Strana la carriera del poeta. Strana soprattutto in Italia. Prendete ad

Transcript

Strana la carriera del poeta. Strana soprattutto in Italia. Prendete ad
Strana la carriera del poeta. Strana soprattutto in Italia. Prendete ad es. uno come Simone Cattaneo.
In Inghilterra o in America sarebbe una star, un poeta conteso da reading e salotti buoni, programmi
tivù e seminari universitari. Che è quello che succede ai suoi colleghi Armitage – con cui condivide
fra l’altro lo stesso nome – , Paul Muldoon e soci. Quello che voglio dire è che Cattaneo fa una
poesia al vetriolo, tra il sociale e il vuoto per dirla con i Baustelle, amatissima all’estero. Cattaneo è
il nostro Armitage (per dimostrare questa tesi una volta ho fatto uno scherzo tremendo a un critico:
gli ho passato un gruzzolo di poesie di Cattaneo spacciandole per primizie di Armitage. Non vi dico
l’entusiasmo dell’illustre studioso per quegli “inediti”…). C’è un piccolo problema (tale in Italia, no
di certo all’estero): Cattaneo è come la sua poesia, franco e schietto, non fa la corte a nessun potente
di turno, critico e poeta, lui pensa a vivere e a scrivere. Ma nel nostro bel paese questo significa una
sola cosa: isolarsi. Per questo Cattaneo non è ancora valutato come merita. Lo vedete nelle
antologie che contano? Ai festival di tendenza? No. No, perché – sembrerebbe un paradosso, ma è
così – Cattaneo pensa a scrivere, e non a – prendo in prestito la brutalità del suo linguaggio –
leccare il culo. Si fa presto a esibirsi in impeccabili analisi testuali, retoriche e stilistiche – chi non
ne è capace? –, quando invece il problema è a monte, ed è di natura morale (e dunque molto più
arduo): come essere in grado di compiere scelte di qualità e non di interesse. Non dico sempre
(siamo esseri umani, suvvia, peccatori ed esposti al richiamo delle sirene), ma almeno nella maggior
parte dei casi. Per fare un esempio: se Thomas Pynchon vivesse in Italia, con lo stile di vita che
conduce, sarebbe inedito e dimenticato. Qua in Italia per avere un minimo di riscontro bisogna
pensare al come, non al cosa. Crearsi una rete di rapporti, costruirsi una figura pubblica, e poi su
quelle basi innestare tutto il resto – che in una concezione normale di arte sarebbe invece il dato
primario. Bisogna ripensare i modi di fruizione dell’arte: il marchio, il brand sta diventando una
presenza troppo ingombrante anche in questo campo. Così facendo il rischio principale è di
oscurare autori di indubbio valore ma dalla vita sociale “normale” e non compromessa a qualcuno o
qualcosa. In cambio, si sa, abbiamo autori deboli ma presenzialisti (l’elenco è chilometrico, per non
fare torto a nessuno applico il teorema di Sturgeon: il 90% di tutto è spazzatura. Funziona
benissimo anche in letteratura italiana).Del resto l’Italia che emerge dalle poesie di Cattaneo è
proprio un’Italia di questo tipo: meschina, approfittatrice, paracula, senza dignità, votata al più
bieco compromesso. Ma Cattaneo non odia quest’Italia; a suo modo la ama. Di un amore struggente
e autodistruttivo, poco lenitivo e molto disperante. Come scrive Pasolini: “Questa è l’Italia, e / non
è questa l’Italia: insieme / la preistoria e la storia che / in essa sono convivano, se / la luce è frutto di
un buio seme”. Cattaneo racconta la storia di un paese perso e smarrito. Al tracollo morale e
culturale
Flavio Santi