chiodi storti. quando l`italia vinse la coppa davis a

Transcript

chiodi storti. quando l`italia vinse la coppa davis a
Data
MINIMAETMORALIA.IT (WEB)
Foglio
COS’È MINIMA&MORALIA
AUTORI
LINK
07-06-2016
Pagina
1 / 4
CONTATTI
Cerca
ARTICOLI RECENTI
Chiodi storti. Quando l’Italia vinse la Coppa Davis
a Santiago del Cile
I vent’anni di Stile Libero
Tra il mondo e Ta-Nehisi Coates
Genio e fragilità di Syd Barrett, il diamante pazzo
“Vola come una farfalla, pungi come un’ape”.
Muhammad Ali
COMMENTI RECENTI
silvana su Chiodi storti. Quando l’Italia vinse la
Coppa Davis a Santiago del Cile
CHIODI STORTI. QUANDO L’ITALIA VINSE LA
COPPA DAVIS A SANTIAGO DEL CILE
silvana su Chiodi storti. Quando l’Italia vinse la
di Gabriele Santoro pubblicato martedì, 7 giugno 2016 · 2 Commenti NNEDITORE | Rassegna stampa on line di Jenny
Coppa Davis a Santiago del Cile
I vent’anni di Stile Libero : minima&moralia |
alessandrapeluso su I vent’anni di Stile Libero
Offill – Le cose che restano su Le cose che
restano, il primo romanzo di Jenny Offill
La vittoria della prima e finora unica Coppa Davis per l’Italia è stata una felicità triste. A quarant’anni di
frantseska su Cosa fanno il sabato pomeriggio
distanza da Santiago del Cile, Nicola Pietrangeli definisce così il successo e racconta a Minima et
gli Ateniesi?
moralia quel viaggio complesso, cominciando da un episodio inedito: «All’inizio sulla targa della Coppa
Davis, dove c’è scritto 1976, Italia, apparivano solo i nomi dei quattro giocatori. Sarebbe stata l’unica
CATEGORIE
coppa che non citava anche il capitano. La mostrai al Presidente della Federazione Internazionale, che
in cinque minuti rimediò allo sgarbo. Questo per far capire l’atmosfera che regnava nei rapporti fra me
approfondimenti
e il presidente della Federtennis italiana».
architettura
arte
Paolo Galgani si ritrovò fra le mani qualcosa di prezioso, che non aveva contribuito a costruire.
Diventato la guida del movimento tennistico nazionale, dopo l’uscita di scena di Giorgio Neri, danzò
con interessata ambiguità nel clima scandito dalle grida: «Non si giocano volée contro il boia
Pinochet!» Sono partiti solo perché io ancora non ero stato eletto, diceva l’avvocato fiorentino.
Accadde una settimana dopo la partenza, poi è stato per un ventennio il presidente della Coppa Davis.
calcio
cinema
cultura
design
esteri
un affronto alla Federazione Internazionale, che minacciò di squalificarci per tre anni dalla Davis.
estratti
L’ultimo giorno, quando è stata scattata la fotografia della premiazione, lo speaker annunciò la squadra
fiction
vincitrice. In quel momento vedemmo riapparire il presidente, fino ad allora vestitosi sempre fin
filosofia
troppo casual, in giacca, cravatta e distintivo. Piombò in campo e si avvicinò alla Davis. Il Presidente
della Federazione Internazionale la prese e me la consegnò: “La do a Nicola”. Lì sono cominciati i miei
guai. Ho imparato che, soprattutto in Italia, le vittorie hanno molti genitori, mentre le sconfitte sono
tutte orfane».
fotografia
fumetto
giornalismo
inchieste
Negli anni della dittatura cilena non abbiamo smesso di importare il rame e c’erano le Fiat da vendere.
interventi
Ma loro no, quell’unione di talenti non sarebbe dovuta partire, avrebbero dovuto rinunciare a quel che
interviste
Codice abbonamento:
editoria
Galgani comunicò a me e alla squadra che non avremmo partecipato al pranzo ufficiale. Si trattava di
099500
economia
Pietrangeli rievoca un’altra scena, accennando qualcosa sull’essere classe dirigente in Italia: «In Cile
Data
MINIMAETMORALIA.IT (WEB)
Foglio
amavano fare in nome di una sorta di resistenza passiva che non assomigliava alla vita.
In libreria c’è Sei chiodi storti (66thand2nd, 150 pagine, 17 euro), firmato dal giornalista Dario CrestoDina, un racconto polifonico di un sabato pomeriggio dolce amaro, il 18 dicembre 1976, che si fa
ritratto personale e collettivo di una generazione, di un talento tecnico «che mai prima e mai dopo si è
letteratura
libri
mondo
musica
sacrificio e rabbia». La straordinaria coppia di doppio composta da Panatta e Bertolucci regolò in
non fiction
quattro set Cornejo e Fillol. Loro come l’altra metà del cielo azzurro, Tonino Zugarelli e Corrado
obituary
Barazzutti con Pietrangeli, hanno affidato a Cresto-Dina le sensazioni, le memorie e la propria versione
poesia
dei fatti, che coincide almeno in un punto: è stato giusto partire per il Cile. Nel caso contrario il regime
politica
pinochetista avrebbe celebrato, si sarebbe intestato un titolo del tutto immeritato. L’Italia concluse
racconti
quell’edizione della Davis con 25 partite vinte e appena 4 sconfitte.
recensioni
pace oltre la vergogna degli assassini della giunta militare argentina? Cruiyff, come egli stesso
raccontò, non partecipò al mondiale 1978, a causa di un tentativo di sequestro di cui fu vittima la
famiglia a Barcellona. Dunque la scelta non avrebbe avuto alcuna connotazione politica. Chissà con
Cruiyff ai tempi supplementari la finale Argentina-Olanda all’Estadio Monumental sarebbe finita
2 / 4
lavoro
trovato tutto assieme così denso e composito in un gruppo e in una stagione: superbia, distacco, poesia,
Quel dono all’esistente che è stato Johan Cruiyff, quanto avrebbe voluto incantare per una frazione di
07-06-2016
Pagina
religione
reportage
ritratti
riviste
scienza
diversamente, arginando la propaganda, l’autolegittimazione vana di un regime, infine l’usurpazione del
scrittura
gioco. Cambiando campo, scenario, in fondo Raul Barandiaran e i rugbisti di Mar del Plata hanno
scuola
difeso anche la libertà di continuare a giocare con la palla ovale.
Senza categoria
società
Raulito calciava forte e con precisione la palla ovale. Un drop che non mirava ai pali, cercava il cielo.
La dittatura militare aveva strappato uno a uno i fiori di campo, ribelli, della squadra di rugby La Plata.
I torturatori si erano accaniti con ferocia vana sui corpi e sui cuori resistenti dei campioni. I bravi
ragazzi del burbero sciancato Hugo Passarella alla fine hanno vinto nel segno di una resistenza vitale.
Dal campionato non si sono ritirati; non sono scappati: per ogni titolare ucciso entrava una promessa
del vivaio fino alla sconfitta del regime. A Barandarian è toccato il destino di chi sopravvive. A noi la
fortuna di ascoltarlo.
sport
storia
teatro
televisione
traduzione
urbanistica
video
Ma resta la domanda di fondo: lo sport se, quando e come dovrebbe fermarsi? Correva l’anno 1976 e
Pietrangeli aveva le idee chiare nel merito della questione spinosa. Lea Pericoli, che è stata con lui
anche a Santiago, dice che perdere quella Davis lo avrebbe sfregiato. Adriano Panatta non smette di
ringraziarlo per averli portati in Cile. L’unico merito che “Er Francia”, così ribattezzarono il tredicenne
ARCHIVIO
Archivio Seleziona mese
Nicola a Piazza di Spagna, lui nato a Tunisi da madre russa e padre italiano, si prende in quel successo,
che ha dialogato con virtù e dolori propri della solitudine.
In Sei chiodi storti, quelli che Panatta portava con sé per scaramanzia, Pietrangeli ricorda così la buona
notizia di Ascenzietto: «Sapevo poco di Barazzutti e Zugarelli, qualcosa in più di Bertolucci. Panatta
invece si può dire che lo avevo visto nascere. Il padre Ascenzio era il custode del Circolo Parioli e
anche un amico per quella banda di adolescenti padrona del club e della quale facevo parte. Un giorno
arriva tutto trafelato e dice: “Ao’ me nasce un fijo”. Ascenzietto automaticamente. Poi mi trasferii
all’Eur e lo dimenticai fino a quando il maestro Simon Giordano mi porta in campo un ragazzino che,
assicura, riuscirà a stupirmi. Cominciamo a palleggiare e dopo un paio di colpi lui scende a rete. Gli
dico: “Ehi vacci piano, fammi riscaldare”. E lui: “Quando famo la partita?” Dieci anni dopo mi strapperà
il titolo italiano».
Diciassette anni di differenza fra i due, raffronti spesso fuori luogo e una maglietta rossa che scrive due
storie. La vicenda è nota ai più, qualche anno fa Mimmo Calopresti gli ha dedicato un bel docufilm. Alla
vigilia del punto decisivo, quello del doppio, per la consacrazione chiamata Davis Panatta convinse il
compagno Bertolucci a indossare una Fila di colore rosso, quale gesto di provocazione contro il regime.
Pietrangeli smentisce a M&M con un sorriso: «La maglietta rossa? Ma quale dispetto a Pinochet che tra
l’altro al campo non si è mai visto… Nell’anno di grazia 1976 Panatta aveva vinto Internazionali e
Roland Garros con una t-shirt di quel colore, fu scaramanzia».
L’URSS si era rifiutata in semifinale di affrontare il Cile. Il governo Andreotti tentennava sulle sorti
attendisti in cerca di altrui via libera. Pietrangeli, che dubbi non aveva, ricevette al telefono di casa
varie minacce di morte estese ai familiari. L’abitazione era piantonata dai carabinieri, che li scortarono
all’aeroporto per il decollo destinazione Santiago del Cile e li accolsero al ritorno, quali vincitori
disconosciuti, a un’uscita secondaria a Fiumicino. Persino Domenico Modugno si gettò nella mischia:
Ma che facciamo? Andiamo da quel fascista/e gli diciam: Señor hasta la vista/e poi prendendo in mano
la racchetta/dimentichiamo tutto così in fretta.
Codice abbonamento:
erano critici, apertamente contrario tutto ciò che stava alla sua sinistra. Coni e Federtennis erano
099500
della spedizione italiana, che in semifinale aveva eliminato col punteggio di 3-2 l’Australia. Il Psi e il Pci
MINIMAETMORALIA.IT (WEB)
Data
07-06-2016
Pagina
Foglio
3 / 4
Cresto-Dina riporta la posizione dello scrittore e poeta Antonio Arévalo Sagredo, oggi addetto
culturale dell’ambasciata cilena in Italia. Lui, come altri esuli, era contrario al boicottaggio. Era
importante che gli stranieri visitassero il paese, che non si spegnesse l’ultima luce. Ogni occasione
internazionale, anche di carattere sportivo, rappresentava un’opportunità di pronunciare una qualche
parola di verità sulla dittatura.
«Fecero di tutto per non farci andare – insiste Pietrangeli a M&M –. Ci siamo dovuti imbarcare allo
scalo nazionale e tornando abbiamo nascosto la Coppa Davis. Ovviamente lì i cileni hanno voluto far
vedere che tutto era bello. Nel mese di novembre del 1976 ero un uomo da una parte molto amato e al
contempo odiato. Mi dicevano brutto fascista, quando fascista non sono mai stato. Volevamo andare in
Cile per non dare una soddisfazione a Pinochet e per coronare la nostra avventura sportiva. Nessuno
può approvare i regimi totalitari. Sono cresciuto nella convinzione che lo sport debba restare al di
sopra di tutto. Dissi che per non mandarmi in Cile avrebbero dovuto togliermi il passaporto. E non
potevano farlo. L’Italia, non quella tennistica, non si meritava la Coppa Davis. Guarda caso poi non
l’abbiamo più vinta».
Di particolare interesse in questa vicenda c’è la gestione del rapporto con i media da parte di un
fuoriclasse della racchetta, capace di non cedere alla pressione dell’inchiostro sulla carta. L’emeroteca
restituisce decine di interviste, articoli, editoriali dell’epoca. Pietrangeli discusse per mezz’ora alla
radio con il ministro degli esteri del Pci Pajetta, si confrontò con gli Inti Illimani. L’unica parola scritta,
quella del campo, che resta a distanza di quarant’anni, non ricorda il Cile di Pinochet, ma l’Italia di
Panatta e Pietrangeli.
La vittoria in Cile non fu mai tecnicamente in discussione. Il capitano non giocatore aveva conosciuto
la fatica di chi deve rimontare l’assenza di una tradizione sportiva alle spalle. E dunque aveva la
consapevolezza piena di che cosa rappresentasse quel traguardo. Una fortuna indissipabile. Pietrangeli,
recordman di incontri disputati e vinti in Davis, che aveva già portato l’Italtennis nella élite sfidando
l’oltreoceano, voleva raggiungere il gradino che fa la differenza. Le prodezze di tocco, le qualità
dell’incontrista e il gioco a tutto campo servivano oltre il confine della terra rossa sulla quale regnò
almeno per dieci anni, lui di casa fra gli immortali dell’International Tennis Hall of Fame di Newport.
Come detto, l’unico merito che Pietrangeli non vuole dividere con nessuno è di aver portato la
Nazionale in Cile. Il resto va ascritto a chi scese a rete e regolò i padroni con un secco 4-1. Però quello
che colpisce è come un fuoriclasse dalla personalità spiccata, in versione capitano non giocatore, abbia
ricucito le distanze all’interno del gruppo, dato dalla seggiola sicurezze ad Ascenzietto. L’anno
precedente in Coppa Davis l’Italia aveva perso al primo turno contro una Francia più modesta della
nostra selezione. «In partenza era una mezza squadra – spiega Pietrangeli –. Panatta e Bertolucci non
parlavano con gli altri due. Erano due squadre che non comunicavano fra loro. Poi hanno capito che
forse era consigliabile farlo per l’interesse comune. Quando arrivai in panchina non volevo essere
simpatico a tutti. “Datemi quattro ciocchi e vi vinco la Coppa Davis”. Più di vincerla con bravura, con
la fortuna che ci vuole sempre, non si può fare».
Appena segnato il punto decisivo Panatta e Bertolucci si voltano verso la sedia dell’arbitro, la panchina
col pugno chiuso e Pietrangeli sorridente scatta per un abbraccio, che si fa subito scorta, al quale si
aggiungono dalla tribuna Barazzutti in borghese e Mario Belardinelli, il maestro, l’allenatore, padre
nobile di quella squadra umorale uscita dal centro di Formia.
Nel 1977 l’Italtennis di Pietrangeli si avvicinò al bis, uscendo sconfitta solo in finale a Sidney sull’erba.
L’avvocato Galgani convocò la squadra a Firenze e il capitano non giocatore venne sollevato
dall’incarico con non pochi strascichi: «L’anno dopo l’Italia ha perso contro l’Ungheria con un
giocatore che sbarcava il lunario facendo il cameriere all’aeroporto. Eravamo una buona squadra, ma
pure figli di…».
Da un cassetto Pietrangeli pesca una medaglia di bronzo, bella, che risale alla semifinale di Wimbledon.
C’è inciso Nicola Pietrangeli, 1960, semifinal, All England Lawn Tennis Club. Il premio in denaro
momento di dire basta. A trent’anni era una forza della natura, a trentotto ancora campione italiano e a
quaranta si sentiva comunque un giocatore: «Avevo un buon rovescio. Con il rovescio ho fatto tre
volte il giro del mondo. Quando ho cominciato a perdere un po’ troppo spesso, un giorno in mezzo al
campo, mi sono fermato e ho guardato la parte sinistra del mio corpo, esclamando: “No, ora mi
abbandoni pure tu”».
Cresto-Dina scrive che sono stati uomini fortunati e non bisognerà aspettare il loro ultimo giorno per
Codice abbonamento:
Un’altra epoca, nella quale anche per ragioni meramente economiche era difficile comprendere il
099500
consisteva in un voucher da spendere in un negozio convenzionato.
MINIMAETMORALIA.IT (WEB)
Data
07-06-2016
Pagina
Foglio
4 / 4
dirlo. La domanda che gli pongono di sovente, stavolta Pietrangeli la evoca da solo a proposito degli
Internazionali: «Ma i campioni italiani dove stanno?». «È solo questione di fortuna. Il campione non lo
fabbrichi», sostiene lui, che ha fatto della libertà di amare a modo proprio la disciplina il colpo
all’incrocio delle righe.
Categorie: r i t r a t t i, società, sport · T a g : A d r i a n o P a n a t t a, Augusto Pinochet, Corrado Barazzutti, Dario
Cresto-Dina, Gabriele Santoro, J o h a n C r u i y f f, Nicola Pietrangeli, Paolo Bertolucci, Paolo Galgani, R a u l
B a r a n d i a r a n, Tonino Zugarelli
Commenti
2 Commenti a “Chiodi storti. Quando l’Italia vinse la Coppa Davis a Santiago del Cile”
silvana scrive:
7 giugno 2016 alle 10:04
Io ho partecipato al boicottaggio della coppa davis in cile, e mi sembra ancora che era la cosa giusta
da fare. Il fascino dello sport, della vittoria, ecc. ecc., ha comunque fanno dimenticare quello che
stava succedendo. Non possono essere messi davanti al massacro.
Con stima.
silvana possenti
p.s.: l’articolo è scritto proprio male? come mai?
silvana scrive:
7 giugno 2016 alle 10:06
Ancora. La versione della maglia rossa è stata ripetuta da Panatta durante un’intervista. Mi pare da
Fabio Fazio. E allora? Una maglia rossa in campo… figurarsi!
Aggiungi un commento
Nome (richiesto)
E-mail (non verrà pubblicata) (richiesto)
Sito web
Invia commento
Avvisami via e-mail della presenza di nuovi commenti.
Codice abbonamento:
099500
Copyright 2016 minima&moralia · RSS Feed