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Hack copertina esecutivo_Layout 1 21/10/13 14.48 Pagina 1
Margherita Hack
Pietro Greco, giornalista scientifico e studioso di comunicazione della
scienza, è autore di numerosi libri e collabora con molte università italiane. Conduttore storico di Radio3 Scienza, dal 1987 è editorialista del
quotidiano “l’Unità”.
Pietro Greco
Per almeno quattro decenni volto e voce della scienza italiana, Margherita Hack è stata tra i personaggi più popolari della comunità scientifica. Scienziata militante, non solo ha contribuito alla costruzione di
una nuova visione dell’universo e ha trasformato l’Osservatorio astronomico di Trieste in un centro di valore internazionale, ma si è impegnata per la diffusione delle nuove scoperte e delle conoscenze scientifiche, convinta del loro essere fonte di progresso intellettuale e civile
per tutti. Si è dedicata con passione e con tenacia alla lotta per i diritti
delle donne, alla politica, alla difesa degli animali e dell’ambiente. Ha
saputo leggere l’Italia a ogni livello senza pedanteria accademica, ma
con lucidità, coerenza e ironia. È riuscita nel grande compito di ‘umanizzare’ la scienza.
Ammiratore e amico di Margherita Hack, Pietro Greco racconta la vita
di questa grande donna, presentando in un intreccio inestricabile il percorso della scienziata e quello dell’astronomia.
€ 14,00
Pietro Greco
Margherita
Hack
Profilo di donna
La collana Profilo di donna si propone di dar voce a figure di
donne che si sono distinte nei loro ambiti professionali. Raccoglie testi agili che rendono protagoniste personalità femminili
più o meno note, raccontandone la vita, le attività e le passioni,
e mettendo in risalto le difficoltà affrontate per affermarsi in
una società che le discrimina e le ostacola.
Comprende diverse serie, ognuna dedicata a uno specifico settore, come la scienza, l’arte, la politica, la musica e la filosofia,
da sempre considerate inaccessibili alle donne. Ogni serie ha
un curatore di riferimento e include autori esperti della specifica
materia.
Scienza
Serie a cura di Pietro Greco
Pietro Greco
Margherita Hack
© 2013 L’Asino d’oro edizioni s.r.l.
Via Saturnia 14, 00183 Roma
www.lasinodoroedizioni.it
e-mail: [email protected]
ISBN 978-88-6443-208-3
ISBN ePub 978-88-6443-209-0
ISBN pdf 978-88-6443-210-6
Copertina di Massimo Fagioli
A mia madre Rosa,
a mia moglie Emilia,
alle mie sorelle Pina ed Elena,
a mia figlia Gaia.
Le mie grandi donne
Margherita Hack
Prologo
Massimo, Aldo e due calci a un pallone
«Corri Capaccioli, corri!». Margherita tira un calcio al pallone e incita il compagno di squadra a vincere la sua naturale
repulsione per ogni sforzo fisico e a darsi finalmente da fare.
Siamo a Erice, in Sicilia, verso la fine degli anni Sessanta,
alla Scuola estiva di astrofisica. Una partitella, nella pausa
tra una lezione e l’altra. Calcetto. Lui, quello che se ne sta
fermo, lì impalato, è un pezzo di giovane alto e robusto, intorno ai 25 anni: Massimo Capaccioli, toscano della Maremma, futuro direttore dell’Osservatorio astronomico di Capodimonte a Napoli. Lei, quella che corre, impreca, tira calci
al pallone e si danna l’anima per vincere la partita, è una signora prossima ai 50, in apparenza minuta: Margherita
Hack, toscana di Firenze, direttore dell’Osservatorio astronomico di Trieste.
A correre dietro a un pallone, a tirare calci e a dannarsi
l’anima per vincere una partita, Margherita ha iniziato presto.
Una mattina d’estate, al giardino del Bobolino, a Firenze, tra
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il primo e il secondo anno di quella che oggi chiamiamo scuola
media e che allora si chiamava ginnasio, inizio anni Trenta del
secolo scorso, quando incontra un gruppo di ragazzi. Loro
hanno voglia di giocare. Lei ha la palla. Aldo, il più grande tra
i ragazzi, si avvicina: «Facciamo una partita?». Giocano tutta
l’estate. Lei impara in fretta a dribblare e a vincere. Anche se
con Aldo, che è più grande di due anni, perde regolarmente.
Non senza combattere, però. Le piace, Aldo. Al contrario degli altri ragazzi, rispetta le regole. Dopo l’estate si perdono di
vista. Si ritrovano per caso, qualche anno dopo. Discutono.
Sono sempre su posizioni diverse. Lei per Binda, lui per Guerra. Lei atea, lui cattolico. Lei scientifica, lui umanista. Aldo
diventa il compagno della sua vita. Ottant’anni dopo sono ancora insieme.
Questa è stata Margherita Hack, per decenni il volto di
donna e il timbro di voce di gran lunga più famosi della scienza italiana: una rigorosa (e coriacea) anticonformista. Una ragazza che ha attraversato il secolo breve e lo ha superato sfidando (e vincendo) i luoghi comuni. Le piace giocare a calcio.
«Ma sei una donna!». E chi se ne importa...
Purché si rispettino le regole.
Giacomo e Margherita: due storie di astronomia
A 15 anni Giacomo Leopardi, il futuro grande poeta, chiuso
nell’immensa libreria paterna, lì a Recanati, in soli sei mesi
scrive una Storia dell’astronomia, dalle origini fino al 1813.
Nel 2002 Margherita Hack, a 80 anni, ma sempre pronta
ad accettare qualsiasi sfida significativa, riprende la storia là
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dove Leopardi l’aveva lasciata per continuarla e portarla fino
ai nostri giorni.
Il giovane Leopardi dedica molte pagine alla grande rivoluzione nella visione dei cieli avvenuta nel Seicento, a opera –
soprattutto, ma non solo – di Galileo Galilei che, grazie a
un’innovazione tecnologica, il cannocchiale, ha visto, letteralmente, «cose mai viste prima».
L’anziana Hack dedica molte pagine all’altra grande rivoluzione nella visione dei cieli iniziata intorno agli anni Venti
del XX secolo, proprio quando lei nasceva, realizzata da una
schiera di ricercatori con una serie di innovazioni tecnologiche
che, ancora una volta, hanno consentito di vedere, letteralmente, «cose mai viste prima».
Margherita Hack ha accompagnato questo secondo cambio di paradigma nella visione dei cieli e, per un piccolo pezzo,
vi ha contribuito. La seconda rivoluzione scientifica in astronomia ha intersecato inestricabilmente la sua vita. Per questo,
nel tentativo di ricostruire i travolgenti percorsi dell’astronoma, non possiamo fare a meno, attraverso le sue stesse indicazioni, di ricostruire il travolgente tragitto dell’astronomia.
Margherita Hack
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1. Margherita,
all’inizio del secolo breve
Margherita Hack nasce a Firenze il 22 giugno 1922. La madre,
Maria Teresa Poggesi, viene da una famiglia della piccola borghesia fiorentina che ha una certa consuetudine con il turismo
internazionale. La nonna di Margherita, mamma di Maria Teresa, gestisce infatti, con altri congiunti, una pensione dove
ospita gli stranieri che vengono a visitare la città d’arte. È in
questo ambiente internazionale, non ancora consueto in Italia,
che Maria Teresa impara il francese e l’inglese. I Poggesi sono
abbastanza ricchi da dare alla figlia quel che si dice una buona
educazione. In breve, Maria Teresa consegue due diplomi:
uno da maestra, l’altro dell’Accademia di Belle Arti. Ma all’inizio degli anni Venti il suo lavoro è un altro: impiegata al
telegrafo.
Un lavoro che prevede anche turni di notte. E che Maria
Teresa lascia quando arriva Margherita. Come si fa a gestire
una neonata e insieme un lavoro dai ritmi così scombinati?
Tanto, i soldi che porta a casa il marito bastano.
Il papà di Margherita si chiama Roberto Hack. Il cognome
è di origine tedesca. E, infatti, il nonno di Margherita, papà
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di Roberto, è nato in Svizzera e lavora a Firenze in una pasticceria. La famiglia è povera, ma Roberto riesce ad acquisire a
sua volta un titolo, quello di contabile. Che non è proprio un
vero diploma da ragioniere, ma è pur sempre sufficiente a fargli trovare diversi lavori prima di approdare a un impiego molto solido, presso la Società elettrica Valdarno. La società che
fornisce energia elettrica a Firenze e all’intera Toscana.
Si sono conosciuti, Roberto e Maria Teresa, nella pensione
dei Poggesi intorno al 1911. Lui ha 22 anni (è del 1889), ha la
pleurite, ha perso da poco la madre e vive momenti difficili.
Forse è in depressione. Lei, che di anni ne ha 24 (è del 1887),
lo aiuta a uscirne fuori. Si sposano il 14 luglio 1914. La loro
prima e unica figlia nasce otto anni dopo il matrimonio.
La casa dove Margherita viene al mondo è un po’ speciale.
Intanto perché l’appartamento, preso in affitto dagli Hack
al primo piano di una palazzina che di piani ne ha tre, è piuttosto spazioso: con un grande salotto, dove non entra nessuno; la camera da letto dei genitori, con la culla per Margherita; il salottino, con il pianoforte dove Maria Teresa si
esercita, ogni sera prima di cena, in attesa del marito al ritorno dal lavoro. Ma a rendere la casa un po’ diversa dalle altre
è il fatto che in quelle stanze tutto funziona a elettricità, dal
sistema di illuminazione alla cucina. Ce ne sono poche, così,
in tutta Firenze.
La casa è speciale anche e forse soprattutto perché si trova
in una zona residenziale dalle parti di Campo di Marte, in via
Caselli, alla periferia nord di Firenze. Al limite di quell’immensa distesa verde che circonda la città e che arriva fin quasi
ai Viali. Il nome di quei prati, Campo di Marte, non è casuale.
Quando nasce Margherita li usano ancora i soldati per le loro
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esercitazioni. E in quegli spazi si è insediata la giovane aviazione, con un piccolo aeroporto.
Appena riesce a sgambettare, Margherita va a cimentare le
sue piccole leve sui verdi prati di Campo di Marte. E a osservare quegli aerei a elica, con le ali di tela, che decollano e atterrano e volteggiano in cielo ronzando come grossi calabroni.
E poi, che meraviglia, quel Vasco Magrini, pioniere del volo
acrobatico e del marketing, che disegna sui tetti di Firenze ardite acrobazie con il suo aeroplanino cui sono attaccate code
coloratissime con su stampati – sorpresa! – dei messaggi pubblicitari. I primi a svolazzare nei cieli.
Quella di casa Hack è la vita serena di una famiglia non
ricca, ma benestante. Una vita che, tuttavia, non somiglia tanto
a quelle che di solito conducono le famiglie emergenti della
piccola borghesia impiegatizia. Somiglia piuttosto a quella delle famiglie della borghesia intellettuale. Intanto perché in casa
Hack ci sono tanti libri e si respira cultura a pieni polmoni.
Maria Teresa dipinge, suona il piano, si interessa di letteratura.
Forse avrebbe voluto fare la scrittrice, dirà molti anni dopo
Margherita. Roberto studia le lingue – l’insegnante è sua
moglie – e legge. Legge tantissimo. Soprattutto letteratura
scientifica. Quella divulgativa. Il suo autore preferito è Nicolas
Camille Flammarion, il francese che nell’Ottocento ha contribuito forse più di ogni altro a fare delle nuove conoscenze
scientifiche una cultura diffusa. Tra gli interessi e le letture di
Roberto c’è l’astronomia.
Una casa colta e liberale, quella degli Hack. Vi è bandito
ogni autoritarismo. Vi si respira un’aria non solo di cultura,
ma anche di libertà e di reciproco rispetto. Maria Teresa, per
esempio, vorrebbe tanto che Margherita frequentasse la mu-
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sica e il canto. Che imparasse a suonare il piano. Lei è lì pronta
a insegnare. Scale, solfeggi... una noia soporifera! Letteralmente. Mentre Maria Teresa insegna, Margherita si addormenta. La ragazzina proprio non ne vuol sapere. La mamma
comprende e desiste.
Una casa colta e laica, quella degli Hack. Roberto di famiglia protestante. Maria Teresa di famiglia cattolica. Entrambi
hanno rinunciato di fatto alla tradizione religiosa delle famiglie
di origine e hanno abbracciato la teosofia. Un credo religioso
abbastanza particolare, che ha una matrice certamente orientale, ma anche una tensione sincretica. Insomma, la teosofia
sostiene che la spiritualità umana è unica e che anche le religioni hanno un’origine comune. I teosofi predicano e praticano il massimo rispetto per tutti gli esseri viventi. Sono, tra
l’altro, vegetariani. Non sono autoritari, ma credono nei Maestri, uomini che sfiorano la perfezione e che si pongono come
guida per gli altri. Amano la ragione, ma pensano che degli
esseri viventi è solo il corpo a morire, mentre l’anima si reincarna. Margherita ricorderà di aver molto ammirato il rispetto
che in casa ha goduto anche il suo schietto scetticismo verso
queste implicazioni esoteriche della teosofia. Per me sono tutti
matti, penserà e dirà quando sarà più grandicella.
È dunque in questa casa, piena di stimoli e della necessaria
libertà per inseguirli, che Margherita propone i suoi primi vagiti e compie i suoi primi passi. È una bimba che ama sgambettare all’aria aperta e che, appena ha gli anni – anzi i mesi –
giusti, sa davvero apprezzare gli alberi, i prati, gli immensi spazi, gli aerei del Campo di Marte. I genitori non sono possessivi.
Non temono sudate e sbucciature. La lasciano libera di rotolarsi in quei prati senza fine. Libera di arrampicarsi sugli al20
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beri. Libera di inseguire con lo sguardo e con l’immaginazione
le traiettorie, lassù in cielo, di quei mosconi con le ali di tela.
Lei ha un cerchio, di quelli di metallo, che impara a far correre. Spesso, però, lo adagia a terra, ci salta dentro e si mette
alla guida di un aeroplano immaginario con cui, libera anche
nel cielo, si esibisce in acrobazie degne di Vasco Magrini.
La biblioteca di casa Hack è molto ricca. E i genitori tentano presto di trasmettere l’amore per i libri alla loro figlia. In
breve, a 4 anni la bambina si ritrova tra le mani il Pinocchio
del fiorentino Carlo Collodi. Non è un caso. Il libro è stato
scelto a ragion veduta e con cura dai genitori. Ma non immaginano quanto Margherita lo apprezzi. Questo non è come il
solfeggio, non fa annoiare. Anzi. In quattro e quattr’otto la
piccola impara a leggere e a scrivere. Forse a identificarsi in
quell’amabile discolo di legno. Inizia così a divorare libri per
bambini su libri per bambini, compreso Sussi e Biribissi. Storia
di un viaggio verso il centro della Terra, di quel Paolo Lorenzini che di Collodi è il nipote. È così brava e interessata, Margherita, che l’anno dopo, nell’ottobre 1927, i genitori tentano
di iscriverla a scuola. Ma non ha ancora 6 anni. E non si può.
Bisogna aspettare.
Margherita non se ne accorge. Non ancora, almeno. Ma
Firenze sta cambiando. È nel pieno di una grande trasformazione urbanistica. A ritmi serrati si abbattono vecchie case e
se ne costruiscono di nuove. Nascono dal nulla interi quartieri, ben oltre le antiche mura. È una marea inclusiva: vecchi
borghi, una volta di periferia, diventano parte integrante della
città. Per le strade sferraglia il tranvai, che come un sistema
nervoso dalle periferie porta al centro. A Santa Maria Novella
presto inizieranno a costruire la stazione che porterà nel cuore
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di Firenze, a un passo dal Duomo e a due da piazza della Signoria, addirittura i treni, provenienti da ogni parte d’Italia.
E con loro un numero piccolo, ma crescente, di turisti provenienti da ogni parte del mondo.
La trasformazione urbana riguarda anche Campo di Marte.
I militari arretrano per lasciare il posto, all’inizio degli anni
Trenta, allo stadio e agli atleti. Il verde scompare o, almeno, diminuisce. Ma Margherita non se ne accorge: non abita più lì.
Stiamo correndo troppo, però. Torniamo per un attimo al
1922. Quattro mesi dopo la nascita di Margherita, il 28 ottobre, i fascisti marciano su Roma e il 30 il re, Vittorio Emanuele
III, incarica inopinatamente il loro leader, Benito Mussolini,
di formare un nuovo governo. Inizia così la pagina più buia
della storia della giovane nazione italiana.
Margherita avrà presto occasione di accorgersi che l’Italia
intera, come Firenze, sta cambiando. Perché il papà viene licenziato, in tronco. Sarà stato il 1927, o forse il 1928. Alla Valdarno dicono che è a causa della sua pleurite, che deriva da
una tubercolosi e che, sostengono i medici della società, è contagiosa. Insomma il signor contabile è tisico. Non può lavorare. La verità è che Roberto è antifascista. E, pur non essendo
iscritto ad alcun partito politico, non lo nasconde. Ha idee socialiste e le manifesta, prendendo sistematicamente le difese
degli operai, pur non essendo un sindacalista. Intollerabile.
Va cacciato. Quando il contabile Roberto Hack va via, disinfettano la sedia e la scrivania. Nessuno, a Firenze, gli offrirà
più un lavoro.
D’altra parte, dopo le elezioni dell’aprile 1924, «inficiate
dalla violenza» per usare le parole di Giacomo Matteotti, e
dopo l’assassinio nel successivo mese di giugno proprio di
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quel preveggente leader socialista, il capo del governo, Benito
Mussolini, ha instaurato un regime che non tollera il dissenso.
Chi avrebbe il coraggio di offrire un posto a un socialista cacciato proprio perché socialista?
È questo il primo incontro di Margherita con un’altra delle
dimensioni in cui navigherà con passione per tutta la vita: la
politica. È un incontro indiretto, ma empirico. Tangibile. Il
fascismo è entrato in casa sua e ha sconvolto il vecchio, sereno
equilibrio.
Il ‘papà che non può più lavorare’ accetta con serenità la
nuova situazione, diventa casalingo e resta a casa. La ‘mamma
che non può più fare la casalinga’ è un po’ più ansiosa, anche
perché deve uscire di casa e inventarsi un lavoro. Maria Teresa
è stata maestra, in Svizzera, in una scuola di suore. Ma è andata via di corsa: non può mica accettare la rigidità di regole
che sfidano il buon senso e sfiorano la tortura. È stata impiegata nella società dei telegrafi, ma è difficile che lì la riprendano. Ricorda così di avere una formazione nelle belle arti, di
conoscere l’inglese e il francese e che, dunque, può ben inventarsi un lavoro del tutto nuovo: andare agli Uffizi tutti i
giorni, aprire il tavolino con le matite, i pennelli e la tavolozza
dei colori, copiare i quadri di quel meraviglioso museo e vendere le miniature ai turisti stranieri. Di tanto in tanto, qualcuno le commissiona un ritratto o un panorama.
E poi c’è il problema della casa. Il reddito è crollato. Non
si può continuare a pagare l’affitto divenuto improvvisamente
oneroso per l’appartamento di via Caselli. Maria Teresa ha
avuto in eredità una vecchia casa di cooperativa. Una delle
prime. Costruita sul finire del XIX secolo. Si trova dall’altra
parte dell’Arno, al Gelsomino, in via Leonardo Ximenes, nel-
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la periferia sud di Firenze, vicino a Poggio Imperiale. Combinazione, Ximenes è un astronomo, fondatore dell’Osservatorio di San Giovanni delle Scuole Pie. E via Ximenes si trova
a pochi passi dalla collina di Arcetri e, dunque, da quella villa,
Il Gioiello, dove, seconda coincidenza, il padre della moderna
astronomia scientifica, Galileo, ha vissuto gli ultimi anni della
sua vita e la sua «continuata prigione». Sulla collina c’è anche,
terza combinazione non del tutto indipendente dalla seconda, l’Osservatorio astrofisico di Arcetri. Tra i più avanzati
d’Italia.
Aggiungiamo a queste tre una quarta combinazione: la via
dove è nata Margherita, via Caselli, fa angolo con via Cento
Stelle. Ma non lasciamoci ingannare dalle quattro coincidenze.
Perché non saranno queste a fare di Margherita un’astronoma.
Tuttavia, conviene dire due parole sull’Osservatorio di Arcetri
dove la ragazza, di lì a qualche lustro, andrà a formarsi e, per
un certo tempo, a lavorare. Voluto da Giovanni Battista Donati, l’Osservatorio astronomico di Arcetri è stato inaugurato
nel 1872. L’anno in cui nasce Margherita la direzione viene
assunta da Giorgio Abetti, che prende il posto del padre, Antonio Abetti, e ne modifica il nome in Osservatorio astrofisico
di Arcetri. Il cambiamento del nome, come vedremo, sottende
a un cambiamento di contenuti. Due anni dopo, nel 1924, viene eretta per la prima volta in Italia una torre solare, realizzata
dalle Officine Galileo. È alta 25 metri ed è dotata di un ottimo
spettrografo e di un ottimo spettroeliografo, grazie ai quali a
Firenze si inizia a studiare la fisica del Sole e la composizione
delle stelle con risultati di assoluto valore. L’Italia inizia a entrare nella ‘nuova astronomia’. Giorgio Abetti, intanto, diventa professore di astrofisica presso l’Università di Firenze
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(1924) e l’Osservatorio diventa statale (1926). Ma di tutto questo Margherita non ha e non avrà a lungo percezione.
Quello che lei trova a via Ximenes è una casa a due piani,
niente affatto grande. L’abitazione non è molto attrezzata.
Non ha acqua corrente. L’elettricità alimenta solo qualche
lampadina, le stufe sono a legna e la cucina funziona a carbonella. È dotata, però, di due giardini, uno piccolo davanti e
l’altro, più grande, sul retro. La ragazzina li elegge a propria
giungla personale e inizia a spendervi gran parte delle giornate, affinando la sua capacità di arrampicarsi sugli alberi, di gustare la vita all’aria aperta, di avere un rapporto diretto con
gli animali. Il giardino più grande accoglie anche due pozzi,
uno dove si raccoglie l’acqua piovana. L’altro, nella parte opposta, è il pozzo nero. Margherita si tiene alla larga dal secondo, mentre si avvicina con prudenza al primo, imparando a
tirare su e giù il secchio dell’acqua. Le braccia si irrobustiscono e il divertimento è scontato.
Anche la nuova-vecchia casa di via Ximenes si trova vicino
ai campi, proprio come quella di via Caselli. Ma sono campi
diversi. Appena più in là del giardino, infatti, ecco i terreni
coltivati dei contadini, che Margherita con il suo papà inizia
a conoscere personalmente e a frequentare. Le lunghe passeggiate quotidiane tra i poderi iniziano a mani vuote e si concludono con ogni ben di Dio: ortaggi, verdure, frutta, uova.
Conigli e galline, no. I teosofi sono vegetariani e anche Margherita non oserebbe mettere carne tra i denti.
E sì che di carne ce ne sarebbe in abbondanza. La prima
stalla dista in linea d’aria dalla casa di via Ximenes non più di
300 metri. Lei li sente i muggiti delle mucche. Rompono il silenzio della campagna. Più semplicemente, rompono! Ogni
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tanto, però, quei muggiti cessano di essere petulanti e diventano strazianti. E continui. Li ascolti di giorno e di notte e ti
strappano il cuore. Hanno portato via un vitellino a una mucca, commenta Roberto. Margherita pensa al dolore di quella
mamma che cerca, con disperazione, il figlioletto. Non sa – o
forse sì – che è stato portato al macello. Come puoi mangiare
una bistecca di vitello, dopo aver sentito il pianto di quella
mamma?
La casa di via Ximenes è vicina anche al giardino del Bobolino. Che, a differenza di quelli di Boboli, sono, come dire,
a misura di bambino. Insomma, ci si può giocare. E il giardino
del Bobolino diventa, ben presto, il luogo di giochi preferito
da Margherita. Lì può arrampicarsi sugli alberi, correre con
il cerchio, giocare a palla e a nascondino, scoprendo gli infiniti
rifugi che il parco offre. D’estate è una festa. Il papà accompagna Margherita al Bobolino ogni giorno, dalle nove a mezzogiorno, e poi ancora nel pomeriggio, fino a sera. Lei gioca,
beata. Lui legge il giornale e la osserva, discreto, da lontano.
Margherita non ha molte amiche. Non ama chiacchierare.
E non le piacciono più di tanto i giochi al chiuso, con le bambole. Lì, a via Ximenes, conosce cinque sorelle. Abitano in
una casa vicina. La più grande è Anna. Con loro sale spesso
lassù, in soffitta, per giocare ai pirati. Ma la frequentazione
dura poco, non più di una stagione. Margherita ama correre
fuori e praticare giochi in cui si cimentano di più i maschi. La
piccola Hack, nei fatti, smentisce la teoria genetica di questa
preferenza e la riduce a mero portato culturale. In soldoni:
preferisce giocare più con i maschi che con le femmine. Più
con il papà che con i bambini.
Nel giugno del 1928 la ragazzina compie 6 anni e, in otto26
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bre, può finalmente iniziare ad andare a scuola. Ma, visto che
sa già leggere e scrivere, sa far di conto e non è certo una ‘grulla’, perché – suggerisce una maestra, amica della madre – non
tentate di iscriverla direttamente in seconda, facendole fare
l’esame da privatista? Detto, fatto. Maria Teresa rispolvera le
sue abilità da maestra, Margherita ci mette un po’ di impegno,
e il gioco ha la sua scontata conclusione: promossa. E ora a
giocare, lì al Bobolino. Corse, scivoli, arrampicate, ginocchia
sbucciate.
Ma ecco una complicazione imprevista. Arriva il 1929. È
l’anno del crollo di Wall Street e dell’inizio della grande crisi
mondiale. Ma è anche l’anno più freddo che i fiorentini ricordino a memoria d’uomo. La temperatura scende molti gradi
sotto zero e l’Arno ghiaccia. Margherita si becca una polmonite piuttosto seria e persistente. Non ci sono ancora gli antibiotici e la ragazzina è costretta a letto o, almeno, a restare
chiusa in casa per molti mesi. La tempra è forte e Margherita
supera la malattia senza conseguenze. Ma per la lunga assenza
rischia di perdere l’anno scolastico. Ecco dunque che Maria
Teresa ritorna maestra, che Margherita ci mette un po’ d’impegno e il gioco è di nuovo fatto: promossa. E ora a giocare, lì
al Bobolino. Corse, scivoli, arrampicate, ginocchia sbucciate.
C’è anche una parentesi, una vacanza in montagna. È lì che
Margherita incontra il ‘suo’ primo cane. È Leo, un pastore
maremmano. Non è che prima non ne avesse visti e conosciuti, di cani. Con papà Roberto, nel corso delle loro lunghe passeggiate, ne incontrano molti e con tutti cercano di fare amicizia. Ma ora è diverso. Con Leo, per tutto il periodo trascorso
sulle Alpi Apuane, è vita in comune. È gioco senza interruzioni. È affetto totale.
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Per una strana evenienza, dato che Margherita è di sana e
robusta costituzione, la malattia e l’impossibilità di frequentare la scuola si ripete tale e quale l’anno successivo. Il 1930 è
da poco iniziato che la ragazzina si ammala di nuovo, resta a
lungo lontano dalla scuola e si presenta da privatista all’esame
per passare dalla terza alla quarta. È di nuovo promossa. Ed
è di nuovo un’estate di gioco, lì al Bobolino. Corse, scivoli, arrampicate, ginocchia sbucciate.
Il mondo è sull’orlo di una crisi mai vista. L’inflazione galoppa. Molti, in molte città d’America e d’Europa, soffrono
la fame. Di qua e di là dell’Atlantico le file dei disoccupati in
cerca di un lavoro e di una scodella di minestra si allungano.
Noi bambini a Vienna, ricorda il fisico Erwin Schrödinger, ci
chiedevamo come facessero le nostre madri a creare ogni giorno dal nulla un pranzo e una cena.
Margherita di tutto questo non percepisce nulla. Lei gioca
beata, lì al giardino del Bobolino mentre il ‘papà che non può
più lavorare’ da lontano la accarezza con lo sguardo.
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