il muro dell`anoressia1

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il muro dell`anoressia1
IL MURO DELL’ANORESSIA1
DOMENICO COSENZA
DAGLI APPUNTI DEL PROF….2
1. È un sintomo che non segue la logica di altre patologie.
2. non ha una domanda di cura perché non vive il sintomo come un problema.
3. si identifica col sintomo: non è una persona con l’anoressia ma è un’anoressica.
4. non interroga l’altro, fa una barriera verso di lui. Va in cura perché portata da altre persone.
5. appare immersa nel suo godimento. Ed è un godimento autistico (autos = solo) sconnesso
dall’inconscio.
6. non c’è transfert perché non le manca niente.
7. c’è una totale coincidenza tra lei e il suo corpo: nessuna separazione tra significante e
significato.
8. l’anoressia rivoluziona la nozione di sintomo  si richiede un intervento diverso.
9. l’anoressica dimostra che si può vivere di niente.
Infatti, mettendo in tensione i diversi contributi clinici delle diverse scuole, vengono evidenziati i
punti di differenza e di eterogeneità ma anche i punti di contatto tra approcci in partenza molto
distanti (come l’approccio relazionale e quello psicoanalitico lacaniano).
Vediamo così che la psicopatologia contemporanea è attraversata da una divaricazione costitutiva
tra due grandi direttici, che affonda nelle sue radici originarie e che si esprime in modo evidente
anche nel campo dell’anoressia mentale.
La prima di esse trova oggi la sua espressione più significativa sul piano nosografico nell’approccio
descrittivo e classificatorio del DSM-IV.
Il problema evidenziato da Cosenza negli approcci cognitivo comportamentali è che il soggetto in
quanto tale non ha posto nel trattamento, che si risolve in un lavoro di riadattamento metodico e
prescrittivo della condotta disturbata del paziente alla realtà e alla normalità statisticamente data.
L’altra direttrice psicopatologica, irriducibile all’approccio biomedico è costituita dalla psicanalisi
e dall’operazione che Freud ha posto a fondamento della clinica psicanalitica: il soggetto
dell’inconscio e la sua singolarità, come fattore strutturante del rapporto dell’essere umano con ciò
di cui patisce.
Mi sembra che uno degli apporti più interessanti sorga dalla contrapposizione tra isteria e
anoressia. L’isteria ha permesso la nascita della psicoanalisi mettendo in questione il sapere della
scienza, mostrando il sintomo come metafora del desiderio. In questo senso Lacan mostra
attraverso il sogno della bella macellaia di Freud la posizione massima del desiderio nell’isteria
proprio in un caso di anoressia indicandone l’espressione del desiderio umano tout court. Infatti la
bella macellaia che va ghiotta di caviale,in realtà lo rifiuta e sogna di non averne per poter continua
a sognare, a tenere in vita un desiderio grazie all’insoddisfazione.
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Per comprendere meglio questo testo si consiglia di accostarsi alla lettura soltanto dopo una settimana di digiuno.
Scherzi a parte, per uno studio più attento, si consiglia di invocare l’intercessione di San Giuseppe da Copertino,
protettore degli esaminandi. www.sperodiesserestatoutile.it  Buono studio, G.G.
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Il riassunto non è fatto da me..
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Invece sembrerebbe paradossale che la stessa anoressia abbia messo in questione, non solo la
medicina, ma anche la psicoanalisi costringendola a rivedere completamente la concezione del
sintomo. Questo capovolgimento di posizioni mi sembra uno dei punti più interessanti del libro.
Infatti il sintomo anoressico nella modernità non funge più da metafora ma come “condensatore di
godimento”(vedi poi). In questa prospettiva l’anoressia assume dunque un valore paradigmatico
poiché mette in questione il fondamento stesso della clinica psicoanalitica classica, (il sintomo
come formazione sostitutiva semantica, sia pure di una semantica psicosessuale), mettendo al
contempo in questione la pratica analitica come trattamento simbolico che prende le mosse dal
sintomo come via di apertura all’inconscio del soggetto.
Questa messa in questione era già stata parzialmente operata negli anni ’60 da Hilde Bruch e
Selvini Palazzoli che hanno condiviso la tesi di una inefficacia sostanziale della psicoanalisi come
ermeneutica, del senso inconscio e della fantasmatica psicosessuale nel trattamento del soggetto in
anoressia mentale.
Mentre per Selvini Palazzoli il fallimento di questa pratica comporterà l’abbandono della
psicoanalisi e il passaggio alla terapia sistemico familiare, la stessa cosa non possiamo dire per la
prospettiva lacaniana.
Infatti la clinica dell’anoressia mentale nell’itinerario lacaniano spinge verso una pratica della
psicoanalisi non più incentrata sul senso inconscio del sintomo, ma sul trattamento del godimento
reale senza senso al cuore del sintomo.
Quindi se l’isterica aveva rivelato il valore del sintomo come messaggio in codice come lettera en
soffrence indirizzata all’Altro, il nuovo sintomo resiste all’interpretazione e costringe Freud e Lacan
a rivederne lo statuto.
Questa difficoltà particolare si incontrava già ad un certo punto dei trattamenti e ne ostacolava la
conclusione .
In essa Freud ha individuato una specie un po’ paradossale di piacere misto a sofferenza, una
resistenza a smettere di soffrire ad uscire dalla malattia che egli chiama alla pulsione di morte,.
anche principio di nirvana. Una forza scura che si oppone alla spinta vitale e che trascina il soggetto
in una soddisfazione oscura, un nocciolo duro che si ritrova alla fine del lavoro analitico.
Lacan lo chiama godimento. Questo buco nero è qualcosa che resiste all’interpretazione ed è ciò
che nei nuovi sintomi ostacola la domanda di cura .
Questo stesso godimento mortifero fa si che l’anoressica, lei, non vuole disfarsi del sintomo a
cui tiene più di stessa. E’ il sintomo che la pone in una condizione autistica, di separazione
dall’Altro.
Questo spiega la caratteristica di questi nuovi sintomi: non fare enigma e non portare ad una
domanda di cura. C’è invece una sensazione narcisistica di dominio e di padronanza soprattutto
iniziale. Quello che in psicoanalisi è il lavoro sulla domanda che deve portare ad una rettifica del
discorso e della posizione del soggetto, che lo porta a riconoscersi implicato, responsabile in ciò che
accade e in cui dunque deve prendere parte attiva, qui si trasforma in un difficile processo di preterapia che fa parte della terapia stessa.
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Per questo la pratica dei piccoli gruppi come lavoro preliminare può essere molto utile, perché
attraverso un gioco di rispecchiamenti col simile, fatto di complicità e dissimmetrie riesce a
riannodare il legame con l’Altro, a ricondurle alla tavola dell’Altro
Il contributo più originale del libro sta però nel modo originale in cui Domenico Cosenza mette al
centro questa questione del rifiuto dell’Altro .
Il rifiuto, ci dice, in realtà ha due versanti. Dalla parte dei genitori si può intendere come una
difficoltà di riconoscere la soggettività delle figlie, la loro singolarità, di permettere la separazione,
di offrire un posto vuoto che ognuna possa occupare a suo modo.
Dall’altro c’è il rifiuto del soggetto che è una presa di posizione positiva, attiva, sebbene patologica,
una presa di posizione presso l’Altro che ha un valore di soluzione. Il fatto di sottolineare che
questo rifiuto è una soluzione vuol dire sottolineare che non è qualcosa che può essere gettato via
per un niente, ma è qualcosa che ha valore per il soggetto. Quindi l’analista lo deve
rispettare,considerandolo come quella invenzione che il soggetto ha saputo dare alle proprie
angosce.
Anzi Cosenza fa notare come l’aspetto formale, fenomenologico del rifiuto (del cibo come del
corpo, dell’immagine e del sesso) si accompagna spesso ad atteggiamenti compiacenti e
conformisti di adesione totale alle aspettative, alla domanda implicita della madre (“sii
esattamente come ti voglio”) questo fa si che i metodi che vogliono normalizzare il sintomo lo
rinforzano in una posizione di assoggettamento e dunque ottengono, un maggiore schiacciamento
del soggetto sulla domanda dell’A. Cosenza parla di un soggetto ucciso proprio dal dover
rispondere adesivamente alla domanda dell’Altro, sia esso il genitore o il curante.
Ma il rifiuto strutturale è radicale e inconscio e dunque si situa ad un altro livello.
A questo livello possiamo mettere in evidenza diverse pluralità funzionali che Cosenza raggruppa in
quattro aspetti fondamentali della domanda inconscia rivolta all’Altro: ( della difesa, del tentativo di
separazione dall’Altro e dal legame sociale, e infine il rifiuto come godimento autoreferenziale
autoerotico a cui si è fatto riferimento).
Traccerò brevemente gli aspetti del rifiuto come ce li illustra l’autore:
Rifiuto come domanda. Nell’anoressia e bulimia è la dimensione più legata alla posizione isterica,
in questo senso il rifiuto sarebbe una metafora che vuole rettificare la posizione dell’altro che
confonde il bisogno col desiderio, le cure col dono dell’amore lasciando inappagato il bambino sul
piano dell’amore. Un messaggio silenzioso attraverso il corpo che mostra l’irriducibilità del
desiderio alla domanda.. Questa domanda potrebbe essere articolata con un fantasma di sparizione
(“Può perdermi”): l’anoressica è disposta a rischiare la propria vita pur di avere un segno d’amore
da parte dell’Altro.
Rifiuto come difesa alla pulsione in cui Cosenza mostra bene che non è una difesa dal cibo, ma
dall’appetito che è vissuto come qualcosa di devastante. In questo ci si difende da una posizione
libidica enigmatica. Poiché questo è un elemento molto presente nella psicosi, il cibo può assumere
allora una tonalità minacciosa, può essere un cibo avvelenato o contaminato da un altro malevolo.
Rifiuto di avere a che fare con l’Altro senza limiti: il desiderio di separazione. Qui l’anoressia
come rifiuto rappresenta una risposta al rapporto incontenibile con l’Altro da cui non riesce a
separarsi, per cui instaura una logica del tutto o del nulla (divorazione o rifiuto).
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In realtà è sempre una pseudo-separazione, un tentativo immaginario e quindi senza perdita, di
separarsi da un altro sregolato, invasivo e abbandonico (non si instaura una vera autonomia, ma un
aggravamento della dipendenza, in quanto si tratta di un distacco solo immaginario che in realtà
preserva l’onnipotenza dell’Altro).
L’ultima forma del rifiuto è quello che realizza questa forma particolare di godimento
autoreferenziale di cui abbiamo già detto, che il soggetto continua a coltivare artisticamente e
onnipotentemente in un distacco sempre più assoluto dal mondo, e la forma in cui viene abolita ogni
dialettica,ogni apertura anche terapeutica.
A questo punto Cosenza propone poi una serie di indicazioni operative molto precise a cui potersi
confrontare, prima di tutte la questione del ricovero.
Bisogna ricordare che nelle fasi iniziali si crea una particolare luna di miele, in cui il soggetto si
sente capace di padroneggiare il corpo in modo assoluto. Solo successivamente, quando la
situazione anoressica diventa più precaria, compare un vacillamento, una riduzione di padronanza
del sintomo che crea disagio e sofferenza.
Oppure è il sintomo stesso con la sua ripetitività,la sua cronicità a creare un’ insofferenza, una
percezione di essere ingabbiati, in tutti questi casi, ahimé già tardivi, è più facile intervenire e
lavorare su una creazione di domanda.
Ma all’inizio pur nella beata indifferenza dell’interessata le condizioni cliniche possono diventare
assolutamente drammatiche. Qui si pone la drammatica questione del ricovero a volte da praticare
in modo coatto, contro la più grande resistenza della paziente.
Qui è in gioco la capacità di decisione del terapeuta come atto di responsabilità e di amore.
Inutile evitare il ricovero, non solo perché si mette a rischio la vita, ma perché il trattamento di
parola può essere assolutamente inefficace.
Ma la cosa importante da sottolineare è che a questo punto il ricovero potrà assumere una funzione
di limite rispetto al sintomo, a patto che ci siano delle condizioni che lo rendono efficace, che gli
diano un senso.
Per esempio il fatto di non essere né impulsivi, né impotenti, l’equipe non si deve assolutamente
mettere nella posizione speculare . Non ci deve essere niente di arbitrario. Questo limite simbolico
in qualche modo riesce a scavare una dimensione di mancanza nel soggetto, e fargli percepirà la
mancanza il limite anche del suo interlocutore, del suo pater terapeutico, ambedue confrontati alla
logica del limite. E’ il contrario in fondo di ciò che ci si potrebbe aspettare. Non un ricovero come
esercizio di padronanza, ma l’adesione ad una legge, la presentificazione di una legge che supera
entrambi, rivelando la mancanza di entrambi.
Un altro punto da evocare è la famiglia del paziente. Infatti anche per quello che riguarda la
famiglia da una parte abbiamo avuto i contributi di Sevlini Palazzoni che sono stati
importantissimi, che però lasciano fuori la responsabilità del soggetto che rischia di essere preso dal
lato della vittima designata. Così non essendo messo in causa come soggetto non può fare i conti col
nocciolo duro del godimento. Invece in una dimensione analitica si possono prendere in
considerazione i due discorsi. Da una parte c’è l’anoressica che presenta un sintomo senza angoscia
e i genitori che portano la domanda ma non hanno il sintomo.
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E’ evidente che bisogna contenere l’angoscia dei genitori offrendo lo spazio di parola e dall’altro
lato permettere alla figlia di ritrovare la sua angoscia come condizione di domanda di cura che solo
a quel punto può divenire domanda autentica.
Alla fine bisogna invertire le posizioni: dare ai genitori il sintomo e alla figlia l’angoscia, la sua
parte di responsabilità.
Uno degli elementi più importanti che è stato sottolineato è che l’angoscia non deve essere mai
dalla parte del curante perché è una condizione indispensabile affinché la paziente possa
riappropriarsi della propria angoscia.
INDICE CAPITOLI:
1. Anoressia mentale come sintomo, distinto dalla nozione di disturbo.
2. madri fondatrici della psicoterapia dell’anoressia mentale: Bruch e Palazzoli.
3. i due orientamenti di area psicodinamico-psicoanalitica: indirizzo della pedopsichiatria
psicodinamica francese (Kestemberg, Brusset e Jeammet); indirizzo kleiniano-bioniano
della Tavistock Clinic di Londra da Gianna Polacco Williams.
4. Il pensiero di Lacan sull’anoressia mentale e i 3 paradigmi.
5. principali contributi attuali sulla clinica dell’anoressia mentale prodotti da analisti di
orientamento lacaniano (Menard, Dewambrechies La Sagna, Recalcati e Soria.
6. il rifiuto anoressico e le sue funzioni fondamentali nella clinica. Le 4 funzioni del rifiuto
come domanda, difesa, modalità di separazione e godimento.
7. la cura dell’anoressia mentale.
CAP 1:SINTOMO O DISTURBO
L’approccio biomedico riconduce la psicopatologia e la psichiatria alla medicina e ai suoi
fondamenti biologici, pone al centro l’universalità della malattia, costruisce il trattamento attraverso
procedure standardizzate di tipo farmacologico e rieducativo.
La nozione freudiana di sintomo diviene l’alternativa alla nozione di disturbo.
“anoressia come sintomo” significa affermare che ‘anoressia non è un semplice quadro nosografico
ma è un tentativo di soluzione che si verifica per lo più in ragazze nel periodo puberaleadolescenziale.
Inoltre questa prospettiva ruota intorno alla tesi secondo cui occorre mettere in rilievo la posizione
soggettiva.
LE 4 SCANSIONI STORICO-TEMPORALI DEL SINTOMO
Nel giro di mezzo secolo il sintomo ha subito trasformazioni nella diffusione e nelle caratteristiche
epidemiologiche.
1. L’epoca delle mosche bianche: in un’Italia entrata da poco nell’era del boom economico,
dopo i duri anni del dopoguerra. Le pazienti anoressiche si incontravano raramente negli
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ospedali. Prevalentemente donne e adolescenti presentavano un’anoressia di natura
restrittiva, senza pratiche evacuative.
2. epoca dell’anoressia come malattia d’elezione. Gli anni ’70 segnano, a partire dagli Stati
Uniti e in particolare nei college e nelle università, la diffusione tra ragazze di buona
famiglia. La diffusione del morbo sarebbe attribuita a fattori socio-psicologici tra i quali
l’effetto pervasivo dei media e della moda.
3. anni ’80-’90: l’anoressia e la bulimia non sono più una prerogativa di una determinata classe
sociale.
4. attualità: si assiste a una diffusione della comorbilità abuso di sostanze e patologie correlate.
NUOVE FORME DEL SINTOMO (NFS)
Tra le nuove forme del sintomo, accanto alle tossicomanie, alle forme depressive e agli attacchi di
panico, trovano posto anche l’anoressia e la bulimia.
Ci sono due tesi come tratto unificante nella NFS: disincanto feticistico e autoterapie superegoiche.
1) il disincanto feticistico traduce, da un lato la degradazione simbolica della parola e la sfiducia
verso l’Altro (disincanto); dall’altro lato pone l’accento sulla spinta a un godimento cieco
dell’oggetto in posizione immaginaria di feticcio condensatore di godimento (feticismo).
2) con autoterapia superegoica si indica un doppio movimento: da un lato il soggetto trova
attraverso l’innesco del sintomo una propria soluzione autonoma a una condizione esistenziale che
non riesce a sostenere, facendo a meno del passaggio attraverso l’Altro della parola e quindi
curandosi in modo auto-terapeutico; dall’altro lato il decorso processuale delle NFS rivela la
padronanza egoico-narcisistica che si rileva al soggetto come un’illusione poiché è retta da una
logica al di là del principio del piacere che mostrerà la sua economia mortifera e autodistruttiva.
[ 1) Disincanto = degradazione simbolica della parola e sfiducia verso l’altro.
Feticistico = spinta a un godimento cieco dell’oggetto in posizione immaginaria di feticcio.
2) autoterapia superegoica = indica un doppio movimento:
Da un lato il soggetto trova, attraverso il sintomo, una propria soluzione autonoma a una condizione
esistenziale che non riesce a sostenere, facendo a meno di passare la parola all’Altro; cioè curandosi
in modo auto terapeutico.
Dall’altro lato il sintomo rivela la padronanza superegoica. ]
L’ENIGMA DEL GODIMENTO ANORESSICO
La sostanza che fa godere l’anoressica si presenta come invisibile. Lacan: “l’anoressica non è colei
che rifiuta di mangiare, piuttosto ciò che avviene nell’anoressia mentale è che il soggetto mangia in
niente; e tale operazione le restituisce un godimento pieno e senza limite, a cui non è disposta a
rinunciare a nessun prezzo”
L’ANORESSIA COME SOLUZIONE
Anoressia e bulimia, ancora prima di essere disturbi o problemi, sono state delle soluzioni.
Si tratta di una soluzione inconscia, che il soggetto ha prodotto senza saperlo per trattare una
difficoltà insormontabile emersa nel suo rapporto con l’Altro.
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Difficoltà a trattare le esperienze traumatiche di perdita ed esperienze di manifestazione del
desiderio come spinta pulsionale in eccesso, godimento incontrollabile; per questo la soluzione
anoressico-bulimica si presenta come il tentativo di anestetizzare il desiderio (soluzione anestetica).
DALLE NFS ALLA STRUTTURA REALE DEL SINTOMO
La soluzione anoressica si presenta, agli occhi del clinico, come un’operazione ripartiva precaria e
pericolosa, ma anche come una rivelazione che illumina la struttura del sintomo nell’esperienza
umana. Per questa ragione definirla una nuova forma del sintomo rischia di far smarrire la portata
della sua configurazione e delle conseguenze che comporta nel campo clinico.
Ciò che l’anoressica mostra attraverso il rifiuto di alimentarsi e curarsi è una divaricazione tra il
reale autodistruttivo e la parola dell’Altro, cioè dell’ordine simbolico.
Il sintomo anoressico tratta il rapporto del soggetto con il reale pulsionale attraverso la costruzione
di una identità narcisistica che gli fornisce un’identità legata alla malattia.
Per queste ragioni le anoressiche tendono progressivamente a portarsi fuori dal legame sociale, a
sospendere tutte le attività e frequentazioni. I rapporti extrafamiliari che esse si consentono sono
legati a relazioni che rafforzano e sostengono la malattia.
METTERE IL SINTOMO (TRA PARENTESI)!!
È una scelta operativa necessaria a dare la parola al soggetto. Non si interviene direttamente sul
sintomo, ma si invita il soggetto a dire di sé e della sua vita al di là del suo sintomo.
Ciò permette di spostare l’anoressica dalla posizione di paziente a quella di soggetto interpellato
nella propria cura. Risultato ottenibile a condizione di spostare il discorso dal peso, cibo, calorie
ecc… a una parola più soggettiva.
Gli approcci medico-nutrizionali o cognitivo- comportamentali consistono nel mettere tra parentesi
proprio il soggetto e la sua parola, e viene trattato il sintomo desoggettivato.
DAL SINTOMO COME METAFORA AL SINTOMO COME RITORNO DEL REALE
Invitare il soggetto a parlarci d’altro è un’operazione che si fonda sulla premessa che il sintomo
abbia uno statuto metaforico, simbolico che il soggetto ignora e che può emergere solo dalla storia
prodotta dal discorso del pz. Quando questa operazione viene compiuta il pz sperimenta una
riduzione sintomatica accompagnata da un sollievo e una riapertura soggettiva.
Tuttavia la cura incontra le difficoltà maggiori nella dimensione reale del sintomo a cui ci si
introduce attraverso due dimensioni: dimensione nirvanica e dimensione perturbante.
La prima via del sintomo come reale ci conduce alla dimensione nirvanica. In questa strada si
trovano i classici fenomeni clinici: disinvestimento e ritiro del legame sociale, cronicizzazione del
sintomo, spinta alla morte; cioè il reale del sintomo si presenta come qualcosa che addormenta e che
spegne.
Il secondo sentieri del sintomo come reale ci conduce alla dimensione perturbante. Il perturbante
risveglia, ma non produce un risveglio felice ma un risveglio sgradevole prodotto dall’incontro con
qualcosa di straniero. Questo risveglio traumatico ha a che fare con un ritorno e una riattivazione
del reale pulsionale nel corpo che l’anoressico, il bulimico o l’obeso vive con angoscia.
Senza attraversare questo passaggio il soggetto non potrà avviare un cambiamento della propria
condizione.
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CAP 2
DALL’ORALITà (Abraham)  ALL’IDENTITà (Bruch e Palazzoli)
Mentre Karl Abraham (allievo di Freud) fa una lettura dell’anoressia come patologia dell’oralità,
che quindi si è arrestata allo stadio sadico-orale, caratterizzato da una relazione cannibalesca con
l’oggetto.
Hilde Bruch e Maria Selvini Palazzoli sostituiscono, a un evoluzionismo deterministico-stadiale
dello sviluppo pulsionale, una psicogenesi narcisistico-identitaria centrata sulla relazione madrefiglia.
Bruch e Palazzoli hanno messo in questione la natura organica della patologia, affermando che
l’anoressia mentale sia una sindrome di natura psicogenetica.
Palazzoli negli anni ’70 manifesta l’abbandono della psicoanalisi e l’avvio della terapia sistemicofamiliare. L’anoressia mentale di una figlia è da leggersi come metafora di un disfunzionamento del
sistema familiare che trova nel sintomi una sua soluzione.
La svolta conclusiva è data dall’abbandono del riduzionismo della posizione della paziente allo
statuto di “vittima designata” e “capro espiatorio” del sistema familiare e la valorizzazione della
posizione di soggetto dei singoli familiari in rapporto alla loro storia familiare va nella direzione di
restituire al soggetto la sua parte di responsabilità (seppure inconscia).
Bruch riconduce i quadri psicopatologici, e tra essi l’anoressia mentale, più che a traumi precoci, a
deviazioni che si innestano lungo le linee di orientamento dello sviluppo della personalità a partire
dalle interazioni disfunzionali con la madre. L’esempio clinico più evidente è dato dalla risposta
incongrua della madre al pianto del bambino: il modo in cui si risponde al pianto, accontentandolo o
trascurandolo, sembra essere il fattore decisivo nel renderlo consapevole dei propri bisogni.
Rispondere al pianto con il cibo quando non indica bisogno di fame o al contrario, è un’esperienza
aberrante e incongrua; il ripetersi di queste esperienze creano le basi per la costruzione di sintomi
anoressici in adolescenza.
Entrambe: Il corpo è il luogo, il punto di incontro dei rapporti con gli altri, l’anoressia è un
rinnegamento del corpo, e rifiutare il corpo significa rifiutare la socialità, la solidarietà con il
mondo, la responsabilità.
Il rifiuto dei messaggi altrui è una modalità tipica nella famiglia della pz anoressica, tale rifiuto non
riguarda la comunicazione in sé (1 assioma) ma il contenuto (2 assioma)  il diritto alla parola
concesso dalla famiglia è solo formale, in quanto viene svuotato del valore effettivo.
CAP 3
1) PEDOPSICHIATRIA PSICODINAMICA FRANCESE
I Kestemberg spostano l’anoressia da una dimensione stadiale – pulsionale  a una DIMENSIONE
NACISISTICA: che si realizza in un ideale megalomanico di controllo e padronanza del proprio
corpo.
È attraverso questi controllo e padronanza che l’anoressica trova soddisfazione libidica orale e
anale.
L’autoerotismo, non passa attraverso una sessualità masturbato ria, ma attraverso un
soddisfacimento narcisistico legato ad attività iperinvestite come lo studio, la motricità e il controllo
dell’istinto della fame che sono alla base dell’economia libidica spesso affascinante per i genitori e
da questi trasmesso che prende il posto di un’ assente vita sessuale e legami amorosi.
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Se l’anoressico presenta anche una povertà di relazioni oggettuali è perché è stato posto dalla madre
più nel posto di oggetto di completamento narcisistico del proprio Sé che nel posto di un soggetto di
desiderio altro da Sé. La madre tende a configurarsi come oggetto onnipotente e asessuato e il padre
si presenta come maternizzato, più come completamento narcisistico della madre che come partner
 per cui la coppia si presenta come fusa e quindi non in grado di rappresentare la differenza tra i
sessi al figlio.
Un altro punto di originalità dei Kestemberg è la valorizzazione, accanto alla dimensione
narcisistica, della dimensione perverso - feticistica: l’anoressia consiste in una scissione, non solo
dell’Io, ma anche del corpo  scissione tra un corpo reale (rifiutato e sottoposto a diniego) e un
corpo ideale (investito narcisisticamente come un feticcio).
Brusset concepisce l’anoressia mentale come un processo che va situato nei suoi rapporti con la
bulimica, che ci sia o no passaggio all’atto bulimico.
Egli accosta la tematica del rifiuto anoressico alla dimensione del godimento tossico manico 
anoressia come tossicomania endogena dovuta all’aumento delle endorfine e all’effetto euforizzante
prodotti dal digiuno protratto.
Lo stretto rapporto tra anoressia e tossicomania è testimoniato dal disinvestimento delle altre fonti
di soddisfazione e il sovrainvestimento della soddisfazione durante il consumo della droga nel
tossicomane e durante il rifiuto del cibo nella sua forma restricter.
2) INDIRIZZO KLEINIANO-BIONIANO: TAVISTOCK CLINIC DI GIANNA POLACCO
WILLIAMS.
L’ approccio all’anoressia formulato da Polacco Williams e collaboratori alla Tavistock Clinic di
Londra si focalizza sul tema del rifiuto della dipendenza dell’altro; questo approccio è orientato
dalla riformulazione della teoria kleiniana operata dal pensiero di Bion:
Nella formalizzazione bioniana gli elementi beta sono costituiti da contenuti bizzarri, caotici,
frammentari e disgreganti che attraversano il bambino e che egli dirige, attraverso l’identificazione
proiettiva, verso la madre; quest’ultima ha il compito di accogliere tali elementi beta (funzione di
contenitore delle angosce del bambino) e attraverso la funzione alfa ha il compito di trasformare tali
elementi bizzarri in elementi “metabolizzabili” e restituirli al bambino in una forma “digeribile”.
Se la madre non è capace di accogliere empaticamente sensazioni ed emozioni, se non riesce a
metabolizzare le proiezioni, esse rimangono non elaborate, indigeribili per il bambino e gli vengono
restituite come un “terrore senza nome”.
Questo scacco nella funzione alfa di caratterizza per un rovesciamento del rapporto tra contenitore e
contenuto che emerge nella relazione madre-figlio dove la madre non è in grado di funzionare come
contenitore delle proiezioni del figlio, proietta lei stessa sul figlio le proprie angosce persecutorie.
(problema tipico in madri borderline o psicotiche).
A ciò segue quello che Williams definisce “sindrome del divieto d’accesso” la cui funzione
difensiva è quella di bloccare l’ingresso a ogni input sentito come intrusivo e persecutorio. Un
esempio tratto dalla Williams è l’angoscia del telefono che squilla che personifica un altro invasivo
da cui difendersi e a cui l’anoressica fa fronte non rispondendo o sconnettendo la comunicazione.
Un operazione analoga viene effettuata dalle anoressiche verso il cibo attraverso il rifiuto come
difesa da un oggetto che contiene tutte le difficoltà che il soggetto ha incontrato con la madre.
Ciò che si realizza nella bulimia è invece una proiezione delle angosce della madre mantenendo
all’interno un oggetto parassita che svolge una funzione antitetica alla funzione alfa  la funzione
omega: una funzione disgregante e disorganizzante a cui la paziente bulimica cerca di rispondere
con le condotte evacuatorie (vomito e lassativi).
Un ruolo importante assume il “fallimento della triangolazione” che si manifesta attraverso continui
attacchi alla funzione paterna all’interno della relazione madre-figlia: nel raapporto diadico c’è
sempre un terzo elemento cioè lo spazio tra di loro che in uno stato mentale di fusione manca.
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CAP 4
I 3 PARADIGMI DI LACAN SULL’ANORESSIA
1. PARADIGMA PSICOGENETICO-REGRESSIVO ne “I complessi familiari”
Il testo “Complessi familiari nella formazione dell’individuo” è un tentativo di ricostruzione dei
passaggi che presiedono alla costituzione psichica del soggetto. L’anoressia si delinea attorno a 4
nodi fondamentali:
a) svezzamento, trauma psichico, anoressia mentale
L’anoressia si presenta come uno degli effetti dello svezzamento come “trauma psichico”.
L’anoressia rende manifesto un fallimento nell’attraversamento del complesso di Edipo, una
fissazione sull’originaria imago materna e una regressione nostalgica del soggetto che si realizza
attraverso la patologia anoressica.
b) imago materna, appetito di morte e anoressia
l’imago materna si trasforma a fattore di morte poiché lavora contro lo sviluppo psicogenetico del
soggetto. L’anoressia è qui connotata da un fondamentale “appetito di morte”.
c) anoressia, tossicomanie, nevrosi gastriche: suicidi non violenti
l’anoressia con il suo sciopero della fame si presenta in linea con l’avvelenamento lento delle
tossicomanie orali e con il regime di carestia delle nevrosi gastriche come una patologia che ne fa
una delle forme di suicidio non violento.
d) anoressia e declino dell’imago paterna
l’anoressica sviluppa con la madre una relazione non mediata dal riferimento alla funzione terza
dell’Edipo.
2. PARADIGMA DIALETTICO-ISTERICO nella “Direzione della cura”
“la direzione della cura e i principi del suo potere” si costruisce attorno alla tesi dell’inconscio
strutturato come un linguaggio. Il testo invita l’analista a orientare la sua posizione e il suo
intervento nella cura sull’asse simbolico e non sull’asse immaginario.
a) anoressia, bisogno e desiderio
l’anoressia incarna il soggetto desiderante.
b) anoressia e confusione genitoriale delle cure con il dono dell’amore
l’Altro genitoriale confonde le sue cure col dono dell’amore, cioè i genitori rispondono al soggetto
somministrandogli accuratamente le cure e gli oggetti del bisogno, ma rimanendo ciechi davanti alla
domanda che anima il suo desiderio, cioè la domanda d’amore.
c)anoressia rifiuto e desiderio
l’anoressica fa funzionare il rifiuto come un desiderio cioè come una domanda inconscia che
interpella l’altro per ottenerne la testimonianza dell’amore.
d) anoressia, magrezza e fallo: il sogno della bella macellaia
Lacan si riferisce al sogno della bella macellaia di Freud, in cui la rinuncia della protagonista a
mangiare il suo cibo preferito viene letta come modalità di mantenere il desiderio insoddisfatto. Il
corpo magro incarna il corpo che non si soddisfa dell’oggetto del bisogno  vale l’equivalenza
corpo magro = fallo.
e) anoressia e il nutrirsi di niente
l’anoressica si nutre di niente dove il niente assume il valore di significante dell’irriducibilità del
desiderio del soggetto alla presa dell’onnipotenza dell’Altro.
f) anoressia mentale , sapere e mangiare niente: l’uomo delle cervella fresche
a commento del celebre caso dell’uomo delle cervella fresche di Kriss, Lacan accenna anche
all’anoressia mentale. Il sintomo grave portato da questo paziente era quello di una grande
inibizione ad assumersi un pensiero come proprio, aveva l’idea fissa di essere un plagiatore.
L’intervento di Kriss in analisi restituisce al pz il fatto che nella realtà ciò che afferma non è vero e
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si tratta di una sua ossessione; a ciò il pz risponde con un acting: uscito dallo studio si precipita al
ristorante a mangiare cervella fresche. Questo caso mette in evidenza il rifiuto dell’anoressica di
pensare in proprio. Tale rifiuto è prodotto dall’attribuire all’altro il ruolo di detentore assoluto di
pensiero.
g) bulimia e frustrazione della domanda d’amore
nel seminario libro IV Lacan formula la bulimia come compensazione ottenuta attraverso il cibo a
causa della frustrazione della domanda d’amore del bambino.
3. PARADIGMA CAUSATIVO- STRUTTURALE
Si articola in:
a) anoressia e il niente come oggetto (a) prodotto dallo svezzamento nel tempo della separazione
si riferisce alla dialettica di alienazione/separazione entro cui si costituisce il soggetto.
la costituzione del soggetto presuppone la separazione dall’oggetto (a) come organo che diventa
simbolo del fallo in quanto mancante cioè della castrazione del soggetto stesso.
A livello orale l’oggetto (a) è il niente, in quanto il soggetto si svezzò da qualcosa che da subito non
era niente per lui. Lo svezzamento è un’operazione attiva del soggetto, è qualcosa che il bambino
mette in atto e non qualcosa che subisce.
b) il bambino anoressico mangia il niente
non bisogna pensare che il bambino non mangia, ma che mangia niente". Mangiare niente pone
l'esistenza di un oggetto, pone quindi una relazione tra soggetto e oggetto.
c) il mangiare il niente anoressico e l’oggetto dello svezzamento funzionante come privazione al
livello della castrazione.
d)l’anoressica, il fantasma della propria sparizione e la questione che incarna nell’enigma del
desiderio dell’altro parentale “può perdermi?” pag 91
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CAP 5 SVILUPPI DELL’ORIENTAMENTO
LACANIANO
AUGUSTIN MENARD
L’anoressia non è il frutto di una tappa evolutiva non superata, ma di “un tempo logico eliso” (eliso
= annullato, rimosso, soppresso).
Menard elabora una teoria dei tre tempi logici in gioco nel processo di costituzione soggettiva:
1) la frustrazione e la dialettica dello scambio e del dono
In questo primo tempo Menard valorizza la triade concettuale bisogno/domanda/desiderio: nel
rapporto del soggetto con l’altro parentale è la mancanza stessa che è mancata. Cioè, l’anoressico
nel tempo della frustrazione cerca, attraverso il rifiuto del cibo, di provocare nel desiderio dell’altro
ciò che non riesce a trovarvi: il dono di un segno d’amore per lui.
2)l’appetito di morte e il tempo della privazione
Il tempo della privazione è il tempo che presenti fica la perdita reale dell’oggetto nello
svezzamento. Dinanzi alla perdita reale dell’oggetto, il soggetto si trova a un bivio:. Assumersela o
rifiutarla. L’anoressico rifiuta la perdita dell’oggetto e mangia l’oggetto niente come via per evitare
di “mangiare del significante”, cioè di accettare la perdita dell’oggetto come effetto della legge di
castrazione.
3)la castrazione e l’accesso al desiderio e alla legge
La condizione di accesso alla dialettica del desiderio comporta che il soggetto, accettando la legge
della castrazione simbolica, accetta una perdita del godimento che si rivela nell’impossibilità della
giovane anoressica di installarsi nella posizione sessuata di donna.
La questione clinica decisiva nella cura consiste nel permettere al soggetto di compiere il passaggio
dal tempo logico della privazione al tempo della castrazione.
Menard nei suoi articoli sviluppa alcuni punti chiave su cui la teoria lacaniana dell’anoressia si è
sviluppata nel dopo Lacan:
 Egli mette in discussione che l’anoressia si riduca al quadro strutturale dell’isteria, e apre ai
quadri picotici in particolare melanconici.
 Individua due livelli di funzionamento dell’oggetto niente nell’anoressia, l’uno sul versante
del desiderio l’altro sul versante del godimento; evidenzia come la clinica dell’anoressia sia
mossa da una domanda latente.
 Da alcune indicazioni per orientare il trattamento: spostare l’asse del discorso dal cibo ad
altro; non rispondere alla domanda del pz sul piano del bisogno; non mancare l’intervento
quando l’anoressica mette in gioco la minaccia di sparizione che prelude all’interruzione
della cura; operare nelle situazioni estreme il ricovero ospedaliero.
JACQUES-ALAIN MILLER
Ciò che è in primo piano nell’anoressia è il rifiuto dell’Altro e il particolare della madre, e più in
generale del grande Altro. Questo rifiuto dell’altro ha lo scopo di dimostrare che esiste al di fuori
dell’onnipotenza dell’altro.
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MASSIMO RECALCATI
È stato a lungo direttore scientifico dell’ABA.
Possiamo individuare sei motivi teorici che hanno animato il lavoro di Massimo Recalcati intorno al
sintomo dell’anoressia-bulimia. La prima dimensione riguarda la determinazione e l’insistenza sul
carattere plurale dell’anoressia-bulimia. Le categorie cliniche di “anoressia” e di “bulimia” come
categorie clinico-diagnostiche a sé stanti risultano astratte, ovvero non operative e teoreticamente
improprie. Piuttosto risulta indispensabile declinare al plurale l’anoressia. L’anoressia al singolare,
infatti, non esiste; esistono invece una varietà di anoressie, ovvero diverse declinazione soggettive
di una, solo apparente, omogeneità sintomatica. Questo principio teorico e pratico costituisce il
discrimine fondamentale rispetto a coloro che hanno voluto intendere l’anoressia come una nuova
struttura. In ogni caso, il plurale della diagnosi differenziale va inteso rigorosamente: si tratta di
estrarre la differenzialità della struttura dalla omogeneità solo apparente della fenomenologia
anoressico-bulimica. In questo senso non esiste un quadro puro di anoressia contrapposto alle
versioni spurie di anoressie, isteriche o melanconiche, ma è l’anoressia stessa che sfuma, per così
dire, nel tratto differenziale della struttura. In generale si può affermare che la clinica della
monosintomaticità si ispira integralmente a questa opzione metodica che differenzia il lato
omogeneo del sintomo (anoressia-bulimia, panico, depressione, tossicomania) dalla sua base
strutturale che si tratta ogni volta di differenziare seguendo le categorie diagnostiche messe a punto
da Freud e riprese nell’insegnamento di Lacan (nevrosi, psicosi, perversione).
Il secondo motivo teorico-clinico riguarda una problematizzazione della prospettiva teorica di
Jacques Lacan sull’anoressia: si tratta di rileggere la posizione anoressica del soggetto privilegiando
non tanto la dimensione isterica che l’insegnamento di Jacques Lacan attribuisce all’anoressia –
laddove, per esempio, concepisce il rifiuto anoressico come finalizzato a difendere il desiderio del
soggetto -, ma la sua vocazione mortifera, la sua tendenza melanconico-tossicomanica. Cosa
significa questo privilegio crescente del carattere melanconico-tossicomanico dell’anoressiabulimia a cui l’esperienza clinica con le anoressico-bulimiche sembra orientare? Fondamentalmente
chiarisce in modo inequivocabile l’impossibilità di concepire l’anoressia a partire dall’isteria a
causa di una tendenziale chiusura del soggetto su se stesso che contrasta con il carattere dialettico,
aperto sull’Altro, della posizione puramente isterica del soggetto. Questo carattere mortifero,
antisociale e nichilistico, dell’anoressia-bulimia contemporanea attraversa la clinica della
monosintomaticità nel suo insieme configurandola come un tempo di crisi del legame sociale come
tale. Infatti, i raggruppamenti monosintomatici si costituiscono sul rifiuto dell’Altro come principio
della differenza. La domanda che anima il soggetto che partecipa a questi raggruppamenti non è una
domanda sostenuta dal desiderio inconscio, quanto piuttosto una domanda di appartenenza, di
omologazione, di comunanza, di nominazione. Questa tendenza chiusa su se stessa della domanda
evidenzia l’associazione profonda del movimento segregativi immanente a questa operazione con la
spinta alla morte e alla distruzione dell’alterità che caratterizza, appunto, il versante non dialettico
ma autistico, inerte e nichilistico, dei nuovi sintomi.
Il terzo motivo teorico-clinico è il riferimento alla psicosi: applicare la clinica delle psicosi alla
clinica dell’anoressia. Questo non ha significato affatto ridurre l’anoressia ad una psicosi in senso
stretto (riduzione che avrebbe contraddetto il principio teorico della pluralizzazione dell’anoressia).
Ma privilegiando il vertice della psicosi si tratta di accostare una clinica – com’è appunto quella
dell’anoressia-bulimia – nella quale il sintomo come formazione di compromesso, come ritorno del
rimosso, come cifra e formazione dell’inconscio, non è immediatamente operativo. Più in
particolare, una serie numerosa di elementi clinici e psicopatologici che si riscontrano nella
anoressi-bulimia contraddistinguono propriamente una dimensione psicotica del soggetto:
l’anoressia-bulimia come risposta nel reale e come soluzione sintomatica che tende ad annullare o
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ad indebolire una autentica domanda di cura, la sua inclinazione olofrastica e anti-metaforica, la
“spinta alla morte” slegata da Eros, la debolezza del desiderio rispetto al godimento, l’esclusione e
il rifiuto dell’Altro, la tendenza autistica del godimento pulsionale, l’insistenza dell’imperativo
superegoico, l’assenza di transfert o il suo carattere immaginario come dominante nel processo della
cura e, più in generale, la prevalenza del registro immaginario in quanto tale nella storia del
soggetto, l’inclinazione ad agire piuttosto che a simbolizzare, l’irriducibilità dell’odio e della spinta
a distruggere, la difficoltà a soggettivare un’autentica separazione dall’Altro, la presenza di
identificazioni massicce, adesive, resistenti ad ogni mediazione simbolica, la non operatività
dell’interpretazione semantica, la presenza di un Altro familiare frequentemente sregolato,
traumatico e non normato dalla castrazione. In generale la clinica della monosintomaticità è una
clinica che non può ridursi ala clinica della nevrosi perché al suo centro non c’è la separazione
conflittuale del soggetto dal programma della Civiltà, di cui il sintomo nevrotico è testimone,
quanto piuttosto la convergenza di un insieme di soggetti che si riconoscono uguali
nell’identificazione al sintomo e nelle pratiche di godimento che ne derivano. Questa convergenza
crea nuove comunità che ritagliano la loro isola autosegregativa all’interno di un programma della
Civiltà anziché contrapporsi ad esso.
Il quarto motivo clinico-teorico riguarda l’idea dell’anoressia-bulimia come separazione senza
divisione del soggetto, ovvero come modalità patologica della separazione. Nella teoria di Lacan
dell’alienazione-separazione la condizione della separazione è infatti la divisione del soggetto, la
sua perdita d’essere causata dall’azione del significante sul corpo vivente. Nell'anoressia invece
incontriamo una modalità contemporanea della separazione che si specifica per essere una
separazione dall’Altro che però, paradossalmente, vuole negare qualunque perdita d'essere. Una
separazione, dunque, priva di alienazione. In altri termini, ciò che si incontra nella clinica
contemporanea è lo statuto atipico di una separazione che rifiuta la divisione (dunque il lavoro del
lutto) e che trova nel trionfo narcisistico esaltato dell'ego anoressico un paradigma clinico
essenziale. Questa separazione indivisa, apatica, rende conto di cosa possa significare un soggetto in
assenza di inconscio. Il problema clinico nel trattamento è allora quello della riabilitazione del
soggetto dell'inconscio (dove questa si rende possibile), ovvero è quello di rendere praticabile
un'esperienza di separazione che comporti l'alienazione, non dunque la sconnessione dall'Altro, ma
l'assunzione soggettiva della sua dipendenza simbolica.
Il quinto motivo teorico clinico riguarda la natura del legame sociale nell'epoca contemporanea,
dell'epoca che ha smarrito il riferimento gerarchico al potere del significante padrone identificato
con l'idea del padre edipico. La società disciplinare – retta dalla funzione guida del significante
padrone e delle istituzioni che lo incarnavano (Chiesa, esercito, prigione, ecc...) - lascia il posto
all'affermazione incontrastata – senza limiti morali – del potere reale del mercato. Questa esclusione
dell'Altro che ritroviamo in tutte le forme contemporanee del sintomo mostra come la deriva attuale
della categoria clinica di sintomo implichi una specie di degradazione del suo carattere sociale di
compromesso tra l'esigenza pulsionale e la legge simbolica dell'Altro. In effetti i nuovi sintomi non
sono più in rapporto alla passione inconscia del desiderio, come, per esempio, lo erano quelli
dell'isteria ottocentesca. Essi segnalano piuttosto il divorzio tra il soggetto e il desiderio. La radice
ultima della declinazione contemporanea del sintomo non è il ritorno sulla scena del soggetto del
desiderio rimosso, ma una dimensione desertica, di vuoto radicale, che sembra non abbia alcuna
connessione con ciò che avviene nell'Altro e che genera nel soggetto un vissuto fondamentale di
vuoto e di non esistenza. Ciò che fa soffrire è il senso di irrealtà, di anonimato, la percezione diffusa
di un vuoto che non si estingue mai e che il discorso del capitalista promette falsamente di otturare
attraverso il consumo dell'oggetto di godimento. L'offerta illimitata di gadgets rovescia infatti la
condizione di vuoto in quella di un (falso) pieno. Il problema è che questa soluzione sociale della
mancanza si fonda sulla soppressione del desiderio come movimento aperto verso l'Altro (sesso),
poiché l'oggetto-gadget esclude per principio la differenza sessuale. Esso è a portata di mano e di
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bocca, e contiguo al corpo, è un oratore feticizzato della mancanza, è, come tale, un condensatore
autistico di godimento. In questo modo il suo consumo può offrire l'illusione di una prossimità
ritrovata con un godimento della Cosa che si scorpora dall'Altro e che si pone come refrattario
all'azione simbolica della castrazione. In questa prospettiva, la posta in gioco per la clinica
psicoanalitica contemporanea investe il compito di definire una nuova politica: come estrarre
nuovamente il soggetto dell'inconscio dalla palude degli oggetti-gadgets?
Infine, un ultimo motivo della ricerca teorico-pratica di Massimo Recalcati intorno alla clinica
dell'anoressia-bulimia è quello relativo al lavoro con il gruppo monosintomatico. Il soggetto
anoressico-bulimico si rivolge all'istituzione specializzata nel trattamento dei cosiddetti disturbi
dell'alimentazione con un'esigenza di cura che coincide in realtà con una domanda di
consolidamento di un'identità. L'entrata nelle Istituzioni e nelle Associazioni specializzate nel
trattamento dell'anoressia-bulimia non avviene cioè sulla base della messa in questione del proprio
essere – come avviene invece nella domanda classica d'analisi – ma su quella di un riconosciemnto
speculare: “Tu sei come noi e noi siamo come te”. Il lavoro con il piccolo gruppo monosintomatico
ad orientamento analitico che abbiamo sperimentato in Italia a partire dai primi anni novanta ha la
finalità di deolofrasizzare questa aderenza soggettiva all'insegna identificatoria e al rispecchiamento
speculare per verificare la possibilità di estrarre il soggetto dell'inconscio e la sua differenza
costituente. Si tratta, in altre parole, di utilizzare tatticamente il raggruppamento spontaneo
“monosintomatico” già presente nel discorso sociale, ma solo per piegarlo ad una strategia, ovvero a
quella che fa appello al soggetto dell'inconscio, che punta alla sua estrazione dall'omogeneità
immaginaria della gruppalità monosintomatica.
NIEVES SORIA
Mette in evidenza nell’anoressia un fallimento dell’equazione corpo = fallo.
Mentre nell’isteria il soggetto sa servirsi del sembiante fallico e il suo corpo si presenta come
gallicizzato, nell’anoressia assistiamo a un rifiuto del sembiante, tale fallimento rivela una difficoltà
del soggetto a incorporare il padre come significante e si manifesta a partire da perturbazioni nel
funzionamento della metafora paterna.
CAROLE DEWAMBRECHIES LA SAGNA
Pone l’anoressia mentale al di là della dicotomia classica di nevrosi e psicosi. Per questa ragione è
essenziale nella cura poter giungere a una diagnosi che permetta di distinguere l’anoressia vera dai
quadri psicotici e isterici.
L’anoressia deve conservare la sua individualità ed essere distinta da psicosi, che possono
presentare un sintomo anoressico, e da isterie, che possono presentare restrizioni alimentari
significative.
Il quadro dell “anoressia vera” si presenta con alcune caratteristiche peculiari: esprime in modo
pragmatico l’attaccamento di un soggetto al proprio sintomo, manifesta in modo estremo la potenza
del rifiuto tanto del cibo quanto di qualsiasi cura; il soggetto non domanda niente; il potere
simbolico della parola è annullato.
La risposta terapeutica verrà innanzi tutto con l’ospedalizzazione che permetterà di ritrovare un
rapporto autentico con la parola e l’emergere di una domanda di cura.
La clinica dell’anoressia mentale è una “clinica dell’angoscia”: infatti il punto di partenza è dato da
uno stato di indifferenza rispetto alla propria condizione e da un’angoscia delle persone attorno alla
pz  angosciare l’altro è un’azione propria della posizione anoressica.
L’anoressia non ha alcun rapporto con la bulimia, semmai la bulimia è indotta nell’anoressica dalle
pressioni esercitate dagli altri, l’aumento di peso, quando si produce in queste condizioni, viene
vissuto come catastrofe che lascia il soggetto in una solitudine che può portare al suicidio.
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CAP 6
LE 4 FUNZIONI DEL RIFIUTO
1) COME DOMANDA INCONSCIA D’AMORE
Nella direzione della cura” Lacan mostra la confusione in cui versano i genitori dell’anoressica, essi
confondono le cure con il dono dell’amore; infatti rispondere alla domanda d’amore con l’oggetto
che soddisfa il bisogno produce un effetto di inappagamento in chi domanda.
Questa domanda d’amore trova la sua manifestazione più radicale laddove il rifiuto di alimentarsi
oltrepassa la soglia critica per la sopravvivenza dell’organismo e lo stato del corpo a rischio di
morte diventa per il soggetto l’incarnazione muta di una domanda d’amore.
L’angoscia dell’altro ha l’effetto di consolidare la soluzione anoressica.
Si produce qualcosa di analogo anche nel transfert verso l’analista: il rifiuto del trattamento e la
minaccia di interruzione mettono alla prova il desiderio dell’analista.
2) COME DIFESA DALLA PULSIONE
Nel discorso delle pazienti anoressiche e bulimiche il rifiuto del cibo non è riducibile a un’assenza
di appetito. Al contrario il cibo rifiutato e che il soggetto ha smesso di consumare è spesso proprio il
cibo più desiderato. In questo senso il rifiuto del cibo si presenta come difesa dall’appetito.
Accanto al rifiuto del cibo anche il disturbo centrale della dismorfopercezione dell’immagine
corporea si caratterizza come una declinazione del rifiuto (dell’immagine del corpo allo specchio).
Come terzo elemento entra in gioco il rapporto con la sessualità. L’amenorrea accompagnata da una
riduzione della vita sessuale e dall’anorgasmia si presentano come una difesa dalla femminilità
(rifiuto del godimento)
3) COME TENTATIVO DI SEPARAZIONE
È la via attraverso la quale il soggetto anoressico cerca di trovare un’autonomia dall’altro. Spesso
questo tentativo si manifesta nella cura nei momenti di rottura in cui la paziente opera lo strappo
che la conduce a interrompere il trattamento in nome di un’autosufficienza immaginaria che, invece
di emanciparla, al contrario la aliena in una sorta di delirio di autonomia di cui cade prigioniera
senza saperlo.
4) COME MODALITà DI GODIMENTO
Il rifiuto è il modo di godimento specifico dell’anoressia mentale. Questo godimento del rifiuto
spiega l’attaccamento radicale dell’anoressica al proprio sintomo.
Il rifiuto del cibo diventa una pratica affermativa di godimento che ruota attorno a un oggetto
speciale che Lacan chiama “oggetto niente”. Il niente è l’oggetto (a) che entra in gioco a livello
della pulsione orale nel processo di costituzione soggettiva.
La passione anoressica per lo specchio e il rapporto nello stesso momento incantatorio e perturbante
con l’immagine del proprio corpo sono dati dalla mancata separazione dell’oggetto sguardo dal
corpo del soggetto. L’oggetto sguardo invade il soggetto guardandolo da ogni lato.
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CAP7 PUNTI DI ORIENTAMENTO NELLA CURA
LA DIAGNOSI
È una questione spinosa dovuta alla pluralità di posizioni differenti. Una diagnosi effettiva deve
isolare tre livelli di funzionamento del soggetto:
a) un livello descrittivo della sintomatologia (sintomi più noti: amenorrea, perdita radicale di peso
legata al rifiuto di cibo, dismorfopercezione dell’immagine corporea).
b) un livello che riguarda la struttura della personalità, infatti l’anoressia si accompagna spesso a
disturbi di personalità (soprattutto borderline e narcisistici).
c) un livello che riguarda la posizione del soggetto nel momento attuale di trattamento.
Inoltre viene distinta una versione esclusiva della diagnosi, in cui l’anoressia mentale è una diagnosi
a sè stante rispetto ai quadri psicotici e isterici; e una versione inclusiva, in cui il problema è
inscrivere l’anoressia in un quadro strutturale.
LA POSIZIONE SOGGETTIVA
È reperibile nei colloqui e ci fornisce lo stato del legame del soggetto con il proprio sintomo. Due
indicatori clinici importanti sono: il grado di ego sintonia rispetto al sintomo e il livello di
soggettivazione della malattia cioè il riconoscimento della malattia:
Quando il soggetto si avvia all’anoressia mentale avvia la cosiddetta “luna di miele con l’anoressia”
in cui la malattia è più una soluzione che un problema e il riconoscimento della malattia è minimo
se non assente
LUNA DI MIELE CON =
L’ANORESSIA
EGOSINTONIA MASSIMA 
RICONOSCIMENTO
MINIMO
Quanto la soluzione anoressica inizia a rivelarsi insufficiente, muta la posizione soggettiva, e quindi
si avvieranno le condizioni per l’avvio al trattamento
AVVIO AL TRATTAMENTO =
EGODISTONIA 
RICONOSCIMENTO MASSIMO
LO STATO DEL CORPO E IL PROBLEMA DELL’OSPEDALIZZAZIONE
Condizione preliminare al trattamento è la verifica dello stato fisiologico, soprattutto dell’indice di
massa corporea (BMI), se infatti i valori sono al di sotto della soglia minima e quindi il soggetto è a
rischio di sopravvivenza, è controproducente avviare un lavoro terapeutico ed è necessario il
ricovero in ospedale.
Innanzi tutto perché quando la pz raggiunge valori fisiologici al di sotto della soglia minima,sul
piano psichico si produce un effetto chiamato “eclissi del soggetto” in cui il sogg scompare, la sua
parola è completamente svuotata di valore e la sua posizione è fuori discorso rispetto a quanto
accade intorno a lui.
In secondo luogo l’ospedalizzazione è necessaria per evitare rischi di un “ipnosi a rovescio” che
tipicamente la pz mette in atto nei confronti del terapeuta cercando di convincerlo che attraverso il
lavoro di parola con lui, al posto del ricovero, potranno uscire dal rischio. Cedere alle lusinghe
significa cadere nella trappola della “seduzione narcisistica”
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In terzo luogo il ricovero della pz è l’unico modo per introdurre un limite allo sviluppo devastante
del sintomo.
LA GRIGLIA QUADRIPARTITA
È un ausilio per la diagnosi e il trattamento che riguarda le 4 funzioni del rifiuto anoressico:
1. RIFIUTO IN FUNZIONE DI DOMANDA
Occorre verificare se è questo livello operante nella pz. Nelle forme isterico-nevrotiche si incontra
spesso questo tipo di rifiuto. Bisogna chiarire cosa il soggetto domandi e a chi.
Nelle anoressiche isteriche l’oggetto della domanda è il desiderio dell’altro incarnato dai genitori o
dal partner, nelle psicotiche non sempre è così.
2. RIFIUTO IN FUNZIONE DI DIFESA
Nelle forme isterico-nevrotiche l’oggetto della difesa è il desiderio stesso nella sua componente
pulsionale. Nelle forme psicotiche la difesa agisce come argine all’invasione dell’altro.
3. RIFIUTO IN FUNZIONE DI SEPARAZIONE
Si tratta di un movimento che va nella direzione dell’autonomia rispetto all’altro. Ma non è
un’autonomia totale, ma solo un’autonomia dalla dipendenza per costruirsi una propria posizione
all’interno del campo simbolico dell’altro e delle sue leggi (= pseudo separazione dell’altro).
4. RIFIUTO IN FUNZIONE DI GODIMENTO
Bisogna distinguere un godimento isterico-nevrotico dell’insoddisfazione o privazione, in cui il
rifiuto ha la funzione di tenere aperta la mancanza e mantenere vivo il desiderio, da un godimento
nirvanico- affermativo, in cui il rifiuto è attivo ed è mirato all’ottenimento di una soddisfazione
autistica autodistruttiva.
LA QUESTIONE GENITORI E FAMIGLIA
Nella maggior parte delle situazioni sono i genitori stessi a domandare aiuto. Il problema è capire il
legame che sussiste tra la pz e i genitori e quale funzione riveste la malattia della figlia
nell’economia dei rapporti familiari.
Secondo Palazzoli è il sistema familiare della paziente a costituire la rete di transazioni nella quale
scatta la trappola del doppio legame, che chiude la figlia nella posizione di vittima.
Ci è un’omologia tra la struttura del sintomo anoressico e la struttura del legame familiare.
Il lavoro con l’anoressica deve accompagnare anche un lavoro sull’angoscia che i genitori riversano
su di lei; infatti l’anoressica presenta un sintomo senza angoscia e i genitori un’angoscia senza
sintomo.
Polacco Williams focalizza nel rapporto con l’angoscia la chiave d’accesso ai sintomi alimentari e
al loro trattamento , egli parla di un rovesciamento tra contenitore e contenuto: i genitori non solo
non contengono l’angoscia della figlia, ma anzi proiettano sulla figlia le proprie angosce a cui lei
risponde con la costruzione del sintomo alimentare.
LA RETTIFICAZIONE SOGGETTIVA
È un passaggio nel discorso del soggetto, reso possibile dall’analista, dal lamento per la propria
condizione al riconoscimento della propria responsabilità inconscia.
Una situazione tipica è la “forbice tra il corpo e la parola” che è una situazione paradossale in cui il
soggetto dice che sta facendo un ottimo lavoro psicologico, ma il corpo rimane fermo (e la cosa gli
va bene); è proprio l’angoscia il punto di intersezione tra il corpo e la parola.
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LA RETTIFICA DELL’ALTRO
Nel caso di anoressie psicotiche, la rettifica non può essere di soggettivazione dell’angoscia, in
quanto l’angoscia nello psicotico è legata alla minaccia dell’altro e del suo voler godere del
soggetto.
La rettifica dell’altro permette di disinnescare la certezza paranoide che l’Altro la stia perseguitando
e che voglia godere di lei. Nel caso dell’anoressia psicotica l’altro può essere visto come qualcuno
che la costringe a mangiare con la forza e con l’inganno; rientrano in questo spettro i deliri di
avvelenamento o contaminazione alimentare.
Questa operazione consiste nel bonificare il campo dell’altro, mostrando alla paziente che in esso
non c’è volontà di godere di lei ma anzi può esserci un punto di ancoraggio affidabile.
LE SCANSIONI FONDAMENTALI NELLA CURA
1. Perdita della padronanza immaginaria sul sintomo:
il sintomo come fattore di soddisfacimento mostra al soggetto di essere il padrone e non il servo; è
la fine della luna di miele con l’anoressia e l’inizio dello statuto del vero e proprio sintomo.
2. Ripristino del potere della parola:
in questo passaggio si reinstalla il potere della parola producendo una riapertura dell’inconscio (e
quindi sogni, lapsus e atti mancati).
3. alienazione significante ed effetto letale della parola sul corpo:
il passaggio al riconoscimento dell’alienazione significante si impone quando emerge nel discorso
l’effetto letale che alcune frasi pronunciate nell’infanzia o nella pubertà hanno avuto sul soggetto e
sul rapporto con il suo corpo. Si tratta di frasi pronunciate da figure centrali (padre, madre, nonna
materna) che risultano traumatiche e che sono inerenti al corpo o al rapporto con il cibo.
È proprio con l’emergere nel corso della cura di tali enunciati trauma che il soggetto può
riconoscere l’effetto letale dell’alienazione significante.
Questo riemergere permette di restituire alla parola il suo potere nella cura.
4. estrazione del segno d’amore dal campo dell’altro
una volta riattivato il potere della parola subentra una trasformazione: il rapporto con l’altro o con
l’oggetto inizia a uscire da uno schema rigido e lineare e il soggetto ritrova tracce del desiderio
dell’altro che prima non aveva potuto ne voluto vedere.
Questo passaggio è destabilizzante e pone il soggetto di fronte a un bivio: accettare di ricevere
qualcosa dall’altro o no, questo passaggio introduce l’angoscia nelle forme di paura e desiderio.
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