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Profilo di donna
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La collana Profilo di donna si propone di dar voce a figure di
donne che si sono distinte nei loro ambiti professionali. Raccoglie testi agili che rendono protagoniste personalità femminili
più o meno note, raccontandone la vita, le attività e le passioni,
e mettendo in risalto le difficoltà affrontate per affermarsi in
una società che le discrimina e le ostacola.
Comprende diverse serie, ognuna dedicata a uno specifico settore, come la scienza, l’arte, la politica, la musica e la filosofia,
da sempre considerate inaccessibili alle donne. Ogni serie ha
un curatore di riferimento e include autori esperti della specifica materia.
Scienza
Serie a cura di Pietro Greco
Carla Degli Esposti
Nicoletta Lanciano
Emma Castelnuovo
© 2016 L’Asino d’oro edizioni s.r.l.
Via Ludovico di Savoia 2b, 00185 Roma
www.lasinodoroedizioni.it
e-mail: [email protected]
ISBN 978-88-6443-390-5
ISBN ePub 978-88-6443-391-2
ISBN pdf 978-88-6443-392-9
Copertina di Massimo Fagioli
Emma Castelnuovo
Prologo
La giornata è bellissima, l’aria un po’ pungente e il Palazzo
del Campidoglio si staglia nel cielo azzurro. La scalinata del
Vignola, a destra del Palazzo Senatorio, conduce a un ballatoio riparato da vetrate imponenti. Di lì si accede alla Sala
della Protomoteca, una delle più prestigiose del complesso
Capitolino, riccamente arredata e impreziosita da busti di
celebri italiani: Leonardo, Dante, Petrarca, Michelangelo.
Dalle sue grandi finestre si possono ammirare le vestigia del
Foro Romano.
Un luogo spettacolare che oggi, 12 dicembre 2003, ospita
una cerimonia degna di nota. Sono le tre del pomeriggio e
la sala è ancora vuota. In fondo è stato preparato un grande
tavolo rettangolare con sopra i cavalieri recanti i nomi dei
relatori: personalità di spicco della cultura italiana e straniera. All’entrata, sulla sinistra, su un paravento sono stati attaccati dei tabelloni che illustrano alcuni dei tanti argomenti
di matematica realizzati dagli studenti della scuola media
“Torquato Tasso” di Roma, per le Esposizioni di Matematica degli anni 1971 e 1974; davanti al paravento, un tavolo
sul quale si possono vedere – ma non toccare! – figure geoEmma Castelnuovo
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metriche costruite con asticciole colorate, solidi fatti di fili
elastici, quadrettati di legno, piccoli sacchi di iuta pieni di
fagioli e poi, in bella mostra, tanti libri di matematica. A fare
la guardia a questo ‘materiale preziosissimo’ un gruppetto di
studenti della scuola media “Gaio Cecilio Secondo” di Roma
che hanno l’ordine di non far avvicinare troppo i visitatori e
soprattutto devono stare attenti che nessuno porti via qualcosa come ricordo.
Sempre più numerosi, gli invitati salgono la ripida e ampia scalinata e ad accoglierli trovano la protagonista di questo evento, la festeggiata: Emma Castelnuovo, la donna che
ha formato generazioni di ragazzi romani lasciando in essi
un segno indelebile, un sentimento di grande gratitudine per
averli educati, attraverso la matematica, alla solidarietà, alla
libertà, all’impegno civile. Sull’invito che tutti esibiscono c’è
scritto: «L’arte di insegnare matematica: omaggio a Emma
Castelnuovo». Emma oggi compie 90 anni e la città di Roma
desidera renderle onore. Lei è sorridente, disinvolta, vestita
con sobria eleganza, come è suo stile: giacca con golfino blu
da cui fuoriesce il colletto della camicetta bianca, impreziosita per l’occasione da una piccola spilla antica sul bavero e
da un girocollo in oro bianco formato da tanti archetti di cerchio; gonna grigia, scarpe basse e, sotto il braccio, l’immancabile cartella di pelle che contiene i suoi lucidi per lavagna
luminosa. Sì, perché la sua festa è davvero particolare. Nella
famiglia Castelnuovo non c’è l’abitudine di festeggiare i compleanni, ma a questa ricorrenza Emma tiene moltissimo: l’ha
desiderata, aspettata, preparata con quasi un anno di anticipo. Ha trasformato il suo novantesimo compleanno in un
vero e proprio evento, che prevede la presenza di personaggi
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C. Degli Esposti, N. Lanciano
importanti legati a lei da lunga e sincera amicizia, l’esecuzione di brani musicali, le testimonianze di suoi ex allievi e, per
finire, la sua lezione.
Qualche giorno prima della ricorrenza, l’impiegata dell’ufficio cerimoniale del Comune di Roma domanda alle organizzatrici della festa: «Quante sedie dobbiamo collocare nella
sala? Lo chiedo perché se vengono dei giornalisti o si fanno
delle foto non è bello che si vedano delle sedie vuote! Sapeste
quante volte, anche in occasioni di festeggiati importanti, i
cerimonieri hanno tolto file e file di sedie! Guardate che la
sala ne contiene trecento! Ma non saranno troppe per questa
signora che, scusatemi eh, non mi sembra poi così conosciuta?». Senza alcuna incertezza si prende la decisione: tutte le
trecento sedie di legno dorato e tappezzeria rossa verranno
sistemate nella Protomoteca. Se occorrerà se ne leverà qualcuna.
L’inizio è previsto per le 15.30 e la sala alle 15.20 è già
piena, le sedie sono tutte, ma proprio tutte, occupate e le persone che continuano ad arrivare si addossano alle pareti, in
doppia e tripla fila, tanto che a un certo punto, per motivi di
sicurezza, gli addetti al cerimoniale, decisamente stupiti da
una tale affluenza, inconsueta e inaspettata, sono costretti a
chiudere la porta e lasciare fuori i ritardatari. Dopo aver stretto un’infinità di mani e aver riconosciuto, anche a distanza di
cinquant’anni, studenti e colleghi, Emma si siede al centro del
grande tavolo, con un bellissimo arazzo alle spalle. Alla sua
destra il sindaco di Roma Walter Veltroni si alza e dà inizio
alla cerimonia con queste testuali parole: «Sono stato allievo
di Emma Castelnuovo e per questo sono diventato sindaco
di Roma». L’applauso scoppia fragoroso. Il sindaco VeltroEmma Castelnuovo
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ni, appena saputo che la professoressa Castelnuovo avrebbe compiuto 90 anni, aveva annunciato che la città di Roma
avrebbe fatto propria la celebrazione dell’anniversario, come
già accaduto per altri illustri novantenni romani. «Emma Castelnuovo» continua Veltroni «è una scienziata alla quale Roma deve molta riconoscenza per l’impegno civile e culturale
profuso nel periodo buio del fascismo, e poi, nel dopoguerra,
per aver contribuito all’innovazione della didattica della matematica in Italia e all’estero». Al termine del suo discorso il
sindaco dona a Emma una targa con una serigrafia raffigurante la piazza del Campidoglio e con la scritta:
A Emma Castelnuovo
Maestra della didattica della matematica.
Gli invitati sono di varia provenienza. Ex alunni che, con
un tam tam durato qualche mese, si sono ritrovati a salutare la loro professoressa; personalità accademiche italiane e
straniere in ambito non solo matematico; insegnanti che si
sono laureati dopo aver effettuato un anno di tirocinio nelle
sue classi; studenti di scuola media, accompagnati dai loro
professori, che studiano la matematica sui suoi libri di testo;
le amiche coetanee dei tempi dell’università; gli allievi della
scuola ebraica organizzata dalla Comunità israelitica romana nel periodo delle leggi razziali; i suoi nipoti, pronipoti e
pro-pronipoti. Emma non è sposata, ma è legata da grandissimo affetto ai suoi numerosissimi nipoti che sono venuti da
tante parti d’Italia e del mondo per essere vicini a questa zia
così speciale. Sono presenti anche tanti amici insegnanti che
nel corso degli anni hanno seguìto il suo metodo didattico e
fondato varie associazioni per diffonderlo nelle scuole.
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Paolo Mieli, anche lui ex allievo, nel suo intervento paragona Emma a Mozart e la definisce un genio: attraverso la
matematica, disciplina generalmente ritenuta fredda e astratta, Emma ha educato i ragazzi a leggere la realtà, a diventare
cittadini consapevoli, a comprendere la storia del pensiero
dell’uomo.
Gli interventi che seguono tracciano i vari aspetti del lavoro che Emma ha svolto nella sua lunga carriera di studiosa
e di insegnante. Il matematico madrileno Francisco Martín
Casalderrey tocca il tema internazionale dell’opera didattica
di Emma, che in Spagna, così come in tanti altri paesi del
mondo, ha costituito un punto di riferimento per l’insegnamento della matematica, e chiude con queste parole piene
di sentimento: «Emma, sei una donna combattiva, sei una
donna solidale, sei una donna giovane, te queremos Emma!».
Edoardo Lugarini ha il compito di tracciare il lunghissimo
rapporto di Emma con la casa editrice La Nuova Italia che
ha pubblicato, dal 1949 a oggi, i suoi libri di testo per la scuola media e il libro La didattica della matematica, saggio cult
per studenti universitari e docenti italiani e stranieri. Clotilde
Pontecorvo sottolinea gli aspetti psicopedagogici della didattica di Emma, e Tullio De Mauro racconta che, quando era
ministro della Pubblica istruzione, chiamò Emma a far parte
della Commissione per il rinnovamento dei programmi.
Emma ascolta attenta e, come sua abitudine, tiene l’indice
della mano sinistra affondato sulla guancia, quasi a sostenere
il capo. Ogni tanto si gira per seguire meglio i relatori. La cerimonia prosegue con alcuni brani musicali eseguiti dal maestro Andrea Toschi, anche lui allievo di Emma, e dal gruppo
di fiati Master of the reds.
Emma Castelnuovo
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È il momento delle testimonianze di ex alunni. Sono tutti
molto emozionati, ciascuno di loro ha un ricordo particolare
da raccontare e la sala resta in un silenzio commosso davanti ai racconti di chi, con i capelli bianchi, parla di quando,
durante le leggi razziali, Emma e gli altri ebrei, studenti e
professori, furono espulsi dalle scuole e dall’università, e lei
insegnava nella scuola messa su in pochissimi mesi dalla Comunità israelitica romana. La sala è inondata nuovamente da
famose arie musicali, il pubblico tace, si avvicina il momento
clou della festa.
Emma si alza, si avvicina alla lavagna luminosa, apre la famosa cartella di pelle che contiene i lucidi da proiettare e con
leggerezza e verve esordisce dicendo: «E ora io che faccio? È
stato già detto tanto!». Dopo aver ringraziato il sindaco e la
città di Roma, continua guardando dritto il pubblico: «Adesso voglio farvi ritornare sui banchi di scuola». La sala ride
e applaude al colmo della contentezza nell’attesa di questa
sua lezione. Emma è così, riesce a catturare con poche parole l’attenzione di persone di ogni età; è una comunicatrice
nata. Alza il tono della voce, misura le pause e butta là con
nonchalance una battuta su sé stessa, e persino sugli uffici
comunali: «Il cartoncino di invito alla festa che voi avete reca
un disegno; gli amici del Comune hanno trovato qualche difficoltà per aggiungerlo», fa una piccola pausa, «hanno detto
che non è uso! L’abbiamo voluto inserire lo stesso per mettere in luce le mie assolute pazzie». E l’attenzione non cala mai.
Dalla tasca della giacca tira fuori uno spago annodato
lungo una quarantina di centimetri e inizia la lezione con il
suo famoso «problema dello spago». Lo dispone tra le dita a forma di rettangolo e, stringendo o allargando le dita,
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C. Degli Esposti, N. Lanciano
lo spago prende la forma di un quadrato o di altri infiniti
rettangoli. «Il perimetro rimane sempre lo stesso, è ovvio
perché è lo spago, ma ci chiediamo: l’area di queste figure
rimane la stessa?». Gli ex alunni vengono riportati indietro
di anni, tornano idealmente sui banchi di scuola e rivivono
quell’esperienza. Lo si percepisce dai commenti che fanno,
dalle occhiate che si lanciano tra compagni di classe, ritrovati
dopo decenni. E anche noi, che ci accingiamo a raccontare
di lei e della sua storia, riviviamo il periodo in cui nelle sue
classi, e poi per tutta la nostra vita, abbiamo avuto il grande
privilegio di starle vicino e sperimentare in prima persona la
validità del suo metodo di insegnamento, di capire quello che
a scuola e all’università non avevamo capito: che il pensiero
matematico è altro da quell’impostazione rigida alla quale
eravamo state educate, che la matematica può arrivare all’intelletto partendo dalle mani, che si deve usare un linguaggio
semplice ma efficace per parlare ai ragazzi e che guardare il
mondo con gli occhi della matematica crea vere emozioni.
Emma nella sua lezione evoca e rievoca tutto questo nell’uditorio attentissimo e, attraverso la matematica insegnata con
il metodo che lei ha introdotto in Italia, percorre le pagine
più toccanti degli ultimi sessant’anni della storia italiana, della ‘sua storia’. La lezione termina con queste parole: «Uno si
chiede: che ci faceva Emma con uno spago?». Fa ancora una
voluta pausa di attesa: «Si possono dare a questa domanda
tante risposte, a seconda della fantasia». Finisce la frase e
tutti si alzano in piedi ad applaudire, con la commozione che
si accompagna alla gratitudine per aver imparato a capire, a
ragionare. Poi, quella moltitudine festosa di amici, parenti,
colleghi, alunni di ogni età, più o meno famosi, si accalca inEmma Castelnuovo
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torno a questa eccezionale insegnante. Lei, prima di lasciarsi
abbracciare e complimentare, raccoglie i lucidi che le sono
serviti per la conferenza, cerca lo spago, ‘il suo spago’, ma lo
spago è ‘misteriosamente’ scomparso!
I regali che Emma riceve sono tutti un po’ particolari: il
gruppo degli amici matematici, ispirandosi ai modelli geometrici dinamici a lei così cari, ha fatto realizzare uno strumento
in argento in cui quattro perni, scorrendo su quattro binari,
descrivono rettangoli iscritti in un quadrato: è la matematica
di Emma, figure che si trasformano. Gli spagnoli le hanno fatto confezionare un foulard color ocra con i disegni dei poliedri
realizzati da Leonardo da Vinci per il libro De divina proportione del matematico Luca Pacioli, e un album in carta speciale su cui sono state riportate tutte le frasi dedicate a Emma
dagli amici della federazione spagnola a lei intitolata. E ancora
modellini fatti con bacchette sghembe che formano superfici
curve, libri, e tutti hanno contribuito alla raccolta di una somma da inviare in Niger, alla scuola dove anni prima Emma era
stata inviata dall’UNESCO a insegnare il suo metodo.
È il momento del brindisi di augurio, davanti a una grande torta con un delizioso bouquet di roselline al centro e la
scritta «Buon compleanno Emma».
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1. Le radici
Emma non era solita parlare delle sue origini per innata riservatezza e assenza di vanità. Ogni tanto però, se per caso in
una conversazione tra amici si toccavano questioni attinenti a
fatti solo a lei noti, diceva qualche frase ‘a mezza bocca’, abbassando un po’ il tono della voce, come volesse farsi sentire
e non sentire.
Chi l’ha conosciuta bene sa che su una frase pronunciata
da Emma a mezza bocca non si potevano fare domande; il
discorso finiva lì e, se ci si provava, lei cambiava totalmente
argomento. «La mia bisnonna ha fondato i primi asili per
l’infanzia a Venezia... Non è detto che chi va male a scuola in
matematica non capisca la matematica... Io sono da sempre
assicurata con le Generali di Venezia e quando vado alla sede
centrale mi accolgono con grandi onori...». Frasi, poche frasi incompiute che Emma pronunciava appunto senza darne
spiegazione, e si doveva essere proprio accanto a lei in quel
momento per afferrarle, e lasciavano una grande curiosità
nell’ascoltatore attento.
Le radici di Emma Castelnuovo affondano in due imporEmma Castelnuovo
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tanti famiglie ebree della metà dell’Ottocento. Famiglie di
cui lei è sempre andata molto orgogliosa, che in qualche modo si intrecciano e di cui risulta complicato a volte comprendere con chiarezza l’evoluzione, perché nomi e cognomi si
ripetono nel tempo. Proprio per semplificare questa complessità e farla conoscere ai suoi nipoti Emma ricostruisce e
scrive – sarebbe meglio dire: disegna – per loro, su un foglio
messo in verticale, l’albero genealogico paterno e materno,
e da matematica quale è, chiama A il Quadro delle parentele paterne e B il Quadro delle parentele materne. Su un
altro foglio messo in orizzontale entra in molti dettagli del
Quadro A. I fogli degli alberi genealogici, conservati gelosamente dalla nipote Matilde Castelnuovo, sono pieni di date,
frecce, matrimoni, piccoli commenti messi tra parentesi, note a margine: «Non si vuole confondere la mente del lettore
con nomi di parenti di Tunisi che io non abbia mai sentito
nominare». Emma, infatti, nella sua vita non dirà, e tanto
meno scriverà mai, di cose di cui non abbia la più assoluta
certezza.
Il suo nome compare come ultimo a destra nel Quadro
delle parentele paterne.
Il 12 dicembre 1913 nasce a Roma Emma Castelnuovo, la
quinta figlia di Elbina Enriques e Guido Castelnuovo. I nomi
dei quattro fratelli più grandi, scritti prima del suo, sono, come lei stessa dirà più volte, «di poca fantasia»; uno maschile
e il suo corrispettivo femminile: Mario e Maria, Gino e Gina,
nomi di tradizione in quanto compaiono anche tra i figli di
Ettore Levi Della Vida, lo zio di Guido, che si chiamavano
Mario, Maria e Gina. Per lei viene fatta un’eccezione e si
sceglie Emma, il nome della nonna paterna. Forse i genitori
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C. Degli Esposti, N. Lanciano
avranno pensato che la famiglia era già numerosa e non era
più necessario trovare un nome che avesse anche il maschile.
I Castelnuovo nel dicembre del 1913 abitano a Roma e
dalla residenza di via Cesare Balbo si sono trasferiti da poco
in via Boncompagni, allontanandosi dalla sede di San Pietro
in Vincoli dove Guido è professore universitario alla Facoltà
di Matematica. La casa è grande e quando i genitori chiamavano Mario o Maria «almeno cambiava l’accento e si capiva
chi volessero, ma tra Gino e Gina... ci si confondeva del tutto!». La signora Elbina, quando il marito decide di comprare
quella casa perché la famiglia si è molto allargata, preoccupata diceva: «Ma non andremo troppo in periferia? Magari
i bambini non si troveranno bene!». In effetti fino ad allora
avevano abitato in zone centralissime per l’epoca: via Palermo, via Firenze, via Torino, tutte traverse di via Nazionale,
la grande strada che da piazza Venezia porta a piazza dell’Esedra; via Boncompagni, invece, è più decentrata, appena al
confine con le Mura aureliane, nella zona degli antichi Orti
Ludovisi.
Emma nasce dunque in una famiglia dove i cognomi del
padre e della madre, Castelnuovo ed Enriques, fanno presagire una schiera di figli ‘con la matematica nel DNA’. Solo
lei diventerà una matematica, perché i fratelli prenderanno
strade differenti, sia pur in ambito scientifico. La nonna, da
cui Emma prende il nome, è la figlia di Moisè Levi e di Adele
Della Vida. Moisè è un industriale tessile dalle declinanti fortune, che i nipoti si divertiranno a chiamare, senza l’accento
finale, «nonno Mòise» e che faceva dei racconti «tutti da ridere». Nonna Emma passa la prima infanzia a Chieri, vicino
Torino, poi viene mandata ancora bambina a Venezia, dai
Emma Castelnuovo
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nonni Regina Pincherle e Samuele Della Vida, «forse perché
a Chieri c’era il pericolo che venisse rapita e battezzata», è
scritto tra parentesi sul Quadro A dell’albero genealogico.
In quell’epoca, infatti, i rapimenti di bambini ebrei a fini di
battesimo erano abbastanza frequenti. Anche la sua mamma
di lì a poco si trasferisce a Venezia: è una donna impegnata
su vari fronti, attiva sia politicamente sia socialmente. Come la stragrande maggioranza delle famiglie ebree italiane di
quel periodo, anche la sua aderisce in modo entusiastico al
Risorgimento; il fratello Cesare è nella Repubblica democratica con Daniele Manin e viene mandato in esilio. Nelle idee
del Risorgimento gli ebrei italiani vedono una possibilità di
contribuire, con gli altri, alla formazione di uno Stato nuovo
e laico, a cui possono dare il loro apporto. Nel 1849, quando
la figlia Emma ha appena 7 anni, Adele stessa partecipa alla
difesa di Venezia.
L’8 febbraio 1863 la giovane Emma sposa Enrico Castelnuovo, che quel giorno compie 24 anni. Racconta Enrico:
«Eravamo buoni amici la Emma e io, ma dopo un pranzo
d’estate, l’8 agosto 1861, ci trovammo soli, nel belvedere che
sporge all’angolo del Palazzo Gussoni Grimani Della Vida e
che domina il Canalazzo e il Rio di Noale, soli e taciturni, in
preda a un turbamento. Quale di noi disse la prima parola
diversa dalle solite? Non lo so, so che quella parola ebbe
un’eco e che giurammo di volerci bene per tutta la vita».
Emma ed Enrico sono cugini. Enrico, nato l’8 febbraio
1839 a Firenze, in via dell’Oca, è figlio di seconde nozze di
Nina Pincherle, la sorella di Regina. Il primo marito di Nina
è morto pazzo ma Nina non è una sposa fortunata; anche le
seconde nozze danno scarse gioie alla povera donna. Dopo
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C. Degli Esposti, N. Lanciano
la nascita del figlio viene lasciata dal Castelnuovo, che nel
1840 abbandona la famiglia per andarsene in Egitto. «La mia
mamma mi portò a Venezia» racconta Enrico «e andammo
a stare da Regina, l’ottima zia che ho sempre presente, mirabile d’ingegno». Enrico non è molto brillante negli studi
e non ama la matematica, anzi, suole definirsi «un asino» e
in un suo racconto riferisce della sua ostilità verso il teorema
di Pitagora: «Confidenza tra me e ‘lui’ [il teorema] non ce
ne sarà mai, ma io lo considero quale un amico di famiglia
a cui non è lecito usare alcuno sgarbo, nemmeno s’egli ci è
personalmente antipatico». Enrico smette dunque presto di
frequentare la scuola e inizia a lavorare a 15 anni nel banco
o, come si chiama a Venezia, nella mezzà dei Della Vida, che
avevano un florido commercio in oli di oliva. Prende un assegno di dodici lire austriache all’inizio, dodici svanziche, che
aumentano presto, essendo uomo di grande intelligenza. Da
autodidatta studia francese, inglese, tedesco, lascia il commercio e diventa giornalista, letterato e, nonostante i cattivi
risultati scolastici in matematica, insegnante valentissimo di
Istituzioni di commercio nella scuola superiore di Venezia, di
cui sarà in seguito direttore.
Dal matrimonio di Emma ed Enrico nascono due figli,
nel 1865 Guido e, due anni dopo, Bice. Emma muore poco dopo, alla giovane età di 25 anni, e i bambini vengono
affidati alle cure della nonna Adele Levi Della Vida. Adele
non simpatizza affatto per le scuole austriache o cattoliche e,
dovendosi occupare dell’educazione dei nipotini, fonda per
loro a Venezia il primo giardino d’infanzia fröbeliano. A dire
il vero c’è sempre stata una disputa su chi a Venezia avesse dato vita a questi giardini ispirati al metodo di Friedrich
Emma Castelnuovo
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Fröbel (1782-1852). La scrittrice Valeria Benetti Brunelli ne
dà un’ampia narrazione in un suo libro del 1931, nel quale
afferma il primato di Adele Levi Della Vida nella fondazione
di questa scuola per l’infanzia e la sua grande opera di educatrice di avanguardia.
Gli antenati di Emma Castelnuovo annoverano molti primati. Il padre di Adele, Samuele Della Vida, nel 1831 aveva partecipato alla fondazione delle Assicurazioni Generali
di Venezia con sede in piazza San Marco, e la sua firma, in
qualità di direttore residente in Venezia, compare sul documento del 7 maggio 1832 che ne comunica l’effettiva attivazione. Samuele è inoltre uno dei primi ebrei a possedere un
palazzo a Venezia sul Canal Grande, fuori del ghetto, l’antico
cinquecentesco Palazzo Gussoni Grimani Della Vida, vicino
alla Ca’ d’Oro, ritrovo gradito e piacevole di letterati. Per dare ai suoi nipotini Guido e Bice una scuola di libertà, Adele
si reca in Svizzera e in Baviera a visitare i giardini per i più
piccoli, riconoscendo in Fröbel il riformatore delle scuole infantili. Da donna intelligente e colta quale è, comprende che
il metodo va riadattato alla cultura italiana e pubblica, in forma anonima, due opuscoli sulle Opinioni di una signora sui
giardini d’infanzia o Kindergarten. Finalmente, il 3 novembre
1869, apre il primo giardino d’infanzia a Venezia con l’aiuto
di amici che le affidano i loro bambini.
L’originalità di Fröbel consiste nell’adoperare il gioco
come uno strumento educativo, utilizzando anche dei semplici materiali geometrici, oggetti di legno dati in mano ai
bambini. Nel 2002, esattamente centotrentatré anni dopo,
Emma Castelnuovo tiene una conferenza per docenti dal titolo Il materiale nell’insegnamento della matematica e, senza
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C. Degli Esposti, N. Lanciano
nominare mai la sua bisnonna, parla di Fröbel: «Fröbel è un
tipo strano» dice «e ha alle spalle un’infanzia solitaria e triste.
Sollecitata da una situazione familiare difficile, nasce in lui
l’idea di una scuola per la prima infanzia». Detto ciò Emma
mostra, su lucidi per lavagna luminosa, delle tavole su cui
sono riprodotti alcuni dei materiali utilizzati con i bambini.
Gli insegnanti al vederli restano impressionati: «Ma questi
sono i materiali che anche tu utilizzi in classe! Otto cubetti
da disporre in tanti modi diversi per formare solidi differenti
di cui confrontare volumi e superfici!». Ed Emma risponde:
«In questo consiste la modernità di Fröbel: il suo materiale si
presta a essere usato anche con allievi di età differenti e il suo
metodo segna l’inizio di una scuola attiva».
In quell’eccezionale contesto pedagogico crescono Guido
e Bice Castelnuovo. I due fratelli seguiranno strade molto
diverse. Bice vivrà a Venezia fino a 101 anni, non si sposerà
e continuerà ad abitare in una parte del palazzo sul Canal
Grande, che alla sua morte sarà venduta e oggi è stata trasformata in un bed and breakfast. In famiglia si racconta
che se ne stava spesso alla finestra sulla Strada Nuova e la
si vedeva dalla strada con il suo collarino bianco al collo. Si
dedica alla pittura e i suoi acquerelli sono bellissimi, tanto
che vengono esposti anche a New York. Dipinge fiori dentro
ciotole, fiori che sembrano talmente veri che vien voglia di
cambiargli l’acqua, nature morte vivissime, che regala ai nipoti – Emma ne ha sempre tenuti alcuni appesi in salotto –.
Bice è una signorina sui generis per l’epoca. Abituata a vivere
sempre da sola nel suo grande palazzo, durante la guerra è
invece costretta a recarsi nel rifugio antiaereo e quindi a stare
qualche ora in compagnia. Nel commentare, molto tempo
Emma Castelnuovo
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dopo, questa esperienza ai nipoti, confessa che «non è poi
così male stare con gli altri». Al pranzo per il suo centesimo
compleanno i nipoti, come si può ben immaginare, non sono giovanissimi, e quando vengono servite certe pietanze, a
quelli sugli 80 anni che fanno storie e dicono «io questo non
lo posso mangiare perché mi fa male al fegato, a me dà fastidio all’intestino...» la zia risponde prontamente: «Io invece
sto bene e posso mangiare tutto!». Negli ultimi anni lei, che
ormai sta praticamente sempre seduta, chiama il dottore per
una visita; lui quel giorno ha male a una gamba e fa fatica
a salire le scale: «Mi scusi signorina, se l’ho fatta aspettare
troppo». E lei: «Il g’aveva de bon solo le gambe!» commenta, prendendolo simpaticamente in giro.
Guido Castelnuovo evidenzia da subito le sue doti di
matematico. Frequenta a Venezia il liceo “Foscarini”; il suo
professore di matematica è Aureliano Faifofer, autore di apprezzati libri di testo, che gli regala una copia del manuale
Elementi di geometria – di cui Guido ha corretto gli esercizi
– con la dedica «Al più bravo de’ suoi mille scolari dona l’aff.
antico mentore». Emma conserverà questo libro. Dopo il liceo Guido si iscrive all’Università di Padova, dove gli ebrei
avevano avuto accesso fin dal Cinquecento: arrivavano qui
anche gli ebrei dall’Est Europa, Ungheria e Polonia. A fine
Ottocento ne era rettore l’ebreo Vittorio Polacco, che avrà
poi una cattedra di Diritto privato a Roma, diventerà senatore e a lui verrà intitolata la prima scuola elementare ebraica
di Roma. Guido frequenta la Facoltà di Matematica e nel
1886, a soli 21 anni, si laurea brillantemente. «Ti riconosco
primo tra i primi, ma non capisco nemmeno il titolo delle
tue opere», gli dirà sempre il papà Enrico. Viene a Roma nel
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C. Degli Esposti, N. Lanciano
1891 come vincitore di cattedra. È giovanissimo e il trasferimento all’Università di Roma coincide con l’avvio delle sue
ricerche nell’ambito della teoria delle superfici algebriche.
Un tema, questo, che affascina un altro ancor più giovane
matematico, Federigo Enriques, che nel 1892 arriva a Roma
da Pisa per il suo anno di perfezionamento. Anche Federigo
appartiene a un’importante famiglia ebrea dell’Ottocento, la
famiglia Enriques-Coriat, e la stima e la simpatia tra i due
matematici è immediata. La loro frequentazione diventa assidua, tanto che dopo quattro anni, nel 1896, Guido sposa
Elbina, la sorella maggiore di Federigo.
Nel Quadro delle parentele A e B, disegnato da Emma
per i suoi nipoti, si osserva che la famiglia Enriques-Coriat si
intreccia altre volte con la famiglia Della Vida-Castelnuovo.
Una figlia di Adele, Amelia, sposa Luigi Luzzatti, che sarà
presidente del Consiglio dopo Giolitti e il loro figlio Tullio
sposa Giorgina Enriques.
Guido e Federigo, geniali matematici, diventati anche parenti, in quell’epoca pongono le basi della teoria dei sistemi
lineari di curve di una superficie algebrica e hanno allievi in
comune. Tra questi c’è Luigi Campedelli, che si laurea sotto
la guida di Federigo e inizia la sua carriera accademica al
fianco di Guido. Con i suoi maestri condividerà un impegno
anche di tipo sociale per l’educazione e la scuola, scriverà
libri di testo e libri di carattere pedagogico legati all’insegnamento scientifico. A Roma gli Enriques acquistano un
appartamento all’ultimo piano di un palazzo residenziale di
via Sardegna 50, poco distante da via Boncompagni, dove
andranno ad abitare Guido ed Elbina con i loro figli. La vicinanza con Guido farà sì che Federigo lo andrà a trovare
Emma Castelnuovo
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quasi tutte le sere, impegnandolo in discussioni matematiche
che spesso gli toglieranno il sonno. In seguito si trasferisce
in via Sardegna Matilde, la mamma di Federigo ed Elbina.
In quella stessa epoca anche la nonna di Guido, Adele Levi
Della Vida, verrà a Roma per seguire il figlio Ettore, nominato vicedirettore della Banca d’Italia, e andrà ad abitare in
via Nazionale.
Figura centrale della Roma di quegli anni è Ernesto Nathan, un personaggio assai particolare; ebreo, inglese, repubblicano-mazziniano, laico anticlericale e, in seguito, Gran
Maestro della Massoneria. Avversario degli speculatori, è il
primo sindaco di Roma a non essere espressione della grande
proprietà terriera. Dall’intelligenza rapida, è un amministratore impeccabile e molto efficiente. I romani si ricordano di
lui per un famoso modo di dire, diventato usuale nella parlata romanesca. Il sindaco Nathan era solito fare un esame
meticoloso dei conti pubblici e si era accorto di una abnorme
spesa di trippa e frattaglie; ne chiese conto a un impiegato,
che si premurò di ricordare al sindaco del grande problema
dei topi a Roma e della necessità di nutrire un congruo numero di gatti che dessero loro la caccia. All’udire ciò Nathan
risponde: «Che i gatti si nutrano dei topi!» e pone una bella
croce sulla voce di spesa riguardante la trippa. Da cui appunto il famoso detto: «Nun c’è trippa pe’ gatti!».
Per Nathan è vitale la formazione dei giovani e lotta
contro l’analfabetismo mirando all’applicazione della legge
sull’istruzione obbligatoria imponendo come necessità primaria il problema di una scuola civile e laica. In quegli stessi
anni Guido Castelnuovo e Federigo Enriques si dedicano
molto alla scuola e alla didattica. Nel 1907, proprio quando
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C. Degli Esposti, N. Lanciano