Correggio che dipingeva appeso in cielo di Dario Fo ** inizio

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Correggio che dipingeva appeso in cielo di Dario Fo ** inizio
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 Correggio che dipingeva appeso in cielo di Dario Fo ** inizio Antonio Allegri detto il Correggio al tempo in cui viveva e operava – cioè a dire, dal 1515 al 1534 – era ritenuto da tutti gli studiosi e gli artisti più importanti della cultura italiana ed europea di quel tempo il più grande pittore vivente, insieme a Leonardo, Michelangelo e Raffaello. I suoi dipinti godevano di una quotazione molto alta nel mercato dell’arte. Oltretutto era considerato un genio della pittura a fresco su cupole di dimensioni straordinarie come quelle di San Giovanni e del Duomo di Parma. Ma come succede spesso nella storia di grandi artisti di fama eccelsa, per uno strano sconvolgimento del mercato, dopo un secolo ecco che all’improvviso Correggio perde di quota fino a diventare quasi uno sconosciuto. E – beffa incredibile! – appena dopo un secolo e mezzo la sua immensa produzione di opere viene letteralmente smembrata dagli studiosi e dai critici del tempo, e regalata, o meglio: attribuita, ad altri noti pittori. Così, una tavola straordinaria come L’educazione di Cupido con Venere ignuda viene attribuita a Giorgione. Un’altra Venere, quella spiata dal satiro, è regalata a Lorenzo 1
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 Lotto... Giove che si tramuta in nube per godersi la splendida Io, una ninfa carica di sensualità, addirittura viene ceduta a Tiziano. E per finire, Il ratto di Ganimede, se lo piglia Raffaello; e Danae posseduta da Giove che si è trasformato in monete d’oro, se lo contendono i due fratelli Carracci e Giulio Romano. Com’è possibile una cosa del genere? ** non si capisce Ad ogni modo, per restituire il maltolto al legittimo autore si è dovuto aspettare addirittura fino alla metà del novecento. Grazie all’entrata in campo di Roberto Longhi, Federico Zeri, e di altri studiosi di talento, si è riuscito a imporre una vera e propria rivoluzione critica. ** sbiancare l’affresco di parma In verità, il tentativo più forsennato di cancellare le opere più importanti del Correggio, si realizzò negli ultimi anni della sua vita – quando i fabbricieri responsabili dei monumenti più prestigiosi della città di Parma programmarono di sbiancare letteralmente tutte le pareti da lui dipinte ad affresco nella grande cupola del duomo. Perché? Qual era la ragione di questo malsano progetto? Ne parleremo a tempo debito. ** tiziano interviene Però è proprio il caso di ricordare che, secondo alcune fonti storiche, il salvamento fu determinato dalla presenza 2
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 a Parma in quei giorni, di un estimatore del Correggio di indiscussa autorità. Si trattava nientemeno che di Tiziano Vecellio, il quale, venendo a conoscenza del progetto a dir poco criminale in corso, si rivolse ai responsabili della diocesi, e chiese: “Scusate, ma voi avete la minima idea del valore in moneta di ciò che vi accingete a distruggere? Sappiate che se volete una giusta misura di quello che valgono questi affreschi dovreste riempire con una valanga di monete d’oro l’intera vasca capovolta della cupola!” PAUSA E sotto quella valanga bisognerebbe seppellire anche voi!, questo l’ho aggiunto io, ma ci sta bene… E’ così che pare si sia salvato quel preziosissimo affresco. Ma non è stato sufficiente l’impegno di Longhi, Zeri e di molti altri studiosi a divulgare e ridare ad ognuno la coscienza della grandezza di questo pittore. Ancora cinquanta anni fa pochi erano i testi pubblicati che aiutassero il pubblico a conoscere e ad apprezzare Antonio Allegri detto il Correggio. Ma per nostra fortuna ecco che esattamente nel 2008 un gruppo di uomini e donne d’ingegno – e follia – di Parma e dintorni si rese conto che la ragione principale per cui milioni di nostri concittadini non s’erano mai avvicinati al Correggio era determinata dal fatto che gli straordinari 3
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 affreschi del pittore si trovavano collocati ad un’altezza davvero irraggiungibile dalla vista dell’ occhio umano: cioè, in un’enorme cupola a 18 metri di distanza! L’unica soluzione sarebbe stata quella di distribuire ad ogni visitatore all’ingresso cannocchiale… del un’operazione Duomo un piuttosto potente onerosa, soprattutto conoscendo la mania degli italiani di collezionare ricordi. In pochi, c’è da giurarlo, avrebbero restituito il cannocchiale all’uscita. Però rimanevano altre due soluzioni: abbassare la cupola o sollevare i visitatori verso l’alto. E così, infine, fu deciso di mettere in opera all’interno della cupola una torre d’acciaio dentro la quale si muoveva un enorme ascensore che poteva sollevare una trentina di curiosi alla volta. Vi dirò che, appena ho saputo di quel marchingegno, mi sono precipitato a Parma prenotando la salita inaugurale. E così, anche rompendo le scatole agli organizzatori, sono riuscito ad essere fra i primi a collaudare l’ascensione. La torre era veramente enorme, altissima e completamente aperta su tutti i lati. Avevi la sensazione di montare in cielo nelle vesti di un beato. Qualche signora del gruppo, al muoversi del congegno, presa dal terrore non è riuscito a trattenere un “Oh!” di spavento. Personalmente non mi 4
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 vergogno di dire che a mia volta mi sono lasciato sfuggire un grido, naturalmente in falsetto, tramutato in un canto sacro in La maggiore ‐ “a deus meus gloria aahhh…”! Termina anche in un applauso. E così, finalmente, provando un’emozione da tremito, mi è riuscito di godere d’appresso quelle figure. Senza quella straordinaria trovata del saliscendi qualche milione di persone non avrebbe mai scoperto la genialità di Antonio Allegri detto il Correggio e non avrebbe mai potuto ritrovarsi sotto quell’immenso cielo sfondato da angeli che impunemente vanno svolazzando intorno a dozzine di santi spaparanzati su nubi e putti screanzati che appaiono all’istante fra le gambe dei beati in uno scorrazzo festoso. [INSERIRE IMMAGINE] Salendo là in cima, il particolare che sconvolge ogni visitatore è l’invenzione dello scorcio prospettico. Ma, soprattutto, a sorprendere fino all’incanto è la magia con cui si muovono le figure che galleggiano nell’aria, come se facessero parte di un gioco metafisico d’alta scienza geometrica. **l’infanzia di Correggio 5
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 C’è subito da chiedersi: da dove ha acquisito una tale sapienza d’analisi proiettiva, questo pittore? Era forse ingegnere o architetto laureato in qualche università di Parma o Bologna insieme a Keplero e Copernico? Ma per carità! E’ ben risaputo che Antonio Allegri era di umili origini. Venne al mondo nel 1489 a Borgovecchio di Correggio in un’angusta dimora. Il padre s’arrangiava battendo la piana nei panni di una specie di venditore ambulante di stoffe rustiche e altri manufatti di basso valore e prezzo: insomma… di “vu’ cumprà” dell’epoca! Anche Giorgio Vasari testimonia dello stato di difficoltà in cui vivevano Allegri e la sua numerosa famiglia. La vistosa presenza di ragazzini, maschi e femmine, in quella casa, la vediamo spesso proiettata nei suoi dipinti. Lo zio Lorenzo era pittore e Antonio ragazzino di certo imparò i primi rudimenti della pittura da quel maestro di casa, un maestro in verità di doti minime tant’è che il nipote, ancora giovanissimo riuscì a sorpassarlo ben presto nell’abilità e nel talento. Alla fine del ‘700 un grande scrittore francese, Stendhal, si trovò a vivere a parma e ne rimase tanto affascinato che la elesse come propria patria. Qui ebbe l’occasione di conoscere molte fra le più belle opere del Correggio e se ne innamorò. Ma il sentimento di stima e ammirazione per 6
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 l’artista crebbe in modo incontenibile, quando cominciò a scoprire la storia della sua vita: “Com’è possibile” si chiedeva “che un ragazzo riesca, partendo socialmente e culturalmente da così in basso, addirittura da zero, quasi analfabeta, a rimontare a livelli così alti di capacità sapienza e genialità?” Di certo, la massima dote di Correggio fin da ragazzo era la costanza, unita a un desiderio di emergere inarrestabile e a una sete di conoscere e sapere ineguagliabile. Ma il nucleo portante che di certo l’Allegri teneva come il maggiore era senz’altro la coscienza del valore della vita: un dono da campare come un incanto e, allo stesso tempo, un bene immenso. ** analogia con il ruzzante E qui ci viene in mente un geniale discorso poetico‐
filosofico di un altro grande personaggio nato in difficoltà e poi cresciuto, contro ogni previsione, a livelli umani e creativi straordinari. Stiamo parlando di Angelo Beolco, detto il Ruzzante (ritratto 7), contemporaneo del Correggio, nato a Padova circa dieci anni dopo di lui, generato da un ricco rampollo di nobile famiglia lombarda e partorito dalla madre, una servetta, in piena campagna perché non si sapesse della sua vergognosa nascita. Il brano che vi proponiamo 7
ha un titolo che Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 straordinariamente s’allaccia al discorso dello Stendhal appena accennato, cioè, “La vita” (immagine La vita 8). Eccovi il monologo in questione – è lui, Ruzzante in persona, che parla dal palcoscenico volto alla platea del suo teatro. **monologo del ruzzante «Non conoscete gente al mondo che vivendo una vita lunga sia giunta ai cento anni? Ne conoscete? E ci sono persino di quelli che hanno passato i cento anni di qualche anno. Vi dirò che ce ne sono di questi “campa a lungo” una grande quantità, che si sono accorti di essere stati al mondo solamente quando sono morti. E loro stessi, finalmente, si sono accorti d’esser stati vivi solo nel momento in cui l’anima loro tornava al creatore. Dunque è la morte che li ha fatti accorgere della vita. Ma non sapendo quelli d’essere mai stati vivi quando lo erano, vuoi tu chiamar campare questo loro transitar in vita? No di sicuro. Anche se tu aggiungessi un centinaio di vite a questa prima vita, un’altra vita aggiunta all’altra e un’altra ancora, quelli non avrebbero mai avuto una vita sola da chiamare vita. Di contro, se uno stesse al mondo giusto il tempo della giovinezza e in questo breve passaggio ognuno di lui e del suo stare in vita si fosse accorto per il 8
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 suo valore e peso, e qindi alla sua dipartita tutti provassero duolo, non si dovrebbe chiamare forse maggior vita la sua? Ordunque, come nel grappolo d’uva non è la grande abbondanza di acuini che rende il vino meraviglioso e vivo, e non è nemmeno l’estensione dei filari che fa sembrare pregno di spirito profumato alla follia questo liquido stregato... così non è tanto il numero dei giorni che stiamo vivendo la ragione che ci rende consci di star campando una vita degna, quanto piuttosto il nettare nel nostro graspo spremuto carico di ingegno, sapore, follia e conoscenza impregnate di una “stramberia fantasticante”, così generosa da far sì che quando all’istante finisce la tua vita, similmente nella vita degli altri viene all’improvviso a mancare qualcosa della loro vita. Gran sorte è quindi una vita piena di stralunamenti come un albero che butta mille fiori e i rami si distendono a pettinare l’aria e giocano a danzare col vento e non gli importa di spampanarsi intorno, sperdere fiori e far risate che paion di spavento. Questo albero si sogna di essere albero maestro di una nave grande con le vele di trinchetto e rande gonfie e piene come pance di femmine ingravidate. Così follia e allegrezza, aggiunte alla ragione, spingono a più lunga vita se questa tua vita non la vai vivendo di nascosto, ma con gli altri legato, così generoso 9
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 che non t’importa di spendere tutto questo tuo campare per far sì che ci sia giocondità, libertà e giustizia per la gente tutta. È da lì che nasce l’eternità della vita. E io vado sperando che il giorno in cui me ne andrò morendo, la gente dica: “Peccato che abbia finito di campare: era così vivo, da vivo!”» Il vantaggio nell’apprendere le basi del sapere regalatogli dalla sorte, per il Correggio era determinato dal fatto di trovarsi nel pieno della sua infanzia a vivere in una famiglia povera di mezzi, ma dotata di un grado di alfabetizzazione piuttosto avanzato per una comunità di ambulanti. Infatti uno dei figli dello zio pittore, maggiore del Correggio, in quel tempo si laureò a Bologna nel collegio degli studi poveri, bellissimo nome per una scuola! Il collegio degli studi poveri! Ed esercitò la professione medica. Inoltre due suoi parenti, Cristoforo e Giacomo, erano insegnanti. Da questa favorevole condizione, e a dimostrare il DNA non è una favola, nasce la straordinaria predisposizione dell’Allegri per il sapere, da quello umanistico, scientifico a quello filosofico e poetico (tav 9) . Ancora in tenera età, il ragazzo ha la fortuna di incontrare due grandi umanisti, Giovanni Berni e Battista Marastoni, che gli procurano i 10
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 primi rudimenti della scrittura e delle scienze letterarie, nonché dell’eloquenza e della retorica. A 14 anni, il Correggio va a Modena alla bottega di Francesco Bianchi Ferrari, maestro tecnicamente preparato, ma scarso di personalità e idee nuove. In compenso in quella città conosce il medico Gianbattista Lombardi docente all’università di Ferrara che lo istruisce sulla medicina, la dialettica e la logica. Come dice un antico proverbio : “Le occasioni girano intorno ad ognuno come una giostra che non si ferma di certo ad aspettarti. Se non gli salti subito sopra al volo a costo di spaccarti le gambe è come se non ti fosse mai passata appresso” Di certo è il DNA ereditato dal padre ambulante, che lo porta a cambiare spesso luoghi e maestri. Infatti di lì a poco il giovane Allegri che ha appena compiuto 15 anni si trasferisce a Mantova, città del Mantegna, dove dipinge con Francesco, figlio del grande maestro dello scorcio, (tav 10) mancato proprio qualche anno prima. Nella casa dello stesso Mantegna (tav 11 palazzo Mantegna) ha l’occasione di vedere per la prima volta da vicino il Cristo deposto dalla croce, visto dal basso. (tav 12 Cristo morto di Mantegna). Il quadro è lì, davanti a lui, con la vista del corpo di Gesù disteso di scorcio, con i piedi grandi in primo piano e in sequenza, schiacciati, gli arti del 11
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 corpo senza vita: ginocchia, bacino, ventre, pettorale e, in fondo, il volto. Nessuno aveva mai dipinto un Cristo defunto così morto! Correggio ne rimane a dir poco folgorato. Quel dipinto sembra tutto un gioco di prestigio e invece è solo talento e scienza pura. Inoltre nei palazzi dei Gonzaga e negli appartamenti di Isabella d’Este grazie all’intercessione di Francesco Mantegna ha l’occasione di godersi i giganteschi dipinti su tavola dedicati al Trionfo di Cesare, di una potenza e drammaticità ineguagliabili. Qui Giulio Cesare è allegoricamente Federico Gonzaga, capitano di eserciti. Sembra l’esaltante tripudio di un vincitore, ma in verità si tratta di una esuberante rappresentazione grottesca. E’ una maestosa parata dipinta su dieci tavole, ognuna di quattro metri per tre, su cui stanno per sfilare uomini armati, cavalli, buoi da sacrificare, bandiere e vasi d’oro, statue dei vinti: tutti i partecipanti accennano a camminare, ma nessuno si muove. Se la osservate con attenzione vi accorgerete che non si tratta dello spettacolo di un trionfo, ma di una rapina con relativi massacri! Una rappresentazione fuori da ogni tempo e dentro ogni momento, anche quello attuale. Gli armati non sono eroi, ma ladri, briganti… i senatori che aprono il 12
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 corteo sembrano una pletora di avvocati che reggono documenti scritti che testimoniano la legalità del furto. E’ qui che l’ancor giovane Correggio capisce d’aver incontrato un suo incomparabile maestro. A testimonianza di ciò basta osservare una delle sue prime opere dal titolo: “Il Trionfo di David” (tav13 Trionfo di Davide libro: Correggio pag 53). Qui notiamo subito l’analogia con il Trionfo di Cesare del Mantegna (tav 14 trionfo di Cesare). Il punto di vista in entrambe le sequenze della sfilata trionfale è situato in basso, sotto il livello della base dei dipinti. L’allievo qui ripropone lo stesso tema scenico del maestro dove una caterva di oggetti arraffati nel saccheggio sono presentati uno sull’altro fra un toro sacrificale, spade e scudi di guerrieri, trombe a corno trionfali; mentre lassù si affacciano, lungo la collina, palazzi, chiese, torri, campanili che sembrano scossati da terremoti: è l’allegoria del mondo decrepito che bisogna abbattere prima che ci crolli tutto in capo! Naturalmente quei forti umori di critica e sarcasmo uniti ad una nuova concezione del racconto, si ritrovano anche in altri grandi pittori del tempo, a cominciare dai fiamminghi, dai toscani e dai veneti. Il giovane Correggio recettivo com’è, si ritrova letteralmente sconvolto da quel turbine di idee, concetti 13
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 metafisici e paradossali. Così egli assorbe ogni nuova idea, come ‘una spugna di mare’. Ed ecco in un suo dipinto apparire un’importante citazione da un’opera di Giorgione conosciuta come I tre filosofi. (tav15) In un'altra tavola si impossessa dell’impianto scenico di una Maestà del Costa di Ferrara. Molti erano i dipinti che l’Allegri riusciva a visitare nel suo apprendistato. Nulla gli sfuggiva, veloce si impossessava d’ogni immagine, tanto che di lui i suoi contemporanei del mestiere ironicamente dicevano “per me quello riesce a riprodurre ogni immagine bevendo inchiostro da stampa. E poi se lo guardi bene sembra messo insieme con bullloni, ruote e presse come le macchine stampatrici inventate del Gutenberg. Ma per aver prove più chiare di questa paradossale metamorfosi, ci basta leggere il commento analitico che ci offrono alcuni affermati critici circa un ben noto dipinto eseguito dall’Allegri ancora ragazzo: si tratta della Madonna del San Francesco tavola di grandi dimensioni (299 x 245) del 1514 (tav 17). Correggio, agli esordi, non era ritenuto un artista di mestiere precoce e fino ad un secolo fa quasi nessuno fra tutti i critici accettava che questa grande tavola fosse opera sua: si preferiva 14
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 attribuirla a pittori lombardo‐veneti, specie di Mantova e Ferrara. Il Morelli, ottimo studioso del tardo ottocento, mette addirittura in dubbio la formazione mantegnesca di quest’opera, deduzione da tutti normalmente accettata, per collegarla invece al Costa (caposcuola dei maestri ferraresi). Ma Venturi, importante studioso e critico d’arte, nel 1915 lo attribuisce con certezza al Correggio e analizza le varie esperienze culturali che ritiene presenti nell’opera: a suo dire, la Madonna col Bambino deriva direttamente dalla Madonna della Vittoria del Mantegna (tav. 18 Correggio di Skira, pag. 123), la figura del Battista situata a destra della pala sarebbe quasi identico al Battista in Organo a Verona, i cherubini sembrano la riproduzione precisa di quelli della tavola della Madonna in trono con i santi Girolamo e Sebastiano del Bianchi Ferrari ( tav. 19 cfr. Correggio di Skira, pag. 47) di cui il Correggio è stato allievo agli esordi. Altri critici assicurano che l’impianto compositivo del trono senza schienale è tratto senz’altro da un analogo dipinto del Francia. A proposito di questa specie di gran collage di artisti diversi, lo stesso Venturi dichiara: “la pala dell’Allegri è il 15
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 risultato compositivo e pittorico di un centone1 di motivi quattrocenteschi”. E per finire il Longhi individua nell’opera una vera e propria “crisi culturale dell’artista” accentuata dall’eccessiva quantità di riferimenti a più che noti pittori compreso Raffaello. A questo punto non ci resta che alzarci in piedi ed esclamare in coro: scusa, ma qui tu non ti sei ispirato hai rapinato!| Ma qui ci viene subito in aiuto Pablo Picasso in persona che a questo proposito dichiara: “Il pittore comune di buon mestiere quando scopre un’opera di gran prestigio ne approfitta per cogliervi l’ispirazione, invece il pittore di massimo valore, il genio, non si accontenta di attingere qua e là: ruba tutto! A cominciare dalla cornice.” Ma a parte il lazzo e il ghiribizzo ci dobbiamo rendere conto che da parte di Correggio quell’affondare le mani e gli occhi in ogni pittura di valore, a lungo andare, abbia procurato al copiatore notevoli frutti, arricchendolo tanto sul piano del mestiere che della creatività. Oltretutto, un’altra notevole dote che procurava vantaggio al giovane pittore era quella della giocondità del suo carattere, non per niente si chiamava Allegri e nei suoi 1
Il centone è una composizione musicale composta all’ingrosso di diversi autori scelti a caso. 16
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 dipinti si firmava Laetus, lieto, in latino, e jucunda‐sbrofa in lombardo dell’epoca. E infatti in ogni sua opera l’Allegri non manca mai di porre l’accento burlesco appena gliene si presenti l’occasione. Qui dobbiamo ricordare che quando l’Allegri stava compiendo i ventisette anni, ventisette… numero magico, gli si presentò l’occasione più importante della sua vita: quella di saltare sulla giostra dei benedettini del convento di San Paolo a Parma. Ma a che scopo? Qual era l’opportunità che offrivano quei monaci? Si può ben dire che per tutto il Medioevo e il Rinascimento questi monaci furono prestigiosi detentori della cultura in Europa. A pochi chilometri da Piacenza esiste ancora il monastero benedettino di Bròni che, con quello di Benevento, ha raccolto per secoli un numero incredibile di codici e documenti provenienti da tutte le civiltà mediterranee. In più, in quel periodo i monaci benedettini (tav. 20 disegno con i monaci al lavoro in biblioteca), spesso in duro conflitto con la curia romana, partecipavano alla ricerca umanistica, allo studio di filosofie non omologate e soprattutto ponevano grande attenzione allo sviluppo della nuova scienza che aveva come proprio fulcro le università di Bologna e Ferrara. 17
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 Guarda caso, in queste due Università, aggiunta quella di Padova, era studente agli inizi del ‘500 proprio Copernico (tav. 21 ritratto), il cui maestro diretto era Domenico Maria Novara che aveva tradotto dal greco le intuizioni di Aristarco da Samo (tav. 22 ritratto). Questo straordinario scienziato dell’antica Grecia aveva utilizzato, già fra il quarto e terzo secolo avanti cristo, in maniera estesa la geometria e la matematica per analizzare i fenomeni astronomici: arrivò a misurare, servendosi di una semplice asta di legno lunga quattro palmi, la distanza dalla Terra al Sole. Come è possibile? Semplice! Basta possedere, oltre all’asta, un notevole cervello. Aristarco, col suo cervello, si trovava a Samo, in Egitto, esattamente nel giorno in cui cade del solstizio d’estate, cioè quando in quel luogo il sole si trova perfettamente perpendicolare alla terra, è qui che piantò l’asta nel terreno e quindi si rese conto che in quel punto e in quel momento l’asta non proiettava alcuna ombra. Nello stesso tempo un suo compagno di studi che si trovava a Smirne, cioè a ottanta chilometri di distanza, ficcava a sua volta un’asta identica in quel terreno. Lì il sole proiettava un’ombra dell’asta di quattro dita (tav. 23 disegno del sistema copernicano). Lo scienziato greco servendosi delle tre concomitanze cioè, l’asta senza ombra, l’asta con l’ombra breve aggiunte alla 18
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 distanza fra Samo e Smirne sviluppò la figura dell’arco prodotto e ne ottenne la distanza fra la terra e il sole. La geometria analitica e proiettiva ci insegnano che basta possedere la curva di un arco di una figura geometrica per ricavarne la dimensione dell’intiero cerchio e, quindi, in questo modo possiamo ottenere la circonferenza della terra – e non solo: grazie alla proiezione d’ombra della luna, scopriamo anche le distanza fra la luna e la terra, e quella fra il sole e il nostro satellite luminoso… ma tu guarda che cosa ti fa un semplice bastone piantato nel suolo! Elementare no? E’ qui, davanti a queste straordinarie intuizioni che Correggio si lascia coinvolgere alla follia. L’iperbole matematica diventa la chiave di volta di ogni suo pensiero. Fra gli intellettuali umanisti la rivoluzione copernicana in quel tempo era seguita con grande interesse; vogliamo ricordare che uno dei più appassionati fautori di questa idea, che capovolgeva la teoria geocentrica, fu Giordano Bruno un domenicano nato a Nola, che pagò con il rogo il troppo calore del suo pensiero. Da parte sua Leonardo aveva dichiarato: “Di certo non è la terra al centro del sistema, ma piuttosto al centro sta il 19
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 sole e intorno roteano i pianeti con la terra posti in disparte con la sua luna”. Poco fa abbiamo accennato alla commozione e alla simpatia che Correggio era riuscito a suscitare nei suoi maestri benedettini; Tanto che da un giorno all’altro il pittore si trovò ad essere eletto figura portante di quel convento, e venne ingaggiato per progetti di rappresentazione pittorica davvero straordinari, ma su questo ci conviene andare per ordine. Il primo ingaggio importante offertogli dai monaci fu presso il monastero delle suore benedettine dove venne in contatto per la prima volta con la famosa badessa Giovanna da Piacenza, una donna di eccezionale cultura oltre che di fascino(tav 24). La nobildonna commissionò all’Allegri di affrescare quella che diventerà la famosa Camera Alchemica, in particolare la volta, che il Correggio propose di dividere in lunette fitte come raggi proiettati dal sole. Egli qui ebbe l’idea di dar volume alle figure illuminandole dal basso come se un gran numero di candele sistemate su un grande tavolo centrale da pranzo spargesse luce all’insù. Nella volta, inserite nello spazio fra i raggi (tav 25), ci sono quindici grandi monete sulle quali sono raffigurati bambini che 20
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 giocano fra loro e si divertono tenendo fra le braccia cuccioli di cani e altri piccoli animali. Queste figure sono di ottima fattura tanto che subito vengono in mente le immagini di fanciulli dipinte da Raffaello (tav. 26 particolare putti di Raffaello). Lo stesso discorso vale per le immagini inserite nei semitondi, (tav 27 + 27 bis) presentati come fossero piatti da portata che nel mezzo illustrano scene dei miti più famosi della cultura greco‐
romana: vediamo il giovane uomo che toglie un serpente da un vaso (immagine 28); la Fortuna con la cornucopia (immagine 29); le tre grazie ignude che mostrano ognuna i propri stupendi attributi e per finire, nel triangolo che sovrasta il caminetto, Diana che conduce il suo cocchio (immagine 30). Particolare interessante, il volto di Diana è il ritratto della badessa. Certo non capita tutti i giorni di incontrare la responsabile massima di un monastero (tav 34) che, per allevare le proprie giovani converse alla pudicizia e al distacco dal mondo e dalla vanità, impieghi un metodo tanto spregiudicato e carico di (insidiose) trappole erotiche di quel livello. Qui l’Allegri si trova sollecitato a presentare satiri che producono armonie soffiando in conchiglie (tav 35); Amore che offre luminose passioni (tav 36); la Purezza che avanza danzando e sollevando la gonna (tav 37), quasi 21
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 a sottolineare che la danza non è solo simbolo di vanità e di peccato, ma anche e soprattutto di sacra armonia. Un concetto questo che fa da spicco totale anche nella chiesa del nostro tempo, grazie naturalmente al nuovo impegno culturale del nostro Santo Pontefice! Ci sono altre figure femminili che ebbero un influsso straordinario sulla preparazione intellettuale e umana di Correggio. Fra queste le più importanti furono senz’altro Veronica Gambara e Isabella d’Este. La prima era una poetessa nobile (tav 45) che gestiva con suo marito Giberto X la città di Correggio. L’altra, Isabella d’Este marchesa di Mantova, era intima amica della Gambara, ed entrambe apprezzavano con entusiasmo l’opera e la genialità di Correggio. E’ risaputo che Isabella, considerata, giustamente, la più colta e raffinata donna d’italia, lo riteneva uno dei più grandi maestri della cultura del suo tempo. È risaputo del resto che l’interesse per le arti da parte di questa straordinaria signora fosse addirittura proverbiale: fu la prima in Europa a fondare ed organizzare un vero teatro, con tanto di macchine sceniche e, naturalmente, una compagnia di attori e musici di professione – anticipando così i famosi comici dell’Arte fra le quali 22
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 primeggiava l’Andreini capocomica che guarda caso si chiamava come la duchessa: isabella. La duchessa D’Este conobbe l’Allegri ancora ragazzo, ma più tardi ebbe qualche difficoltà ad incontrarsi di nuovo con lui: la causa di tanta crisi era dovuta alle avventure galanti del marito Francesco II, duca e capitano di eserciti, (tav 48) che amava intensamente isabella tanto da renderla madre per ben nove volte in undici anni! Evidentemente le pause procreative non sono cose da nobili! Amava con costanza la moglie, ma nello stesso tempo andava a scaricare la sua esuberanza anche con altre numerose amanti. Queste continue performance dell’insaziabile Gonzaga la mortificavano terribilmente, e quindi Isabella viveva sempre più appartata, evitando d’incontrare chicchessia. Qualche anno dopo la famosa battaglia di Fornovo presso Parma, l’irrefrenabile Francesco, comandante della coalizione degli eserciti italiani viene ingaggiato dai veneziani perché accetti il comando delle truppe della Serenissima. Nel frattempo, Francesco, si rende conto d’aver contratto una malattia tipica di chi frequenta le prostitute che normalmente seguono gli eserciti: la sifilide, un morbo 23
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 terribile e infamante. Isabella ne rimane sconvolta e non ne vuole più sapere di incontrarsi col marito. Ma, come si dice, le disgrazie arrivano sempre a grappolo. Il doge di Venezia scopre che il loro generale, il duca di Mantova, ingaggiato da solo due anni, sta tramando con i nemici della Serenissima: il maneggione fa appena in tempo a fuggire e rifugiarsi presso le truppe della coalizione antiveneziana. Ma purtroppo la nebbia gli fa sbagliare strada così si ritrova nell’accampamento delle truppe veneziane che lo stanno cercando. Dice: “scuset, a l’è per esta via che s’è va a venezia?!” “si, venit con nui che ve compagnèm”. E così portato a Venezia fu processato e costretto in galera a vita con la condanna di tradimento. Maledetta nebbia! Questo tragico incalzare degli eventi provoca a Isabella un dolore che la porta a gonfiarsi, come affetta da una obesità straripante al punto da non riuscire più a salire le scale, perciò è costretta a vivere al pian terreno del castello dei Gonzaga. Ciononostante si butta con disperato impegno a scrivere lettere e inviare messaggeri presso la Repubblica veneta e perfino dal papa per fare sì che il traditore venga perdonato e tolto di galera. Dopo numerosi tentativi andati a vuoto Isabella riesce finalmente a ridare al marito la libertà. Dopo qualche 24
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 anno, nel 15e19, Francesco, consumato dalla orrenda malattia, muore. Siamo nella primavera del 1517, una data per l’Allegri fondamentale, diremmo magica: in quell’anno gli vien messa a disposizione un’enorme stanza nel complesso del monastero dei benedettini di Parma perché egli possa eseguire i cartoni per gli enormi affreschi che dovranno decorare l’intera cupola del San Giovanni Evangelista. Il Correggio ha deciso di far apparire Cristo lassù, nel centro della cupola dentro un immenso catino lungo 9 metri e largo 8 (tav 49 e tav 50). Nel cielo il corpo di Gesù alluderà nei gesti a un lento volo. Intorno a lui centinaia di teste di bimbi si vedranno affiorare appena illuminati da una luce dorata proiettata dalla figura del figlio di Dio che qui, come nella metafisica socratica, rappresenterà il Sole. Intorno appariranno i dodici apostoli sdraiati su nubi sorrette e spinte da putti che si muoveranno come in una grande giravolta. Ogni figura sembra spostarsi spinta dal vento che agita i capelli, le vesti e i mantelli dei santi. La luce costante che dà vita agli apostoli, alle nubi e ai putti, proviene da Cristo. I santi sono allegoria dei pianeti che roteano intorno all’astro maggiore. Qui l’idea del turbinare astronomico è tanto palese da rendere incredibile che il 25
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 santo tribunale dell’Inquisizione non se ne sia accorto, ponendo sotto processo a Parma il pittore, tutti i monaci, i prelati e ogni creatura pensante . Siamo nel 1517, proprio negli anni in cui si comincia ad organizzare la Controriforma, e in quel clima non era molto agevole e conveniente dichiararsi entusiasti del capovolgimento che negava la teoria tolemaica. Infatti Copernico, proveniente da Varsavia, trovandosi all’università di Ferrara, invitato dal Papa Leone X a Roma a illustrare la propria idea del creato, glissò decisamente l’invito e ritornò nella sua Varsavia più tranquilla e sicura, in attesa forse che nascesse proprio in Polonia un nuovo papa, molto più aperto e illuminato, magari di nome Woityla! Insomma, il tribunale dell’Inquisizione, con le sue condanne, destava una certa preoccupazione in ogni uomo di pensiero. Ma protetto come si sentiva l’Allegri dai suoi fratelli benedettini, il timore di trovarsi sotto inchiesta non lo sfiorava nemmeno. È la prima volta nella storia della pittura che un artista riesce a realizzare una serie d’opere tanto azzardate, quasi impossibili: stiamo parlando tanto della cupola di San Giovanni (tav 51) che di quella nel Duomo di Parma (tav 52). Va ricordato che la Cappella Sistina e le sue volte 26
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 furono affrescate da Michelangelo circa 15 anni dopo e il Giudizio Universale tra il 1536 e il 1541, cioè 18 anni più tardi. E ancora, prima dell’Allegri, nessuno mai aveva realizzato un affresco su una cupola posta così in alto. Nel primo grande affresco di Parma, nel cerchio di base, collocato leggermente a lato, sta San Giovanni. Infatti la scena è dedicata al racconto della sua visione, evento accaduto poco prima della sua morte. Sembra quasi di udire la voce del quarto evangelista che narra la nascita dell’universo – noi abbiamo scelto di farvela ascoltare nella traduzione dall’originale greco proposta dal Diodati, alla fine del ‘500: “Nel principio la Parola era, e la parola era appresso Dio, e la Parola era Dio. In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini. E la luce riluce nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno compresa. Colui che è la luce vera, la quale illumina ogni huomo che viene nel mondo, era”. Per dipingere la visione di San Giovanni narrata sull’intera conca della cupola, il Correggio impiegò due anni, dall’inizio del 1520 alla fine del 1521. Per riuscirvi inventò macchine a montacarico e trabattelli inusitati. Innanzitutto, è quasi certo che disegnò l’intera azione scenica sul pavimento quasi a specchio della cupola ed ebbe la straordinaria idea di servirsi di apparecchiature 27
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 mai usati in pittura. Per riportare sul piano di base dell’arcata le distanze e le collocazioni dei personaggi che avrebbe dovuto dipingere lassù, realizzò sul pavimento i calcoli per mezzo dell’astrolabio: (tav 53 e tav 54) l’apparecchio a cerchi intersecati e concentrici di cui si servivano i marinai per orientarsi misurando la distanza che intercorre fra le stelle. A questo punto sugli schermi vi proiettiamo una paradossale allusione scenica del facsimile del progetto dell’impalcatura che sale per l’intera cupola, voluta e gestita dai monaci che a Parma erano anche gli impresari del Duomo. (tav 55) Parma da ormai mezzo secolo era diventata un solo enorme cantiere, non si progettavano e costruivano solo chiese, ma anche strutture civili tra cui un gigantesco ospitale, più numerosi edifici pubblici per la gestione amministrativa dell’intera città. (tav 56) Ma dove e in conseguenza di quale situazione era nato questo impeto civile a Parma? Tutto ha origine e si propaga nell’intera Lombardia grazie ad un nobile decesso, o se preferite, al decesso di un nobile nonché principe e despota: stiamo parlando Filippo Maria Visconti (tav 57) che muore nel Palazzo Ducale della capitale 28
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 lombarda nel 1447 creando un impressionante vuoto di potere nella città e nell’intera regione. Tutti i suoi consigliori e serventi non sanno più che pesci pigliare: “Che facciamo? Chi scegliamo fra di noi che riprenda in mano il potere e lo gestisca come si deve?” Litigano, si aggrediscono… ma all’improvviso si spalancano i portoni e la sala consiliare viene invasa da cittadini inferociti che li prendono letteralmente a pedate, e ognuno di loro è costretto a raccogliere le proprie natiche dolenti e fuggire buttandosi giù per le scalinate a rabattoni. La Popolazione di Milano proclama giocosamente la nuova Repubblica Ambrosiana. Lo stato visconteo si era esteso in quel tempo fino a Parma, Bologna, Pisa, Siena, Lucca e Perugia e all’istante il movimento dei rivoltosi si propaga anche nel nucleo più antico delle città lombarde. Parma diventa la proclamatrice della “libertas comunalis”, acquistando, come Mantova, Cremona, Brescia e tutte le città della piana del Po, una completa autonomia politica e giuridica: riappare la “libera magistratura della ragione” gestita con il ritorno degli anziani ‘rettori’ dei Comuni (tav 58). Nel governo della città rientrano i mercanti e gli artigiani, i popolari e addirittura i meccanici (tav 59) che, con gli stessi diritti degli altri eletti, prendono posto nel 29
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 consiglio del nuovo comune. E’ un evento strepitoso ed è strano che di un accadimento simile non si faccia cenno alcuno nei testi della storia d’Italia. E anche a Parma quei pochi che ne sanno qualcosa, preferiscono tenerlo nascosto: non si sa perché! Ma tornando alla nostra storia, i veneziani cercano di approfittare dell’empasse politico e amministrativo per appropriarsi dei terreni e delle città meno protette nei territori dei nuovi liberi. Ma i confederati dei nuovi comuni non ne vogliono proprio sapere di questa spocchiosa ingerenza e organizzano una vigorosa resistenza. Nel 1448 a Casalmaggiore, i comunali di Lombardia, con il sostegno di un capitano di ventura, Francesco Sforza, e del suo esercito sconfiggono i veneziani, ma vedremo che, come succede spesso, la congrega dei mercenari che sostengono i lombardi liberati riuscirà a mangiarsi terre e autonomia degli insorti. Come ci spiegano illustri storici del tempo, la nascita delle nuove Repubbliche crea sùbito una corsa smodata alle cariche pubbliche e lo stesso succede anche a Parma: in consiglio si notano subito personaggi che oggi diremmo conservatori e reazionari sventolare impunemente il vessillo della libertà e dei valori democratici. Purtroppo intanto le aggressioni degli eserciti mercenari continuano, 30
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 finché ecco che ha fine la breve, ma intensa parentesi della nuova Lega Lombarda. Com’era prevedibile, nel 1450 Francesco Sforza, col suo esercito di avventurieri, entra a Milano sopprimendo la Repubblica Ambrosiana e ripristinando totalmente il ducato. Ma lo spirito e la situazione che si sono creati in quei due anni nelle città lombarde a cominciare da Parma, resistono e riescono a mantenersi ancora operanti. Questa atmosfera determina un impulso straordinario allo sviluppo edile ed economico delle città. E’ nella metà del secolo XV che Gutenberg a Magonza inventa la stampa a caratteri mobili. In Italia, questa rivoluzionaria tecnica del riprodurre gli scritti giunge prima a Venezia poi a Firenze e Napoli; qualche anno dopo raggiunge anche la Lombardia. A Parma l’editoria guadagna una forte presenza in città: fra le prime stampe viene eseguito l’atto costitutivo che sancisce i diritti e i doveri fra i contraenti. Angelo Ugoleto è il primo tipografo che, a Parma, stampa le traduzioni di testi dal latino e dal greco. Fra i testi famosi tradotti spicca quello detto di Dioniso di Siracusa che così si presenta: 31
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 “Io son colui che tutti chiamano il tiranno, che è una menzogna giacché sono stato eletto dal popolo per acclamazione, e ancor oggi il popolo mi applaude perché so ben governare. Di me dicono gli oppositori che ho assunto il potere per avidità ‐ ma di che potrei esser avido? Ho già tutto: sono proprietario di palazzi da me costruiti; ho in mano l’economia della città, compresi i banchi di prestito e scambio; posseggo navi da me costruite per il trasporto delle mie merci; ho un tempio a me dedicato, tant’è che ogni tanto sono costretto a compiere qualche miracolo per la gioia dei fedeli; nelle campagne intorno posseggo una cosa come quaranta ville con piscina; le donne mi adorano e vengono da me senza pretendere un soldo, anche le minorenni (il loro onorario lo pagano gli imprenditori che chiedono a me favori)… Dicono che io sia rozzo nel modo e nel linguaggio, e che per compiacere ila plebe racconto storielle d’osteria cariche di trivialità… è vero, ma io, il giorno dopo, puntuale smentisco immediatamente di averle raccontate. Per dimostrare il mio umore sottile ho perfino partecipato ad una tenzone di teatro satirico ad Atene e ho guadagnato la coppa maggiore con il massimo degli onori. E NON DITE CHE HO PAGATO LE GIURIE! NON VE LO CONSENTO! 32
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 E che commedia ho presentato al pubblico? È logico, una farsa in cui parlavo di me: tutta la verità sulla mia vita. Al mio racconto nessuno poteva trattenersi dal ridere, sghignazzavano tutti come matti. Mettevo in scena di come sono arrivato fin quassù, la mia furbizia e le gabole spregiudicate che ho saputo snocciolare. Imparate da me: l’arma di maggiore effetto che dovete usare per ottenere successo è la frottola. Raccontatene a valanga, giurate sulla testa dei vostri figlioli e urlate: “Che un fulmine li colpisca in capo se sto mentendo!” (se poi arriva il fulmine… ne farete degli altri); fate promesse a tutti su qualsiasi argomento, non importa se sapete già di non poterne mantenere nessuna: tanto, la gente non ha memoria, si dimentica, pluf… Ho sbagliato a chiamarla gente: devo chiamarla popolo. “Il mio popolo che amo”. Anche io sono figlio del popolo e per questo so come fregarlo. No, questo non lo dico a loro, ma a voi ateniesi, sì. E a proposito di frottole non scoraggiatevi se non vi credono sùbito, se v’insultano dandovi dell’ipocrita. Voi, continuate a ripetere loro la stessa fandonia. Alla terza volta che la raccontante, diranno: “È assurdo, ma è divertente”. 33
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 Alla quinta volta diranno: “C’è quasi da crederci”. E alla settima volta esclameranno in coro: “Ci hai convinto, questa è la verità! Evviva!” Ripetete fino all’ossessione: “Io sono per la democrazia e la giustizia, che è una sola, uguale per tutti”; ma subito preoccupatevi di inventarne una diversa, una legge tutta per voi. Anzi imponete più leggi particolari promulgate solo a vostro vantaggio, giacché annuncerete: “Io sono per il nuovo e sono per la difesa del pubblico, ma anche del privato”….. soprattutto quando si tratta di difendere la riservatezza di ognuno”. Voi sapete che la particolarità di Siracusa sono le grotte nate come cave di pietra grazie alle quali si formano situazioni acustiche del tutto particolari, uniche al mondo. Uno parla con un altro qua, la sua voce viene raccolta da una conca che funge da padiglione auricolare e un altro che sta lontano, dall’altro lato, riesce ad ascoltare quei discorsi come stesse a pochi metri di distanza da loro. Questo fenomeno è chiamato l’Orecchio di Dioniso (cioè il mio nome… in mio onore), ed è sempre stato da sempre usato dalle guardie di giustizia per smascherare i delinquenti e gli infami rivoltosi. Ma alcune guardie sono riuscite ad ascoltare anche i discorsi di amministratori e faccendieri, addirittura del mio 34
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 governo! – li hanno ascoltati per giorni e giorni, finché, quando si erano resi conto di avere raccolto prove sufficienti della loro attività criminale, li hanno fatti processare e messi in galera. Inopinatamente (si vede che sono un intellettuale) i poliziotti hanno spiato anche me e la mia famiglia, i miei amici più cari… proprio nel momento in cui con alcuni criminali di passaggio si parlava di cose private, interessi un po’ intimi… E pensate un po’, mi hanno denunciato, ME!, con la pretesa di portarmi sottoprocesso, ME! Per fortuna a un mio avvocato (ne posseggo una grande collezione, io amo gli avvocati!) dicevo, a questo avvocato, che è anche mio ministro, è venuta l’idea d’inventare una legge detta non possumus – cioè a dire: il rappresentante del popolo può presentarsi in tribunale solo nel caso sia libero di venirci. Ma io, ahimè non sono mai libero! Un giorno sono al consiglio dei ministri; un giorno mi devo curare per una pietra scolpita che un pazzo mi ha lanciato in fronte; un altro devo incontrarmi con la mia seconda moglie per risolvere i problemi del divorzio… non ho tempo nemmeno per andare all’arena a godermi lo spettacolo dei leoni che si sbranano un gruppo di giullari che hanno sparlato di me! 35
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 Sì, è vero, ogni tanto mi lascio andare a gesti brutali, ma vi assicuro: nel mio profondo non sono un despota – io non detengo alcun potere! Al massimo, da noi chi comanda sono i gerarchi (da greco hierarkhes, uomo al potere!). A me è concesso solo di dare l’ordine al mio cavallo… ma non glieli posso nemmeno dare direttamente, devo passare per il mio auriga che guida il carro con me vicino! “Digli di andare a sinistra, digli di andare a destra…” E devo sopportare anche il rifiuto della bestia, qualche volta: si blocca e sbatte la testa, come a dire: “ne ho piene le scatole, basta, non giro più di qua ne di là… Ma che sono un bondi (dal greco Bòndikos, che vuol dire tirapiedi)?” E che faccio io? Lo faccio frustrare bondi… voglio dire il cavallo? Gli faccio mozzare le orecchie? La coda? No! Io amo troppo le creature del Signore. Neanche fossi in un deserto senza ne acqua né cibo riuscirei ad ucciderlo per sopravvivere. Piuttosto ammazzo l’auriga e mi mangio lui. Scherzavo, è solo per procuravi una risata... Ma torniamo alla Parma del 500 In quel periodo la pubblicazione di testi tradotti in volgare a prezzi finalmente accessibili gode di un grande successo, specie presso le classi popolari. All’inizio la Chiesa 36
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 appoggia la nuova tecnologia, mentre i nobili guardano con un certo sospetto ad una rivoluzione che può permettere a nuove classi sociali di accedere alla cultura e all’informazione. In un secondo tempo, accortosi di questo pericoloso valore democratico e dialettico, oggi diremmo liberale, il clero, visto che quella innovazione permetteva anche ai “semplici” di accedere a testi di cui era proibita la divulgazione letteraria, a cominciare dalla Bibbia e il Vangelo, impose divieti e censura nei riguardi di tutta la stampa in genere. Sul finire del XV secolo, a Ravenna, ha luogo una battaglia fra la Lega Santa e i francesi, che subiscono il maggior numero di perdite, ma pur non essendo stati battuti nello scontro, inaspettatamente le truppe francesi di abbandonano l’Italia lasciando le città in balia dell’esercito papale schierato con la Spagna, cosicché Parma diventa territorio della Chiesa che ne rivendica il possesso con papa Giulio II. Ciononostante Parma riesce a proseguire nella sua incredibile ripresa economica e culturale. Nella gestione della città vengono rappresentate tutte le diverse classi sociali, quasi al completo. Fra queste: i 37
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 dottori e i cavalieri, i piazzesi, i mercanti e gli artisti, fra i quali erano in gran numero gli artigiani. Ogni proposta innovativa veniva discussa e votata: esistevano le fazioni politiche, ovvio, e perfino i voti d’accatto… e soprattutto la corruzione: ogni tanto si sentiva urlare: “Chi è quel figlio di puttana che si è permesso di pagare a mia insaputa, i novemila fiorini che mi mancavano per l’acquisto della casa!?” Però le votazioni avvenivano in forma corretta. Infatti, ci si serviva di fave e fagioli, che ciascuno ognuno in un’urna: una fava per approvare e un fagiolo per bocciare una decisione. Questo espediente venne però abbandonato dal momento che i consiglieri corrotti pur di rendere nulla la votazione facevano il gesto di lanciare il legume nell’urna, ma nello stesso tempo si mangiavano tanto le fave, che all’occorrenza i fagioli. Quindi, ai legumi vennero sostituite piccole pietre di fiume tonde e colorate. Dicono le cronache che in quel tempo numerosi consiglieri soffrirono di coliche terribili, giacché imperterriti continuavano a ingoiarsi il gettone di voto, che questa volta era di pietra. Colpiti da blocchi intestinali emorragico, in molti ci rimnevano secchi. Ahh… BATTUTA!!!!!!!!!BATTUTAAAAA!!!!! 38
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 Ma a parte il grottesco, dobbiamo ammettere che lo sviluppo creativa della Parma del ‘500 era reale e straordinario e ancora una volta, a sostenere questo clima v’erano i monaci benedettini. Correggio in seguito al prestigio guadagnato dal successo della Camera Alchemica aveva ottenuto nuove commesse, specie riguardo le cupole in costruzione. Nella seconda cupola, come tema principale era quello dell’Assunzione in cielo della Vergine. A questo proposito c’è tutta una sequenza di immagini di cui non abbiamo ancora parlato. Si tratta dei festanti, ovvero della scena in cui figure di santi se ne stanno a spaparanza su morbide nubi dalle quali altri santi (tav 34, tav 35), soprattutto femmine e fanciulle alate, vanno agitando tamburelli e suonando viole. I corpi in movimento delle fanciulle danzanti s’indovinano appena, attraversati come sono da velature che sembrano onde mosse dal vento. Sembra di sentir recitare le rime di uno spumeggiante epigramma satirico di Marziale che descrive una ragazza immersa in una tiepida fonte (tav 36). Sguazzando in questo piccolo lago, la fanciulla scende e risale leggera fra le onde e del tutto ignuda. La trasparenza dell’acqua appena la scopre, lasciandone immaginare l’armonia del corpo. Ora la figliola fa cenno all’amica che vuol uscire 39
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 dall’acqua. Questa le lancia un largo lenzuolo che la fanciulla agilmente acchiappa. Salendo la scala, ahimè, il lenzuolo le sfugge, ed ecco appaiono due splendidi seni nudi: con uno scatto, ah!, manda un grido pudico e, svelta, raccoglie il drappo sottile coprendosi il petto, ma, ahimé, ah! lascia scoperto il ventre e il pube. Ah! Esplode un coro di giovani affacciato alla cornice della fonte. Nuovo scatto di braccia, mani e fianchi per nascondere le nudità. Finalmente la fanciulla è del tutto abbigliata, si volta mostrando la schiena e il coro esplode in un altro grido compiaciuto: Ahhh!!! Sono apparsi due glutei festanti e rigogliosi come meloni dorati. E Marziale conclude: “Dio, che culo!” Più o meno è la stessa allegrezza che vediamo ripetersi nelle progressioni di questo santo baccanale giocato nel cielo. (tav 37) Dalle mani dei festanti spuntano tamburelli e dalle bocche flauti, agitati nel dare il ritmo a un concerto dove musici, maschi e femmine, danzando soffiano nei loro strumenti. Da una nebbia appena accennata sorgono immagini di cherubini e di figliole che via via si fanno più nitide e riconoscibili. (tav 38) L’Allegri, qui, ha badato bene di non ripetere mai identiche sembianze. Infatti ogni ragazza 40
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 mostra carattere e fisionomia diversi: evidentemente appartengono a differenti modelle alcune delle quali di certo s’accompagnavano volentieri con l’ancor giovane maestro. A questo proposito, è risaputo che i monaci e gli amici d’ambo i sessi spesso chiedessero all’Allegri: “Antonio, cosa aspetti a mettere capo a buon partito? Ormai sei in giusta età per prender moglie e aver figli. Con tutte le ragazze che ti stanno intorno non hai che deciderti…”, e pare il pittore rispondesse immancabilmente: “Aspetta. Non subito, ci penserò domani…”, e quel “domani”, che era già il nomignolo di suo padre Pellegrino, divenne così l’appellativo dell’artista ripetuto da tutti. Allegri, detto Correggio, soprannominato “Sì, ma domani”. (tav. 39) Ad un certo punto il pittore mentre sta lavorando lassù in cima alle impalcature ha l’impressione che tutto stia ballonzolando – s’aggrappa a una centina e vede il pavimento laggiù sparire… “Ecco,” commenta, “il coccolone da cupola…” Questo sconvolgimento lo coglie tutte le volte che esagera nel restare appeso lassù per troppo tempo, muovendosi fra le nuvole e i santi dipinti – “Un po’ di fiato, per favore!”, esclama. 41
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 FOLLI: follare, che vo’ dicere: sbattere nell’acqua la lana meglio i teli di lana appena tessuta perché infeltrisca e quindi aumenti la propria resistenza. Così scende dalla luuunga impalcatura e se ne torna al paese per cercare di riprendersi. Sta passeggiando per un vicolo nel centro della città di Correggio, quando viene all’improvviso travolto da un gruppo di ragazze che, sciamando, si rincorrono per gioco (tav. 41). In particolare va a scontrarsi con una di loro, una ragazzina, che lo getta letteralmente a terra e gli frana addirittura addosso: “Ma che è?” “E’ l’amore!” (tav. 42). Seduti per terra, dopo un primo momento d’impaccio, entrambi scoppiano in una fragorosa risata. È un incontro quasi magico, che trasforma e sconvolge interamente entrambi. Appena Girolama, che da poco ha compiuto sedici anni, con quella sua presenza piena di timore e luminosa al tempo stesso, si rende conto contro chi è andata a sbattere, esclama: “Oh, mio Dio! Ho sbattuto a terra l’uomo più importante della città, l’Allegri, il maestro in persona!” Ma la maggior sorpresa della ragazza è quando il pittore, sollevandola da terra, le propone: “Non potremmo scontrarci ancora un’altra volta… però in un luogo un po’ 42
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 meno affollato?” (tav. 43) La ragazza arrossisce e sorride stravolta. Così da quel giorno Antonio e Girolama si rivedono e si ridanno appuntamento più e più volte. Di lì a poco lui vuol conoscere i suoi genitori: scopre che il padre della ragazza, un armigero del duca di Correggio, è rimasto ucciso in uno scontro in battaglia nel primo anno di vita della piccola Girolama, mentre della madre di lei non si sa nulla. Ma Antonio ha in progetto di affascinare quella figliola fino allo stordimento; e così la conduce con sé a Parma, e, con l’aria di compiere una normale visita alla basilica di San Giovanni, le fa strada fino alla base della cupola trasformata in cantiere. Girolama rimane a dir poco sconvolta. Subito si trova a camminare su un pavimento dove sono distesi, uno appresso all’altro, grandi cartoni sui quali sono disegnate figure volanti di santi e bambini fra le nuvole (tav. 44). Antonio prende per mano la ragazza e la invita a camminare su quell’immenso abbozzo. “Perché – chiede – hai steso tutto il progetto sul terreno?” E Antonio le risponde: “Per poterlo osservare dall’alto senza dover torcere il collo in aria rischiando un coccolone.” “Non capisco…” 43
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 Antonio la riprende per mano e la conduce verso un’impalcatura dalla quale partono scale che s’arrampicano verso l’alto (tav 45). Montano lassù, raggiungono una specie di poggiolo dal quale ci si può affacciare. “Guarda in basso – la invita Antonio – ecco, di qua puoi immaginare come si presenteranno le figure una volta dipinte nella cupola. Chiudi gli occhi per un attimo prima di volgere lo sguardo in basso e riaprili immaginando di aver rovesciato il tuo corpo così da trovarti con il viso volto verso l’alto.” (tav 46) Girolama chiede: “Cos’è, un gioco?” “Tu fai come ti dico…” La ragazza esegue e quindi esclama: “E’ vero, così si può immaginare come sarà il dipinto terminato. E’ stupendo!” Antonio si fa portare da un collaboratore un aggeggio meccanico con archi di metallo rotanti, lo consegna alla ragazza dicendole: “Ora poniti lo strumento davanti agli occhi e puntalo in alto.” “Cos’è?” chiede. “E’ un astrolabio: se ne servono i marinai per misurare la distanza fra le stelle e la Terra così da potersi orientare in mare.” “Meraviglioso! E come funziona?” 44
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 “Non è semplice. – dice Antonio – Prima di tutto devi appoggiare questa stampella alla spalla sinistra, poi devi far scorrere la struttura a cerchi fino a raggiungere il livello degli occhi. Ora torci l’astrolabio e guarda dentro questa piccola apertura”. La lezione dura per un certo tempo, poi, entusiasta, la ragazza grida: “Ci sono riuscita! La tacca qui dice 15 piedi”. “Brava!” E senza rendersene conto, s’abbracciano. Per fortuna il macchinario impedisce loro di baciarsi proprio davanti al sopraggiunto maestro generale dell’Ordine che, notando la ragazza, commenta: “Eh, eh…! Antonio! Questa è come una nave, non ci si ˙anno salire femmine, porta male!” “Beh, dipende da che femmina, Maestro. Questa è la mia prossima sposa…” “Evviva,” esclama il monaco, “ti sei deciso finalmente!” Con lui sono saliti i suoi confratelli, che applaudono. Qualcuno commenta: “Bella scelta, complimenti! Te la sei trovata in un asilo nido?” Ad ogni modo lo spettacolo non è ancora finito. L’Allegri chiama i suoi collaboratori che salgono sull’impalcatura come se si arrampicassero sugli alberi d’un galeone, poi si fa consegnare una specie di piccolo flauto dentro il quale soffia traendone note da nostrromo: tutti gli operatori 45
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 insieme iniziano a roteare mangani e strattonar funi in ogni direzione. All’istante da ogni lato scendono e salgono personaggi che sembrano vivi, in verità si tratta di marionette a grandezza naturale appese nel vuoto e realizzate usando paglia .. impastata con gesso e colla, leggerissimi insomma. Per costruirle, l’Allegri ha ingaggiato un gruppo di scultori adibiti a quel solo compito. “Ecco, così puoi farti l’idea di come sarà la cupola una volta terminata”. La manovra giunge al termine: gli argani s’arrestano, i pupazzi continuano ad oscillare ancora per un po’. “E’ incredibile, è uno spettacolo magico!” (tav. 47) Girolama si sente la testa andare in danza e deve appoggiarsi ad Antonio per poi sedersi sui gradini della scala esclamando: “Oh, è troppo! Scusate, ma ogni volta che dipingete una cupola montate un macchina mento del genere?” “No, ‐ le risponde il grande maestro dei benedettini ‐ succede per la prima volta: è Antonio, il nostro maestro, che s’è inventato tutto quello che vedi.” E aggiunge: “Antonio stava già al servizio del Padreterno,quando il Creatore decise di montare l’universo!” 46
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 Scendendo dai ponteggi, i due innamorati senza rendersene conto sulle scale spesso si abbracciano l’uno l’altro e all’istante lei sussurra: “Antonio, ho paura di essermi innamorata del creatore.” **** FINE PRIMO ATTO È ovvio che Correggio preso com’è dal fascino vivo e ammaliante di Girolama, la sua ragazza, non le tolga mai gli occhi di dosso e non possa fare a meno di dedicarle ritratti uno appresso all’altro; e, rapido com’è nel disegno, continua ad abbozzare ritratti della fanciulla sotto forma di cartoni che userà per gli affreschi. (tav. 39) Tre anni fa mi è capitata la fortuna di vedere un’immagine di Girolama, non classificata fra i dipinti conosciuti. Si trattava di un’opera proveniente dalla collezione privata della famiglia Fucci di Fano: la pittura era su tavola e piuttosto malridotta. Mi sono rivolto a un’amica, Pinin Brambilla, che senz’altro è riconosciuta come una delle più quotate fra tutti i restauratori di un certo valore. Nel suo studio è stato eseguito un vero e proprio salvataggio e ripristino di questo dipinto che ho pensato fosse importante farvi conoscere. (tav. fotografia Girolama) 47
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 E qual è l’immagine di Girolama dentro questi ritratti e, soprattutto, dentro gli affreschi? Beh, non c’è che puntar bene lo sguardo ed eccola: è lì, in mezzo a una brigata di figliole festanti che accompagnano Eva, che è il ritratto di Girolama ragazzina, naturalmente ignuda che non si cura certo di nascondere le sue grazie (tav. 40 e tav. 41). E’ felice e libera come appena venuta al mondo e assomiglia straordinariamente ai ritratti di dee e di ninfe che fra poco Antonio andrà a dipingere. Così, ecco che il viso della ragazza del Correggio appare in dipinti dedicati, oltre che ad Eva, anche alla Vergine e alla Maddalena (tav. 48, tav. 49), nonché nel volto di Santa Caterina nel matrimonio mistico con Gesù (tav. 50). Finalmente anche in queste nuove figure vive e che sembrano respirare, ogni immagine di femmine beate solleva come per incanto le palpebre, lasciando intravedere sguardi luminosi (tav. 51), anzi, spesso gli occhi, nel caso della Vergine, si spalancano per meglio comunicare una gran gioia verso il piccolo Gesù, che festosamente contraccambia. Volti e figure femminili hanno perso definitivamente quel loro atteggiamento da icona, si fanno sempre più vivi e slanciati, e soprattutto affiora nei gesti e negli sguardi una tenera festosità espressa nel gioco fra madre e bimbo al 48
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 quale partecipano spesso angeli, il san Giovannino e fanciulle beate. La produzione di Allegri in quel tempo si fa addirittura febbrile, ormai la sua ragazza è assunta al ruolo di protagonista di episodi fra i più svariati, sia sacri che profani. La riconosciamo col bimbo in braccio nel Riposo durante la fuga in Egitto (vedi tav. 51), mentre Giuseppe si preoccupa di abbassare i rami di un albero di datteri che raccoglie per offrire alla Vergine e al suo bimbo. Sullo stesso tema, / è il dipinto detto de La Zingarella (tav. 52) dove la Madonna se ne sta accovacciata ai piedi di una grande palma con il bambino dormiente; in alto, un gruppo di angeli si aggrappa ai rami in modo da spingerli verso il basso, così da permettere alla Vergine di cogliere i frutti per il figliolo. Se confrontiamo il volto della Zingarella (tav. 53), oggi a Capodimonte a Napoli, eseguito nel 1518, con quello della Madonna Càmpori, dello stesso periodo, (tav. 54) ci rendiamo conto che l’immagine di una è l’esatto pendant dell’altra e che nella loro gestualità la donna e il bambino sono una madre e un figlio autentici: il gesto con cui la cosiddetta zingarella raccoglie sul proprio petto il figlio non può essere che ritratto dal vero, come reale è il gesto con cui il bimbo nella Madonna Càmpori rifiuta il latte che la madre gli offre dal suo seno. 49
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 Ma da dove nasce l’ispirazione e l’argomento che vede una raccolta di datteri da donare al figlio di Dio durante la fuga in Egitto? Guarda caso il Vangelo apocrifo dello pseudo–Matteo (I secolo d.C.) ci parla della disperazione di Giuseppe e Maria, che attraversando una zona desertica, vanno cercando una fonte per dissetare se stessi e il bambino. Scorgono un’alta palma i cui frutti sono irraggiungibili. All’istante appaiono tre piccoli angeli. I cherubini s’aggrappano alle lunghe foglie e strattonandole riescono a curvare tutto un ramo tanto da far‐gli lambire il suolo. La Madonna solleva il bimbo cosicché egli possa staccare i datteri e portarseli alla bocca per suggerne la polpa. La scena ha ispirato pittori famosi, fra i quali appunto il Correggio. Ma da qualche anno ci si è accorti che il dipinto de La zingarella è stato pesantemente modificato dai sovraintendenti del museo negli anni 1922‐23. È incredibile constatare che censori bigotti e prude abbiano imposto una così brutale deformazione a quel capolavoro: hanno fatto sparire dal dipinto uno dei due angeli, quello che curvava la palma per spingere i datteri verso la Madonna2. Questa correzione ha completamente 2
Cfr. Dario Fo, Gesù e le donne, Rizzoli, 2007, p.72. 50
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 cancellato il gesto di porgere i frutti. Ma perché? È proprio vero che l’imbecillità dei censori è infinita, specie quando vestono la tonaca del rigore. Infatti, l’aggressione alla pittura è diretta proprio ai datteri che in un brano poetico del Cantico dei Cantici3 alludono ai seni dell’amata. Eccovelo: (tav. 55) Quanto sei bella e quanto vaga, carissima mia adorata. Il tuo corpo s’allunga come una palma e i tuoi seni sembrano pomi di dattero. E io assaggerò con le mie labbra quei frutti che di sicuro saranno più dolci del miele. È chiaro che questo stupendo frammento lirico l’Allegri innamorato lo abbia voluto dedicare alla sua giovane sposa e al suo bambino, che noi vediamo nei panni del piccolo Gesù. protagonista in quest’altro ritratto (tav. 56 Madonna della cesta), e c’è da pensare che forse il bambino che appare fra le braccia della vergine non sia 3
Il Cantico dei Cantici è un testo poetico contenuto nella Bibbia ebraica e risalente al V‐III secolo a.C. 51
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 altro, in realtà, che il piccolo figliolo di Girolama partorito qualche mese dopo il matrimonio. Intanto, giorno per giorno, la grande rappresentazione nella cupola maggiore sta ricoprendo gli ultimi spazi della volta. Correggio s’è reso conto che dal basso, a piano terra, da quella distanza, solo certe figure e situazioni vengono lette chiaramente. Altre sfuggono, perché quasi costantemente in ombra o eseguite nella curvatura di fiancata. E’ lì che Allegri sfòga per intiero tutto il proprio umore ironico e satirico. In quegli spazi il racconto, infatti, è impregnato di un sottile umorismo per cui anche le forme più grottesche ci vengono sempre proposte con andamento leggero e addirittura poetico, anzi qui l’azione, anche la più vorticosa, si trova immersa in una trasparenza che esalta e rende più leggere le immagini. Abbiamo detto di Eva (tav. 57‐ 58), fresca e ridente, e della somiglianza con il viso di Girolama: intorno a lei si muovono altre ragazze, che l’accompagnano con gesti di danza; a loro volta ciascuna ci riporta al viso della donna del pittore, come si trattasse di tante sorelle in festa. In quel tempo, al di fuori di qualche solenne e tragico avvenimento come l’improvvisa morte di Pio III, papa 52
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 appena eletto, e la dipartita di qualche artista operandi, tutto il lavoro proseguiva con rapida facilità. I Fabbricieri e i Canonici si dimostrano entusiasti della resa di tutta l’opera e di giorno in giorno, sull’onda di tanto successo, l’Allegri proponeva soluzioni pittoriche sempre più azzardate che mandavano in crisi i più conservatori fra i committenti, finché senza alcun preavviso ecco esplodere un contenzioso che provoca una vera e propria rottura fra l’Allegri e i responsabili religiosi e amministrativi della cattedrale. Come da progetto, per di più stipulato e firmato, Antonio il Correggio, ha dipinto nell’abside della cattedrale una splendida Madonna nell’atto di essere benedetta dal figlio suo. All’istante i Canonici decidono di abbattere le pareti su cui è stato eseguito l’affresco_onde creare un percorso più facile all’ingresso della Cattedrale. E’ inutile sottolineare che nel ritratto di quella Madonna si riproduceva il volto di Girolama. Qualcuno sospetta che quel gesto abbastanza brutale sia dettato dall’intento di ridimensionare il troppo potere che il Correggio si sta conquistando da sé. Una rimessa in riga, insomma. Antonio reagisce indignato e abbandona su due piedi la cattedrale lasciando incompiuti gli affreschi per i quali s’era impegnato nel contratto. 53
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 Quel suo gesto viene giudicato dai più come sconsiderato e arrogante, ma questo fa parte della normalità. L’orgoglio e il senso della dignità erano ritenuti da lui valori essenziali – qualità del resto proprie di altri grandi artisti di alto coraggio civile, quali Michelangelo Buonarroti e Caravaggio che a loro volta in seguito a comportamenti tracotanti e brutali dei committenti, abbandonarono il cantiere e le opere in corso per andarsene altrove. Noi pensiamo però che nel caso di Correggio la vera ragione di tanta tracotanza da parte della committenza fosse determinata dal fatto che finalmente i monaci e i sapienti di curia avevano intuito fino in fondo l’allegoria che stava sottaciuta al tema degli affreschi di entrambe le cupole, cioè quella dell’eliocentrismo del creato. Evidentemente di questo anche gli inquisitori del Santo Uffizio ne hanno avuto sentore. Quindi i responsabili del Duomo di Parma, pur di evitare lo scandalo organizzano e mettono in atto una delle soluzioni più antiche e di immancabile successo: cioè quello della provocazione più smaccata. L’Allegri ci casca, d’accordo, ma crediamo che avesse di certo intuito il macchinamento. Così a causa di questo contenzioso Correggio perdeva anche la protezione dei monaci e dei sovrintendenti del tempo. Per fortuna negli anni in cui il pittore si era 54
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 impegnato nella messa in scena pittorica delle cupole, non cessò di aver rapporti con committenti privati. Fra i suoi estimatori forse la più importante era la vedova di Bergonzi, Briseide Colla, che gli commissionò un grande quadro, la Madonna di San Gerolamo, raffigurante la Vergine con alcuni santi e al centro, sdraiata quasi voluttuosamente sul bambino, la Maddalena. Per quest’opera il Correggio ricevette quattrocento lire imperiali, due carri di fascine, alcune staia di frumento e un maiale. Perché stupirsi? Siamo a Parma (Salsomaggiore) del resto! E non bisogna dimenticare che il maiale rappresenta il maggior numero di mammiferi che abitano l’Emilia intiera. Tre capi per ogni essere umano… quindi un po’ di rispetto per favore! Tornando al dipinto… si tratta di un’opera davvero straordinaria, sia per l’impianto compositivo, che per i temi che svolge: è una delle prime volte in cui vediamo la Maddalena vicina a Gesù bambino in una situazione capovolta nello spazio e nel tempo. Maddalena dimostra più o meno la stessa giovane età della Madonna, e Gesù, che nella tradizione popolare è l’uomo della Maddalena, invece è putto, bimbo, ma nella composizione e negli atteggiamenti dei protagonisti, scopriamo una passione con una grande carica di sensualità. Inoltre c’è un 55
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 elemento che non è nascosto e che anzi viene a sottolineare questa passione, tanta dolcezza: il gesto della Maddalena che teneramente tiene nelle sue mani il piede del bambino, e il bambino che accarezza i capelli della Maddalena. In questi gesti è facile leggere il riferimento ai Vangeli canonici dove si rappresenta la situazione in cui la Maddalena lava i piedi di Gesù e quindi li asciuga con i propri capelli, quelli che ora Gesù accarezza. Il putto che sta alle sue spalle mostra una piccola brocca, simbolo della sessualità femminile, e nello stesso tempo si allude al prezioso unguento che la Maddalena userà per il lavacro dei piedi di Gesù. Un elemento cromatico di grande importanza è il piano della luce. Lassù in alto è stesa un’ampia tenda che serve a calmare, ad abbassare il calore della luce del sole, ma ecco che i personaggi non appaiono protetti dall’ombra anzi sono tutta luce, ma si ritrovano, nello stesso tempo, in controluce. È un’invenzione pittorica straordinaria. Il fondo è la luce. È come se ci fossero due soli che illuminano: un sole che se ne va al tramonto di là e uno che spunta davanti e che illumina tutti. Alla fine del ‘700 la tela viene inserita nel bottino napoleonico, onore riservato solo alle grandi opere 56
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 rapinate. Rimane in Francia per vent’anni. Molti critici fanno notare come la Maddalena, per il suo tessuto cromatico‐pittorico, ricordi alcuni famosi dipinti mulïebri del Tiziano. Fra i committenti privati senz’altro uno dei maggiori clienti collezionista d’arte è il duca figlio di Isabella d’Este che cominciò ad ordinare al Correggio l’Educazione di Amore. E’ un tema completamente nuovo per lui tanto che prima di affrontarlo eseguirà numerosi disegni e bozzetti preparatori. Nella lezione d’amore di fronte ad una splendida Afrodite completamente nuda, Eros bambino impara a leggere un testo sui giochi amorosi aiutato da Ermes che regge un foglio e gli corregge gli strafalcioni. Come di tradizione, Venere non indossa abito alcuno, nemmeno un drappo (con lei le sartorie d’alta moda fallivano immancabilmente): basta immaginare la dea dell’amore, / qui rappresentata all’impiedi, / sdraidata su un letto e noteremo subito le concomitanze con le Veneri di Giorgione e di Tiziano, però con il viso che costantemente ritrae quello di Girolama che è sempre di più l’unica modella di Antonio Allegri. Oltre il viso, l’unico particolare che distingue la dea del Correggio da quella dei veneziani sono le due fragili ali che le spuntano dalle spalle, ali che qualche critico ha ritenuto produrre 57
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 emozioni di grande erotismo... non abbiamo capito perché: purtroppo non abbiamo mai avuto la fortuna di ricevere carezze alate. Questa tela vince senz’altro il record degli spostamenti e dei cambi di proprietà. Dal Gonzaga, passa a Carlo I d’Inghilterra; quindi viene acquistata dal duca d’Alba per ottocento sterline. Giunge in Spagna, dove poi passa di proprietà al principe De la Pace; nel 1808 viene trasportata a Napoli e diventa di proprietà del Murat, il capitano napoleonico fatto re dall’Imperatore. Alla sua morte, la Venere passa a Carolina Buonaparte a Vienna. Si racconta che la splendida sorella di Napoleone era solita confrontarsi a sua volta nuda con Venere, davanti a uno specchio, ma si accorse ben presto che il confronto andava a tutto vantaggio della dea, quindi decide di venderla al marchese di Londonderry, che la cede allo stato britannico. In questo continuo cambio di proprietà il dipinto è andato perdendo croma e brillantezza, per cui viene più volte restaurato, spesso provocando danni ulteriori. Il peggior intervento è apportato senz’altro dagli ultimi proprietari, gli inglesi: costoro ridussero la tavola nei due fianchi di almeno 15 centimetri per parte. In poche parole, per far entrare la tavola in una cornice muraria preesistente, il possessore risolse tranquillamente di 58
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 segare due strisce laterali in eccedenza. Questa di subìte riduzioni o addirittura amputazioni è sorte ben nota che si ripete spesso in pittura. Infatti un’altra opera di Allegri sita nella Cattedrale di Parma ha dovuto sopportare addirittura un vero e proprio massacro: a una serie di figure femminili in tutta la loro stupenda nudità e rappresentanti personaggi mitici della tradizione antica sono state tranquillamente mozzate la testa e una parte del tronco per lasciar spazio a una serie di finestre riccamente decorate.4 A parte le vicissitudini, il dipinto Educazione d’Amore ebbe tale successo che il giovane Francesco Gonzaga ordinò all’Allegri tutta una serie di tavole ad argomento erotico. Qui vediamo Giove trasformato in fauno, pronto a gettarsi su Venere dormiente. Vedremo nelle prossime pitture, dedicate al padre degli dei e ai suoi amori, come Jupiter arrivasse a trasformarsi di volta in volta nelle sue performance erotiche in cigno, in aquila e perfino in monete d’oro. E’ risaputo come per Giove la metamorfosi fosse incentivo erotico di cui non poteva fare a meno… una metamorfosi e oplà, eccolo eccitato da Dio! Insomma, questo era il viagra degli dei! 4
D. Ekserdjian, Correggio, op.cit., pag. 260 59
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 Del resto l’insaziabilità erotica di satrapi e delle divinità è cosa ben risaputa, ne conosciamo le avventure anche attraverso le opere di poeti eccelsi del Rinascimento come Ariosto, Pietro l’Aretino e, naturalmente, il Ruzzante. Così, grazie a loro, scopriamo che questo del cavalcar femmine non è soltanto l’ossessione degli dei, ma anche degli uomini di potere di tutti i tempi che, oltretutto, si vantano pubblicamente di copulare ad ogni occasione. Quella che vi andiamo ora a raccontare è una giullarata del ‘500 che ben s’inserisce nella sequenza dei miti degli amori di Giove e delle sue metamorfosi. È la storia di un grande amatore il quale è ricco, pieno di successi nella vita pubblica, un vero e proprio satrapo – tuttavia ha come chiodo fisso l’erotismo: è uno scatenato erotico. Ha collezionato avventure incredibili e ha suscitato scandalo, clamori e indignazione. Ha tuttavia l’orgoglio di non aver mai pagato per avere una donna. Ma ascoltiamo dalla sua voce l’avventura più straordinaria della sua vita. Trattandosi di una giullarata è logico che la ascolterete recitata in volgare, cioè nella forma di un dialetto della pianura del Po, con varianti anche napoletane, tanto per dar colore. Vado a cominciare. ** inizio satrapo 60
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 Permetìt che me presénti, mi sônt vün de gran fortüna. Sônt nasciüt che séri negòtt e per méa forza e fantasticheria sôn devegnüt ol magior fra i omeni tüti. E sôn stàito electo dala gente de esta città maestà come a dire re. Tégno palàgi e vile tante e fabarecaménti, ognün me respecta e tegn’amor par mi. Sôn un giugadùr venzénte… en veretà me piase vinzer, me piaze vinse sempre, per quest fago trüchi e baro. E po’ me rabisso se ‘i me acùsa de ladraria. Amo l’amor, amo le fémine, le me piàsen de morir. Per lôr dagherìa la vida e tüto el méo regname. Le me piàsen bèle, picule e lónghe, co’ le nateghe stagne e le zinne tonde, bianche de pèle, o scüre… le me va tüte bén, basta che le respira. L’è capità ‘na sera che s’ero in del méo palàsio in vìla, sôn in d’el salôn tüto solo, quand’a sénto sbàter el batacc al portôn.. pam pam. “Andii ad avrir. Ei, digo a vui, zente! Ma no’ ghe nissün en casa?” E alüra me tóca d’andar mi. Mi, un re che va a dervì la pòrta: s’è mai vidü. Dervo ul portôn e davante ai mei ògi se presénta na fémena che par ‘na reïna. A l’era coverta apéna de un nastro de seta che le zirava torn’a torna e de sôta l’era tüta desnuda, co’ qualche stélina de oro de qua e de là. 61
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 Pareva n’arbero de Natale. Me manca ‘l respir e cun fatiga a digo: “Chi sét?” E lée, ‘sta visôn, la parla con una vóz de vïola: “Sônt un regalo per vui, Maiestà, l’è ul vòstro compléano e sôn qui perché pudit catar tüto ul plasér che meritét. Fecitt de mi quel che ve pare”. E mi a dìsi: “Ma chi ve manda, meracolo del segnôr?” “Sônt un dono del vostro amìs pü caro. E altro no’ me domanditt: a fémena donata no’ la se vàrda ‘n bóca, la se bàsa tüta”. Mi la fago entra’ e sübito com’un fürin me despògio rapido, tüto sbiótt devant’a lée. E pô gha disi: “Beccate ‘sto re! Sbiótate anca ti, ànzol de la mia pasiôn”. E lée la respónde: “Prefèrso che me te spògi ti, méo segnór, baste che ti tiri la zima d’èsto nastro” E me la dà ‘n man. Mi tiro lóngo e lée la cômenza a girà tüta tonda su lée misma come ‘na tròtola d’amor. Zira, zira, oh! La resta vestìda solo de la sua pèle durada, e la se lanza ‘n bràss a mi criando: “Viva ‘l re!” Sènto el suo calór che me inonda dapartüto; un rugular de frémeti: tri o quattro brivvidi e pô… negòtt: tüto lì! E lée, ‘sta meravegia de fémina, la sa ‘ncorge de la méa desgràsia, la me strigne e la coménza a me basar dapartüto e pô sbasaménti gemiti e slizsigàde co’ tanta 62
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 pasiôn cha la fararia resüsità un morto de tre dì. Ma co’ mi no’ se mòve un’òstrega. “No’ farte catàr de la disperasiôn, Maiestà” la ma dise. “Respira, càta fiàtt… vegnn chi fra i me bràssa ancor, dôlzór de mi, che prüvèmm de nòvo”. “No, no, no’ ghe novo che tégna, sôn fotü. Sôn cumpagn de ‘na zampogna stciôpàda, musica e cansôn no’ ghe n’è pü…” E dispera’ me covro de una coverta tüto e vago fòra curéndo e piagnéndo sóta la pióva che la vegnn zó a bagnarme tüto comm un gatt bütà ‘n del fiumm”. Arivi trafelà dal méo amigo consejér… menu mal c’a l’è ‘n cà. “Ma varda ti comm te sét cunscià! Sa l’è capita’?” El me süga, e ‘l me fa setà davant’al camìn. L’è davéro l’amigo pü caro che g’ho. L’è pién de saviénza e me da sempre consej ziusti che mi, en deverse ocasiôn, fago burdell. Catto de cantunatt teremende, diso bosïe, oféndo zénte a scatanôn e lü me le giüsta sempre a la perfesiôn. L’è così sutìl e slesigànte che ‘i lo ciama’ tüti “el vescovo”, anzi: “para‐vescovo”, comm a dì, para… va’, lassémola lì. Intanto che ‘l me süga i pé, me redomànda: “Alüra cossa t’è capitàtt?” 63
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 E mi ghe conto tüto de la méa desgràsia, e stciòpi a piàgner un’altra vôlta. Lü ascolta tüto me fa: “Ma cosa t’empòrta de ‘sto tóo flauto stunàtt? No’ desmentegàrte che te sét un re! Te gh’a tante de quéle satisfasiôn che te me pàret un masu de carte de zioco… Te gh’a dinàri, coppe, e spade, reïne, fanti e ‘n zima a tüti, te ghe sét ti: ul re! Ma che t’emporta de l’àso de bastón?” “Ma senza l’aso de bastón, mi sôn morto… no’ g’ho più pasiôn, sentimento, alegrésa, vita. No’ g’ho pü ‘na visôn strafelìz de l’eròtego. No’ me riesse pü nemanco de racconta’ ‘na barzseléta scónza… che le me piaséva così tanto”. L’amigo méo para‐vescovo me fa ‘na carèsa sül crapin e ‘l me dise: “S’el l’è ‘na trasédia ‘sì dolorosa, faremo de manéra de truva’ ‘na solusiôn. Anzi, te l’ho già truovada. Cata sü sta carta co’ ‘l nómm e l’indirìss e vaghe subbito da ‘sta sióra. L’è l’unéca creadüra al mondo che te po’ fa’ retruovà quel che te g’ha perdütt.” Ed ecco che mi, comm se m’avessen sgagnà i ciàpp, scato in pïe e córo al palàsio de la stròlega. 64
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 Tiro la campanèla, vago deréntro e me’nbato sübeto co’ ‘sta maga che l’è abijàda con una gran palandrana tüta seda e velùd e che la me dise: “Comodìvi, siór re. En còssa pòdo servìrve? “El méo amìso paravescuv’ no’ ve g’ha avisà’?” “Sì, ma l’è statt tròpo vasìvo, no’ g’ho capì granché…. Donca, la dise la strolega parlémose ciàro: perché mi pòda entrarghe in de la vòstra questiôn co’ sücess bisògna che conóssa tüto, anca ‘i segreti pü nascondüi dei me cliént. Forza, coràjo, cùnta sü!” E mi de remando: “Cosa pòdo dirve segnora… momentaneamente me retruòvo un pocc empotente…” “Sojamente un pocc?”, la fa lée. “Beh, disémo tüto… comm a dir castratt”. “Ah, ù capitt. Eresiôn zero. El pìrolo, l’è defunto. Come se diss a fiorenzsa: te tégni el morto en casa.” E mi: “œi, vèmm pian co’ le ofénse” “Scüseme majestà, ma qui bisogna farve una pozión metamòrfega…” “Coss’è sta metamòrfosa, cossa vôr dir?” “Vôr dir stciambiàr la vostra persona de tüto: da la forma de pensier, a quèla de campar, de la religión e de la vida tüta”. 65
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 “Bôn, fàite quèl che pensè bon, basta che mi pòda ambrassàr una fémena criàndo de plazser e lée con mi”. Déto, fato, la stròliga me pone en man ‘na tasìna co’ derentro la posiòn, mi la càto, me lo sgólo goloso, fago un rüto e de bòto un gran calor me càta par tüto el corpación. Me sento slargàr le fròge del naso, me se slónga tüta la fàcia le ôrégie le me se tira ‘n sü, i pïe me se trafórmeno ‘n sòcole e me devénteno sòculi anca le man. La pànsa me se stgiònfa, so’ tüto coverto de pelame, me spónta anco la cöa. Anse, do’ cöe. Una da in zima alle ciàpe e l’oltra d’entramezo le coscïe con tanto de cojón. Deo, so’ ‘gnuto ‘n aseno. “Me spiàse”, dise la stròliga. “Me so’ sbajàt de posiôn”, “Oh, desgrassiàda!” “Beh, sücede a tüti de scunfónderse”. “Ma cosa ‘t fèit lì ‘mpalàda, movete: dame sübito una contraposión, un anitidoto”. “Me spiase, ma pe’ i trasformà ‘en aseno no’ gh’è contraposión che tègne…!” “Come, no’ gh’è? Cca me diaga ì che son fotuMe tocarese de restà en ‘sta condesión de bèstia vita natural durante?” “Ma l’è quel che ti andàve a zercar, meo segnor, una potenzia d’amadór tereménda! E l’àseno l’è la bestia pü 66
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 potentósa en amor che ghe séa al mondo… de molto pü del leon. Va che tarlòcco de pìrolo che t’ù fait” “Ma mi te masso, pütana!”i Cusì criando me büto encontr’a ‘sta fémena malarbèta, ma i giàmbie me s’eintrospisia vün dentr’a l’óltra. Lée la se scànsa e la se büta giò pe’ le scale. Mi ghe vàgo drïo, ma descovro che l’aseno no’ l’è facto pe’ desénder gli scalòn. Me sbarléngo e me retrovo a sbàte i ciapp sü i gradìn. Descovéro che sóta me spónta i cojòn, tòn, tòn, gradìn pe’ gradón, deo che schisciàde! Deo che dolor…! En fondo alla scalenada gh’è lì el me amiso paravescovo ch’a l’è vegnü a zercàrme e l’ha bluca’ la stroliga che l’era adrée a scapa’. Me scorge sboronà sul fondo de le scale così trasformà e ‘l sbòta: “Ma che sücedd, tegnitt i asen ‘n casa e i faitt desénder pe’ le scale? E ‘n duä è el mé amiso prèmze regal?” E mi ghe disi: “Sun chi!” “Un’aseno!”, ‘sclama. E mi piagnéndo: “Sì, me g’ha tramutatt proprio cussì” “Beh, manco mal!” ‘sclama ‘l paravescovo, “ti g’ha ‘na bèla cera.. e anche un bèl pàro de ball. L’era quel che te andavi a zercàr, ti, ala fin!” 67
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 “Ah, sì? Voi vedàr le ridàde che se farà la zénte tüta, del méo populo fidél quando me descòvre un en ‘sta condesiôn? Un aseno che monta ol scalon del palàgio real!” “Nissun, pàneco, pe’ caretà!”, dise el meo amigo:. “Se pol’ remedià” “Pe’ piaèr disi mi: no vegnìrme a ciapà pe’ ‘l cü anca ti! Cossa ti vol remédiar? Come se pól trarme fòra da ‘sta bèffa grama?” “Sémplize”dise el mi amìs vescuvo, e così cata per el col la strologa e le dise :“se te vol salva la vida dime en quanto tempo te ghe bo de riussìrghe a priparar altre posión cumpagn de quéla che t’è dàit al ciuco qui?” “en una settemana t’en podo metter a disposision mila e mila anca un milion, però t’avertìso che quei che ‘i beve ste posion ghe pol càpitar che gh’abbieno un diferente efècto vün da l’oltro”. “Cossa ti vôl dir?” “Che po’l capitar che üno devénta un porcélo, n’altro ‘na cavra, n’altro ‘na gaïna, un tachìn, ‘n’anatra, una vàca o un bòve…” “Ben, parfècto, l’è pròpri quel che ghe vôr – sarà un reame populà sojaménte de’ animàl. Cossì quando el nostro prénze monterà al tròno, vojo veder chi poderà rider. 68
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 Anze: ól plaudiserànno tuti in coro : un re, anco sa l’è aseno l’è sempre da respectar. Sovra tüto da un populo de bestie!” ** fine satrapo Se torniamo ad osservare il dipinto di Giove tramutato in fauno che osserva Venere mentre dorme, c’è un particolare che manda in crisi: niente di sessuale stavolta, ma piuttosto una questione tecnica, cioè il cosiddetto ombreggiato delle figure, del quale il Correggio era grande maestro. In poche parole su questa tavola è stata eseguita una ripulitura piuttosto pesante che ha letteralmente cancellato il gioco dei chiari e degli scuri, fondamentale per sottolineare lo scorcio. Sono sparite l’ombra propria e quelle proiettate dai corpi cosicché s’è appiattito lo scorcio. Ma noi ci siamo permessi di ricostruire l’originale ombreggiato e ve lo mostriamo. Dovete ammettere che, ora, il valore plastico della figura è davvero evidente. Nel 1628 l’opera originale fu venduta a Carlo I d’Inghilterra, insieme all’Educazione di Amore: molto probabilmente fu proprio lui l’inglese che mozzò i lati del primo dipinto con la figura di Venere. Non fece in tempo a produrre lo stesso scempio con la Venere dormiente, 69
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 poiché scoppiò la guerra civile e stavolta la testa fu mozzata al re. Questo succede a chi usa delle donne con troppa disinvoltura e mancanza di rispetto, anche se sono solo dipinte! A proposito di disgrazie e decessi, a ‘sto punto della storia del Correggio, siamo nel 1528, mi imbatto in una notizia che mi rattrista e sconvolge allo stesso tempo. Molti ricercatori mi assicurano che più o meno in quel periodo muore la moglie dell’Allegri, Girolama. E da che si evince l’avvenuto decesso? Dal fatto che da quella data in poi, della dolce e ancor giovane donna non si hanno più notizie. D’istinto immediatamente esclamo: “Ma come può succedere una cosa del genere?” Non parlo della dipartita, ma del fatto che l’Allegri, uno dei più grandi pittori di quel secolo, in piena vedovanza, sorpassando tranquillamente il tragico dolore della perdita di quella creatura che amava alla follia, continuasse a dipingerla completamente ritraendola nuda nell’atteggiamento di sguazzare con Giove travestito da nubi scatenate, da satiri montanti, da un cigno scurrile e addirittura da una pioggia d’oro. Andiamo! Ancora, lungi da me fare del moralismo, ma ciò che maggiormente mi indigna, è il constatare che la donna amata venga rappresentata nell’atto di 70
partecipare tanto Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 piacevolmente a quegli amplessi, gemendo di piacere e lasciandosi trasportare dentro una vera e propria tempesta erotica al limite della pornografia. Andiamo, un po’ di rispetto per le anime defunte! Quindi, quasi disperato, mi butto a organizzare un’inchiesta coinvolgendo studiosi dell’intiera Emilia, ricevo da un professore di Modena la fotocopia di alcuni testi dedicati a Girolama, fra i quali addirittura un dramma teatrale di qualche secolo fa dove, parlando in rime endecasillabe, il Correggio a sua volta disperato, se ne sta in ginocchio presso l’amata stesa sul letto di morte, che sta per abbandonarlo. Non cedo. Caparbio, telefono all’ex presidente della Fondazione dedicata al Correggio, Giuseppe Adani, che di lì a poco mi dà la stupenda notizia attraverso Patrizia Pecchini. Nella città di Correggio è stato ritrovato l’atto autentico della sepoltura di Girolama Merlini avvenuta nel 1545. Quindi nel ’25 Girolama non è ancora morta, anzi è sana e vegeta, e da queste carte risulta che è stata la più longeva della famiglia. Infatti, in verità, il marito Antonio è deceduto 6 anni prima della reale morte della moglie ed egualmente qualche anno avanti sono deceduti il padre di lui, alcuni zii e nipoti comprese le due giovani figlie di Antonio e Girolama Allegri. Allegri! Grottesco destino di un cognome! Tiro un 71
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 gran respiro: ora finalmente potrò tornare a godermi le scene erotiche con Veneri in amore senza soffrire di lascivia repressa dall’indegnità delle situazioni. Evviva, Girolama è viva! Distacchiamoci un attimo dalle avventure di Giove per considerare un’altra tela del Correggio dello stesso tempo, determinante per valutare lo stupefacente lavoro di ricerca pittorica dell’Allegri nella sua maturità. Si tratta de La notte. Nell’adorazione dei pastori al presepio, l’Allegri sviluppa un nuovo impiego della luce già sperimentato nella tela Madonna di San Gerolamo. Qui non c’è il cielo chiaro del fondo, ma un tenero tramonto che prelude al buio notturno e le figure sono illuminate di traverso lasciando larghi spazi scuri che spariscono nel buio. E’ la lezione dei fiamminghi che viene avanti! Sì, senz’altro: ma qui c’è un'altra, diversa e straordinaria invenzione: la luce che disegna le figure non proviene dall’esterno, ma dal centro – esattamente dal corpo del piccolo Gesù. È lui che illumina la scena … e il mondo. Ma torniamo al ciclo dedicato agli amori di Giove. Questo che vi presentiamo è certamente uno dei capolavori dipinti ad olio del Correggio. Vediamo Danae, splendida ninfa, languidamente quasi distesa sul letto. La fanciulla è 72
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 stata rinchiusa in una torre dai genitori per impedire a Giove, che la desidera follemente, di arrivare a possederla attraverso i suoi mirabolanti trucchi. Il padre degli dei non può raggiungerla, né trasformato in cigno o toro, né tanto meno in satiro. Non gli resta che tradursi in un calabrone ammaliandola con il suo ronzio, ma non è cosa da dei, andiamo! Quindi sceglie di tramutarsi in pioggia d’oro, Questa sì che è una trovata divina! Un’aurea nube di polvere, che trasportata dal vento, entra dall’unica finestra spalancata. Danae, pudica, si copre il pube con un lenzuolo. Ma c’è Amore che da ruffiano cerca di procurare a Giove il suo vantaggio: ecco che il divino fanciullo allarga il lenzuolo per raccogliere tutta la pioggia d’oro e lo solleva in modo che arrivi nel grembo di Danae. Qui ha già delle monete d’oro in mano e cerca di buttarle verso il pube della ragazza. A questo punto dobbiamo allontanarci di qualche passo dal dipinto, per poterlo inquadrare in tutta la sua dimensione e considerare il particolare inusitato dell’impianto scenico e prospettico: scopriamo, così, l’esistenza di ben tre prospettive con punti di fuga diversi, una sovrapposta all’altra. Abbiamo un livello maggiore che permette la visione di tutto ciò che avviene dall’alto: lo 73
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 spettatore è proiettato in aria a guardare giù. Poi di colpo si trova costretto a scendere e osservare dal basso: ci appare il letto pesantissimo che si pone in contrapposizione alla leggerezza del corpo di Danae, che pare sospeso nel vuoto. Le lenzuola su cui è semisdraiata la splendida ninfa, quasi si trasformano in tappeto volante e la sollevano per favorire la pioggia d’oro. Ma l’effetto più sorprendente di magico erotismo è determinato da un uso inconsueto dei chiari tanto spregiudicato da apparire quasi un errore. Infatti, nel suo impianto scenico l’Allegri introduce addirittura due opposte fonti di luce: una proveniente dall’alto fuori proscenio, l’altra dal basso di taglio, sul fondo. All’estrema sinistra della parete scorgiamo una finestra e, con tutto che quell’apertura ci appaia completamente spalancata e se ne scorga un cielo limpido, di lì non proviene nessun accenno del giorno: una finestra assolutamente cieca! Strano! È un arbitrio, ma c’è un perché: quella finestra è solo un elemento compositivo, un respiro luminoso nell’ombra del fondale. Quindi tutto l’assetto è perfettamente teatrale. Infatti, osservate la nube dalla quale scende l’oro: dovrebbe essere leggera e vaporosa, e invece sembra ritagliata in una tavola di legno, non è adeguatamente 74
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 mascherata – proprio perché vuol essere scenografica, cioè viene riprodotto un elemento tipico del teatro: la sagoma di quinta. Proseguiamo con un’altra avventura amorosa di Giove: ecco l’opera che racconta di Ganimede rapito dall’aquila, l’ennesimo travestimento di Giove assatanato. Il padre degli dei si è invaghito del ragazzino, ma non riesce mai ad avvicinarlo senza rischiare di essere scoperto dagli aggressivi famigliari del fanciullo. Così travestito, tramutato in aquila, ecco Giove alato che può afferrarlo, prenderlo e portarlo nel cielo. Non è nemmeno tanto dispiaciuto Ganimede. L’unico ad accorgersi del rapimento è il cane, che sta a terra e abbaia disperato. Ancora ci troviamo dinanzi a un ulteriore espediente scenografico: se vogliamo leggere la posizione del cane dobbiamo immaginare di vederlo dall’alto. Noi siamo in alto come Ganimede: è più o meno lo stesso punto di vista del ragazzo che vede il cane in basso, sotto di lui. Ma per osservare correttamente la figura del rapito sospeso nel vuoto dobbiamo porci al livello del cane e guardare attraverso i suoi occhi. Di qua avremo l’idea dello scorcio perfetto del ragazzino che sta salendo trasportato dall’aquila. 75
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 E qui a destra vediamo spuntare il Pontefice molto inca… eh, indignato… Chi ha portato via il Pontefice? Vabbè, andiamo avanti con le immagini… Tornando ai dipinti, c’è un’opera di Correggio che ha continuato a produrre enorme commozione nel tempo, per il tema e la dolcezza che sa esprimere. E che, per il grande successo ottenuto, ha provocato una miriade di riproduzioni d’ogni tipo. Si tratta della Madonna con bambino e un piccolo Angelo. Di certo è stato eseguito dal pittore qualche anno appresso l’aver incontrato e preso in moglie la sua compagna per la vita. Infatti, in questo ritratto Girolama è ancora molto giovane e quel bimbo che tiene in braccio e al quale offre il seno gonfio di latte è suo. La Vergine madre qui accenna ad un sorriso pieno di dolcezza: evidentemente si sta divertendo nell’osservare l’impaccio del piccolo Gesù che non sa decidersi se appoggiare le proprie labbra al capezzolo della madre o accettare il dono del bambino alato che gli offre una manciata di datteri. Il bimbo alato, che qualcuno ha identificato nel Giovannino che offre i succosi frutti, osserva con intensità di sguardo il seno della Vergine quasi fosse attratto dall’idea di suggerne il latte a sua volta. Pare che l’angiolino stia facendo una proposta di scambio 76
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 azzardato: “Fammi assaggiare qualche goccia di latte della tua mamma e io in cambio ti do tutti i datteri che tengo in pugno”. A quella proposta il Bambino Gesù sembra bloccare il gesto del compagno di giochi e, ponendo la mano presso il seno della Madre, pare dica: “Eh no, quel seno è me lo tetto io!” Non possiamo fare a meno anche in questo caso di prendere in esame la struttura compositiva di questo capolavoro. Tutto: volti, braccia, mani, gambe e piedi della madre e dei bimbi sono raccolti dentro una sequenza di cerchi della stessa dimensione che vanno roteando uno dentro l’altro, creando una sensazione di festoso mercato fra i frutti di dattero e i seni della Madre. Qui ci coglie la memoria delle grandi madri dell’antica e costante rappresentazione della nostra cultura mediterranea con Demétra e i suoi figlioli che si disputano golosi i seni turgidi della madre. Ma spostiamoci un attimo di luogo e tempo. Osservando la serie finale dei disegni preparatori degli affreschi delle cupole del Correggio ci rendiamo conto, quasi a ritmo costante, di una situazione della quale abbiamo già accennato l’imponente presenza: stiamo parlando delle 77
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 gestualità che alludono a passi di danza e a movimenti contrappuntati con braccia e corpo tutto. Lassù incontriamo Gesù che sembra accennare un ballo nell’aria; intorno ritroviamo Eva insieme alle sue amiche che danzano sfrenate; e anche i bimbi nel loro gioco si sono trasformati in piccoli danzatori; poi gambe e braccia si agitano uno appresso all’altro segnando ritmi da tarantola e pavana. Ma anche Gesù nel Noli me tangere sembra accennare ad una danza e presso a lui sembra sollevarsi all’impiedi anche la sua compagna Maddalena pronta a seguirlo nel ballo. Quasi con logica obbligata, ci viene alla mente quello stupendo canto ritrovato nel Vangelo apocrifo di Giovanni della seconda metà del II secolo d.C. E’ Gesù che parla, quasi cantando: Rispondi alla mia danza. Non ho casa, eppure un tetto sempre mi protegge, non tengo campi, eppure ogni podere posso attraversare non ho templi coperti con cupole, ma ho per cupola tutto il cielo. E’ inutile che tu cerchi uno specchio, affacciati al mio viso, ti ci vedrai riflesso. 78
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 Una porta sono per te che bussi, strada sono per te che devi camminare Rispondi ora alla mia danza, non c’è commento più eloquente Di un corpo che si agita nell’aria. Tu hai visto la mia sofferenza e, vedendo, non sei rimasto immobile, hai torto il tuo corpo come un albero squassato dal vento. Ti sei torto nella danza per diventare saggio. Tu mi hai come un luogo di riposo, ora consolati in me, danziamo e accompagniamoci con il sorriso. Io ho deriso tutto con la parola e ho saltellato nella beffa dello sghignazzo. E io stesso ho riso nell’essere deriso. A questo punto del percorso dell’Allegri, ci rendiamo conto dell’incredibile quantità di opere da lui prodotte: ne abbiamo contate più di cento di cui un gran numero è di Madonne col bimbo; e altre dove la Vergine sovrasta gruppi di Sante e Santi, più qualche putto che non può mai mancare. Ma lo spazio più esteso affrescato dal pittore è senz’altro quello degli spazi concavi delle cupole con relative basi: si tratta di intonaci che coprono mura per centinaia di metri 79
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 quadri, con una folla di personaggi mobili che galleggiano in un cielo profondo sfondato fra nubi dalle quali spuntano volti e corpi di altre anime che fluttuano nella nebbia. Ciò che impressiona maggiormente di quelle straordinarie scene è il movimento: non c’è figura che se ne stia assente e beata in quello spazio, ognuno si muove agitando braccia e gambe che si sorpassano l’un l’altra come una sequenza futurista di Balla, Boccioni e Severini. Certo osservando d’appresso le varie fasi pittoriche, anche le più nascoste, di quel doppio, triplo paradiso, siamo portati ad immaginare scene sempre diverse che si susseguono come su un enorme schermo rotante: ci puoi leggere la tragedia di Icaro che cerca di guadagnare alti spazi navigando per mezzo di ali incollate con la cera, e poi ecco il sole che scioglie le piume e Icaro che precipita urlando fino a schiantarsi. Ci vedi i frammenti di disegni giganteschi di Leonardo con scheletri di ali che attraversano l’affresco ad ogni lato, incrociando angeli appena abbozzati; e poi ancora le immagini acrobatiche inventate per gli spettacoli sacri dal Brunelleschi a Firenze: ecco le figliole che sbattono ali di carta e vanno muovendosi appese a cerchi che rotolano nella grande macchina del cielo… Ma dove ti senti mancare il fiato è nella disputa davanti agli astri che roteano nel cielo. 80
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 All’istante ti riesce di immaginare un discorso che sembra opera del Ruzzante, ma in verità, si tratta di un testo scientifico mascherato nel dialetto padovano da Galileo Galilei per evitare la persecuzione del santo tribunale dell’inquisizione. Si tratta di un reperto spettacolare di scienza e teatro completamente sconosciuto, specie agli eruditi e ai sapienti, ma di certo sarebbe piaciuto tanto all’Allegri e, se permettete, glielo dedichiamo. Dunque: da una parte c’è il contadino che si chiama Nale, che poi sarebbe Ruzzante, e dall’altra il dottore sapiente che tiene lezione al villano. Per primo prende la parola il dottore: DOTTORE: Ora, caro Nale, se tu mi presti attenzione, ti mostrerò come, grazie alla divina intuizione di Aristotele, si reggono gli astri e i pianeti nel cielo. I pianeti e gli astri stanno incastonati dentro cerchi e sfere immense di vetro, anzi di cristallo purissimo, sfere e cerchi che si muovono in grande sincronia fra di loro intorno alla terra, che per nostra fortuna sta fissa, immobile, nel centro dell’intero sistema. E qui il contadino gli risponde: NALE: Ah, ah, ah! I astri e i pianéta stan incastonó deréntro el voltón de cristal compàgn che le campane trispàrenti per covrìr i santi? Nel balón de véder?! 81
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 DOTTORE: Sì, sì, esatto, esatto! Di queste sfere ce ne sta una in particolare, straordinaria, dentro la quale è incastonato il sole. NALE: Còssa? El Sole el sta incastonà deréntro al vetro? ’Sta fornàse brusànte che desléngua el fèro, che desléngua el bronzo, che desléngua anco l’azàro… l’è incastonò dentro una capa de cristal?! Ah, ah, ah! Ma per ’sto gran calór de fornàse che l’è ol Sol, tüto l’andarèsse infondùo, tüto infondùo andarésse ’sto vetro! Tüto stcioparèse come un gran lampadari e a nuioltri ghe tocherèsse andar a sbalzolóni in per la Tèra con tüti i vetri che se inzòca dentra ai pïe! DOTTORE: Sentilo, il nostro sarcastico Nale! Ora dimmi, secondo il tuo grande ingegno, come starebbero appesi gli astri lassù? NALE: No’ sta miga pendùi i astri, no. I va rotolando pe’ l’àire! DOTTORE: Rotolando?! Ivi compresa la Terra?! NALE: Sì, pruòpri! Comprendùt ol nostro pianeta. Mi son sigùro che la Tèra no’ sta miga fissa inciodàt come dise l’Aristotile, ma la va zizeràndo come ’na tròtola in gran zércolo… Gh’havìt in ment la rùsola? DOTTORE: Sì, la ruzzola… che poi sarebbe, se non erro, quella specie di formaggio asseccato che i contadini della 82
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 tua razza cingono con una lunga fune, quindi tirando la stessa lanciano il formaggiotto rotante a srotolarsi lungo la china e spesso lo fanno volare. NALE: Ben… ecco, quèlo… o si ti vol, compàgn a ’na sfritàda de zentomìla milión de òvi… ’na sopressàda zigànte che va zizzagàndo per ol ziél, donde ol Sol l’è ’na polenta… un polentón stragrande infogà… che nel pindorlàr tremendo ol va intorno e sbròfa fòra gnòchi de polenta, che po’ son le stèle che sbrìgola in del firmamento! DOTTORE: Ah, ah, ah! E quindi gli astri sarebbero proiettati nell’universo senza tracciare un’elisse di ritorno? NALE: Cosa sarèsse ’sto èlìse de restórno? DOTTORE: Intendo il vagar degli astri: quando la tua sfrittàta che lanci si ritrova a compier parabole continue, essa tua ruzzola terrestre, rimane su per cento battiti di ciglia massimamente, poi cala la tensione e finisce al suolo. Ma gli astri reali, le sfrittàte nostre celesti, Luna e stelle, le nostre polente, rimangon su, non calano manco di un grado e continuano nel loro vorticare infinito. Come lo spieghi questo straordinario fenomeno? NALE: Beh, basta no’ desmentegàrse de la traziùn che végne de l’alta e basa marea e per il tiramento de le misme. 83
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 DOTTORE: Cosa?! La trazione? Il tiramento? Bassa e alta marea nel firmamento? Cosa vuol dire? NALE: Ma l’è semplize… coma quand la Luna e la Tèra in del loro zizzagàr, i arìva pruprio pròxime l’una a l’óltra, èco che salta fóra l’alta marea. Gh’è l mare che da la Tèra se spónza de fóra come una tèta che la monta dal mare e spigne verso la Luna… squàsi ciuciàda da la Luna, e anche i sbotón, i zermògli che gh’è in de la Tèra, la Luna le tira. E anca ai animal ghe tira, che tüto in de l’universo l’è un gran tiramento: co gh’è la Luna che tira co’ la Tèra, a gh’è la Tèra col Sol che tira, i pianeti se tiran l’un l’oltro. Insóma, nasse un desìo passionàd compàgn de un magnàtismo maravegióso tremendo, chè i ghè costrìnze a ziràr deréntro le orbite senza farse spüdàr de fòra. Chè i pianeti vorsarìa slonzonàrse, andar de parabola, ma gh’è un altro sübito che ol tira: «Végne qua!» (Mima descrivendo in una specie di danza pavana l’attirarsi degli astri) BRUUAAAM! Torna indrìo e de l’altro canto gh’è un altro ch’el tira: «El va, el va!!» PLAAAK! Torna indrìo… Così no’ se dise forse che un òmo, quando l’è in amor, ghe tira? A l’òmo ghe tira sempre per squasi tüte le fèmene... che noialtri semo plu zenerósi! E no’ se dise che una fèmena ghe tira per ol sò òmo? E dònca tüti, astri e pianeti 84
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 e le stèle stan dentro a un tiràrse d’amor. Come dise Danto Alegheri: “Amor che tèta el Sol e l’altre stele”. DOTTORE: L’universo in amore? Ma questo tuo universo in amore è eterno? NALE: Mah, nisciùno l’è eterno in tèl zièlo. No’ gh’è astri, no’ gh’è pianeti che i sìvia per sempre. Solamente ol nostro Deo Padre l’è eterno... forse. E puranco ol nostro Sole se retroverà un ziorno col tiramento che se smorza… ol só magnetismo e i só astri che lo tira se slasserà andar… se slabra ’sta arcada cilèste, se trova con venti de corénte de contro e... teremendo!, se spénge ol gran falò de fògo, se smorzerà ol Sol e la sòa lüs… e una cóa luçente ’mé meteora infogàda se slogherà svortegànte filante per ol çielo… cossì in de lo scuro despàre desolvéndose ol Sole. «Ehi! L’è terminàt lo spectàcolo… Silénti!... Tüti dormienti in sempiterno! E no’ rompìt pì i cojón!» DOTTORE: Oh, oh, oh! La fine dell’universo orrendo! È un giudizio universale proprio da sghignazzare! Ah, ah, ah! Morir dal ridere! NALE: No, no, l’è ol tò de universo che ol fa crepàr de’ ridàde, doctor, eh… con ’ste tòe volte del ziélo in cristal, col Padreterno impatacàt in de la volta del firmamento co’ in testa inciodàt un triangolo. È che a vui dotóri ve fa 85
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 spavento l’idea de un universo tròpo grando… Voàltri preferìt che ol sìvia limità e calculàbile… No, mé despiàse dotóri, l’universo no’ l’è restrengiùo e no’ l’è calculàbile… l’è tüto de un grand desórdene emmensuràbele. L’è masa pü grande de quèlo che se pòl penzàre. L’universo l’è infinito... parchè l’è ol Deo Padre che no’ ‘l’ha finito! E ’sta solusión a vui àlter siòri doctóri ve porta spavento… Voàltri preferè de pensar a un Deo Creadòr a vostra emmàzine, eguàl a vui… de la vostra misüra, perché se ’sto Deo Padre ol strarépa fora del normale, sbòta un universo in del qual tüti se despèrde spampanà. Ecco la rasón che ol va fàito enventàrve un creato de corta misura, in manéra che la Tèra sia sempre lì ben piantàda intramèso al gran giardin, fermàda, co’ tüti i pianeti che i zira torno a torno a noaltri come una giostra, e l’omo intraméso sentà, che dise: «Che bel tramonto che te m’è fàit ’stassera, gràsie! Oh che bel’alba! Oh la Luna che la monta! Ohi, Marte, semo in ritardo! Venere, va’ soto e covrete ’ste ciàpe, svergognà!» Ma si ti vegni a descrovrìr, de incanto, che la giostra no’ gh’è miga... e che ogni astro ol segiuss la propria parabula deferente… Alora no’ gh’è più devìna misura… tüto devénta spropositàt, a comenzàr dal Padreterno… un Deo che no’ ti 86
Il Correggio – versione spettacolo – quarta lettura – 3 giugno 2010 pol pü imazzinàrlo stravacà su ’na nivula, trasportà de angiulìn co’ l’ali, no, anco lu, Deo, l’è andàt fóra de norma e spampanàt in l’universo smoderàt. No’ esiste pü ni misura ni proporzión. Cossì, a l’estànte, l’òmo devénta pìcol, ma cossì pìccol… picinìn, che al sò confronto una pùresepidòcio la parèsse un eliofànte: «Oh, donde sèito ti, òmo?» (Con voce sottile) «Son chi… In tel fondo...» «Che fondo? In che loco?» (Camminando intorno alla ricerca dell’invisibile creatura) Fàite védar… azzènde un fògo… Donde siii?… Donde siiiiii? Non te sento pü … (Mima, per inciampo, dischiacciarlo col piede) GNACH! «Ahiaoa!» «Oh!… Scùsame… perdoname… te gh’ho schisciàdo!» E l’è finìda tüta l’umanidàd! Amen 87