Alcune riflessioni sul concetto di fantasma in Freud e

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Alcune riflessioni sul concetto di fantasma in Freud e
G. Parisi, A. Peduto
Alcune riflessioni sul concetto di fantasma in
Freud e in Melanie Klein
Il concetto dì fantasma, sebbene sia stato discusso ed approfondito da molti autori nel corso di
questi ultimi anni, rimane a tutt’oggi uno dei concetti più difficili e confusi della teoria
psicoanalitica. Presente nell’opera di Freud e di Melanìe Klein, esso vi si declina in modi differenti,
pur lasciando affiorare certe valenze dove la ricerca freudiana e quella kleiniana sembrano
intrecciarsi. Ripercorrendone il senso originano e lo sviluppo, si può cogliere pienamente a nostro
avviso il valore euristico e la centralità teorica del concetto; ma si tratta anche di cogliere la sua
relazione con problemi di ampia portata rispetto ai quali il pensiero psicoanalitico non può che
continuare ad interrogarsi,
Il fantasma in Freud
Perché fantasma e non fantasia? Nella traduzione italiana delle opere di Freud, il termine Phantasie
viene reso con fantasia, termine che richiama le fantasie consce, il fantasticare, restringendo il senso
più indefinito ma più ricco e complesso del Phantasieren freudiano, che si estende dai fenomeni
consci a quelli inconsci. E’ per ritrovare questo senso che preferiamo utilizzare la parola fantasma,
termine più ricco di rimandi, in quanto designa una particolare formazione immaginaria e non
l’immaginazione nel significato più generico, rimanda all’inquietante, all’assente e quindi
all’inconscio e al desiderio che vi si muove; inoltre rimanda alla manifestazione reale,
ectoplasmatica, mentre la fantasia è più facilmente contrapponibile alla realtà materiale.
Cercheremo di mostrare come i rimandi, gli echi suggeriti dal termine fantasma si sovrappongono a
quelli impliciti nella Phantasie di Freud la quale, a nostro avviso, si riferisce a qualcosa di più
ristretto e reale rispetto alla fantasia intesa nel senso comune, designa una particolare formazione
intimamente legata al campo dell’inconscio, e assume nella teorizzazione freudiana un valore
concettuale centrale. Laplanche e Pontalis (1967) hanno studiato l’origine, la struttura e lo statuto
metapsicologico del fantasma in Freud; l’originalità e l’interesse delle loro tesi ci inducono a
utilizzarle come punto di riferimento per le nostre riflessioni, Innanzitutto essi cercano di dare una
definizione del termine: i fantasmi sono «scenari, canovacci, scene organizzate suscettibili di essere
drammatizzate in forma per lo più visiva», in essi è presente il soggetto e raffigurano, «in modo più
o meno deformato dai processi difensivi, l’appagamento di un desiderio e, in ultima analisi, di un
desiderio inconscio» (Laplanche e Pontalis, 1967). Questa definizione sottolinea dunque la stretta
connessione del fantasma con il desiderio; ma la complessità «sintattica» delle scene fantasmatiche,
dove «non è un oggetto che è rappresentato come obiettivo del soggetto, ma una sequenza di cui il
soggetto stesso fa parte ed in cui si possono invertire i ruoli», evita dì ridurre il fantasma
semplicemente ad «una mira intenzionale del soggetto desiderante», aspetto che diventerà invece
prevalente nella prospettiva di Susan Isaacs. In secondo luogo si ravvisa in questa definizione una
sorta di legame tra le caratteristiche plastiche del fantasma e il suo grado di organizzazione. Infatti
gli autori sottolineano che, sebbene nell’opera di Freud si possano distìnguere vari aspetti del
fantasma, corrispondenti ai livelli della divisione topica dell’apparato psichico (Conscio,
Preconscio, Inconscio), vi si può anche cogliere l’intento, più che di separare i differenti livelli e
aspetti del fantasma, di stabilire tra essi legami e continuità. Freud (1915) afferma infatti che i
fantasmi da un Iato presentano un alto grado di organizzazione e di coerenza e mostrano di aver
approfittato di tutti i vantaggi del sistema C (coscienza), sicché il nostro giudizio li può distinguere
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con difficoltà dalle formazioni di questo sistema; d’altro lato, essi sono inconsci e incapaci di
divenire coscienti. La loro origine inconscia è determinante per il loro destino. Essi possono essere
paragonati a quegli uomini di sangue misto che nell’insieme assomigliano ai bianchi, ma tradiscono
il loro colore di origine attraverso un indizio evidente, rimanendo cosi esclusi dalla società e dal
godimento dei privilegi riservati ai bianchi. Ma stabilire questa continuità significa stabilire che
esiste un elemento che appartiene al dominio dell’inconscio ed è al tempo stesso strutturato; la
discussione su siffatta possibilità teorica è a tutt’oggi aperta (Sandler, 1963; Inderbitzin, Levy,
1990). Nel 1911 Freud definisce il fantasma attraverso l’opposizione tra principio di piacere e
principio di realtà; egli parla «di una specie di attività di pensiero che, serbatasi libera dall’esame
di realtà, è rimasta soggetta soltanto al principio di piacere» (Freud, 1911). L’alternativa in gioco è
tra la pretesa pulsionale e la «necessità» imposta dalla realtà esterna, ma anche tra l’immaginario,
cui appartiene il fantasma, e il reale. E’ quanto traspare dietro il travagliato destino della teoria della
seduzione. Infatti, che si privilegi nel suo ruolo patogeno il trauma (reale) di seduzione o la vita
fantasmatica del soggetto, ciò che cambia è solo l’equilibrio dei fattori, nell’un caso tutto spostato a
vantaggio della realtà, nell’altro a vantaggio di un immaginario puramente soggettivo. Tuttavia è da
rilevare che, mentre si afferma solitamente che la psicoanalisi nasce proprio con l’abbandono della
teoria della seduzione (abbandono del reale in favore del fantasma), si trascura un dato che, ai fini
del nostro discorso, presenta una certa rilevanza. Nella teoria della seduzione, infatti, patogeno non
è il trauma, il reale di per sé,ma la sua «reminiscenza», reminiscenza di quanto fu reale e che ora
ritorna dall’interno del soggetto col suo carico di significatività sessuale. È quanto fanno notare
Laplanche e Pon-taiis (1985) affermando che (…) con la teoria della seduzione si può dire che tutto
il trauma viene, nello stesso tempo, dall’esterno e dall’interno. Dall’esterno perché la sessualità
arriva al soggetto dall’altro, e dall’interno perché esso scaturisce da questo esterno interiorizzato,
da questa reminiscenza (…) di cui soffrono gli isterici e nella quale riconosciamo già il fantasma.
Da questo punto di vista, ciò che si fa strada nella teoria della seduzione è l’idea del fantasma come
di qualcosa che coinvolge e articola in sé categorie diverse e su ciò fonda la propria specificità,
piuttosto che su una loro contrapposizione. Esso si pone nello stesso tempo al di là dell’esterno e
dell’interno, dell’oggetto e del soggetto, dell’avvenimento reale e dell’immaginazione interna, ma è
anche in relazione con entrambi; nella teoria della seduzione U fantasma è intuito come struttura,
come categoria che comprende e trascende al tempo stesso la fattualità esterna e le evenienze
interne del soggetto. Proprio questo dato, l’intuizione della struttura, rischia di venire perso quando,
abbandonata la teoria della seduzione, Freud riabilita il polo della predisposizione ereditaria: prende
allora il sopravvento la descrizione di una sessualità infantile spontanea, caratterizzata da uno
sviluppo essenzialmente endogeno, in cui. si susseguono tappe evolutive predeterminate. In questa
prospettiva il fantasma appare, è vero, il materiale da analizzare, l’oggetto specifico di cui esplorare
le figure e le trasformazioni, ma rimane soffocato nel nucleo biologico (costituito dalle pulsioni e
dalle loro linee evolutive) da cui si dipana e di cui, infine, è solo l’espressione secondaria. Esso
perde la sua posizione elettiva dì nucleo strutturale, perde la sua collocazione particolarissima —
ambiguamente tesa fra il dentro e il fuori, in relazione con il reale e con l’immaginario – e diviene
solo l’interprete, l’eco senza realtà propria, di una realtà pulsionaie dallo sviluppo autonomo.
Prevale soprattutto l’aspetto del fantasma come contenuto mentale, rappresentazione, traccia
mnestica, immagine. Tuttavia, rimane presente nel pensiero di Freud la tendenza rivolta a trattare il
fantasma come nucleo indipendente e come struttura a sua volta dotata di una propria efficacia
strutturante all’interno della vita affettiva del soggetto. Secondo uno schema che ricalca il modello
della teoria della seduzione, Freud continua a cercare indietro nel tempo elementi «veri», «reali»,
Urszenen, efficaci solo in quell’après coup che li rielabora come fantasmi, ed è in questa prospettiva
che introduce la nozione di Vrphantàsien, fantasmi primari o originari. Tale nozione sarà destinata
ad essere perlopiù identificata con l’eredità filogenetica, secondo un senso peraltro più volte
espresso dallo stesso Freud. Eppure proprio qui, nella nozione di fantasma originario, si manifesta
nuovamente la ricerca di un dato strutturale: in rapporto con l’evento, che si situa ora nelle
lontananze dì una realtà primordiale, ma anche in rapporto con i vissuti e le vicende soggettive,
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nelle Vrphantàsien i percorsi soggettivi del desiderio si incrociano con una storia anteriore, un al dì
là anticipatore del desiderio e delle memorie individuali. Il fantasma originario si muove nella storia
e al di là della storia, nel tempo e al di là del tempo, struttura che prefigura il soggetto ma che non
può darsi se non nelle e con le sue vicende storiche, esperienzialL Essa è già lì perché il soggetto ne
sia preso, ne sia portato, ma solo secondo le vicissitudini e le avventure di un divenire squisitamente
individuale. Vediamo allora come nella prospettiva Vr- riaffiori ancora una volta la necessità
concettuale di riferirsi a qualcosa che non sia né solo il precipitato di un evento reale esterno, né
solo l’espressione immaginaria, senza realtà propria, di una realtà interna e biologica di natura
pulsionaie, qualcosa che non sia né solo reale né solo immaginario, ma sia in rapporto con entrambi.
Provvisto di forma, di organizzazione, ma anche propaggine oscura dell’inconscio, legato d
desiderio e agli affetti, ma anche alle vicende oggettuali, il fantasma, così come si viene elaborando
in queste direzioni del pensiero di Freud, appare non tanto la trascrizione, l’efflorescenza
«immaginaria» di una realtà pulsionaie, ma piuttosto ciò che, sedimentato nell’inconscio come
matrice e struttura; offre al gioco delle pulsioni e degli affetti una prima possibilità di strutturazione,
di forma, di legame. Appaiono cosi presenti due tendenze nel pensiero di Freud. La prima situa il
fantasma all’interno di una prospettiva energetica, secondo quella che potrebbe a buon diritto
definirsi una economia del fantasma. Dal punto di vista genetico, infatti, il fantasma trarrebbe
origine là dove, perduto l’oggetto reale di soddisfacimento e in sua assenza, l’oggetto viene
ritrovato (e ricreato) in forma allucinatoria. Su un versante non strettamente genetico, il rapporto tra
energia e fantasma si coglie efficacemente nelle dinamiche degli investimenti e dei
controinvestimenti; sono queste dinamiche squisitamente energetiche a muovere le mutevoli
circolazioni del fantasma, a spingerlo in una direzione o nell’altra, a far sì che questo essere «di
sangue misto» tenda a moltiplicarsi e occultarsi nelle rifrazioni di se stésso e nelle allusioni del
senso. Nella seconda tendenza, espressa dalla prospettiva Ur-, il fantasma appare indipendente dal
gioco dell’energia, e semmai, in quanto fantasma originario, lo anticipa e lo fonda: è nella «scena»
sedimentata nell’inconscio, scena di seduzione, di castrazione, di coito parentale, che i moti di
desiderio vengono allora a collocarsi e muoversi. «Scena» già data, appunto, e dunque ben diversa
dalla rappresentazione o dalla traccia mnestica che ha fissato nel luogo psichico un primo, avvenuto
soddisfacimento. Scena enigmatica, piuttosto, antecedente e mitica, che però fonda il soggetto
stesso, dal momento che ne fonda il «nucleo dell’inconscio». Tale nucleo, se è determinante per
l’economia pulsionale perché è lì che si fissa la pulsione ed è da lì che muove la dinamica dei
processi di rimozione, è tuttavia anche antecedente ad essa.
Il fantasma in Melanie Klein
Afferma la Klein (1932) che attraverso i giochi il bambino esprime in maniera simbolica le sue
fantasie, i suoi desideri e le sue esperienze reali, Egli usa lo stesso modo di esprimersi arcaico e
filogenetico, lo stesso linguaggio, per cosi dire, che ci è familiare nei sogni (…) Tutto il
caleidoscopio, spesso apparentemente privo di ogni significato, che i bambini ci mostrano in una
sola ora di analisi (…) ha una sua logica e può rivelare il suo significato se lo si saprà interpretare
così come noi interpretiamo i sogni. ? Già con la decisione di equiparare il gioco dei bambini al
sogno e alle libere associazioni, la Klein porta decisamente l’attività fantasmatica al centro della
vita psichica; il gioco è equiparato al sogno non tanto, si badi bene, negli aspetti di appagamento e
ricerca di piacere, quanto piuttosto in quelli rappresentativo-simbolici, di drammatizzazione
scenica, di riproduzione ed espressione dei contenuti inconsci (fantasmi) (1). È il fantasma che
alimenta il gioco, gli interessi del bambino, il suo rapporto con la realtà; le inibizioni della vita
fantasmatica sono alla base degli arresti di sviluppo: tutta la vita del bambino, nei suoi rapporti
interni e nei suoi rapporti con l’esterno, è diretta e dominata dalla vita fantasmatica. La conoscenza
stessa del reale poggia sugli slittamenti (equazioni) simbolici attraverso i quali qualcosa viene
equiparato a qualcos’altro, lungo la catena fantasmatica che parte dal corpo della madre e dalla sua
fantasticata esplorazione. Pétot, mentre sviluppa le sue tesi circa l’esistenza di un sistema
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«protokleinìano» anteriore al 1923, ne individua alcuni elementi costitutivi, che ruotano tutti intorno
all’asse fantasmatico: ogni condotta e attività psichica è la messa in atto o l’espressione di fantasie
inconsce o preconsce; tutte le fantasie coscienti sono dei derivati o delle varianti delle fantasie
masturbatone inconsce o consce; le fantasie masturbatone sono esse stesse varianti o derivati della
scena primaria, reale o fantasmatica; ogni comportamento e attitudine non sviluppata sono inibiti
dall’angoscia scatenata dalla rimozione delle pulsioni libidiche che li sottendono mediante un tipo
particolare di fantasia masturba toria; il progresso del trattamento e dello sviluppo si basa sulla
libertà dell’attività fantasmatica: la cura psicoanalitica è una rieducazione della capacità di
fantasmatizzare (Pétot, 1978). Con lo spostarsi dell’interesse, dopo il 1923, dai moti libidici a quelli
aggressivi, il repertorio degli scritti kleiniani si amplia fino ad includere i fantasmi connessi al
sadismo. Questi elementi, presenti fin dall’inizio nel lavoro della Klein, muoveranno tutto il suo
pensiero; essi ci paiono non solo storicamente ma anche logicamente precedenti a tutti gli altri.
Siamo in presenza del fantasma nella veste di operatore «forte» all’interno del sistema
psicoanalitico che la Klein viene mano a mano imbastendo. Altre parti della prima teoria verranno
sostituite o moriranno, ed è il caso ad esempio della centralità libidica, mentre l’unica che
sopravviverà dall’inizio alla fine sarà proprio quella relativa al fantasma. Dice la Klein a questo
proposito (1959): Le fantasie inconsce non sono la stessa cosa dei sogni diurni (sebbene esista una
relazione tra di loro) ma costituiscono una attività mentale che ha luogo a livelli profondi inconsci e
che accompagna tutti gli impulsi sperimentati dal bambino (…). Le fantasie — che si vanno
facendo più elaborate e si riferiscono ad una varietà sempre più vasta di oggetti e situazioni –
continuano durante tutto lo sviluppo e accompagnano tutte le attività; non smettono mai di svolgere
un ruolo importante nella vita mentale. Non si può valutare mai abbastanza l’influenza della
fantasia inconscia nell’arte, nei lavoro scientifico e nelle attività della vita quotidiana. E interessante
notare che la isaacs, per arrivare a discutere lo scritto «II ruolo dell’introiezione e della proiezione
degli oggetti nei primissimi anni dello sviluppo», scelto per iniziare le «Discussioni controverse»,
fu costretta ad anteporre il tema del fantasma: «(…) avrei dovuto iniziare considerando la natura
del fantasma in generale, quando insorge, e la sua relazione con il sentimento, Pimpulso e la realtà
esterna» (Isaacs, 1943). La prima tesi della Isaacs (1948) è che, dal punto dì vista della psicoanalisi,
il fantasma connota essenzialmente contenuti mentali inconsci, provvisti di realtà psichica. I
fantasmi sono il contenuto primario dei processi psichici inconsci, (…) il fantasma è il corollario
mentale, il rappresentante psichico della pulsione. Non c’è impulso, non c’è pulsione istintuale o
risposta che non sia sperimentata come fantasma inconscio. Il fantasma diviene cosi parallelo alle
pulsioni, corrispettivo psìchico delle pulsioni; un concetto molto vicino a quello di
rappresentazione. «Una pulsione ha un rappresentante nella mente che noi chiamiamo fantasma»
(Isaacs, 1948). Affermando poi che «il fantasma è espressione dei processi somatici», la Isaacs
pone in diretta connessione la vita fantasma-tica con la vita biologica. Le prime sensazioni corporee
sono percepite in fantasmi, senza che questi debbano necessariamente avere la consistenza di
immagini plastiche. «I fantasmi riguardano principalmente il corpo e rappresentano le intenzioni
istintuali verso gli oggetti» (Isaacs, 1948). E a partire dalle prime sensazioni corporee che si
organizza la più precoce vita fantasmatica del soggetto, in conseguenza dell’animarsi intrapsichico
di un oggetto che è sentito produrre e determinare la sensazione o che comunque è in rapporto di
immediata continuità con essa. In Freud il fantasma forma un nocciolo concettuale autonomo,
descrive un ordine di fenomeni diverso dalle pulsioni, è ciò che rimane a livello psichico della
situazione somatica di primitivo soddisfacimento del soggetto all’interno di un sistema di segni in
luogo dell’oggetto. Il fantasma è definito allora come un atto psichico conseguente ad una primitiva
situazione somatica. Ciò che in un primo tempo è somatico e reale viene relegato in un luogo
psichico, l’«oggetto naturale» si trasforma in oggetto libidico, l’amore si disgiunge dalla fame. E
implicita in tale concezione una prospettiva diacronica, laddove c’è un tempo specifico di origine
del fantasma: transito, appunto, dall’oggetto naturale all’oggetto libidico, nascita del fantasma dalla
perdita dell’oggetto reale e contemporaneamente nascita della sessualità (Laplanche e Pontalis,
1985). La Isaacs livella, annulla questa prospettiva; il fantasma accompagna sempre e da sempre
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qualunque processo psichico. Assistiamo a quella che Laplanche e Pontalis chiamano «profusione
del fantasma»: ogni operazione mentale, ogni movimento affettivo, ogni tensione somatica, è
affiancato dal fantasma ad esso immanente e da esso inscindibile, la pulsione non sfocia più nel
fantasma ma piuttosto ne è accompagnata. Azzerata la dimensione temporale, che ne situa
prospetticamente l’origine, azzerata la sua funzione nell’economia di desiderio del soggetto, il
fantasma appare allora piuttosto come la trascrizione, in forma allucinata e concreta, di ogni
tensione, bisogno, sensazione, affetto. «La prima realtà del bambino è totalmente di fantasia»
(Klein, 1928), sogno allucinato in cui è immersa la mente del bambino e che ne regola gli
interscambi con l’esterno. Oggetti fantasmatici che circolano fra il dentro e il fuori, seno, pene,
corpo pieno della madre, e che drammatizzano in forma concreta ogni vicenda affettiva ed
istintuale. Lungi dall’essere, o dall’avviarsi ad essere, un sistema di segni che stanno in luogo
dell’oggetto, l’inconscio kleiniano si costituisce immediatamente come sistema di oggetti, oggetti
fisici, concreti, fattuali, che saturano assenze e vuoti. Inoltre, se il fantasma freudiano, nella sua
origine e nella sua dinamica, appare situato all’interno della prospettiva energetica, qui l’economia
degli investimenti e delle rimozioni si perde. Là è comunque l’energia che sottende le circolazioni
del fantasma e spinge a un lavoro continuo di trasformazione; qui è il fantasma stesso, portatore
delle spinte amorose e aggressive del soggetto, a promuovere le vicende psichiche, ad alimentarle e
a determinare gli stati interni di frantumazione o di integrazione. In questa prospettiva il fantasma
non è solo accompagnatore, ma diviene esso stesso propulsore, tanto è vero che dal punto di vista
dinamico, il conflitto viene a collocarsi nella stessa dialettica fantasmatica per il coesistere, in seno
allo psichico, di fantasmi sorretti da passioni (e oggetti) contrastanti; la conflittualità intrinseca e
originaria si situa nell’antinomia della coppia amore/odio e dei significati primordiali (oggetto
buono/cattivo) ad essa connessi. I movimenti psichici si spostano da una processualità di tipo
economico a una processualità di tipo diverso, dove la pulsione lascia il posto all’oggetto (come
viene ripetutamente sottolineato in letteratura (2)), ma l’oggetto non agisce che all’interno di una
determinata costellazione fantasmatica, che veicola difese, sentimenti, angosce, rapporti tra gli
oggetti e tra di essi e il soggetto. E’ allora significativo che le stesse operazioni difensive si
svolgano concretamente mediante e attraverso fantasmi: il fantasma non è più il luogo di operazioni
difensive, ma può essere esso stesso elaborato come difesa. Ci si presenta in definitiva un apparato
psichico che lavora in assenza della forza di gravità data dalla dimensione economica e dove
cominciamo a intravvedere che l’elemento di base, nucleare, discreto, efficace, è il fantasma più che
l’oggetto in sé, inscindibile, a nostro avviso, dal posto che occupa e dal ruolo che esso recita nel
fantasma. Possiamo chiederci a questo punto quale sia il destino di concetti cruciali dell’impianto
psicoanalitico, come quello di pulsione. La pulsione (libidica o distruttiva) si riempie di altri
significati rispetto a Freud; essa è in rapporto col fantasma, ma non ne è la messa in moto. La
tensione somatica d’altra parte vincola profondamente il fantasma al corpo. Il fantasma,
soggettivato, intenzionale, immanente alla pulsione, implica che la pulsione intuisce, conosce,
l’oggetto che deve soddisfarla. Essa diviene dotata di una intenzionalità soggettiva inseparabile
dall’oggetto a cui mira e il nucleo che muove tale intenzionalità è la struttura specifica del fantasma.
Molti autori hanno sottolineato questo aspetto della pulsione kleiniana considerando come assunto
di base la sua intenzionalità: vogliamo qui sottolineare come essa si possa cogliere con più
chiarezza se la si attribuisce alla indissociabile articolazione del desiderio e degli affetti nel
fantasma. La pulsione non è più allora un concetto che descrive un’energia senza qualità specifiche,
caratterizzata dalla meta e dall’oggetto; essa ha già in sé insite meta e oggetto, attualizzate e
«trascritte» nel fantasma. La pulsione diventa primariamente relazione ed opera in assenza della
dimensione economica. Essa non è più un effettore di ordine biologico in un sistema di scarica, è un
qualcosa che appartiene al dominio psicologico e che ha in sé una direzione, una vicenda, una
qualità, una capacità di muoversi secondo i dettami del processo secondario, in continuità con gli
aspetti strutturati del fantasma. In essa l’oggetto diventa di gran lunga più importante della meta,
poiché il soddisfacimento passa in secondo piano. Essa non ha più il fine di ridurre la tensione, ma
inerisce alla situazione relazionale con un certo oggetto, situazione espressa appunto nel fantasma.
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Può essere interessante rileggere da questo punto di vista l’affermazione della Klein secondo la
quale all’inizio della vita il seno è sentito buono in quanto è fonte di soddisfacimento, ma anche in
quanto «il lattante vi proietta i suoi impulsi d’amore e li attribuisce (ad esso)». L’esperienza di
appagamento al seno, con la corrispondente costituzione interna/esterna dell’oggetto buono, pare
istituirsi là dove soggetto e oggetto si incontrano in un fantasma di reciprocità amorosa che li
unisce. Reciprocità, si badi bene, non consequenzialità come ci si potrebbe attendere in virtù del
funzionamento secondo il principio di piacere, Nella reciprocità il bambino ama il seno e il seno
ama il bambino, e nella reciprocità si perde ogni consequenzialità di tipo biologico. Assistiamo
dunque, nella Klein, alla perdita delia dimensione energetica del fantasma. Cosa rimane del
fantasma così come Freud l’aveva concepito? Rimane aperta, a nostro avviso, una via dì
congiunzione con quell’aspetto che abbiamo colto nel fantasma freudiano e che indichiamo come
l’intuizione della struttura. Scrive la Isaacs (1948) che Il fantasma è il collegamento operativo tra la
pulsione e il meccanismo dell’Io (…); solo attraverso il fantasma di ciò che dovrebbe soddisfare i
nostri bisogni istintuali noi siamo in grado di tentare di realizzarli nella realtà esterna. Sebbene
siano essi stessi fenomeni psichici, i fantasmi sono attribuibili principalmente a scopi corporei,
dolori e piaceri diretti ad ogni tipo dì oggetto. (Il fantasma ha una funzione reale vera e ha effetti
reali, non solo nel mondo interno della mente ma anche nel mondo esterno dei comportamenti e
dello sviluppo corporeo del soggetto, e perciò dei corpi e delle menti delie altre persone. Il
fantasma, possiamo dire, è la connessione tra i diversi elementi del mondo interno del soggetto,
connessione che deve avvenire mentalmente perché possa prefigurarsi, e poi prodursi, l’azione.
Esso non è dunque il meccanismo mentale in sé, e neanche il contenuto mentale, l’oggetto interno: è
la rappresentazione della relazione tra gli elementi del mondo interno. Lungi dal poter essere
identificato con l’oggetto, il fantasma è piuttosto un luogo di relazioni, relazioni tra istinto, oggetto
e Io (inteso come soggetto, come difese e motivazioni in foto). Così definito, il fantasma è la
struttura entro la quale possono giocare gli oggetti interni con le loro qualità, gli affetti che vi sono
legati, le interazioni alle quali vanno incontro. Il carattere di struttura del fantasma si coglie
distintamente se si pensa che ogni operazione mentale avviene entro scenari fantasmatici
deterininati. Con ogni evidenza sono scenari di base le posizioni schizo-paranoide e depressiva; esse
sono «stati psichici», configurazioni particolari di un certo tipo d’angoscia, di sentimenti, di difese,
di relazioni oggettuali (Klein, 1940) (3). È scenario di base la stessa dicotomia buono/cattivo, che
istituisce una primitiva canalizzazione nel disordinato e originario caos sensoriale. Ma scenario di
base è anche la costellazione del fantasma in sé: microstruttura, schema (4), che organizza gli
stimoli percettivi e sensoriali, qualunque ne sia l’origine, interna o esterna. Se è vero che il modello
kleiniano si articola decisamente attorno alla ricerca di oggetti (Baranger, 1968), l’oggetto non si dà
se non entro specifiche costellazioni fantasmatiche, in assenza delle quali il mondo interno descritto
dalla Klein sarebbe difficilmente concepibile come qualcosa di diverso da un disordinato traffico,
andirivieni, giustapposizione, sommazione di oggetti. La connotazione strutturale si riafferma in
quella lìnea del pensiero kleiniano che sostiene la conoscenza innata degli oggetti, antecedente
all’esperienza. «Il bambino possiede una consapevolezza inconscia innata dell’esistenza della
madre… (ed essa) forma la base per la prima relazione con la madre» (Klein, 1959). E qui
riecheggiata la prospettiva Vr- della ricerca freudiana: ritroviamo, infatti, l’idea di uno schema astorico, pre-esistente, in cui le vicende storiche troveranno il loro posto. Di nuovo, come in Freud, il
fantasma è condizione della storia, anticipazione di essa, ma non si dà se non nella storia del
soggetto: storia delle tensioni corporee, degli eccitamenti, delle vicissitudini emozionali, dei modi
di cogliere l’oggetto e di assimilarlo. Esso non si attualizza che attraverso l’esperienza, e d’altra
parte fornisce all’esperienza il quadro dei rapporti entro i quali l’esperienza stessa può costituirsi.
Gli aspetti di struttura del fantasma ci portano così a riflettere sulle sue funzioni strutturanti,
«giroscopiche» (5), funzioni che si esercitano contemporaneamente sul doppio livello della vita
interna del soggetto e dell’esperienza con gli oggetti esterni. Da un lato, esso orienta la molteplicità
delle esperienze affettive e percettive interne; in tal senso, i due primi oggetti buono/cattivo, che
agiscono come fantasmatica originaria dentro e rispetto al soggetto, sono da intendersi non solo
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come l’interpretazione affettiva delle prime sensazioni corporee, ma anche come ciò che ab ìnitio
organizza il caos affettivo-sensoriale. «I fantasmi danno ad essi (impulsi, sentimenti, modalità di
difesa) vita mentale e mostrano la loro direzione e il loro proposito» (Isaacs, 1948). Dall’altro lato,
il fantasma è per la Klein regolare via d’accesso al reale (1930). Il bambino, dacché desidera
distruggere gli organi (pene, vagina, seno) che rappresentano gli oggetti, li immagina anche come
oggetti minacciosi. L’angoscia che gliene deriva concorre a far sì che egli parifichi tali organi con
altre cose; per via della parificazione queste cose diventano a loro volta oggetti d’angoscia. In tal
modo il bambino è costretto a stabilire continuamente nuove parificazioni, che vengono così a
costituire la base e del suo interesse per oggetti nuovi e del simbolismo. Dal fantasma di
appropriazione distruttiva del corpo materno muove la conoscenza stessa del reale, conoscenza per
spostamenti, per «parificazioni», attraverso la quale il soggetto si spinge via via più lontano dal
fantasma e tuttavia lo vede risorgere di volta in volta proprio in ciò che dovrebbe eluderlo. Non è
data, dunque, conoscenza «obiettiva», «neutrale», del mondo. Il fantasma apre al reale, sospinge ad
esso, e contemporaneamente se ne appropria, lo riassorbe, dal momento che informa di sé il reale e
struttura perciò ogni nuova esperienza percettiva. E’ dunque pur sempre all’interno di una trama
fantasmatica che si viene via via costruendo l’intera struttura psichica, il mondo interno del
soggetto, e si organizzano i suoi rapporti con gli oggetti. Ma se il soggetto è preso nei suoi scenari
fantasmatici, se si costituisce entro di essi, se questa è la via di intendimento del reale, dove si porrà
la distinzione tra fantasma e realtà? Nonostante voglia superare l’alternativa reale-immaginario, il
fantasma ci imprigiona, riconducendoci infine proprio in questo stesso dilemma, lo stesso dal quale
partì Freud.
Conclusioni
Sia nell’impianto teorico dì Freud che in quello della Klein, sì ravvisa la necessità teorica, oltre che
clinica, di un concetto che descriva un contenuto mentale e abbia altresì funzione di strutturazione
dell’apparato psichico: il fantasma pare assolvere a tale funzione. In Freud sì tratta di un nucleo
concettuale autonomo dalle pulsioni, seppure inserito all’interno della dimensione energetica; nella
prospettiva Vr- in particolare, il fantasma non solo non scaturisce direttamente dai livello
pulsìonale, ma pare antecedente ad esso. La sua valenza strutturante, l’intimo legame con
l’inconscio, il carattere di matrice, di testo primordiale che prefigura l’esperienza del soggetto, sono
tutti aspetti che, a partire da questo Freud, portano a interrogarsi sul senso di certi nuclei ineludibili
della vita fanta-smatica e sul loro potere di fondazione del soggetto (6). Nella Klein il fantasma
assume posizione esplicitamente centrale; in veste di operatore forte, di propulsore, esso intenziona
la pulsione al di là dell’energetica, rendendo possibile la dinamica psichica altrimenti inspiegabile
in un impianto esente da preoccupazioni energetiche come quello kleiniano. Al posto
dell’«energetica» sembra cosi necessaria la «fantasmatica». La Klein eredita da Freud il senso
dell’ampiezza e dell’efficacia «reale» della vita fantasmatica, e radicalizza, seppure implicitamente,
le qualità strutturanti del fantasma. Il concetto in questione non è tuttavia privo di ambiguità. La
valenza di struttura che abbiamo tentato di mettere in luce; presente sia in Freud che nella Klein,
non deve oscurare il fatto che il fantasma è anche uno specifico contenuto mentale: è proprio questa
prima ambiguità a stimolare la discussione intorno al rapporto tra contenuto e struttura, a partire
dalle «Discussioni controverse» del 1943 fino al dibattito recente (Shapi-ro, 1990). Inoltre, sia in
Freud che nella Klein, il fantasma si evidenzia come il tentativo di trascendere categorie opposte:
l’evento e il vissuto soggettivo, l’esterno e l’interno, il reale e 1*immaginario. Ci troviamo di fronte
ad una elaborazione concettuale ricca e complessa, ma non completamente riuscita e ancora una
volta ambigua: sia Freud sia la Klein, seppure in modi diversi, continueranno a ricadere in
quell’impiccio che è l’alternativa tra reale e immaginario, lo stesso impiccio che il fantasma, come
categoria strutturale, tenta di superare. Freud continuerà a cercare gli indizi «reali» delle scene
fantasmatiche originarie, la Klein nel 1925 sarà convinta dell’importanza dell’osservazione reale del
coito parentale e, più avanti, cadrà in quella confusione, che sempre le viene rimproverata, tra realtà
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e immaginazione, tra esterno ed interno. Pare essenziale tener presente che il fantasma nasce
dall’esigenza di dare risposta a interrogativi cruciali per la psicoanalisi: è possibile concepire
l’inconscio come campo strutturato? Come si articolano l’evento e il vissuto soggettivo non solo
nell’eziologia
del
sintomo,
ma
in
tutto
lo
sviluppo
infantile?
In che modo è data la conoscenza del reale se l’inconscio informa di sé il reale? Come evitare di
cadere nella contrapposizione dualistica tra reale e immaginario? Il fantasma è la risposta
squisitamente psicoanalitica a tali questioni, risposta centrale e forse inalienabile, pena
l’appiattimento della dimensione stessa dell’inconscio e la perdita di spessore delle trame in cui si
elabora e si sviluppa il mondo interno. Certo tale nozione non è esaustiva, ma è da ricordare che
quegli interrogativi da cui essa sorge sono gli stessi che a tutt’oggì cerchiamo di padroneggiare
tentando di darvi risposta. Non necessariamente tali risposte debbono coincidere con la nozione di
fantasma: è quanto si avverte in certe direzioni contemporanee, dove si sviluppano concetti come
quelli di microstruttura, schema, lontani dal campo del fantasma, ma in fondo originati a partire
dalle stesse esigenze (Inderbitzin e Levy, 1990). Forse il valore euristico del fantasma sta non tanto
nel dare una risposta senza ambiguità a tali questioni, quanto nel continuare a riproporle, tendendole
dal passato verso l’attuale del pensiero psicoanalitico.
NOTE
1. Ad esclusione delle citazioni, nelle quali rispettiamo la traduzione corrente dei testo
originale, utilizziamo anche per M. Klein, come per Freud, la parola fantasma, poiché, come
speriamo di mostrare, nella phantaty kleiniana si ritrovano significati impliciti che risultano
in risonanza con i significati finora attribuiti al fantasma freudiano.
2. Per una valutazione critica del pensiero kleiniano cfr. Greenberg e Mitchell (1983) e Fornaro
(1988).
3. È comprensibile che mal si convenga la dizione di «fasi» o «stadi» per le posizioni
kleiniane; di fatto rappresentano polarità psìchiche, osservabili indipendentemente da una
linea evolutiva di sviluppo che non sia intesa come sviluppo affettivo e di modalità di
rapporto con l’oggetto. Si tratta, di fatto, di posizioni del soggetto, dell’oggetto e degli affetti
che si scambiano, nelle quali riconosciamo il fantasma di relazione distruttiva o, al contrario,
quello di lutto e recupero amoroso dell’oggetto.
4. Interessante a questo proposito la concettualizzazione di Slap (1986) che propone un
modello microstrutturale della mente, che si contrappone a quello macrostrutturale classico
(Io, Es, Super-io) basato sul concetto di schema, termine preso a prestito dalla psicologia
accademica. L’autore definisce io schema come organizzazione dì memorie, fantasie, affetti
e modalità di risposta in termini piagetiani. Gli elementi che costituiscono lo schema sono
organizzati in una serie di fantasie interconnesse (Slap, 1986, riportato in Inderbitzin e Levy,
1990).
5. La «funzione giroscopica» è attribuita da Stierlin agli oggetti interni (Stìerlin, 1970), ma a
nostro avviso si addice nel contempo al fantasma.
6. La letteratura postfreudiana ha poco enfatizzato questi aspetti, valutando invece la vita
fantasmatica soprattutto nella sua portata clinica. Fa eccezione la scuola francese che,
soprattutto in Laplanche e Pontalis, cerca di rivisitare e sottoporre a riflessione questi luoghi
del sapere freudiano.
Riassunto.
Gli autori analizzano l’uso del concetto di fantasma in Freud e in Melanie Klein e riscontrano come
nella Klein il fantasma perda la dimensione energetica presente in una direttiva del pensiero
freudiano, pur conservando la funzione di strutturazione, caratteristica del fantasma originario
freudiano, che si esercita nella regolazione del mondo interno e nell’esperienza con il mondo
esterno. Gli autori sottolineano come il fantasma sia una necessità teorica oltre che clinica e come la
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sua valenza strutturale tenti di superare la contrapposizione dualistica tra reale e immaginario, una
questione sempre attuale nel pensiero psicoanali tico.
Summary.
The authors analyse the use of the concept of unconscious fantasy in Freud and in Melanie Klein. In
the latter author, unconscious fantasy loses the energetic aspect present in part of Freud’s thought,
but preserves the structu-ring function, which is a feature of Freud’s concept o£ prìmal fantasies.
The structuring function controls both inner world, and the experience with external world. The
authors emphasize that the need of unconscious fantasy is not only clinical, but aiso theoretical.
Moreover, they underline that structural feature of unconscious fantasy tries to solve the dualistic
opposition between reality and imagination, which is a current problera in psychoanalysis.
Bibliografia
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