menandro: il mondo concettuale

Transcript

menandro: il mondo concettuale
MENANDRO: IL MONDO CONCETTUALE FINALITA’ DELLA COMMEDIA MENANDREA. -­‐ La finalità della commedia menandrea è duplice. Per un verso quello di M. è certamente un teatro di intrattenimento, di evasione, che punta all’effetto edonistico, alla gratificazione estetica, anche in una chiave compensatoria delle difficoltà del vivere. I personaggi di M., soprattutto grazie al lieto fine, non vivono la stessa esistenza degli spettatori, ma quella che essi vorrebbero vivere. Da questo punto di vista la commedia esorcizza i problemi della vita reale e il disorientamento proprio di un’epoca segnata da profondi cambiamenti, svolgendo una funzione rassicurante. Tuttavia, per altro verso, si tratta anche di una commedia impegnata, sebbene su un piano diverso dalla commedia antica. Il campo di interesse non è più quello politico, ma quello etico nel contesto dei rapporti interpersonali, soprattutto in ambito familiare. I personaggi giungono al felice esito delle loro vicende solo dopo aver attraversato la sofferenza, e condividono con gli spettatori il male di vivere, la condizione di precarietà esistenziale. La commedia di M. intende stimolare la riflessione morale. SOCIETA’ E MORALE. -­‐ Dalla consapevolezza della comune condizione umana di fragilità e insicurezza nasce, nel teatro menandreo, una forte spinta etica orientata a valori metapolitici, o meglio, cosmopolitici, quali l’umana solidarietà, la comprensione, il rispetto reciproco, al di là delle differenze sociali e delle appartenenze. I princìpi morali che, nelle commedie menandree, guidano il comportamento dei singoli, tendono perciò ad assumere validità universale. E non sorprende che talora siano figure socialmente marginali, come le etère, a farsi portatrici dei più alti valori etici, a testimonianza di una nuova concezione dei rapporti umani meno condizionata da pregiudizi di ordine politico e sociale. -­‐ In genere traspare dalle commedie di M. un’alevata concezione dell’umano. Una delle sue più celebri sentenze così recita: «Che bella cosa è l’uomo, quando è uomo veramente» (fr. 484 Kö.). M. è però anche capace di mettere a fuoco le contraddizioni dell’animo umano e spesso pone in rilievo lo stato di inerzia, di incapacità ad agire e comunicare che attanaglia certi personaggi o la grettezza di altri. -­‐ Per ragioni storiche, la polis evidentemente non poteva più costituire lo sfondo dei drammi di M. Ecco allora che alla dimensione pubblica della commedia antica si sostituisce quella privata della famiglia, intesa però non nei termini del ghenos, ma come luogo di relazioni affettive. La commedia di M. porta sulla scena i turbamenti che minacciano la stabilità di questo microcosmo e gli interventi atti a preservarla o a ricostituirla. -­‐ M. registra però un sensibile cambiamento nei rapporti familiari rispetto alla tradizione. Nella relazione tra genitori e figli a rapporti basati sulla forza dell’autorità dei primi si sotituiscono relazioni tendenzialmente paritarie, dove spesso sono i genitori ad apprendere dai propri figli. La rete di rapporti solidali che caratterizza i legami familiari tende inoltre ad estendersi all’esterno della famiglia, includendo anche amici ed estranei. -­‐ L’amore è un rapporto eticamente qualificato, basato su rispetto e lealtà. Nei personaggi menandrei esso non si manifesta come irrefrenabile energia sessuale e come desiderio aggressivo, sì piuttosto come sottile tormento che scava e consuma, come desiderio di essere compresi e ricambiati, come sentimento delicato. Pur alludendo a situzioni scabrose (amori illeciti, stupri, adulteri), M. tratta queste materie con grande delicatezza, espungendo qualsiasi riferimento esplicito alla sfera sessuale: la distanza dalla libertà carnevalesca del linguaggio di Aristofane appare incolmabile. Inoltre, tra uomini e donne non c’è la contrapposizione di genere che c’è in Aristofane. Uomini e donne condividono gli stessi sentimenti e dimostrano un’analoga capacità morale. Sarebbe però erroneo parlare di un M. femminsta: l’attenzione al mondo femminile è un’altra eredità euripidea, oltre ad essere un corollario del nuovo senso di umanità di età ellenistica; ma la donna rimane confinata nei ruoli sociali tradizionali. REALISMO. -­‐ Dalle commedie di M. rimangono escluse le mirabolanti invenzioni fantastiche del teatro aristofanesco. I drammi menandrei presentano un carattere fondamentalmente “realistico”, che è anche funzionale a discorso morale. Il realismo consente infatti quel rispecchiamento del pubblico nei personaggi che favorisce la riflessione etica. Si tratta di una verosimiglianza di natura prevalentemente psicologica ed esistenziale. E’ celebre il giudizio di Aristofane di Bisanzio: «O vita, o Menandro, chi dei due ha imitato l’altro?». Già nel mondo antico era infatti diffusa l’opinione di un M. “imitatore della vita”. Naturalmente, però, non si deve applicare al teatro di M. la concezione moderna di “realismo”, come mostrano anche l’immancabile lieto fine (che era era una componente ineliminabile del genere teatrale della commedia), il carattere convenzionale delle vicende, una certa selettività del linguaggio (esclusione dell’osceno) e una certa dose di utopia sul piano morale. RAGIONE E FORTUNA. -­‐ La commedia di M. riflette una sostanziale fiducia nella ragione e un certo ottimismo. Non si tratta però di un’esaltazione illuministica dello strumento razionale né di una salda fede nelle sue possibilità demiurgiche. Non si tratta della ragione che l’eroe aristofanesco impiega per elaborare progetti esaltanti con cui plasmare la realtà. Si tratta piuttosto di un comune buon senso che comprende la consapevolezza e l’accettazione dei limiti umani. Nelle vicende umane opera infatti in modo decisivo anche un’altra forza, che esula dal controllo razionale: la Tyche. Si tratta però di una forza che non è di segno puramente neutrale, essa è spesso strumento di giustizia. Alla fine essa coopera con l’uomo premiando i comportamenti virtuosi. GLI DÈI. -­‐ E’ discusso fra gli studiosi quale sia lo statuto delle divinità tradizionali. Per alcuni essi sono in realtà irrilevanti e M. coltiverebbe una concezione laica della realtà. Per altri essi conserverebbero un ruolo decisivo. La prima tesi sembra però preferibile: nelle commedie menandree gli dèi tendono a collocarsi al di fuori delle vicende umane che sono al centro dell’attenzione.