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<SEGUE DALLA PRIMA DI CRONACA
appena eletto il più bello del mondo, Borgo
Egnazia, contiguo al parco archeologico di Egnazia, nelle
campagne di Savelletri. «È proprio per questo che è venuta in
Puglia, attirata dalle caratteristiche di questa cosmesi fatta solo con
olio, sale, mandorle, legno, prodotti di questa terra» si racconta nella penombra dei corridoi termali. Qui opera anche lo sciamano, Stefano Battaglia, siciliano che passa sei mesi in India e gli altri qui in
Valle d’Itria, in un pezzo di Puglia che non si fatica a definire una sorta di ombelico mistico dell’universo, come dimostrano gli ashram, i
ritiri, gli stessi trulli abitati da artisti, creativi, scrittori. E Madonna
non è insensibile a niente di tutto questo. Vair, autentico, si diceva e
curiosamente Borgo Egnazia non ha nulla di autentico, non è una
masseria millenaria recuperata e anzi, non ci sono neanche gli ulivi
secolari perché sorge su una spianata resa tale, dall’abbattimento di
centinaia di piante durante il Fascismo: Mussolini ci voleva fare una
base aerea. Eppure, se tra qualche secolo qualcuno ne ritrovasse le
vestigia potrebbe essere tratto in inganno. «Borgo Egnazia, inaugurato sei anni fa, è stato costruito ex novo come la maggior parte degli
alberghi del mondo» spiega Aldo Melpignano, 41 anni. Ha studiato
business a Londra, ha appreso l’arte dell’hôtellerie dai guru del marketing newyorchese e poi è tornato a casa dove sua madre Marisa
aveva trasformato la loro casa di
vacanze, Masseria San Domenico, in uno dei simboli della ricezione lusso in Puglia. Con la sua famiglia ha puntato su questo progetto ambizioso che aveva come idea
portante «un ringraziamento a
questa terra per tutto quello che
ci ha dato». Puglia dappertutto
nel tufo, nei materiali utilizzati,
nel progetto affidato a un architetto fasanese, Pino Brescia, nel 99
per cento del personale che vi lavora. Si è inventato la formula nowhere else, da nessun’altra parte,
un’esperienza immersiva di Puglia che va dalle pale ornamentali
di fico all’ospitalità dei giovani local advisor che assistono i clienti
distribuiti nelle stanze della corte, nelle ville con piscina privata,
nelle piccole case “contadine” del
borgo che affacciano su una piazzetta (qui la festa di nozze di Justin Timberlake e Jessica Biel) interamente ricostruita con torre
orologiaia a segnare il tempo lento che si trascorre qui. «Il concetto di lusso è cambiato –ricorda Melpignano- la gente non cerca lo sfarzo, vuole stare bene e fare una esperienza di qualcosa che non troverebbero altrove».
È appena rientrato da Las Vegas dove ha ritirato il premio del network mondiale del lusso, “Virtuoso”, votato da 11.400 operatori miglior hotel del mondo, una specie di Oscar, battendo la concorrenza
di avversari come il Ritz di Parigi. «Anche stavolta m’è capitato di dover spiegare agli americani dove si trova la Puglia che, tuttavia, negli ultimi anni, è profondamente cambiata, i servizi hanno cominciato a funzionare, anche se un bel volo Bari-New York aiuterebbe tutti
noi imprenditori ad aprirci a quel mercato». Di certo, ci sarà un effetto Madonna sui venturi arrivi americani. «Me lo auguro. Per la Puglia siamo solo al principio di un fenomeno turistico, ma dobbiamo
distinguere il posizionamento della destinazione dalla moda festaiola che è il Salento ormai saturo, per intenderci. Il posizionamento della Puglia a livello internazionale è al suo principio, si sta scoprendo la
regione solo adesso e occorre stare attenti a offrire servizi adeguati.
Dopo averlo elaborato, bisogna mettere in atto un piano strategico
del turismo regionale a lungo termine, rafforzare l’intermodalità
nei trasporti, puntare sui percorsi, sul cicloturismo. Il recupero della
semplicità e della natura è una realtà. Per questo la Puglia non passerà di moda nella percezione del turista. Il suo successo lo fanno le persone, ospitali di natura, senza contare che a differenza di Capri aperta solo sei mesi l’anno, qui i paesi sono vivi sempre». Madonna tornerà presto, l’ha promesso andandosene: «Questa terra è magica» ha
detto e lei vuole «continuare a respirarla».
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<SEGUE DALLA PRIMA DI CRONACA
AVEVANOmessa in piedi gente come Antonio Azzollini, con i
tempi che corrono parlamentare di centrodestra, e Guglielmo Minervini, scomparso una manciata di giorni fa e testa
d’ariete dell’epopea vendoliana alla Regione. Due carissimi nemici
(politici), all’epoca incuriositi dalla scienza che si occupa del trattamento dell’informazione mediante procedure automatizzabili.
L’informatica affascinava anche il giovane Domenico Favuzzi,
che col suo “pezzo di carta” in tasca doveva decidere come gli sarebbe stato possibile sbarcare il lunario. «La soluzione più semplice,
era quella di andare a lavorare al Nord» ricorda lo stesso Favuzzi.
Niente da fare. Nasce così nel 1987 l’idea di creare Exprivia. «Eravamo io, un ingegnere di Bisceglie e due soci finanziatori. La scommessa ci costava 20 milioni di lire, 5 a testa. Avevamo immaginato
di allestire applicazioni per piccole aziende, che col nostro sistema
avrebbero risolto problemi di contabilità». Il periodo non era dei
più floridi: colossi come Olivetti e Netsiel, che si erano materializzati perfino nel Tacco, celebrato come la California del Belpaese, stavano andando in crisi. Ma, proprio come predicava Pascal, «è col
pensiero che dobbiamo nobilitarci». Arrivano commesse da Ibm,
Kpmg, Deloitte. Però convincere
un giovanotto di belle speranze
«a rimanere con noi, qui al Sud,
non era facile». Sono i collaboratori a progetto: in arte, cococo. Trascorrono i primi dieci anni, a galleggiare. Poi, nel 1997, il boom di
Internet.
L’occasione di mettere insieme piattaforme software. Exprivia non è più una zattera. Impara
a navigare in mare aperto e approda nel porto delle acquisizioni: getta l’ancora a Milano e fa
sua I-software. «L’operazione era
pericolosa: una banca del Settentrione ci finanziò il business». La
fusione va bene. Un anno dopo,
era il 2005, la quotazione in Borsa italiana. Il fatturato saliva a 45
milioni. È nel 2007 che la chiatta
si fa bastimento: per citare un altro verso di Pascal, stabilisce che
«ogni burrone sia riempito». Sì,
di soldi. Exprivia s’impossessa di
Svim service, che spadroneggiava nel comparto della sanità (farmaceutica), «per 90 milioni di euro». La traversata procede. Questa Costa crociere dell’informatica veleggia col vento in poppa. Ecco che una parola via l’altra, prende corpo l’affare dell’anno: Exprivia vuole rilevare Italtel. Con gli advisor che hanno in mano il dossier, sottoscrive un periodo di esclusiva che prevede, entro la fine di
settembre, la predisposizione dell’offerta di acquisto vincolante;
tutti gli accordi contrattuali potranno concludersi alla data del 31
ottobre. Si parla di un aumento di capitale pari a 25 milioni perché
l’ex zattera molfettese possa assumere il controllo del pacchetto di
maggioranza. Con una quota del 20 per cento dell’importo messo
sul tavolo, dovrebbe partecipare l’americana Cisco, leader nelle fornitura di apparati di networking, attuale azionista. I sindacalisti,
come Roberta Turi di Fiom, rivelano non poche perplessità: «Non
riusciamo a capire come Exprivia, che ha chiuso il 2015 con 144 milioni di ricavi, possa essere proprietaria di Italtel, che nello stesso
2015 di ricavi ne ha fatti per 441 milioni di euro».
Favuzzi ascolta ed è come se facesse spallucce: «Il piano industriale di Exprivia fino al 2020» punta al traguardo di 360 milioni di
fatturato. È chiaro che la caccia al pesce grosso Italtel rappresenta
il passaggio fondamentale perché sia tagliato questo traguardo. «Il
mio sogno è quello di forgiare un’azienda dell’economia digitale
che sia in grado di stare sul mercato mondiale». Dal fronte meridionale del pianeta, «la cosa è molto complicata: ma non abbiamo la
benché minima intenzione di restare chiusi nel nostro castello dorato. Questo territorio ancora deve cambiare in meglio, ma soprattutto nella nostra testa: dobbiamo crederci noi, prima di tutto. Io sono quello che ci mette la faccia, ma l’impresa è un progetto collettivo».
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