la nostra icona: “consola le mie pene”
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la nostra icona: “consola le mie pene”
PA RR OC CHI A SA N L U IG I GONZAGA - INSERTO A L B O L L ET T I N O la nostra icona: “consola le mie pene” Volevo scrivere un racconto per bambini in cui spiegavo il significato dell’icona che abbiamo in cappella. Probabilmente non l’avevo mai osservata bene, perché quando sono andato a studiarla, mi sono trovato davanti una tipologia di immagine totalmente sconosciuta, almeno per me. Ho chiesto aiuto ad un amico che, come professione, dipinge icone. Ed ecco la sorpresa: tutte le informazioni che ho trovato danno al dipinto un titolo che non corrisponde a quello che comunemente gli diamo in parrocchia, cioè Theodorovskaja. Probabilmente c’è una spiegazione per questo problema, ma ne parlerò dopo; meglio cominciare a raccontare quel che è certo. La nostra è una classica icona dipinta su tavola di legno con la tecnica della tempera all’uovo (il legante del colore è proprio il tuorlo d’uovo) ed è sicuramente di scuola russa, perché questa tipologia d’immagine è nata ed è presente solo in Russia. Circondata da una cornice dipinta in color marrone, la Madonna e Gesù sono rappresentati su sfondo in lamina d’oro. La coppia di lettere scritte in alto, a destra e a sinistra dell’aureola della Madonna, è l’abbreviazione di “Madre di Dio”, mentre sopra l’aureola di Gesù è scritto, sempre in forma abbreviata, “Gesù Cristo”. Più in basso a sinistra sta l’iscrizione che dà il titolo all’icona: “Consola le mie tristezze (pene) Santissima Madre di Dio”. Per questo il titolo che si trova in bibliografia, ma anche su internet, è “Consola le mie pene” oppure “Lenisci i miei dolori”. Scrivendo in caratteri romani le equivalenti lettere dell’alfabeto cirillico, il titolo diventa “Utoli moi pechali” da pronunciare “utoli moi(a) peciali”. C’è un’altra scritta sul rotolo che Gesù tiene in mano: la traduzione è “Giudicate con giusto giudizio” ed è una citazione dal Vangelo di S. Giovanni al capitolo 7, versetto 24. Questo il contenuto delle scritte che mi ha molto gentilmente tradotto un’amica ucraina. La Madonna è vestita con un manto prezioso e di colore rosso scarlatto scuro, un colore assolutamente tipico, tanto che è relativamente raro trovarla dipinta col manto di un colore diverso. Il rosso è il colore della regalità, ma anche della vita e del martirio. Il colore rosso del tessuto della Madonna è però sempre di un gradino di luminosità e vivacità in meno del vestito del figlio Gesù. Questo significa che Maria è regina, ma di dignità inferiore alla regalità di Gesù, che è Dio. A ben guardare, anche i riflessi del manto della Madonna sono dei tono su tono: non sono così luminosi come quelli del vestito del Figlio, ottenuti con pennellate di bianco (in altre immagini il bianco è sostituito dall’oro per lo stesso motivo). Sul capo e su una spalla (l’altra è nascosta dalla testa di Gesù) i tre diademi simbolo della verginità della Madonna (vergine prima, dopo e durante il parto, dicono i vangeli apocrifi). La mano sinistra di Maria è appoggiata al suo volto in un gesto dolente, ma di dolore trattenuto, non tragico. Anche l’espressione del viso dà questa sensazione di sofferente serenità. La mano destra sorregge in maniera approssimativa il figlio che, non avendo appoggio per la sua schiena, sembra quasi galleggiare sul grembo della Madre. Gesù è vestito di rosso porpora, simbolo del martirio, ma anche della regalità divina, e di verde simbolo della sua umanità; ha un viso in cui si mescolano i tratti del bambino con le sembianze dell’adulto. Questi elementi di irrazionalità descrittiva, assieme ad altri, come il fondo d’oro, ci devono far capire che non stiamo guardando la rappresentazione di una realtà, ma dell’idea dell’autore, che nel caso delle icone è esclusivamente un contenuto teologico. Il fondo oro ci trasporta nella luce del paradiso; anche i colori sono sempre simbolici, come prima ho accennato. Non stupisce quindi la mescolanza di tratti di adulto e di bambino nel volto di Gesù: in lui vediamo tutta la sua storia, dalla nascita alla croce. Se anatomicamente le mani della Madonna non sono in grado di sostenere il figlio, teologicamente è chiaro che non c’è madre senza figlio, e se vediamo lei vedremo sempre anche lui, anche se solo con gli occhi dello spirito. Ma c’è un’altra finezza teologica nella rappresentazione di Gesù. Il colore della seconda veste, il verde, simbolo dell’umanità, è esterno alla tunica rossa, segno della divinità. In altre parole l’umanità di Cristo “ricopre” la sua divinità, che ad un primo sguardo rimane nascosta. Qui, però, la veste dell’umanità è scostata e noi possiamo contemplare la divinità di Gesù, a riprova che l’icona è una immagine del paradiso, una finestra teologica sull’invisibile. D’altra parte, anche nel vestito della Madonna possiamo dedurre che la sua regalità copre completamente la sua umanità, in questa icona praticamente invisibile, ma in altre rappresentata da una cuffia o dalla veste sotto il manto generalmente azzurra, o qualche volta in toni di verde. “Consola le mie pene” dice l’iscrizione. E di dolori la Madonna ne ha patiti tanti, come le profetizzò Simeone nel giorno della circoncisione del Figlio. Dalla persecuzione di Erode e conseguente soggiorno in Egitto, all’incredulità degli israeliti, fino alla passione e alla crocifissione sul Golgota, tutta la sua vita è segnata dalla presenza del dolore. Eppure nella liturgia ortodossa della sua festa (il 25 gennaio) si mette in evidenza un altro dolore al quale non avevo proprio pensato: il dolore del distacco dopo l’Assunzione di Gesù. Il testo dice così: “La solitudine terrena e umana della Madre di Dio, che visse nella speranza dell’imminente incontro con il suo amato figlio, si protrasse per lunghi anni. La sua gloriosa Dormizione fu per lei consolazione della pena, e di qui scaturisce la denominazione dell’icona.” Effettivamente, per una mamma a cui è morto un figlio, pur sapendo della sua vita in paradiso, il dolore del distacco può essere colmato solo dalla riunione nella vita futura. Ecco allora che la Madonna, nella rappresentazione del suo dolore contenuto, ci fa sentire meno soli. Ci sono passata anche io, ma ora sono accanto a mio Figlio, sembra dirci. A questo punto resta da spiegare il significato delle parole sul rotolo che Gesù tiene in mano e che appaiono di significato non facilmente inseribile nel contesto dell’immagine. Ogni icona nasce come sintesi di un lungo lavoro interiore di preghiera e di contemplazione, per questo sono sicuro che il testo acquista un significato preciso proprio in questa rappresentazione. Ho provato a chiedere pareri autorevoli ad alcuni sacerdoti, ma non mi hanno dato risposte semplici o definitive. Allora fornisco una mia interpretazione, nell’attesa che qualcuno ne fornisca una migliore. Secondo me questa frase ci indirizza a comprendere il senso del dolore. Tutti siamo portati a pensare che sia qualcosa di assolutamente inutile, da evitare il più possibile. Eppure Dio Padre ha scelto la strada della sofferenza proprio per suo figlio Gesù. Lasciando ad altri ogni altra discussione teologica, mi pare di poter dire che, se Gesù ha accettato la sofferenza, vuol dire che questa scomoda compagna della nostra vita deve avere una sua utilità. La presenza del dolore non è detto che sia una maledizione, ma può essere uno strumento di redenzione. Lo è stato per Gesù come per la Madonna, potrebbe esserlo anche per noi. Allora il sapere che la nostra sofferenza ha un significato, sicuramente ce la rende un po’ più leggera e sopportabile, ed è la consolazione che ci dona la Madonna tramite questa icona. Le parole che Gesù tiene in mano sono solo un invito a guardare con occhio diverso le inevitabili difficoltà della vita. Da notare che Maria, in atteggiamento pensoso di chi “medita in cuor suo queste cose”, non guarda verso il Figlio. Questo significa che non attribuisce a lui la colpa della sua vita piena di afflizione, ma semplicemente ne sta meditando il senso. D’altra parte Gesù guarda verso il cielo come chi sta ascoltando il volere del Padre, che ci viene presentato tramite la parola scritta sul rotolo che tiene in mano. Mi pare che, a questo punto, il significato della nostra icona sia talmente bello che valesse la pena venisse analizzato, anche se da un dilettante come me. Rimane da spiegare il titolo di “Theodorovskaja”. Sempre dall’amica ucraina ho imparato che il finale –skaja è il suffisso che trasforma un nome in aggettivo. Per spiegarmi meglio, se il nome è Modena, l’aggettivo corrispondente in italiano è modenese, che in russo diventa modenskaja. Allora il titolo di Theodorovskaja non deve essere interpretato come una indicazione di contenuto ma, caso mai, come una indicazione di provenienza o di appartenenza. In altre parole potrebbe voler dire che viene da una località che si chiama Theodoro oppure che è appartenuta a un S. Teodoro o ad una chiesa di S. Teodoro. Accidentalmente il nome Teodoro significa “dono di Dio”, quindi l’indicazione che trovate scritta nella riproduzione che tutti abbiamo in casa andrebbe corretta al rialzo: la Madonna è un dono di Dio, ma senza l’aggettivo “piccolo”. Io penso che sia un grande, grandissimo dono, anche se non è il tema specifico di questa immagine. Per avere spiegazioni sicure e definitive su questo scambio di nome, ho mandato una E-mail all’antiquario che ci ha procurato la nostra icona, sottoponendogli il problema del titolo, ma non mi ha risposto. La stessa domanda l’ho girata al mio amico iconografo che conferma tutte le informazioni trovate; in più mi fa notare che in russo il nome Teodoro non c’è perché è stato trasformato in Fedor. Mi dice anche che l’icona “Fedoroskaja” esiste ed è molto comune, ma è un tipo di immagine che non ha nulla a che vedere con la nostra Madonna: è una variazione della “Madonna della tenerezza”. In conclusione posso solo supporre che il nome “Theodorovskaja” sia solamente il frutto di una banalissima svista dell’antiquario. Un breve accenno alla storia dell’icona “Consola le mie pene”. La tradizione dice che fu portata a Mosca dai cosacchi nel 1640, durante il regno di Aleksei Michajlovic e fu collocata nella chiesa di S. Nicola di Myra nella borgata di Pupys. Fu venerata come immagine miracolosa per lungo tempo, specialmente dopo il XVII secolo. La tradizione dice che l’immagine uscì indenne da un incendio che distrusse la chiesa. Nella successiva ricostruzione venne dimenticata all’interno del campanile. Attorno al 1760 una donna la vide in sogno; la signora, di nobili origini, abitava molto lontano da Mosca ed era afflitta da una malattia che la lasciava stesa a letto completamente senza forze. Nonostante le cure dei medici la malattia si aggravava fino a por- la nostra icona: “consola le mie pene” L’icona era talmente coperta di polvere da rimanere quasi illeggibile, ma appena l’ammalata la vide gridò forte: “E’ lei!” Poi, dopo aver pregato e aver fatto il segno della croce, si accostò per baciarla: all’istante recuperò tutte le forze e tornò a casa guarita. La tradizione tramanda che il miracolo avvenne il 25 gennaio, giorno che fu consacrato alla sua festa. L’immagine venne ricollocata in chiesa e continuò ad operare prodigi, come nel 1771 in occasione della peste. Il titolo “Consola le mie pene” deriva dall’antico canto (tropario) ad essa dedicato: “Lenisci le mie pene del corpo e dell’anima che sono sofferenti, consola ogni lacrima sulla faccia della terra, libera gli uomini dalle malattie e allevia l’angoscia dei peccatori.” Gulli Morini PA R R O CCH I A S A N L UIGI GONZAGA - I NS ERTO A L BO LL ET TI NO tarla in punto di morte. Una notte sognò una voce che le ordinava di farsi trasportare fino a Mosca e le indicava con precisione il luogo dove avrebbe trovato l’icona che l’avrebbe guarita. Né lei né coloro che la trasportavano conoscevano il luogo dove si trovava l’icona, così dopo lunghe ricerche, finalmente riuscirono ad entrare nella chiesa di S. Nicola. L’ammalata, dopo aver osservato tutte le icone, non trovò quella che cercava, allora quelli che l’accompagnavano, raccontarono al sacerdote della visione avuta in sogno e questi fece portare la tavola che si trovava abbandonata nel campanile.