nuova ed. Viaggio nella modernità ..... il treno

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nuova ed. Viaggio nella modernità ..... il treno
VIAGGIO NELLA MODERNITA’ ATTRAVERSO UN TOPOS LETTERARIO:
IL TRENO
1860: E. Praga ( La strada ferrata )
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1863: G. Carducci ( Inno a Satana )
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1874: G.Carducci ( Epistolario,in data 20/12/1874 )
“Oh,oh,oh ! fuori piove acqua tinta e neve sulle sudicie vie:dentro,dentro l’anima mia,piove
malinconia,malinconia e disperazione … E tutto è umido e freddo e monotono e noioso
come la pioggia che scroscia al di fuori. Ripenso alla triste mattina del 23 ottobre
1873,quando ti accompagnai alla stazione,e tu mi t’involasti in un’orribile carrozza di 2°
classe,e il faccino mi sorrise l’ultima volta incorniciato in un’ infame abominevole
finestrella quadrata;e poi il mostro,che si chiama barbaramente treno, ansò, ruggì, stridé,si
mosse come un ippopotamo che corra fra le canne,e poi fuggì come una tigre.”
1875: G. Carducci ( Alla stazione in una mattina d’autunno)
1877: G. Zanella ( Poesie )
Passi, o mostro fumante, e coll’acuto
tuo sibilo schernir sembri il colono,
che sulla marra trafelato e prono
chiede alla gleba l’annual tributo.
A me, che sotto il vecchio olmo seduto
il freno a multiformi estri abbandono,
rompi l’alta quiete e come un tuono
di protratta ironia mandi un saluto.
Passa, alato Tifeo: convalli e monti
supera: annoda opposte genti e d’oro
apri al cupido volgo intatte fonti;
ma gli rammenta che vapor fugace
sono del paro i suoi dì: né v’ha tesoro
che d’un campestre asil valga la pace.
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1880: E. De Amicis
Sulla strada ferrata
Si riparte, e siam qui come ranocchi,
otto, in una caldaia maledetta,
un’ordinanza, un prete, una servetta,
un inglese, una balia e due marmocchi.
Ho il prete enorme e rosso innanzi agli occhi,
ho tra le gambe un cesto e una cassetta,
sento un’elsa di qua, di là una tetta,
e un piede dell’inglese sui ginocchi.
La grossa balia in faccia mi starnuta,
strillano i bimbi, l’ordinanza fuma,
la serva tosse e il reverendo sputa;
e non so chi d’arcane aure leggere
tacitamente il carcere profuma….
E tutto questo è un treno di piacere.
1881: A. Fogazzaro ( Malombra )
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“ Uno dopo l’altro gli sportelli dei vagoni sono chiusi con impeto; forse, pensa un
viaggiatore fantastico, dal ferreo destino che, ormai senza rimedio, porterà via lui e i suoi
compagni nelle tenebre. La locomotiva fischia, colpi violenti scoppiano di vagone in vagone
sino all’ultimo: il convoglio va lentamente sotto l’ampia tettoia, esce dalla luce dei fanali
nell’ombra della notte, dai confusi rumori della grande città nel silenzio delle campagne
addormentate: si svolge sbuffando, mostruoso serpente, tra il laberinto delle rotaie, sinchè,
trovata la via, precipita per quella ed urla, tutto battiti dal capo alla coda, tutto un tumulto di
polsi viventi.
V’ha poca probabilità d’indovinare che cosa pensasse poi quel viaggiatore fantastico, rapito
tra fiotti di fumo, stormi di faville, oscure forme d’alberi e di casolari. Forse studiava il
senso riposto dei bizzarri ed incomprensibili geroglifici ricamati sopra una borsa da viaggio
ritta sul sedile di fronte a lui; poiché vi teneva fissi gli occhi, di tanto in tanto moveva le
labbra, come chi tenta un calcolo, e quindi alzava le sopracciglia, come chi trova di riuscire
all’assurdo.
Erano già passate alcune stazioni, quando un nome gridato, ripetuto nella notte, lo scosse.
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Una folata d’aria fresca gli disperse le fila sottili del ragionamento; il convoglio era fermo e
lo sportello aperto. Egli discese in fretta; era il solo viaggiatore per …..
“Signore” disse una voce rauca e vibrata “è Lei che va dai signori del Palazzo?”
Questa domanda gli fu tratta a bruciapelo da un uomo che gli si piantò di fronte con la
sinistra al cappello e una frusta nella destra. “
(Questo è l’incipit del romanzo di Fogazzaro dai toni evidentemente “fantastici”
e carichi di mistero, come in parte la vicenda successivamente confermerà).
1882: G. Verga ( Malaria, da Novelle rusticane )
….. Infine quando non potè pagar più l’affitto dell’osteria e dello stallazzo, il padrone lo
mandò via dopo 57 anni che c’era stato, e “Ammazzamogli” si ridusse a cercare impiego
nella ferrovia anche lui, e a tenere in mano la bandieruola quando passava il treno.
Allora stanco di correre tutto il giorno su e giù lungo le rotaie, rifinito dagli anni e dai
malanni, vedeva passare due volte al giorno la lunga fila dei carrozzoni stipati di gente; le
allegre brigate di cacciatori che si sparpagliavano per la pianura; alla volte un contadinello
che suonava l’organetto a capo chino, rincantucciato su di una panchetta di terza classe; le
belle signore che si affacciavano allo sportello, il capo avvolto nel velo; l’argento e l’acciaio
brunito dei sacchi e delle borse da viaggio che luccicavano sotto i lampioni smerigliati; le
alte spalliere imbottite e coperte di trine. Ah, come si doveva viaggiar bene lì dentro,
schiacciando un sonnellino! Sembrava che un pezzo di città sfilasse lì davanti, colla
luminaria delle strade, e le botteghe sfavillanti. Poi il treno si perdeva nella vasta nebbia
della sera, e il poveraccio, cavandosi un momento le scarpe, seduto sulla panchina,
borbottava: “Ah, per questi qui non c’è proprio la malaria!”.
Fine Ottocento: G. Pascoli ( Myricae )
La via ferrata
Tra gli argini su cui mucche tranquillamente pascono, bruna si difila
la via ferrata che lontano brilla;
e nel cielo di perla dritti, uguali,
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con loro trama delle aeree fila
digradano in fuggente ordine i pali.
Qual di gemiti e d’ululi rombando
cresce e dilegua femminil lamento?
I fili di metallo a quando a quando
squillano, immensa arpa sonora, al vento.
1903 : G.Pascoli ( Canti di Castelvecchio )
In viaggio
Si ferma, e già fischia, ed insieme,
tra il ferreo strepito del treno
si sente una squilla che geme,
là da un paesello sereno,
paesello lungo la via :
Ave Maria…
Un poco, tra l’ansia crescente
della nera vaporiera,
l’addio della sera si sente
seguire come una preghiera,
seguire il treno che s’avvia :
Ave Maria…
E, come se voglia e non voglia,
il treno nel partire vacilla :
quel suono ci chiama alla soglia
e ala lampada che brilla,
nella casa, ch’è una badia :
Ave Maria…
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Il padre a quel suono rincasa
facendo un passo ad ogni tocco;
e subito all’uscio di casa
trova il visino del suo cocco,
del più piccino che ci sia…
Ave Maria….
Si chiude, la casa; e s’appanna
d’un tratto il vocerìo che c’è;
si chiude, ristringe, accapanna,
per parlare tra sé e sé;
e saluta la compagnia…
Ave Maria…
O, tinta d’un lieve rossore,
casina che sorridi al sole !
per noi c’è la notte con l’ore
lunghe lunghe, con l’ore sole,
con l’ore di malinconia…
Ave Maria…
Il treno già vola e ci porta
sbuffando l’alito di fuoco;
e ancora nell’aria più smorta
ci giunge quell’addio più fioco,
dal paese che fugge via :
Ave Maria…
E cessa. Ma uno che vuole
velar gli occhi, pensare lontano,
tra gemiti e strilli e parole,
tra il frastuono or tremulo or piano,
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ode il suono che non s’oblia :
Ave Maria….
Con l’uomo che va nella notte,
tra gli aspri urli, i lunghi racconti
del treno che corre per grotte
di monti, sopra lenti ponti,
vien nell’ombrìa la voce pia :
Ave Maria…
1913: Cl. Rebora ( Frammenti lirici: XI )
O carro vuoto sul binario morto,
ecco per te la merce rude d’urti
e tonfi. Gravido ora pesi
sui telai tesi;
ma nei rantoli gonfi
si crolla fumida (1) e viene
annusando con fascino orribile
la macchina ad aggiogarti.
Via dal tuo spazio assorto (2)
all’aspro rullare d’acciaio
al trabalzante stridere dei freni,
incatenato nel gregge
per l’immutabile legge
del continuo aperto cammino:
e trascinato tramandi
e irrigidito rattieni
le chiuse forze inespresse
su ruote vicine e rotaie
incongiungibili e oppresse,
sotto il ciel che balzàno (3)
nel labirinto dei giorni
nel bivio delle stagioni
contro la noia sguinzaglia l’eterno, (4)
verso l’amore pertugia (5) l’esteso,
e non muore e vorrebbe, e non vive e vorrebbe,
mentre la terra gli chiede il suo verbo (6)
e appassionata nel volere acerbo
paga col sangue, sola, la sua fede.
1. fumida: che getta fumo, ma anche fumosa, offuscata, insieme minacciosa e confusa,
come la vita
2. assorto: intento e distaccato, prenatale
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3. balzàno: imprevedibile, tra il gioco fantasioso e la malvagità
4. l’eterno: il senso dell’eterno, sguinzagliato come segugio dentro l’uomo
5. pertugia: il cielo spinge ciò che è magnanimo dentro di noi verso l’amore
6. verbo: da intendersi anche come il Verbo.
1914 : Luigi Pirandello ( Il treno ha fischiato, novella )
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1914 : U. Boccioni ( Uomo + Vallata + Montagna )
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1914 : Umberto Saba ( La stazione )
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1916 : Filippo Tomaso Martinetti ( La nuova religione morale della velocità )
“…sentieri tortuosi,strade che seguono l’indolenza dei fiumi e girano lungo le schiene e i
ventri diseguali delle montagne,ecco le leggi della terra. Mai linea retta,sempre arabeschi e
zigzag. La velocità dà finalmente alla vita umana uno dei caratteri della divinità : la linea
retta . Imitiamo il treno e l’automobile che impongono a tutto ciò che esiste lungo la strada
di correre con velocità identica in senso inverso, e destano in tutto ciò che esiste lungo la
strada lo spirito di contraddizione,cioè la vita. La velocità del treno costringe il paesaggio
attraversato a dividersi in due paesaggi giranti in senso inverso alla sua direzione…”
1926 – 28: I. Svevo ( Corto viaggio sentimentale: lungo racconto incompiuto)
……. Un treno non è piccola cosa, ma il signor Aghios nella vasta stazione non trovava il suo. Doveva pur esserci nella
stazione, in qualche posto, l’indicazione per trovarlo, ma il signor Aghios non la vedeva. Di solito sua moglie lo
dirigeva. Il signor Aghios fiutò inutilmente a destra e a sinistra. Vide un facchino che gli correva incontro. Era il fatto
suo. Gli consegnò la piccola valigetta che tanto facilmente avrebbe potuto portare da solo e domandò del treno.
……. Molta gente aspettava sulla banchina. Accanto ad una colonna erano accatastati molti poveri bagagli, una sola
valigia chiusa, due ceste legate, di cui una chiusa da un panno rosso e l’altra verde sbiadito. Una donna
sedeva sulla valigia con un poppante in grembo e una fanciullina di dieci anni, ben difesa dal freddo da un
vestitino consunto, dormiva su una cesta, la testa appoggiata sul fianco della madre.
……… saltò esitante nel vagone. Nel corridoio del vagone era difficile di muoversi, ma con decisione
giovanile, il signor Aghios, con la valigetta in mano, si fece posto ed arrivò alla prossima finestre che aperse.
Il treno in quel momento si mise in moto. Il signor Aghios chiamò la moglie che aveva continuato a
guardare la porta per la quale egli era sparito.
Essa corrispose vivamente al suo saluto.
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………. Poi, quando non la vide più, indovinò. Con quel gesto essa aveva voluto fargli un’ultima
raccomandazione di badare ai denari che aveva nella tasca del petto. Meno male! Sorrise e obbediente, per
attenuare il rimorso che sentiva di amare la moglie più che mai ora che non la vedeva affatto, si toccò con
grande energia la tasca del petto. Il portafogli, gonfio delle trenta banconote da mille, c’era tuttavia.
(Così si conclude il primo capitolo intitolato: Stazione di Milano; gli altri, fino al
settimo: Gorizia – Trieste, sono tutti intitolati con il nome delle stazioni che il
treno tocca durante il viaggio).
1933: Farfa (soprannome futurista di Vittorio Tommasini autore di “ Noi miliardario della
fantasia” )
Stazione
vidi la tettoia arcuata
quale bocca di gitana
allontanare un sigaro fumante
di un treno in partenza
riaccostando alle labbra
il diretto in arrivo
finché sputò lontano
l’ultimo mozzicone
di un vagone merci
1933 : Giuseppe Ungaretti ( da Sentimento del tempo, Paesaggio-notte )
Tutto si è esteso, si è attenuato, si è confuso,
fischi di treni partiti,
ecco appare, non essendoci più testimoni,
anche il mio vero viso, stanco e deluso.
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1939 : Eugenio Montale ( da Le Occasioni , mottetto )
Addii, fischi nel buio, cenni, tosse
e sportelli abbassati . E’ l’ora . Forse
gli automi hanno ragione . Come appaiono
dai corridoi, murati !
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- Presti anche tu alla fioca
litania del tuo rapido quest’orrida
e fedele cadenza di carioca ?
Anni Trenta : Vittorio Sereni ( da Poesie e versi dispersi, Locomotive )
Sopra i binari morti in prigionia
ristanno inermi le locomotive;
assonnate si fanno compagnia
e qualche ciminiera ancora vive.
Forse ciascuna sogna la sua via
per borghi e per campagne fuggitive,
abbandonata con melanconia
del rombo e del lavoro sulle rive…
Hanno strani metallici riflessi
e rado il fumo sale per il cielo
nell’estiva quiete mattinale:
tristi titani di torpori oppressi
mentre muore sui sassi senza stelo
un ritmo greve e stanco di cicale…
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