
compresero quanto fosse impossibile e
insensato mantenere il rigido
sistema coloniale con gli stessi modi e mezzi utilizzati precedentemente.
Nel 1953 Mohamed Ben Youssef, re del Marocco sin dal 1927 fu
deposto ed esiliato in Madagascar dal Residente francese. Il movimento
nazionale marocchino sfruttò abilmente questo avvenimento per canalizzare
la rabbia della popolazione nella lotta anticoloniale: nei tre anni successivi
la resistenza armata condotta dall'ALN esplose in tutto il paese mentre
l'Istiqlal, che continuava ad operare in clandestinità, raccoglieva sempre più
consensi riuscendo a costruire attorno alla cacciata del re il simbolo
dell'oppressione coloniale ed associare il suo ritorno all'indipendenza del
paese. Le difficoltà della Francia nel mantenere il territorio pacificato
furono ben presto evidenti, fu necessario quindi cambiare approccio e
sostituire il dominio e lo sfruttamento diretto delle ricchezze del territorio
con la concessione di un'indipendenza “controllata” che, attraverso la
riabilitazione della monarchia, potesse mantenere inalterati i suoi interessi
economici anche nel paese indipendente. Come dirà in seguito Ben Barka,
leader della resistenza marocchina, si trattò di una nuova fase politica
“neocoloniale” perché da un lato concede l'indipendenza politica creando
uno Stato “artificiale” in cui l'indipendenza non ha alcuna possibilità di
diventare reale, e dall'altra propone una “cooperazione” con l'obiettivo di
creare una ricchezza le cui basi sono al di fuori del Marocco11.
Al suo ritorno in patria Mohamed V fu esaltato dal suo popolo come il re
liberatore, simbolo dell'unità nazionale, ma il suo potere effettivo nella
11 M. Ben Barka, Option revolutionnaire au Maroc. Suivi des ecrites politiques 1960-1965,
Maspero, Paris, 1966, pp 24-27.
12
gestione del territorio e nel controllo delle istituzioni era ancora molto
precario. Così, al momento dell'indipendenza, la posizione del monarca
oscillava fra la decisione di aprirsi al movimento nazionale e quindi
condividere con esso le responsabilità nel futuro Marocco, oppure
collaborare con la Francia per ottenere i mezzi di controllo e di coercizione
efficaci che avrebbero permesso alla monarchia di conquistarsi un posto
centrale in ogni trama politica.
Sin dai primi momenti post-indipendenza la Monarchia aveva preservato
l'ossatura essenziale del regime di protettorato, una struttura di tipo feudale
centrata sulla restaurazione del Makhzen in grado di attirare verso di se la
fiducia delle élites rurali tradizionali. Il Makhzen è sempre stato presente
nella storia del Marocco. Letteralmente significa “deposito del tesoro
pubblico” ed evoca l'esercizio del potere reale, lo stato e la sua
amministrazione. È una struttura che si sviluppa per cerchi concentrici
gerarchicamente ordinati dove il sovrano ha la posizione centrale e,
allargandosi, raccoglie i diversi segmenti sociali (élites tradizionali,
rappresentanti dell’esercito, la grande borghesia agraria ecc…) che
riconoscono a lui obbedienza in cambio di protezione e favori politici12.
Sotto il regime di protettorato la Francia si era impegnata a sostenere nel
Marocco un forte tribalismo, concedendo molti poteri ai caid (governatori)
locali rappresentanti delle maggiori tribù. La divisione amministrativa dello
stato era quindi su base tribale perché, in base al principio dividit et
imperat, un territorio così frammentato era ritenuto più semplice da
controllare e da amministrare13. Mohamed V riconosceva in questa struttura
una potenziale minaccia per la sua autorità14, così non appena ritornato sul
12 B. Cubertafond, op. cit. pp 36-39.
13 La stessa logica favorì l'emanazione nel 1930 da parte del protettorato del noto “dahir berbero”
che decretava la divisione dell'amministrazione giudiziaria fra la popolazione berbera e quella
araba. Questo avvenimento fu all'origine di violente rivolte in tutto al paese e fu alla base
dell'unione di diverse anime nazionaliste all'interno del futuro Istiqlal.
14 Thami El Mezouari El Glaoui, caid di Marakech, durante il protettorato era riuscito ad
accentrare su di sé così tanti privilegi e poteri tali da poter sfidare la legittimità del re ed
13
trono, si adoperò per smantellare questo sistema senza però rompere
totalmente con i rappresentanti locali, capi delle tribù che nel protettorato
come nel Marocco indipendente, potevano ancora costituire un'importante
base di consenso e di appoggio per frenare le aspirazioni del partito dei
“fassi” (termine riferito all'Istiqlal che indica l'appartenenza alla borghesia
di Fes in contrapposizione con il mondo rurale). Fra il ‘58 e il ‘60 nelle
campagne e nelle città fu introdotto il sistema dei comuni15 che suddivideva
il territorio con linee di demarcazione amministrativa trans-tribale. I ca'id
persero parte delle loro prerogative acquisite sotto il protettorato e
divennero dei funzionari amministrativi direttamente dipendenti dal
ministero dell'interno. Questa struttura è fortemente centralizzata, perché la
scelta del ministro dell'interno, che ha un ruolo chiave per la nomina dei
funzionari e l'affidamento degli incarichi, era una prerogativa riservata al re.
L'imposizione di questo sistema fu segnata da tre grandi rivolte locali, 16 ma
tuttavia il re riuscì ad attirare verso di sé la fedeltà del Makhzen
tradizionale. Come osserva Driss Benali:
“[...] il Makhzen non è una creazione dal nulla dopo l'indipendenza politica,
cioè non è il prodotto contraddittorio della colonizzazione e della lotta politica,
esso è dotato di una legittimità trans-storica inscritta nelle fondamenta di questa
società e radicata nell'immaginario delle masse marocchine che riconoscono in lui
la capacità di incarnare l'unità della comunità nazionale e l'utilizzo di certi simboli
religiosi. Sotto questo aspetto, la colonizzazione non ha alterato, bensì rafforzato
questo sistema come mezzo per eliminare le dissidenze (siba). L'indipendenza ha
permesso al Makhzen di accrescere il proprio campo d'intervento e di estendere la
sua attività ad altri domini”17.
organizzare il complotto che nel 1953 portò alla deposizione del sultano.
15 J. Shoup, “Are there still Tribes in Morocco?”, in D. Chatty, a cura di Nomadic Societies in the
Middle East and North Africa. Entering the 21st Century, Brill, Leiden-Boston, pp. 123-143
16 La prima fu fra il 1956 e il 1957 nella regione del Tefilalt guidata da Addi u-Bihi che non
riconosceva l'autorità del governo centrale. La seconda, la più violenta, scoppiò nel Rif fra il 58
e il 59; la terza prese piede nelle montagne vicino la città di Beni Mellal nel 1960.
17 D. Benali, Le Makhzen aujourd'hui in Coubertafond B., Op Cit, p 37.
14
In breve tempo pressochè tutti i membri dell'élites tradizionali arrivarono
a riconoscere che, fuori dal Makhzen, non ci sarebbe potuta essere
legittimità né accesso al potere18. La prova di una rinnovata alleanza fra il re
e la feudalità rurale fu lanciata da Mohamed V al momento stesso
dell'indipendenza quando nominò M'Barek Bekkai (un'ufficiale berbero fra
i più fedeli al Makhzen) presidente del consiglio, con l'incarico di gestire i
negoziati per l'indipendenza, con grande danno per i nazionalisti
dell'Istiqlal, il partito che aveva coordinato gran parte delle azioni della
resistenza anticoloniale19.
Il partito era comunque tutt'altro che una forza marginale. Lasciandosi
alle spalle le caratteristiche proprie di una formazione clandestina dell'élite
borghese urbana, fra il '53 e il '56 era diventato un partito a diffusione
nazionale che contava circa un milione di aderenti fra le città e le zone
rurali del paese. Al momento dell'indipendenza gran parte dei leaders storici
(come Allal el Fassi) ritornarono dall'esilio e la direzione del partito fu
presa da Mehdi Ben Barka che voleva farne un moderno strumento di
massa in grado di imporsi come partito unico. Egli poteva contare
sull'appoggio di gran parte dell'ALM (Armée de Liberation Marocaine) che
continuava le azioni di guerriglia e sabotaggio nelle province del Sud
marocchino contro le rimanenze dell'esercito francese e spagnolo, ma era
sopratutto nelle città che raccoglieva consensi fra i proletari e gli
intellettuali del sindacato UMT di Mahjoub Ben Seddik fondato nel marzo
del 1955. Il sostanziale equilibrio delle forze in campo obbligò il sultano a
concedere alcuni spazi di sovranità (dieci ministeri su sedici) al partito, a
cominciare dal secondo governo Bekkai (ottobre 1956-maggio1958). La
posizione del partito in questa nuova fase di governo rimase ambigua,
infatti, controllando il ministero dell'interno, si lanciò in una feroce lotta per
18 J. Waterbury, Le commandeur des croyantes, Ed. presses universitaires de France, Paris 1975.
19 P. Vermaren, Histoire du Maroc depuis l'indépendance, La décuverte, Paris, 2002.
15
la pacificazione del paese eliminando le sacche residue di resistenza che
potevano insidiare la posizione di partito unico a cui esso tendeva.
Nonostante la sua forza l'Istiqlal rimase al di fuori della catena di
comando. Il sovrano, infatti, aumentò i mezzi di controllo sull'azione di
governo istituendo il “consiglio della corona”, inoltre mantenne il controllo
della polizia e dell'esercito attraverso Moulay Hassan (futuro re del
Marocco) e le rimanenti forze coloniali. Le Far (Force Armée Royale)
infatti, potevano contare su aiuti stranieri come ufficiali, mezzi e istruttori20.
Lo stesso vale per la sicurezza nazionale affidata al miliardario Laghzaoui,
membro dell'Istiqlal, che beneficiava di aiuti dai servizi francesi. Collegato
direttamente al palazzo egli capì l'importanza di rimanere fedele al re in
quanto, avendo ammassato un'enorme fortuna sotto il protettorato, non
poteva non guardare con sospetto le posizioni del partito che sotto
l'influenza di Ben Barka e in nome dell'anticolonialismo reclamava la
riforma agraria, la partenza degli stranieri, e la redistribuzione della
ricchezza in un ottica rivoluzionario-democratica.
Le tensioni interne al partito non tardarono ad esplodere e il 25 gennaio
1959 un grande segmento si separò dall'Istiqlal dando vita nel settembre
successivo all'UNFP (Union Nationale des Forces Populaire) sotto la guida
di Mhedi Ben Barka. La scissione fu sopratutto la conclusione di un lungo
periodo nel corso del quale i marocchini furono costretti a scegliere gruppi
e dirigenti fra loro rivali che oscillavano con politiche contraddittorie fra
l'opposizione o la sottomissione al regime21. L'Istiqlal del '56 non
20 Il 12 febbraio 1958 le rimanenti forze dell'esercito francese e spagnolo lanciano una feroce
offensiva (Operazione Ouragan) contro la resistenza armata che ancora era in guerra nelle
province del Sud per la cacciata totale delle truppe straniere dal territorio. Anche se la
monarchia non osteggiava pubblicamente le azioni della resistenza, tuttavia ebbe un ruolo
importante nelle operazioni militari a cui parteciparono direttamente anche le FAR e che ebbe
come risultato la quasi totale disfatta della resistenza armata che quello stesso anno depose
ufficialmente le armi.
21 La scissione fu definitiva quando il congresso dell'Istiqlal approvò il 19 aprile 1959 un
memorandum scritto da Ben Barka in cui si facevano esplicite richieste al re: consolidamento
dell'indipendenza, evacuazione totale di tutte le truppe straniere, rafforzare le alleanze con gli
altri stati magrebini, istituzioni democratiche, espansione economica e sociale, governo
16
rappresentava che un insieme di individui, un aggregato di gruppi
all'interno di un partito con obiettivi essenzialmente difensivi dei propri
interessi, la crisi ha portato all'estremo queste contraddizioni interne
imponendo scelte definitive che non era più possibile risolvere con la solita
ambiguità. La monarchia risultò rafforzata perché con questa scissione ha
aumentato il suo potere di controllo verso alcuni dei dirigenti del
movimento nazionale22.
Con la salita di Hassan II al trono del Marocco il 3 marzo 1962, la
monarchia uscì da una posizione sostanzialmente attendista e affrontò con
assoluto autoritarismo le sfide che la sinistra del paese aveva promesso di
lanciare al momento della scissione. Il giovane re si circondò di personalità
che avevano dimostrato la loro fedeltà sin dai tempi in cui il principe
ereditario era a capo delle Far. Fra tutti spiccavano Ahmed Réda Guédira,
diventato direttore del gabinetto reale, e Mohamed Oufkir, responsabile
della sicurezza nazionale e dei servizi segreti, entrambe queste istituzioni
hanno avuto un'importanza fondamentale nel sistema autocratico imposto
da Hassan II.
L'impronta autoritaria del nuovo re si manifestò con la promulgazione
del primo testo costituzionale ottriato del Marocco indipendente23. Il testo è
l'apologia del successo politico del re e la sua istituzionalizzazione come
Amir al Mu'minin (capo dei credenti), non c'è separazione dei poteri perché
è lo stesso re che delega i tre poteri a delle autorità che fanno riferimento
direttamente a lui, ha il potere di nomina e revoca del primo ministro e dei
ministri che non chiedono la fiducia alle camere ma sono direttamente
responsabili di fronte al re, dispone del diritto di veto legislativo e del
omogeneo, libertà pubbliche garantite, data certa per le elezioni comunali e instaurazione di
una monarchia costituzionale. Di fronte il netto rifiuto della monarchia il partito si divise fra la
vecchia guardia legata al palazzo e la nuova generazione di Ben Barka legata alla resistenza e
al sindacato.
22 J. Waterbury, op. cit. pp. 193 – 222.
23 Il testo fu scritto con l'aiuto di costituzionalisti francesi che furono fra gli artefici nel 1958 del
nuovo testo fondamentale della V Repubblica di De Gaulle.
17
potere di scioglimento delle camere. Il re soprattutto ha il potere di
proclamare in base all'art. 3524 lo “stato d'eccezione” che conferisce al
monarca tutti i poteri necessari per ristabilire il normale funzionamento
delle istituzioni25. Inoltre grazie all'art 3 è vietato il partito unico in favore di
un sistema pluripartitico di facciata.
Questo articolo sarà conosciuto come ”opzione Guédira” e rappresenta la
consacrazione di tutti gli sforzi che quest'uomo politico ha compiuto a
partire dal 1956 nel tentativo di ostacolare la supremazia dell'Istiqlal che ai
suoi occhi rappresentava il pericolo più grande per la monarchia. Sostenuto
fortemente da Hassan II, egli fondò nel 1963 il FDIC (Front
pour la
Défense des Institutions Costitutionelles) una coalizione di partiti che
integrava notabili eletti e funzionari makhzenizzati delle zone rurali (circa i
¾ del paese) e che lo stesso fondatore non nascondeva essere un mezzo per
prevenire qualsiasi vittoria dell'Istiqlal alle elezioni.
Il testo della costituzione venne approvato tramite referendum popolare il
7 dicembre 1962 con il 97% dei voti, l'UNFP fu il solo partito legale a
boicottarlo in quanto criticava la sua preparazione segreta, i poteri eccessivi
detenuti dal re, le ambiguità inerenti la responsabilità dei ministri davanti al
re e davanti al parlamento ma anche l'instaurazione del principio di
primogenitura per la successione al trono.
L'approvazione della carta costituzionale aprì un periodo di tornate
elettorali. Il 17 maggio 1963 si svolsero le prime elezioni legislative del
Marocco indipendente e segnarono la vittoria dell'Istiqlal e dell'UNFP che
24 Articolo 35 – In caso di minaccia dell'integrità del territorio nazionale, o nel caso in cui si
producano avvenimenti suscettibili di mettere in discussione il funzionamento delle istituzioni
costituzionali, il re può, dopo aver consultato i presidenti delle due camere e aver indirizzato
un messaggio alla nazione, proclamare, attraverso decreto reale, lo stato d'eccezione. Egli è
abilitato, nonostante tutte le disposizioni contrarie, a prendere le misure necessarie per imporre
la difesa dell'integrità territoriale e il ritorno al funzionamento normale delle istituzioni
costituzionali. Lo stato d'eccezione viene cessato nelle stesse forme con il quale viene
proclamato.
25 M. Oliviero, Il costituzionalismo dei paesi arabi. Le costituzioni del Maghreb, Giuffrè editore,
Milano, 2003, pp. 52-59.
18
ottennero la maggioranza relativa con il 37% dei consensi contro il 24% del
FDIC26. La sconfitta della monarchia fu eclatante, perché nonostante la
creazione del FDIC, il radicamento dello Hizb era troppo forte per essere
spazzato via di un colpo solo e la base popolare dell'UNFP era una realtà
importante.
Ma la frenata del partito realista fu solo temporanea, infatti le elezioni
comunali previste per il 28 giugno 1963 furono ritardate, probabilmente per
permettere a Guédira di rafforzarsi, ma questo bastò per far gridare al
complotto l'UNFP, la principale forza antiperialista che alla sua prima prova
elettorale aveva ottenuto un risultato inimmaginabile. Gli avvenimenti
successivi dimostreranno che le accuse della sinistra erano più che
fondate27, infatti il 16 giugno 1963 circa cinque mila militanti dell'UNFP e
del PCM (Partito Comunista Marocchino) furono arrestati dopo che il Cab
128, guidato da M Oufkir, aveva informato il re della preparazione di un
complotto consistente a creare delle cellule di combattenti con armi
provenienti dall'Algeria. Centinaia furono processati e accusati di attentato
alla sicurezza nazionale, fra questi Fqih Basri fu condannato a morte e la
stessa sentenza fu inflitta per contumacia a Ben Barka, Bensaid, Berreda e
Cheikh el Arab, dirigenti del partito e della resistenza armata. Questo
avvenimento spezzò completamente il partito che decise di boicottare le
successive elezioni, l'Istiqlal e l'UMT lo seguirono. La vittoria del FDIC fu
quindi scontata ma al di là dell'ovvio risultato elettorale, il parlamento fu
privo di rappresentatività e aumentarono il malcontento e le divisioni. Il re
ebbe quindi gioco facile nel denunciare l'inefficacia del parlamento e
26 Risultati elezioni 1963: FDIC 64 seggi, 24% preferenze; Istiqlal 41 seggi, 21% preferenze;
UNFP 28 seggi, 16% preferenze; Neutri 6 seggi, 39% preferenze.
27 Waterbury J., op. cit. pp 296-301.
28 Il Cab1 (o Gabinetto n° 1) fu creato nel 1960, anno durante il quale diventa un vero servizio di
informazione grazie alla collaborazione di un pugno di esperti americani. Può contare su 200
uomini divisi in 6 dipartimenti (contro-sovversione, contro-spionaggio, operazioni tecniche,
ecc...). non è il solo servizio di informazione del Marocco, ma è il più efficace nel garantire la
continuità del regime che, all'epoca della guerra fredda, appariva fondamentale agli occhi dei
paesi occidentali. Vermeren, op. cit. pp. 37.
19
scioglierlo, decretando lo stato d'emergenza.
Facendo ricorso, il 7 giugno 1965, all'articolo 35 della costituzione,
Hassan II volle denunciare la profonda crisi politica in cui versa il paese
emersa in maniera evidente dopo i moti di Casablanca del marzo 196529.
Dopo aver cercato di ripristinare il suo prestigio personale con la grazia30 di
parte dei condannati del '63 e la “guerra di Sabbia”31 contro l'Algeria come
tentativo per risvegliare l'ardore nazionale, decise di assumere direttamente
egli stesso tutte le responsabilità del potere chiarificando una volte per tutte
i rapporti fra il palazzo e le forze politiche32.
Nei cinque anni in cui proseguì lo stato d'eccezione una violenta
repressione fu scatenata nel Marocco. In questi anni Ben Barka, in esilio a
Parigi, sposta la sua analisi politica su posizioni sempre più rivoluzionarie.
Egli ritiene finita la prima fase riformista nell'azione politica del partito,
necessaria per far prendere coscienza alle masse dei legami fra la monarchia
e l'imperialismo. Sostiene che in Marocco il neocolonialsmo è assicurato
dall'egemonia dei grandi monopoli stranieri sui principali mezzi di
produzione, sul credito e sul commercio ma anche dalla grande borghesia
agraria che ha legato sempre più il suo avvenire alle strutture semi-feudali
ereditate dal sistema coloniale. Questo ha aumentato la disparità sociale fra
una minoranza che ha legato i propri interessi a quelli del capitalismo
29 Cfr paragrafo 2 capitolo 1.
30 La grazia come strumento politico ha un valore simbolico importante perché è interpretata
come “dono unilaterale simbolo della magnificenza del re” a differenza dell'amnistia che,
come provvedimento generalizzato, assume invece il significato di un implicito riconoscimento
dei detenuti come “prigionieri politici”.
31 Dall'indipendenza algerina (1962), diversi incidenti di frontiera intercorrono fra i due paesi.
Nel 63 la tensione fra i due paesi aumenta sopratutto quando i militanti sfuggiti al complotto si
rifugiano in Algeria e questo permette ad Oufkir di denunciare i legami fra l'Algeria e l'ALM.
Il 14 ottobre 1963 le Far attaccano il sud della regione è la “guerra di sabbia” che Ben Barka si
appresta a denunciare al Cairo sul giornale Sawt El-Arab che si tratta di “una guerra
d'aggressione contro la repubblica algerina e democratica”. Hassan II propone il cessate il
fuoco il 2/11/63, sulla forte spinta della Francia che ancora de facto conserva le postazioni sul
Sahara. In questo modo vengono assicurate le frontiere orientali del Marocco e il prestigio
delle FAR.
32 “La proclamation de l'étàt d'exception et l'opinion marocaine”, Maghreb, pp. 21-23, 1965.
20
straniero e la maggioranza della popolazione che rimane schiacciata da
questa pesante eredità. L'attuale crisi politica ed istituzionale che vive il
paese ha amplificato la portata di queste contraddizioni e rende
indispensabile lavorare per una grande unione di tutte le forze progressiste
presenti nel Marocco in grado di dare il via ad una nuova fase
rivoluzionaria33.
L'ipotesi rivoluzionaria di Ben Barka fu stroncata bruscamente il 29
ottobre del 1965 quando il leader dell'UNFP fu prelevato in gran segreto a
Parigi e giustiziato, dopo ore di tortura sotto gli occhi di Oufkir e del
generale Ahmed Dlimi, nella stessa capitale francese34. Questi anni
segneranno la definitiva vittoria del Palazzo sul movimento nazionale,
infatti l'UNFP sempre più isolato dopo la morte del suo leader subirà anche
la rottura definitiva con la base del suo elettorato costituita dai lavoratori
dell'UMT35 che si sposteranno verso le posizioni moderate dell'Istiqlal. Il
tentativo di ristrutturazione dell'UNFP storico, cioè del fronte partitosindacato, durante il periodo dello stato d'eccezione, fu un fallimento.
Spetterà ai giovani risvegliare l'iniziativa di costituire un fronte radicale
contro il palazzo, infatti con la fine dello stato d'emergenza il 7 luglio 1970,
Istiqlal e UNFP si unirono in un cartello elettorale chiamato al Koutla el
Wataniya (Blocco Nazionale) per presentarsi uniti alle elezioni previste per
il 1971.
La nuova costituzione, anche questa ottriata, fu duramente boicottata dal
blocco
dell'opposizione
perché
non
apportava
alcun
sostanziale
cambiamento in senso democratico rispetto al testo del 1962, al contrario,
dopo l'esperienza del ‘65-‘70, rafforzò il carattere autoritario e i poteri della
monarchia. Il testo fu comunque approvato con larga maggioranza (98,85%
33 M. Ben Barka, op. cit. pp 30-66.
34 A. Boukhari, Le secret, Ben Barka et le Maroc, un agent des services speciaux parle, Michel
Lafon, Paris, 2002, in Vermeren, op.cit. pp. 47-48.
35 “Où sont les partis politiques marocains” , in Maghreb, 1965, pp.19-25.
21
dei consensi) il 31 luglio del 1970, ma nella realtà non cambiò nulla dal
punto di vista della corruzione, della repressione e della partecipazione
delle masse alla vita politica. Nel giugno del 1971 venne “sventato” un
nuovo complotto, detto baathista, e il 10 luglio 1971 avvenne il primo colpo
di stato guidato dal giovane luogotenente di 32 anni M'Hammed Ababou36.
In seguito a questi avvenimenti, il parlamento eletto nel '70 venne
sospeso nell'attesa della nuova riforma costituzionale prevista per il primo
marzo 1972. La nuova costituzione approvata dal 98,75% dei votanti
presentava come caratteristica fondamentale, quella di essere simile per
molti aspetti al testo del 1970 che a sua volta confermava lo stesso sistema
costituzionale del 1962. Il re resta al centro del regime grazie ai mezzi
d'azione che gli permettono di agire direttamente sulla funzione legislativa e
di governo; il parlamento e il governo ritrovano, almeno sul piano
giuridico-formale, i mezzi per l'esercizio delle loro funzioni con un certo
margine di autonomia nel quadro di un regime costituzionale detto di
“parlamentarismo dualista”37. I partiti della Koutlah decidono la “non
partecipazione” al voto al fine di “non garantire vane e futili soluzioni che
ridurrebbero le dimensioni della crisi ad un semplice problema di revisione
costituzionale”.38 Rispetto il boicottaggio questa posizione esprime
un'aspettativa che non pregiudica il comportamento che la Koutlah potrà
prendere verso le future iniziative del palazzo “Il referendum non è il fine
[...] non è che l'inizio logico di una serie di misure che verranno di
conseguenza [...] per creare le condizioni di una partecipazione tanto
desiderata da tutte le forze vive della nazione alle diverse responsabilità”39.
L'unica voce discordante fu quella del leader del disciolto PCM che reputò
il testo, come quello del 1962 e del 1970, un progetto che “legalizza
36 Cfr paragrafo 3 cap 1.
37 “Maroc 1972: empasse ou l'aventure?” , in Maghreb, 1972, pp. 38-44.
38 Comunicato del 22 febbraio 1972, in l'Opinon, 24 febbraio 1972.
39 Intervista del 25 febbraio 1972, Le Matin,1 marzo 1972.
22
l'assolutismo e le strutture economiche e sociali ereditate dal passato
feudale e coloniale”. L'unica possibile soluzione che Ali Yata, leader del
partito, reclama è quella di una “elezione a suffragio universale di
un'assemblea nazionale costituente sovrana”. La sua posizione rimane
ferma nel “rigettare la costituzione ottriata e di boicottare il referendum”40
Sotto i continui attacchi di Hassan II caddero tutte le rivendicazioni dei
vecchi partiti del movimento nazionale che ormai non erano più in grado di
opporre alcuna seria resistenza all'interno del nuovo assetto istituzionale
marocchino. La formazione della Koutlah e il suo comportamento verso il
palazzo, dimostrarono che quest'alleanza fu dovuta più a motivazioni
difensive (per far fronte allo stato d'emergenza che aveva decapitato
l'agibilità dei partiti) che offensive. Il rapporto con la monarchia fu
altalenante, tuttavia il re aveva l'intenzione di dare credibilità alla nuova
formazione, di cui conosceva la debolezza, per farne una forza
d'opposizione in grado di sedurre la gioventù studentesca. Nel 1970, infatti,
il pericolo più serio che si presentò al re fu quello dei grandi scioperi
studenteschi che perdurarono tutto l'anno. Questi moti e più ancora quelli
del 71-72, provarono che la gioventù marocchina si era radicalizzata
velocemente e quindi la monarchia, per preservare la sua integrità, ritenne
più opportuno che tale impeto fosse incanalato all'interno della Koutlah
piuttosto che in nuove formazioni politiche rivoluzionarie.
40 In Maghreb Information, 25 febbraio 1972 e l'Opinion, 25 febbraio 1972.
23
1.2 Crisi economica ed esplosione dei movimenti di contestazione
studenteschi
Nel 1960 la crescita economica era debole, il tasso medio annuale di crescita non superava il 2,3%. L'agricoltura, il settore economico che occupava
la maggior parte dei lavoratori marocchini, non ha superato il tasso di crescita annuale medio dell'1,5% e l'industria, attraverso il finanziamento di
grandi opere pubbliche, era il solo settore che aveva conosciuto un dinamismo seppur limitato. Rispetto a questa situazione, non stupisce che la creazione di nuovi impieghi non riuscì a soddisfare una domanda (140.000 per
anno fra il 1960 e il 1967) amplificata dalla pressione demografica e dall'esodo rurale. La convergenza di tutti questi fattori influì fortemente sui con-
24
sumi privati che aumentarono ad un tasso inferiore rispetto quello della crescita demografica (3% contro 3,2%), da qui un abbassamento evidente del
tenore di vita. Inoltre il finanziamento dell'economia era sempre più impostato sul ricorso ai capitali stranieri, alimentando un debito estero crescente.
Il piano quinquennale 1960-64, nella sua prima versione, venne definito
come un piano di transizione da un'economia coloniale ad un'economia nazionale perchè attraverso una serie di misure strutturali doveva condurre all'indipendenza economica e finanziaria in rottura col passato coloniale. Gli
interventi principali riguardarono: la riforma delle strutture agricole e delle
condizioni di sfruttamento delle risorse necessarie allo sviluppo del settore
primario; il sostegno all'industria di base con l'attribuzione di una funzione
centrale allo Stato attraverso l'ODI (Office de Développement Industriel); la
riforma dello Stato intesa nel senso di una trasformazione delle strutture
amministrative orientate più verso lo sviluppo e la ristrutturazione del sistema di insegnamento e di formazione, conformemente ai bisogni dello sviluppo economico41.
Tutte queste misure strutturali erano destinate a realizzare l'obiettivo della crescita economica fissata al 6,2% durante il periodo ‘60-‘64. Tuttavia
Hassan II, appena salito al trono, si dimostra subito poco desideroso di continuare sulla strada indicata dal piano di sviluppo. L'imperativo a breve periodo del controllo politico ha sostituito quello a lungo termine dell'espansione economica così l'insufficienza degli investimenti, la fuga di capitali
(175 miliardi di franchi usciti in 3 anni) e la crescita rapida della popolazione hanno annullato i deboli benefici economici del dopo indipendenza. La
revisione del piano fu impostata a partire dal 1963 e già nel '64 si registrò
una prima grande crisi finanziaria e di bilancio a seguito dell'accumulazione
di debiti generati dall'esecuzione delle leggi finanziarie dei primi anni. La
41 H. El Malki, Trente ans d'economie marocaine, 1960-1990, Centre Nationale de la recherche
scientifique, Paris, 1989
25
svolta monarchica di Hassan II facilitò l'intervento degli organismi internazionali, Fondo Monetario e Banca Mondiale, e l'affermazione di opzioni
economiche liberali. Il 25 giugno 1964, il Marocco firmò una prima convenzione con il FMI per il prestito di 1,3 milioni di dollari e la Banca Mondiale ispirò fortemente il piano triennale del 1965 presentato come un piano
di stabilizzazione. La proiezione del tasso di crescita economica fu piuttosto
modesto, 3,7% annuo, l'industria non veniva più considerata una priorità e
fu sacrificata all'agricoltura, al turismo e alla formazione dei quadri. D'ora
in poi il ruolo dello Stato fu quello di impulso, creazione e miglioramento
delle condizioni che avrebbero permesso l'investimento privato42.
Il prolungarsi della crisi economica amplificò i disastrosi effetti prodotti
con l'urbanizzazione massiccia e dall'enorme crescita demografica. Attorno
le più grandi città del Marocco (Casablanca, Rabat, Meknés, Fes) si
svilupparono a vista d'occhio bidonville che non riuscirono a contenere
l'aumento sfrenato della popolazione proveniente dalle zone rurali. Esse
furono la prova tangibile e angosciante del mancato interesse che i
responsabili marocchini affidarono a questa situazione se non in termini
propagandistici quando, prima di ogni prova elettorale, le poche
realizzazioni di facciata vennero utilizzate esclusivamente come pretesto
per esaltare l'opera del regime attraverso lunghi discorsi televisivi,
radiofonici o nella stampa filo-monarchica43.
Ma le bidonville, e più in generale le città, nel nuovo Marocco
postcoloniale furono anche il terreno dove emersero le condizioni in grado
di mettere in discussione le strutture sociali tradizionali con nuove
dinamiche di massa che attraversarono il campo sociale, politico e culturale.
Sin dall'indipendenza l'educazione di massa, percepita come un diritto ed un
fattore di sviluppo economico, rivestì un'importanza non solo simbolica per
42 J.C. Santucci, “Le plan quinquennal marocain”, in Maghreb, n. 67, 1975, pp 52-61.
43 A. Gaudio, Guerres et paix au Maroc, reportages 1950-1990, Ed. Karthala, Paris, 1991.
26
il movimento nazionale che aveva denunciato il carattere elitario
dell'insegnamento sotto il protettorato. Il 25 agosto del 1957 si riunì per la
prima volta la commissione reale per la riforma dell'insegnamento che,
sotto la presidenza di M Ben Barka, elaborò un piano d’intervento centrato
su quattro rivendicazioni fondamentali: la generalizzazione, unificazione e
arabizzazione dell'insegnamento e la maroccanizzazione e formazione dei
quadri44. L'obiettivo della generalizzazione rispose alla necessità oggettiva e
quantitativa di consentire l'accesso all'educazione all'insieme della gioventù
marocchina numericamente sempre maggiore. Questa massa scolarizzata
vide nell'insegnamento il motore per la mobilità sociale ma i risvolti
problematici riguardarono proprio l'integrazione di questa popolazione
all'interno della vita istituzionale ed economica paralizzata dalle mancate
riforme strutturali45.
Nel passaggio da un'educazione d'élite ad una di massa, la monarchia
non dimostrò alcun interesse nel promuovere i programmi di sviluppo
necessari per assorbire la massa scolarizzata. Queste riforme infatti vennero
percepite come un potenziale pericolo in grado di provocare un radicale
rovesciamento sociale ed economico e così l'attenzione del re si concentrò
nel preservare una politica di elargizione di benefici personali circoscritti.
Nell'analizzare l'élites in Marocco Waterbury descrive come il regime che
non è in grado di promuovere lo sviluppo del paese è ridotto a moltiplicare
la burocrazia ed a inventare dei mezzi di fortuna per riassorbire i suoi
quadri. L'autore, inoltre, sottolinea come il più grande pericolo per i paesi in
via di sviluppo non viene tanto dalla loro debolezza economica, o dalla
disparità culturale al suo interno, ma dall'esistenza di oligarchie e gruppi di
potere che riescono a sfruttare questa debolezza a proprio vantaggio,
44 A. Sekkat, La politique de l'enseignement au Maroc, 1956-1977, Thèse de doctorat d'Etat,
facoultè de droit, Grenoble, 1977, in Bennani-Chraibi op. cit., pp 16-17.
45 M. Bennani-Chraibi, Soumis et rebelles: les jeunes au Maroc, ed CNRS 1994, Paris.
27
fondandola su aspirazioni nazionali46.
Fra il 1956 e il 1980 gli studenti effettivamente iscritti alla scuola
primaria e secondaria segnarono un tasso di incremento medio annuo
rispettivamente dell' 8,32% e 19,77%, mentre le spesa corrente messa a
disposizione al settore del sociale (che comprende anche l'insegnamento)
aumentò ogni anno del 13,7%. Questi dati dimostrano come il Marocco
andò incontro al “paradosso della stagflazione” che esprime lo squilibrio
esistente fra le risorse finanziarie disponibili e l'aumento della domanda
sociale in materia di insegnamento accentuata dal ritmo di crescita
demografico (3% annuo) e dalla struttura della popolazione di cui il 55% ha
meno di 20 anni47.
E' all'interno di questo quadro di riferimento (caratterizzato della
stagnazione economica e dal malessere diffuso nelle grandi città per la
mancata integrazione della massa scolarizzata) che esplode il nuovo
“proletariato intellettuale” protagonista di un grande movimento autonomo
di opposizione radicale al regime. Esso si sviluppò a partire dalla rivolta
degli studenti di Casablanca nel 1965 e progressivamente si allargò ad altri
strati sociali fino alla metà degli anni '70. Partiti e sindacati non ebbero
alcun ruolo nello scoppio delle proteste e in seguito non poterono
controllarne la violenza. Gli avvenimenti colsero tutti i dirigenti di sorpresa.
Nel corso dell'inverno del 1965 il ministro all'educazione Youssef ben
Abbés, definì una politica di selezione dell'élite. Con l'invio di una circolare
ministeriale decretò che gli studenti con più di 18 anni alla fine del primo
ciclo non sarebbero potuti passare al secondo ma dovevano essere orientati
verso l'insegnamento tecnico e professionale. Questa decisione fece
esplodere la protesta fra gli studenti del secondo ciclo che, vedendo
superato il limite d'età, non ebbero la possibilità di proseguire con gli studi
46 J. Waterbury., Op Cit pp 344-353.
47 J. Salmi, Crise de l'enseignement et reproduction social au Maroc, Ed Maghrebines,
Casablanca, 1977, in Bennani- Chraibi, op. cit., p 17.
28
universitari. Anche se il loro numero non era consistente e il movimento
non era ancora sufficientemente organizzato, questo avvenimento servì da
pretesto per canalizzare il malessere. Il 22 marzo la rivolta esplose a
Casablanca e il 24 l'UMT dichiarò lo sciopero generale di 18 ore in
solidarietà con gli studenti. In poco tempo la protesta si trasformò in
insurrezione: vennero erette diverse barricate nelle maggiori vie della città,
autobus, banche e commissariati vennero dati alle fiamme. A dimostrazione
dell'ampiezza delle frustrazioni accumulate dopo l'indipendenza, la protesta
si sviluppò presto nelle altre maggiori città del Marocco. La repressione che
si scatenò fu durissima. Oufkir prese in mano le operazioni il 23 marzo ed è
difficile fare una stima delle vittime, alcune fonti ufficiali parlarono di 70
persone colpite a morte, i diversi osservatori ne contarono fra i 300 e i 400
negli ospedali mentre Boukhari48 parla di 1500 cadaveri, centinaia furono,
invece, gli arrestati. Hassan II intervenne col pugno duro e nel suo discorso
alla nazione del 30 marzo 1965 dichiarò: “la maniera con cui viene espresso
il malcontento non è in alcun modo accettabile né degna dell'immagine
della tua [popolo marocchino] storia e del tuo genio. Io posso dirti [...] che
ho provato vergogna ed avvertito una reale preoccupazione per il prestigio
del mio paese. Non posso permettere che la legge della giungla e l'anarchia
regnino nel nostro paese civile, poiché ritengo che niente possa giustificare
gli avvenimenti di Casablanca, qualunque siano le circostanze.”49 Di fronte
l'”anarchia” “non c'è pericolo così grave per lo Stato che quello dei
sedicenti intellettuali. Sarebbe meglio che voi tutti fosse degli analfabeti”50.
Ma non c'è bisogno necessariamente di essere degli intellettuali per provare
le sofferenze dell'ingiustizia sociale. I meglio qualificati a sapere che
l'ignoranza costituisce una delle armi di oppressione più efficaci sono
48 A. Boukhari, Le secret, Ben Barka et le Maroc, un agent des services speciaux parle, Michel
Lafon, Paris, 2002, in Vermeren, Op.Cit, pp. 48.
49 M. Diouri, Le verità del Marocco, Ed. Jeca Book, Milano, 1988.
50 P. Vermeren, La formation des élites au Maroc et en Tunisie. Des nationalistes au islamistes
1920-2000, La Découverte, Paris, 2002. in Vermeren op. cit. pp. 52.
29
proprio gli analfabeti tenuti in disparte nelle bidonville. Da qui ebbe origine
l'esplodere della rivolta di Casablanca le cui conseguenze politiche furono
molto gravi. La situazione istituzionale era infatti sempre più paralizzata dal
momento che il parlamento era svuotato dopo il boicottaggio delle forze
d'opposizione nelle elezioni del 1963. Questo servì ad Hassan II come
pretesto per far ricadere le colpe del malessere sociale sulla classe politica
giudicata amorfa e immobile che in tre anni di esperienza parlamentare ha
emesso solo tre leggi “Se non avessi desiderato per te [popolo] il regime
democratico, io non te lo avrei concesso, perché nessuno di voi mi ha
obbligato a farlo. [...] Restano allora gli intermediari politici che esigono le
circostanze e le istituzioni democratiche. È questa a loro avviso la maniera
con cui contavano di assumere il loro incarico in seno al parlamento? In ciò
consiste la fedeltà alla democrazia?”. Per il monarca è quindi colpa della
classe politica se egli è costretto a dichiarare il 7 giugno 1965 lo stato
d'emergenza. In questi lunghi 5 anni il re sviluppò un sistema di controllo
più efficace creando 3 ministeri diversi per l'insegnamento primario,
secondario e universitario e in più quello della gioventù e dello sport.
Il clima economico nei 5 anni di stato d'emergenza rimase tuttavia
stagnante. Il secondo piano quinquennale 1968-1972 ripartì dalle stesse
priorità (agricoltura, turismo, quadri) che avevano dimostrato i loro limiti
nella lotta alla disoccupazione già nel quinquennio precedente. In linea con
i precedenti tentativi, la tendenza che si evidenziò con questo secondo piano
quinquennale fu l'aumento della disparità sociale: la parte delle spese di
consumo del 10% delle famiglie più ricche passò dal 25% al 37% mentre
quella del 10% delle famiglie più povere scese dal 3,3% all'1,2%.51
Questi anni coincidono con il momento in cui si cristallizzarono i
movimenti popolari della sinistra radicale all'interno dell'UNEM52, UNFP e
51 H. El Malki, op. cit. pp 23-33.
52 L'Union Nationale des Etudiantes du Maroc è la prima associazione studentesca, a tendenza
sindacale, nata nel 1959 in Marocco. Nel suo periodo iniziale è legata all'UNFP, molti dirigenti
30
del PLS53 (ex PCM). Dopo il 1967 l'UNEM registrò delle tensioni al suo
interno fra i membri vicini ai dirigenti dei partiti di sinistra (rappresentati
dai due presidenti Oualalou e Menouni) e una minoranza più radicale e più
attiva. Questa seconda componente trovò nell'UNEM il terreno di incontro
adatto per i diversi contestatori decisi a denunciare la convergenza fra la
direzione dell'UNFP e del PLS con il potere monarchico e l'assenza di
democrazia nelle strutture statali. Al grido di “ad ogni lotta il suo eco
nell'universo” nacque la prima avanguardia marxista-leninista del Marocco
rappresentata da una nuova generazione studentesca ultra politicizzata, in
rottura con il vecchio movimento nazionale. I “frontisti” che si strutturarono
all'interno dell'UNEM, provenivano da due gruppi diversi: “23 marzo” e
Ilal Amam. Il primo nacque nel 1968 da una frattura all'interno dell'UNFP,
il secondo emerse dalla divisione interna del PCM guidata da Abraham
Serfaty. Il terreno ideologico adatto affinchè questi gruppi poterono
strutturarsi venne fornito dalla rivista Souffles, fondata nel 1967 da
Abdellatif Laabi, che “vuole essere una presa di posizione [...] in un
momento in cui i problemi della nostra cultura nazionale hanno raggiunto
un grado di tensione estremo”54. Nel 1970 nasce l'MMLM (Mouvement
Marxiste-Léniniste Marocain) che si definì “avanguardia delle masse
popolari” per la rivoluzione e denunciò il riformismo dei partiti ufficiali. La
prima tappa del loro percorso fu la presa del controllo dell'UNEM già nel
XIV congresso del 1971, quando Bennani fu eletto presidente.
L'UNEM a direzione frontista riuscì a innescare un lungo periodo di
scioperi e contestazioni sopratutto nel biennio 1970-1972 e rappresentò
l'unica valida spinta progressista nel Marocco di Hassan II. In questo
infatti formatisi all'interno dell'UNEM vengono riassorbiti all'interno del partito di Ben Barka.
Nel 71 la dirigenza viene presa in mano dai marxisti-leninisti che guideranno l'Unione fino alla
sua soppressione nel 1973 per opera di un decreto reale. Quando fu ripristinata, nel 1978,
l'UNEM si sposta sempre più su posizioni islamiche.
53 Parti de la Liberation e du Socialisme.
54 Souffles n°22, novembre-dicembre 1971 http://clicnet.swarthmore.edu/souffles/sommaire.html
31
momento per il re non ci fu altra inquietudine se non gli scioperi
studenteschi, che non potevano più essere sedati attraverso l'assorbimento
della gioventù insoddisfatta con la concessione di privilegi ad personam55.
A partire dalla fine di dicembre scendono per strada gli studenti dei licei,
prima a Rabat poi in tutte le altre capitali regionali. Il movimento fu
spontaneo, sostenuto dagli insegnanti in proporzioni variabili ma comunque
sempre importanti, come dimostrò il caso di Casablanca. Quando la polizia
entrò nel liceo Moulay-Abdallah occupato, 74 professori su 140 furono
arrestati perché complici della contestazione. Le manifestazioni si
radicalizzarono in maniera proporzionata alla repressione dello stato e si
diffusero presto anche ad altri settori della società marocchina. Gli incidenti
che partirono dai licei e dall'università nacquero da rivendicazioni
immediate e precise che a molti osservatori ricorda un significato
esclusivamente corporativista56. Ma già nel 1972 sembravano assumere il
carattere di uno scontro diretto fra l'Università e il potere reale. Le parole
d'ordine del movimento si possono racchiudere attorno tre temi principali:
la condizione del regime penitenziario imposto ai detenuti politici che la
legge marocchina non distingue dai prigionieri di diritto comune; la
repressione in Marocco, su cui confluisce anche l'UNFP con un comunicato
il 21 dicembre, per denunciare gli arresti e gli interventi arbitrari, le torture
inflitte ai “prigionieri segreti”, gli attentati alle libertà sindacali e politiche,
il non rispetto dell'inviolabilità dei luoghi universitari. L'ultimo tema, su cui
converge anche l'Istiqlal, è la “maroccanizzazione” e l'arabizzazione
dell'insegnamento
denunciando
il
“neocolonialismo
culturale”
nell'amministrazione e nelle strutture scolastiche e universitarie.
La maniera con cui il potere monarchico affrontò la situazione non fu
affatto indulgente, il re non intendeva infatti essere un monarca senza
55 P. Vermeren, op. cit. pp 52-65.
56 “L'agitation universitaire au Maroc”, in Maghreb, 1972, pp. 13-15.
32
potere: convinto dell'inadattabilità delle forme liberali delle monarchie
europee al “temperamento” e alla “natura del popolo marocchino” egli
assunse direttamente le responsabilità di una politica repressiva energica.
La politica del “tanto peggio per voi” fu inaugurata con successo già nel
1970, lasciando presagire un nuovo intervento di forza dell'esercito. Il 24
gennaio 1973 venne sciolto l'UNEM, soppresse le borse di studio dei
“rivoltosi”, sospesi gli studenti “assenteisti” e revocati gli insegnanti
coinvolti negli scioperi. Il 27 venne presa la decisione di escludere
dall'università tutti gli studenti che non abbiano ripreso i corsi entro il 29
gennaio (termine poi rinviato al 31 dello stesso mese). Il 3 febbraio vennero
chiuse le facoltà di lettere di Rabat e quella di diritto, scienze e medicina
dell'università di Fes da dove proveniva lo zoccolo duro della contestazione.
L'8 febbraio vennero applicate le sanzioni previste contro gli studenti che
non avevano ripreso i corsi entro il 31 gennaio, più di 3000 furono esclusi57.
Gli scioperi studenteschi diventarono un elemento costante della vita
politica marocchina ma il governo e il palazzo rimasero fermi nel non
concedere una trasformazione radicale del sistema di insegnamento
impegnandosi solo nel compimento di ammodernamenti di facciata,
lasciando che gli stessi studenti compromettessero la propria carriera
universitaria e scolastica.
Il tema della maroccanizzazione dell'amministrazione e dei mezzi di
produzione, sollevato insistentemente dagli studenti, sembrò essere l'unico
ad avere la possibilità di essere affrontato dal re e dal governo. Il 2 marzo
1973 venne promulgato un dahir (decreto reale) che mirava al recupero di
300.000 ettari di terreno rimasti ancora in mano agli stranieri, sopratutto
francesi. Diciassette anni dopo l'indipendenza si trattava di chiudere, in
parte, con l'eredità coloniale per confortare i notabili rurali ovvero la base
57 B. Masquet, “Agitation universitaire et situation sociale au Maroc”, in Maghreb n. 56, 1973,
pp. 17-20.
33
più fedele al re (il 64% della popolazione del paese era ancora rurale,
estremamente controllabile attraverso i caid locali di nomina reale). Ma il
Palazzo voleva anche consolidare le basi economiche della borghesia
urbana così fra marzo e maggio del 1973 emanò altri due dahir per la
nazionalizzazione dei beni stranieri nel commercio e nell'industria. Non si
trattava di collettivizzare i beni stranieri, ma di far passare sotto capitale
marocchino privato le proprietà economiche controllate per più del 50% da
capitale straniero. L'operazione riguardava il 30% dei beni industriali e il
90% dei beni terziari. Tuttavia questa operazione non escludeva l'intervento
di capitale straniero. I modi con cui queste riforme vennero avviate
incrementano ancora di più il divario sociale, infatti solo i grandi proprietari
poterono permettersi di comprare imprese o terreni così nel 1978 si stima
che 36 famiglie hanno preso il controllo dei 2/3 del capitale marocchino e in
particolare si contarono 300 multimiliardari in Marocco58.
Il re ha condotto la nazionalizzazione dell'economia privilegiando gli
interessi dei grandi caid rurali e della borghesia capitalista delle città, in
questo modo ha consolidato il suo potere e il legame di fedeltà con la parte
della popolazione più ricca rifiutando di concedere un aggiustamento
strutturale nel sistema di redistribuzione della ricchezza fra le fasce più
povere che continueranno a rimanere ai margini della società.
58 P. Vermeren, op. cit. pp. 67.
34
1.3 L'esercito: fedele alleato del regime o pericoloso nemico interno?
Nel 1956, con un protocollo aggiuntivo all'interno degli accordi di Aix
les Bains, venne sancita la nascita delle FAR con a capo l'allora principe
ereditario Moulay Hassan. Inizialmente l'esercito era costituito dalle truppe
marocchine che, sotto il protettorato, prestavano servizio negli eserciti
francesi e spagnolo, ad essi si aggiunsero circa due mila ufficiali francesi
per un totale di circa 15 mila uomini al momento della loro sfilata lungo
Boulevard Mohamed V il 14 maggio 1956.
L'analisi storica della composizione è importante per rilevare come le
Far, attraverso il processo neocoloniale di modernizzazione del Makhzen,
siano divenute la colonna vertebrale del regno di Hassan II e così tracciare
delle linee interpretative per descrivere gli avvenimenti che sono accaduti a
partire dagli inizi degli anni settanta, quando anche all'interno dell'esercito,
emergono forti segnali di opposizione della legittimità del potere alauita.
Con la deposizione di Mohamed V nel 1953 la lotta armata esplose in
tutto il Marocco59. L'ALN fu il soggetto politico e militare attorno cui si
radunarono uomini e donne marocchine disposte a prendere le armi per
59 Secondo le cifre di C. A. Julien riportate da M. Diouri in Le verità del Marocco, (1988) fra il 1
luglio 1954 e il 30 giugno 1955 si registrano 41 uccisioni di europei e 254 di marocchini
collaborazionisti, 787 aggressioni, 477 esplosioni, 1.430 incendi, 331 sabotaggi.
35
scacciare gli occupanti francesi e spagnoli. Inizialmente l'esercito di
liberazione venne arruolato nelle zone a prevalenza berbera del Rif e del
Medio Atlante, mentre la resistenza all'interno delle città, si frazionò in
diversi gruppi clandestini di cui i principali furono l' “organisation
secrète” (diretta da Basri) e il “Croissant noir” (formazione di sinistra che si
contraddistinse per la spiccata tendenza pan-maghrebina). Esse erano
formazioni autonome con obiettivi sostanzialmente diversi dai partiti, che
organizzarono nella clandestinità la resistenza armata con un abile lavoro
che comprende l'istruzione dei partigiani (l'ALN era formato sopratutto da
contadini, operai e minatori provenienti dagli strati più modesti della società
e la maggior parte di loro ignorava l'uso di un arma da fuoco), la
preparazione delle azioni, l'acquisizione di materiali ma anche le
precauzioni necessarie alla vita in clandestinità (nascondigli, pseudonimi,
documenti, ecc...). Nel periodo immediatamente successivo l'indipendenza
la resistenza continuò le proprie azioni non solo per liberare il territorio dai
resti dell'esercito francese e spagnolo ancora presenti in Marocco. Molti
guerriglieri, infatti, si rifiutarono di deporre le armi perché si sentirono
traditi dal modo in cui erano stati condotti i negoziati che, di fatto,
confermavano, lo stesso impianto istituzionale vigente sotto il protettorato.
Molti di essi, inoltre, erano repubblicani e durante gli anni di guerriglia
hanno abbracciato l'idea di un Maghreb unito e della necessaria
interdipendenza delle lotte di liberazione nazionale nel nord Africa finché
tutti gli stati, primo fra tutti l'Algeria, non avessero raggiunto
l'indipendenza. Così mentre fra i palazzi del potere si consumava la lotta
latente fra il partito dell'Istiqlal e la monarchia per la conquista del potere,
Moulay Hassan, che godeva di enorme prestigio sia da parte dei francesi
che fra gli officiali Makhzenizzati (Bekkai, primo ministro del Marocco
indipendente era un ufficiale berbero cresciuto nell'esercito francese) si
lanciò nella eliminazione totale dell'ALN che reclamava il titolo di unico
36
esercito nazionale marocchino.
Sin dal 1956 il re e l'Istiqlal furono concordi nell'applicare una politica
per riassorbire all'interno delle forze regolari i mujahidin che ancora non
avevano deposto le armi. Con il dahir dell'11 marzo 1959 vennero definiti
“ex resistenti” tutti coloro che avevano combattuto nell'esercito di
liberazione fra il 15 agosto 1954 e il 7 aprile 1956, tutte le persone vittime
della repressione mentre partecipavano ad azioni patriottiche nello stesso
periodo, e tutti coloro che si erano impegnati in azioni di resistenza con lo
scopo di ripristinare la sovranità. Un altro dhair (agosto 1961) decise che i
resistenti (così identificati in base al dahir del ‘59) potessero godere di
priorità negli impieghi, del 25% dei posti nell'amministrazione e delle
licenze necessarie per il trasporto e il commercio. Questa sequenza di
decreti reali ebbe lo scopo di riabilitare solo una parte fra chi condusse le
azioni di resistenza, ovvero di dividere il movimento armato (attraverso
l'elargizione di benefici economici) e riconoscere la resistenza “ufficiale”
solo quella parte che partecipò all'insurrezione dopo la rimozione del
sultano e che al suo ritorno depose le armi accettando la sovranità
monarchica e la sua posizione rispetto il trattato di Aix les Bains60.
Nei confronti di chi invece ancora continuava a combattere, sopratutto
nel sud del paese, le Far, senza dichiararlo ufficialmente, si unirono
all'esercito spagnolo e francese nella repressione militare che culminò con
l'operazione Ouragan. Il 10 febbraio 1958 le truppe francesi provenienti da
Tindouf (Algeria) e dal nord della Mauritania attraversarono i confini fino a
raggiungere il Sanguia el-Hamra, contemporaneamente i paracadutisti
spagnoli furono lanciati nella città di Smara61. I risultati ottenuti al termine
di dieci giorni di durissimo combattimento sono molteplici: i francesi
riuscirono ad imporre la sicurezza militare che la Banca Mondiale
60 M. Diouri, op. cit. pp 129-142.
61 T. Hodges, Western Sahara. The Roots of a Desert War, Ed. Lawrence Hill & Company,
Westport, Connecticut, 1983.
37
richiedeva per concedere il finanziamento di 66 milioni di dollari per la
MIFERMA,62 inoltre vennero tagliati i collegamenti fra l'ALN marocchino
e il FLN in Algeria. La Spagna riuscì a ristabilire temporaneamente il
proprio ordine all'interno dei territori coloniali del Sahara Occidentale e del
Sud Marocco ancora in suo possesso. Per l'ALN la sconfitta militare
equivalse al suo scioglimento. All'interno dell'esercito di liberazione ancora
rimasto in piedi emersero i primi contrasti fra i militanti saharawi che si
erano uniti alla guerriglia e il comando militare
saldamente in mano
marocchina (specialmente berbera). Altri militanti riuscirono a salvarsi
rifugiandosi in Algeria (fra di essi Cheikh al-Arab da molti considerato fra i
fondatori della resistenza marocchina), mentre il grosso dell'esercito di
liberazione depose le armi e si arruolò nelle FAR.
Quando Hassan II venne designato re del Marocco nel 2 marzo 1961 le
FAR ebbero ormai raggiunto un numero considerevole di effettivi (circa
40.000 uomini fra i diversi reparti) ed una struttura interna solida ed
organizzata, così i 90.000 uomini dell'esercito francese poterono lasciare il
territorio nel mese di marzo, seguiti nel mese di agosto dai 70.000 spagnoli
che ancora stazionavano nella zona Nord del paese. L'uomo di fiducia di
Hassan II fu Mohammed Oufkir, figlio di un governatore berbero che
cominciò la sua carriera nell'esercito nel 1939 nella scuola militare per
ufficiali di Meknés. Nel corso degli anni '40 e '50 partecipò alle diverse
missioni francesi in Italia e in Indocina e quando tornò in patria fu
promosso capitano a soli 28 anni. Con l'indipendenza egli appare come
l'uomo voluto dalla Francia e accettato da Mohamed V, così riuscì ad
imporsi come uno dei principali ufficiali delle FAR. Il 13 luglio 1960 venne
nominato direttore della sicurezza nazionale diventando l'uomo forte del
62 La Mines de Fer de la Mauritanie è una industria mineraria fondata nel 1952 nei pressi di
Zouerate (Mauritania) da una cordata di paesi europei che comprende la Francia, che con il
Boureau Minier de la France d'Outre-Mer deteneva il 55% della proprietà, Italia, Inghilterra e
Germania Ovest.
38
regime di Hassan II. La carriera di quest'uomo è importante per tracciare
alcune tendenze generali sullo stato dell'esercito sotto Hassan II.
Lo stato maggiore delle FAR è dominato da un gruppo di ufficiali
provenienti principalmente dall'esercito francese e da quello spagnolo, molti
di essi sono infatti rimasti nei ranghi di queste armate fino al 1956. Essi non
hanno seguito il percorso nazionalista, ma anzi, molti di loro hanno spesso
partecipato alla repressione del movimento, questo ha fatto si che si potesse
sviluppare un certo spirito conservatore fra i vecchi ufficiali che così, hanno
sistematicamente eliminato i giovani con tendenze radicali o semplicemente
troppo apertamente nazionalisti. La contropartita della loro avversione alla
politica è la loro fedeltà al trono. Parallelamente al consolidamento di
questo nucleo originario, diviene sempre più massiccio l'arruolamento di
ex-combattenti dell'ALN, ed emergono i primi segnali di divergenza fra i
giovani e i vecchi ufficiali. Inoltre, fra il '56 e il '58 Moullay Hassan decise
di frenare l'accesso di massa alla scuola per ufficiali di Meknes
introducendo il criterio di selezione in base al possesso del diploma. I figli
dei notabili rurali risultarono svantaggiati rispetto ai loro rivali di
provenienza urbana che potevano permettersi di seguire gli studi richiesti
perciò questa decisione andò sopratutto a discapito della componente
berbera, che fino a quel momento era prevalente fra gli ufficiali ed
introduce un ulteriore livello di analisi che riguarda l'aspetto etnico
all'interno delle FAR63.
Hassan II appena nominato re nel 1962, delegò la direzione delle FAR e
della sicurezza nazionale ad Oufkir, mantenendo come prerogativa reale la
nomina degli ufficiali. Ma il corpo degli ufficiali è destinato a cambiare e la
sua fedeltà al trono rischia di capovolgersi quando i giovani ufficiali di
origine cittadina e formazione moderna con una maggiore sensibilità
politica accederanno ai gradini superiori della gerarchia.
63 J. Waterbury, op. cit. pp 326-330.
39
Il 10 luglio 1971 alcuni cadetti (circa 1.400) della scuola militare di
Ahermoumou marciarono verso il palazzo reale di Skhirat a circa 30
chilometri da Rabat dove Hassan II teneva un grande ricevimento per
l'anniversario della festa dell'indipendenza. I militari, guidati dal
luogotenente-colonnello M'Hammed Ababou e dal generale Mohammed
Medbouh, capo della Maison Royale, fecero irruzione nel palazzo causando
la morte di una sessantina di invitati, ma non riuscirono a raggiungere il re
che, miracolosamente, si salvò prima che Oufkir, investito dei pieni poteri,
si attivò per ripristinare in poche ore l'ordine e riprendere il controllo della
capitale. Il 13 dello stesso mese 10 ufficiali superiori (di cui quattro berberi)
riconosciuti colpevoli della preparazione dell'assalto furono giustiziati a
morte sotto gli occhi di Oufkir, mentre M. Medbouh fu fucilato il
pomeriggio stesso dell'assalto64. L'attentato del 10 luglio da molti venne
interpretato come un tentativo di rivoluzione radicale di stampo
“nasseriano” con tendenze nazionaliste e socialisteggianti, salutato con
grande interesse dalla giunta militare che pochi anni prima (1969) era
riuscita a scacciare la monarchia e prendere il potere in Libia sotto il
comando di Muammar Gheddafi. Fra la popolazione e gli apparati del
potere gli umori sono diversi. Appena venne lanciato l'appello per la
Repubblica dalla radio occupata dai militari, molti giovani marocchini delle
città uscirono per strada a festeggiare così come, dopo la condanna degli
ufficiali coinvolti, fra i villaggi berberi del Rif si potevano incontrare spesso
scritte sui muri inneggianti alla vendetta. I partiti d'opposizione, invece,
rimasero inizialmente in silenzio con una posizione prudente che
alimentava i dubbi su un loro eventuale coinvolgimento nella preparazione
dell'assalto e sul ruolo che essi avrebbero potuto avere nel nuovo panorama
politico post-golpe. Bisogna comunque considerare le riserve che essi
espressero nei confronti di un rovesciamento condotto da forze più
64 “Biographie des géneraux rebelles”, in Maghreb, 1971, pp 11-18.
40
autoritarie della stessa monarchia che avrebbero impostato senza dubbio un
regime dove la sorte dei partiti di sinistra e dei sindacati sarebbe stata
ancora meno felice di quella attuale65. I discorsi ufficiali lanciati dal re
l'indomani dell'attacco miravano a minimizzare l'accaduto e a screditare gli
artefici “... l'operazione condotta il 10 luglio è stata organizzata nel modo di
un furto. I suoi autori non avevano né un programma, né alcuna dottrina
precisa. In virtù delle divergenze d'opinione e delle differenti opzioni e
programmi esistenti nel paese, gli avventurieri non hanno potuto trovare né
dei complici, né dei programmi”.66La stabilità del regno già vacillava sotto i
colpi dei movimenti studenteschi, di ampi strati della società e dei partiti
d'opposizione, ma niente lasciava supporre che la minaccia più forte potesse
venire proprio dal settore che si era sempre contraddistinto per la sua
fedeltà. Hassan II fu quindi costretto a fare autocritica limitatamente ad
alcuni aspetti marginali della sua gestione ed intervenne nominando Oufkir
ministro della difesa e capo di stato maggiore delle FAR, ma rimase
inamovibile nel non cambiare politica e mettere in discussione i suoi poteri
e la centralità del Makhzen nell'assetto istituzionale. La sua opinione
rispetto i disordini all'interno dell'esercito rimase sempre la stessa
“...l'episodio è circoscritto a due promozioni della scuola di sotto-ufficiali di
Ahermoumou, che i loro effettivi non superavano i 1.400 uomini, che
l'esercito rimane fedele e leale e che non c'è niente che lasci pensare che noi
potremmo essere pessimisti nelle ore seguenti”67 ma saranno proprio i fatti
dell'anno successivo a smentire questa interpretazione.
Il 16 agosto 1972 il re Hassan II e il suo seguito (fra cui il generale
Dlimi) rientrando da Parigi a bordo di un Boing 747, vennero attaccati da
dei caccia F-5 dell'aviazione marocchina nei pressi di Tétuan, nel nord del
65 “Le Maroc quatre mois aprés le putsch” , in Maghreb, 1971, pp. 18-20.
66 Estratto dall'intervista rilasciata all'A.F.P. dal re Hassan II il 13 luglio 1971. op cit in “Le
putsch du 10 juillet 1971 au Maroc”, Maghreb, 1971, pp 11-18.
67 Estratto dell'intervista telefonica rilasciata a Europe 1 del 10 luglio 1971,cit. in, “Le putsch du
10 juillet 1971 au Maroc”, Maghreb, 1971, pp 11-18.
41
Marocco. Per ragioni ancora non del tutto chiare, i caccia partiti dalla base
di Kenitra non riuscirono a colpire il loro bersaglio e il Boing poté atterrare
d'emergenza all'aeroporto di Rabat-Salé. Al suo arrivo nuove scariche di
mitra si abbatterono sulla pista d'atterraggio e sul palazzo reale di Rabat
causando 10 morti e 45 feriti ma il re riuscì ancora una volta a mettersi al
riparo sano e salvo68.
L'indomani dell'attentato spettò al ministro dell'interno Benhima
informare il parlamento e la nazione dei fatti successi. Egli annunciò che
l'attentato fu fomentato ed organizzato sotto ordini precisi del generale e
ministro della difesa Oufkir e del colonnello Amokrane, lasciando intendere
che il primo era responsabile anche del tentativo di golpe di Skihrat del
1971. Il ministro espose con estrema precisione la sequenza dei fatti ed
infine dichiarò che il generale, dopo aver condotto il fallito attentato, si recò
al palazzo reale di Skihart convocato dal re e che prima di incontrarlo,
resosi conto che il suo tradimento era stato scoperto, si suicidò sparandosi
tre colpi di pistola. L'ultima parte della conferenza stampa del ministro è
dedicata alla situazione dell'esercito e dell'avvenire del governo e del
regime marocchino. Ufficialmente la posizione è sempre la stessa,
qualificando l'attentato come un “incidente di percorso”: “non si tratta che
di una dozzina di uomini che non avrebbero mai fatto quello che hanno
fatto se i loro ordini non fossero venuti dall'alto. Tutte le altre basi sono
rimaste tranquille. L'esercito continua la sua missione sotto l'autorità del
suo capo supremo, il re: difesa del territorio, partecipazione allo sviluppo
del paese”69.
Il 7 novembre 1972 si conclude il processo ai responsabili dell'attacco:
11 ufficiali sono condannati a morte, fra di essi Amokrane (comandante
aggiunto delle forze aeree) e Kouera (comandante della base di Kenitra),
68 P. Vermeren, op. cit. pp. 39-42.
69 A. Gaudio, La Baraka du Boing royal, in Guerres et paix au Maroc, reportages 1950-1990,
Ed. Karthala, Paris, 1991.
42
altri 32 sono condannati a pene detentive che vanno da tre a venti anni. Un
anno dopo i condannati a più di tre anni furono condotti nella prigione
segreta di Tazmamart raggiungendo gli ammutinati di Skihart. Essi
rimasero per più di 18 anni nella prigione marocchina tristemente famosa
per le atroci torture e condizioni a cui i detenuti furono sottoposti. Dopo il
suicidio/omicidio di Oufkir l'intera famiglia del generale (la moglie e i suoi
sei figli) fu sequestrata il 23 dicembre 1972 su preciso ordine del re e
rinchiusa per diciotto anni in un'altra prigione segreta.
Ancora oggi rimane difficile fornire spiegazioni più approfondite sulle
reali motivazioni che si celano dietro i due falliti colpi di stato che non
possono essere circoscritte, come vorrebbe Hassan II, alla semplice sete di
potere da parte degli ufficiali coinvolti. I complotti si inscrivono all'interno
di un disegno politico più largo, che riguarda tutta la società marocchina
perché nei dieci anni di regno di Hassan II rimangono ancora irrisolti i
grandi problemi legati all'insegnamento, alla corruzione, al clientelismo e al
recupero inattuato delle proprietà ancora in mano agli europei.
Un'ipotesi è che lo stesso stato maggiore dell'esercito aveva l'impressione
di essere seduto su una polveriera e che niente andava nella direzione del
cambiamento. Oufkir durante un consiglio dei ministri descrive un esercito
profondamente demoralizzato, al limite della rivolta, e dichiarò che se
“niente deve cambiare, se ognuno di noi non vuole tirare le conclusioni che
si impongono, preferisco terminare subito piuttosto che rivedere una
seconda Skhirat ed essere abbattuto in costume da bagno”. Egli quindi
decise di agire, prima che gli avvenimenti potessero travolgerlo70.
Un'altra interpretazione è che con i due colpi di stato Hassan II sia
riuscito a dare il colpo di grazia all'elemento berbero all'interno delle FAR,
privandole non solo della stabilità del comando, visto che lo stato maggiore
dell'esercito è stato ridotto al solo grado di colonnello, ma sopratutto della
70 J. Waterbury, op. cit. pp 329-330.
43
capacità operativa. Il re decide di prendere la testa del ministero della
difesa, allontanando qualsiasi pretesa degli ufficiali ancora rimasti in piedi e
riorganizza l'esercito che ha ritrovato profondamente dilaniato dalle
divisioni interne fra clan e fazioni. Con questa premessa la riorganizzazione
delle FAR sarà condotta nella maniera di una rivincita del nazionalismo
arabo contro la cultura berbera.71
Rimane da sottolineare il ruolo chiave che hanno giocato le nuove
generazioni nella preparazione dei due attentati. Il luogotenente-colonnello
Ababou aveva trentadue anni quando guidò i giovani cadetti all'assalto del
palazzo di Skhirat, mentre l'attacco al Boing fu organizzato ed eseguito dal
luogotenente-colonnello Amokrane di trentaquattro anni e dal comandante
Kouera di trentotto, questi uomini erano appena adolescenti quando il
Marocco ha conquistato l'indipendenza, e forse vedevano nei due colpi di
stato l'occasione per riscattare le aspirazioni tradite dalla monarchia e dal
vecchio movimento nazionale.
71 A.O. Yara, L'insurrection Sahraouie. De la guerre à l'Etat 1973-2003, Ed. L'Harmattan, Paris,
2003, pp 84-88.
44
SECONDO CAPITLO
La svolta di Hassan II nella conquista del Sahara Occidentale
Dopo i concitati momenti all'inizio degli anni 70, per la monarchia fu
necessario ritrovare il consenso fra la popolazione per proporsi come un
soggetto politico capace ancora di dialogare con le forze di opposizione.
Piuttosto che arrivare a nuove aperture democratiche, si affidò alla causa
nazionalista di recupero dei territori del Sahara Occidentale ancora in
possesso della Spagna.
Lo spirito con cui il makhzen di Hassan II fece propria l'ipotesi di un
“Grande Marocco” fu caratterizzato sin dall'inizio da presupposti
espansionistici sostanzialmente concilianti con le politiche neocoloniali
europee e il re seppe far convergere abilmente su questa rivendicazione tutti
i partiti d'opposizione che, sotto i colpi della repressione, si strinsero attorno
la monarchia.
Il mese di ottobre del 1975 fu cruciale per gli sviluppi della questione e
al tempo stesso, per la tenuta del regno perché in questo mese vennero
pubblicati il rapporto della missione ONU e il verdetto della Corte
Internazionale di Giustizia, interpellati ad esprimere il loro parere sullo
status futuro del territorio da decolonizzare. Nonostante i pareri
confermassero la prevalenza del diritto d'autodeterminazione sulla
possibilità di incorporazione con il regno alauita, il 16 ottobre 1975 il re
pronunciò in un discorso a Marrakech la volontà di effettuare una “Marcia
Verde” con cui 350.000 marocchini, armati solo del corano e di un
45
ramoscello d'ulivo, erano pronti a ricongiungere il Marocco mediterraneo
con quello sahariano. Il ritiro dei volontari avvenne solo alla conclusione di
una serratissima serie di incontri fra Marocco, Mauritania e Spagna che
portò alla conclusione, il 14 novembre 1975, degli accordi di Madrid.
Hassan II potè così dichiarare che il dossier del Sahara Occidentale era
ufficialmente chiuso.
Ma la questione fu tutt'altro che risolta e con l'invasione del territorio da
parte delle truppe marocchine e mauritane, esplose la resistenza nazionalista
della popolazione Saharawi di cui il Fronte Polisario di El-Ouali Mustapha
Sayed ne era la massima espressione. A partire dal 1976, mentre le FAR
prendevano progressivamente il controllo delle principali città, il Marocco
cercò di offrire un'impressione di normalità nella gestione dell'assimilazione
delle nuove province ma il territorio era in guerra e le città erano
praticamente in stato d'assedio. Per pacificare la situazione le autorità
marocchine impiegarono il duplice registro dell'integrazione forzata e della
repressione perché solo attraverso una prassi politica di paura e terrore si
credeva possibile rompere i legami di solidarietà e sostegno che
collegavano le città alle azioni di guerriglia condotte dall'ALPS (Armée de
Libération Populaire Saharawi). Nonostante ciò, la situazione militare
volgeva completamente in favore della guerriglia saharawi e solo dopo
l'intervento indiretto degli USA, il Marocco riuscì ad emergere da questa
difficile situazione, sopratutto grazie alla costruzione di un muro di difesa
che divideva il paese secondo un asse nord-sud per un totale di 2700 km,
questo permise alle FAR di controllare il 65% del territorio.
La guerra costò al Marocco circa un milione di dollari al giorno e le
conseguenze sociali di un'economia di guerra furono catastrofiche
sopratutto per la popolazione più povera. Le tensioni sociali, economiche e
politiche emersero in un momento assai delicato per Hassan II, impegnato a
trovare una via di uscita onorevole dalla difficile guerra nel deserto. Il re era
46
ben consapevole che dall'esito del conflitto dipendeva l'intera credibilità del
suo regno e pensò quindi che l'unica soluzione possibile fosse quella di
continuare a combattere nonostante i costi sempre più alti che una lunga
guerra di logoramento comportava. Il paese si ritrovò ai limiti della
bancarotta, e il re decise di perseverare sulla strada del liberalismo
economico, abbandonandosi completamente nelle mani del Fondo
Monetario Internazionale che nel settembre 1983 indicò le linee guida di un
rigido programma d'austerità economica. Nel corso di tutto il decennio,
l'agibilità dei partiti politici risentì molto delle scelte adottate dal sovrano,
esistevano infatti argomenti che non potevano essere oggetto di alcun
dibattito, e fra questi vi era sicuramente l'incontestabile marocchinità del
Sahara Occidentale.
Solo nel 1988 il conflitto entrò in una nuova fase caratterizzata dalla
sospensione delle azioni militari e dalla ricerca di una soluzione
diplomatica e internazionalmente riconosciuta che permettesse a Rabat di
cristallizzare lo status di occupazione. Le parti firmarono il 30 agosto una
proposta di regolamento e il cessate il fuoco, ma i negoziati rimasero sin da
subito paralizzati perché, nonostante gli sforzi propagandistici, il re era
consapevole che difficilmente avrebbe potuto ottenere un risultato positivo
da una consultazione elettorale che contemplasse l'autodeterminazione.
Così la politica che ne seguì fu quella di insistere sul possesso de facto del
territorio attraverso l'adozione di misure economiche, politiche oltre che
poliziesche. Fra il 1978 e il 1992 il governo marocchino ha investito nel
territorio del Sahara Occidentale più di un miliardo e mezzo di dollari in
infrastrutture civili e dal punto di vista dell'integrazione politica, nel 1997
venne approvata la nuova legge per l'organizzazione regionale con il
preciso scopo di far rientrare a tutti gli effetti le nuove province sahariane
all'interno del sistema amministrativo centrale. La nuova architettura
amministrativa fu fondamentale per comprendere l'accordo quadro proposto
47
dall'ex segretario di Stato americano Baker nel 2001.
2.1 La conquista del Sahara Occidentale diventa causa nazionale
Agli inizi degli anni '70 l'imperativo, che si pose alla monarchia per
uscire da una posizione estremamente instabile, fu quello di ritrovare il
consenso fra la popolazione proponendosi come un soggetto politico capace
di dialogare con le forze di opposizione e allo stesso tempo riabilitare il
makhzen come strumento di nuove istanze e i bisogni sociali. Cominciò un
lento percorso di integrazione delle forze politiche decimate da anni di
durissima repressione; esse capirono la loro debolezza nei confronti del
palazzo ma anche i possibili vantaggi derivanti da una collaborazione per la
strutturazione delle istituzioni costituzionali sancite nel testo del 1972. Lo
scontro di vedute che si era prodotto nel decennio precedente aveva portato
alla paralisi il paese, i partiti pensavano che il clima di fervore nazionale
emerso nei primissimi anni di indipendenza potesse loro servire per arrivare
all'elezione di un'assemblea costituente e quindi prevalere sulle prospettive
del palazzo. Ma dopo anni di lotta intestina questo comportamento di
“secessione istituzionale” aveva evidenziato tutti i suoi limiti. Così la
posizione di aperto boicottaggio tenuta in occasione dell'approvazione del
testo del 1962, fu abbandonata per il referendum costituzionale del 1972.
Il Marocco cominciò così a muovere i primi timidi passi verso una nuova
fase costituzionale in cui la vita politica, che confermava la monarchia e il
makhzen al vertice decisionale, era inquadrata all'interno di principi e
regole prestabiliti che si imponevano al rispetto di tutti. Questo percorso di
riavvicinamento rischiò di rimanere sulla carta perché senza concedere
nuove aperture democratiche, lasciava irrisolte diverse questioni sollevate
nei decenni precedenti. La vera svolta che concretamente ha permesso
48
questo passaggio è stata la questione dell'integrità nazionale e di una nuova
politica espansionista della monarchia verso i territori sahariani del sud
ancora sotto protettorato europeo, in particolare spagnolo72. Questa opzione
è servita come leva per instaurare una cultura e una prassi politica
dell'unanimismo73 attorno alla monarchia e contemporaneamente accelerare
il processo di nazionalizzazione della società.
I frutti di questa nuova fase politica di coesione e consenso sull'integrità
nazionale furono colti all'indomani dell'annuncio da parte della Spagna alle
Nazioni Unite del 21 agosto 1974 quando dichiarò la sua intenzione di
concedere al Sahara Occidentale (colonia ancora in suo possesso), un
referendum entro il primo semestre del 1975 che contemplasse la scelta fra
l'autodeterminazione del popolo saharawi e quella di uno statuto di
autonomia all'interno dell'amministrazione centrale spagnola. Indirizzandosi
direttamente alla nazione Hassan II proclamò la volontà della monarchia di
“riprendersi” i territori del sud ancora in mano al colonialismo europeo e di
rifiutare qualsiasi ipotesi spagnola che non prendesse in considerazione la
posizione marocchina di reintegro dei territori. Con questo intervento si
registra l'inizio di un nuovo risveglio dell'ardore nazionale cresciuto in
maniera più o meno latente negli anni precedenti quando il Makhzen seppe
mettere in campo tutte le sue forze che compresero sia l'aspetto politico e
massmediatico, ma anche quello religioso e tradizionale74.
Le rivendicazioni marocchine sul Sahara Occidentale emersero
l'indomani stesso dell'indipendenza. Fu il leader dell'Istiqlal, Allal el-Fassi,
appena tornato dal suo esilio egiziano a esporre per primo la tesi del
“Grande Marocco”75 un progetto ampio che comprendeva, oltre il Sahara
72 M. Rousset, “Maroc 1972-1992: une costitution immuable ou changeante?” , in MaghrebMachrek, n. 137, 1992.
73 A. ben Mlih, “Le champ politique marocain entre tentatives de réformes et conservatorisme”,
in Maghreb-Machrek, n. 173, 2001.
74 Per un'analisi della legittimità storico-tradizionale si consiglia B. Cubertafond, op. cit. pp 74-81
75 T. Hodges, op. cit. pp. 85-99.
49
Spagnolo, anche parte del deserto algerino (le oasi di Saoura, Touat e
Gourara), tutta la Mauritania e il nord del Mali fino al confine meridionale
segnato dal corso del fiume Senegal. Dalle colonne del giornale Al-Alam il
27 marzo 1956 egli scrisse “finchè Tangeri non sarà liberata dal suo statuto
internazionale76, così come il deserto spagnolo nel sud e la parte di Sahara
fra da Tindouf a Atar e le frontiere algero-marocchine non saranno liberate
dalla loro amministrazione fiduciaria, la nostra indipendenza resterà
incompleta e il nostro primo dovere sarà quello di assumere un'azione per
Fig.1.
L'originale disegno del
grande Marocco apparso
sulle colonne di Al-Alam
del 27/3/1956.
Barbier, op cit, p 77.
liberare il paese ed unificarlo”.
All'inizio la sua posizione era isolata, ma con l'indipendenza e il clima di
entusiasmo diffuso che essa portò, la causa assunse un valore maggiore
perché idealizzando la gloria e le conquiste del Marocco di un tempo riuscì
a radunare diversi consensi nelle rivendicazioni anticoloniali. Così
76 Nel 1923 con lo “statuto di Tangeri” all'interno del “trattato di Fes” Tangeri fu messa sotto
amministrazione congiunta delle maggiori potenze europee. Solo nell'ottobre del 1957 fu
trasferita all'amministrazione marocchina.
50
nell'agosto del 1956 anche il PDI (Parti Démocratique pour l'Independence)
nel suo congresso adottò una risoluzione che chiedeva la restituzione al
Marocco delle sue frontiere “storiche e naturali”. All'epoca Mohamed V
non era nella condizione adatta per forzare la mano con le potenze europee
che ancora possedevano quei territori, ma al tempo stesso non poteva
permettere al principale partito d’opposizione di superare la monarchia nel
fervore nazionalista durante il delicato periodo post-indipendenza, per cui
calcolò opportunamente come la dottrina del “grande Marocco” potesse
offrirgli dei vantaggi per rilanciare il suo prestigio. I calcoli monarchici si
rilevarono ben fondati perché in occasione dell'operazione Ouragan mentre
le potenze europee con il tacito consenso della monarchia poterono
permettersi di smantellare l'ALM che combatteva proprio per la liberazione
delle province del sud, Mohamed V si rivolse direttamente alla popolazione
il 25 febbraio 1958 promettendo “qualunque sforzo per recuperare il nostro
Sahara e qualunque altra cosa che, con l'evidenza della storia e la volontà
degli abitanti, appartiene di diritto al nostro regno”77. Con questa manovra
la monarchia riuscì a guadagnare terreno nei confronti del vecchio
movimento nazionale perché eliminando l'opposizione armata, riuscì ad
elevare la monarchia come l'unica forza politica legittimata ad assicurare
l'integrità del regno.
La tesi sostenuta dal re si fondava su diversi argomenti, sia di natura
geografica ed etnica, che di carattere storico e giuridico. I primi insistevano
sulla continuità geografica fra il Marocco e il Sahara che dal punto di vista
fisico era considerato un prolungamento naturale del sud marocchino.
All'interno di questa vasta porzione di deserto vivevano popolazioni con
un'organizzazione sociale ed uno stile di vita sostanzialmente uguale dettato
dalla loro condizione di nomadi che ignoravano le frontiere artificiali
tracciate dal colonialismo. Dal punto di vista storico e giuridico i
77 T. Hodges, op. cit., pp. 80.
51
fondamenti di una continuità con il regno alauita si riscontrarono a partire
dal XII secolo quando il sultano inviò diverse spedizioni nella regione
esercitando una certa influenza politica nominando i propri caid che
riconoscevano a lui la loro fedeltà. Con la penetrazione degli eserciti
europei, questi legami furono rafforzati da diversi trattati internazionali e
documenti diplomatici, molti dei quali segreti (come l'accordo francospagnolo del 27-11-1912 per la delimitazione dei possedimenti sahariani fra
i due paesi europei fissata al 27° parallelo che fa seguito all'accordo del
1908 fra la Spagna e il sultano per la definizione dei limiti della sovranità
marocchina sul Rio de Oro78).
Con la salita al trono di Hassan II la monarchia cominciò ad insistere sul
recupero dei territori in maniera più pragmatica, sopratutto il progressivo
delinearsi dell'assolutismo del giovane re ha permesso che, inizialmente, la
questione del “Grande Marocco” diventasse di competenza esclusiva della
monarchia. Fra i partiti politici l'entusiasmo maggiore per la rivendicazione
sulla Mauritania e sul deserto algerino venne dall'Istiqlal, il PCM, messo
fuori legge nel 1960 ma ancora in attività semi-clendestina, abbracciò l'idea
solo nella speranza di dimostrare le sue credenziali patriottiche, l'unica voce
discordante fu inizialmente quella del leader dell'UNFP, Ben Barka. Sin
dall'anno della sua fondazione il partito prese le distanze da questo progetto
perché lo considerava come un' “operazione di diversificazione e
camuffamento” rispetto i reali problemi del paese. Questa posizione si
radicalizzò durante la guerra di confine contro l'Algeria quando il leader il
16 ottobre 1963 dichiarò duramente che il conflitto rappresentava “un vero
tradimento non solo della rivoluzione algerina ancora in corso, ma più in
78 Queste motivazioni sono alla base del ricorso marocchino alla Corte di Giustizia Internazionale
(ICJ) del 1975. cfr. P. Dessens, Le litige du Sahara Occidentale: de l'autodetermination à la
solution negociée 1974-1976, in Maghreb-Machrek n. 76, pp. 29-55. L'analisi storica diffusa
dagli
organi
ufficiali
di
stampa
marocchini
è
reperibile
sul
sito:
http://autonomyplan.org/index.php?option=com_content&task=view&id=10&Itemid=25
52
generale per l'intera rivoluzione araba per la libertà il socialismo e l'unione
per l'intero mondo dei movimenti di liberazione nazionali”. 79 Inoltre, in
riguardo agli interessi sulla Mauritania, ufficialmente indipendente nel 1960
ma non ancora riconosciuta dal Marocco, la posizione più volte ribadita dal
partito fu quella di un appoggio incondizionato al principio di indipendenza
e autodeterminazione del popolo mauritano. Tali posizioni non ebbero
molto spazio e dovettero scontrarsi con la repressione del 16 giugno 1963
che la monarchia scatenò nei confronti dell'UNFP paralizzando l'agibilità
politica del partito.
Con l'evolversi di una difficile situazione interna, la monarchia fu spinta
a ricercare consenso e legittimazione a livello internazionale. Il re
programmò un incontro con il dittatore spagnolo Franco che si tenne il 6
luglio 1964 all'aeroporto Barajas di Madrid. Non emerse nessun dettaglio su
questo primo incontro ufficiale fra i due capi di stato, ma solo un
comunicato congiunto in cui entrambe le parti si sarebbero impegnate per
“studiare tutti i problemi di mutuo interesse per trovare delle soluzioni che
possano servire come base per futuri accordi”. Questo incontro ebbe
importanti risvolti nelle relazioni fra i due paesi tanto che si può parlare di
“spirito di Barajas” per indicare un clima di sostanziale collaborazione
ideologica che va ben al di la della questione del Sahara Occidentale80.
Infatti, sul finire degli anni '60, Hassan II capì che le rivendicazioni
sull'Algeria e la Mauritania contenute nell'iniziale progetto del Grande
Marocco erano utopiche e costituivano un ostacolo per i potenziali benefici
che una cooperazione regionale poteva offrire sull'unica rivendicazione che
79 M. Ben Barka, op. cit.
80 “Noi spagnoli non dimenticheremo mai l'aiuto che numerosi amici marocchini hanno dato nella
lotta contro il comunismo e sono sicuro che dall'altra parte, numerosi marocchini ricorderanno
il comportamento dei caudillo spagnoli in certi momenti difficili della storia recente
marocchina” sono queste le parole con cui Manuel Fraga Iribarne, ministro dell'informazione
spagnola, pronunciò a Rabat l'11 luglio 1964 per confermare l'aiuto spagnolo nella durissima
repressione di Hassan II verso le forze d'opposizione che porterà all'estradizione spagnola di
due militanti dell'UNFP.
53
ancora era possibile raggiungere: il Sahara Occidentale.
Con il ridimensionamento dell'iniziale progetto del grande Marocco, la
Francia aumentò il sostegno al re, riconoscendo in lui un utile alleato in
grado di garantire la stabilità dei suoi interessi nel nord Africa ed evitare
così che nel processo di decolonizzazione del Sahara Occidentale potesse
prendere il sopravvento l'idea di un grande Maghreb “democratico e
progressista, prima di tutto integrato economicamente e poi politicamente”
supportato da diverse forze. Ma il fronte dell'opposizione su questo
argomento sembrò essere ambiguo e disgregato e questa debolezza giocò a
favore di Hassan II che in questo modo riuscì a prendere la testa delle
rivendicazioni nazionaliste e presentarsi come simbolo dell'unità nazionale
in grado di radunare il consenso delle masse81. Le forze d'opposizione si
trovarono così imbrigliate di fronte l'aut-aut imposto dalla monarchia che
sotto i colpi di una dura repressione “accompagnava” la scelta dei partiti ad
accettare l'annessione del Sahara Occidentale nei modi e tempi stabiliti
dalla monarchia. Opporsi o semplicemente criticare l'impostazione decisa
dal Makhzen avrebbe significato implicitamente andare contro l'unità
nazionale e gli interessi del paese.
La questione del Sahara diventa progressivamente causa nazionale e i
partiti capirono l'importanza di stringersi attorno la monarchia. Ma questo
passaggio non fu vissuto da tutti in maniera uguale. A farne le spese
maggiori fu proprio il principale partito dell'opposizione, l'UNFP che già
nel 1972 vide emergere le evidenti contrapposizioni interne fra la fazione di
Casablanca, dominata dall'area sindacale legata all'UMT e quella di Rabat
che raccoglieva attorno a sé l'adesione dei giovani intellettuali di stampo più
partitico. Il 30 luglio 1972, la Commissione Amministrativa dell'UNFP
rompe con la direzione burocratica dell'Unione Marocaine du Travail, che
secondo il leader Abderrahim Bouabid, voleva imporre l'inerzia al partito:
81 C. Vallée, “Le litige du Sahara Occidental”, in Maghreb Machrek, n. 76.
54
“alla fine è ormai evidente che la nostra concezione di partito e della lotta
non può più convergere con loro. Essi si rifiutano che nuovi militanti della
base del partito accedano a posti di responsabilità. Si rifiutano di accogliere
le critiche. I militanti del nostro partito [...] vogliono che esso sia un partito
che continui la lotta per la liberazione, la democrazia e il socialismo” 82. Il
Comitato Centrale del partito, ormai avviato a cambiare politica, l'8 ottobre
a Casablanca reclama “la messa in opera di un piano nazionale per la
liberazione del Sahara marocchino e di Ceuta e Melilla”. È il punto di
svolta che il re si aspettava, infatti dopo questo intervento Hassan II
convoca Bouabid per un faccia a faccia il 4 gennaio 1974. Al termine di
questo incontro diversi militanti dell'UNFP che erano stati arrestati senza
prove certe l'anno precedente83 furono liberati, parallelamente il partito si
impegnò a sostenere la causa di reintegro dei territori a livello
internazionale presso le segreterie dei partiti socialisti esteri. Questa svolta
che in definitiva sanciva la collaborazione fra il partito e Palazzo fu
duramente criticata da una fazione minoritaria, così fra il 30 novembre e il 1
dicembre 1974 il terzo congresso generale dell'UNFP consacrò la scissione
del 1972 che portò alla formazione il 12 gennaio 1975 dell'USFP (Union
Socialiste Forces Populaire) con Bouabid primo segretario. Sempre
all'interno di questo clima di riconciliazione nazionale si inserisce
l'autorizzazione del 27 agosto 1974 per la ricomposizione del disciolto
partito comunista sotto il nome di PPS (Parti du Progrées e du Socialisme).
Solo il movimento marxista-leninista, rimasto fedele ai principi
dell'internazionalismo, si schierò per l'autodeterminazione del popolo
Saharawi infrangendo la linea di demarcazione che il Palazzo aveva
tracciato ma pagando un prezzo molto alto, infatti il leader Abrham Serfaty
82 Discorsi ufficiali e biografia di A. Bouabid reperibili sul sito internet http://www.usfp.ma
83 Il 2 aprile 1973 la sezione del partito di Rabat fu ufficialmente messa al bando e diverse
centinaia di militanti furono arrestati in maniera sommaria a seguito di un attacco armato
durante la festa del trono condotto da forze rivoluzionarie riconducibili a Mohammed Basri,
provenienti dal medio e alto Atlante.
55
fu catturato dopo due anni di clandestinità insieme a numerosi studenti
appartenenti al movimento. In un clima di rinnovata unitarietà, il re
convocò il 16 luglio 1974 una conferenza per programmare un calendario di
incontri diplomatici presso le maggiori capitali del mondo. Il re richiese ai
leader intervenuti di intraprendere delle missioni diplomatiche per
affermare il punto di vista marocchino sul problema del Sahara Occidentale
presso i governi e i partiti esteri84. Con il consenso delle principali
formazioni dell'opposizione, si aprì una nuova fase politica nel Marocco che
poteva contare in un nuovo rapporto fra monarchia e partiti per dare vita
alle istituzioni contenute nella costituzione del 1972 e così nel suo discorso
ufficiale durante la festa del trono del 3 marzo 1975, il re annuncia
l'intenzione di nuove elezioni legislative per l'ottobre dello stesso anno85,
passaggio fondamentale che lasciò presagire le future intenzioni di
conquista del Makhzen sul Sahara Occidentale.
Il Marocco non era il solo paese a rivendicare quel territorio, anche la
Mauritania manifestò i suoi interessi anche se in maniera più moderata e
con motivazioni meno convincenti rispetto a Rabat. Fra tutti i paesi
confinanti, solo l'Algeria non dimostrò mai un particolare interesse verso
nuove acquisizioni territoriali, ma fu ugualmente interessata alla
decolonizzazione soprattutto per limitare l'egemonia del Marocco nella
regione, non solo territoriale ma anche ideologica infatti la lunga rivalità fra
i due paesi è sopratutto ascrivibile allo scontro fra il regime marocchino
fondato sulla monarchia e il liberalismo economico e quello algerino,
repubblicano e socialista. Questi conflitti fra i tre paesi direttamente
interessati alla decolonizzazione del Sahara Occidentale hanno permesso
84 Alla conferenza parteciparono oltre al premier Ahmed Osman e diversi ministri, anche sei
leader dei partiti politici: A.Bouabid (USFP), Ali Yata (PPS) M'hammed Boucetta (Istiqlal)
Mahjoubi Aherdan (MP) e Abdelkrim Khatib (Mouvement Populaire Démocratique et
Costitutionel).
85 P. Vermeren, Histoire du Maroc depuis l'indépendence, Ed. La Décuverte, Paris, 2002 pp.
68-72.
56
che il problema della decolonizzazione passasse in secondo piano lasciando
che la Spagna, potenza amministratrice, rimanesse nel territorio senza
incontrare serie difficoltà. Infatti Madrid fino al 1970 ha giocato abilmente
fra le contraddizioni di Marocco e Mauritania attraverso una politica
bilaterale con ognuno dei due paesi, senza concedere niente alle loro
rivendicazioni. Allo stesso tempo ha resistito alle pressioni internazionali
dell'ONU perché accettando il principio di autodeterminazione, poneva il
problema della decolonizzazione di fronte ad una duplice alternativa dallo
stesso risultato: creare un piccolo stato autonomo o indipendente sotto
l'influenza dell'ex potenza amministratrice che potrà continuare a
controllare per sfruttare le sue risorse economiche, in linea con le politiche
neocoloniali europee86.
Quando Hassan II annunciò il 20 agosto 1974 alla televisione
marocchina la decisione formale della Spagna di concedere il referendum
d'autodeterminazione al Sahara Occidentale (come auspicato sin dal 1964
dal Comitato per la decolonizzazione dell'ONU in conformità con la
risoluzione dell'Assemblea 1514-XV), fu audace nel condannarlo,
affermando che il Marocco non avrebbe esitato a ricorre alla forza se
Madrid avesse provato a costituire uno stato “fantoccio” nel Sahara.
Sostenuto da un forte patriottismo all'interno, fu il re a dettare i tempi della
politica e insisteva coinvolgendo tutti gli strumenti di cui disponeva. Fu
rinnovata la be٬ya87, il tradizionale atto di fedeltà al trono, con cui alcuni
capi tribù delle province del Sud si sottoponevano all'autorità del regno,
contemporaneamente la televisione, la radio e i giornali filogovernativi
continuavano ad inondare il paese con un mare di propaganda che
descriveva il re come l'artefice e il comandante della nuova campagna del
86 M. Barbier, le conflit du Sahara Occidental, L'Harmattan, Parigi, 1982.
87 Per un'analisi del concetto di Beyaa e la sua riabilitazione come elemento costitutivo del potere
politico si rimanda a M. Tozy, Monarchie et Islam politique au Maroc, Ed. Press de la
fondation nationale de Science Politiques, 1999, pp 75-81.
57
paese per la riunificazione con le sue province del sud. La situazione
divenne sempre più critica perché, nonostante Franco versasse in precarie
condizioni di salute, la Spagna si rifiutò di tornare indietro sui suoi passi,
così come fu impensabile sperare ad un ripensamento del re marocchino
perché questo avrebbe significato un
tradimento delle aspettative del
popolo e quindi il ritorno del paese ad un periodo di instabilità e crisi
profonda. Si imponeva alla monarchia l'esigenza di prendere tempo per
impedire lo svolgimento del referendum senza tuttavia arrivare ad una
guerra aperta contemplata nella retorica di guerra del re, ma di fatto
scongiurata da entrambe le parti.
Nel mese di settembre del 1974, l'Assemblea Generale dell'ONU
esaminò nuovamente il problema e il 27 marzo 1975 chiese al Comitato di
decolonizzazione di inviare una missione esplorativa -Risoluzione 3292
(XXIX)- nel Sahara e presso le parti interessate con il compito di
raccogliere informazioni sulle differenti posizioni espresse, al fine di
suggerire delle proposte per la risoluzione del problema. La missione fu
composta da tre rappresentanti degli stati del “Terzo mondo” (Iran, Cuba e
Costa d'Avorio) per confermarne il carattere di imparzialità, e da nove
funzionari del segretariato ONU. Il viaggio durò cinque settimane, dall'8
maggio al 14 giugno e durante questo periodo la missione ebbe l'occasione
di visitare la Spagna, il Marocco, l'Algeria, la Mauritania e il Sahara
Occidentale. Il suo rapporto fu pubblicato molto più tardi, nell'ottobre 1975
perché era nelle intenzioni dei rappresentanti non voler interferire sul
giudizio che la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) era chiamata ad
esprimere. Infatti nel dicembre 1974 su pressione del Marocco che voleva
ritardare l'applicazione del referendum, l'Assemblea Generale adottò una
risoluzione -3282(XXIX)- in cui domandava alla Corte de L'Aia di fornire
un avviso consultivo su le seguenti questioni88: “ 1) Il Sahara Occidentale
88 M. Galeazzi, La questione del Sahara Occidentale: profilo storico e documentazione,
58
(Rio de Oro e Sanguiet el Hamra) era, al momento della colonizzazione
spagnola, un territorio senza sovranità (terra nullius)? 2) In caso di risposta
negativa alla prima questione, quali erano i legami giuridici di questo
territorio con il Regno del Marocco e l'Insieme mauritano?”.
Il mese di ottobre del 1975, fu cruciale per gli sviluppi della questione e
al tempo stesso, per la tenuta del regno marocchino. Il 14 ottobre, la
Missione pubblicò il suo rapporto finale in cui si riscontrava la volontà
comune di tutte le parti interessate di arrivare alla decolonizzazione
completa ma anche profonde divergenze per quanto riguardava la modalità
e lo status finale del territorio. Ma il dato importante che risaltò nelle
conclusioni dell'inchiesta fu che la quasi totalità della popolazione locale
incontrata si pronunciò categoricamente a favore dell'indipendenza e contro
le rivendicazioni territoriali di Marocco e Mauritania, cioè la posizione
sostenuta dal Fronte Polisario che fino all'arrivo della missione era
considerato un movimento clandestino e minoritario, ma che nel rapporto
venne descritto come “la forza politica dominante nel territorio”89.
Il giorno dopo, il 15 ottobre 1975, fu pubblicato il verdetto della Corte di
Giustizia. Un verdetto contraddittorio, ma tuttavia inequivocabile nella
soluzione. Si dichiarava che, al momento della colonizzazione spagnola,
esistevano delle linee giuridiche di vassallaggio fra il sultano del Marocco
ed alcune tribù del Sahara occidentale, che comprendevano anche certi
diritti relativi al territorio. Tuttavia non esisteva alcun legame di sovranità
territoriale di natura tale da poter modificare l'applicazione della risoluzione
1514(XV) dell'Assemblea Generale e in particolare l'applicazione del
principio di autodeterminazione che presuppone la libera e autentica
espressione della volontà della popolazione del territorio.90
Fondazione Internazionale Lelio Basso, Roma, 1985.
89 Per un'analisi completa del rapporto della Missione ONU: M. Barbier, Le conflit du Sahara
Occidental,L'Harmattan, Parigi, 1982, pp 117-131.
90 “Il parere della Corte internazionale sulla decolonizzazione del Sahara Spagnolo”, Relazioni
Internazionali, n. 45, Novembre 1975, p. 1088.
59
Anche se i risultati di entrambe le inchieste vanno inequivocabilmente a
confermare l'applicazione del diritto d'autodeterminazione, Marocco e
Mauritania non esitarono ad esprimere la loro soddisfazione sulla base di
un'interpretazione più favorevole alla loro posizione ma che tuttavia
distorceva profondamente il senso dei verdetti. Il 16 ottobre 1975 il re
pronunciò un discorso a Marrakech di fronte a tutta la nazione,
infiammando il popolo accorso in massa in un tripudio di esaltazione
nazionalista: “il nostro diritto è stato riconosciuto e la Corte Internazionale
di Giustizia ha risposto che il Sahara non è mai stato terra nullius prima
dell'occupazione spagnola. Essa ha riconosciuto l'esistenza di legami
giuridici di sovranità e di fedeltà fra i re del Marocco e le popolazioni del
Sahara. [...] non ci resta quindi che occupare il nostro territorio [...] e
intraprendere una marcia pacifica dal nord, dall'est, dall'ovest verso sud.
350.000 persone parteciperanno [...] e saremo disarmati perché non è nostra
intenzione fare la guerra alla Spagna”. È la “Marcia Verde” chiamata così
in riferimento al colore sacro dell'Islam a cui i 350.000 marocchini
parteciparono armati solo del corano e di un ramoscello d'ulivo, pronti a
ricongiungere “il Marocco mediterraneo con il Marocco sahariano”91.
La composizione della marcia fu volontariamente variegata, ad essa
parteciparono studenti, contadini, ministri, intellettuali scelti accuratamente
dal Makhzen e suddivisi in 7.813 camion da trasporto che dovevano
assicurare anche le provvigioni necessarie al sostentamento nel deserto,
nonché 220 autoambulanze, 470 medici e personale sanitario. La prontezza
organizzativa messa in campo in così breve tempo, lasciava intendere che il
re era ben consapevole del risultato negativo che la Corte di Giustizia stava
per emettere e che quindi già da tempo preparava la contromossa per
aumentare le pressioni verso la Spagna e costringerla ad arrivare ad accordi
91 Estratto del discorso ufficiale di Hassan II in A. Gaudio, Guerres et paix au Maroc, reportages
1950-1990, Ed. Karthala, Paris, 1991, pp 236-241.
60
bilaterali, senza tuttavia dare inizio ad una nuova avventura militare di cui
non si potevano prevedere tutte le conseguenze interne e internazionali. Al
tempo stesso era sicuro che tale opzione potesse rassicurare i partiti
d'opposizione che in una nota congiunta il 13 settembre 1975 avevano
espresso l'unanimità nazionale sul problema della liberazione dei territori,
confermata in un memorandum comune dell'USFP e dell'Istiqlal con cui
domandavano che fossero prese “tutte le misure necessarie per affrontare la
situazione tenendo in considerazione le potenzialità popolari e la volontà
delle forze nazionali per ingaggiare una guerra di liberazione contro il
nemico”.
Al di là dell'enfasi retorica e dell'esaltazione del “Makhzen provveditore”
nella propaganda ufficiale, è necessario sottolineare alcune caratteristiche
sul valore simbolico e sui dispositivi di controllo sociale che si
riscontrarono nella Marcia Verde. La maggior parte dei partecipanti
proveniva da una condizione di estrema povertà, molti infatti erano
contadini stagionali disoccupati provenienti dalle zone rurali del paese
oppure giovani disoccupati delle città. Ad essi venivano offerte razioni di
cibo e sigarette e si può anche concludere che per molti, queste condizioni
di vita erano migliori di quelle che avevano lasciato a casa. I “volontari”
venivano reclutati rispetto a quote provinciali e in base a considerazioni
politiche e logistiche che riflettevano il loro grado di fedeltà al caid locale,
tutti gli esclusi erano potenziali nemici il che rafforzò il carattere
controllore del Makhzen. Per questo motivo le città erano sistematicamente
sottorappresentate. Circa 43.500, il 12.5% del totale, erano ufficiali
dell'esercito e le linee del cammino della marcia erano state pianificate dallo
Stato Maggiore delle FAR, in particolare l'artefice dell'operazione fu il
generale Dlimi, che aveva il comando delle operazioni nel Sud sin dalla
scomparsa di Oufkir. Il re, amir al mu'min, riuscì ad accrescere la sua
influenza perché presentò la marcia come una “crociata” dal valore sacro,
61
infatti i partecipanti venivano incoraggiati a considerarsi come dei
mujahidin che armati del solo di Corano, avevano il compito di partecipare
alla marcia sacra e nazionale per scacciare i residui del colonialismo dal
suolo marocchino92.
La marcia riuscì nel suo scopo. Infatti l'ONU non espresse altro che
superficiali parole di condanna e Madrid alla fine cedette alle pressioni di
Rabat riuscendo, in una certa maniera, a preservare i suoi interessi sull'area.
Infatti il ritiro dei volontari marocchini, partiti il 6 novembre 1975 avvenne
solo alla conclusione di una serratissima serie di incontri fra Marocco,
Mauritania e Spagna che portò alla conclusione degli accordi segreti di
Madrid del 14 novembre. In essi fu esplicitamente sancita la data del ritiro
delle
truppe
spagnole
(28
febbraio
1976)
e
l'istituzione
di
un'amministrazione provvisoria nel territorio che comprendesse la
partecipazione di Marocco, Mauritania e la collaborazione dell'assemblea
locale (Djemaa), autorità considerata dai tre paesi occupanti come unico
organo autentico a rappresentare l'opinione della popolazione.
Non sembrò che la ritirata della Spagna avesse avuto il significato della
sconfitta, anzi sembrò invece far parte di un piano congegnato di concerto
che ha la sua ragione nelle alleanze e negli interessi economici che si
intersecano fra gli Stati della regione e gli Stati Uniti infatti, sotto la
protezione
di
quest'ultimi
che
incoraggiavano
l'accordo
e
contemporaneamente paralizzavano l'ONU, fu più facile raggiungere
un'intesa fra Spagna e Marocco. In gioco non ci furono soltanto il controllo
delle miniere di fosfati che avrebbero permesso al Marocco di ottenere il
quasi monopolio sulle esportazioni del minerale, ma anche l'assetto
dell'Africa nord-occidentale sotto l'influenza atlantica. Nell'interesse di
Europa e Stati Uniti l'aspetto importante fu di evitare in tutti i modi che il
92 M. Barbier, Le conflit du Sahara Occidental, L'Harmattan, Parigi, 1982 pp 210-228.
62
Sahara cadesse nell'orbita dei regimi rivoluzionari93.
Il 25 novembre Hassan II convocò una conferenza stampa annunciando
che il “dossier” del Sahara Occidentale era chiuso ma nonostante le
complicità internazionali ed un nuovo rinnovato consenso interno attorno ad
Hassan II, la questione del Sahara Occidentale fu tutt'altro che risolta anzi,
con gli accordi di Madrid e l'invasione del territorio delle truppe
marocchine e mauritane, esplose la resistenza della popolazione Saharawi
con il supporto internazionale soprattutto dell’Algeria che non riconosceva
la validità dell’accordo tripartito.
93 F. Tana, “Rabat-Madrid. Intesa per il Sahara?”, Relazioni Internazionali, n. 46/51, Novembre
1975.
63
2.2 Dai movimenti di resistenza anticoloniale al nazionalismo
Saharawi.
Il territorio abitualmente chiamato Sahara Occidentale comprende una
vasta porzione (circa 266.000 km2) di deserto nel nord-ovest dell'Africa. Il
lungo confine occidentale di 1.062 km è costituito dall'oceano Atlantico,
unica frontiera naturale, mentre il resto del paese è circondato dal Marocco
a nord e dalle Mauritania a sud e ad est, salvo una piccola porzione di 30
km di frontiera con l'Algeria presso la zona di Tindouf. Il paese è diviso
in due regioni, a nord il Sanguiet el Hamra (circa 82.000 km2) così
chiamato (fiume rosso) in ragione del colore delle sponde argillose
dell'Oued che attraversa la zona per circa 400 km. L'Oued Sanguiet el
Hamra è un fiume con un regime idrologico irregolare che per molti
periodi dell'anno scompare sotto terra mentre nel periodo autunnale si
verificano spesso piene brevi ma violente. La presenza del corso d'acqua
fa si che le rive siano particolarmente fertili e propizie per l'agricoltura;
completamente l'opposto della zona nord orientale della regione che è
invece occupata dal deserto calcareo dell'Hammada, fra i più inospitali al
mondo. La regione centro-meridionale è invece chiamata Rio de Oro
(circa 184.000 km2) ed è formata prevalentemente da monotone pianure di
sabbia spesso intervallate da sinuose dune non troppo alte. La sua
principale composizione desertica non ha impedito che, nel corso della
storia, questa regione diventasse terreno privilegiato per gli scambi fra
l'Africa sub-sahariana e il Mediterraneo, sopratutto dopo l'espansione
araba verso l'Africa cominciata nell'VIII secolo. Prima del loro arrivo, già
erano presenti nel Sahara Occidentale popolazioni berbere provenienti dal
nord e altre provenienti dall'Africa sub-sahariana e l'incontro, spesso
conflittuale, fra queste tre culture ha prodotto una popolazione
relativamente diversificata e una struttura sociale gerarchica conservata
fino all'inizio del 1970. Malgrado la loro diversità, le circa venti tribù
saharawi formavano un insieme omogeneo con abitudini sociali e culturali
simili su un territorio specifico e una lingua (il dialetto arabo hassania)
64
- 64
identica, quando nel 1884 il Sahara Occidentale divenne formalmente una
colonia spagnola94.
Il 1884 è una data estremamente importante per l'Africa perché con la
conferenza di Berlino avvenne il passaggio da una politica europea di
“influenza” a livello di regione al concetto moderno di “frontiera”95,
introducendo la fisionomia dello Stato e della sovranità con la
sovrapposizione
dell'ordine
politico
di
carattere
geografico
all'organizzazione politica umana. Il colonialismo era infatti esercizio di
sovranità su un territorio oltremare e cioè la trasformazione istituzionale e
sociale di un territorio mediante cui includere aree esterne all'economia
mondiale capitalista applicando i metodi organizzativi, i sistemi educativi
e i codici di valori che esistevano in Europa. L'Africa occidentale
sahariana era zona di influenza francese, ma con la conferenza di Berlino
la Spagna si fece riconoscere i “propri diritti” sul Sahara Occidentale, così
i due paesi cominciarono a regolare fra loro i rispettivi possedimenti
conferendo la forma attuale a quello stato chiamato Sahara spagnolo96.
La colonizzazione spagnola avvenne inizialmente in maniera prudente,
accontentandosi di controllare la costa per proteggere gli interessi
economici privati della pesca e del commercio. Solo a partire dal 1934
l'esercito spagnolo iniziò l'occupazione militare del territorio, dopo le
pressioni della Francia che intendeva pacificare il sud marocchino e le
frontiere algero-marocchine, che sfuggivano ancora al suo controllo dopo
le prime azioni di resistenza in chiave anticoloniale97. Intorno agli anni
'60-'70, molto in ritardo rispetto gli altri paesi europei, emersero in
94 M. Barbier, op. cit.
95 F. Correale, Sahara Occidentale: un referendum per il nuovo millennio?, Afriche e Orienti, N
°2 , 1999.
96 Il trattato di Parigi del giugno 1900 fissa le frontiere meridionali ed orientali del Rio de Oro,
la convenzione di Parigi dell'ottobre 1904 la frontiera settentrionale comprendendovi il
Sanguiat al Hamra e la zona di Tarfaya, fino all'oued Draa, la convenzione di Madrid del
novembre 1912 ribadisce queste frontiere e fissa i limiti dell'enclave di Ifni..
97 È il caso dell'azione condotta dal leader religioso cheik Ma el Ainin che, originario della
Mauritania, si stabilisce nel Sanguiat el Hamrea fondandovi Smara e facendola diventare
centro politico e religioso della resistenza anticoloniale. In un primo momento riesce a
coinvolgere anche il sultano marocchino nella lotta ai francesi, ma più tardi quest'ultimo
sceglierà la strada della collaborazione con la potenza coloniale. La resistenza tuttavia
continua fino al 1910 quando l'esercito di Ma el Ainin si ritirò. L'eredità fu raccolta dal figlio
El Hiba e fra il 1924 e il 1932 la resistenza riuscì ad riorganizzarsi e a condurre diverse azioni
di guerriglia contro le truppe francesi. Sotto questi colpi la Francia farà pressione alla Spagna
per una presenza più attiva nel territorio assegnatole.
65
- 65
maniera evidente le contraddizioni derivanti dalla trasformazione
economica, politica e sociale del territorio. A partire dal 1958 la Spagna
cominciò la politica di provincializzazione98 e nel 1967 il governo
spagnolo creò attraverso decreto, un'assemblea generale o Djemaa nel
Sahara Occidentale come organo rappresentante tutti i Saharawi. In realtà
la creazione di questo organo deve essere considerata come la risposta
spagnola alle pressioni dell'ONU che incalzava per l'applicazione del
diritto d'autodeterminazione, la Djemma infatti veniva presentata come il
principale organo rappresentativo della popolazione locale ma in realtà era
composta da notabili cooptati e assoggettati alle autorità spagnole che
dovevano svolgere il ruolo di cerniera nel passaggio di poteri e assicurare
la protezione degli interessi economici anche nel periodo postindipendenza.
Nel 1962 vennero scoperte le potenzialità economiche delle miniere di
fosfati di Bou Craa, uno dei giacimenti più grandi del mondo, così negli
anni seguenti cominciò il loro sfruttamento attraverso l' ENMINSA
(Enpresa Nacional Minera del Sahara) controllata completamente da
capitali stranieri (americani e inglesi oltre che spagnoli). Con il delinearsi
progressivo della modifica degli assetti produttivi ed organizzativi della
società precoloniale, il colonialismo ha prodotto un'élite nazionale ed una
classe operaia che, inspirati dai movimenti di emancipazione dei popoli
del terzo mondo, cominciarono a rivolgersi contro il colonialismo stesso
per abbatterlo. Inoltre la tardiva penetrazione dei meccanismi di
organizzazione sociale ed economica capitalista del colonialismo spagnolo
ha permesso che venissero rafforzate le rivendicazioni “storiche”
incrociate di Marocco e Mauritania sul territorio. Questo aspetto ha
pesantemente influito nella nascita del nazionalismo nel Sahara
Occidentale che emerge quindi in una situazione coloniale gestita dalla
98 La legge del 19 aprile 1961 fissò l'organizzazione giuridica della provincia del Sahara creata
il 10 gennaio 1958. Essa prevedeva la dipendenza del territorio dalla presidenza del governo,
che sarà rappresentato alla Cortés e dotato di un organismo d'amministrazione locale
comprendente un consiglio provinciale e due municipalità. Il governo spagnolo sarà
rappresentato nel Sahara da un governatore generale, scelto fra i militari e comandante
dell'esercito. Egli avrà il compito di far eseguire le leggi, di controllare i servizi pubblici e
assicurare la sicurezza l'ordine pubblico (legge del 29 novembre 1962).
66
- 66
Spagna, ma non è diretto contro di essa che lasciò mano libera
all'occupazione de facto marocchina.
Si possono distinguere due fasi diverse nello sviluppo dei movimenti di
resistenza nel Sahara Occidentale. La prima durò fino al 1968, quando
molti saharawi presero parte al più generale movimento transfrontaliero di
lotta anticoloniale raccogliendo l'appello all'insurrezione dell'esercito di
liberazione marocchino, senza che però vi fosse associata la specificità
nazionale; la seconda coincide invece con l'affermarsi dell'organizzazione
capitalista e delle rivendicazioni del Makhzen e porta alla nascita del
movimento nazionalista che ha la sua massima rappresentatività nel Fronte
Polisario.
Fra il 1956 e il 1958 molti saharawi parteciparono alle azioni dell'ALM
ispirate dalla vittoriosa lotta per l'indipendenza marocchina contro gli
europei ma sebbene i comandanti dell'esercito di liberazione erano tutti
marocchini molti militanti saharawi non aderirono perché ispirati da una
forte coscienza nazionale marocchina. Infatti fu la Djemma tradizionale ad
autorizzare il supporto della frazione saharawi alle azioni di guerriglia e
sebbene alcuni abbracciassero l'idea di diventare parte di un Marocco
indipendente all'interno del contesto rivoluzionario del grande Maghreb
per la libertà e il socialismo, altri parteciparono perché vedevano in questa
guerra semplicemente la riproposizione di quelle azioni anticoloniali
condotte fino al 1934. L'operazione Ouragan effettuata dalle truppe
francesi e spagnole con il supporto delle FAR, distrusse definitivamente
l'operatività dell'ALM così come quella della frazione saharawi che
partecipò alle azioni, ma questo primo insuccesso fece anche maturare la
necessità di una maggiore chiarezza sugli obiettivi e sui mezzi della
liberazione, così a dieci anni di distanza da quelle azioni, si formò un
primo nucleo nazionalista.
La leadership del nuovo movimento anticoloniale che nacque sul finire
degli anni '60, matura in un background profondamente differente da
quello che aveva guidato la popolazione nomade saharawi nelle azioni di
guerriglia del '56-'58. Infatti, negli anni successivi l'operazione militare, la
67
- 67
politica di Madrid fu dettata dalla necessità di stabilizzare il territorio per
permettere lo sfruttamento dei fosfati di Bou Craa. Questo avvenne
sopratutto attraverso una forte politica di sedentarizzazione favorita anche
dalla grande siccità che nel '68-'73 distrusse completamente l'economia
tradizionale obbligando la maggioranza della popolazione a trasferirsi nei
centri urbani, abbandonando la vita nomade. Contemporaneamente emerse
un primo gruppo di intellettuali che, studiando all'estero, ebbe la
possibilità di entrare in contatto con le esperienze vittoriose delle lotte di
emancipazione dei movimenti terzomondisti.
È il caso di Mohamed Bassiri, un giovane saharawi nato fra il 1942-44 a
Tan Tan. Da giovane frequentò il liceo di Casablanca in Marocco e dopo il
diploma proseguì gli studi nelle università del Cairo e di Damasco, dove la
sua formazione fu fortemente influenzata dall'ideale pan-arabo del partito
Bath. Raggiunta la laurea nel 1966 ritornò in Marocco dove fondò il
giornale Al-Chihab, ma la sua permanenza a Rabat fu solo temporanea
perchè l'anno successivo ottenne l'autorizzazione dagli spagnoli per un
permesso di residenza nel Sahara Occidentale, dove lavorò come
insegnante religioso nella moschea di Smara. Grazie alla sua influenza,
riuscì a radunare attorno a sé un primo nucleo di militanti che andò a
costituire nel 1968 il Movimento per la Liberazione del Sahara ( Harakat
Tahrir o MLS) strutturato su tre obiettivi principali: autonomia interna,
accordo col governo spagnolo per fissare un tempo limite per la
proclamazione dell'indipendenza e per il ritiro delle truppe e fine dello
sfruttamento delle risorse minerarie senza un’equa redistribuzione fra la
popolazione99. Nel 1970 le autorità coloniali annunciarono l'intenzione di
organizzare nella capitale Layounne una manifestazione di appoggio
all'assimilazione del territorio, l'MLS reputò questa l'occasione giusta per
uscire dalla clandestinità e organizzare una contro-manifestazione nel
quartiere periferico di Zemla per presentare un memorandum delle
rivendicazioni alle autorità spagnole. Fin dalla mattina del 17 giugno fu
99 Le rivendicazioni sono contenute all'interno di un'intervista rilasciata da alcuni leader dell’
MLS in esilio in Algeria nel gennaio 1971 sul giornale La République op. cit. in T.Hodges,
Western Sahara. The Roots of a Desert War, Ed Lawrence Hill & Company, Westport,
Conneticut, 1983, pp 149-156.
68
- 68
evidente che la maggioranza della popolazione era schierata a fianco del
movimento di liberazione, ma il generale José Marìa Pérez de Lama si
rifiutò di ricevere il memorandum e incontrare i rappresentanti del
movimento. Nel pomeriggio sessanta squadre della polizia territoriale
repressero nel sangue i manifestanti, le cifre delle vittime furono come
sempre contraddittorie, ma secondo le stime fornite dal governo
marocchino e mauritano i morti furono fra i 10 e i 12, centinaia invece gli
arrestati, mentre Bassiri fu prelevato dalle truppe spagnole la notte dopo e
sparì, molto probabilmente assassinato dagli Spagnoli, per questo divenne
il primo desaparecido del nuovo movimento nazionalista saharawi100.
Con Bassiri sparì anche l' MLS che successivamente fu sciolto.
All'inizio degli anni '70 il Makhzen cominciò a guardare con interesse lo
sviluppo di focolai nazionalisti nel Sahara e pensava al modo in cui questi
potevano giocare un ruolo favorevole alla sua tesi annessionista. Nel 1971
fu fondato in Marocco da Edoardo Moha il Movimento di Resistenza degli
Uomini in Blu (MOREHOB), chiamato così in ragione del colore dei
vestiti che portavano gli uomini nel Sahara. Inizialmente le rivendicazioni
del movimento miravano all'indipendenza del territorio rigettando l'ipotesi
di incorporazione nel Marocco e nella Mauritania, per questo Moha
trasferì la sede del movimento in Algeria nel 1973. Questa posizione non
fu sostenuta da tutti i militanti che così nello stesso anno optarono per la
scissione, lasciando il giovane e piccolo movimento ancora più
frammentato. Questa divisione influì pesantemente nell'attività, già
limitata, del gruppo, così Moha, che dovette registrare anche il mancato
sostegno dell'Algeria sospettosa nei suoi confronti, trasferì la sede del
movimento a Bruxelles nel tentativo di diffondere la questione del Sahara
nei paesi europei. Questa scelta allontanò il movimento ancora di più dal
territorio su cui ormai non riusciva a sviluppare alcuna attività, così decise
di ritornare a Rabat e riallacciare il movimento alla tesi marocchina. In
Marocco il movimento organizzò le sue attività in due ali, una per l'azione
politica, l'altra dedita alla lotta armata, ma nei fatti continuava ad essere
poco numeroso e non riuscì mai a condurre alcuna azione armata sul
100 La cronaca è reperibile presso il sito internet http://www.wsahara.net/zemla.html
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territorio. In occasione della sua visita nel 1975, la missione ONU riuscì
ad incontrare solo Eduardo Moha e nessun altro membro del movimento,
né nel Sahara né nei paesi vicini; questo rafforza la tesi che mette in
discussione l'esistenza stessa del movimento e sostiene che lo stesso
Eduardo Moha, ex agente di polizia marocchina con nome cristiano e
cognome non saharawi, fu un funzionario marocchino che in questo modo
continuò a servire il suo paese101.
A fianco del movimento dei MOREHOB esistevano altre due
organizzazioni legate a Rabat. La prima era il “movimento 21 Agosto”
creato in Marocco, a Tarfaya, nel luglio 1973 che tuttavia contò al suo
interno pochi membri e non riuscì a sviluppare nessuna azione. Solo nel
febbraio 1975 fu creato il FLU (Front pour la Liberation et l'Unité), la
seconda organizzazione sostenuta dal governo marocchino. Questa
raccoglieva vecchi militanti dell'ALM, rifugiati saharawi reclutati nei
campi profughi creati dopo l'operazione Ouragan, ma anche elementi delle
forze armate reali marocchine
Il suo programma era semplice:
opposizione all'indipendenza del Sahara e la sua incorporazione nel
Marocco per la realizzazione dell'unità nazionale (in riferimento al suo
nome). Operava sopratutto nella regione di Tan Tan e riuscì anche ad
effettuare alcune azioni armate sopratutto contro i posti di blocco spagnoli
di confine102. In definitiva l'esperienza di questi tre movimenti e
organizzazioni politiche deve essere collocata all'interno di un insieme di
diversi tentativi che il Makhzen mise in campo per deviare il corso del
processo di decolonizzazione del Sahara Occidentale in un'ottica
favorevole alla propria tesi annessionista.
L'esperienza di Bassiri all'inizio degli anni '70 aveva tracciato una
rottura politica e sociale ormai insanabile nel territorio con la popolazione
che cominciò a maturare una presa di coscienza di massa radicale attorno
all'opzione nazionalista di indipendenza e nel rifiuto di qualsiasi possibilità
di integrazione al Marocco. La riorganizzazione di un autentico
101 Questa tesi è sostenuta da A.-B. Miské in Front Polisario, l'ame d'un peuple, Ed Ropture,
Paris, 1978,. in M. Barbier le conflit du Sahara Occidental op. cit.
102 P. Dessens, “ Le litige du Sahara Occidental”, in Maghreb Machrek, n. 76, pp. 29-55
70
- 70
movimento di liberazione del territorio fu difficile e lenta, sopratutto per la
dura repressione dell'amministrazione spagnola, così la nuova leadership
destinata a raccogliere l'eredità di Bassiri, si formò all'estero,
nell'università marocchina di Rabat attorno ad un giovane studente di
legge El-Ouali Mustapha Sayed (detto Lulei).
Nella prima fase di maturazione dell'attività politica, El-Ouali entrò
presto in contatto con una cinquantina di altri studenti saharawi che
frequentavano la stessa università, fu attorno a questo primo nucleo (detto
“gruppo di Rabat”) che si strutturò il Fronte Polisario (Fronte di
Liberazione Popolare del Sanguia el Hamra e del Rio de Oro), destinato a
diventare l'organizzazione politica egemone nel territorio del Sahara
Occidentale su cui confluirono tutte le istanze nazionaliste. In Marocco il
gruppo si sviluppò parallelamente con le altre realtà di movimento e con i
partiti dell'opposizione che all'inizio degli anni '70 vivevano in una fase
politica particolarmente attiva, caratterizzata da un alto livello di
partecipazione e di contestazione delle masse. A Rabat il gruppo si
concentrò inizialmente sulla fine dell'occupazione spagnola collegando la
loro esperienza al più esteso movimento di liberazione nazionale
terzomondista, riuscendo così a trovare spazio sopratutto all'interno
dell'UNEM a direzione frontista, che durante il XV congresso (12-18
agosto
1972)
adottò
una
risoluzione
in
cui
si
reclamava
l'autodeterminazione del popolo saharawi103. L'azione del “gruppo
Saharawi di Rabat” all'interno del sindacato studentesco marocchino
consisteva prevalentemente nell'organizzazione di conferenze e seminari
di informazione sull'evoluzione politica e sociale all'interno del Sahara,
queste attività di sensibilizzazione ponevano semplicemente il problema
della decolonizzazione del Sahara Occidentale piuttosto che quello della
“marocchinità” del territorio, infatti malgrado la forza del loro
ragionamento sull'imperialismo, i militanti marocchini non avevano che
una debole idea sulle condizioni sociali e politiche del sistema tribale
103 Comunicato congiunto dei partiti Ilal Amam, (In Avanti) e Ennahdj Eddimocrati (Via
Democratica) in cui viene riprodotto parte del comunicato del XV congresso. Reperibile su
internet all'indirizzo http://www.radiokcentrale.it/news208.htm
71
- 71
saharawi e sulla politica spagnola esercitata nella colonia104.
Ma i contatti non si limitavano al solo ambiente universitario, infatti
nella sua attività El-Ouali incontrò anche i leaders dell'Istiqlal, compreso
Allal el Fassi, dell'UNFP e del PPS oltre che quelli dell'UMT con cui
tenne diverse conferenze sulla questione della decolonizzazione del Sahara
Occidentale per tutto il 1972. Tuttavia il livello esplicativo degli incontri e
la ridotta effettiva solidarietà e appoggio che le forze di opposizione
marocchine dimostrarono, convinse il
“gruppo di Rabat” a cambiare
progressivamente strategia. Questa opzione fu dettata anche da una
situazione interna al Marocco in continua evoluzione che, fra il '70 e '75,
registrò una serie di eventi così decisivi da modificare radicalmente
l'atteggiamento dell'opposizione. La repressione messa in campo dal
regime in quegli anni colpì indiscriminatamente studenti, disoccupati,
lavoratori e militanti politici e in questa situazione nessun dirigente fu in
grado di assumersi apertamente il rischio di sostenere un movimento
autonomo di militanti saharawi. El-Ouali cominciò a maturare l'idea che
perseverare nella ricerca di appoggi nel Marocco era impraticabile oltre
che pericolosa come dimostrò l'arresto da parte della sicurezza nazionale
marocchina di 45 studenti saharawi che manifestarono a Tan Tan contro
l'occupazione spagnola.105 L'azione di reclutamento del gruppo si indirizzò
quindi verso i campi profughi e le città del sud Marocco, oltre che a
Zouerate in Mauritania dove vivevano molti ex combattenti dell'ALM e
dell'MLS fra cui Mohamed Uld Ziu e Ahmed Uld Qaid, ma non non
nell'Algeria, che ancora guardava il gruppo con diffidenza.
Il 10 maggio 1973 durante una riunione segreta a Ain-Bentili si svolse il
congresso costitutivo del Fronte Polisario con l'elezione di El-Ouali come
segretario generale e di un comitato esecutivo che elaborò il primo
manifesto con cui si dichiarava che “ dopo il fallimento di tutti i mezzi
pacifici [...] il Fronte Polisario è nato come espressione unica di massa
optando per la violenza rivoluzionaria e la lotta armata affinchè il popolo
saharawi, arabo e africano, possa ritrovare la sua libertà totale e
104 A. O. Yata, L'insurrection Sahraouie. De la guerre à l'Etat 1973-2003, Ed L'Harmattan,
Paris, 2003, pp 34 -42.
105 T.Hodges, op. cit. pp 157-166.
72
- 72
sconfiggere le manovre del colonialismo spagnolo”.106 Il testo del
manifesto, pubblicato solo nel luglio 1973 in Mauritania, fu breve e con
ancora pochi elementi di analisi, infatti si fa menzione del solo
colonialismo spagnolo senza tenere in considerazione le rivendicazioni di
Marocco e Mauritania la cui azione per il momento si era limitata ad
osteggiare la formazione del Fronte e non avevano ancora espresso
credibili rivendicazioni. Si trattò quindi di un testo minimo che tuttavia
riconosceva nella lotta armata il mezzo per la liberazione e così a soli 10
giorni dalla sua nascita, il Fronte portò a compimento la sua prima azione
contro un posto militare spagnolo a El Khanga, nel nord est del paese,
dando inizio alla rivoluzione del “20 maggio”.
Nel primo anno dalla sua fondazione il Polisario riuscì a sviluppare
un'intensa attività politica e diplomatica mentre sul terreno militare le
azioni compiute erano ancora numericamente poche ma tuttavia sufficienti
per far parlare del Fronte nel contesto internazionale. L'attività politica fu
centrata soprattutto sull'obiettivo di coinvolgere e mobilitare le masse,
mentre quella diplomatica portò ad una stretta collaborazione con la Libia
che offrì il proprio contributo in armi e in contatti nei paesi arabi tramite le
proprie ambasciate, ma sopratutto permise di lanciare il primo programma
radio. Cominciarono anche i contatti con l'Algeria che tuttavia rimase
ancora in una posizione di neutralità prudente. L'esperienza accumulata in
questo primo anno di attività fu estremamente importante nell'anno
successivo quando la Spagna annunciò la propria intenzione di concedere
il referendum per l'autonomia e il Marocco nel suo massimo momento di
esaltazione nazionalista, rifiutò qualunque ipotesi indipendentista. La
risposta fu immediata e in occasione del secondo congresso (dal 25 al 31
agosto 1974) il Fronte adottò un programma di azione nazionale per la
“creazione di uno Stato repubblicano con l'effettiva partecipazione di tutte
le masse”, in questo modo il Fronte si proponeva come espressione
dell'intera comunità Saharawi rivendicando il diritto di essere nazione,
riconoscendo
anche
l'intangibilità
delle
frontiere
artificiali
del
colonialismo come stabilito dall'OUA (Organizzazione Unione Africana).
Nella trasformazione nazionale venne rinnegata l'organizzazione sociale
106 L. Ardesi, Sahara Occidentale, una scelta di libertà, Ed. Emi, Bologna, 2004 pp. 40-42.
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tribale e tutte le forme di fedeltà di casta, l'abolizione di tutte le forme di
sfruttamento ed un'equa redistribuzione delle risorse fra le campagne e le
città. Il massimo momento di coesione nazionale si registrò il 12 ottobre
1975
quando il Fronte riuscì a riunire a Ain Bentili, nel nord della
Mauritania, tutte le tendenze politiche Saharawi, compresi il presidente e il
vicepresidente della Djemaa, per affermare l'unità del popolo e per
preparare l'indipendenza. Il 12 ottobre verrà ricordato come il giorno dell'
”Unità Nazionale”.
Questo passaggio fu fondamentale in vista degli avvenimenti decisivi
che si susseguirono nei giorni successivi quando furono resi noti il
risultato della missione d'inchiesta dell'ONU e il verdetto della Corte
Internazionale di Giustizia con il conseguente annuncio di Hassan II della
Marcia Verde. Il Polisario riuscì così a reagire prontamente non solo
sull'aspetto militare (su cui il Fronte poteva ora contare anche
sull'appoggio dell'Algeria), ma sopratutto politico. Per dare una parvenza
di legalità internazionale gli accordi di Madrid infatti prevedevano che la
volontà della popolazione locale venisse rispettata attraverso la volontà
della Djemaa107, ma il fronte riuscì a riunire a Guelta Zemmu tutti i
notabili che ne facevano parte sotto l'amministrazione coloniale spagnola
compresi i deputati della Cortes e il 28 novembre 1975 pubblicarono una
dichiarazione in cui si proclamava lo scioglimento della Djemaa108 e la sua
sostituzione con un consiglio nazionale presieduto da Mohamed Uld Ziu.
La “dichiarazione di Guelta Zemmu” venne presentata pochi giorni dopo
alla stampa internazionale dall'Algeria. In poco più di un mese i Saharawi
riuscirono a costruire l'unione tra l'organizzazione rivoluzionaria del
Fronte e l'istituzione tradizionale, un passaggio decisivo per affrontare
l'invasione delle Far.
2.3 Evoluzione del conflitto e crisi di stabilità
A partire dal 1976, mentre le FAR prendevano progressivamente il
controllo delle principali città, il Marocco cercò di offrire un'impressione
107 Punto 3 degli Accordi di Madrid: “l'opinione della popolazione, espressa dalla Djemaa, sarà
rispettata”.
108 Punto 2 del documento di “Guelta”: “affinché il colonialismo spagnolo non possa utilizzare
questa falsa istituzione e a causa delle manovre che stanno tramando i nemici del popolo
Saharawi, la Djemaa, col consenso di tutti i membri presenti, decreta la sua dimissione
definitiva.”.
74
- 74
di continuità nella gestione dell'assimilazione delle province sahariane.
Secondo Rabat il territorio doveva essere amministrato nella stessa
maniera del resto del paese bisognava quindi predisporre, nel più breve
tempo possibile, le prime strutture amministrative necessarie al governo e
al controllo del territorio. Furono create tre nuove province (Layounne,
Smara e Boujdour) con a capo altrettanti governatori direttamente in
contatto con il segretario speciale di Stato Khali Henna Ould er Rachid,
incaricato della gestione degli affari sahariani. Lo stato predispose anche
un piano per lo sviluppo economico e sociale delle nuove province
destinando in un primo momento 550 milioni di Dirham (che presto passò
a un miliardo) per la costruzione di appartamenti, infrastrutture stradali,
sanitarie e scolastiche.
Nonostante l'immagine di normalità che il Marocco si sforzava di
costruire, il territorio era in guerra e le città erano praticamente in stato
d'assedio. Con i primi bombardamenti marocchini, si produsse un esodo
massiccio della popolazione locale costretta a fuggire attraverso il deserto
e a raggrupparsi in tendopoli di fortuna nelle località interne e oltre il
confine con l'Algeria nei pressi di Tindouf. Il Fronte Polisario, sostenuto
nei primissimi tempi dall'Algeria, diede il via a numerose azioni di
guerriglia all'interno del territorio per contrastare l'avanzata delle FAR
mentre dal punto di vista politico il 27 febbraio 1976 a Bir Lehlu, venne
proclamata la Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD) per
evitare il vuoto di sovranità determinato dall'uscita di scena della Spagna e
la spartizione del territorio come sancito negli accordi di Madrid. Questo
passaggio non fu solo giuridico, infatti il Polisario, in linea con
l'esperienza storica dei movimenti di liberazione, intendeva assumersi la
responsabilità della gestione del territorio e del popolo in esilio nei campi
rifugiati109.
109 La Repubblica Saharawi fu presentata come “uno stato libero, indipendente e sovrano, retto
da un sistema nazionale arabo e democratico, d'orientazione unionista, progressista e di
religione islamica”. Si proclamò anche un paese non-allineato, il suo attaccamento ai principi
dell'ONU, della Lega araba e dell'OUA, così come alla dichiarazione universale dei diritti
dell'uomo. Pur mantenendo fermo il suo desiderio di pace, si dichiarò “risoluta a difendere la
sua indipendenza, la sua integrità territoriale e a prendere in mano le sue risorse e le sue
ricchezze naturali”. Oggi sono 75 le nazioni che riconoscono la RASD come stato
indipendente.
75
- 75
Per pacificare il territorio, nei primi anni di occupazione le autorità
marocchine impiegarono il duplice registro dell'integrazione forzata e
della repressione. Il supporto proveniente dalle città alle azioni condotte
dal Fronte era alto ed ogni minimo segno di appartenenza alla RASD, ogni
parola, canto o slogan che richiamavano la diversa identità nazionale erano
atti di accusa contro l'occupazione straniera e per questo repressi nelle
forme più brutali dalla polizia militare. L'informazione era controllata e
filtrata, le trasmissioni della radio nazionale Saharawi (in Algeria)
venivano disturbate e oscurate, ai saharawi era impedito di costituirsi in
associazioni anche quelle con scopo sociale mentre in Marocco venivano
offerti incentivi economici e terre alla popolazione più povera al fine di
reclutare coloni da insediare nei territori occupati e sommergere così la
popolazione locale. Le autorità incoraggiavano l'integrazione dei Saharawi
nella popolazione marocchina attraverso i matrimoni misti che divennero
una prassi politica che aveva l'obiettivo di togliere alle future generazioni
una famiglia in grado di trasmettere l'identità saharawi. In generale
l'educazione venne utilizzata come mezzo per far perdere ai giovani i
riferimenti della propria cultura primo fra tutti quello della lingua, infatti
l'insegnamento veniva fatto nel dialetto marocchino e non in hassanja e i
programmi scolastici, in particolare quello di storia, rinviavano
continuamente all'identità marocchina. Il lavoro veniva usato come mezzo
di ricatto e la semplice simpatia verso il Polisario era sufficiente per
perdere l'impiego ed essere discriminati nell'ottenerne uno nuovo, oppure
per la chiusura di un'attività indipendente110. La repressione, confermata
nei successivi rapporti di Amnesty International111, fu durissima e
indiscriminata perché solo attraverso una prassi politica di paura e terrore
si credeva possibile rompere i legami di solidarietà e sostegno che
collegavano le città alle azioni di guerriglia condotte dall'ALPS (Armée de
Libération Populaire Saharawi). Secondo una prassi già consolidata negli
anni precedenti per eliminare l'antagonismo in Marocco, le perquisizioni
senza mandato e l'arresto senza imputazioni erano la normalità, i detenuti
110 L. Ardesi, Sahara Occidentale, una scelta di libertà, Ed. Emi, Bologna 2004 pp 60-82.
111 http://web.amnesty.org/report2006/mar-summary-eng
76
- 76
venivano isolati in centri segreti e sottoposti in maniera sistematica a
diverse forme di tortura fisica e psicologica. La scomparsa degli arrestati
era una pratica diffusa su larga scala utilizzata come tecnica per
destabilizzare la famiglia e le relazioni amicali in modo da infondere un
senso di insicurezza generalizzato. Oggi si calcola che fra il 1975 e la fine
degli anni '80 i Sharawi desaparecidos furono più di 800112.
Nonostante ciò la popolazione rimasta nelle aree controllate dal
Marocco continuò ad esprimere un forte sostegno al Polisario che
mantenne, sopratutto nelle città di Layounne e Smara, un'efficace rete
clandestina di contatti con la leadership esterna che coordinava le azioni di
guerriglia nel deserto. Formalmente l'esercito marocchino controllava le
città ma non il deserto dove i guerriglieri poterono circolare liberamente
riuscendo a mantenere l'iniziativa. In due anni le FAR passarono da 60.000
a 90.000 componenti, un terzo dei quali impiegato nel Sahara Occidentale,
aumentarono anche le spese militari per mantenere le postazioni
conquistate da cui tuttavia il Marocco non riusciva ad avere alcun ritorno
economico. Il Polisario concentrò le sue azioni su obiettivi di carattere
economico (la produzione delle miniere di fosfati di Bou Craa fu
completamente bloccata per sei anni dall'inizio del conflitto) e fuori dai
confini ufficiali del Sahara Occidentale113, così il “dossier del Sahara
spagnolo” fu tutt'altro che archiviato come sostenne Hassan II al termine
della Marcia Verde.
Le già grandi difficoltà militari del Marocco si moltiplicarono dopo il
ritiro della Mauritania dal conflitto nel 1980114, così Hassan II fu spinto a
ricercare sostanziali aiuti verso gli Stati Uniti. I negoziati conclusi col
Marocco115 accordarono il permesso agli aerei americani di sostare, in caso
112 Rapporto sui desaparecidos in Marocco:
http://web.amnesty.org/library/Index/ENGMDE290041993?open&of=ENG-MAR
113 Nouakchott fu ripetutamente attaccata con colpi di artiglieria pesante e Tan Tan il 28
gennaio 1979 fu assediata per quattro ore dai guerriglieri che riuscirono a liberare i saharawi
arrestati e distruggere diverse installazioni militari presenti nella capitale provinciale.
114 Gli scontri più importanti avvennero il 22 giugno 1981 quando la guarnigione marocchina di
Guelta-Zemmour venne attaccata per 3 giorni da 3000 guerriglieri del Polisario. La stessa
città fu nuovamente presa di mira e liberata fra il 13 e 14 ottobre per 4 giorni dal Polisario che
per la prima volta utilizzò mezzi pesanti. Questo a significare un'innalzamento del livello del
conflitto.
115 T. Hodges, “Le nouvel axe strategique entre Washington et Rabat”, in Le Monde
Diplomatique luglio 1982.
77
- 77
di crisi, nelle basi marocchine per le operazioni delle forze di
dispiegamento rapido in cambio della fornitura d'armi e l'invio di istruttori
militari per l'addestramento delle truppe marocchine aeree e terrestri
impegnate nelle operazioni contro il Polisario. Nel rispetto dell'accordo,
Carter vendette al Marocco nel gennaio 1980 50 aerei, 24 elicotteri e 20
F5, nel 1981 Reagan espresse al Congresso la sua intenzione di cedere al
Marocco 80 carri M60 e nel 1985 re Hassan II chiese agli USA un
miliardo di dollari per l'acquisto di armi116, sempre in quel periodo gli
USA autorizzarono, dopo un contratto di 250 milioni di dollari firmato nel
1977, la copertura radar completa del territorio. Il dato fondamentale è
vedere come gli USA siano usciti dall'unilateralità del rapporto strategico
col Marocco, che nello scontro bipolare era concepito come luogo di
deposito
logistico
e
centro
di
stazionamento,
per
consacrarsi
all'elaborazione di una nuova strategia operazionale globale. Con
l'intervento dell'amministrazione Carter117, gli USA rafforzarono la loro
assistenza militare al Marocco118 all'interno di un nuovo piano
geostrategico la cui necessità fu sentita già a partire dal 1972 quando fu
concluso con l'Unione Sovietica il trattato ABM (Anti Balistic Missiles)
sul nucleare. Con questa firma cominciò progressivamente a dissolversi
un modo di fare la guerra concepito come atto generalizzato che implicava
uno scontro ad alta intensità con distruzioni indiscriminate. Nei conflitti
locali, come quello del Vietnam, gli USA compresero che non era più
vincente sostenere una guerra di massa, così si indirizzarono a questi
conflitti con un approccio diverso che non soltanto implicava il
ridimensionamento dell'unità di combattimento, ma anche l'utilizzo
ottimale delle nuove tecnologie informatiche e della comunicazione che
avrebbero assicurato una sostanziale superiorità e una relazione
assolutamente asimmetrica nei confronti del nemico119. Per gli USA, la
116 S.L. Malcomson, “The Cost of Helping Hassan”, The Nation 22 dicembre 1984
117 T. Hodges, “Pourqoi M. Carter a choisi le Maroc” in Le Monde diplomatique gennaio 1980.
118 Ufficialmente gli USA non hanno mai riconosciuto le pretese di sovranità del Marocco sul
Sahara Occidentale ma hanno sempre sostenuto la validità degli accordi di Madrid e quindi
riconosciuto al Marocco il potere amministrativo sul territorio anche se il diritto di sovranità
doveva essere espresso tramite referendum.
119 Per un'analisi approfondita della RMA (Revolution Military Affairs) si consiglia M. Hardt
T.Negri, Moltitudine, Rizzoli, 2004, pp. 61-70.
78
- 78
lunga guerra del Sahara rappresentò un laboratorio complesso di attività
tattiche, strategiche e logistiche che hanno preso rapidamente l'aspetto di
una guerra nuova rispetto a quelle condotte fino ad allora. Il conflitto del
Sahara rilevò la necessità di dominare una eventuale guerra di movimento
con un corpo speciale dell'esercito di dimensioni più ridotte, ad elevata
mobilità e con un alto supporto tecnologico allontanando così la necessità
di un intervento militare diretto che, come dimostrò la sconfitta asiatica,
implicava massicce perdite umane.
L'intervento USA influì pesantemente nella sperimentazione di nuove
dinamiche di conflitto sopratutto per la costruzione di un muro di difesa
che racchiudeva il triangolo “utile” fra Smara, Bou Craa e Layounne dove
erano concentrate le maggiori risorse di fosfati. La prima parte, completata
il 2 marzo 1981, era costituita da blocchi di sabbia alti circa tre metri
preceduti da campi minati e filo spinato lungo tutto il perimetro che, nella
sua lunghezza, era intervallato da postazioni d'osservazione armate e radar
moderni in grado di individuare gli attacchi della guerriglia e far
intervenire le truppe di riserva posizionate oltre il muro. Un anno dopo, nel
maggio 1982, il governo marocchino annunciò la fine dei lavori della parte
sud, da Bou Craa all'Atantico compreso Boujdour. La messa in piedi del
muro di fortificazione nacque dalla necessità militare emersa nel periodo
pre-fortificazione di isolare le unità dell'ALPS in una zona senza sbocchi,
costringendole così a perdere l'iniziativa degli attacchi. L'efficacia della
costruzione fu presto evidente e questo spinse il governo marocchino a
proseguire negli anni al prolungamento della fortificazione secondo un
asse nord-sud per un totale di 2700 km così nel 1987, quando fu
completata l'ultima parte della linea difensiva, la superficie totale di
Sahara Occidentale sotto occupazione marocchina passò dal 10% al 65%.
Anche se la fortificazione non costituiva una vittoria sul piano militare,
permise tuttavia ai marocchini e ai loro consiglieri americani, a ciascuno
secondo interessi immediati o lontani120, di sospendere il conflitto ed
120 Secondo A.O. Yara, l'offensiva condotta dagli Usa contro l'Iraq dal 24 gennaio 1991 non si
discosta di molto dalla guerra nel Sahara dove gli americani ebbero modo di partecipare
attivamente allo studio di diverse opzioni possibili capaci di superare gli ostacoli operazionali
di un'eventuale guerra di movimento. Questa guerra ha inaugurato una nuova concezione
79
- 79
assicurare così l'inclusione di una vasta area ricca di interessi economici
all'interno del sistema capitalistico mondiale, anche se priva di una
sovranità territoriale internazionalmente riconosciuta.
Originariamente il progetto di assimilazione del territorio doveva essere
un passaggio lineare e senza difficoltà sostenuto dai confortanti risultati
economici ottenuti a partire dal 1973 quando l'economia nazionale registrò
Fig.2 La costruzione del muro nelle sue fasi successive, in www.arso.org
una forte crescita del mercato internazionale dei fosfati che diede
l'impressione alla monarchia di poter intraprendere una nuova politica
economica espansiva in grado di accrescere il volume degli investimenti e
sollecitare la crescita. Prima della guerra il Marocco era il terzo produttore
mondiale di fosfati (dietro a Stati Uniti ed Unione Sovietica) e nel 1974 il
boom delle esportazioni registrò un significativo incremento (84%)
rispetto all'anno precedente che orientò il governo ad una radicale
revisione del piano quinquennale (1973-1978) per comprendere un forte
aumento del volume totale degli investimenti121 e sostenere così i costi di
strategica mondiale che ha sostituito la vecchia dinamica di conflitto Est/Ovest aprendo di
fatto la via alla “globalizzazione” virtuale e al monopolio militare americano. A.O. Yara
l'insurrection saharaouie de la guerre à l'Etat 1973-2003 l'Harmattan 2003, Paris, pp 99-102.
121 J.-C. Santucci, “Le plan quinquennal marocain 1973-1977”, Maghreb Machrek, n. 67, 1975
pp. 52-61.
80
- 80
una nuova politica di colonizzazione nel Sahara Occidentale. Questi
benefici si scontrarono con la realtà di una lunga guerra di logoramento
che secondo le stime costava al regno circa un milione di dollari al giorno.
Nel 1975 il mercato internazionale dei fosfati collassò dimezzando le
esportazioni rispetto l'anno precedente e il paese, incapace di trovare una
soluzione interna alla crisi, si rivolse all'estero aumentando il già alto
debito che passò da circa 2 miliardi di dollari nel 1974 a quasi 9 miliardi
nel 1981 quando il Marocco ricercò ed ottenne aiuti economici dagli USA
per finanziare l'impresa militare.
Il progressivo deterioramento della situazione economica raggiunse il
suo apice fra il 1977 e il 1978 aprendo una nuova fase di ristagno
concretizzata nel piano quinquennale 1978-83. Ufficialmente il piano fu
presentato come una “pausa” nella trasformazione della società
marocchina perchè le misure parziali previste concernevano sopratutto il
raggiungimento degli obiettivi del piano precedente. La voce di spesa
maggiore era quella per la sicurezza nazionale, non meno del 40% del
totale, e questo influì pesantemente nella politica della Cassa di
Compensazione che non riusciva più regolarizzare il prezzo in forte ascesa
di certi prodotti di prima necessità. Le conseguenze sociali di questa
economia di guerra furono catastrofiche, i vantaggi materiali legati al
recupero del Sahara si rilevarono presto illusori anche per la piccola
borghesia
nata
dopo
le
nazionalizzazioni
del
1973
che
vide
progressivamente erodere il suo potere d'acquisto. Ma le conseguenze
maggiori ricaddero come sempre sulla popolazione più povera
prevalentemente di estrazione rurale cioè circa il 60% della popolazione
totale. I risultati fallimentari della riforma agraria del 1973 che implicava
la trasformazione capitalista del sistema di produzione agricolo per
favorire l'esportazione, furono aggravati dalla siccità che colpì il paese nel
1980 ed ebbero come conseguenza principale quella di un esodo massiccio
verso le città incapaci tuttavia di assorbire l'enorme flusso della
popolazione. Il 20% della popolazione urbana viveva in bidonville in
condizioni igienico-sanitarie disastrose, la popolazione che viveva al di
81
- 81
sotto della soglia di povertà era del 28% nelle città e del 45% nelle
campagne, aumentò così ancora di più il già ampio divario sociale122.
Nel settembre del 1980 il FMI indusse il governo marocchino ad
innalzare
il
prezzo
dei
prodotti
sovvenzionati
dalla
Cassa
di
Compensazione dal 10 al 35% nella speranza di riequilibrare la bilancia
dei pagamenti, la stessa manovra fu riproposta con una serie di misure
governative anche nel 1981, causando un aumento dei prezzi ancora più
evidente (lo zucchero aumentò del 38,6%, il latte del 14,3%, la farina del
40% ed il burro addirittura del 76%). Di fronte ad una condizione di vita
ormai non più sopportabile esplose la rivolta nelle città. Anche questa
volta la scintilla partì dalle bidonville di Casablanca fra il 20 e il 21 giugno
1981 in maniera del tutto spontanea, e solo successivamente si unirono i
lavoratori dell'UMT e della CDT (Confederation Democratique du
Travail) proclamando lo sciopero generale. La protesta assunse subito le
sembianze di una rivolta urbana diffusa con banche, istituti di credito e
distributori di benzina incendiati, la polizia non poté fare niente per
fermare la rabbia della popolazione e ancora una volta, come nel 1965, fu
l'esercito ad intervenire con incredibile violenza, sparando sulla folla. I
disordini finirono solo il giorno successivo, dopo un'intera notte di
guerriglia e al termine dell'intervento armato secondo l'USFP i morti
furono 637 a fronte dei “soli” 66 che comunicarono le fonti governative,
nel tentativo di minimizzare l'accaduto. Tutti i giornali dell'opposizione
furono
chiusi,
circa
2000 le persone
incarcerate e processate
sommariamente senza prove, fra questi circa 200 dirigenti sindacali e
dell'opposizione politica123.
Le
preoccupazioni
per
la
monarchia
non
provennero
solo
dall'antagonismo sociale, il re era sempre più consapevole che il
prolungarsi di una difficile situazione militare nel deserto avrebbe
accresciuto le frustrazione dell'esercito e spinto le ambizioni degli ufficiali
a tentare nuovamente un capovolgimento dell'ordine politico. Questa
situazione spinse il generale Dlimi, fortemente legato alla riunificazione
122 M.Ginet, “Les limites de la “democratisation” au Maroc”, in Le Monde Diplomatique, luglio
1981
123 T. Hodges, op.cit. pp. 293-307.
82
- 82
del Sahara con il Marocco, ad avvicinarsi alle tesi di un gruppo
clandestino di giovani ufficiali, il “movimento del 16 ottobre” (data del
mancato colpo di stato di Oufkir). La soluzione che essi auspicavano era
quella di eliminare il re e costruire una possibile alleanza col Polisario in
grado di favorire la sua integrazione all'interno della comunità nazionale,
condividendone anche le responsabilità di governo. La posizione con cui
Dlimi si associò fu più moderata pensando fosse controproducente per un
paese così diversificato, abbattere la monarchia che, nell'immaginario
collettivo, rappresentava ancora un simbolo in cui ci si riconoscevano in
molti. Il piano su cui convennero gli ufficiali implicava quindi
l'abdicazione di Hassan II in favore del figlio, il principe Sidi Mohamed, e
l'esilio di tutta la famiglia reale per il tempo necessario a modificare la
Costituzione che avrebbe accordato al re una funzione puramente
simbolica. In seguito era necessario negoziare l'integrazione del Polisario
in un governo di unione popolare insieme alle altre forze politiche
marocchine, per un progetto di ricostruzione nazionale. Velocemente
Hassan II, allertato dai servizi segreti stranieri (americani e francesi)
convocò il generale Dlimi al palazzo reale di Marrakech il 25 gennaio
1983, ma questo incontro non ebbe mai luogo perché il corpo dell'ufficiale
venne ritrovato dilaniato all'interno di una vettura esplosa con una bomba.
In seguito all'assassinio del generale Dlimi, diverse decine di ufficiali
ritenuti coinvolti a vario titolo nella preparazione del golpe vennero
arrestati124. Dopo l'ennesima epurazione dell'esercito, la gestione del
dossier del Sahara, che ormai impegnava 150000 militari, fu raccolta dal
ministro dell'interno Driss Basri, che da quando prese in mano il dicastero
nel 1979 dimostrò un'alta fedeltà al trono, contraddistinguendosi per il suo
cinismo e spietatezza nella gestione dell'ordine pubblico.
Le tensioni sociali, economiche e politiche emersero in un momento
assai delicato per Hassan II impegnato a trovare una via di uscita
onorevole dalla difficile guerra nel deserto. Il re era ben consapevole che
ritirarsi non solo sarebbe stata l'occasione per le FAR di vendicarsi per
124 I. Ramonet, “Maroc: l'heure de tous les risques (suite) ” in Le Monde Diplomatique, gennaio
1984. Per un ulteriore approfondimento si consiglia il dossier di A. Mansour, “Qui à tué le
général Ahmed Dlimi? ” In Maroc Hebdo International, n. 642, 04-10 marzo 2005, pp. 10-13
83
- 83
l'umiliazione di una guerra inutile, ma anche che dall'esito del conflitto
dipendeva l'intera credibilità del suo regno costruita attorno ad un fragile
unanimismo populista emerso nei concitati momenti della marcia verde,
quando il suo nome entrò nella storia della dinastia alauita come il “Re
Unificatore”. Hassan II pensò quindi che l'unica soluzione possibile fosse
quella di continuare a combattere nonostante i costi sempre più alti e di
perseverare in una lunga guerra di logoramento che inevitabilmente
sarebbe ricaduta sulle spalle della popolazione più povera.
Il paese si ritrovò ai limiti della bancarotta, i prestiti provenienti
dall'estero vennero usati senza produrre ricchezza e il modello di crescita
aveva rilevato tutto il suo fallimento nel realizzare un vero piano di
industrializzazione capace di ridurre la dipendenza del paese dai mercati
esteri, sopratutto quello della CEE da cui proveniva il 60% del totale delle
importazioni, ma Hassan II, inamovibile nel sostenere gli alti costi della
guerra, decise di perseverare sulla strada del liberalismo economico
adottato sin dall'indipendenza, abbandonandosi completamente nelle mani
del Fondo Monetario Internazionale che nel settembre 1983 indicò le linee
guida di un rigido programma d'austerità economica. Il piano non fece che
aggravare certi aspetti della recessione in cui il paese già si trovava perché
puntava sopratutto a ristabilire l'equilibrio secondo una logica puramente
finanziaria125, senza tenere conto del costo sociale che questo comportava.
Il FMI costrinse il paese a ridurre i suoi diritti di dogana, a liberalizzare il
commercio e a predisporre il paese alle privatizzazioni di servizi e beni
industriali di cui lo Stato era proprietario (circa 600 industrie che per molti
marocchini erano la principale fonte di impiego). Incurante di realizzare le
condizioni necessarie per lo sviluppo industriale, il paese accumulò un
debito interno pari a 170 miliardi di dirham nel 1989 e nel corso del
decennio la crescita in termini reali del PIL non superò il 3,5% annuo, tre
volte in meno del livello medio degli anni '70. Il piano non fu in grado
nemmeno di condannare e porre un freno a tutte quelle risorse di
accumulazione improduttiva come le speculazioni finanziarie e la
corruzione che continuava ad essere una prassi comune fra i funzionari
125 I. Ramonet “ Maroc: l'heure e tous les risques” in Le Monde Diplomatique gennaio 1984.
84
- 84
pubblici e certi membri del Makhzen vicino al Palazzo, che nel corso degli
anni avevano accumulato enormi fortune mentre il paese versava nella
povertà e miseria126.
Nel corso di tutto il decennio, l'agibilità dei partiti politici risentì molto
delle scelte adottate dal sovrano. L'intero sistema della rappresentanza
politica fu portato nel corso degli anni ad una frammentazione127
esasperata sintomo di una incapacità congenita nel raccogliere le
aspirazioni della popolazione e di convogliarle all'interno di una
progettualità alternativa capace di creare un dibattito realmente
democratico. Al Marocco si è sempre riconosciuto il merito di aver
adottato un sistema pluripartitico sin dall'indipendenza quando il regime a
partito unico si affermava fra numerosi paesi appena usciti dal giogo
coloniale. Come si è visto questa “scelta” in realtà nascose dietro di sé una
scena politica dominata dal sovrano a cui le diverse Costituzioni hanno
sempre affidato il ruolo di guida incontestabile nel circoscrivere i limiti
entro cui era permessa l'azione parlamentare. Esistevano argomenti che
non potevano essere oggetto di alcun dibattito, questi comprendevano il
regime monarchico con il re garante dell'Islam ufficiale, la scelta liberale e
l'incontestabile marocchinità del Sahara Occidentale. Verso questi dogmi i
partiti d'opposizione potevano rifiutarsi di accettarli, ma questo avrebbe
condotto
inevitabilmente
alla
marginalizzazione
politica
e
alla
clandestinità, oppure adottare una posizione defilata, spesso sottolineata
dal boicottaggio delle elezioni, senza però incidere sul risultato proclamato
ufficialmente o, in definitiva, rassegnarsi all'integrazione nel gioco politico
limitato e manipolato che implicava il funzionamento del sistema. Il
dibattito rimaneva per cui condizionato da “tutti questi dogmi
incontestabili che hanno contribuito a creare un clima politico surreale
marcato
dalla
paura,
l'inibizione,
la
menzogna,
l'autocensura,
126 P.Vermeren, op. cit. pp. 81-84.
127 Nel 1983 gli eredi del “movimento 23 marzo” crearono l'OADP (Organisation de l'Action
Democratique et Populaire), nel mese di maggio all'interno dell'USFP avviene un'altra
scissione che porterà alla creazione del PADS (Parti de l'Action Democratique Socialiste).
Anche all'interno dei partiti filo-monarchici avvennero diverse scissioni: nell'aprile
1981dall'RNI si separò il PND (Parti National Democrate) a cui seguì, nel marzo 1983, la
formazione dell'UC (Union Costitutionnelle), fino ad arrivare al 1991 con la creazione
dell'MNP (Mouvement National Populaire).
85
- 85
l'accecamento o il rilancio più o meno opportunista (sopratutto per quanto
riguarda il Sahara Occidentale), la schizofrenia del doppio discorso con
acclamazioni in pubblico e feroci critiche in privato.128
2.4 Il processo di pace e il piano marocchino di integrazione
territoriale
Fra il 1980 e il 1987 le FAR portarono a compimento la costruzione del
muro di fortificazione (rinominato dai Saharawi “il muro della vergogna”)
riuscendo così a isolare ed a impedire le incursioni armate del Polisario
nella la parte di “Sahara utile” dove erano presenti le maggiori città e
risorse economiche della regione (fosfati, minerali e pesca). Alla RASD
non rimase altro che l'amministrazione del resto del deserto dove, durante
128 B. Coubertafond, La vie politique au Maroc, l'Harmattan 2001, Paris pp. 133-141.
86
- 86
gli anni di conflitto, erano sorti wilaya129 sempre più grandi ed organizzati
che garantivano non solo la redistribuzione degli aiuti internazionali ai
160.000 rifugiati, ma anche tutte le funzioni proprie di uno stato. Al
termine della costruzione della fortificazione, il conflitto entrò in una
nuova fase caratterizzata dalla sospensione delle azioni militari e dalla
ricerca di una soluzione diplomatica e internazionalmente riconosciuta che
permettesse a Rabat di cristallizzare lo status di occupazione.
Attraverso la mediazione del segretario dell'ONU Perez de Cuellar, le
parti firmarono il 30 agosto 1988 una proposta di regolamento in cui si
riconosceva “al popolo del territorio del Sahara Occidentale di esercitare il
suo diritto all'autodeterminazione e all'indipendenza conformemente alle
risoluzioni 1514 (XV) e 40/50 dell'Assemblea Generale delle Nazioni
Unite [...] senza costrizioni militari o amministrative”. Il regolamento
dispose che durante il periodo transitorio fino alla conclusione delle
operazioni referendarie, la gestione amministrativa e dell'ordine pubblico
dovevano essere garantiti da un rappresentante speciale nominato dal
Segretario Generale dell'ONU, assistito da una specifica Missione delle
Nazioni Unite per l'organizzazione di un referendum nel Sahara
Occidentale (MINURSO), autorizzata dal Consiglio di Sicurezza qualora
fossero state rispettate tutte le condizioni del regolamento130. Queste
comprendevano, oltre al rispetto imperativo del cessate il fuoco in vigore
dal 6 settembre 1991, anche l'impegno da parte del Marocco alla riduzione
progressiva dei militari presenti nella regione, alla liberazione di tutti i
prigionieri di guerra o detenuti politici saharawi e tutte le misure
necessarie per garantire il diritto ai rifugiati di ritornare senza restrizioni
nel territorio per partecipare liberamente al referendum. I saharawi erano
chiamati a scegliere fra l'indipendenza o l'integrazione al Marocco e le
parti convennero nell'accettare come base per la consultazione il
censimento effettuato dalla Spagna nel 1974, per questo fu creata una
129 Il Polisario divise i rifugiati oltre il confine algerino in quattro poli di aggregazione che
riprendevano i nomi delle città attualmente occupate dalle FAR (Layounne, Smara, Dakhla e
Ausserd). Ogni Wilaya (o regione) è suddivisa in daira (provincia) a sua volta suddivisa in
quartieri (barrio). Ogni wilaya comprende 6-8 daira e conta 30-50.000 abitanti.
130 Risoluzione 690/1991 del Consiglio di Sicurezza ONU.
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- 87
specifica Commissione per l'identificazione che sotto l'autorità del
Segretario Generale, fu incaricata di esaminare “accuratamente e
scrupolosamente” il censimento ed aggiornarlo131.
L'intervento dell'ONU è stato facilitato anche da una politica di
distensione regionale fra Hassan II e l'Algeria adottata a partire dal 1983
quando il re proclamò all'Assemblea Generale ONU la sua volontà di
accordare “una consultazione giusta, equa e leale [...] e l'impegno solenne
del Marocco a essere e considerarsi come obbligato al rispetto dei risultati
di questo referendum”132. Questo lento riavvicinamento incise sulla
maturazione della proposta dell'ONU che sul piano del diritto
internazionale, può essere considerata come una sorta di compromesso
politico perché se da una parte riconosce il diritto all'autodeterminazione,
dall'altra non condanna l'occupazione militare di un territorio straniero né
la successiva politica di colonizzazione su cui il governo marocchino
aveva già investito circa 2,8 miliardi di dollari.
Sul piano internazionale, il Marocco accettò quindi le condizioni del
processo di pace, ma sul piano effettivo lavorò per depotenziare il lavoro
dell'ONU e distorcere le condizioni originarie, trasformando il referendum
di autodeterminazione in semplice plebiscito per l'integrazione. Il primo
passo importante in questa direzione si registrò già pochi mesi dopo
l'insediamento della MINURSO, quando nel dicembre 1991 il segretario
generale Perez de Cuellar, al termine del suo mandato accettò (con la
risoluzione 725/1991 adottata senza consultare il Polisario) la proposta
marocchina di ingrandire il corpo elettorale facendovi rientrare anche chi
era nato da padre nato sul territorio e chi era membro di una tribù saharawi
che aveva risieduto sei anni consecutivi sul territorio o dodici non
consecutivi. Questi nuovi criteri offrivano il diritto a cittadini di paesi
vicini di fare parte del corpo elettorale, nello specifico si trattava di
170.000 nuovi potenziali votanti che il governo di Rabat aveva intenzione
di includere nella lista originaria, capovolgendo completamente il rapporto
effettivo della popolazione e rinviando sine die lo svolgimento del
131 Rapporto del Segretario Generale ONU S/21360 La situaton en ce qui concerne le Sahara
Occidental del 18/6/1990.
132 Discorso di Hassan II alla 37ma Assemblea Generale ONU del 27 settembre 1983.
88
- 88
referendum. Questa decisione suscitò immediate critiche anche da parte
del rappresentante speciale ONU Johannés Manz133 che il 13 dicembre
1991 condannò apertamente la “seconda marcia verde” del governo
marocchino e la politica accondiscendente del segretario generale che
tendeva a “cautelare la politica marocchina del fatto compiuto”.134
Il 28 agosto 1994 cominciarono le identificazioni secondo i nuovi
criteri, ma nel settembre 1995 il percorso subì una nuova interruzione a
causa della contestazione del Polisario sull'inserimento di alcune tribù135.
Queste contavano virtualmente circa 65.000 votanti e il Polisario si oppose
al loro inserimento dal momento che erano tribù che hanno sempre abitato
il sud marocchino e il loro legame con il Sahara Occidentale era
considerato inesistente. Il percorso del processo di identificazione così,
risultò completamente bloccato anche sotto il segretariato di Boutros-Ghali
che più volte minacciò il ritiro della missione dal territorio. Ma fu proprio
il Marocco a scongiurare la riapertura del conflitto militare perché questa
situazione di paralisi del processo di pace giocò sopratutto in suo favore
dal momento che in queste condizioni riuscì a mantenere il proprio
esercito sul territorio (nonostante le indicazioni contrarie del 1988) ed
investire somme sempre più consistenti nello sviluppo economico,
legittimando di fatto la sua presenza nel territorio.
La terza ripresa del processo di identificazione coincise con l'arrivo di
Kofi Annan, ma sopratutto con l'ex Segretario di Stato americano James
Baker che, come inviato personale del Segretario Generale ONU,
riesaminò la situazione e consultò le parti per verificare se effettivamente
esistessero le condizioni per l'applicazione di un nuovo piano di
regolamento che potesse aumentare le possibilità della messa in opera
rapida del processo. Il metodo Baker fu accolto positivamente da entrambe
le parti, esso consisteva in una serie di incontri separati, preparatori per la
133 M. de Foroberville, “Sahara Occidental: échec au plan de paix”, in Le Monde Diplomatique,
novembre 1992
134 Al termine del suo mandato Perez de Cuellar sarà nominato nel 1993 vice presidente della
società francese di commercio internazionale OPTORG, in realtà per il 70% di proprietà della
famiglia reale marocchina e del ministro degli esteri Filiali. Dopo la denuncia per corruzione
del Polisario e la conseguente diffusione internazionale della notizia, lascerà il posto nel
consiglio di amministrazione.
135 Si trattava delle tribù chiamate H41, H61, J51/52.
89
- 89
realizzazione di un incontro diretto a porte chiuse. I primi incontri indiretti
si svolsero a Londra l'11 e il 12 giugno 1997quando Baker incontrò la
delegazione marocchina composta dal primo ministro con delega agli
affari esteri Abdellatif Filali e Ahmed Snoussi, ambasciatore alle Nazioni
Unite; il rappresentante ONU incontrò anche la delegazione saharawi,
algerina e mauritana. Alla conclusione di questa prima tornata di incontri
Baker riuscì ad ottenere significative concessioni da entrambe le parti, tali
da rimettere in moto il cammino del processo di pace, il Marocco fu infatti
disponibile a ritirare 60.000 domande di registrazione e il Polisario accettò
la ripresa del processo di identificazione. Al secondo turno di incontri dal
19 al 20 luglio 1997 le parti convennero nel non presentare, direttamente o
indirettamente, alla commissione di identificazione alcun membro delle
tribù “contestate” ad eccezione delle persone già inserite nel censimento
del 1974 e i loro discendenti immediati; le parti tuttavia non erano tenute
ad impedire attivamente alle persone appartenenti a questi gruppi tribali di
presentarsi individualmente all'identificazione. Il terzo incontro del
commissario ONU con le delegazioni si svolse a Lisbona il 29 agosto
1997 e riguardava l'accantonamento delle truppe militari delle FAR e
dell'ALPS, un accordo sui prigionieri di guerra e un altro sui detenuti
politici. I risultati136 vennero formalmente riconosciuti da entrambe le parti
durante il vertice di Huston in Texas dal 14 al 16 settembre 1997137.
Sul piano interno i risultati del vertice di Huston vennero amplificati
nella stampa nazionale per dimostrare la tenacia e la determinazione del
Makhzen nel “non abbandonare neanche un granello di sabbia del Sahara”,
sottolineando che il referendum non potrà che confermare la marocchinità
di questa parte di deserto. Per rassicurare l'opinione pubblica il ministro
dell'interno Driss Bassri, al termine del vertice si impegnò in un intenso
viaggio nei territori occupati dal 20 al 22 ottobre 1997 durante il quale
ebbe l'occasione di visitare le principali città ed esultare per il successo dei
risultati ottenuti. “I principali criteri per l'identificazione contenuti nel
piano ONU, sono conformi alle rivendicazioni marocchine. Il ritorno degli
136 Rapporto del Segretario Generale S/742/1997 in http://www.arso.org/S-1997-742f.pdf
137 T. de Saint Maurice, Sahara Occidental: l'enjeudu referendum d'autodetermination,
L'Harmattan, 2000, Paris, pp21-48.
90
- 90
elettori Saharawi sequestrati nei campi di Tindouf per partecipare al voto
nel territorio marocchino, è garantito. [...] La presenza delle FAR e dei
servizi
amministrativi
nelle
province
sahariane
è
mantenuta.
L'installazione degli uffici elettorali esclusivamente nelle nostre province
sahariane e l'accesso del Marocco alle onde radio dell'Algeria, della
Mauritania, delle Isole Canarie e di Tindouf, sono regolate di comune
accordo. [...] cos'altro può chiedere il popolo?”138.
Queste dichiarazioni urtano violentemente con la difficile situazione
che esisteva sia all'interno dei territori, sia a livello internazionale.
Nonostante gli sforzi propagandistici, il Marocco era consapevole che
difficilmente avrebbe potuto ottenere un risultato positivo da una
consultazione elettorale che contemplasse l'autodeterminazione. Così la
politica che ne seguì fu quella di paralizzare nuovamente i meccanismi
procedurali del piano di pace, mentre sul piano interno, si trattò di insistere
sempre più sul possesso de facto del territorio attraverso misure
economiche, politiche e poliziesche.
Fra il 1978 e il 1992 il governo marocchino ha investito nel territorio
del Sahara Occidentale più di un miliardo e mezzo di dollari in
infrastrutture civili come l'aeroporto di Layounne (15 milioni di dollari),
gli ammodernamenti portuali per la pesca (circa 250 milioni di dollari),
1650 km di strade, edifici a uso abitativo, una decina di scuole e due
ospedali. La capitale Layounne è divenuta una “zona franca” in cui i
prodotti erano venduti meno cari che nel resto del paese e i salari dei
lavoratori marocchini erano più elevati perché direttamente incentivati dal
governo centrale. Un altro importante investimento fu quello per la
realizzazione del porto di Dakla, nel sud del paese, destinato a diventare
fra i punti d'attracco più grandi dell'Africa Occidentale. Rabat stanziò circa
70 milioni di dollari per la sua realizzazione, sottolineano l'importanza che
questo progetto avrebbe potuto avere sopratutto per le relazioni
commerciali con l'Europa e per lo sviluppo dei nuovi rapporti euromediterranei139. Il dispiegarsi progressivo dei nuovi metodi produttivi
138 A. Chankou, “Driss Bassri remet les pendules à l'heure”, in Maroc Hebdo International n.
294, ottobre 2007.
139 P. San Martin, “EU-Morocco Fisheries Agreement: The unforeseen consequences of a very
91
- 91
neoliberisti ha completamente distrutto le strutture e le reti commerciali
che esistevano prima dell'invasione lasciando spazio ad un rapporto di
dipendenza economica diretta verso il Marocco in cui tutti i prodotti e le
merci che circolavano nei territori occupati erano importati unicamente dal
Marocco mentre tutto quello che veniva estratto e prodotto nel Sahara
Occidentale era destinato all'esportazione140. Anche se questi investimenti
si rilevarono fondamentali per lo sviluppo economico della regione e per
l'immagine di normalità che il Marocco si sforzava di costruire, la
situazione economica complessiva del regno non sembrava migliorare
nonostante i dieci anni del programma di aggiustamento strutturale del
FMI141.
Dal punto di vista dell'integrazione politica, in riferimento all'articolo
100 della nuova riforma costituzionale approvata nel settembre 1996, il
parlamento marocchino adottò il 2 aprile 1997, la nuova legge per
l'organizzazione regionale (n°47-96) grazie alla quale lo Stato centrale
trasferiva la gestione di specifiche materie (come quelle riguardanti il
sistema scolastico, l'impiego, la formazione professionale e la disciplina
delle istituzioni miste pubblico-privato) alla competenza esclusiva dei
consigli delle sedici nuove regioni create142. Questa decisione rientrava in
una serie di misure di liberalizzazione politica che Hassan II aveva
cominciato ad intraprendere a partire dalla metà degli anni novanta,
quando il suo stato di salute cominciò a regredire. Egli voleva lasciare
l'immagine di uno Stato in trasformazione, aperto ai principi democratici
che una nuova politica di decentramento implicava perché attraverso la
concessione di un più ampio processo di coinvolgimento, avrebbe
garantito la partecipazione dei cittadini nelle scelte politiche Tuttavia uno
fra gli scopi di questo intervento era quello di far rientrare a tutti gli effetti
le nuove province sahariane all'interno dell'intero sistema amministrativo
dangerous turn”, GEES - Grupo de Estudios Estratégicos, 13/6/2006, in
http://www.gees.org/articulo/2601/
140 I. Dalle, “ Le Maroc a fait des dépenses considérables au Sahara”, AFP, Rabat, 4 Novembre
1995
141 M. El Banna “Un rapport ministériel met en relief l'extreme fragilité de l'economie
marocaine”, Le Monde, Paris, 12/9/1995
142 Z. Daoud, “Maroc: les élections de 1997” in Maghreb-Machrek, n°158 ottobre-dicembre
1997.
92
- 92
centrale, infatti nel quadro della nuova divisione amministrativa, Smara
risultava integrata all'interno della regione sud-marocchina di Guelmin,
mentre Layounne e Dakhla erano i due capoluoghi di altrettante regioni
distinte (Layounne-Boujudour e Oued Eddahab).
I nuovi consigli regionali rimanevano in carica per sei anni ed erano
intimamente legati al diretto controllo del Makhzen che, attraverso il
ministero dell'interno, ne sceglieva il governatore e decretava le sue
dimissioni. In effetti non si trattava di una modifica di stampo federale, ma
di una riforma di decentramento impostata su alcuni principi fondamentali
che ne limitavano fortemente la portata. La sovranità era indivisibile e il
Marocco rimaneva uno stato unitario con una sola fonte di sovranità
esercitata sulla totalità del territorio. L'ente territoriale si amministrava ma
non governava, ovvero non esisteva un potere normativo locale e
l'amministrazione si esercitava all'interno e nel rispetto delle attribuzioni
del legislatore centrale. Infine, il principio di integrità territoriale
significava indivisibilità del popolo che era composto da tutti i cittadini
marocchini senza distinzioni di origine, etnia o religione, questo implicava
che non erano riconosciute minoranze e non esisteva quindi un sistema di
diritto capace di tutelare le specificità culturali, religiose o linguistiche143.
Questa nuova architettura amministrativa fu fondamentale per
comprendere la direzione che assunsero i negoziati di pace dopo la
proposta di regolamento di Houston e collocare il nuovo accordo quadro
del 2001 all'interno di un progetto marocchino ben preciso, che non ha più
il referendum come obbiettivo finale ma è finalizzato verso una soluzione
politica negoziata che possa portare alla concessione di un'autonomia
progressivamente più ampia alle regioni del territorio sahariano all'interno
della sovranità del regno marocchino.
L'accordo quadro del 2001144 proposto da Baker prevedeva infatti un
periodo di autonomia di cinque anni durante il quale l'amministrazione del
territorio veniva affidata ad un consiglio esecutivo di saharawi di cui
potevano far parte coloro i quali erano già stati censiti nella lista del 1974.
143 M. Sehimi, “Autoritèé et territoire”, in Maroc Hebdo Internatonal, n°444, 15-21 dicembre
2000.
144 Rapporto del Segretario Generale S/613/2001 in http://www.arso.org/S-2001-613f.pdf
93
- 93
I saharawi avevano la competenza dell'amministrazione locale in cui
rientrava la riscossione delle imposte, la gestione della sicurezza interna e
dell'ordine pubblico, oltre che la competenza esclusiva sulla cultura,
educazione e sviluppo, mentre al regno del Marocco rimanevano le
prerogative di sovranità come le relazioni internazionali (compresa la
stipulazione di accordi e convenzioni), la sicurezza e difesa nazionale e la
responsabilità dell'integrità nazionale contro i tentativi di secessione sia
interni che esterni. Al termine di cinque anni di autonomia simulata, un
referendum doveva stabilire il nuovo statuto del Sahara Occidentale e al
voto potevano partecipare tutti coloro che risiedevano da almeno un anno
nel territorio, indipendentemente dall'origine.
Ma anche questo piano è destinato a fallire perché in definitiva
prevedeva comunque il voto sul diritto di autodeterminazione e questo
avrebbe sancito necessariamente la vittoria netta e definitiva di una parte e
la conseguente delegittimazione dell'altra, così nel 2004 Baker si dimise
abbandonando definitivamente il dossier sul Sahara Occidentale. Sin dalle
origini del conflitto, l'ONU è sempre stata impotente nel far rispettare le
sue decisioni basate sulla legalità di un diritto internazionalmente
riconosciuto, rimanendo schiacciata dagli interessi ideologici contrapposti
all'interno del Consiglio di Sicurezza e dai giochi di alleanze e protezioni
che questi implicavano. Quando l'ONU provò a nuovamente a prendere in
mano il dossier del Sahara Occidentale, questo avvenne all'interno di uno
scenario internazionale profondamente mutato caratterizzato dalla
preponderanza militarista degli Stati Uniti nella regolazione dei conflitti,
decisi a liquidare gli ultimi residui della disputa est/ovest e a dettare le
regole di un nuovo ordine globale.
94
- 94
CAPITOLO TERZO
Mohamed VI e le nuove speranze democratiche
Gli anni '90 registrano una possibile apertura del Marocco verso
l'integrazione dei valori democratici. Diversi cambiamenti hanno
profondamente coinvolto l’assetto costituzionale del paese dal momento
che sono state introdotte alcune riforme politiche tese a incanalare le
molteplici forze e tensioni interne esplose attraverso la mobilitazione della
società civile e a garantire l’integrazione dei partiti d’opposizione nel
sistema di governo.
Nel 1998 è inaugurata una nuova fase politica, definita di “alternanza”,
quando Abraham Youssufi, leader socialista diventa primo ministro, non
prima però che venisse approvata nel 1996 una vasta riforma
costituzionale con l’appoggio delle principali formazioni politiche, che
95
- 95
grazie alla questione del Sahara Occidentale avevano abbandonato
definitivamente l’opzione golpista, avviando un nuova fase riformista nei
loro rapporti con la monarchia. La nuova Costituzione esprime in una certa
maniera anche la spinta progressista sollecitata dai diversi movimenti per i
diritti umani nella trasformazione della società e il loro tentativo di aprire
un profondo percorso democratico capace di conquistare nuovi diritti di
cittadinanza in contrapposizione alla condizione di suddito, conseguenza
del potere autoritario. Nel testo, infatti, per la prima volta viene fatto
riferimento esplicito alla tutela dei diritti dell'uomo e comprende alcune
importanti riforme come la creazione di un ministero specifico e
l’istituzione del CCDH (Conseil Consultatif des Droits de l'Homme).
Il 23 luglio 1999 muore Hassan II e, in base al principio di ereditarietà
del trono, il suo posto viene preso dal figlio Mohamed VI. La sua giovane
età stimola diverse speranze fra la popolazione che riconosce in lui la
possibilità di nuove aperture, così necessarie ad un paese in profondo
cambiamento. Inoltre il suo ostentato attaccamento ai diritti dell'uomo e il
continuo riferimento ai disoccupati, poveri ed analfabeti, rendono la sua
figura molto più vicina alla popolazione di quanto lasciava credere Hassan
II e la sua retorica elitaria. Le speranze e le aperture emerse con la
successione trovavano sin da subito un difficile banco di prova quando il
nuovo re dove affrontare un nuovo ciclo di lotte che si è prodotto nel
Sahara Occidentale che prende il nome di Intifada Saharawi.
I moti esplosi a partire dal 1999 hanno evidenziato una realtà
sociologica estremamente complessa nelle province del Sud marocchino.
Molti giovani, partendo da una condizione materiale di malessere sociale
che non trovava risposte se non nell'ordine pubblico e nella gestione
securitaria del territorio, hanno spostato progressivamente l'obiettivo delle
loro rivendicazioni sull'aspetto identitario, con un richiamo netto
all'indipendenza e all'autodeterminazione tanto che anche il Polisario “al di
là del muro” ha cominciato a guardare con interesse il movimento
spontaneo, fino ad appoggiarlo apertamente come nelle dimostrazioni del
2005. Contemporaneamente è emersa anche l’importanza di una nuova
96
- 96
classe dirigente saharawi che è riuscita a costruire la sua forza e ricchezza
attraverso la concessione e lo sfruttamento delle risorse naturali del
territorio in collusione con il potere politico-militare del makhzen. Questi
ricchi notabili giocheranno un ruolo chiave nel progetto di “larga
autonomia” che la monarchia ha presentato all’ONU nel tentativo di dare
una svolta alla paralisi del processo di pace senza ricorrere al referendum
d’autodeterminazione invocato dal Polisario. Anche se la proposta di
autonomia è evidentemente contraria alle regole internazionali che
riguardano la decolonizzazione, appare però realizzabile se si considerano
i grandi interessi economici emersi con le recenti esplorazioni petrolifere e
la necessità di stipulare dei contratti di licenza internazionalmente validi
con un territorio “non autonomo”.
3.1 Il nuovo re fra continuità autoritaria e aperture democratiche
Dagli anni '90 il campo politico marocchino è stato attraversato da
modifiche di diversa natura che lasciano presagire un nuovo atteggiamento
della monarchia verso una possibile apertura per l'integrazione dei valori
democratici. Su questi possibili cambiamenti ha influito non solo un
palcoscenico internazionale profondamente cambiato dopo il crollo del
muro di Berlino, ma anche a forze e tensioni interne esplose attraverso la
mobilitazione della società civile su diverse forme di contestazione del
potere politico. Il processo di evoluzione politica interno che grazie alla
questione del Sahara Occidentale aveva avvicinato tutte le principali forze
del paese attorno alla monarchia, prosegue quindi il suo percorso su alcune
importanti modifiche istituzionali, politiche e giuridiche che Hassan II ha
introdotto per preparare il regno alla successione. Con successione, non si
vuole intendere il solo passaggio di trono fra Hassan II e suo figlio
97
- 97
Mohamed VI, quanto piuttosto un lungo percorso di transizione politica
verso la modernità che fino all'ultimo decennio del vecchio monarca è
stato neutralizzato dalla condotta di dirigenti politici e funzionari
makhzenizzati che hanno preferito conservare il sistema tradizionale
autoritario piuttosto che democratizzarlo145.
La possibilità di questo cambiamento è divenuta in parte possibile
grazie al verificarsi di due importanti presupposti: l'accettazione da parte
di tutti i soggetti politici dell'utilità di un processo riformista che non
rimetta in discussione in maniera drastica la distribuzione attuale del
potere e la fiducia nel costituzionalismo come metodo per fissare questi
equilibri. Il riformismo auspicato, lento e progressivo, nasce quindi da una
nuova relazione fra opposizione e monarchia, caratterizzata da mutue
garanzie vitali per ognuna delle due parti, per ridefinire nuove regole che
governino l'esercizio del potere all'interno di un nuovo quadro
costituzionale. Un patto politico di non belligeranza, mai esplicito ma che
viene consolidato negli anni '90 quando le forze d'opposizione hanno
registrato una profonda trasformazione nel ridefinire nuove prospettive
strategiche che, abbandonando definitivamente l'opzione golpista,
permettano di arrivare al governo.
La spinta verso un nuovo quadro costituzionale capace di garantire un
nuovo equilibrio degli interessi politici che contempli anche la possibilità
di alternare la guida del paese, nasce nel 1989 con la proclamazione del
cessate il fuoco e la previsione di un referendum nel Sahara Occidentale.
Hassan II decide di consultare la popolazione per un prolungamento della
legislatura che doveva essere rinnovata nel 1990. Il referendum, approvato
con il 99.89% dei consensi il 1 dicembre, avviene in un contesto socioeconomico difficile in cui il parlamento ha adottato la privatizzazione di
122 industrie statali e la ripresa di una politica economica d'austerità per
far fronte alla diminuzione del tasso di crescita. Da questo momento la
ricerca dell'alternanza politica progredisce in concomitanza della
liberalizzazione economica che impone sacrifici ed è accompagnata da
145 Mouaquit M., Cambiamento politico, società civile e globalizzazione: il caso del Marocco in
“Società globale e Africa Mussulmana. Aperture e resistenze” a cura di A. Baldinetti,
Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004, pp. 129-131.
98
- 98
disordini sociali (scioperi generali e settoriali146) e universitari (con
l'ascesa sempre più rapida degli islamisti).
Nel 1991 il re convoca i leader dell'opposizione per comunicare
ufficialmente loro la riforma costituzionale che prevedeva nuove leggi e
un nuovo sistema elettorale. Nella speranza di trovare un più rapido
appoggio alla sua iniziativa, liberò
alcuni prigionieri politici, ma le
negoziazioni con l'opposizione avvengono in un clima ancora di aperta
ostilità. I partiti d'opposizione147 il 17 maggio 1992 si riuniscono nel
“Blocco Democratico”, “considerando l'importanza delle sfide che il paese
dovrà affrontare in tutte le materie, tanto a livello di consacrazione
dell'unità territoriale e del suo perfezionamento, quanto nell'instaurazione
di una democrazia vera sul piano politico, economico, sociale e
culturale”148. Fino al 1994 il rapporto fra la nuova compagine unitaria
dell'opposizione e la monarchia rimane costantemente in tensione con
colpi di mano che descrivono un difficile percorso verso l'inserimento
dell'opposizione nell'attività di governo. Il blocco democratico, infatti, si
rifiutava di entrare in un esecutivo la cui azione sarebbe rimasta comunque
limitata dall'attuale quadro politico che riconosceva al re la prerogativa
nella scelta del capo del governo e dei ministeri principali. Le condizioni
che la Koutla poneva insistevano sull'elezione diretta di tutti i membri
della Camera e sulle riforme costituzionali necessarie affinchè l'alternanza
di governo risultasse essere espressione delle urne e non una scelta del
re149.
Spinto dalla necessità di arrivare all'alternanza nonostante questo
implicasse il riconoscimento di alcune concessioni e sotto il peso
progressivo di diverse realtà e forze autonome della società marocchina
che si strutturavano attorno alla difesa dei diritti dell'uomo intesi nella loro
globalità (sia che si tratti di diritti politici, culturali o socio-economici), il
re annuncia il 20 agosto 1996 “una riforma progressiva ed efficace che
146 Rivolta a Fes il 14 e 15 dicembre 1990 a cui seguì uno sciopero generale.
147 Istiqlal, USFP, UNFP, PPS e OADP.
148 L'Opinion, 27 maggio 1992. op cit in “Creation du Bloc Democratique”, Maghreb Machrek,
n. 137, 1992.
149 Daoud Z., “Maroc: les élections de 1997”, Maghreb Machrek, n.158, 1997, pp 105-108
99
- 99
segua le esigenze dell'epoca e che sia conforme alle componenti umane,
intellettuali e politiche del nostro paese”150.
A settembre viene proposta l'approvazione tramite referendum del
nuovo testo costituzionale che, per la prima volta, riceveva anche il
consenso dell'Usfp e dall'Istiqlal. Le concessioni del monarca, infatti,
comprendevano anche l'elezione diretta a suffragio universale dell'intera
Camera e l'accordo, non detto, che il re scegliesse il primo ministro
tenendo conto della maggioranza in Parlamento. Il nuovo testo
costituzionale, inoltre, traduceva una certa volontà politica che si
inscriveva nella logica delle aspettative formulate esplicitamente dai
partner occidentali del regime. Tuttavia, nonostante il consenso pressoché
unanime delle maggiori rappresentanze politiche, rimane da sottolineare
che il re ha sempre mantenuto l'iniziativa delle negoziazioni dando loro un
carattere consultativo, rimarcando sempre che l'iniziativa della riforma
fosse reale, questo spiega le definizioni paradossali di “alternanza
consensuale” o “alternanza desiderata dal re”151.
Non si può dunque, non essere scettici sulla reale portata di questi
cambiamenti e sul valore effettivo delle riforme. Il dialogo si è svolto
comprendendo solo una parte delle forze politiche e sociali in campo (gli
ex partiti dell'avanguardia marxista, molte organizzazioni per i diritti
dell'uomo e gli islamisti hanno rifiutato il testo) e rimangono ancora forti
tensioni nella formazione del governo con la nomina diretta da parte del re
dei ministri cosiddetti di “sovranità”: giustizia, affari esteri e interno (Driss
Basri, uomo simbolo della repressione durante gli anni di piombo, ha
mantenuto la poltrona nel nuovo governo). Inoltre la portata positiva
dell'elezione diretta dell'intera Camera è depotenziata dall'introduzione di
una seconda camera a elezione indiretta, espressione delle entità decentrate
e degli ordini professionali, direttamente controllata dal makhzen152. In
realtà, attraverso questa riforma, il parlamento risulta indebolito piuttosto
che rafforzato perchè, rispetto al numero totale dei membri di entrambe le
150 Discorso del re Hassan II il 20 agosto 1992.
151 Tozy M., “Réformes politiques et transition démocratique”, in Maghreb Machrek, n.164,
1999, pp 64-73.
152 Vedi paragrafo 2.4
100
-
camere, quelli eletti indirettamente risultano essere più numerosi rispetto
all'unicameralismo in cui solo un terzo dei membri era di nomina reale153.
Il primo governo d'alternanza del 1998 vede alla guida Abderrahman
Youssufi leader dell'USFP rientrato dopo 30 anni di esilio nel 1993.
Apparentemente questo avvenimento può essere interpretato come un
possibile credito che registrano le nuove riforme istituzionali contenute nel
testo del 1996, ma, secondo uno schema già vissuto precedentemente in
Marocco, sarebbe più opportuno pensare all'ultimo tentativo ben riuscito
di rinnovamento del Makhzen compiuto da Hassan II prima della sua
morte. Per capire se si tratta di un cambiamento reale o di “adattamento
del potere autoritario”, bisognerà attendere l'atteggiamento di Mohamed
VI alla scadenza della legislatura nel 2001, per il momento è importante
analizzare i risultati delle elezioni legislative del 14 novembre 1997154,
caratterizzati dal più alto tasso di astensionismo nella storia del
Marocco155, per comprendere una situazione di generale disaffezione della
popolazione nei confronti dell'intero sistema della rappresentanza. I partiti
infatti vedono il loro credito politico indebolito perché la scelta per una
politica conciliante con il Palazzo ha eliminato ogni distinzione netta fra
gli schieramenti lasciando così un vuoto politico di pratiche e di contenuti
che sarà occupato dai diversi attori della società civile.
Gli anni '90 corrispondono infatti in Marocco ad una moltiplicazione
delle realtà associative come espressione della società civile. Questa
proliferazione in parte è stata resa possibile grazie all'aiuto crescente
proveniente dall'estero, non solo in termini di nuovi finanziatori, quanto
piuttosto perchè è riuscito rompere il muro di omertà e silenzio che la
guerra fredda aveva innalzato e dietro al quale sono state commesse e
legittimate le terribili atrocità che hanno caratterizzato il Marocco sotto la
153Ottaway
M., Riley M., “Morocco: from Top-down reform to Democratic
Transition?”, Carnegie endowment, n°71, settembre 2006 p 5.
154 Il blocco di “destra” raggiunse il 30,26% dei voti, il blocco di “centro” il 26,43% e il blocco
democratico (Koutla dimuqratiyya) ottenne la maggioranza relativa con il 31,71% delle
preferenze.
155 Gli iscritti a votare furono 12.790.631 ma di questi solo 7.456.996 (pari al 58,3%)
parteciparono al voto. I voti nulli furono 1.085.366 quindi i suffragi espressi furono poco più
di 6 milioni.
101
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guida di Hassan II156. L'evoluzione politica della società marocchina rinvia
ad una realtà sociologica molto diversificata, interpretata dai movimenti
per i diritti umani, le associazioni coinvolte in azioni di sviluppo sociale e
gruppi di obbedienza islamica, il cui numero e rappresentatività sociale è
un importante fattore da tenere in considerazione. L'importanza del
movimento dei diritti umani sul nuovo percorso democratico del Marocco
risiede
nella lotta per la conquista di nuovi diritti di cittadinanza in
contrapposizione alla condizione di suddito, conseguenza del potere
autoritario esercitato dal makhzen. Le cause endogene che hanno portato
alla loro diffusione nascono contemporaneamente all'insistenza dei
processi di sviluppo economico neoliberali che vedono nella generale crisi
della rappresentanza una diretta conseguenza e che hanno lasciato un
vuoto di opposizione sopratutto a partire dalle materie del sociale. Il
veloce sviluppo delle associazioni avviene all'interno del contesto urbano e
fra queste, un numero significativo si struttura prevalentemente per la
difesa di interessi particolari come quelli per la tutela delle vittime degli
anni di piombo, per la libertà di impresa o contro la corruzione. Queste
recenti organizzazioni fanno riferimento al più esteso quadro di quelle
sorte in difesa dei diritti dell'uomo sin dal 1972 quando nacque la Ligue
Marocaine de Défense des Droits de l'Homme (LMDDH) a cui fa seguito
nel 1979 l'Association Marocaine des Droits de l'Homme (AMDH).
Entrambe le associazioni inizialmente erano legate ai partiti istituzionali
dell'opposizione (Istiqlal e UNFP) e solo nel 1988 nacque l'OMDH
(Organisation Marocaine des Droits de l'Homme), la prima organizzazione
che deve il suo successo e credibilità proprio all'indipendenza e autonomia
dalle istituzioni e dai pubblici poteri. All'interno del territorio esercita la
sua
attività,
anche
se
in
maniera
clandestina,
l'associazione
AFAPREDESA fondata il 20 agosto 1989 all'interno dei campi di Tondouf
amministrati dalla RASD157. La nuova Costituzione del 1996 esprime in
156 Nel settembre 1990 esce in Francia, presso le edizioni Gallimard, il libro di Gilles Perrault
notre ami le Roi, che attraverso una vasta documentazione accumulata dai militanti delle
associazioni per i diritti dell'uomo, ricostruisce gli anni di piombo in Marocco sotto Hassan
II.
157 All'interno del sito dell'associazione www.afapredesa.org si trova il manifesto di fondazione
oltre numerosi rapporti dettagliati.
102
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una certa maniera anche questi grandi mutamenti della società marocchina.
Nel testo per la prima volta viene fatto riferimento esplicito alla tutela dei
diritti dell'uomo e comprende alcune importanti riforme istituzionali che
vanno in questo senso come la creazione nel 1990 del CCDH158, dei
tribunali amministrativi (1993), un ministero specifico per la difesa dei
diritti dell'uomo (1993) e l'istituzione di un consiglio costituzionale nel
1994159.
Il 23 luglio 1999 muore Hassan II e, in base al principio di ereditarietà
del trono inserito sin dalla costituzione del 1962, il suo posto viene preso
dal figlio Mohamed VI. Nel discorso pronunciato in occasione della sua
intronizzazione il 30 luglio 1999, il nuovo re si propone di consolidare le
fondamenta della politica interna indicate in maniera “chiara e precisa” dal
padre: la monarchia parlamentare, il multipartitismo, il liberalismo
economico, la regionalizzazione, lo stato di diritto, la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e la tutela delle libertà individuali e collettive160.
L'opinione pubblica internazionale e marocchina giudica con speranza
l'arrivo del nuovo re: la sua giovane età, solo trentanove anni come a
simboleggiare il legame di una monarchia moderna con un paese in
cambiamento, il suo ostentato attaccamento ai diritti dell'uomo e il
continuo riferimento ai disoccupati, poveri ed analfabeti, rendono la sua
figura molto più vicina alla popolazione di quanto lasciava credere Hassan
II e la sua retorica elitaria161.
In effetti nei primi mesi di regno, Mohamed VI non sembra disattendere
queste aspettative: a capo della fondazione Mohamed V (una specie di
ONG umanitaria fondata da Hassan II negli ultimi anni del suo regno) il re
si reca di persona nei villaggi più remoti, compreso il Rif ignorato da suo
padre sin dal 1959, per offrire cisterne d'acqua alle vittime della siccità,
158 È un organismo consultativo, indipendente dal potere legislativo, esecutivo e giudiziario,
composto da 37 membri che riflettono la pluralità politica, sindacale, culturale e
professionale. Per Hassan II si trattava di un'iniziativa di perfezionamento dello stato di
diritto. Ad esso fa riferimento un'Istanza d'arbitraggio indipendente incaricata di fissare i
risarcimenti per le vittime delle “sparizioni forzate” e della “detenzione arbitraria”
159 M. Mouaquit, op. cit. pp. 132-133
160 Discorso del trono pronunciato a Rabat il 30 luglio 1999 reperibile in http://www.maroc.ma/
portale ufficiale del regno
161 A. Mansour, “S.M. Mohamed VI, un roi de proximité” in Maroc Hebdo International, n.
395, dicembre 1999
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sostenere microprogetti di sviluppo o incoraggiare azioni di solidarietà. La
sua attenzione verso gli emarginati ha una doppia valenza, simbolica
perché innalza l'immagine caritatevole di “re dei poveri” e politica perché,
come osserva Mohamed Tozy, taglia l'erba sotto i piedi degli islamisti che
fin'ora hanno avuto il monopolio degli interventi caritatevoli nei quartieri
poveri, traendone grande popolarità162. Nell'agosto 1999 annuncia la
creazione di una commissione reale d'indennizzo per i vecchi prigionieri
politici (più di 420 in cinque anni), il ritorno di Serfaty e dei familiari di
Ben Barka dall'esilio, la liberazione di diversi prigionieri di diritto comune
e detenuti politici come Abdessalam Yassine, leader del maggiore
movimento islamista marocchino (al-Adl wa al-Ihsan) e sopratutto la
rimozione dall'incarico di Driss Basri dopo vent'anni al ministero
dell'interno163.
Nonostante le aperture promosse in campo sociale e sul riconoscimento
dei diritti dell'uomo, la politica del nuovo re negli anni a seguire è sempre
più orientata a seguire l'impronta tracciata dal padre di un riformismo di
facciata che non intacca la reale struttura di distribuzione del potere. Il re,
nella formazione del governo, rimane libero di scegliere se prendere in
considerazione i risultati delle elezioni o ignorarli. Così, nel 2002 viene
designato come primo ministro Driss Djettou, un tecnico non appartenente
ad alcun schieramento politico ma conosciuto sin dal 1993 quando fu a
capo dei ministeri economici164, prima di arrivare all'interno per sostituire
Basri. Egli fu l'artefice dell'organizzazione delle elezioni del 2001 ma, a
conferma del carattere intrinseco con cui fu condotto il processo di
alternanza, la sua nomina non risponde ad alcuna maggioranza uscita dalle
urne. Familiarizzando con il potere, il re non ha minimamente modificato
il sistema clientelare di cooptazione. Nella nomina dei nuovi governatori
regionali e delle prefetture urbane ha semplicemente rimosso i funzionari
162 I. Ramonet “Le Maroc indécis” in Le Monde Diplomatique, luglio 2000
163 P.Vermeren, op. cit. pp 106-110
164 Ministro del commercio e dell'industria dal 1993 al 1995, poi ministro delle finanze, del
commercio, dell'industria e dell'artigianato dal 1997 al 1998. precedentemente fu presidente
della federazione degli industriali e vicepresidente dell'associazione marocchina degli
esportatori. Prima di assumere l'incarico di ministro dell'interno fu presidente dell'Office
Cheriffien des Fosphates
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scelti da suo padre con altri a lui fedeli, lasciando vaghe le loro
attribuzioni. La causa strutturale delle mancate riforme politiche risiede
proprio nel fatto che queste, calate dall'alto, dovrebbero essere promosse
da un'elite dominata dal Palazzo, visibilmente poco incline a condividere il
suo potere che rimane così privo di qualsiasi forma di contestazione
diretta della sua legittimità165.
Per interpretare meglio i meccanismi con cui vengono condotte le
riforme nel regno di Mohamed VI, è importante analizzare l'esperienza
dell'IER (Istance Equité et Réconciliation). Nel dahir del 10 aprile 2004
viene definito il mandato della commissione, nata non come istanza
giudiziaria per designare le responsabilità individuali delle violazioni gravi
dei diritti dell'uomo commesse fra il 1956 e il 1999, ma piuttosto come un
organismo il cui obiettivo è quello di “riconciliare i marocchini con se
stessi e con la loro storia” attraverso l'inchiesta, la raccolta di informazioni
e la consultazione degli archivi ufficiali. La responsabilità della IER in
materia di riparazioni non è limitata ai soli indennizzi finanziari, ma dovrà
anche formulare delle raccomandazioni e proposte per assicurare la
riabilitazione psicologica e sociale delle vittime. Nella sua attività ha
accolto più di 16 mila esposti fra coloro che hanno subito detenzioni
arbitrarie, hanno avuto un familiare scomparso “misteriosamente” o sono
state vittime di tortura e dell'uso sproporzionato della forza pubblica166.
Questa istituzione, unica nel suo genere fra tutti i paesi del mondo che
sono stati governati da poteri autoritari, ha significato un passo in avanti
importante per l'evoluzione democratica del paese. La sua istituzione è
stata fortemente voluta dalle innumerevoli associazioni e ONG che
quotidianamente hanno raccolto materiale e informazioni per denunciare le
ingiustizie subite dalla popolazione e il re ha visto in questa l'occasione
giusta per “consolidare la transizione democratica, il rafforzamento
dell'edificazione dello stato di diritto e il radicamento dei valori e della
165 M. Catusse, F. Vairel, “Ni tout à fait le meme, ni tout à fait un autre. Metamorphoses et
continuité du régime marocain”, Maghre Machrek, n°175, 2003 pp 73-91
166 J. Baida, “L'experience de l'Istance Equité et Réconciliation au Maroc”, in Experiences et
memoire: partager en francais la diversité du Monde, Bucarest, settembre 2006.
105
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cultura della cittadinanza e dei diritti dell'uomo”167. Tuttavia, anche se la
sua formazione è stata sollecitata “dal basso”, la messa in opera rispecchia
pienamente la modalità propria del sistema monarchico essa, infatti, viene
comunque concepita come una “gratificazione reale”. La sua autonomia è
limitata perché otto dei suoi diciassette membri provengono direttamente
dal CCDH, ovvero una struttura interamente nominata e finanziata dal re.
La condotta con cui doveva essere ricercata la verità non poteva
imperativamente mettere in pericolo l'ordine pubblico e la stabilità del
paese per cui non vennero messe in causa le responsabilità individuali o
istituzionali dei partiti che hanno sollecitato o coperto le violenze degli
anni di piombo, ciò implica che molti dei responsabili continueranno a
rimanere al proprio posto di lavoro, se non di comando, all'interno dello
Stato. La riconciliazione perpetuata in questo modo è frutto di un
compromesso in cui le vittime sono riconosciute comunque colpevoli di
aver tentato di rovesciare il regime mentre i carnefici e i responsabili
politici rimarranno impuniti168. La strada verso la democrazia rimane
quindi un miraggio lontano perché solo attraverso un processo collettivo
capace di smuovere le coscienze e di imputare ad ognuno le proprie
responsabilità è possibile rompere con la tradizione autoritaria e non
permettere che il clima di terrore si possa più riproporre in Marocco.
Il Marocco di Mohamed VI cerca di voltare pagina all'insegna della
continuità, perchè senza un vero processo di catarsi della monarchia il
pericolo è che le violazioni possano riproporsi anche perché, soprattutto
dopo l'11 settembre 2001, il contesto internazionale è lontano dal favorire
l'apertura del campo politico. Infatti, in seguito al crollo delle torri gemelle
a Ney York e le esplosioni del 16 maggio 2003 a Casablanca, ma
sopratutto a causa della globalizzazione economica e dei suoi effetti
disastrosi per la periferia, il re fa votare dal Parlamento una legge
antiterrorismo che assegna alle forze di polizia il diritto a detenere un
167 Testo integrale del discorso pronunciato dal re in occasione dell’inaugurazione dell'Instance
équité et réconciliation , Agadir, 07/01/04 in http://www.map.ma/mapfr/discours/disc-equitereconciliation.htm
168 M. Rollinde, “L'alternance démocratique au Maroc: une porte entrouverte”, in Confluences
Méditerranée, n. 51, autunno 2004.
106
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sospetto fino ad otto giorni, senza che possa contattare neanche un
avvocato e di perquisire case ed attività commerciali senza mandato.
Ancora più grave, la legge nella definizione di terrorismo fa rientrare tutte
le manifestazioni capaci di turbare l'ordine pubblico, facendo passare per
minaccia permanente tutti coloro che rifiutano il consenso securitario e il
politicamente corretto, come i militanti Saharawi, quelli per i diritti
dell'uomo o addirittura i giornalisti169.
Fra questi c'è sicuramente Ali Lmrabet direttore delle riviste satiriche
Demain Magazine e Doumane, condannato il 17 giugno 2003 a tre anni di
prigione e all'interdizione dalla professione per oltraggio alla persona del
re, attentato alla monarchia e attentato all'integrità territoriale, dopo aver
pubblicato un articolo sul giornale francese Le Monde del 10 ottobre. Nel
testo egli fa un quadro molto pungente della situazione che vive il
Marocco sotto Mohamed VI, vale la pena ricordarlo, se non altro a causa
della censura che ha subito: “Incorreggibile Marocco! Sempre pronto ad
occultare la realtà con gli stessi sempiterni discorsi. Discorsi o, piuttosto,
menzogne che non presentano rughe dopo più di vent'anni. L'Ufficio del
Turismo compie uno sforzo sovrumano per diffondere l'immagine di un
Marocco immutabile nella sua bellezza, generosità e cultura. Questo
slogan pubblicitario sarebbe più giusto, più onesto, se si potesse
aggiungere: “immutabile nel modo di essere governato”. Poiché, quali
sono le scelte “democratiche” o “moderniste” delle quali ci riempiono le
orecchie qui ed altrove?170”
169 Abdelmoumni F. “L'impunitè au Maroc” in Confluences Méditerranée n 51, autunno 2004.
170 A. Lmrabet “Incorrigible Maroc!” in Le Monde 10 ottobre 2003.
107
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3.2 L'intifada saharawi
Le promesse e le speranze che segnarono i primi mesi del regno di
Mohamed VI, non riescono a placare la diffusione del malessere sociale.
Un processo di riconciliazione calato dall'alto che garantisce l'impunità ai
responsabili delle violazioni dei diritti dell'uomo e l'uso sistematico della
violenza e della tortura come prassi di una politica securitaria, sono i limiti
strutturali della politica messa in campo dal nuovo re nella transizione
democratica del paese ed anche i presupposti con cui la monarchia affronta
un nuovo ciclo di lotte che si è prodotto nei territori occupati del sud, che
prende il nome di “intifada saharawi”.
Gli avvenimenti che segnarono la città di Layounne nei territori
occupati a partire da settembre e ottobre 1999 hanno segnato un punto di
svolta fra la popolazione saharawi, nella ricerca di nuove pratiche di
resistenza che vanno oltre la soluzione militarista, registrando un nuovo
rinnovato protagonismo della generazione nata dopo il cessate il fuoco.
Poche decine di studenti saharawi organizzarono un sit-in dimostrativo per
richiedere borse di studio e sussidi ai trasporti nelle università marocchine.
A loro si unirono dapprima i prigionieri politici che chiedevano
108
-
risarcimenti e verità sulle responsabilità dei desaparecidos, seguiti poi dai
lavoratori saharawi delle miniere di fosfati di Bou Craa e da alcuni
disoccupati. Per diversi giorni i protestanti allestirono alcune tende nella
piazza Dcheira di fronte l'hotel Najir che ospitava il centro direzionale
della MINURSO. Inizialmente evitarono deliberatamente ogni riferimento
esplicito
all'occupazione,
concentrando
le
loro
rivendicazioni
esclusivamente sul terreno sociale ed economico, l'obiettivo infatti era
quello di testare il livello della reazione marocchina, quanto velocemente e
con che livello di violenza le forze di sicurezza avrebbero risposto e
calcolare così la preparazione di manifestazioni più grandi per il futuro 171.
La reazione delle autorità scattò fra il 22 e 23 settembre al dodicesimo
giorno di presidio, quando le forze di sicurezza sfondarono le tende ed
aggredirono i manifestanti con manganellate e gas lacrimogeni arrestando
arbitrariamente una decina di studenti, non prima di aver fatto evacuare
l'hotel occupato dei delegati ONU che avrebbero dovuto stilare un
rapporto sullo svolgimento degli eventi. Le violenze continuarono anche i
giorni successivi con diversi gruppi di marocchini che, implicitamente
autorizzati dall'esercito, entrarono nelle case dei militanti saharawi per
saccheggiarle e distruggere gli affetti più cari. L'operazione ebbe come
unico risultato quello di radicalizzare la popolazione che cinque giorni
dopo organizzò una grande manifestazione in cui emergevano anche le
rivendicazioni per l'indipendenza e l'autodeterminazione, ad essa
parteciparono anche i coloni marocchini provenienti dai sobborghi della
città, a dimostrazione che la causa impostata sui diritti politici, piuttosto
che sull'identità etnica, avrebbe avuto maggiore successo nelle adesioni.
Dopo le diverse critiche espresse a livello internazionale, addirittura
anche dal dipartimento di stato americano172, sulla violenza con cui le
forze di sicurezza marocchine hanno reagito alla dimostrazione, il re
decretò dal 30 settembre lo stato d'emergenza e il coprifuoco ed il 6
ottobre inviò una delegazione di sei ministri con l'obiettivo di “ascoltare le
rivendicazioni degli abitanti per trovare delle soluzioni durevoli al
171 Intervista a Salka Barka, fra i leader della protesta, effettuata a Washington da Maria J.
Stephan il 13 gennaio 2006.
172 http://www.state.gov/www/global/human_rights/199_hrp_report/wsahara.html
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malessere recentemente espresso che ha portato alla violenza”173. Il piano
d'emergenza proposto dalla delegazione comprendeva l'aumento delle
borse di studio per gli studenti, sostegno morale e finanziario ai portatori
di handicap, un programma specifico per l'inserimento dei diplomati
disoccupati nel mercato del lavoro e la costruzione di abitazioni popolari.
Inoltre il re, di sua iniziativa, rimosse il governatore locale e il capo della
polizia, annunciando l'elezione per un nuovo Consiglio reale degli affari
sahariani. Ma la situazione stentava a tornare alla normalità, infatti la notte
del 30 ottobre Layounne fu di nuovo il teatro di durissimi scontri fra
Saharawi e forze dell'ordine marocchine quando diverse centinaia di
persone manifestarono pacificamente contro la repressione e la politica
marocchina.
Dopo queste prime iniziative, è difficile dare un'interpretazione univoca
del fenomeno. Se si tiene conto delle cifre ufficiali fornite dal censimento
generale del 2004 il 50% degli abitanti delle province del Sud ha meno di
18 anni e più del 40% meno di 30. Il 30% dei giovani diplomati sono
disoccupati e fra questi il 70% è di origine urbana. Nella provincia di
Guelmine-Smara, solo il 44,8% dei giovani dai 20 a i 24 anni e il 54,7% di
quelli fra 25 e 29 anni sono occupati, il tasso di analfabetismo supera il
20% nei i ragazzi fra i 15 e 24 anni e supera il 40% in quelli fra 25 e 34
anni. Molti giovani non hanno la possibilità di seguire gli studi e la
precoce uscita da scuola fra gli adolescenti per cercare lavoro, porta spesso
all'emigrazione verso i paesi occidentali. Le città del Sud marocchino
soffrono anche di una grave insufficienza di infrastrutture economiche e
socio-culturali, i grandi investitori cioè i notabili e i ricchi borghesi della
regione preferiscono depositare in maniera più prudente i loro soldi nel
nord del Marocco o all'estero piuttosto che nel Sud, ricco di risorse
naturali come pesca e fosfati o di grandi potenzialità nel settore turistico.
Questi dati sembrano confermare l'interpretazione governativa che fa
risalire l'origine delle contestazioni esclusivamente a rivendicazioni di tipo
economico e sociale che nulla hanno a che vedere con la questione
173 A. Chankou, “Le gouvernement se redéploie à Layounne”, in Maroc hebdo international,
n. 388, ottobre 1999.
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dell'indipendenza del territorio174.
Se si considera il ritmo crescente e la diffusione delle manifestazioni
caratterizzate sempre più spesso dal frequente richiamo all'indipendenza e
all'autodeterminazione, si comprende che il problema ha ben altra natura e
non ha nulla a che vedere con la versione ufficiale che il Marocco si sforza
di dare agli eventi, che vuole che i saharawi saranno integrati al Marocco
solo una volta che il regime monarchico riuscirà loro offrire una situazione
migliore175 senza tuttavia modificare le dinamiche di potere all'interno. Gli
avvenimenti futuri permetteranno di delineare in che direzione sfocerà la
contestazione.
Quella che generalmente viene chiamata “seconda intifada” scoppiò
quando le autorità marocchine decisero il trasferimento di alcuni
prigionieri saharawi dalla prigione di Layounne a quella di Ait Melloul,
nei pressi di Agadir. Fra questi c'era Ahmed Mahmoud, denominato Al
Kinane (l'uomo che morde, in dialetto hassania) proprio per la sua
determinazione nell'impegno sociale e politico. Nonostante la famiglia
abbia cercato di impedire il suo trasferimento organizzando un presidio
sotto al carcere insieme a diversi militanti dell'associazionismo per i diritti
umani, la polizia riuscì ugualmente a condurre il detenuto presso il nuovo
carcere. In seguito fu organizzato un altro sit-in di solidarietà e sostegno
per chiedere l'annullamento del trasferimento e il miglioramento delle
condizioni di vita dei prigionieri. Già lunedì 23 maggio 2006, il numero
dei partecipanti davanti l'abitazione di Al Kinane era enormemente
cresciuto, attirando l'attenzione di numerosi manifestanti e militanti
dell'associazionismo. Il presidio continuò anche il giorno successivo,
anche questa volta inizialmente le rivendicazioni erano centrate sul
richiamo alle leggi internazionali per la tutela dei diritti dei detenuti, ma a
differenza del giorno precedente, le forze di sicurezza del GUS (Gruppo
Urbano di Sicurezza) non esitarono ad intervenire nel tentativo di sedare la
manifestazione e riportare l'ordine. L'intervento repressivo non fece altro
174 M. Izdine, “Les révoltes de Layounne”, in Maroc Hebdo International, n.725, dicembre
2006, pp. 18-22.
175 A.O. Yata, L'insurrection Sahraouie. De la guerre à l'Etat 1973-2003, L'Harmattan, Paris,
2003, pp. 117-120.
111
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che radicalizzare le proteste che, a differenza di quanto avvenuto
precedentemente, questa volta si indirizzarono esclusivamente sulla
rivendicazione dell'indipendenza e dell'autodeterminazione. La tenacia dei
manifestanti, che resistettero a ripetute cariche, costrinse le forze di
sicurezza a ripiegare e ad aprire uno spiraglio di trattativa con le autorità
locali. In realtà la negoziazione, che portò ad un accordo sul trasferimento
dei feriti all'ospedale e sul rilascio di alcuni arrestati, servì alle autorità
marocchine per prendere tempo e richiamare altre brigate dei reparti
speciali che accerchiarono completamente la piazza Hay Maatalah e i
quartieri vicino. Per tutta la notte fra il 25 e il 26 maggio avvennero
durissimi scontri fra manifestanti e le forze di sicurezza di diversi reparti
che impiegarono anche mezzi pesanti nel tentativo di disperdere il
presidio. Centinaia furono gli arrestati e la polizia non rinunciò a violare i
domicili dei saharawi per saccheggiarli e distruggere tutto, terrorizzando le
famiglie che si trovarono all'interno. Il clima a Layounne fu tesissimo per
tutta la settimana caratterizzata da durissimi scontri che presto si
propagarono anche nella altre città occupate di Smara e Dakhla, dove
alcuni militanti innalzavano vessilli della RASD, e nei campus universitari
di Marrakech, Rabat e Fez, frequentati da un'altissima percentuale di
studenti saharawi che espressero solidarietà e sostegno alla causa
indipendentista. Gli arrestati furono un centinaio, fra questi anche il
presidente della sezione locale dell'AMDH176, la cui detenzione risultò
essere un'importante testimonianza nel denunciare lo stato critico di salute
e le torture a cui sono sottoposti i detenuti. A tal proposito, domenica 29
maggio i saharawi organizzarono un altro presidio sotto l'hotel Nikjeer,
sede della stampa internazionale, gli incidenti infatti avevano richiamato
l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale e immediatamente Rabat
impose misure molto rigide per filtrare gli arrivi dei giornalisti nelle
province teatro degli scontri177. Questi continuarono in maniera sporadica
176 Rapport d'enquete relatif aux événements de la ville de Layounne, Rapporto di una
commissione di inchiesta dell'AMDH relativa agli avvenimenti a Layounne nel mese di
maggio 2005.
177 G. Lombart, J. Pichot, “Peur et silence à El-Ayoun”, in Le Monde Diplomatique, gennaio,
2006.
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per tutto l'anno, raggiungendo il loro apice il 30 ottobre 2005 quando morì
Hamdi Lambarki, un giovane saharawi pestato a morte dagli agenti del
GUS al termine di una manifestazione.
Come nel Marocco gli anni '90 corrispondono all'esplosione delle realtà
associative,
anche
nel
Sahara
Occidentale
la
rottura
strategica
rappresentata dall'intifada esprime la forza esercitata dalla società civile. I
saharawi infatti, nella loro opposizione hanno rinunciato alla lotta armata e
questo, oltre che accrescere, seppur limitatamente, la legittimità
internazionale della loro causa, ha aumentato enormemente l'efficacia
delle loro azioni. L'applicazione sistematica di pratiche di disobbedienza
civile come proteste, boicottaggi, scioperi, e la creazione di strutture civili
parallele ha aumentato la consapevolezza della forza della popolazione
civile mentre ha tolto il potere di controllo esercitato dalle forze occupanti.
Questo ha permesso che, a differenza di quanto si sarebbe potuto ottenere
con una lotta clandestina armata, le pratiche di resistenza civile sono state
adottate da un numero maggiore di oppositori che hanno deciso così di
sottrarsi ai meccanismi di controllo impostati in maniera illegittima dal
Marocco. Infatti l'efficacia strategica dell'intifada emerge quando sempre
più soggetti, rifiutando di sottomettersi all'autorità e alla disciplina
dell'oppressore, riescono a disgregare le dinamiche di controllo impostate
dall'occupante. Nei conflitti asimmetrici l'importanza di queste lotte
consiste anche nel fatto che le forze controinsurrezionali non possono
anticipare quali saranno gli obiettivi né immaginare le contromosse da
adottare. Le forze di sicurezza, di qualsiasi reparto si tratti, sono infatti
preparate a combattere armi alla mano azioni condotte da militanti armati
mentre sono completamente impreparate ad affrontare efficacemente
movimenti di massa disarmati178.
Un tipo di resistenza di questo tipo implica l'aspetto fondamentale
dell'unità di tutte le forze che si pongono su un terreno di contestazione del
potere esercitato dal makhzen. Questo comprende il coinvolgimento e la
cooperazione non solo di tutti i saharawi, ma anche di tutte le forze
178 J. Stephan, J. Mundy, A Battlefield Transformed: from Guerrilla Resistence, to Mass Nonviolent Struggle in the Western Sahara, Internationale Studies Association annual conference,
San Diego, 2006.
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democratiche presenti in Marocco e pone due ordini di problemi molto
importanti: il primo è quello di avere la meglio sui soggetti saharawi che
con il tempo hanno accettato l'autorità marocchina rendendosi complici
dell'occupazione, il secondo ha invece come limite la politica securitaria in
Marocco che considera illegale ogni forma di contestazione dei dogmi
indicati dalla monarchia. Lo sviluppo che ha conosciuto la società civile in
Marocco è un elemento chiave da tenere in altissima considerazione,
infatti, come abbiamo visto, molte associazioni per i diritti umani come
l'AMDH, pur essendo marocchine contribuiscono alla causa saharawi nella
denuncia dei crimini commessi dalle autorità anche se ancora non è chiara
la loro posizione rispetto l'occupazione. Questo evidenzia come, nel
processo di lotta, sia strategicamente importante lavorare insieme alla
società
civile
marocchina
attraverso
la
controinformazione
per
sensibilizzare l'opinione pubblica in modo poi da spingerla a prendere
posizione sulla situazione nel Sahara Occidentale. Esistono anche alcuni
esempi, come nel conflitto che coinvolge Israele e la Palestina di diversi
elementi delle forze militari israeliane che hanno disobbedito agli ordini,
rifiutandosi di prestare servizio militare e di utilizzare la violenza contro la
popolazione civile179.
Un passo credibile verso il piano di autonomia proposto dal Marocco
sarà possibile solo quando questo sforzo unitario dal basso riuscirà ad
avere la meglio sul sistema autocratico di potere esercitato dal makhzen
ma se questo processo continuerà ad essere impedito, ogni ipotesi di
integrazione resterà sulla carta così come le aperture democratiche di cui
la popolazione marocchina ha disperato bisogno.
179 Per un approfondimento sul fenomeno dei Refusenik, si raccomanda P. Kidron, Meglio
carcerati che carcerieri: i refuseniks israeliani raccontano la loro storia. Il Manifesto,
Roma, 2002.
114
-
3.3 Il piano di autonomia e la maroccanizzazione del Sahara
Occidentale
I moti esplosi a partire dal 1999 hanno evidenziato una realtà
sociologica estremamente complessa nelle province del Sud marocchino.
Molti giovani, partendo da una condizione materiale di malessere sociale
che non trovava risposte se non nell'ordine pubblico e nella gestione
securitaria del territorio, hanno spostato progressivamente l'obiettivo delle
loro rivendicazioni sull'aspetto identitario, con un richiamo netto
all'indipendenza e all'autodeterminazione tanto che anche il Polisario “al di
là del muro” ha cominciato a guardare con interesse il movimento
spontaneo, fino ad appoggiarlo apertamente come nelle dimostrazioni del
2005. La politica che la monarchia ha sostenuto in tutti questi anni di
amministrazione coatta, era rivolta prevalentemente all'arricchimento della
borghesia alleata ai rappresentanti dello Stato nella regione. La nuova
classe dirigente saharawi ha così costruito la propria ricchezza grazie alla
concessione e lo sfruttamento delle risorse naturali del territorio in
collusione con il potere politico-militare del makhzen. L'aspetto
economico comincia ad essere la giustificazione in sé dell'occupazione, la
proprietà delle maggiori compagnie di pesca, appartiene ai cosiddetti
“signori del Sahara”, un gruppo di generali dell'esercito e leader politici e
115
-
delle maggiori tribù locali che hanno riconosciuto la be٬ya al sovrano. Lo
stesso re è proprietario di diversi terreni e la grande somma che il governo
di Rabat spende annualmente nello sviluppo di infrastrutture civili e
militari è essa stessa un affare assai redditizio che alimenta la corruzione e
la sovradimensione dell'aspetto militare180, oltre che l'arricchimento
attraverso le attività illecite del contrabbando e del traffico di esseri umani.
Nella sua gestione delle élite, il ministero dell'interno ha elargito le
ricchezze in funzione del grado di fedeltà dei capi tradizionali,
mantenendo un tipo di divisione sociale su base tribale che, senza
redistribuire equamente i proventi, ha alimentato una profonda ingiustizia
sociale.
Questi ricchi notabili sono i membri del CORCAS (Conseil Royal
Consultatif pour les Affaires Sahariennes), l'istituzione voluta da Hassan II
sin dai primissimi anni d'occupazione ma che perse importanza durante il
conflitto. Nel 2006 Mohamed VI decise di rivitalizzarlo per dare una
parvenza di dialogo con la comunità locale, così il 20 marzo si reca in
visita nei territori occupati per rendere pubblico il piano di autonomia
delle province sahariane, prima che questo venga presentato ufficialmente
al Consiglio di Sicurezza dell'ONU nell'aprile 2006181. Nel suo discorso
inaugurale pronunciato Layonne il 25 marzo il sovrano indica le grandi
linee del compito che spetta al consiglio: “impostare una riflessione serena
ed approfondita, e vedere come immaginano il progetto di autonomia nel
quadro della sovranità reale” già elaborato dal re e dai suoi più stretti
consiglieri. Il ruolo del Consiglio è puramente consultivo, i membri
possono fare delle proposte ma senza oltrepassare la linea rossa tracciata
dal Palazzo e sottolineata pubblicamente: “il Marocco non cederà un solo
pollice, né un granello di sabbia del suo caro deserto [il Consiglio è
invitato] a difendere, a fianco dei poteri pubblici e delle istituzioni elette,
la marocchinità del Sahara”182.
180 Rapporto AFASPA 2002 (Association française d’amitié et de solidarité avec les peuples
d’Afrique) pp 36-42 cit in Fisera R., A people Vs Corporation? Self-determination, Natural
Rresources and Transnational Corporation in Western Sahara, Thesis of European Master's
degree, Venezia, 2004.
181 Sahimi M. “Le sprint final” in Maroc hebdo International n 691, marzo 2006.
182 Discorso pronunciato a Layounne il 25 marzo 2006 dal re in occasione della cerimonia di
116
-
Il Consiglio è composto da 140 membri, di cui 14 donne ed è presieduto
da Khalli-Henna Ould Errachid, un notabile favorevole alla tesi
marocchina, sin da quando decise di sciogliere il PUNS183, di cui era
segretario e fondatore, al termine della marcia verde. Membro di una
famiglia influente fra le più grandi tribù del Sahara Occidentale (i
R'guibat) è stato da sempre perfettamente integrato al sistema politico
marocchino infatti, cresciuto seguendo le orme di Driss Basri, ha ricoperto
diversi incarichi
come ministro e deputato. Come osserva un
costituzionalista dalle colonne del giornale marocchino Le Journal
Hebdomadaire “questi notabili [che fanno parte del CORCAS] sono il
prodotto della politica marocchina nel Sahara. Nominando Ould Errachid
alla testa del Consiglio, il re intende dirigere l'elite saharawi e, nello stesso
tempo, rassicurarla. Il regime non ha più quindi un vero interesse affinchè
l'autonomia risulti essere troppo larga. È dunque nella sua essenza, poco
democratica, che l'autonomia sia limitata e che prenda, ad esempio, la
forma di una semplice regionalizzazione”. Il piano puramente formale del
consiglio è confermato anche dal fatto che la sua prima riunione è fissata
per il 4 dicembre, quando tutte le commissioni si incontreranno con il
presidente per formulare le loro osservazioni, senza che mai niente sia
trapelato alla stampa, anche il compito assegnato di tramite per
l'impostazione “di un dialogo con i separatisti di Tindouf” non può essere
efficace perché il principio adottato per la sua costituzione è impostato
sull'esclusione di tutti coloro che possono essere collocati vicino alle
posizioni del Polisario184.
L'istituzionalizzazione del CORCAS avviene in un momento importante
della lunga strada del processo di pace. Nel progetto di “larga autonomia”
presentato all'ONU, la funzione che ora è assolta dal Consiglio, che viene
definito come organo rappresentativo della popolazione, servirà da tramite
nell'istituzione degli organi di governo locale previsti. Il piano prevede
costituzione del CORCAS in http://www.map.ma/mapfr/corcas/textes/ceremonie-corcas.htm
183 Il Partido de Union Nacional Saharaui fu creato nel 1974 come movimento vicino alla tesi
sostenuta da Madrid di autonomia della provincia all'interno dell'amministrazione centrale
spagnole. Data la sua funzione puramente strumentale, fu l'unico partito legale ad essere
riconosciuto da Franco oltre la Falange.
184 O. Brouksy “Que peut faire le Corcas?” in Le Journal Hebdomadaire, marzo 2006
117
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infatti l'istituzione di uno statuto di “larga autonomia della regione del
Sahara nel quadro della sovranità del regno e della sua unità nazionale”.
La regione autonoma185, di cui non si specifica l'effettiva delimitazione
territoriale, sarà diretta da un governo locale il cui presidente è eletto dal
parlamento regionale e nominato dal re. Il Parlamento è composto da
membri nominati dalle tribù locali e altri eletti a suffragio universale, la
stessa istituzione elegge anche i membri dei tribunali i cui verdetti sono
espressi in nome del re. Le prerogative esercitate in maniera esclusiva
dalla regione del Sahara comprendono anche alcuni aspetti della vita
economica, le infrastrutture, la cultura, le tasse e le imposte, mentre lo
stato centrale conserverà quelle relative agli attributi reali della sovranità
come la bandiera e l'inno nazionale e nelle materie religiose, proprie del
re. In più lo Stato conserva la gestione della sicurezza nazionale, della
difesa, dell'integrità territoriale, degli affari esteri e del sistema giudiziario.
Sulla carta, il Marocco si impegna anche a concedere un'amnistia generale
e a prendere tutte le misure necessarie per assicurare la totale integrazione
nel tessuto nazionale a tutti i rifugiati e a garantire la loro dignità e la loro
sicurezza186.
Questo progetto è molto atteso dall'ONU, anche se è unilaterale ed il
principio di autonomia è già stato rifiutato dal Polisario, è comunque un
progetto destinato a far uscire dall'immobilismo il Marocco che ha tutto
l'interesse di sottoporre all'ONU una proposta credibile, sopratutto per
mettere alle strette il Polisario, ma nei fatti il progetto si presenta
diversamente. Il contenuto della proposta è tenuto sotto strettissimo
segreto, tanto che gli stessi membri del CORCAS l'hanno potuto visionare
in maniera completa solo a dicembre e sempre sotto strettissimo controllo
del presidente, l'uomo di fiducia di Rabat che non ha esitato a definirlo,
nella sua conferenza stampa, prima ancora che il Consiglio potesse
lavorarci, “la risposta definitiva alle rivendicazioni storiche di tutti i
Saharawi che non sarà oggetto di alcuna modifica né da parte dello Stato,
185 L'intero testo della proposta marocchina è consultabile presso:
http://autonomyplan.org/index.php?option=com_content&task=view&id=5&Itemid=6
186 M. Boudarham, “Sahara: Les détails de l'iniziative marocaine”, in Aujourd'hui le Maroc
13-4-2007.
118
-
né da parte della popolazione. È un pacchetto definitivo”. Insistendo sul
carattere “definitivo” del progetto, lo stato marocchino vuole ancora una
volta ricattare la comunità internazionale e il Polisario con la politica del
fatto compiuto, inasprendo così i toni già tesi con cui ci si avvicina ai
negoziati. Il carattere contraddittorio insito nel CORCAS ha la sua
massima espressione nelle dichiarazioni del suo presidente, “l'obiettivo del
Consiglio è quello di produrre qualcosa di credibile, ma le grandi linee del
progetto rimarranno nelle mani del palazzo chiamato ad effettuare l'ultima
rifinitura”, ma sopratutto nell'intervento costante del direttore del DGED
(Direction
Générale
des
Etudes
et
de
la
Documentation,
il
controspionaggio marocchino) e di quello della DGSN187 (Direction
Général de la Sureté National), il che tende a sottolineare che nonostante il
CORCAS sia un istituto voluto e creato appositamente dal re, il pericolo è
che si riproponga quello che già successe con la Djemma nel 1975 quando
fu sciolta dal suo presidente, anziché prestare il fianco alle truppe
marocchine mauritane e spagnole che riconoscevano in quell'organo gli
alleati per l'occupazione.
Sempre nell'ottica di rendere credibile il progetto perché relativo ad
un processo di consultazione interna dalla parvenza democratica, anche i
partiti dell'opposizione esprimono al re il loro giudizio. Unanime nel
complessivo anche se si sottolineano sfumature diverse che tuttavia non
pregiudicano l'incontestabile marocchinità del Sahara e quindi il loro
rapporto accondiscendente con il Palazzo. I partiti del Blocco
Democratico, inviano al re un memorandum riaffermando la loro “volontà
di favorire una soluzione politica e, nello stesso tempo, l'attaccamento
all'integrità territoriale del regno”. Nel testo vengono presi in esami diversi
esempi di decentralizzazione adottati negli altri paesi europei e la necessità
di adattare il modello, definito “spagnolo”, con le specificità della
tradizione e della storia, iscrivendo il piano di autonomia regionale
all'interno di una politica di decentralizzazione che coinvolge tutte le
regioni del regno e, sebbene viene prospettata un'autonomia la più estesa
possibile “per venire incontro ai desideri della popolazione”, affermano
187 O. Brousky, “Une mascarade nommée Corcas”, in Le journal hebdomadaire, 14-12-2006.
119
-
anche l'esigenza di certi parametri, a livello di sicurezza interna e di difesa
dei confini, che non possono essere oggetto di alcuna negoziazione188. Il
carattere dogmatico che investe la questione del Sahara Occidentale nel
dibattito nazionale, si evidenzia proprio nella rinuncia a priori di tutte le
forze politiche a discutere, criticare o quanto meno a mettere in
discussione le decisioni prese dal Palazzo perché questo veniva e viene
tutt'ora considerato come atto di tradimento. I dirigenti politici per
convenienza politica, hanno deciso così di allinearsi con chi ha fallito in
tutti questi lunghi anni di conflitto nel trovare una soluzione durevole e
giusta189. Nel tentativo di rafforzare il riconoscimento internazionale delle
posizioni marocchine, gli uffici politici dell'Istiqlal e dell'UNFP
organizzarono anche diverse visite presso le segreterie dei partiti esteri,
sopratutto europei ed africani, per esporre il piano e la validità del progetto
di autonomia sopra qualsiasi ipotesi di referendum.
Per come è stato concepito, infatti, il piano rappresenta un'ipotesi
strumentale che permette al Marocco di evitare il ricorso al referendum,
anche se l'ONU continua a reputare questo imprescindibile, tanto da
ribadirlo anche nella risoluzione 1783 del 2007 in cui il Consiglio di
Sicurezza “riafferma la sua volontà di aiutare le parti a trovare una
soluzione politica giusta, durevole e mutualmente accettabile che permetta
l'autodeterminazione del popolo del Sahara Occidentale nel quadro dei
principi enunciati nella Carta delle Nazioni Unite”190. L'ostacolo del
referendum, secondo la tesi monarchica, risulta superato dal momento che
il piano ha ricevuto il previo appoggio del CORCAS e dei partiti e non
potrà quindi non essere che confermativo. Mohamed VI ripropone così
alla popolazione la stessa identica prassi del fatto compiuto già adottata in
tutte le precedenti consultazioni referendarie con cui Hassan II proponeva
al voto i suoi progetti di revisione costituzionale frutto di un'elaborazione
chiusa fra le quattro mura di palazzo che puntualmente ricevevano livelli
di consenso pressoché unanimi, ma erano ben lontani dall'essere frutto di
188 H. Alaoui, “Autonomie du Sahara et souvranité du Maroc: de la doctrine à l'application”, in
Le matin du Sahara 03-04-2006.
189 K. Jamai, “Sahara et democratie”, in Le Journal Hebdomadaire, 2007.
190 http://daccessdds.un.org/doc/UNDOC/GEN/N07/574/61/PDF/N0757461.pdf?OpenElement
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-
una consultazione trasparente, libera e democratica.
Dal punto di vista internazionale, il piano è frutto del fallimento del
processo di pace che dura ormai da più di dieci anni e rappresenta la “terza
via” che la comunità internazionale sollecita a trovare attraverso gli
incontri di Manhasset negli Stati Uniti, a partire dall'estate 2007. Il piano
di autonomia si presenta come la soluzione ideale, frutto del compromesso
tra l'integrazione regionale pura e semplice voluta dal Marocco e
l'indipendenza totale sostenuta dal Polisario. Tuttavia, anche se nel
palcoscenico internazionale è reputata come ideale, è ben lontano
dall'essere reale. Per essere reale o quantomeno realizzabile, qualsiasi
proposta dovrebbe presupporre la disponibilità di entrambe le parti a
dialogare e a fare reciproche concessioni, invece da una parte rimane
immutata e irrinunciabile la politica del fatto compiuto di fronte alla
soluzione legalitaria da sempre sostenuta dal Polisario di un referendum
che contempli la triplice scelta fra integrazione, autonomia o
autodeterminazione con “garanzie sullo statuto dei residenti marocchini
nel Sahara Occidentale, lo sfruttamento in comune ed equo delle risorse e
garanzie di sicurezza verso il Marocco”191.
La proposta di autonomia appare reale se però si considerano i grandi
interessi economici ad essa legati e la necessità di stipulare dei contratti di
licenza internazionalmente validi con un territorio “non autonomo”. Ciò
che rende la regione così vantaggiosa per il Marocco da mobilitare un
enorme apparato umano, militare e finanziario e sfidare così la legalità
internazionale per trent'anni, è la ricchezza di risorse naturali da sfruttare
presenti nel territorio. Le potenzialità emersero in maniera evidente sin
dagli anni '70 quando, in piena crisi petrolifera, i fosfati giocavano un
ruolo di prim'ordine nell'economia mondiale tanto che il Marocco era il
terzo produttore mondiale dopo Usa ed Unione Sovietica e con lo
sfruttamento dei giacimenti di Bou Craa arrivava a detenere pressochè il
monopolio mondiale delle esportazioni. Oltre i fosfati, la corrente calda
che percorre i 1200 km di costa del Sahara Occidentale crea le condizioni
marine adatte per una fra le più ricche zone ittiche del mondo, altre risorse
191 “Sahara Occidental/plan d'autonomie” in Marches tropicaux et mediterranéens 20/4/2007
121
-
comprendono il titanio, ferro, oro, magnesio, sale e sabbia fine. Solo
recentemente sono state individuate riserve di idrocarburi nel sottosuolo,
in particolare la maggior parte delle potenzialità petrolifere è situata nel
mare e la questione della delimitazione delle acque territoriali assume
quindi un carattere molto importante per la competenza territoriale fra
Spagna e Marocco e i territori “non autonomi”del Sahara Occidentale.
Per quanto riguarda il petrolio, una dinamica attività di ricerca
comincia a partire dalla fine degli anni '90 quando l'avanzamento
tecnologico delle tecniche esplorative e, conseguentente, di quelle
estrattive off-shore, ha reso il rapporto costi/benefici vantaggioso. Inoltre,
anche se il Marocco nel 1981 diede la concessione per dieci esplorazioni a
largo della costa del Sahara Occidentale, fino a Dakhla, lo svolgersi del
conflitto fece desistere le maggiori multinazionali mondiali ad investire
nell'esplorazione, così tutto rimase congelato fino alla stipula del cessate il
fuoco. Il valore potenziale dei giacimenti cominciò a concretizzarsi
quando la U.S. Geological Survey stimò nel 2000 che le risorse di gas e
petrolio presenti nelle acque del Sahara Occidentale erano sostanziali e
probabilmente altamente lucrative. Nel 2001 il Marocco cominciò a
credere possibile concedere nuove licenze di ricerca off-shore sull'insieme
del territorio sahariano, così l'O.N.A.R.E.P. (Office National de
Recherches et d'Exploitation Pétrolières) siglò un contratto di licenza
prima con la società americana Kerr McGee192 su una zona di 110400 Km2
e successivamente con la TotalFinaElf su altri 115000 Km2. Anche la
RASD capisce l'importanza del mercato petrolifero, non solo per i proventi
che tuttavia ancora rimangono potenziali, ma anche perché gli interessi
che questo coinvolge, influiscono direttamente sullo statuto internazionale
del suo riconoscimento, così il 27 marzo del 2002 il governo della
Repubblica annuncia la firma di un contratto tecnico di cooperazione con
la società britannico-australiana Fusion Oil, dando inizio alla cosiddetta
“corporate diplomacy”193. La licenza per l'esplorazione sarà conclusa una
192 Il figlio di James Baker, inviato speciale del segretario ONU per il Sahara Occidentale, siede
al consiglio d'amministrazione della società.
193 Per un approfondimento si consiglia R. Fisera, “A People Vs Corporation? Selfdetermination, Natural Resources and Transnational Corporation in Western Sahara”, Thesis
122
-
volta che il Sahara diventerà membro dell'ONU e si estende su 210000
km2, fra le Canarie, il Sud del Marocco e la Mauritania.
Quale che sia la reale portata dei giacimenti presenti sul territorio e
nelle acque territoriali del Sahara Occidentale, poco importa rispetto il
volume di interessi economici che riguardano l'oro nero. Dal punto di vista
della legalità internazionale, il Marocco non ha alcun diritto sul territorio
qualificato dall'ONU come “non autonomo” a stipulare contratti ed accordi
con altri paesi194, ma tutte l'estrazioni di ricchezze naturali conferiscono un
avvallo politico alla situazione d'occupazione che concerne il Sahara
Occidentale e rinforza la potenza occupante nel suo rifiuto di arrivare a
qualsiasi soluzione negoziata e rispettosa del diritto.
of european master's degree, Venezia, 2004 pp 60-65.
194 P. Riché, “Le Maroc ouvre le territoire du Sahara Occidental à l'exploration petroliere” in
http://www.arso.org/ressnat3.html
123
-
CONCLUSIONI
In conclusione, da queso studi è emerso che le continue tensioni sociali
che si sono prodotte nel corso della storia del paese indipendente sono il
risultato dello scontro fra diversi soggetti politici e forze autonome che,
rivendicando una maggiore condivisione del potere, contestavano la
centralità del re all'interno del sistema politico. Fra gli anni '60 e '70,
questa lotta intestina era sul punto di compromettere la fragile stabilità del
paese, il re riuscì così a concentrare nella conquista del Sahara Occidentale
la fonte principale della sua legittimazione, attirando su di sé il consenso
pressoché unanime di tutte le principali forze politiche e sociali. La svolta
nazionalista ha fatto cadere le minacce provenienti dall'esercito e dai
partiti della sinistra progressista che, sotto i colpi della repressione, hanno
capito l'importanza e la convenienza di stringersi attorno al populismo di
Hassan II. Implicitamente questo ha comportato la riabilitazione del
Makhzen, la struttura tradizionale del potere monarchico, come strumento
in cui far convergere tutte le istanze e i bisogni sociali195, mentre le
strutture democratiche come il parlamento e il governo rimangono
svuotate di ogni potere decisionale e di controllo.
Tuttavia la svolta del Sahara Occidentale, non ha migliorato le già dure
condizioni di vita della popolazione anzi, la crisi economica che logorava
il paese fu amplificata dai disastrosi effetti di una lunga guerra di
logoramento. Il Marocco, ormai al limite della bancarotta, piuttosto che
ritirarsi dall'impresa e concentrarsi sulle riforme strutturali necessarie, si
affidò completamente nelle mani del Fondo Monetario Internazionale che
195 Questo processo può essere spiegato attraverso il modello di “tensione ed immobilismo”che
contraddistingue il sistema politico marocchino. In J. Waterbury Op Cit.
124
-
all'inizio degli anni '80 dettò le linee guida di un rigido programma di
aggiustamento
strutturale
con
ripercussioni
catastrofiche
per
la
popolazione più povera, aumentando il già grande divario sociale.
La questione del Sahara Occidentale appare così intimamente legata alla
scelta liberale adottata dalla monarchia sin dai primi anni '60, non solo per
i benefici economici legati al potenziale sfruttamento delle grandi
ricchezze naturali presenti nella regione, ma soprattutto perché ha trovato
nella contrapposizione ideologica della divisione bipolare del mondo, la
legittimità internazionale per portare avanti un'autentica politica di
colonizzazione verso le province del Sud e contemporaneamente reprimere
con forza il dissenso interno. La monarchia ha saputo così giocare
abilmente la carta delle alleanze internazionali affinchè il Marocco, unico
paese vicino agli Stati Uniti fra tutti i paesi del Maghreb, non cadesse
nell'orbita dei regimi rivoluzionari socialisti. Preservare la tenuta della
monarchia assumeva un carattere imperativo per gli Stati Uniti al fine di
mantenere la sua unica posizione nel nord Africa, nonostante questo
implicasse la copertura per la sistematica violazione dei diritti dell'uomo e
la soppressione delle libertà nel paese196. Il Marocco è riuscito così a
paralizzare il processo di pace per vent'anni, rifiutandosi sempre di
accettare il referendum per l'autodeterminazione come mezzo valido per
risolvere il conflitto e contemporaneamente per portare avanti una lenta e
progressiva politica di integrazione territoriale delle Province del Sud
attraverso misure economiche, militari e giuridiche.
Queste ultime hanno assunto enorme importanza sopratutto a partire
dagli anni '90 quando Hassan II ha introdotto una serie di riforme
costituzionali per preparare il paese alla successione. Con successione, non
si intende il solo passaggio di trono fra Hassan II e suo figlio Mohamed
VI, quanto piuttosto un lungo percorso di transizione politica verso la
modernità ipotizzato a partire dal riconoscimento incondizionato di alcuni
importanti presupposti: il sistema monarchico che riconosce nel re il capo
196 La politica di sostegno e d'appoggio esercitata dalle democrazie occidentali, in particolare
dagli Stati Uniti, sconfessa in parte la tesi di S. Huttinghton che fa ricadere esclusivamente
nell'aspetto iper-culturalista l'eccezione dei paesi arabi alla “terza ondata” mondiale di
democratizzazione. In M Mouaqit, Op. Cit. p 129-131.
125
-
della nazione e dei credenti, l'incontestabile marocchinità del Sahara
Occidentale e l'opzione liberale in campo economico.
L'accettazione di questi tre dogmi ha portato tutte le principali forze
politiche dell'opposizione a cambiare strategia nei loro rapporti con il
Palazzo, perché abbandonando definitivamente l'opzione golpista, hanno
capito l'importanza di un'azione politica riformista per mettere in pratica
una serie di aperture in senso democratico di cui il paese ha disperato
bisogno. Così nel 1996 viene approvata un'ampia riforma costituzionale
che introduce diverse importanti novità come l'esplicito riferimento alla
difesa dei diritti dell'uomo, il bicameralismo con l'elezione diretta a
suffragio universale della camera dei rappresentanti, l' “alternanza” alla
guida del governo e una nuova architettura dello Stato ipotizzata per
integrare le province del Sahara Occidentale all'interno di un ampio piano
di decentralizzazione amministrativa.
Il 30 luglio 1999 Mohamed VI si presenta alla nazione come il nuovo re
del Marocco. La sua giovane età e il suo continuo riferimento al rispetto
dei diritti dell'uomo suscitano enormi speranze fra la popolazione. Ma per
capire se il “re dei poveri” sarà realmente in grado di rompere con la
tradizione autoritaria del potere bisognerà attendere le decisioni che egli
assumerà nelle sfide future che attendono il paese. Se quindi sarà in grado
di raccogliere le istanze di una società in continuo fermento che, a partire
dall'ultimo decennio ha conosciuto una nuova vitalità nella lotta per la
difesa dei diritti dell'uomo. Sopratutto nel Sahara Occidentale la salita al
trono di Mohamed VI è accompagnata dal protagonismo di una nuova
generazione di saharawi nata dopo il cessate il fuoco, che si pongono su un
terreno di contestazione del potere monarchico, incapace fin'ora di offrire
loro un futuro dignitoso.
Esistono dei limiti per interpretare il cambiamento che sono propri di
qualsiasi sistema monarchico. La reale capacità del Marocco di aprirsi alla
democrazia non può essere interpretata a partire dalle scelte adottate dal
sovrano perché queste, calate dall'alto, continueranno ad essere
espressione della sua gratificazione. Risulta difficile quindi credere che
126
-
questo processo di apertura, che riguarda inevitabilmente l'abbandono di
importanti prerogative e metodi autoritari di governo, possa essere
effettuato volontariamente da chi in tutti questi anni ha ottenuto ricchezza
e potere da questo sistema e da chi, in definitiva, ha fallito nel garantire
l'integrazione del Sahara Occidentale. Un importante salto di qualità spetta
quindi al Marocco, in particolare il cambiamento sarà inevitabile quando
la popolazione, nonostante le chiusure securitarie e le sistematiche
violazioni dei più basilari diritti dell'uomo, diventerà protagonista di un
imponente processo costituente “dal basso”, l'unico a garantire
l'integrazione fra due popoli che fin'ora rimangono accomunati dalla stessa
condizione di sudditi conseguenza del potere autoritario del makhzen.
Rompere la condizione di suddito e conquistare nuovi importanti diritti di
cittadinanza è quindi un primo passo fondamentale per raggiungere la pace
in un territorio che l'aspetta dal 1956.
127
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